Biblioteca Multimediale Marxista
Controinchiesta -- Come è morto Giuseppe Pinelli - Anche a Milano serve un 22 Marzo - Perchè è morto Giuseppe Pinelli - Polizia e magistrature parallele - Le nuove accuse contro Pietro Valpreda - A proposito della testimonianza della soubrette Ermanna Ughetto in arte Ermanna River - A proposito della testimonianza di Gianni Samperi, attore comico disoccupato - A proposito della testimonianza di Benito Bianchi, macchinista teatrale - La spia del 22 Marzo - Il ruolo di Mario Merlino nell'inchiesta - Chi è Paolo Pecoriello - Chi è Bruno Giorgi - Chi è Giorgio Chiesa - Chi è Serafino Di Luia - Chi è Giancarlo Cartocci - Chi è Antonio Sottosanti - Fascisti italiani e greci - L'ESESI - Gli agenti dei colonnelli in Italia - Costantino Plevris, incaricato della "questione italiana" - Costantino Plevris in Italia prima delle bombe - Junio Valerio Borghese e il Fronte Nazionale - Rapporti con industriali e forze armate.
Premessa
Questo è il capitolo che ha fruttato a Strage di Stato
il maggior numero di querele. Si sono sentiti in dovere di querelarci Paolo
Pecoriello, Antonio Sottosanti, Giovanni Ventura, Pino Rauti e Junio Valerio
Borghese. Portare nel processo elementi importanti, per lumeggiare episodi noti
e ignoti, sul ruolo di questi signori è troppo impegnativo per poter
fornire, qui, delle anticipazioni. Ci limiteremo dunque a ricordare alcuni fatti
di pubblico dominio.
Due dei principali querelanti, Junio Valerio Borghese e Giovanni Ventura, sono
stati incriminati per reati che giungono alla cospirazione contro lo Stato:
Borghese per il mancato golpe del 7 dicembre scorso e Ventura, che per il PM
Vittorio Occorsio altro non era se non "un galantuomo calunniato",
per gli attentati sui treni.
Un altro dei fascisti citati, Giorgio Chiesa, è da mesi latitante; ma
non aveva querelato. Così Giancarlo Cartocci, che è risultato
immerso fino al collo nella vicenda di Ordine Nuovo al vaglio presso la magistratura;
anche lui per molti mesi ha preferito "cambiare aria" anche se poi,
come si è detto, è stato visto passeggiare per Milano con Stefano
Delle Chiaie.
Pino Rauti è stato indicato - si dice in una nota a questo capitolo -
come il probabile "signor P." del rapporto greco da cui risulta che
gli attentati alla Fiera sono stati organizzati per conto del governo fascista
di Atene. Qui il fatto nuovo è consistente: convocato come testimone
al processo di Milano contro gli anarchici accusati per gli attentati del 25
aprile, depone il giornalista inglese Leslie Finer. È lui che ha curato,
sull'Observer, la pubblicazione del rapporto greco (rapporto che è inserito
tra le appendici di Strage di Stato). "Il rapporto - ha detto Finer - l'ho
avuto nel dicembre del 1969 e mi è stato dato da una fonte che, come
giornalista, non posso citare; ma sotto giuramento posso dire che si tratta
di una persona che occupava, ad Atene, la più alta carica politica prima
dell'avvento del regime dei colonnelli" ...E il "signor P."?
Su questo, il giornalista inglese è stato lapidario e assolutamente chiaro:
"Ho saputo da fonti italiane che si tratterebbe del giornalista Pino Rauti".
Il quale Rauti poteva anche non arrivarci al processo per la strage di Milano,
è stato un vero miracolo se le due martellate che, mesi addietro, lo
hanno colpito alla testa l'hanno spedito soltanto all'ospedale e non al cimitero.
Scrive Lotta continua del 19 gennaio, commentando l'accaduto: "La stessa
notte in cui è stato "aggredito" Pino Rauti, si sono verificati
in città due rapine a benzinari, una violenza carnale e uno scippo ai
danni di un pensionato. Ci si vuole accusare anche di questo? (...) Interessati
come siamo ai retroscena della strage di Stato, ci spiacerebbe che proprio Paolo
Zanetov (dirigente di Ordine Nuovo, istruttore di karatè, finito anch'egli
all'ospedale, n.d.e.) e Pino Rauti non fossero in grado di prender parte ad
un processo, quello Valpreda, che si preannuncia così movimentato e ricco
di colpi di scena. Piuttosto, al loro posto, diffideremmo di tutti, anche degli
amici più intimi, e rifletteremmo sulla storia di Salvatore Giuliano
e del suo luogotenente Pisciotta, amaro apologo sulla fragilità della
fratellanza umana".
Andiamo avanti: gli altri momenti centrali del capitolo erano la ricostruzione
della morte di Pino Pinelli e le rivelazioni sui rapporti tra i colonnelli greci
e determinati ambienti italiani.
Questa nota introduttiva viene scritta il 15 settembre 1971. Ieri il procuratore
generale di Milano ha trasmesso al giudice istruttore gli atti del caso Pinelli,
chiedendo l'apertura di un'istruttoria formale nei confronti di Allegra e Calabresi
e la riesumazione del corpo di Pinelli, per una nuova perizia necroscopica.
Ciò avviene in seguito alla denuncia di Lucia Pinelli, depositata il
24 giugno, per omicidio volontario ed altri reati, contro Allegra, Calabresi,
il tenente dei carabinieri Lo Grano, ora promosso capitano e i brigadieri Panessa,
Caracuta, Minardi e Muccilli. In occasione della prima perizia venne negato
ai familiari un perito di parte. Quando, nel corso de processo Baldelli-Calabresi,
i difensori del giornalista chiesero una nuova perizia, la richiesta fu accolta
ma Calabresi chiese ed ottenne la ricusazione del giudice Biotti. Ora gli atti
sono al vaglio di quell'ufficio in cui lavora come stenografo un maresciallo
(all'epoca brigadiere) che fa parte della rosa degli indiziati. L'ufficio è
diretto dal giudice Amati, il noto ex-carabiniere specializzato nella caccia
all'anarchico; lo stesso che archiviò la prima inchiesta sulla morte
di Giuseppe Pinelli. A dire il vero, incriminare il questore per fermo illegale
e il commissario socialdemocratico per omicidio colposo è al di sotto
delle aspettative.
Ciò non impedisce all'Unità di esultare, e di tentare di darsi
il merito di tale "successo". Il fondista dell'organo del PCI dimentica
forse l'intervista all'Espresso di qualche mese fa, in cui Giancarlo Pajetta,
parlava di Pinelli come di un elemento forse estraneo alla strage di Stato!
Per quanto riguarda i greci, e l'attività dei loro servizi segreti in
Italia, un caso drammatico ha confermato che essa si svolge regolarmente, senza
tregua. Si tratta della morte di Costantino Georgakis. Il giovane si uccise
a Genova, cospargendosi di benzina e dandosi fuoco, per sfuggire alle persecuzioni
delle spie del suo Paese. Si è cercato di far passare sotto silenzio
le cause della morte di Georgakis e in parte ci si è riusciti. La congiura
delle veline ha funzionato ancora una volta. Ma in occasione del processo Valpreda
dovrà venir fuori anche questo: dovrà necessariamente esserci
un seguito alla Strage di Stato. Il pregio di questo libro è stato quello
di lacerare il velo della mistificazione; il limite, inevitabile, è stato
quello di rendere pubblici tutta una serie di episodi sui quali i protagonisti
hanno potuto correre ai ripari. Ora che il velo è lacerato, non è
necessaria, ancora, una nuova clamorosa esibizione dei materiali raccolti, quelli
che completano il mosaico. Saranno forniti nel momento e nelle forme dovute,
ma in modo da non dar tempo per nuove ricuciture e per nuovi sotterfugi.
Come è morto Giuseppe Pinelli
E' circa la mezzanotte di lunedì 15 dicembre 1969.
Un uomo discende lentamente lo scalone principale della questura di Milano .Giunto
nell'atrio dell'ingresso principale di via Fatebenefratelli si ferma un momento,
accende una sigaretta. E' indeciso, non sa se uscire, andarsene a casa, oppure
rimanere ancora qualche minuto, fare un ultimo giro negli uffici della Squadra
mobile che stanno lì di fronte a lui? dall'altra parte del cortile. Sono
giornate faticose queste per i cronisti milanesi e lui in particolare si sente
stanco, avvilito: si sa già che nella mattinata è stato arrestato
un anarchico di nome Valpreda; c'entrerà davvero con le bombe di Piazza
Fontana? E poi nelle camere di sicurezza della questura, nelle stanze al quarto
piano dell'ufficio politico ci sono ancora almeno un centinaio tra anarchici
e giovani della sinistra extraparlamentare che da tre giorni, dal venerdì
delle bombe, sono sottoposti a continui interrogatori.
L'uomo, Aldo Palumbo, cronista dell'Unità di Milano, muove i primi passi
per attraversare il cortile. E sente un tonfo, poi altri due, ed è un
corpo che cade dall'alto, che batte sul primo cornicione del muro, rimbalza
su quello sottostante e infine si schianta al suolo, per metà sul selciato
del cortile, per metà sulla terra soffice dell'aiuola. Palumbo rimane
paralizzato per qualche secondo al centro del cortile, poi si avvicina al corpo,
ne distingue i contorni del viso. E subito gridando corre a dare l'allarme,
agli agenti della squadra mobile, agli altri cronisti che sono rimasti in sala
stampa quando lui è uscito.
La mattina dopo tutti i quotidiani escono a grossi titoli con la notizia del
suicidio di Giuseppe Pinelli. Di questi giornali, quelli che al momento dell'incidente
avevano il loro cronista in questura, scrivono che il suicidio è avvenuto
a mezzanotte e tre minuti. Nei giorni seguenti. stranamente questo particolare
del tempo viene modificato: prima lo si corregge a giorni seguenti. stranamente
questo particolare del tempo viene modificato: prima lo si corregge a "circa
mezzanotte", poi lo si sposta ancora indietro, sino ad arrivare, a un tempo
ufficiale: "Pinelli è morto alle ore undici e 57 minuti del lunedì
notte 15 dicembre".
Ai primi di febbraio, dall'inchiesta condotta dalla magistratura trapela un
particolare: la chiamata fatta quella notte dalla questura al centralino telefonico
dei vigili urbani per richiedere l'intervento di una autoambulanza è
stata registrata da uno speciale apparecchio e quindi si può stabilire
con certezza l'attimo esatto, che risulta essere mezzanotte e 58 secondi. Come
dire due minuti e due secondi prima della caduta di Pinelli, se si sta al tempo
segnalato da tutti i giornalisti che erano in questura quella notte. Si è
trattato di una svista collettiva e abbastanza clamorosa, per gente abituata
ad avere delle reazioni automatiche, professionali, quali il guardare per prima
cosa l'orologio quando avviene un incidente del genere? E' un fatto però
che nel frattempo sono successe due cose strane.
Qualche giorno dopo la morte di Giuseppe Pinelli, due agenti della squadra politica
della questura si sono presentati al centralino telefonico dei vigili urbani
per controllare il momento esatto di registrazione della chiamata. Cosa significa
questo zelo del tutto gratuito dato che è la magistratura, e non la polizia,
che si occupa dell'inchiesta sulla morte di Pinelli? Perchè preoccuparsi
tanto dell'orario di chiamata dell'autoambulanza se le cose si sono svolte così
come sono state raccontate? La risposta potrebbe essere questa: la chiamata
è stata fatta prima che Giuseppe Pinelli cadesse dalla finestra.
Verso i primi di gennaio il giornalista Aldo Palumbo, la prima persona che si
è avvicinata a Giuseppe Pinelli morente nel cortile della questura, trova
la sua abitazione sottosopra. Qualcuno è entrato, ha rovistato dappertutto,
ha aperto i cassetti, rovesciato mobili, frugato negli armadi. Ladri? Sarebbero
dei ladri ben strani considerato che non rubano né le tredicimila lire
che erano in una borsa, e che pure devono aver visto poichè la borsa
è stata aperta, e neppure quei pochi gioielli nascosti in un'altra borsa,
pure trovata aperta. Due quindi le ipotesi: o gli ignoti cercavano qualcosa,
qualcosa collegato agli istanti in cui il giornalista fu vicino, e da solo,
a Giuseppe Pinelli morente: oppure si è trattato di un avvertimento,
un monito a tenere la bocca chiusa rivolto a chi, come Aldo Palumbo, poteva
essere sospettato di sapere qualcosa, forse di avere sentito mormorare da Pinelli,
un nome, una frase.
Basterebbero questi primi, pochi elementi per formulare pesanti sospetti sulla
versione dell'anarchico morto suicida. In realtà ce ne sono molti altri,
e sono questi.
Pinelli cadde letteralmente scivolando lungo il muro, tanto che rimbalza su
ambedue gli stretti cornicioni Sottosanti la finestra dell'ufficio politico:
non si è dato quindi nessun slancio.
Cade senza un grido e i medici stabilirono che le sue mani non presentano segni
di escoriazioni non ha avuto cioè nessuna reazione a livello di istinto,
incontrollabile, nemmeno quella di portare le mani a proteggersi durante la
"scivolata".
La polizia fornisce nell'arco di un mese tre versioni contrastanti sulla meccanica
del suicidio. La prima: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato
di fermarlo ma senza riuscirci. La seconda: quando Pinelli ha spalancato la
finestra, abbiamo tentato di fermarlo e ci siamo parzialmente riusciti, nel
senso che ne abbiamo frenato lo slancio: come dire, ecco perchè è
scivolato lungo il muro. Ma questa versione è stata resa a posteriori,
dopo cioè che i giornali avevano fatto rilevare la stranezza della caduta.
Infine l'ultima, la più credibile, fornita "in esclusiva" il
17 gennaio al Corriere della Sera: quando Pinelli ha spalancato la finestra,
abbiamo tentato di fermarlo e uno dei sottufficiali presenti, il brigadiere
Vito Panessa, con un balzo "cercò di afferrarlo e salvarlo; in mano
gli rimase soltanto una scarpa del suicida". I giornalisti che sono accorsi
nel cortile subito dopo l'allarme lanciato da Aldo Palumbo ricordano benissimo
che l'anarchico aveva ambedue le scarpe ai piedi.
Poi la polizia fornisce due versioni contrastanti anche sul movente del suicidio.
