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La strategia della tensione -- Il luglio '69 - La scissione socialista e la nascita dei PSU - "La strategia della tensione" - I fascisti strumenti - Chi li paga - Un bilancio positivo.
Premessa
Dalla strategia della tensione agli opposti estremismi; dall'attacco
per spezzare l'ascesa operaia alla ricerca di una ristabilizzazione a destra
dell'asse politico del Paese. Questa è la svolta realizzatasi dopo le
dimissioni del governo Rumor, nell'estate del 1970. I protagonisti, anche se
recitano su copioni diversi, sono gli stessi: i fascisti, i socialdemocratici,
la destra democristiana. Diversa, anche se sempre inadeguata alle reali esigenze
della situazione, la parte recitata dalla sinistra tradizionale: al culmine
del movimento di lotte studentesche, operaie, dei più diversi settori
della società italiana, c'è il rifiuto di una strategia, di una
volontà rivoluzionaria capace di spostare il movimento sul terreno del
potere; e quindi la condanna del movimento. Nel pieno della controffensiva padronale
e governativa, c'è la ricerca di un generico accordo "antifascista"
con forze borghesi, corresponsabili della ripresa del fascismo; c'è l'offerta
della propria consulenza, spesso complicità, per riparare le falle della
barca nazionale capitalista.
Intanto i fascisti guadagnano spazio. A Reggio Calabria riescono per la prima
volta nel dopoguerra a strumentalizzare un movimento di massa di ampie dimensioni.
È questo test che prova loro la possibilità di inserirsi tra lo
scontento provocato dalla politica per il Mezzogiorno e l'inettitudine della
sinistra tradizionale. Qualche assaggio in Abruzzo, nel Veneto, a Napoli. Ma
il prossimo obiettivo dichiarato è la Sicilia. All'Aquila, la federazione
del PCI è assaltata e distrutta mentre, pur sapendo che il clima in città
si surriscalda, il principale esponente del partito se n 'è andato a
pesca. Non c'è praticamente neppure un abbozzo di difesa da parte del
PCI, ed è un nuovo test. La "vigilanza rivoluzionaria ", che
faceva riempire fin le più piccole sezioni di militanti decisi a difenderle
in occasione delle principali ricorrenze antifasciste o di momenti di tensione,
è andata a farsi benedire anche quando si tratta di federazioni provinciali,
di uffici regionali. L 'autodifesa è scomparsa dalla cultura del PCI.
I padroni assumono fascisti. Servono per intimidire le avanguardie, interne
ed esterne alla fabbrica; servono come crumiri e come disturbatori delle riunioni
operaie in fabbrica. Servono per ridare fiato alla CISNAL, per far ricomparire
i sindacati gialli. È un fenomeno segnalato su tutta l'area nazionale,
dall'Italsider di Taranto alla FATME di Roma, all'Ignis di Varese.
E c'è l'avanzata missina alle elezioni; non un'avanzata eccezionale,
ma certamente ragguardevole e significativa. Nel Mezzogiorno essa ha raggiunto
le punte più clamorose. Il MSI diventa un reale polo di attrazione per
la destra, in senso lato: recluta De Lorenzo, si parla di una prossima adesione
di Lauro. Una parte della borghesia italiana, prima attendista, guarda ai fascisti
con crescente favore.
È la borghesia che ha ripetutamente dimostrato, tra il '62 e il '68,
di essere totalmente incapace di un operazione riformistica. Una borghesia protesa
alla ricerca di compromessi che non soddisfano i destinatari ma che infastidiscono
e intimoriscono, ugualmente, i settori più sordi a ogni tentativo di
rinnovamento. Un esempio tipico è la legge sulla casa: chi si mobiliterebbe
per sostenere e difendere un simile bidone? Ma ecco gli speculatori sulla difensiva,
ecco li guardinghi a premere, suggerire, minacciare. Ed ecco la legge, già
raccogliticcia, peggiorare ancora. Un discorso analogo lo possiamo fare per
la legge sui fondi rustici. Ma non sono certo esempi del genere che mancano,
in Italia. Il PCI (per non dire del PSI, che con questa borghesia resta beatamente
al governo) tollera, sottace, o anche collabora (il voto sulla casa). E i settori
di destra si incarogniscono, si fanno più audaci, si estendono a zone
prima incerte.
Da un lato, la campagna elettorale in determinate zone del Mezzogiorno (specie
in Puglia) ci dice che agrari e gruppi capitalistici sono disposti a usare il
fascismo come un arma diretta per ricattare il governo centrale. Strati della
piccola borghesia e sottoproletari rappresentano una potenziale - ma dopo Reggio,
non soltanto potenziale - massa di manovra su cui inserire l'azione fascista.
