La Strage di Stato - controinchiesta
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Nota editoriale Odradek
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Nota degli autori - nel
trentennale della strage [kb 11 HTML]
I CAPITOLO - Le bombe del 12
dicembre [kb 56 HTML]
II CAPITOLO - Gli anarchici
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III CAPITOLO - I fascisti
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IV CAPITOLO - Controinchiesta
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V CAPITOLO - La strategia della
tensione [kb 57 HTML]
APPENDICE I [kb
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1) lettera di Pietro Valpreda dal carcere
2) note alla lettera di Valpreda
3) il taccuino di Mario Merlino
4) testo integrale del dossier segreto greco per l'Italia
5) note al dossier greco
6) gli agenti dei colonnelli greci in Italia
7) Giudizi e interventi di parlamentari (a cura dell'editore).
APPENDICE II [kb
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APPENDICE III [kb
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FOTO
note [kb 86
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Libro intero [kb 217 ZIP]
Nota dell'editore.
Questo libro è il frutto di un lavoro paziente e sistematico
di un nutrito gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare, che hanno
- spinti dal desiderio di accertare i fatti e di risalire alle responsabilità
politiche - raccolto informazioni e testimonianze, messo a confronto dichiarazioni
pubbliche di funzionari di polizia e altri personaggi implicati nelle vicende,
ricostruito le attività e gli spostamenti di ben individuati personaggi,
fornendoci, alla fine, attraverso notizie in parte già note, in parte
inedite, un quadro certo impressionante di una realtà politica (quella
dei fascisti e dei loro collegamenti nazionali e internazionali, delle altre
forze politiche reazionarie che hanno in quei fascisti un loro strumento),
con una ricchezza di dati e una capacità di persuasione fino ad oggi
difficilmente raggiunte.
Il lavoro - è giusto dirlo - è stato svolto in modo del tutto
indipendente dalle organizzazioni della sinistra, senza nessun aiuto politico
e finanziario. Solo quando il manoscritto era completato, l'editore ha preso
l'iniziativa di chiedere ai rappresentanti dello schieramento politico-parlamentare
di sinistra un giudizio e un avallo. Ciò non perché si sia ritenuto
necessario riproporre in questa sede un dibattito fra diverse forze politiche
della sinistra, che già si svolge altrove: ma perché ci è
sembrato che il tipo di battaglia, nel quale si inserisce il testo che qui
presentiamo al lettore, richiedesse - al di là delle divergenze politiche
che pur permangono e che traspaiono dalla lettura e del libro e dei giudizi
espressi in fondo da Basso, Natoli, Natta, Parri - l'unità di uno schieramento
di sinistra che, quali che siano gli errori o le manchevolezze di questi o
quelli, rimane l'unico strumento valido per opporsi concretamente alle mene
reazionarie degli autori degli attentati di Roma e Milano e dei loro complici
consapevoli o inconsapevoli.
L'editore
NOTA DEGLI AUTORI
Questa controinchiesta - condotta da un gruppo di militanti della sinistra
extra-parlamentare e iniziata nel periodo in cui, con il pretesto degli attentati
dei 12 dicembre, si scatenava la caccia all'"estremista di sinistra"
- non nasce da esigenze di legittima difesa: per denunciare "le disfunzioni
dello stato democratico" o "la violazione dei diritti costituzionali
dei cittadini". Sappiamo che questi diritti, quando esistono, sono riservati
esclusivamente a chi accetta le regole del gioco imposto dai padroni: l'unanimismo
dei servi o l'opposizione istituzionale dei falsi rivoluzionari. Per noi,
"giustizia di classe" e "violenza di stato" non sono definizioni
astratte o slogan propagandistici, ma giudizi acquisiti con l'esperienza:
gli operai, i contadini, gli studenti, li verificano ogni giorno nelle fabbriche,
nelle campagne, nelle scuole, nelle piazze e non soltanto nelle "situazioni
di emergenza". La repressione preferiamo chiamarla rappresaglia. Essa
rappresenta un parametro di incidenza rivoluzionaria: sappiamo che il sistema
colpisce con tanta più virulenza quanto più i modi e gli obiettivi
della lotta sono giusti, e che l'unica, vera, amnistia che conti, sarà
promulgata il giorno in cui lo stato borghese verrà abbattuto.
Per questo non ci stupisce ne' ci indigna il ricorso dei padroni alla strage
e la trasformazione di 16 cadaveri in formula di governo; ne' che l'apparato
ne copra le responsabilità con l'assassinio e con l'incarcerazione
di innocenti. Lasciamo ai "democratici" il compito di scandalizzarsi,
di chiedere accertamenti e indagini parlamentari, di gridare: "Questo
non deve accadere! Qui non siamo in Cambogia" come se esistessero tanti
imperialismi anziché uno solo, come se i sistemi che esso usa abitualmente
in Asia, Africa, America Latina o in Medio Oriente, fossero privilegio esclusivo
dei popoli di colore o sottosviluppati: inammissibili per un "paese di
alta civiltà", come il nostro. Fin dall'inizio eravamo coscienti
che non avremmo potuto fornire agli altri militanti molto di più di
quanto essi già sapevano sulle responsabilità dirette e indirette
che stanno dietro la strage di Milano.
Prima ancora che i giornali progressisti definissero "oscuro suicidio"
la morte di Giuseppe Pinelli, sui volantini alle fabbriche e all'Università,
sui giornali rivoluzionari e sui muri delle città italiane, i colpevoli
venivano indicati con nome e cognome. Quando i deputati della sinistra ufficiale
denunciavano "l'oscura manovra reazionaria" rivolgendo appelli di
unità antifascista a quegli stessi settori politici che di questa manovra,
nient'affatto oscura, erano i gestori e i portavoce ufficiali, migliaia di
militanti si scontravano in piazza con la polizia gridando esplicitamente
i risultati della loro analisi di classe. Il significato di questa contro-inchiesta,
quindi, è quello di offrire ai compagni un modesto strumento di lavoro
per l'approfondimento e la diffusione a livello popolare dell'analisi sullo
stato borghese; perché, come ha detto Lenin prima di Gramsci, la verità
è rivoluzionaria. Siamo convinti, nello stesso tempo, che essa fornisca
la dimostrazione di quanto e meglio avrebbero potuto fare - se solo lo avessero
voluto - le forze della sinistra istituzionale, politiche e sindacali. Le
quali però non hanno voluto perché il farlo significava dimostrare
che dietro le bombe di Milano e di Roma, dietro la morte di Giuseppe Pinelli,
esistono complicità che non lasciano spazi riformistici.
L'abbiamo dedicata a due compagni: Giuseppe Pinelli e Ottorino Pesce. Il primo,
un operaio, è rimasto ucciso per predisposizione storica, come i suoi
compagni che quasi ogni giorno muoiono nei cantieri e nelle fabbriche dei
padroni; il secondo giacché aveva scelto di mettersi dalla parte degli
sfruttati anziché degli sfruttatori, pretendendo di rifiutare il ruolo
sociale che gli era stato assegnato. Lo ha fatto dichiarando - proprio quando
la sinistra ufficiale assisteva pressoché impassibile alla caccia all'"anarchico"
e al "maoista" che la giustizia italiana è una giustizia
di classe: la stampa "indipendente" lo ha linciato, i magistrati
"progressisti" lo hanno invitato alla prudenza e al tatticismo.
E' morto d'infarto il 6 gennaio 1970.
Un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare
13 dicembre 1969-13 maggio 1970