Primo: Pinelli era coinvolto negli attentati, il suo alibi per il pomeriggio
del 12 dicembre era crollato e sentendosi ormai perduto ha scelto la soluzione
estrema, gridando " è la fine dell'anarchia".
Seconda versione, fornita anche questa a posteriori, dopo che l'alibi era risultato
assolutamente valido: Pinelli, innocente, bravo ragazzo, nessuno di noi riesce
a spiegarsi i suo gesto. Dando questa seconda versione, la polizia afferma anche
che la tragedia è esplosa nel corso di un interrogatorio che si svolgeva
in un'atmosfera del tutto legittima, civile, e tranquilla, con scambio di sigarette
e altre delicatezze del genere.(45) L'anarchico Pasquale Valilutti, uno dei
tanti fermati che tra il venerdì delle bombe e il lunedì successivo
hanno riempito le camere di sicurezza della questura, ha fornito invece questa
testimonianza:
"Domenica pomeriggio ho parlato con Pino (Pinelli) e con Eliane, e Pino
mi ha detto che gli facevano difficoltà per il suo alibi, del quale si
mostrava sicurissimo. Mi ha anche detto di sentirsi perseguitato da Calabresi
e che aveva paura di perdere il posto alle ferrovie. Verso sera un funzionario
si è arrabbiato perché parlavo con gli altri e mi ha fatto mettere
nella segreteria che è adiacente all'ufficio del Pagnozzi (un altro commissario,
come Calabresi, dell'ufficio politico: n.d.r.): ho avuto occasione di cogliere
alcuni brani degli ordini che Pagnozzi lasciava ai suoi inferiori per la notte.
Dai brani colti posso affermare che ha detto di riservare al Pinelli un trattamento
speciale, di non farlo dormire e di tenerlo sotto pressione per tutta la notte.
Di notte il Pinelli è stato portato in un'altra stanza e la mattina mi
ha detto di essere molto stanco, che non lo avevano fatto dormire e che continuavano
a ripetergli che il suo alibi era falso. Mi è parso molto amareggiato.
Siamo rimasti tutto il giorno nella stessa stanza, quella dei caffè,
e abbiamo potuto scambiare solo alcune frasi, comunque molto significative.
Io gli ho detto: " Pino, perchè ce l'hanno con noi? " e lui
molto amareggiato mi ha detto: " Sì ce l'hanno con me ". Sempre
nella serata di lunedì gli ho chiesto se avesse firmato dei verbali e
lui mi ha risposto di no. Verso le otto è stato portato via e quando
ho chiesto a una guardia dove fosse mi ha risposto che era andato a casa. Io
pensavo che stesse per toccare a me di subire l'interrogatorio, certamente il
più pesante di quelli avvenuti fino ad allora: avevo questa precisa impressione.
Dopo un po', verso le 11,30 ho sentito dei rumori sospetti, come di una rissa
e ho pensato che Pinelli fosse ancora lì e che lo stessero picchiando.
Dopo un pò di tempo c'è stato il cambio della guardia, cioè
la sostituzione del piantone di turno fino a mezzanotte. Poco dopo ho sentito
come delle sedie smosse ed ho visto gente che correva nel corridoio verso l'uscita,
gridando "si è gettato". Alle mie domande hanno risposto che
si era gettato il Pinelli: mi hanno anche detto che hanno cercato di trattenerlo
ma che non vi sono riusciti. Calabresi mi ha detto che stavano parlando scherzosamente
del Pietro Valpreda, facendomi chiaramente capire che era nella stanza nel momento
in cui Pinelli cascò. Inoltre mi hanno detto che Pinelli era un delinquente,
aveva le mani in pasta dappertutto e sapeva molte cose degli attentati del 25
aprile. Queste cose mi sono state dette da Panessa e Calabresi mentre altri
poliziotti mi tenevano fermo su una sedia pochi minuti dopo il fatto di Pinelli.
Specifico inoltre che dalla posizione in cui mi trovavo potevo vedere con chiarezza
il pezzo di corridoio che Calabresi avrebbe dovuto necessariamente percorrere
per recarsi nello studio del dottor Allegra e che nei minuti precedenti il fatto
(cioè la stessa caduta di Pinelli: n.d.r.) Calabresi non è assolutamente
passato per quel pezzo di corridoio(46).
Dunque l'ultimo interrogatorio di Giuseppe Pinelli non è stato così
tranquillo come si è cercato di far credere, ed è falso anche
che al momento della caduta il commissario aggiunto Luigi Calabresi non fosse
presente nella stanza. Ma perchè queste menzogne? La risposta può
essere trovata in un articolo pubblicato dal settimanale Vie Nuove nelle settimane
seguenti.
"Quando l'anarchico fu trasportato nella sala di rianimazione dell'ospedale
Fatebenefratelli non era in condizioni di coscienza. aveva un polso abbastanza
buono ma il respiro molto insufficiente, il che poteva essere stato provocato
da ragioni organiche (cioè il gran colpo dell'impatto col terreno o qualcos'altro)
oppure psicologiche (cioè lo stato di tensione precedente la caduta:
ma questa sembra un'eventualità meno valida). Il particolare che più
stupì i due medici fu che il corpo, almeno a un esame superficiale, non
presentava nessuna lesione esterna nè perdeva sangue dalle orecchie e
dal naso, come avrebbe dovuto essere se Pinelli avesse battuto violentemente
al suolo con la testa.
"Una constatazione, questa, che fa sorgere subito un'altra domanda in chi
non ha mai voluto credere alla versione del suicidio: se è vero, come
sembra, che la necroscopia ha accertato una lesione bulbare all'altezza del
collo, quale si sarebbe potuta produrre battendo al suolo con il capo, come
mai orecchie e naso non sanguinavano nè il volto e la testa presentavano
lesioni evidenti? Per logica si arriva quindi a una seconda domanda: non è
possibile che quella lesione al collo fosse stata provocata prima della caduta?
Come e da cosa, non ci vuole molta fantasia per immaginarlo: sono ormai molti
anni che nelle nostre scuole di polizia si insegna quella antica arte giapponese
di colpire col taglio della mano, nota come karatè.
"Fossero stati interrogati, quei due medici (che hanno prestato cure a
Pinelli morente, n.d.r.) avrebbero potuto raccontare un altro episodio. Quella
notte del 16 dicembre, nell'atrio del Fatebenefratelli regnava una grande confusione.
Si era trasferito lì tutto lo stato maggiore della polizia milanese,
il questore Marcello Guida compreso. Ma la polizia era presente anche all'interno
della sala di rianimazione dove i due medici cercavano invano di tenere in vita
Giuseppe Pinelli. Tranquillo, silenzioso, non molto turbato dalla vista dell'operazione
di intubazione orotracheale e di ventilazione col pallone di Ambù alla
quale l'anarchico veniva sottoposto, un poliziotto in borghese, camicia e cravatta,
baffetti neri e un distintivo all'occhiello della giacca, non si allontanò
neppure per un attimo dal lettino dove Pinelli stava morendo, attento a raccogliere
ogni suo rantolo (...) Chi gli ha dato l'ordine di entrare nella stanza compiendo
un abuso di autorità che non è tollerato negli ospedali? e perchè
è entrato, che cosa pensava o temeva che Pinelli potesse dire prima di
morire?".
I risultati dell'autopsia, dalla quale sono stati esclusi i periti di parte,
non vengono resi noti. Di due medici - Gilberto Bottani e Nazareno Fiorenzano
- che hanno tentato di salvare Giuseppe Pinelli, solo il secondo, e solo molte
settimane più tardi, e solo dietro istanza dei legali della moglie dell'anarchico,
viene interrogato dal procuratore Giuseppe Caizzi, il magistrato cui è
affidata l'inchiesta che nel mese di maggio 1970 si concluderà con un
sibillino verdetto di "morte accidentale" (non suicidio quindi, se
la lingua italiana ha un senso. Ma allora la polizia ha mentito...).(47)
Subito dopo che il dottor Nazareno Fiorenzano è stato interrogato, nel
palazzo di Giustizia circola una voce secondo cui la polizia lo ha pesantemente
"avvertito" che il caso Pinelli è un caso da archiviare, e
che perciò è meglio che non si ponga troppi interrogativi. Ma
cosa può aver notato o capito il medico di guardia davanti al corpo di
Pinelli morente? La testimonianza che egli rilascia a un collega, prima di essere
interrogato dal magistrato è questa:
1) Gli infermieri che raccolsero Pino Pinelli ebbero l'impressione
che fosse già morto.
2) Il massaggio cardiaco esterno gli fu praticato da un infermiere di nome Luciano.
3) Solo eccezionalmente - e per lo più nei vecchi con scheletro rigido
- il massaggio cardiaco può produrre incrinature alle costole.
4) Da quando fu raccolto e fino alla morte Pinelli non emise nè un lamento
nè una parola.
5) Quando arrivò al pronto soccorso del Fatebenefratelli Pinelli non
aveva polso, pressione e respirazione. Appariva decerebrato; ma il dr. Fiorenzano
non ebbe l'impressione che la teca cranica fosse fratturata. Non perdeva sangue
dagli occhi, dal naso e dalla bocca. Presentava un abrasione del cuoio capelluto
come da colpo tangenziale. Presentava anche abrasioni alle gambe. Lesione bulbare?
Mani intatte.
7) Pinelli fu intubato, sottoposto a ventilazione artificiale ed altre pratiche
di rianimazione. Riebbe polso e pressione. Respiro periodico che confermerebbe
lesione bulbare. Mancanza di riflessi, ecc. confermano che (parole testuali)
"si trattava di un morto cui avevano ridato un po' di vita vegetativa".
Rianimazione sospesa dopo 90'.
8) Il Dr. Guida arrivò tre minuti dopo Pinelli. Disse al Dr. Fiorenzano
che doveva metterlo in condizioni di parlare perchè "fortemente
indiziato". Quando il Dr. Fiorenzano gli disse che non poteva fare nulla
contro l'irreparabile, ebbe l'aria di scusarsi e se ne andò.
9) Il Dr. Fiorenzano ignorava l'identità del ferito che non gli fu detta
dai poliziotti. La sua insistenza per conoscerla irritò molto i poliziotti.
10) I poliziotti ripetevano, tutti con le stesse parole che si era buttato dalla
finestra. Sembrava che ripetessero una formula.
Anche a Milano serve un 22 Marzo
La versione suicidio risulta tanto più incredibile
se si considerano le ragioni che avrebbero dovuto spingere Giuseppe Pinelli
a uccidersi. Non esistono ragioni soggettive (capo manovratore alle Ferrovie.
Pinelli era l'uomo sano, a posto fisicamente psicologicamente, con una vita
familiare solida, ecc), nè tanto meno ragioni obiettive. Il suo alibi
è autentico. e lui lo sa. Le minacce, i ricatti ai quali viene sottoposto
per i primi due dei tre giorni che egli passa in questura, dal venerdì
delle bombe al lunedì successivo, per Pinelli non sono una novità:
è da settembre, dai giorni dello sciopero della fame organizzato in solidarietà
con gli anarchici imprigionati per gli attentati del 25 aprile a Milano, che
gli uomini della squadra politica lo perseguitano, cercano di intimidirlo con
lo spettro del licenziamento dalle ferrovie, delle conseguenze che la sua militanza
politica avrebbero provocata alla famiglia. E anche il tentativo finale, mezz'ora
prima del "suicidio", di farlo sentire indirettamente coinvolto nella
strage col dimostrargli che, come risulta dal suo libretto chilometrico di ferroviere,
lui ha compiuto un viaggio a Roma nella notte tra l'8 e il 9 agosto e che pertanto
può essere ritenuto uno degli autori degli attentati ai treni, anche
questo tentativo non dà nessun risultato: Pinelli sa benissimo, come
sa la polizia, come sanno tutti, che quelle sono state bombe di marca fascista.
Eppure il tentativo viene fatto ugualmente, come ultimo ricatto per fargli confessare
qualcosa. qualche nome, qualche circostanza che alla polizia, al commissario
Luigi Calabresi preme molto: cioè quanto servirebbe a far scattare il
medesimo meccanismo che a Roma in quelle ore si è già chiuso sul
gruppo anarchico del 22 Marzo.
L'equivalente milanese del 22 marzo (inteso come retroterra ambientale, politico
e organizzativo nel quale sarebbe maturata la decisione di compiere gli attentati)
nelle intenzioni degli inquirenti e rappresentato da un obiettivo molto più
importante: qui non si tratta di quattro ragazzini anarchici, se il colpo riuscisse
si arriverebbe a mettere le mani addosso a un personaggio e un ambiente di primo
piano.
Il personaggio è Giangiacomo Feltrinelli. editore di sinistra: discutibile
sotto molti aspetti agli occhi della intelligenza marxista, tuttavia per gli
avversari, per il sistema, rappresenta uno dei simboli più noti della
contestazione e della rivolta, con le sue pericolose collane di libri e di opuscoli
a buon mercato in cui si predica la guerriglia e il "creare due, tre, molti
Vietnam", e si profetizza addirittura. nei giorni caldi del luglio 1969,
"la minaccia incombente di un colpo di stato all'italiana", ovverossia
"le ragioni e i modi con cui si tenterà di imporre un regime autoritario
in Italia". Per gli avversari, per il sistema, poter dimostrare che Giangiacomo
Feltrinelli è un estremista assassino di fatto, oltre che sui libri,
significa non solo spazzare via un pericoloso e incomodo editore di sinistra
ma anche vibrare un duro colpo ai seguaci non di Feltrinelli ma dei suoi libri.
Poi Feltrinelli è un grosso pesce da far cadere nella rete per altri
motivi. E' lui, infatti, che ha fornito un alibi ai suoi amici anarchici Giovanni
e Eliane Corradini, incarcerati per gli attentati del 25 aprile. Quindi Feltrinelli
porta ai Corradini, così come i Corradini portano agli anarchici. E la
soluzione dell'equazione a questo punto è elementare: il "giro"
Feltrinelli-Corradini-anarchici è responsabile delle bombe di aprile
come lo è di quelle bombe di dicembre; o viceversa, come si preferisce.
Già il 18 dicembre, durante la conferenza stampa del questore di Milano,
il nome di Feltrinelli viene indicato tra i "possibili responsabili".