Da questo quadro emerge la necessità per il MSI di unificare le forze
fasciste, di attuare un piano articolato alcuni elementi del quale abbiamo già
indicati, nella premessa al III capitolo. Innanzitutto, basta con i fascistelli
sparsi che prendono iniziative caotiche e che vanno in giro con attrezzature
da teddy boys; sì a vere organizzazioni paramilitari, centralizzate e
disciplinate, con esercitazioni regolari e con armamento efficiente. E poi il
discorso politico più duttile, dal minaccioso al paternalistico, dal
mussoliniano al parlamentare. Sul piano internazionale, organizzazioni come
la Permindex, che finanziava l'OAS e i neonazisti altoatesini, sembrano un trastullo
da dilettanti. L'accordo corre verso i regimi già forti dell'Europa occidentale,
da Madrid ad Atene; ma si ricerca più stabilmente un filo diretto con
gli Stati Uniti. A quegli Stati Uniti che chiedono alla borghesia europea di
destinare una maggior attenzione alla sua "difesa interna", in prima
persona. Il partito americano non è più soltanto la destra DC,
il PSDI, il PRI. Del partito americano fa parte integrale il MSI, che cerca
di diventare la forza egemone.
Nota - Nella nota 4 del presente capitolo si riporta un episodio attribuito
a Giulio Seniga. Seniga ci ha fatto sapere di essere estraneo all'episodio e
di non querelare la Strage di Stato per non affiancarsi alla campagna contro
di essa. Ne prendiamo volentieri atto. Ciò non vuoi dire, naturalmente,
che rinunciamo a criticare il comportamento di Giulio Seniga nei confronti della
sinistra extraparlamentare, documentato in suoi recentissimi scritti, anche
sulle colonne dell'Avanti!.
Il luglio 1969 (69)
"Basterebbe che in questi giorni che in qualche manifestazione
di piazza si ammazzasse qualche poliziotto e comparisse tra i dimostranti qualche
arma da fuoco. La situazione potrebbe precipitare in poche ore. Toccherebbe
al governo e al Capo dello Stato dichiarare lo stato d'emergenza. In alcuni
Stati federali americani non si è fatto del resto lo stesso proprio in
questi ultimi mesi?". Questa dichiarazione lasciata da un alto funzionario
dei ministero degli Interni appare sul settimanale Panorama nel mese di luglio
1969. Pochi giorni prima alcuni giornali stranieri hanno pubblicato la notizia
che ufficiali delle forze armate italiane si sono riuniti clandestinamente in
diverse sedi "per esaminare la situazione politica". L'Unità
rende noto il testo di un documento approvato in una di queste riunioni che
dice tra l'altro: "... si deve pensare all'eventualità che le forze
armate debbano entrare in azione per difendere le libertà democratiche
e la Costituzione". Randolfo Pacciardi in un suo editoriale è ancora
più esplicito: " In circostanze così gravi e eccezionali
il capo dello Stato ha il potere di "nominare" un governo presidenziale
e d'inviare un messaggio alla Nazione la quale, stretta intorno al suo Capo,
certamente comprenderà. C'è da prevedere una reazione comunista?
Non c'è che affrontarla con fermezza".
In quelle settimane i fascisti riempiono Roma di scritte e manifesti che esaltano
i generali al potere nell'imminenza del colpo di Stato. Il Fronte Nazionale
di Junio Valerio Borghese, i Gruppi di Azione Nazionale di Mario Tedeschi, l'Ordine
Nuovo di Pino Rauti, la Giovane Italia e altre quindici organizzazioni di estrema
destra lanciano l'appello alla mobilitazione. Il Partito comunista è
costretto a fare scattare l'operazione di sicurezza e vigilanza nelle sue 4.290
sezioni e 11.170 cellule.
Nel giro di una settimana, tra il 9 e il 15 luglio, la temperatura politica
nel Paese raggiunge punte elevatissime. Poi di colpo decresce, ritorna a stabilizzarsi.
La stampa italiana, salvo rare eccezioni, rinuncia ad esprimere un giudizio.
Solo all'estero se ne parla, pur tra pareri discordi: per alcuni giornali si
è trattato di un tentativo rientrato di un colpo di Stato, per altri
- la maggioranza - di voci diffuse ad arte per drammatizzare la situazione politica.
Su questa seconda interpretazione . concorda l'Espresso che nei due mesi precedenti
ha dedicato una serie di articoli alla crisi del centrosinistra. Nel primo di
essi, in data 18 maggio, il giornalista Livio Zanetti dava ampio risalto al
messaggio di Saragat in cui il centrosinistra veniva definito "irreversibile"
e si indicava apertamente la prospettiva delle elezioni anticipate. Circa un
mese prima un altro messaggio di Saragat era stato oggetto di una violenta polemica.