Il 19 viene perquisito il suo studio per ordine del giudice Antonio Amati (lo
stesso che in aprile ha mandato in galera gli anarchici), e il motivo ufficiale
è la ricerca di un volantino simile a quello rinvenuto nei pressi della
bomba esplosa il 1° aprile e che dovrebbe trovarsi adesso negli archivi
della casa editrice di via Andegari. Il Corriere della Sera riporta in prima
pagina la notizia della perquisizione, scrive che il nome di Feltrinelli, sussurrato
nei giorni precedenti, entra ora nell'orbita dell'inchiesta, e che la polizia.
già poche ore dopo la strage di Piazza Fontana, aveva richiesto alla
procura l'autorizzazione "negata" a perquisire il suo studio. Da quel
momento i giornalisti borghesi, con alla testa La Notte di Pesenti, e quelli
della catena del petroliere Monti, scatenano una campagna di stampa che senza
mezzi termini crea la figura dell'editore dinamitardo. Si parla esplicitamente
di Feltrinelli come del finanziatore dei gruppi anarchici. Ma Feltrinelli non
c'è: è all'estero già da molti giorni, da prima che il
ministero degli Interni ordinasse il ritiro del suo passaporto.
Altri giornalisti, più o meno in buona fede, raccolgono e fanno circolare
una nuova versione, pericolosa quanto sottile che viene suggerita direttamente
dalla polizia: non si può dire che Feltrinelli sia il mandante: in realtà
è successo che lui, impulsivo e sprovveduto. aveva organizzato un certo
traffico di esplosivo destinato alla Resistenza greca, esplosivo che qualcuno
è riuscito invece, con un tranello, a far dirottare verso piazza Fontana.
Tuttavia questa ennesima provocazione, almeno questa, non riesce.
Perché è morto Giuseppe Pinelli
Per l'obiettivo di fornire anche a Milano una "organizzazione"
equivalente a quella romana del circolo 22 Marzo, Giuseppe Pinelli è
destinato a svolgere un ruolo molto importante durante l'ultimo interrogatorio
che si svolge nell'ufficio al quarto piano del commissario aggiunto Luigi Calabresi.
Il "giro" Feltrinelli-Corradini-anarchici è stato prescelto
e "il Pino" deve servire a incastrarlo. Se dirà quello che
si aspettano da lui, il successo dell'operazione è assicurato. Pinelli
sarà un teste credibilissimo per la sua insospettabilità, per
il rifiuto della violenza che ha sempre manifestato, perchè è
un personaggio autorevole tra gli anarchici. E' perciò il personaggio
che ci vuole per realizzare la fase conclusiva della manovra, i cui momenti
precedenti sono stati:
nel gruppo prescelto si sono tenuti certi discorsi, si è parlato di armi, di guerriglia, di come opporsi a tentativi di colpo di Stato, ecc. (tutti argomenti che ormai vengono trattati anche nei salotti della borghesia progressista ma non importa; quel che conta, ai fini della complessa manovra, è che tali argomenti siano stati trattati anche in quel gruppo prescelto, perchè ciò è pregiudiziale;
nel gruppo si sono infiltrati dei provocatori-inforrnatori che hanno soffiato sul fuoco, hanno estremizzato al massimo il discorso, hanno proposto la necessità di passare dalla teoria alla pratica, ecc.;
nel frattempo sono stati commessi degli attentati la cui firma
è stata resa simile a quella che avrebbe lasciato tale gruppo se mai
li avesse commessi, e per questo l'opinione pubblica è già predisposta
ad accettarlo come quello dinamitardo per eccellenza.
A questo punto manca solo l'avallo di Giuseppe Pinelli. "Il Pino"
è ritenuto un emotivo che si può facilmente terrorizzare, e un
ingenuo che si può facilmente ingannare. L'interrogatorio si svolge secondo
questo schema:
intimidazione ("il tuo alibi per il pomeriggio del 12 è caduto");
il tentativo di fiaccare la sua resistenza fisica e psichica (non lo lasciano nemmeno dormire, lo tengono costantemente "sotto pressione";
il tentativo di impaurirlo facendogli balenare la possibilità di essere coinvolto tra gli autori della strage.
Ma gli alibi reggono, la resistenza psico-fisica del Pino
anche. Allora la musica deve cambiare, si passa all'interrogatorio pesante,
quello coi "rumori di sedie smosse, come di una rissa", e gli vengono
contestati fatti, nomi, circostanze precise. Ma un interrogatorio di questo
tipo è una specie di boomerang, per chiedere bisogna per forza dire e
il Pino, che ascolta attentamente prima di rispondere, improvvisamente intuisce
qualcosa. Intuisce che si sta cercando di farlo cadere in una trappola, intuisce
anche, grazie proprio a quei nomi e a quelle circostanze che gli stanno contestando,
la funzione di provocatore svolta da qualcuno che si è infiltrato nel
gruppo, coglie il legame che intercorre tra il provocatore e qualcuno degli
uomini che lo stanno interrogando. E invece di tacere, invece di guadagnare
tempo. emotivamente parla, indignato minaccia, e chiede che certi nomi, certe
sue affermazioni vengano messe a verbale.
Fra chi lo interroga, non tutti hanno capito quello che Pinelli ha capito. Ma
un paio di persone certamente sì. E allora parte, fra i tanti quel colpo
decisivo che fa stramazzare Pinelli sulla sedia, gli fa perdere conoscenza.
Pinelli sta male (si chiama in quel momento l'autoambulanza?) Pinelli ha bisogno
d'aria. Bisogna avvicinarlo alla finestra, appoggiare il suo corpo inanimato
alla sbarra di ferro trasversale, bassa. Troppo bassa, non trattiene il Pino,
il Pino scivola giù nel vuoto.
Una disgrazia. Un malore prima e la disgrazia poi. Questa all'incirca la versione
che uno dei cinque presenti nella stanza (il commissario Luigi Calabresi, i
brigadieri Panessa, Mucilli, Mainardi, il tenente dei carabinieri Sabino Lograno)(48)
fornirà poi a un suo superiore. Questa versione, attraverso un lungo
giro, giunge anche a chi sta conducendo questa controinchiesta. E sarebbe credibile,
forse, se non vi fosse quella lesione bulbare nel collo di Pinelli, se non vi
fosse la sua totale mancanza di riflessi durante la "scivolata" lungo
il muro, indizio evidente che non si trattava di un uomo colto da malore ma
di un uomo inanimato.
Tuttavia credibile, forse, per chi era in quella stanza e non ha saputo distinguere
il colpo fatale vibrato sul collo del Pino, e non ha capito perchè quel
colpo è stato vibrato e perchè il Pino doveva cadere dalla finestra.
Polizia e magistrature parallele
Per giustificare il "suicidio", il questore di Milano
afferma nella conferenza stampa tenuta quella notte stessa che il gesto compiuto
da Giuseppe Pinelli equivale a una "autoaccusa". Infatti gli anarchici
sono i colpevoli degli attentati. Pinelli è un anarchico e quindi, per
sillogismo, è colpevole anche lui.
Molto prima del questore Marcello Guida la stessa certezza era stata espressa
dal commissario Luigi Calabresi il quale, a poche ore dalla strage, ha dichiarato
che essa è "opera degli anarchici". Idem un magistrato, il
capo dell'ufficio istruzione Antonio Amati: in piazza Fontana non erano ancora
arrivate le prime ambulanze ed egli consigliava già alla polizia di "iniziare
subito le ricerche negli ambienti anarchici".
Così la polizia, così la magistratura, Ma sarebbe più esatto
dire: così una polizia, così una magistratura. Infatti se mai
ha avuto un senso parlare di polizie e magistrature parallele, qui ci sono alcuni
esempi.
Il procuratore della Repubblica di Milano, Ugo Paolillo, cui spetterebbe di
condurre l'inchiesta perchè è il procuratore di turno nel pomeriggio
del 12 dicembre, non sembra d'accordo con la tesi degli "attentati di sinistra".
Sin dalle prime ore l'onesto magistrato protesta duramente contro la polizia
che procede alle retate negli ambienti anarchici e della sinistra extraparlamentare,
ammonendo che, qualora non fossero state rispettate le regole formali dei fermi
(quello di Giuseppe Pinelli è un esempio macroscopico di violazione:
viene trattenuto per tre giorni e tre notti in questura senza che il suo fermo
venga notificato al palazzo di Giustizia), egli avrebbe sconfessato il comportamento
della polizia. (un altro esempio clamoroso di questa frattura che inizialmente
esiste tra la questura e certi magistrati, è quello dell'anarchico Leonardo
Claps che, arrestato dalla polizia, viene rimesso in libertà per ordine
del procuratore della Repubblica, arrestato di nuovo è di nuovo scarcerato:
e così via).
Quando ancora l'inchiesta è affidata alla magistratura milanese e al
procuratore Ugo Paolillo in particolare. da Roma giunge il pubblico ministero
Vittorio Occorsio(49) che, "per ordini superiori" e scavalcando di
fatto Paolillo, procede ad alcuni interrogatori degli anarchici rinchiusi a
San Vittore. Al magistrato milanese frattanto i superiori hanno affiancato un
nuovo verbalizzatore, che ha ricevuto l'ordine di essere sempre presente agli
interrogatori.
Verso la fine di dicembre l'inchiesta viene trasferita da Milano a Roma, in
sede più vicina al potere politico centrale. Ugo Paolillo ritiene però
doveroso continuare le indagini che ha iniziato e che lo stanno portando a battere
piste decisamente di destra, e in particolare quella che dimostra come almeno
un provocatore si sia infiltrato negli ambienti anarchici milanesi per svolgere
lo stesso ruolo di Mario Merlino nel circolo 22 Marzo. Due sottufficiali dei
carabinieri, forse agenti del SID, aiutano il procuratore nel suo lavoro. Sino
a quando, improvvisamente, uno dei due viene posto in pensione, l'altro trasferito
a La Spezia. Da quel momento su Ugo Paolillo, magistrato che non crede alle
versioni precostituite, cala il sipario.
La stessa cosa succede all'interno della polizia. Di fianco, parallelamente
al commissario Luigi Calabresi che punta diritto sulla colpevolezza degli anarchici.
vi è il dirigente dell'ufficio politico Antonio Allegra che sembra avere
qualche dubbio. Ai fermati delle prime ore egli chiede insistentemente notizie
di U.R. che risulta collegato ai fascisti del MAR della Valtellina, e di Antonio
Sottosanti, detto Nino il fascista. Sottosanti è un ex legionario, ex
segretario della sezione milanese della pacciardiana Nuova Repubblica, molto
legato a tutte le organizzazioni dell'estrema destra extraparlamentare. Nell'ultimo
anno gli era riuscito ad infilarsi tra gli anarchici milanesi del Ponte della
Ghisolfa ed era entrato in contatto anche con Giuseppe Pinelli che gli conserva
i soldi della "Crocenera"(50) da recapitare in carcere a Tito Pulsinelli,
anarchico e amico personale del Sottosanti. Contemporaneamente però manteneva
i contatti con i fascisti e avvicinava ex capi partigiani proponendo loro incontri
con Pacciardi. Ai primi di gennaio Antonio Allegra sta ancora battendo questa
pista ed il giorno 11 parte da Milano in gran segreto per andare a interrogare
Nino il fascista in Sicilia, dove si è trasferito all'indomani della
strage. L'interrogatorio si svolge nella questura di Enna ma a fare domande
non è il solo Allegra: con lui è arrivato da Milano anche il brigadiere
Vito Panessa, uno dei fedelissimi di Luigi Calabresi che ha partecipato all'ultimo
interrogatorio di Giuseppe Pinelli. In quella stanza della questura di Enna,
la situazione è paradossale, se non altro da un punto di vista dell'ordine
gerarchico: a verbalizzare c'è un maresciallo, a porre domande il capo
dell'ufficio politico milanese, ma chi di fatto gestisce l'interrogatorio, scavalcando
continuamente Allegra, è il brigadiere Vito Panessa.
Le nuove accuse contro Pietro Valpreda
La morte di Giuseppe Pinelli è un imprevisto che fa
scricchiolare paurosamente tutta l'impalcatura delle accuse che si stanno costruendo
addosso a Pietro Valpreda e gli anarchici del 22 Marzo. Un suicidio così
non è incredibile, ma non credere nel suicidio vuol dire che la polizia
ha mentito, e se ha mentito in questa occasione perchè non dovrebbe aver
mentito anche in altre? Tutta l'inchiesta rischia di rimanere coinvolta, di
non apparire più attendibile di fronte all'opinione pubblica. Inoltre,
la testimonianza del taxista Cornelio Rolandi che ha inchiodato Pietro Valpreda
dicendo che si tratta dell'uomo con la borsa nera che egli ha trasportato in
piazza Fontana mezz'ora prima della strage, non basta più. Rolandi ha
affermato, e la frase risulta dal verbale, che il questore di Milano gli ha
mostrato una unica fotografia e gli ha detto che quello era l'uomo che "doveva"
riconoscere.
Perciò bisogna correre in fretta ai ripari. A distanza di 88 giorni,
la polizia milanese consegna al magistrato un vetrino giallo-verde, del tutto
simile a quelli usati da Pietro Valpreda per costruire le lampade tiffany. Secondo
la polizia il vetrino è stato trovato nella borsa che conteneva la seconda
bomba di Milano, quella della banca di piazza della Scala che non è esplosa.
Prima di allora, chi aveva avuto occasione di verificare il contenuto della
borsa (come il direttore della banca, il perito balistico Teonesto Cerri, l'anarchico
Sergio Ardau) (51) non si era accorto dell'esistenza di tale vetrino che costituisce
- scrivono trionfalmente i giornali di destra - la firma inequivocabile lasciata
dal disattento Pietro Valpreda.
Poi, a metà febbraio, ecco che spuntano i famosi "testi romani"
le persone cioè che sostengono che il sabato o la domenica dopo la strage
Pietro Valpreda era a Roma e non a Milano, come invece hanno sempre sostenuto
la zia Rachele Torri, la nonna Olimpia, la madre, la sorella e un'amica d'infanzia
di Pietro.
Per l'accusa i testi romani rappresentano una importante "prova psicologica"
perchè se Valpreda ha mentito sui due giorni successivi. deve per forza
avere mentito anche sul venerdì della strage: non a letto malato in casa
della zia Rachele, quel pomeriggio del 12 dicembre, ma in giro per Milano col
suo carico mortale da depositare nell'atrio centrale della Banca Nazionale dell'Agricoltura.
Ma sono davvero credibili i testimoni romani?