In risposta a un appello inviatoli dai giovani della Confederazione Studentesca
(che raccoglie dai liberali ai neofascisti) , il Presidente della Repubblica
aveva condannato "il miracolismo della violenza" e ammonito che "i
più ardui problemi si pongono su un piano umano dove tutto può
essere risolto". Mentre quasi tutti i giornali, dal Secolo d'Italia all'Avanti!
avevano dato ampio risalto al messaggio, L'Unità aveva parlato di"sconcertante
consenso a un'iniziativa qualunquista", sottolineando che "l'appello
al quale Saragat ha risposto, accusa la classe politica di impartire quotidianamente
una lezione di viltà e praticamente invita il presidente della Repubblica
a sostituirsi ad essa". Secondo il Corriere della Sera invece "è
chiaro il richiamo del Presidente contro tutte le forme di contestazione nazi-maoista,
contro l'inquietante collusione degli opposti estremismi".
La scissione socialista e la nascita del PSU
Dopo il 6 luglio, il nome di Giuseppe Saragat ritorna alla
ribalta quando alcuni autorevoli giornali stranieri lo indicano, più
o meno esplicitamente, come quello dell'ispiratore della scissione del PSI e
della conseguente nascita del nuovo partito social-democratico PSU. I socialdemocratici
replicano sdegnosamente definendo le rivelazioni "un'illazione offensiva
e priva di fondamento" e lo stesso tono usato per contestare un settimanale
della sinistra cattolica che in quei giorni afferma che la scissione è
stata finanziata coi dollari americani. Ma anche l'Unità è molto
esplicita: "Risulta che uno dei "benefattori" del PSU si chiama
Vanni B Montana ed è il capo-sezione alle relazioni pubbliche dell'ufficio
italoamericano del Lavoro presso il dipartimento di Stato USA. Egli era presente
inoltre all'atto costitutivo del PSU".
Tutti questi fatti sono noti. Meno noto resta quanto è successo dietro
le quinte della manovra scissionistica. Il fatto che, per esempio, all'inizio
dell'estate vi erano state numerose riunioni alle quali avevano preso parte,
oltre a vari esponenti socialdemocratici tra cui il ministro Luigi Preti, il
capo dell'ufficio stampa della presidenza alla Repubblica dottor Belluscio e
il petroliere-editore Attilio Monti.
Il cavalier Monti (63 anni, figlio di un fabbro di Ravenna, arricchitosi durante
la guerra con il traffico del petrolio fatto in società con uno dei segretari
dei Partito Nazionale Fascista, Ettore Muti) è oggi proprietario di diverse
raffinerie, due delle quali sono tra le più importanti d'Italia: la Mediterranea
di Milazzo e la Sarom di Ravenna, cioè le grandi società petroliere
americane e anglo-olandesi. La Sarom in particolare ha un accordo con la BP,
rinnovato per altri dodici anni nel 1967, per la raffinazione di un fatturato
annuo di circa 15 miliardi di petrolio greggio. Uno dei clienti principali dei
cavalier Monti è oggi la VI Flotta USA di stanza nel mediterraneo.(70)
Nel mese di giugno 1969, dopo la prima serie di riunioni, Attilio Monti si è
recato negli Stati Uniti dove si è incontrato con finanzieri, industriali
e rappresentanti della amministrazione Nixon. Nello stesso periodo, a Roma,
il deputato socialdemocratico A.C. frequentava spesso un ufficio del SID in
via Aureliana e un altro noto personaggio del futuro Partito socialdemocratico
unificato era di casa nella sede dell'agenzia finanziaria Merril-Lynch Pierce,
in via Bissolati 76, notoriamente legata ad ambienti del Dipartimento di Stato
americano. Sempre nelle settimane precedenti la scissione, alcuni dirigenti
del PSI, tra i quali un ex ministro, sono stati "sollecitati" ad aderire
alla corrente di Ferri e Tanassi dal rappresentante di un'agenzia di stampa
specializzata in ricatti a uomini politici. Il direttore, un ex repubblichino
divenuto poi collaboratore del giornale del PSDI, La Giustizia, è in
ottimi rapporti d'amicizia coi generale Giovanni De Lorenzo, oltre che col redattore
capo dei missino Secolo d'Italia, col direttore dello Specchio, Nelson Page,
col redattore capo del Borghese Gianna Preda e con due ufficiali del SID, tali
Stella e De Bellis. L'agenzia di stampa è finanziata con due milioni
al mese versati sotto forma di abbonamento dall'industriale Attilio Monti.(71)
Il 13 luglio, riferendosi "alla recente costituzione del nuovo partito
socialdemocratico e alla eventualità di elezioni politiche anticipate,
ventimila dei suoi esponenti più rappresentativi, L'Espresso scrive:
"Un 18 aprile creato artificialmente, facendo leva sul risentimento diffuso
tra gli operatori e la borghesia per gli scioperi, le disfunzioni amministrative,
la contestazione studentesca: (72) ecco il progetto che lega la destra DC ai
seguaci di Tanassi". E una settimana dopo in un articolo intitolato "La
fabbrica della paura" il giornalista Carlo Gregoretti, fatto un bilancio
degli avvenimenti dei mesi precedenti (le violente repressioni poliziesche di
cortei e manifestazioni culminate nell'eccidio di Battipaglia, le denunce indiscriminate
attuate associando ai nomi dei fermati quelli ricavati a caso dagli elenchi
delle questure, la recrudescenza di azioni squadristiche e di attentati fascisti),
conclude scrivendo: "Sono soltanto alcuni esempi (...) può apparire
come un quadro allarmante di tensione e di panico, dietro il quale non è
lecito escludere il disegno di una provocazione interessata: la ricetta per
realizzarla è proprio questa".
Cinque mesi più tardi, il 14 dicembre 1969, nel commentare la situazione
politica italiana all'indomani degli attentati di Milano e Roma, il settimanale
inglese The Observer scriverà: "I motivi di Saragat nel creare la
scissione erano evidentemente sottili. Egli cercava non tanto di influenzare
i socialisti quanto di spingere a destra la Democrazia cristiana. Il calcolo
era che il governo Rumor fosse costretto alla resa dall'agitazione sul fronte
industriale, che le elezioni anticipate venissero tenute nell'anno nuovo e che
la paura dei comunismo cancellasse alle urne la sinistra democristiana. Ma tale
proposito non si è avverato ( ... ) la reazione emotiva, la stanchezza
e l'insofferenza del pubblico dettero a De Gaulle la sua vittoria elettorale
dopo il Maggio 1968 in Francia. Ma può Saragat sperare di ottenere lo
stesso risultato? Per l'intero schieramento di destra, dai. socialisti saragattiani
ai neofascisti, l'inaspettata moderazione dell'autunno caldo minacciava di liquidare
la paura della rivoluzione sulla quale essi avevano puntato. Quelli che hanno
fatto esplodere le bombe in Italia hanno rinverdito questa paura. Dal terrorismo
dell'estrema destra, anche la destra "moderata" può trarre
vantaggio".
Nel contesto di questo articolo dell'Observer appare per la prima volta il termine
"strategia della tensione" a significare che quanto è avvenuto
in Italia in questi mesi, o almeno i fatti più rilevanti, è il
risultato di precise scelte politiche, coerentemente organizzate all'interno
di un disegno preordinato. Agli inizi del 1968 la situazione economica italiana
è caratterizzata, grosso modo, da un contrasto tra le linee di tendenza
del capitale monopolistico (le cui accresciute esigenze di competitività
internazionale impongono un'espansione dei consumi interni e la soluzione degli
squilibri strutturali della società e dello Stato) e le linee di tendenza
della media e piccola industria, alla quale l'abolizione delle leggi protezionistiche
e l'integrazione nell'area economica europea pongono pressanti problemi di ammodernamento
tecnologico, prioritari rispetto all'aumento dei costi del lavoro operaio e
delle riforme sociali. Le elezioni politiche del 19 maggio, che ratificano la
crisi del centrosinistra e della politica di contenimento delle tensioni di
classe, aprono, in prospettiva, uno fase di alleanza obiettiva tra le forze
più avanzate del grande capitale e le organizzazioni tradizionali del
movimento operaio, mentre a livello parlamentare viene a prefigurarsi la possibilità
di un nuovo schieramento tra la linea amendoliana della "nuova maggioranza"
e quella del "nuovo patto costituzionale" della sinistra democristiana.
E' un processo pieno di contraddizioni che incontra, fin dagli inizi, ostacoli
e resistenze potenti. Da un lato vi si oppongono i settori più avanzati
della classe operaia, contrari all'istituzionalizzazione delle lotte all'interno
della dinamica neocapitalistica, e le forze nascenti della contestazione studentesca
che, attraverso la denuncia dell'interclassismo e del riformismo, rifiutano
sia l'inserimento nei ruoli della classe dirigente borghese sia i tradizionali
strumenti della lotta politica; dall'altro lato gli ostacoli maggiori, a livello
nazionale, provengono soprattutto dall'ala arretrata del capitalismo, strutturalmente
legata al supersfruttamento operaio, dal capitale parassitario e da quelle forze
dell'apparato statale (nei ministeri, negli enti pubblici, nelle università,
nella magistratura, nella polizia, nell'esercito) contrarie a qualsiasi tipo
di riforma, anche soltanto efficientistica, che possa mettere in discussione
il tradizionale assetto dei centri di potere burocratico.