A proposito della testimonianza della soubrette Ermanna Ughetto in arte Ermanna River
Il 28 gennaio 1970 il settimanale Gente, sotto il titolo "Le
amiche raccontano la vita amorosa di Valpreda", pubblica un'intervista
con l'Ermanna Ughetto nella quale la ragazza, che ha avuto con l'anarchico un
breve flirt durante l'estate, afferma di averlo incontrato l'ultima volta "una
ventina di giorni prima" della strage di piazza Fontana. Valpreda l'aveva
aspettata al termine dello spettacolo del cinema varietà Ambra-Jovinelli,
l'aveva accompagnata prima in trattoria e poi sino alla porta della pensione
dove inutilmente le aveva chiesto di poter passare la notte con lei.
E' lo stesso episodio che Ermanna Ughetto, due settimane più tardi, riferisce
al magistrato. Ma stavolta con la data spostata: non più "una ventina
di giorni prima" della strage, ma all'indomani di essa, la sera del 13
o 14 dicembre, lei si è incontrata con Valpreda.
La mascherina del cinema-varietà Letizia Bollanti, sostiene che l'incontro
tra Pietro Valpreda e Ermanna Ughetto è avvenuto verso gli ultimi giorni
di novembre ma il magistrato non le dà retta. E lo stesso sostengono
i camerieri della trattoria Ciarla, dove Valpreda e la soubrette hanno cenato:
ma non risulta che siano stati interrogati dal giudice istruttore.
A proposito della testimonianza di Gianni Sampieri, attore comico disoccupato
Gianni Sampieri, vecchio attore senza lavoro, monarchico (il
padre recitò una volta in presenza di sua maestà), passa le sue
giornate nel bar accanto al cinema-varietà. Dal verbale risulta che la
sera di sabato 13 è seduto nella trattoria Ancora. vicino al Cinema Jovinelli.
Entra Valpreda con un giovane (dalla descrizione risulta essere l'anarchico
Angelo Fascetti). Valpreda ha un occhio gonfio: ci scherzano sopra. Parlano
un po': Valpreda gli dice che tra qualche giorno partirà per Milano,
dove spera di trovare lavoro. Poi escono insieme, lui, Valpreda, e il giovane,
e vanno nel bar vicino, all'angolo di via Turati.
Ma Gorizia Palluzzi, proprietaria della trattoria Ancora, che conosce Valpreda
da sei anni, ricorda perfettamente che l'anarchico è entrato nel suo
locale per l'ultima volta il 3 o 4 dicembre in compagnia di un certo Angelino,
cioè Angelo Fascetti. E il suo racconto concorda perfettamente con quanto
Valpreda ha dichiarato durante uno dei primi interrogatori. La donna per quattro
volte ha ripetuto la sua testimonianza al giudice ma non è stata creduta.
Anche il cameriere dell'Ancora (il quale però non risulta sia stato interrogato
dal giudice istruttore) conferma di avere visto l'anarchico solo una diecina
di giorni prima degli attentati, seduto al tavolo del comico Sampieri.
A proposito della testimonianza di Benito Bianchi, macchinista teatrale
"Era domenica 14 dicembre. Lo ricordo perchè ero
stato a Firenze a vedere Fiorentina-Roma. Valpreda entrò nel bar assieme
al comico Sampieri e a un suo amico. Ci fermammo un pò a chiacchierare
di sport e controllammo i risultati del totocalcio. Poi ci salutammo".
Questo dichiara Benito Bianchi, un teste giudicato insospettabile dall'accusa
perchè è iscritto al PCI.
Eppure Leo Rossellini, un avventore del bar che secondo Benito Bianchi è
stato presente al colloquio con Valpreda, interrogato dal magistrato ha smentito
la circostanza. Lo stesso fa Angelo Fascetti, l'amico anarchico di Valpreda.
Non appena legge le dichiarazioni dei testi romani, Fascetti chiede di essere
ricevuto dal giudice istruttore Cudillo. Gli dice che il loro incontro, prima
col comico Sampieri, poi con Benito Bianchi, risale a molti giorni prima del
14 dicembre A quando cioè Pietro Valpreda aveva ancora l'occhio nero,
provocato durante una rissa avvenuta verso la metà di novembre nella
trattoria Mariòs di Trastevere. Il livido ai primi di dicembre era sparito
completamente. Inoltre la partita di calcio di cui avevano discusso non era
Fiorentina-Roma bensì Inter-Lazio, giocata il 30 novembre. Ma il giudice
Cudillo licenzia Angelo Fascetti senza far mettere a verbale le sue dichiarazioni.
***
A proposito di queste testimonianze (e dei testimoni), si veda inoltre, in appendice, la lettera di Valpreda fatta uscire clandestinamente dal carcere di Regina Coeli.
***
La spia del 22 Marzo
Chi, per assurdo, ritenesse Pietro Valpreda e gli anarchici
del 22 Marzo colpevoli degli attentati, dovrebbe concludere logicamente che
con loro è responsabile la polizia romana, dato che essa è sempre
stata minuziosamente informata da una spia circa le attività degli anarchici.
La presenza di questa spia nel circolo di via del Governo Vecchio è stata,
dopo lunga reticenza, ammessa ufficialmente dai funzionari dell'ufficio politico,
i quali tuttavia si sono ancora per molto tempo rifiutati di rivelarne il nome
allo stesso magistrato sebbene ciò non fosse consentito dalla legge (la
norma "protezionistica" introdotta da Scelba per cautelare i confidenti
non era applicabile in questo caso giacchè non è estesa ai poliziotti
in servizio). E a quanti avanzano l'obiezione di cui sopra, e cioè che
la polizia doveva essere stata informata dalla sua spia di quanto gli anarchici
andavano architettando, si è dapprima risposto che ciò era impossibile
dal momento che la spia aveva cessato di frequentare il circolo dal mese di
settembre. Poi si dice che Andrea non potè sapere delle bombe perchè
negli ultimi tempi gli anarchici non si fidavano più di lui e lo lasciavano
in disparte.
Ma tutto ciò è falso.
La spia si chiama Salvatore Ippolito, calabrese, sedicente studente, in realtà
agente scelto di P.S., con residenza a Genova ma da tempo domiciliato a Roma
presso una pensione. Si introduce tra gli anarchici del Bakunin nell'aprile
1969. Nel mese di settembre Salvatore Ippolito, che si fa chiamare Andrea il
genovese ha lasciato la pensione ma continua a frequentare assiduamente il 22
Marzo fino al 14 dicembre. Questo può essere provato da diverse testimonianze
dirette e indirette (queste costituite dal fatto che agli anarchici continuamente
fermati in quel periodo venivano contestate delle frasi, precise alla lettera,
che essi avevano pronunciato durante le loro riunioni: tanto precise che più
volte il circolo fu messo sottosopra alla ricerca di eventuali microfoni installati
dalla polizia). Tra le testimonianze dirette vale la pena di citarne almeno
una: "Verso le ore 22 di martedì 9 dicembre, tre giorni prima degli
attentati, Pietro Valpreda, Emilio Bagnoli, Emilio Borghese e altri anarchici
del 22 Marzo si incontrano con alcuni studenti di un collettivo romano che stanno
preparando un libro bianco sulla repressione in Italia. Tra gli anarchici c'è
anche Andrea il genovese, alias Salvatore Ippolito, spia della polizia".
Questa testimonianza (come innumerevoli altre) smentisce recisamente sia l'una
che l'altra delle giustificazioni che si è preteso di dare al fatto che
la spia del 22 Marzo nulla seppe e nulla riferì delle bombe che stavano
per scoppiare.
"Andrea" infatti era sempre insieme a Valpreda e ai suoi compagni
e ancora nel pomeriggio dell'11 dicembre si trovava nella sede del 22 Marzo,
in via del Governo Vecchio, quando a Macoratti - recatovisi dopo le 17,30 per
vedere Valpreda - Bagnoli disse che il Pietro era appena andato via, in partenza
per Milano.
Il ruolo di Mario Merlino nell'inchiesta
La notte del sabato dopo gli attentati, l'anarchico Enrico
Di Cola viene interrogato nella questura di Roma. Gli chiedono di denunciare
Pietro Valpreda "perchè a loro serve un responsabile per la strage
di Milano". Di Cola rifiuta. Insistono, prima offrendogli dei soldi poi
minacciandolo. Un sottufficiale gli passa davanti alla faccia un tagliacarte
d'acciaio e un altro, mentre il funzionario che conclude l'interrogatorio è
uscito dalla stanza, dice all'anarchico: "Guarda che possiamo farti fuori
quando e come vogliamo. Tanto fuori di qui non sapranno mai come sei morto...".
Qualche giorno dopo Enrico Di Cola viene rilasciato. Poi ci ripensano, lo vogliono
arrestare di nuovo ma Di Cola riesce a far perdere le proprie tracce e sino
ad oggi è rimasto latitante.
Uno che invece non fa difficoltà a riferire circostanze che si tramutano
immediatamente in atti di accusa contro Valpreda e i suoi compagni del 22 Marzo,
è Mario Merlino. E' stato fermato come gli altri verso le sette di sera
del venerdì, appena un'ora e mezzo dopo l'esplosione dell'ultima bomba
romana all'Altare della Patria. Siccome il primo alibi ("ero a casa mia")
non è stato confermato dalla madre, Merlino ne ha fornito un altro: "Avevo
un appuntamento alle ore 17 in casa della signora Minetti in via Tuscolana 552
con il mio amico Stefano Delle Chiaie. Non lo trovai. Restai con i figli della
Minetti, Riccardo e Claudio...".
Merlino comincia a denunciare gli anarchici già nel secondo interrogatorio
di sabato mattina: "Il 28 novembre, a Santa Maria Maggiore, durante il
concentramento degli studenti, Roberto Mander mi chiese di procurargli dell'esplosivo".
"Il 10 o 11 c.m. incontrai Mander in via Cavour. alle ore 20. Ci confermò
quello che mi aveva detto Borghese e cioè che tenevano un deposito d'armi
e munizioni sulla via Casilina..." (non e mai stato trovato n.d.a.). "Stamane
in questura quando ho visto Mander e gli ho detto che il Commissario mi aveva
contestato l'esistenza del deposito (invece è stato Merlino a parlarne
col commissario, n.d.a.), egli ha esclamato "Sanno anche questo" "Il
Borghese mi riferì del deposito al 22 Marzo il 9 o l0 dicembre. Pensai
che volesse farmi unire a lui ed agli altri per qualche azione. Io gli dissi
che non mi sembrava il caso di parlare di queste cose".
Nel terzo interrogatorio del 19 dicembre. Mario Merlino fa notare al pubblico
ministero Vittorio Occorsio che il motto di Valpreda era "bombe sangue
anarchia". Poi, suggerisce che "forse la conferenza al 22 Marzo (alla
quale hanno partecipato gli altri imputati romani. e che costituisce il loro
alibi per il pomeriggio del 12 dicembre, n.d.r.) fu fatta per avere una copertura
per gli attentati".
Il 9 gennaio quando v iene interrogato dal giudice istruttore Ernesto Cudillo,
Merlino è costretto ad ammettere di avere partecipato al famoso viaggio
in Grecia. Però, spiega "ci andai perchè era gratuito, nonostante
non avessi mai svolto propaganda a favore dei colonnelli", e precisa che
"non ci furono conferenze e non fummo ricevuti da personalità"
(ma l'incontro dei fascisti italiani con il ministro Patakòs è
documentato in una serie di fotografie).
Da quel giorno di gennaio Mario Merlino non è più stato interrogato.
Eppure se solo il magistrato avesse insistito di più, magari prendendo
lo spunto dalle due curiose circostanze di un anarchico che va in visita ufficiale
nella Grecia dei colonnelli e che si fa fornire un alibi dai figli di una donna,
Leda Minetti, che da dieci anni è l'amica del più noto boss del
neofascismo romano Stefano Delle Chiaie, avrebbe potuto ricostruire facilmente
il personaggio Mario Merlino, così come è stato fatto nelle pagine
precedenti di questo libro. E partendo da lui, da questo Merlino fascista infiltrato
fra gli anarchici, il giudice avrebbe anche potuto delineare questi profili
di fascisti, per accorgersi che si tratta di tante tessere di un mosaico al
cui centro si trova la strage del 12 dicembre 1969.
Chi è Paolo Pecoriello
Paolo Pecoriello, 25 anni. Nel 1964 partecipa al "Convegno
romano della gioventù nazionale" come delegato, assieme a Mario
Merlino, della sezione del MSI Istria e Dalmazia. Diventa un militante dell'Avanguardia
Nazionale di Stefano Delle Chiaie ed è sempre in prima fila nelle più
importanti azioni squadristiche. Nel 1965, con il finanziamento dei Comitati
Civici, organizza una squadra che imbratta i muri delle chiese di Terni con
falci e martello e scritte blasfeme(52). Partecipa, nella primavera 1968, al
viaggio premio nella Grecia dei colonnelli. L'8 agosto 1968 si trasferisce da
Roma, dove è stato ospite del convento dei padri Serviti di Santa Maria,
a Reggio Emilia, dove è di nuovo ospite dei padri Serviti nel loro convento
della Ghiara retto da padre Gabriele Rocca noto perchè ogni anno celebra
messe in suffragio di Mussolini e dei caduti della Repubblica di Salò.
A Reggio Paolo Pecoriello è ufficialmente impiegato negli uffici del
Commissariato della Gioventù Italiana; in realtà ha il compito
di "fare opera di agitazione politica", come dichiarerà lui
stesso in un verbale di polizia. Ai primi di settembre fonda una sezione di
Avanguardia Nazionale. In tutta la città compaiono svastiche e rune,
accompagnate da scritte "Viva l'esercito". L'onorevole Franco Boiardi
del PSIUP e il professor Corrado Corghi della sinistra cattolica vengono aggrediti
e malmenati dai fascisti di Avanguardia Nazionale.
Il 14 novembre Pecoriello e Graziano Zannoni, dell'organizzazione clandestina
fascista dei Figli del Sole, incendiano la libreria Rinascita di Reggio: la
benzina, 15 litri, è stata consegnata da padre Paolo Bagnacani, amministratore
del convento della Ghiara. Arrestati e processati, i due sono condannati a quattro
mesi con la condizionale. Allontanato dal convento Paolo Pecoriello viene ospitato
nel pensionato Artigianelli in via don Zefferino Jodi, di proprietà delle
ACLI reggiane. Licenziato dalla Gioventù Italiana, trova lavoro presso
la ditta di lampadari Righi di Villa Rivalta.
Nel maggio '69 organizza la sezione reggiana dei GAN (via dell'Abadessa), i
Gruppi di Azione Nazionale promossi dal direttore del settimanale fascista Il
Borghese, Mario Tedeschi, e dal senatore missino Gastone Nencioni.(53) Nel luglio
è tra gli organizzatori di un campeggio paramilitare a Cervarezza, sull'Appennino
Reggiano. L'iniziativa è stata decisa in una serie di riunioni che si
sono svolte a Rimini agli inizi dell'estate. I fondi necessari, 3 milioni di
lire, sono forniti da alcuni industriali zuccherieri di Ravenna. La federazione
comunista di Rimini, venuta a conoscenza del fatto, provoca un'interpellanza
alla Camera dei deputati e i carabinieri intervengono per vietare il campeggio
a soli quattro giorni dal suo inizio.
Gli abitanti del paese di Busana, vicino a Cervarezza, hanno sentito echeggiare
colpi e raffiche di armi automatiche ma non risulta che i carabinieri ne abbiano
sequestrate o abbiano svolto indagini.
Nell'autunno Paolo Pecoriello, assieme a un fascista di Reggio, Maurizio Faieti,
fonda il Movimento nazionalproletario Corridoni che diffonde davanti alle fabbriche
volantini di contenuto vagamente anarco-sindacalista. Nello stesso periodo Pecoriello
cerca di prendere contatti con l'Unione dei Comunisti Italiani marxisti-lenisti
ma viene respinto.
In novembre, nella sede dei GAN in via dell'Abbadessa, partecipa a un incontro
tra fascisti locali e il presidente del Fronte Nazionale, Junio Valerio Borghese
(un secondo incontro avverrà alla fine di gennaio 1970). Pecoriello si
vanta in pubblico di avere ottimi rapporti con il commissario Saviano della
questura di Reggio, al quale si rivolge dandogli del tu.
Un giorno di fine gennaio '70, Pecoriello smarrisce in un bar di Reggio un opuscolo
dal titolo "La giustizia è come il timone: dove la si gira, va"
firmato Fronte Popolare Rivoluzionario.(54) L'opuscolo, diffuso clandestinamente
in un migliaio di copie, è stato pubblicato dall'editore-libraio di Treviso
Gianni Ventura (autore anche della rivista nazista Reazione. Il frontespizio
suonava così "Per una visione del Mondo che s'ispiri ai principi
aristocratici dell'Autorità dell'Onore della Gerarchia della Fedeltà:
questi sono i termini della lotta reazionaria e nazionale-rivoluzionaria). Nel
febbraio 1970 l'editore Ventura è stato denunciato da un suo amico come
finanziatore, assieme ad altre due persone, degli attentati dinamitardi avvenuti
sui treni nel mese di agosto e per aver affermato che davanti alle bombe del
12 dicembre si è "tirato indietro, preoccupato per la strage che
avrebbero provocato".(55)
Paolo Pecoriello è partito da Reggio Emilia a bordo della sua "500"
giovedì 11 dicembre, giorno precedente gli attentati, e ha fatto ritorno
alle ore 8 di sera di sabato. Al direttore del pensionato ACLI ha detto di essersi
recato a Roma per visitare certi parenti. Un mese dopo, alla redazione in un
settimanale romano è giunta una lettera anonima proveniente da Casina,
un comune della provincia di Reggio. La lettera diceva: "L'autore di uno
degli attentati di Roma è un fascista romano residente a Reggio Emilia".
Chi è Bruno Giorgi
Bruno Giorgi, 28 anni. Romano, si è trasferito a Reggio
Emilia verso la fine del 1968. Il suo nome compare nell'agendina di Mario Merlino.
Compie frequenti viaggi in Germania e Romania, spesso ha dichiarato di avere
contatti con un gruppo clandestino di anticomunisti rumeni che si ispirano alle
Guardie di Ferro di Antonescu, un movimento collaborazionista di nazisti nato
durante l'occupazione.
Bruno Giorgi ufficialmente non lavora ma conduce un tenore di vita abbastanza
elevato ed è proprietario di una Fiat 2300 carrozzata Viotti. Abita in
via Doberdò, dove riceve numerose visite da fuori Reggio. E' in contatto.
come Mario Merlino, con gli ambienti della destra cattolica di Vicenza e in
particolare coi Comitati Civici. Anche lui ha partecipato all'organizzazione
del campeggio paramilitare di Cervarezza (vedi Paolo Pecoriello).
La sua attività politica si svolge all'interno del GAN, i Gruppi di Azione
Nazionale. E' collegato al movimento di estrema destra Pace e Libertà
di Rimini, fondato nel 1948 dall'ex giornalista dell'Unità Luigi Cavallo.
espulso dal partito comunista come agente della CIA. Il responsabile attuale
di Pace e Libertà è un certo Tassinari, ex insegnante di scuola
media, buon amico dell'avvocato missino Giuseppe Pasquarella e di alcuni esponenti
riminesi del PSU. Tassinari compie frequenti viaggi a Firenze, dove è
in contatto con un funzionario dell'USlS (United States Information Service).
E' stato anche un promotore dei Comitati Civici di Rimini.
Nell'inverno '69 Bruno Giorgi ha condotto da Parigi a Milano, a bordo della
sua auto, due rappresentanti dell'OAS francese che sono intervenuti alla manifestazione
dei fascisti europei svoltasi al cinema Ambasciatori. La rivista comunista Reggio
15 lo ha denunciato detentore di armi da guerra.(56)
Il 21 gennaio 1970 ha partecipato alla riunione promossa dall'ex partigiano
Rolando Maramotti per fondare il Movimento di Democrazia Maggioritaria. Presenti
noti avanguardisti locali come Maurizio Faieti, il segretario del MSI di Trento
Springhetti, Mario Salsi capo della sezione reggiana dei Partigiani Cristiani
(nati nel 1948 da una scissione dell'ANPI, promossa e finanziata dall'ENI).
Nella lettera di convocazione della riunione era assicurata anche la presenza
del dottor Grasselli, presidente dell'Associazione Industriali di Reggio. Durante
la riunione si era discusso di organizzare un nuovo campeggio paramilitare di
tipo "mobile", che partendo dall'Appennino avrebbe dovuto trasferirsi
per tappe sino in Austria e in Germania. Bruno Giorgi si è preso l'incarico
di mantenere contatti con ufficiali dell'esercito italiano che gli avrebbero
assicurato - secondo quanto egli ha affermato - la fornitura di tende, e di
5 camion, qualche campagnola e una cucina da campo.
Alla fine di gennaio Bruno Giorgi ha partecipato alla riunione con Junio Valerio
Borghese che si è svolta nella sede reggiana dei GAN di via dell'Abbadessa.
Giovedì 11 dicembre, vigilia degli attentati di Milano e Roma, è
partito in auto da Reggio ed è rimasto assente alcuni giorni.
Chi è Giorgio Chiesa
Giorgio Chiesa, 27 anni. Nel 1965 se ne va da Parma, sua città
natale, e ritorna dopo tre anni raccontando di essere stato prima nella Legione
Straniera e poi mercenario in Congo. Lavora alle dipendenze di un avvocato missino
di Piacenza, quindi si trasferisce a Milano. Gira armato di pistola calibro
7,65 perchè, dice, è stato assunto come guardia del corpo del
senatore Gastone Nencioni. Tra il 9 e il 12 febbraio 1969, assieme ai fascisti
Bruno Spotti e Paolo Maini, lancia bottiglie molotov contro la sede del PSIUP,
la Camera del Lavoro e l'Associazione Partigiani di Parma. Nel marzo '69 si
trasferisce a Rimini dove frequenta Adolfo Murri, attivista di Ordine Nuovo,
Ennio Magnani attivista del movimento Pace e Libertà e amico di Serafino
Di Luia, e l'avvocato missino Giuseppe Pasquarella amico di Caradonna e Romualdi,
del Tassinari di Pace e Libertà e dell'avvocato Cavallari della pacciardiana
Nuova Repubblica (intervistato nell'aprile di quest'anno da un giornalista di
Panorama, l'avvocato Pasquarella ha profetizzato che in Italia "sta per
avvenire qualcosa di grosso, per merito del PSU e del suo capo").(57)
Giorgio Chiesa fa frequenti viaggi tra Roma e Milano. Ai primi di aprile '69,
assieme ad altri quattro fascisti che indossano come lui tute mimetiche e caschi,
fa irruzione nel manicomio di Colorno occupato da medici e malati. Sono tutti
armati di pistole lanciarazzi e bottiglie molotov ma vengono ugualmente respinti.
Per sfuggire ai loro inseguitori i fascisti si rifugiano nella questura di Parma,
da dove escono qualche ora più tardi in abiti civili. La mattina dopo,
alle 6, sono davanti alla facoltà di Scienze, occupata, a sparare razzi
contro le finestre.
A metà aprile, a Rimini, Giorgio Chiesa marcia assieme all'avvocato Pasquarella,
al capo dei Volontari del MSI Alberto Rossi e a Nestore Crocesi, alla testa
di una spedizione punitiva contro i "rossi", al termine di un comizio
del missino Romualdi. (Nestore Crocesi è il braccio destro dell'avvocato
Pasquarella. Ha due residenze, a Rimini in via Clementina, e a Milano in via
Albricci. Tre giorni prima degli attentati sui treni e del 9 agosto, Crocesi
è partito da Rimini. Anche il 9 dicembre 1969 è andato a Roma
a bordo della sua auto Fulvia coupè, ma già un'ora dopo la strage
della Banca Nazionale dell'Agricoltura era a Milano, a arringare la folla di
piazza Fontana.(58) Poco dopo, con altri fascisti, ha aggredito il senatore
comunista Giuseppe Maris).
Ai primi di maggio 1969, Giorgio Chiesa è di nuovo a Milano. Dorme nella
pensione Sicilia di via San Maurillo, è in contatto con Antonio Sottosanti
detto Nino il fascista (infiltrato tra gli anarchici) e Gian Luigi Fappani (infiltrato,
per conto del SID, nel movimento studentesco).(59) Economicamente il Chiesa
se la passa piuttosto male. Va per qualche giorno a Rimini da dove ritorna con
un passaporto falso, una lettera di raccomandazione firmata da un colonnello
dell'esercito e indirizzata ai "camerati spagnoli", e un grosso rotolo
di biglietti da 10.000 lire dice che deve fare un lavoro che, se va bene, gli
frutterà altri soldi e parla con molto timore dei suoi "superiori"
("se mi ordinassero di ammazzare mio figlio lo farei: con quelli non si
scherza"). A Gian Luigi Fappani confida che quelli di Rimini, tra cui c'è
un avvocato del quale non vuol fare il nome, sono disposti a pagare bene se
"buttiamo le bombe nei posti giusti, spaventiamo la gente e facciamo cadere
il governo". Nella casa di Fappani confezionano assieme dei congegni elettrici
con innesco a tempo che Chiesa prende in consegna "per metterli al sicuro
in casa di un amico". In quei giorni è ospite di Serafino Di Luia
(appena ritornato da Francoforte con una Volkswagen targata Germania e molti
soldi) nella casa che il boss del neofascismo romano ha affittato sopra la sede
della CISNAL milanese di via Torino 48. Con i due stanno Nino Sottosanti e un
certo Ercolino, sardo disoccupato, appartenente alle SAM (Squadre d'Azione Mussolini).(60)
Il 25 luglio, nel palazzo di Giustizia di Milano, viene rinvenuto un ordigno
esplosivo a orologeria. Giorgio Chiesa e Di Luia non sono più in città.
Nella notte tra 1'8 e il 9 agosto, nove attentati sui treni. Il capo della polizia
Vicari afferma che si tratta di ordigni dello stesso tipo di quello trovato
inesploso nel palazzo di Giustizia a Milano. Gian Luigi Fappani va dicendo in
giro che lui sa chi sono i dinamitardi e viene interrogato dalla polizia. Più
o meno i congegni usati per gli attentati sui treni sono simili a quelli che
Fappani ha confezionato tempo prima con Giorgio Chiesa: le pile e i contenitori
sono gli stessi che hanno acquistato alla ditta Rime e in un negozio vicino
a piazza Fontana (tuttavia di questi attentati verranno incolpati gli anarchici
e lo stesso Giuseppe Pinelli, durante il suo ultimo interrogatorio).(61) Chiesa
e Di Luia, ricercati dalla polizia secondo quanto dichiarato da alcuni quotidiani,
sono scomparsi: il primo è a Parigi, il secondo viene segnalato a Rimini
e quindi a Milano. insieme ad un certo Victor Pisano.(62) Nessuno pensa invece
di fermare Nino Sottosanti.
Attualmente Giorgio Chiesa dovrebbe trovarsi in Spagna, forse in carcere per
reati comuni. Serafino Di Luia, ufficialmente in Germania, è stato segnalato
in più occasioni a Milano e a Roma. Nino Sottosanti a Piazza Armerina
in Sicilia. Gian Luigi Fappani han tentato di suicidarsi il 3 giugno 1970. Come
Giorgio Chiesa, Fappani era balzato agli onori della cronaca al tempo del giallo
di Parma: ambedue erano stati indicati come i sicari assunti da Tamara Baroni
per uccidere la contessa Bormioli. Fappani, in marzo, doveva essere l'autore
di una provocazione organizzata dal giornalista del Borghese Piero Cappello
e da un dirigente del MSI milanese, Alberto Tanturri. In cambio di soldi, passaporto
e un lavoro in Francia. avrebbe dovuto fare clamorose rivelazioni a dei giornali
di sinistra, dimostrando come i fascisti fossero implicati in una serie di attentati:
salvo poi ritrattare il tutto e permettere alla stampa di destra di montare
una grossa speculazione sui sistemi usati per incolpare i fascisti. La provocazione
di Fappani però non è riuscita.(63)
Chi è Serafino Di Luia
Serafino di Luia, 26 anni, numero due dopo Stefano Delle Chiaie
dello squadrismo neofascista romano, abbondantemente descritto nelle pagine
precedenti. Per sei mesi, tra l'autunno del '67 e la primaverà68 ha soggiornato
a Monaco di Baviera, nota centrale assieme a Francoforte del neonazismo tedesco.