Ma il disegno riformistico, con l'esigenza di pur timido neutralismo che esso
comporta, urta irrimediabilmente contro le necessità strategico-militari
dell'imperialismo americano. Il conflitto mediorientale e la relativa penetrazione
dell'Unione Sovietica in un'area che le era tradizionalmente preclusa, il progressivo
affrancamento coloniale dei Paesi costieri dell'Africa nord occidentale, costringono
gli Stati Uniti a porre un'ipoteca sempre più rigida su un punto chiave
del controllo del Mediterraneo qual' è l'Italia.
La "strategia della tensione"
La "strategia della tensione", per potersi realizzare,
necessita di un contesto storico, politico e sociale pieno di profonde contraddizioni
in cui possa inserirsi un'azione spregiudicata che tenda a spostare il terreno
della lotta politica sul terreno dello scontro frontale con le forze dell'ordine,
in modo da trasformare il rapporto tra lavoratori e Stato in un problema di
ordine pubblico. La crisi storica del centrosinistra, le spaccature che sono
state provocate al suo interno dalle lotte dei lavoratori, pongono in evidenza
la doppia anima del centrosinistra, l'una riformista, l'altra centrista e conservatrice
nella quale trova credito e spazio la componente reazionaria guidata dai socialdemocratici
e dalla destra democristiana. Da questo scaturisce una paralisi dell'iniziativa
politica, determinata dalla necessità di accantonare i problemi strutturali
della società; e proprio qui si innesta il ricatto socialdemocratico
che richiede o il completo allineamento a una politica conservatrice oppure
la crisi al buio che possa consentire i più ampi margini di manovra alle
forze reazionarie annidate nel parlamento, nell'apparato, nella burocrazia,
nella classe imprenditoriale.
A tale scopo, mancando le condizioni obiettive che permettano soluzioni di questo
tipo, si provoca a freddo un clima interessato di allarmismo con le continue
minacce di scioglimento delle camere e di elezioni anticipate, con le ricorrenti
minacce di colpo di stato, con l'utilizzazione indiscriminata dello squadrismo
fascista, con la provocazione promossa dall'apparato burocratico e poliziesco,
tollerante e spesso dichiaratamente connivente con la teppaglia fascista.
Un disegno di questo genere conta sulla possibilità di eccitare l'opinione
pubblica contro i pericoli che minacciano le istituzioni democratiche, pericoli
rappresentati dagli "opposti estremismi" e dalla impossibilità
per le forze di polizia di mantenere l'ordine. Si cerca infatti di perseguire
una guerra di logoramento che acuisca la sfiducia dei cittadini e quindi predisponga
il terreno per l'accettazione supina di avventure reazionarie o paragolliste.
In questo disegno è indispensabile poter contare in qualunque momento
sulla complicità dell'apparato poliziesco e difensivo. Non mancano gli
esempi. Il 29 novembre 1968, ad Avola, gli agrari rompono le trattative con
i sindacati dei braccianti che chiedono il rinnovo dei contratti di lavoro.
La situazione è tesa ma i proprietari terrieri disertano le riunioni
convocate a più riprese.
Il prefetto di Siracusa non esita a schierarsi al loro fianco appoggiandone
le manovre dilatorie e ponendo al loro servigio la polizia, benché sia
stato avvertito dallo stesso sindaco di Avola di non mandare agenti "perché
la situazione potrebbe precipitare". Il 2 dicembre la polizia spara sui
braccianti uccidendone due. Ma la complicità nella provocazione non si
è espressa solo a livello di prefetto, polizia(73) e magistratura(74)
: essa trova l'avallo anche a livello governativo, nell'incredibile discorso
dei ministro degli Interni Restivo alla Camera, in cui si pone l'accento soprattutto
sulla priorità assoluta del mantenimento dell'ordine pubblico.
In questo modo i problemi politici scompaiono, al loro posto emerge il tema
predominante dell'"ordine" in difesa del "disordine"; e,
in certa misura, anche i sindacati e le forze della sinistra parlamentare cadono
nella trappola proponendosi come obiettivo primario quello del disarmo della
polizia. In occasione dei fatti di Avola la stampa cosiddetta moderato svolge
puntualmente il suo ruolo di copertura, riversando le colpe di quanto è
accaduto su "una minoranza di provocatori che mettono in atto una tattica
di guerriglia". L'inserimento e il ruolo della stampa diventano più
espliciti in occasione dei fatti di Battipaglia".