Subito dopo, anche se in forma non ufficiale, ha partecipato con Mario Merlino
e gli altri fedelissimi dei colonnelli Greci al viaggio-premio ad Atene. Al
ritorno collabora al tentativo fallito di Mario Merlino di fondare il circolo
pseudoanarchico XXII Marzo. Organizza poi il nazi-maoista Movimento Studentesco
di Giurisprudenza che si trasforma, per maggiori esigenze mimetiche, in Movimento
Studentesco Operaio d'Avanguardia ed infine in Lotta di Popolo.
Si trasferisce a Milano ai primi del '69, abita in un abbaino sopra la sede
della CISNAL e fonda la sezione milanese di Lotta di Popolo, con sede in via
De Amicis. In aprile è a Monaco, negli stessi giorni in cui vi si trova
un amico dell'editore neo-nazista di Treviso Giovanni Ventura. Con Giorgio Chiesa
è a Rimini agli inizi dell'estate. Il 12 agosto, tre giorni dopo gli
attentati sui treni, viene segnalato a Parigi in compagnia di un altro fedelissimo
di Stefano Delle Chiaie, Saverio Ghiacci, spesso a Roma non vive in casa della
famiglia che abita ad Ostia ma in un piccolo appartamento al quarto piano di
via Tamagno 43 intestato al fascista Sandro Pisano.(64) Tra novembre e dicembre
'69, in questo appartamento, si è incontrato diverse volte con Mario
Merlino. Nello stesso periodo il fratello Bruno è segnalato tra i partecipanti
alla riunione promossa da Stefano Delle Chiaie in un'abitazione di Cinecittà.
Tema in discussione: la ricostituzione ufficiale di Avanguardia Nazionale in
previsione delle imminenti elezioni amministrative e regionali (tra i presenti:
Elio Quarino, Gianloreto De Amicis, Aldo Pennisi, Enrico e Gregorio Mauroenrico,
Alfredo Sestili, Lucio Aragona. Lorenzo Minissi e un certo Strippella).
Nel 1970 dopo le rivelazioni di Gian Luigi Fappani sui probabili autori degli
attentati ai treni, Di Luia fa perdere le proprie tracce. Ufficialmente è
ricercato dalla polizia, ma senza molto impegno.(65) In gennaio viene visto
a Roma. in una pizzeria di via del Lavatore, a due passi dal locale di via Dataria
che è frequentato dai fascisti greci.
Chi è Giancarlo Cartocci
Giancarlo Cartocci, 24 anni, ex studente di ragioneria. Nel
1966 passa dal MSI a Ordine Nuovo e diviene intimo amico di Mario Merlino (il
suo nome è nell'agendina persa dall'"anarchico" del 22 Marzo).
Dopo il viaggio in Grecia, aderisce al Movimento del 22 Marzo). Dopo il viaggio
in Grecia. aderisce al Movimento Studentesco di Giurisprudenza creato da Serafino
Di Luia e dai fascisti della facoltà di Legge. Con "smascheramento"
degli studenti nazi-maoisti, nel novembre
1969, Cartocci partecipa alla ricostituzione di Avanguardia Nazionale assieme
a Stefano Delle Chiaie, Bruno Di Luia, Adriano Tilgher, Sandro Pisano, Tonino
Fiore, Saverio Ghiacci, Marco Marchetti, Giuseppe Morbiato, Guido Paglia, Roberto
Palotto, Stelvio Valori, Francesco Mancini, Claudio Rossomariti, Cesare Perri,
Vito Pace, Nerio Leonori, Domenico Pilolli, Antonio Jezzi e altri. Contemporaneamente
Cartocci frequenta la sede romana di Ordine Nuovo in via degli Scipioni e diventa
l'uomo di fiducia di Mario Tedeschi, direttore del Borghese e fondatore dei
GAN, i Gruppi di Azione Nazionale. Cartocci provvede alla distribuzione tra
i fascisti romani dei fondi del Soccorso Tricolore. Come altri del suo gruppo
risulta essere in contatto con uomini del ministero degli Interni.
La notte degli attentati del 12 dicembre Giancarlo Cartocci viene fermato a
Roma dai carabinieri e messo in una stanza dove vi sono altre persone fermate
con lui. Ecco la testimonianza di una di esse: "Sono stato prelevato in
casa dai carabinieri, all'alba, e condotto al nucleo investigativo di San Lorenzo
in Lucina. Nella stanza trovai altre tre persone che attendevano di essere interrogate.
Due erano compagni D. e A., e uno un fascista, un tale Cartocci che conoscevo
come uno dei nazi-maoisti della facoltà di Legge. Aveva cercato di infiltrarsi
nel movimento studentesco ma era stato allontanato perchè, oltre tutto,
era nel gruppo fascista che nel febbraio '69 diede l'assalto con bombe carta
e molotov alla facoltà di Magistero occupata, provocando indirettamente
la morte di Domenico Congedo. Appena entrai mi chiese notizie di Mario Merlino
e io gli risposi che non ne sapevo nulla. Mi misi a parlare un po' con gli altri
compagni e lui si sdraiò su una panca. Dopo un po' entrarono quattro
capelloni tedeschi con gli zaini, accompagnati da alcuni carabinieri. Un capellone
ci si avvicina e ci squadra, poi va accanto al Cartocci che stava sdraiato con
gli occhi chiusi e comincia a guardarlo. Quindi fa un cenno a un carabiniere,
come di assenso. Il carabiniere si avvicina a Cartocci. lo scuote e lo fa alzare
in piedi. Il tedesco lo guarda ancora, gli gira intorno, poi ripete il cenno
di assenso. Poi escono tutti, capelloni e carabinieri". Quei "capelloni"
tedeschi probabilmente sono gli stessi che, come scrissero alcuni quotidiani
all'indomani degli attentati, avevano visto fuggire un giovane dal luogo della
seconda esplosione dell'Altare della Patria. Giancarlo Cartocci fu rilasciato
quasi subito.
Nel marzo di quest'anno un giornalista di un quotidiano di sinistra romano riceve
da una persona la notizia che due giorni prima si era tenuta in città
una riunione riservatissima tra i rappresentanti di diverse organizzazioni neofasciste.
I delegati. giunti da Torino, Pavia, Messina, Bari, Napoli e altre città
italiane, avevano discusso il piano per una serie di attentati da compiersi
in diverse zone nei mesi di aprile e maggio, prima delle elezioni amministrative
e regionali. Il giornalista non dà molto peso alla notizia sospettando
una provocazione e si limita a segnare su un taccuino i nomi delle uniche due
persone che il suo confidente era stato capace di segnalargli. Dopo una settimana
cominciano gli attentati: a Torino, Pavia, Nervi, in Valtellina e a Roma, in
un laboratorio militare. I due nomi segnati sul taccuino del giornalista sono
quelli di Giancarlo Cartocci, via dei Campani 14, Roma, e di Pino Tosca, via
Cumiana, Torino.
Nel mese di maggio del '70 Cartocci si è incontrato più volte
con Serafino di Luia a Roma.
Chi è Antonio Sottosanti
Antonio Sottosanti, detto Nino il fascista, 42 anni, indicato
come uno dei sosia di Pietro Valpreda, tanto somigliante all'anarchico che il
supertestimonio Cornelio Rolandi, davanti a una sua fotografia esclama che "è
il Valpreda ritoccato". Nato da genitori siciliani a Verpogliano, Gorizia.
Il padre fu ucciso nel 1930 e del delitto, rimasto impunito, furono imputati
gli antifascisti slavi. Come figlio di un martire Sottosanti ha studiato a spese
del regime.
Dopo il 1945 fa diversi mestieri, anche la comparsa cinematografica. Si sposa
nel 1956, ha una figlia. Fugge a Marsiglia ed entra nella Legione Straniera,
dove rimane cinque anni. Risiede per un pò di tempo a Francoforte, finchè
nel 1966, arriva a Milano. Lavora come portiere di notte. Torna all'estero,
in Olanda, e poi di nuovo a Milano. Parla bene il francese e il tedesco, ha
una discreta istruzione, riesce a esercitare una certa influenza soprattutto
tra i giovani. A Milano diventa un militante del movimento di Pacciardi Nuova
Repubblica, con sede in Via San Maurilio, e ne diventa il segretario per un
breve periodo. Con Randolfo Pacciardi vanta buoni rapporti personali e propone
varie volte all'ex partigiano medaglia d'oro Giovanni Pesce di incontrarsi con
lui (ritenterà le avances anche dopo la sua "conversione" politica).
Dopo gli attentati del 25 aprile 1969 a Milano, (incidentalmente, lavorava alla
fiera campionaria) Sottosanti comincia a frequentare gli anarchici. La sua entratura
politica è costituita dall'alibi che egli ha fornito al giovane anarchico
Tito Pulsinelli, accusato di avere abbandonato un pacco contenente esplosivo
in una strada di Porta Magenta. Gli anarchici milanesi lo conoscono come Nino
il fascista ma lo accettano in parte per l'aiuto che egli ha fornito al loro
compagno incarcerato, in parte perchè apprezzano il fatto che Sottosanti
non nega affatto il suo passato politico: "solo che aggiunge adesso sono
diventato anarchico"
Nell'estate '69 continua a essere in stretto contatto con gli ambienti del neosquadrismo
milanese. Quando ha soldi dorme alla pensione Sicilia di via San Maurilio, è
amico di Giorgio Chiesa e di Serafino Di Luia. In luglio si fa vedere in giro
con il già citato Ercolino, e dice che stanno organizzando gruppi per
"provocare disordine e quindi un nuovo ordine". Il 6 agosto parte
per Rimini, dove partecipa a una riunione di fascisti (avvenuta alla vigilia
degli attentati sui treni), ma agli anarchici dice di essere andato in un altro
posto. Nello stesso periodo viene notato a frequentare l'albergo Lord di via
Spadari, luogo di ritrovo di fascisti italiani e greci.
In ottobre si trasferisce in Sicilia, a Piazza Armerina. e torna a Milano solo
il 2 novembre perchè deve essere interrogato dal giudice Antonio Amati
sull'alibi che egli ha fornito a Tito Pulsinelli. Per diciassette giorni vive
in casa dei genitori dell'anarchico, ma non esce mai di casa, passa le giornate
sul letto a leggere e fumare. L'unica cosa che sembra interessarlo è
riuscire a mettersi in contatto con Giuseppe Pinelli, che ha conosciuto nei
mesi precedenti perchè riceveva da lui i fondi del soccorso Crocenera
da inviare a Tito Pulsinelli e agli anarchici che erano in carcere.
Verso mezzogiorno del 12 dicembre va a casa di Giuseppe Pinelli, pranza con
lui e riceve un assegno di 15.000 lire per Pulsinelli, assegno che costituirà
il suo alibi per il pomeriggio della strage. Alle 14.30 i due vanno al bar di
via Morgantini a bere un caffè e poi alla fermata del tram dove, alle
15,05 (versione Sottosanti) si lasciano. Mentre Pinelli torna al bar, Sottosanti
si reca alla Banca del Monte di via Pisanello a incassare l'assegno, quindi
prende un altro tram per la piazza delle Ferrovie Nord e lì l'autobus
per Pero dove vivono i genitori di Pulsinelli e dove lui arriva verso le 16,20
(teoricamente avrebbe avuto tutto il tempo di collocare l'ordigno alla banca
di Piazza Fontana). Riparte per Piazza Armerina la sera di domenica 14 dicembre.
Di questa sua permanenza a Milano vengono informate pochissime persone: gli
anarchici non parlano perchè pensano che lui non debba avere grane con
la polizia per non compromettere l'alibi fornito a Tito Pulsinelli. Sottosanti
viene interrogato solo il 13 gennaio, quando il capo dell'ufficio politico milanese
lo va a cercare in Sicilia. Ili giudice istruttore Ernesto Cudillo lo convoca
in seguito per due volte a Roma. Il giorno della sua seconda convocazione un
giornale radio del pomeriggio trasmette la notizia che egli è stato arrestato
come uno dei responsabili della strage di Milano. La notizia però scompare
dalle successive trasmissioni. In quello stesso periodo il commissario Allegra
riesce a far circolare fra giornalisti e avvocati la voce secondo cui Nino Sottosanti
deve essere collegato a Giuseppe Pinelli (anzi: è stato Pinelli che dato
la valigetta al tritolo a Sottosanti, quel venerdì a mezzogiorno in casa
sua... Poi sono usciti assieme, Pinelli è andato al bar e Sottosanti
in piazza Fontana. Ecco quindi perchè Pinelli si è ucciso...).
Invece delle "indiscrezioni" messe in giro dal capo della squadra
politica milanese, vale la pena sottolineare qui alcune contraddizioni e particolari
strani che circondano la figura di Sottosanti e il ruolo che egli può
aver svolto.
1) Nino Sottosanti non viene immediatamente fermato dopo le bombe del 12, malgrado
le retate siano state pesanti: eppure la polizia sapeva benissimo che egli si
trova in quei giorni a Milano e anzi risulta che egli fosse costantemente seguito;
2) la polizia inoltre era al corrente che Sottosanti era stato in casa Pinelli
venerdì 12 e che aveva ricevuto l'assegno dell'anarchico, come risultava
dalla matrice del blocchetto degli assegni di Pino; poteva quindi trattarsi
di un indizio molto comodo per coinvolgere assieme agli anarchici un ex fascista
come Sottosanti, alla luce della manovra attuata da tempo contro "gli opposti
estremismi" di destra e di sinistra, che coincidono;
3) invece si aspetta ad interrogare Sottosanti sino al 13 gennaio, quando il
commissario Antonino Allegra va a cercarlo in Sicilia. Non si sa bene se questa
sia stata una sua iniziativa personale ma è certo che Allegra in quell'occasione
viene accompagnato dal brigadiere Vito Panessa, il fedelissimo del commissario
Calabresi, il quale di fatto sembra condurre l'interrogatorio. Dopo la convocazione
del magistrato a Roma, su Nino Sottosanti è calato un sipario di silenzio,
Perchè?
Fascisti italiani e greci
Verso le 19,30 di venerdì 12 dicembre, tre ore dopo
la strage di piazza Fontana. davanti alla vetrina di un negozio di arredamento
in corso di Porta Vittoria a Milano, un gruppo di persone discute animatamente.
L'argomento che ricorre più di sovente è quello di un "pagamento
in banca" che, a dire di alcuni, "non doveva essere fatto". Sono
dei fascisti di Modena. Uno di loro è Pietro Cerullo. consigliere comunale
del MSI e presidente nazionale del FUAN-Caravella, l'organizzazione universitaria
missina. Un altro si chiama Gianni Cavazzuti. I rimanenti cinque non sono molto
noti. Sono partiti tutti da Modena per Milano quella mattina a bordo di due
auto. una Giulia e una "1100". Vi fanno ritorno verso le tre di notte,
e si fermano al bar Nuovo Fiore.
Modena è, dopo Napoli, la città che rappresenta uno dei maggiori
punti di forza dell'ESESI (Etnikòs Syndesmos Ellinon Spudastòn
Italias), la lega degli studenti greci fascisti in Italia. A Modena risiede
anche il sedicente studente universitario Andrea Kalisperakis, uno dei fondatori
dell'ESESI e agente di Costantino Plevris l'uomo dei servizio segreto greco
KYP (Kratikè Yperesia Pleforion) che ha l'incarico di occuparsi della
cosiddetta "questione italiana".
Il missino Pietro Cerullo è uno dei più importanti intermediari
tra i fascisti italiani e greci, così Come lo è il giornalista
Pino Rauti del Tempo di Roma. Nel mese di maggio 1969 Cerullo ha partecipato
a Napoli al congresso nazionale dell'ESESI, al quale ha portato il saluto ufficiale
dei giovani del MSI (che concludeva così: "Reazione e movimento
sì! Rivoluzione sì! Però con contenuti ed ideali! La Grecia
diventi nuovamente, ancora per una volta, l'Acropoli della vittoria dei nuovi
valori spirituali e ideali!"). Successivamente, e sempre a Napoli, Pietro
Cerullo ha partecipato ad una serie di riunioni molto riservate che si sono
svolte in uno stabile di proprietà della Confraternita greco-ortodossa,
di via San Tommaso d'Aquino n. 36.
L'ESESI
L'ESESI è stata fondata nell'aprile 1967, all'indomani dei colpo di stato
dei colonnelli. Il 22 giugno si è svolto a Roma, nell'aula magna del
Civis, messa a disposizione dal Ministero degli Esteri italiano, il suo primo
congresso con i rappresentanti di dodici sedi universitarie. Erano presenti
il console Miltiadis Mutsios, il generale di brigata Koliopulos e i colonnelli
Iliadis, Arvantis, Raissis, Paleologos e Tsadiles, del corpo di spedizione greco
della NATO di stanza a Bagnoli, presso Napoli. Per decisione del primo ministro
Papadopoulos (l'uomo che Andrea Papandreu ha definito "il primo agente
della CIA che sia arrivato ad occupare un posto di primo ministro"). La
lega italiana, come del resto tutte le altre leghe di studenti greci all'estero,
sino a quel momento di competenza dei ministero della Previdenza di Atene, è
stata posta sotto il diretto controllo del KYP, il servizio segreto dei colonnelli.
Presidente dell'ESESI fu eletto Liakos Kristòs, studente quarantenne
della facoltà di Medicina dell'università di Roma. La direzione
politica effettiva è stata però affidata a un agente del KYP già
segnalatosi nella fase preparatoria del colpo di stato, tale Lazaris, improvvisamente
richiamato in Grecia qualche mese fa.
All'atto della costituzione, l'ESESI poteva contare su nemmeno un centinaio
di aderenti, in maggioranza figli di militari e di ricchi professionisti ateniesi,
sul totale di circa 2.500 studenti greci in Italia. In tre anni la lega ha portato
i suoi aderenti a 600, e ha aperto sedi in diciotto città italiane.
Secondo il suo statuto, le finalità dell'ESESI sono:
"1) coordinamento dell'azione nazionale degli studenti
greci;
2) vigilanza morale sul credo nazionale degli studenti greci in Italia;
3) vigilanza e difesa dei valori più genuini della civiltà greco-cristiana,
a carattere pan-universale: Religione, Patria, Famiglia;
4) lotta decisa contro tutti gli avversari della Grecia Eterna: come Spirito,
come Nazione, come Stato totalitario (sic!);
5) attività propagandistica, in collaborazione con le autorità
di Atene, presso l'opinione pubblica italiana e europea".
Nell'organico dell'ESESI, oltre che studenti fascisti, sono
stati introdotti anche un centinaio di ufficiali e agenti del KYP che si sono
iscritti agli ultimi anni di corso in varie facoltà, soprattutto a Napoli,
Roma, Bologna, Modena e Milano. E' gente sui trenta anni, che lavora a tempo
pieno: tiene d'occhio gli antifascisti greci in esilio, fotografa i partecipanti
alle manifestazioni antimperialiste, assiste a conferenze e dibattiti, raccoglie
ogni specie di informazione sull'attività dei cittadini greci in Italia,
spesso con l'aiuto degli uffici politici delle nostre questure (nel luglio 1969
il settimanale ABC ha rivelato che questi professionisti avevano ottenuto libero
accesso allo schedario politico della questura napoletana, e non è mai
stato smentito).
Quando uno studente greco arriva in Italia, l'ESESI procede in questo modo:
primo, aiuti pratici (indicazioni di alloggi e ristoranti a buon mercato, ecc.);
secondo. sondaggio politico. Se lo studente è entusiasta del regime dei
colonnelli o almeno favorevole, viene subito iscritto. Se è contrario,
viene sottoposto a un periodo di indottrinamento e persuasione. Se rifiuta,
o se il periodo non serve a nulla, viene segnalato al viceconsole greco di Napoli,
Hercole Aghiovlasitis, che si occupa del censimento dettagliato di tutti gli
studenti e manda aggiornati rapporti a Atene. Qui i provvedimenti sono vari:
limitazione del visto, interruzione della proroga del servizio militare, proibizione
di ricevere denaro da casa, pressioni sui familiari fino al ritiro del passaporto
e quindi al rimpatrio coatto.
L'arma più efficace di ricatto resta comunque quella di minacciare rappresaglie
sui familiari degli studenti. Con questi sistemi negli ultimi due anni 10 studenti
sono stati rimpatriati a forza, e i loro compagni di corso non ne hanno avuto
più notizia. Inoltre sono avvenuti casi di sparizioni improvvise e misteriose:
sette nel solo 1969 (tre a Napoli, due a Roma. uno a Bologna e uno a Milano).
Gli agenti dei colonnelli in Italia
L'attività dell'ESESI è anche più intensa
sul piano politico. In tre successivi congressi tenuti a Napoli nel gennaio
'68 e nel gennaio e maggio '69, è stata fondata la Confederazione Europea
delle Leghe degli studenti greci. L'archimandrita Ghenadios Zervòs ha
benedetto i partecipanti. Nuovo presidente è stato eletto Spiros Stathopulos,
agente del KYP iscritto all'università di Napoli.
I legami tra l'ESESI e la sede del KYP ad Atene sono diventati sempre più
stretti. Al KYP confluiscono ormai non solo le
informazioni relative agli studenti greci ma anche a individui e associazioni
di sinistra italiani. Tali informazioni vengono fornite
da spie che si infiltrano in vario modo o si fanno passare per progressisti
(come è accaduto per il falso membro del partito
comunista greco in esilio Teodoro Allonisiotis. smascherato a Modena grazie
a una lettera riservata che aveva smarrito, e per un altro falso antifascista,
Demetrio Papanicol, che ha dovuto rifugiarsi nell'ambasciata greca di Roma).
Questo spiega perché
studenti italiani siano stati respinti talvolta alle frontiere greche in quanto
"noti sovversivi", e spiega anche come mai
l'ambasciata americana in Italia rifiuti il visto d'ingresso negli Stati Uniti
a persone che, pur non risultando sospette agli uffici
politici delle questure, avvicinate da falsi antifascisti greci si erano dichiarate
disposte a collaborare. La sezione D della CIA, che si occupa dei movimenti
della sinistra extraparlamentare europea, collabora attivamente con il KYP greco
in questa attività che le permette di arricchire e integrare il suo schedario
comprendente oltre 30.000 nomi di "segnalati" e denominato "archivio
M".
La direzione centrale dell'ESESI si è trasferita nel gennaio dei '68
da Roma a Napoli, dove ha trovato un efficace punto
d'appoggio nel corpo di spedizione greco della NATO e nella Confraternita greco-ortodossa.
Il vero cervello operativo rimane
comunque ad Atene, nella sede del KYP nei pressi di via Baboulinas dove ha il
suo ufficio Costanino Plevris. I suoi più abili
fiduciari in Italia sono Demostene Papas (segretario della Confraternita napoletana
che mantiene contatti con la Curia e con il
Vaticano, è l'"ispiratore politico" dei rapporti tra gli ufficiali
greci della NATO e gli ufficiali italiani e ha ottimi rapporti
personali con funzionari del consolato di Napoli e dell'ambasciata di Roma degli
Stati Uniti); Spyridon Papavassilopulos, l'addetto commerciale greco a Milano
incaricato dei finanziamenti (ufficio in via Pirelli 24, abitazione in via Cucchiari
1), e Anassis Janapulos.
Janapulos, che riceve le lettere dei suoi informatori alla casella 213 della
posta centrale di Atene, ha un appartamento nel centro di Napoli ma viaggia
continuamente per l'Italia, mantenendo e migliorando i rapporti con gli ambienti
dell'estrema destra,
nei quali mantiene viva la simpatia per la causa della "Grecia Nazionale".
E' amico di Giulio Caradonna, Luigi Turchi, Nardo di
Nardo; di Alberto Rossi detto il Bava, capo dell'organizzazione squadristica
Volontari Nazionali del MSI, di Massimo Anderson e di Junio Valerio Borghese,
presidente dei Fronte Nazionale. Inoltre vanta buone conoscenze in ambienti
industriali, militari e giornalistici, e con alcuni autorevoli rappresentanti
della massoneria di piazza dei Gesù.
Fin dal 1968 alcuni studenti dell'ESESI si sono presentati candidati nelle liste
del FUAN-Caravella alle lezioni universitarie.
Nel corso del 1969, e soprattutto nella seconda metà dell'anno (dopo
che il ministero degli Interni italiano ha autorizzato
ufficialmente la costituzione dell'ESESI, considerando questa lunga mano operativa
di uno stato fascista come una qualsiasi
associazione culturale di residenti stranieri), l'ESESI ha intensificato la
sua attività. Oltre ai due congressi ufficiali, in tutte le sue
sedi si sono tenute molte riunioni. Tre di queste, a carattere riservatissimo,
si sono svolte in luglio-settembre e novembre nella
sede della Confraternita greco-ortodossa di Napoli, presenti alcuni ufficiali
greci della NATO; altre due, in ottobre e novembre,
nella sede della lega di Modena, in via Faloppia, 14. Sempre in ottobre e novembre
il presidente dell'ESESI Spiros Stathopulos, ha partecipato ad altre due riunioni
segrete nell'abitazione di un ufficiale greco della NATO, in via Manzoni a Napoli.
Erano presenti il funzionario dei consolato Michele Upessios, Anassis Janapulos,
un altro greco di nome Savvas,(66) un deputato del MSI e un esponente dei Fronte
Nazionale di Junio Valerio Borghese.
Contemporaneamente, nell'autunno 1969, l'ESESI ha intensificato le provocazioni
contro gli studenti greci antifascisti. In tutte
le sedi universitarie sono apparse scritte inneggianti al regime dei colonnelli.
Incidenti sono scoppiati a Bari, a Bologna, Ferrara (dove il FUAN-Caravella
ha diffuso un volantino con lo slogan "Ieri in Grecia, oggi in Italia"),
Messina, Palermo e Pisa.
A Pisa la spedizione punitiva organizzata il 21 ottobre dai membri dell'ESESI
provenienti da diverse città (Costantino Recutis
guidava quelli di Napoli e Nicolas Spanos quelli di Bologna), appoggiati dai
gruppi FUAN-Caravella, dai Volontari del MSI e dagli squadristi romani di Ordine
Nuovo e Avanguardia Nazionale, contro un'assemblea dell'Associazione Studenti
Ellenici, ha
provocato diversi feriti. Nei giorni successivi la città è stata
teatro di violenti scontri tra la polizia e gli studenti di sinistra che,
appoggiati dalla popolazione, avevano cercato di assalire la sede dei MSI. Il
26 ottobre è morto lo studente Cesare Pardini,
colpito. all'altezza dei cuore da un lacrimogeno sparato da un poliziotto.
Costantino Plevris, incaricato della "questione italiana"
L'uomo che a Atene si occupa dell'ESESI e della "questione
italiana" è Costantino Plevris. Intellettuale, fa il giornalista
e lo
scrittore. E' autore di due libri, l'Antidemocratico e Politica e propaganda,
che sorreggono l'ideologia nazionalista, razzista e
anticulturale dei colonnelli. Politica e propaganda è stato adottato
come libro di testo nelle scuole allievi ufficiali della polizia e
dell'esercito.
Plevris è un agente del KYP, il servizio segreto greco, filiazione diretta
della CIA americana. Gli Stati Uniti hanno speso più
di mezzo miliardo di dollari per dotare la Grecia di un apparato poliziesco
adatto e il KYP, che ha sede a Atene nei pressi di via Baboulinas, è
la punta di diamante di questo apparato.
Costantino Plevris è stato uno degli ideatori di quella "strategia
della tensione" che si concretò, specialmente ad Atene, in
una serie di attentati dinamitardi destinati, come in effetti avvenne, a creare
l'atmosfera più favorevole per il colpo di stato dei
colonnelli del 21 aprile 1967. Egli stesso ha partecipato materialmente a uno
degli attentati, quello che devastò la redazione del
giornale conservatore Elèftheros Kòsmos.
A Costantino Plevris è stato affidato l'incarico di occuparsi della "questione
italiana" per questa sua esperienza e perché è
l'uomo di fiducia del colonnello Giorgio Ladas, comandante della polizia militare
greca che fu una carta determinante per il
putsch dei 21 aprile (Ladas è stato l'interlocutore del "signor
P." il fiduciario italiano dei colonnelli: lo cita a questo proposito
il rapporto segreto inviato dal capo dell'ufficio diplomatico del ministero
degli Esteri greco all'ambasciatore di Atene a Roma, e
pubblicato dal settimanale inglese The Observer).(67) Costantino Plevris, appena
ricevuto l'incarico, ha preso contatto con due colonnelli greci della base NATO
di Napoli, Paleologos e Tsadiles e con il console Mittiodis. In giugno ha promosso
la costituzione dell'ESESI.