Il 9 aprile 1969 la polizia spara ancora, in quella città, mentre è
in corso lo sciopero generale contro la ventilata chiusura del locale tabacchificio,
e uccide un operaio di 19 anni e una giovane maestra che assiste agli scontri
dalla finestra del suo appartamento. Giornali come La Stampa della Fiat e Il
Giorno dell'IRI parlano di "tumulti". Ma i giornali fascisti e quelli
della catena dell'industriale socialdemocratico Attilio Monti usano termini
come "rivolta contro lo Stato", "organizzazione insurrezionale",
"fine della democrazia", sostenendo che "il governo è
debole" e non ha "il coraggio di difendere le forze dell'ordine e
di far rispettare la legge".(75) Ancora una volta il ministro degli Interni
giustifica il comportamento della polizia accennando esplicitamente all'esistenza
di un "piano preordinato" messo in atto da "provocatori estranei
alla città".
Sulla natura e l'appartenenza politica di questi "estranei" non si
pronuncia, lasciando all'immaginazione della stampa "indipendente"
il compito di definirli. E per essa, ovviamente, non può che trattarsi
di "cinesi e anarchici che il PCI sfrutta per aprirsi una via verso la
partecipazione al potere". Il ministro Restivo non dice che nei due giorni
precedenti la tragedia di Battipaglia il 7 e l'8 aprile, si erano concentrati
in città gruppi di fascisti napoletani di Ordine Nuovo e di Università
Europea e che da Roma erano arrivati altri squadristi, di Avanguardia Nazionale
e ancora di Ordine Nuovo. Eppure si trattava di elementi, una cinquantina in
tutto, per buona parte noti agli uffici politici delle questure italiane. La
cosa era talmente nota che l'agenzia di stampa O.P., diretta dall'ex pacciardiano
Simeoni, il giorno prima degli scontri aveva "captato" lo spostamento
dei fascisti e previsto che a Battipaglia vi sarebbero stati "gravissimi
tumulti".(76)
L'interpretazione dei fatti di Battipaglia, che avvengono mentre è già
in atto la manovra della scissione socialdemocratica, accentua la frattura all'interno
dei Partito socialista unificato. Nel dibattito alla Camera, mentre il socialdemocratico
Mauro Ferri dice che "nel Mezzogiorno la protesta popolare è trascesa",
il socialista Lezzi giudica che "le provocazioni possono essere state messe
in atto da esponenti dello stesso apparato statale". Salvo rare eccezioni
comunque il significato dei fatti di Battipaglia non viene colto nella sua dimensione
strategica, collocato all'interno di un disegno ben preciso. PCI, PSIUP, la
sinistra socialista e democristiana, ne colgono soltanto gli aspetti più
appariscenti e drammatici per rilanciare il discorso sul disarmo della polizia.
Il comunista Gian Carlo Pajetta denuncia in Parlamento un episodio sintomatico,
avvenuto nella caserma di polizia di Castro Pretorio a Roma in quegli stessi
giorni, in cui il Paese è, scosso da grandi manifestazioni di protesta:
"Sapete che fu selezionato un reparto, uomo per uomo, e messo al comando
di ufficiali repubblichini, affinché al passaggio degli studenti, anziché
gli squilli di tromba e lo sbarramento, e, sia pure, lo scontro, ci fosse invece
l'assalto improvviso e poi la caccia all'uomo per dei chilometri e le bastonature
selvagge?".
Una denuncia dei genere è limitativa, illumina soltanto un aspetto della
manovra portata avanti anche con gli incidenti di Battipaglia. Eppure sarebbe
stato sufficiente leggere con maggior attenzione certi giornali, da quelli dell'impero
Monti a quelli fascisti. per capire meglio sino in fondo, il significato di
quegli incidenti. Il Tempo di Roma, il 17 aprile, scrive che "a Battipaglia
è stata sperimentata per la prima volta la tattica che i vietcong usano
a Saigon", che "è prioritario il disarmo immediato dei terroristi"
e che "lo Stato Democratico e la natura del PCI sono incompatibili",
e invita la Democrazia cristiana a "non attendere i comodi di nessuno per
agire efficacemente in difesa, anche preventiva, dell'ordine pubblico".
I fatti di Battipaglia vanno invece inquadrati in una situazione che vede l'apparato
dello Stato e la polizia svolgere non più soltanto un generico ruolo
di appoggio, quasi naturale, alle tendenze conservatrici, ma sviluppare una
precisa azione di provocazione, preordinata e finalizzata. E' quanto si verifica
a Roma in occasione della visita del presidente Nixon, con la connivenza aperta
tra le forze di Pubblica Sicurezza e i gruppi fascisti, denunciata da diversi
giornali della sinistra a Milano con gli attentati del 25 aprile; a Torino con
gli scontri del 3 luglio in viale Traiano; a Pisa il 27 ottobre durante gli
assalti della polizia contro gli studenti che erano stati provocati dai fascisti
greci e italiani. Ma a parte questi esempi clamorosi, una tale complicità
è diventata ormai consuetudine in Italia, sia esplicandosi con la tolleranza
colpevole verso le azioni squadriste, sia con quegli assalti a freddo di cortei
di studenti e lavoratori che durante l'autunno sindacale sono stati usuali.