Nel 1969 ha fatto frequenti viaggi in Italia e in varie capitali europee, ufficialmente
per accertarsi delle condizioni degli studenti greci all'estero, in realtà
per creare una rete sempre più stretta di rapporti con organizzatori
di estrema destra. In Francia con Ordre Nouveau, Occident e Jeunnesse de la
nuit. In Austria con Ventesimo Gruppo, in Germania occidentale con Nazione Europea
e in Belgio con Jeune Europe e con i Comitati della Gioventù Anticomunista.
In Italia i legami più stretti di Plevris sono con Ordine Nuovo di Pino
Rauti, Europa Civiltà di Loris Facchinetti,(68) con i GAN (Gruppi di
Azione Nazionale) di Mario Tedeschi, direttore del settimanale Il Borghese,
e con il Fronie Nazionale di Junio Valerio Borghese.
Costantino Plevris in Italia prima delle bombe
Mercoledì 17 dicembre 1969, cinque giorni dopo la strage
di piazza Fontana, una persona riesce ad incontrare Costantino Plevris a Atene,
qualificandosi come fotoreporter dei settimanale fascista di Roma Lo Specchio.
L'incontro avviene nella sede del movimento neonazista greco "4 Agosto",
nello stesso luogo dove Plevris ha ricevuto Mario Merlino e gli altri fascisti
italiani che nella primaverà68 hanno partecipato al viaggio-premio offerto
dall'ESESI e organizzato da Stefano Delle Chiaie e dal giornalista Pino Rauti.
Al colloquio tra Plevris e il finto giornalista fascista partecipano due studenti
greci che parlano correttamente italiano. Uno
di essi, che mostra una conoscenza approfondita della situazione politica italiana,
si chiama Andrea (probabilmente è Andrea Kalisperakis, uno dei fondatori
dell'ESESI, studente iscritto alla università di Modena, alle dirette
dipendenze dell'agente del KYP Anassis Janopoulos, per conto del quale fa frequenti
viaggi a Roma e a Napoli).
Una volta verificate le credenziali del "camerata" italiano, che appaiono
in perfetta regola, il colloquio assume un tono quasi confidenziale. Si parla
prima della Grecia. Plevris dice che il regime dei colonnelli "è
troppo moderato, ha tradito le promesse iniziali". La colpa, aggiunge,
è del primo ministro Giorgio Papadopoulos, "un vero pagliaccio".
Poi il discorso si sposta sulla situazione italiana. Plevris chiede quale è
il giudizio dell'uomo della strada sui partiti, sulle lotte sindacali, sul movimento
studentesco. In particolare vuole sapere come ha reagito l'opinione pubblica
agli attentati avvenuti cinque giorni prima. Il "camerata" dello Specchio
gli risponde che non è in grado di dargli notizie aggiornate perchè,
manca da un mese dall'Italia, per motivi di lavoro. Plevris gli chiede se conosce
Pino Rauti. Naturalmente, risponde il fotoreporter, è un collega, un
redattore del Tempo. "Cosa ne pensa di lui?" insiste Plevris. L'altro,
che non si aspettava una domanda del genere, si limita a dire che considera
Rauti "un sincero anticomunista". Plevris è soddisfatto, spiega
che lui e Rauti sono molto amici, che si scambiano spesso visita e anzi, lo
ha visto proprio di recente. "Quando" chiede il fotoreporter. "Ai
primi di dicembre, a Roma, insieme con la giornalista Gianna Preda, redattore
capo del Borghese.
Vista la franchezza, il "camerata" italiano si fa coraggio e pone
domande più precise sui rapporti di Plevris con Pino Rauti e altri giornalisti
italiani. Ma Plevris diventa immediatamente evasivo, lascia cadere immediatamente
il discorso. Si alza, prende il telefono e parla nervosamente con qualcuno,
in greco. Subito dopo dice di avere un impegno urgente e che semmai la chiaccherata
può continuare il giorno dopo, alla stessa ora e sempre nella sede del
movimento "4 Agosto".
Col fotoreporter escono anche i due studenti. Sulla strada Andrea gli dice che
potrebbero rivedersi a Roma verso i primi di gennaio, che lui lo si può
trovare nella sede di Ordine Nuovo.
L'indomani "il camerata" si guarda bene dal tornare al movimento "4
Agosto". Due giorni dopo viene espulso dalla Grecia, senza alcuna motivazione.
Anche la Resistenza greca ha segnalato la presenza di Costantino Plevris in
Italia: ai primi di dicembre, oltre che a Roma, è stato a Milano.
Junio Valerio Borghese e il Fronte Nazionale
Neofascisti, vecchi fascisti, paracadutisti, ex repubblichini,
destra parlamentare e extraparlamentare, campeggi paramilitari, squadre d'azione,
attentati, complotti in Valtellina, armi, finanziamenti industriali, rapporti
con le forze armate, coi servizi segreti italiani e stranieri, coi fascisti
greci, riunioni riservate alla vigilia delle bombe del 12 dicembre, un uomo
che scompare qualche giorno dopo (Armando Calzolari).
Se c'è una persona in Italia che, silenziosa, spettrale, muovendosi discretamente
dietro le quinte, sembra tenere in mano i fili della complessa ragnatela che
collega i vari punti di forza e d'azione della destra, questa persona è
Junio Valerio Borghese, il principe nero, presidente dei Fronte Nazionale.
Ha 63 anni, è pluridecorato per le azioni svolte contro la flotta inglese
ad Alessandria, Malta e Gibilterra durante l'ultima guerra, nei diciotto mesi
della Repubblica Sociale è stato il comandante della Decima Mas (rastrellamenti,
massacri di partigiani e popolazione civile, fianco a fianco delle SS: 800 omicidi,
secondo la sentenza pronunciata nel 1949 dalla Corte Speciale d'Assise), condannato
come criminale di guerra nel 1946, rimesso in libertà dall'amnistia il
18 febbraio 1949.
Uno dei primi presidenti onorari del MSI. Al tempo della crisi di Trieste radunò
un migliaio dei suoi ex marò nei pressi di
Treviso, armati e pronti a marciare per l'"azione fiumana". Borghese
ha sempre cercato di dimostrare che i suoi rapporti con il
Movimento Sociale erano autonomi anche se, nella campagna elettorale del 1958,
quando la FNCRSI (Federazione Nazionale
Combattenti Repubblica Sociale Italiana) invitò i suoi aderenti a votare
scheda bianca per la polemica contro il MSI che giudicava "borghese e reazionario",
egli accorse in aiuto di Arturo Michelini fondando la UNCRSI (Unione Nazionale
Combattenti Repubblica Sociale Italiana), su posizioni ortodosse rispetto al
partito.
Nel 1967 Junio Valerio Borghese ha fondato il Fronte Nazionale con i soci del
Circolo dei Selvatici (Roma, via dell'Anima
55) . Il circolo era stato sino ad allora la copertura culturale del Fronte
Grigioverde, una associazione che comprendeva, come
ancora oggi il Fronte Nazionale, ex ufficiali della Decima Mas, della Monterosa
e della Etnea, più altri, in pensione e in servizio,
di armi e corpi diversi.
Il programma politico del Fronte Nazionale: "I partiti non devono più
essere protagonisti attivi della vita politica, essi vanno
esclusi da ogni partecipazione di governo". "Costituzione di uno Stato
forte... libertà dei cittadini intesa come osservanza
assoluta e immediata delle leggi... critica concessa se qualificata ed espressa
nel quadro degli interessi nazionali". "Assemblea
legislativa nazionale formata dai rappresentanti di categoria... nonché
da cittadini chiamati a tale funzione per meriti eccezionali".
Valerio Borghese non ama la propaganda politica esplicita e ha sempre cercato
di crearsi una fama di uomo al di sopra della
mischia, evitando la grossolana apologia del fascismo e di rimanere invischiato
nelle beghe che tradizionalmente dilaniano il MSI
e i vari gruppi della estrema destra. Questa riservatezza del "principe
nero" ha degli scopi ben precisi. Ad essa si adeguano
anche i principali sostenitori del Fronte Nazionale, molti dei quali non sono
neppure conosciuti.
Tra quelli noti ci sono Benito Guadagni, industriale, ex repubblichino, segretario
del Fronte Nazionale e finanziatore del bollettino interno che, in dicembre,
qualche giorno dopo gli attentati, ha litigato violentemente con Borghese, e,
almeno
ufficialmente, ha abbandonato l'associazione facendo cessare la pubblicazione
del bollettino; l'aiutante di campo di Borghese,
Arillo, il comandante Bianchini e il vice comandante Santino Viaggio (i due
che avvicinarono Evelino Loi proponendogli di
compiere delle "azioni"). Nella seconda metà di dicembre anche
Viaggio ha abbandonato il Fronte Nazionale, o almeno così ha
dichiarato. Poi c'è il comandante Marzi, ex repubblichino residente a
Milano: l'11 dicembre è andato a Roma e c'è rimasto sino
alla sera del giorno dopo. E c'era, infine, anche Armando Calzolari, l'uomo
scomparso la mattina di Natale e ritrovato un mese
dopo, cadavere, in fondo a un pozzo della periferia romana.
Rapporti con industriali e forze armate
Junio Valerio Borghese è proprietario di una tenuta in Calabria. di un
castello a Artena, nel Lazio, di una villa a Nettuno e di
alcuni immobili a Roma, oltre che di una famosa collezione di quadri. Ma non
risulta che egli attinga al suo patrimonio, peraltro
non solidissimo. per finanziare il Fronte Nazionale. In compenso ha rapporti
motto stretti con alcuni grossi nomi della finanza e
dell'industria americana e inglese e, in Italia, con ambienti industriali di
Milano, Genova, La Spezia, Livorno e, tramite il principe
Filippo Orsini, ex assistente al soglio pontificio, con il Vaticano.
Tra la fine dei '68 e la primavera-estate '69 ha compiuto un lungo giro nelle
città italiane. A La Spezia ha preso contatti con
alcuni esponenti dell'Unione Industriale, come anche a Milano. Il 12 aprile
'69 a Genova, ha tenuto una riunione alla quale hanno preso parte i figli di
un grosso armatore, un dirigente dell'IMI, tale Fedelini, e altri esponenti
dell'industria. Ai primi di maggio, seconda riunione genovese (Borghese alloggia
al Jolly Hotel assieme alla sua guardia del corpo composta da quattro fedelissimi)
e il 9 giugno la terza. Questa volta sono presenti anche l'armatore Roberto
Cao di San Marco e un importante petroliere della Val Polcevera. Qualcosa comunque
non deve aver funzionato nel corso di questo "raid" perché
di recente alcuni industriali di La Spezia hanno denunciato per truffa (sembra
di 50 milioni) due esponenti del Fronte Nazionale.
Junio Valerio Borghese è riuscito ad allacciare buoni rapporti con le
forze armate, in questo favorito dalla sua fama di "valoroso" ex combattente.
Vi sono almeno due episodi che testimoniano della popolarità che gode
tra i soldati. Il 26 settembre
1966, a una manifestazione del Comitato Tricolore indetta a Roma dal MSI e dalla
Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi;
Borghese pronunciò un discorso per denunciare "il tradimento del
governo sulla questione dell'Alto Adige", ricevendo un
entusiastico consenso non solo dai dirigenti delle associazioni combattentistiche
ma anche da parte dei molti ufficiali in servizio
che erano presenti. Il 23 ottobre 1969, alla celebrazione della battaglia di,
El Alamein, in piazza Venezia a Roma, è stato letto un messaggio di Borghese
tra i grandi applausi non solo degli ex paracadutisti ma anche di numerosi alti
ufficiali della Repubblica Italiana.
Inoltre Borghese ha collegamenti con l'AUCA (Associazione Ufficiali Combattentistici
Attivi, denunciata nel luglio '69 dal
sindaco di Bologna per un documento che incitava al colpo di stato militare,
rivolgendosi anche a "chi ha militato nel campo
opposto") e con elementi della Comunità dei Ragazzi del 3° Corso
di Modena, un'altra associazione di militari in servizio.
Quando manca il contatto diretto, viene usato questo sistema per stabilire legami
con gli ufficiali: i sottufficiali reclutati dal
Fronte Nazionale segnalano, con rapporti periodici, tutti quegli elementi -
discorsi, letture, telefonate, ecc. - utili a stabilire la
predisposizione "sicuramente anticomunista" del possibile candidato.
Se il soggetto alla fine è giudicato idoneo, viene avvicinato
da un aderente al Fronte Nazionale che sia suo pari grado.
Uno dei punti di maggior forza di Valerio Borghese resta naturalmente la Marina.
A La Spezia, dove egli è particolarmente
introdotto, esiste una grossa officina di riparazione dei carri armati. I carri
guasti in giacenza sono molti e tutti forniti di regolare "bassa",
ma sembra che per la maggior parte sarebbe sufficiente la rapida sostituzione
di qualche pezzo e sarebbero in grado di
funzionare.
Nonostante l'apparente distacco, il Fronte Nazionale è strettamente collegato
a quasi tutte le forze di estrema destra, a partire dal MSI. Borghese infatti
è uno dei finanziatori del suo organo ufficiale Il Secolo d'Italia, ed
è legato personalmente ad alcuni deputati come Luigi Turchi (figlio di
Franz, direttore della Piazza d'Italia, grande elettore del presidente Nixon
in favore del quale ha compiuto un viaggio di propaganda tra gli immigrati italiani
negli Stati Uniti) e Giulio Caradonna, organizzatore dello squadrismo romano.
Turchi e Caradonna sono tra gli uomini di fiducia dei colonnelli greci, così
come lo è lo stesso Borghese che risulta abbia rapporti con Costantino
Plevris. l'uomo del KYP incaricato della "questione italiana".
Oltre all'aspetto "aristocratico" della sua figura, che gli permette
di stabilire di stabilire contatti a alto livello, Borghese
utilizza anche la fama di uomo d'azione per riscuotere la fiducia di tutti i
gruppi di estrema destra extra-parlamentare. Il gioco gli è quasi riuscito,
specie con Ordine Nuovo di Pino Rauti; il giornalista amico di Costantino Plevris
che è stato indicato come il "signor P." citato nel rapporto
inviato dal ministero degli Esteri greco al suo ambasciatore a Roma. Buoni rapporti
anche con Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie i cui aderenti hanno
frequentato per molto tempo il Circolo dei Selvatici di via dell'Anima.