La connivenza con i fascisti si attenua solo in concomitanza con le vicende
della vita politica, quando vi è la necessità di sostituire alle
paure provocate dallo squadrismo l'arma più subdola degli "opposti
estremisti", la visione delle guardie rosse e delle guardie nere che assieme
danno l'assalto all'ordine e alla tranquillità borghesi.
Per la strategia della tensione quello che conta è di provocare, nell'opinione
pubblica moderata, l'immagine del vuoto politico, creare la psicosi della paura,
della minaccia permanente, di una incombente disgregazione dello Stato, lenta
ma ineluttabile. Nel necessario contesto, di fianco agli attentati. agli scontri,
alle provocazioni fasciste e della polizia, si inseriscono anche l'aggiotaggio
politico fatto soprattutto dai socialdemocratici con i loro continui ricatti
o minacce di scioglimento delle Camere; messa in circolazione di voci su presunti
o imminenti colpi di Stato: l'allarmismo economico provocato con artificiali
crisi della Borsa(77) e con il trasferimento di capitali all'estero ampiamente
pubblicizzato sulla stampa.
Lo scopo è quello di far pensare che ci si trovi alla vigilia di un nuovo
1922 o di un colpo di Stato alla greca. Ma si tratta di un falso scopo, almeno
finora, che tende a sviare l'attenzione da un altro colpo di Stato, strisciante,
che si realizza giorno per giorno. Con il ripristino di disposizioni eccezionali,
le limitazioni ai gruppi politici e alla stampa di sinistra, il progressivo
slittamento verso destra del governo, il tentativo di porre il bavaglio a sindacati,
eccetera. E' un disegno per il momento più di tipo gollista che di tipo
greco, anche se non sono scartate soluzioni di ricambio più radicali.
I fascisti come strumento
Fra il 1964 e il 1967 - inizi '68, nella nuova Italia pacificata
dal centrosinistra, il neofascismo attraversa una fase squallida, priva - per
usare un suo termine - di "virilità". Il MSI dei ragionier
Arturo Michelini amministrava la routine elettorale di un gruppo di comparse
screditate, qualche raduno di nostalgici, le solite scritte sui muri, qualche
attentato (una cinquantina in tre anni: roba da ridere rispetto a oggi).
La sua funzione più importante, tutto sommato, era assolta dai gruppi
dissidenti dell'estrema destra nell'ambiente studentesco romano. Restavano ai
fascisti le complicità politiche con l'apparato ma esse erano più
dettate dalle affinità culturali e ideologiche del singolo burocrate,
poliziotto o magistrato, che non dalle esigenze tattiche e strategiche con le
quali lo Stato borghese ha, da sempre, legittimato la loro presenza e il loro
ruolo. E mancando questi presupposti oggettivi, ai fascisti mancavano anche
i soldi. In quegli anni molte sezioni missine chiudono, Il Secolo d'Italia licenzia
redattori e riduce la tiratura, due appartamenti del palazzo di via Quattro
Fontane, sede nazionale del MSI, vengono affittati a uffici privati. Poi, improvvisamente,
nei primi mesi del 1968 le cose cambiano, comincia la "pacchia" che
dura ancora oggi.
Il MSI riapre e aumenta le sezioni, le città italiane vengono invase
da migliaia di volantini inneggianti alla "piazza di destra" e di
manifesti di giovanotti in camicia verde che puntano il dito ammonitore. Davanti
alle scuole si diffondono gratuitamente pacchi del Diario Italiano dove tra
fiamme tricolori e fasci littori, si inneggia a due sinceri anticomunisti: Benito
Mussolini e James Bond. Nelle edicole compare un numero sterminato di giornali
e riviste (alcuni vecchi, molti nuovi): L'Assalto, L'orologio, Forza Uomo, Nuova
Repubblica, Il Cavour, L'Asso di Bastoni, Rivolta Ideale, Per l'Onore d'Italia,
Confine Orientale, Diseguaglianza, Est Press, Folgore, Gioventù Nazionale,
Il Dardo, Il Nuovo Pensiero Militare, li Conciliatore, Iniziativa Nazionale
e Europea, Il Combattente della Libertà, L'Alleanza Italiana, L'Arena
di Pola, La Vetta d'Italia, L'Esule, L'Ultima Crociata, Mondo Romano, Notizie
Latine, Monterosa, Combattentismo Attivo, Prima Linea, Uomini Nuovi, Volontà,
La Legione, Europa Civiltà, Forze Nuove L'Aspra Lotta, L'Italiano, Noi
Europa, Il Ghibellino, L'Universale, Il Legionario, F.N.C.R.S.I., Perseverare,
Conquista dello Stato, Gioventù Nazionale, Creatività, Il Terzo
Grado, In Piedi!, Il Precursore, Ordine Domani, Documento del Nostro Tempo,
Documenti sul Comunismo, Partecipazione, La Fiamma Nazionale, La Tappa, Eur
X Opa, Corrispondenza Europea, Europa Tempo, Eurafrica, eccetera, oltre naturalmente,
ai tradizionali "Il Secolo d'Italia", il "Borghese" e "Lo
Specchio".
Allo stesso modo proliferano i nuovi gruppi dell'estrema destra, ognuno con
sede propria, bollettino, attrezzature per la propaganda. Eccone alcuni: Partito
Nazionale Democratico,(78) Università Europea, Movimento Tradizionalista
Romano, Costituente Nazionale Rivoluzionaria, Gruppi Nazionali Popolari, Giovane
Europa, Fronte Nazionale Europeo, Fronte d'Azione Liberale, Movimento Nazional
Proletario, Gruppi Spontanei Anticomunisti, Movimento Combattentistico Attivo,
Ordine di Domani, Cavalieri della Nazione, Nuclei di Difesa dello Stato, Comitato
Difesa Pubblica, Nuova Caravella, Volontari Civili, Fronte Unito Anticomunista,
Comitati di Salute Pubblica, Comitati di Difesa Civica, Ordine e Progresso,
Patrioti Apuani, Elmetti Neri, Democrazia Maggioritaria, Camicie Verdi, Formazioni
Giovanili, Aquile Nere, Centro Europa Unito, Gioventù Nazionale Rivoluzionaria,
Guardie Bianche, Fronte Nazionale Bulgaro, Cattolici con grinta, Italia Irredenta,
Gruppi Dannunziani, Raggruppamento Italico, Seconda Repubblica, Avanguardia
Nazionale.
Contemporaneamente si rafforzano e si riorganizzano i gruppi già esistenti
che sono: le associazioni di arditi e ex combattenti, le federazioni degli ex
repubblichini, i Volontari del MSI, l'ASAN, la Giovane Italia, il FUAN-Caravella,
l'Unione Nuova Repubblica di Junio Valerio Borghese, l'Ordine Nuovo dei giornalista
del Tempo Pino Rauti, l'Europa Civiltà di Loris Facchinetti, i GAN (Gruppi
di Azione Nazionale) dell'ex repubblichino direttore del Borghese Mario Tedeschi,
l'OAP (Organizzazione Azione Patriottica), il MAR (Movimento di Azione Rivoluzionaria)
e l'Italia Unita che ha tra i suoi fondatori il generale del genio navale Giuseppe
Biagi e il presidente del tribunale di Monza Giuseppe Sabalich.
E' un giro di miliardi. Chi paga i fascisti?
Chi li paga
La centrale dei finanziamenti USA al neofascismo italiano
è la Continental Illinois Bank di Cicero, Illinois, che concentra enormi
capitali provenienti in massima parte dall'industria bellica americana. La Continental
(come anche la Gulf and Western) che amministra il capitale della mafia americana
Cosa Nostra) fornisce la copertura finanziaria alla italiana Banca Privata Finanziaria,
della quale si serve Michele Sindona (79) per la gigantesca operazione di trasferimento
di medie industrie italiane sotto il controllo dei capitale americano, che è
iniziata verso il 1968. La Continental, inoltre, è una delle maggiori
consociate dell'industriale Carlo Pesenti e dell'Istituto per le Opere di Religione,
la centrale della finanza vaticana il cui nuovo responsabile è monsignor
Paul Marcinkus, originario di Cicero.
Presidente della Confinental Illinois Bank è David Kennedy, consigliere
al Tesoro dell'amministrazione Nixon. Tramite l'italo-americano Philip Guarino,
nostalgico per la parte italiana e repubblicano e grande elettore di Richard
Nixon per l'altra metà americana, David Kennedy è entrato in contatto
con l'onorevole Luigi Turchi. il deputato del MSI ha partecipato alla campagna
elettorale di Nixon facendo capo al quartier generale del partito repubblicano
a Washington da dove ha organizzato comizi, dibattiti e conferenze radiofoniche
per la comunità italiana negli Stati Uniti. Durante un ricevimento, in
cui Turchi era tra gli ospiti d'onore, il capo dell'esecutivo della campagna
elettorale, Michael III, nipote di Eisenhower, ha espresso ai giornalisti presenti
l'apprezzamento di Nixon per il. contributo offertogli dal parlamentare italiano
e "la fiducia che il contatto si protragga anche nel futuro" (comunicato
ANSA). Tornato in Italia Luigi Turchi ha pubblicato a piena pagina sul suo giornale
La Piazza una foto del nuovo presidente americano con dedica personale.
Altri soldi americani arrivano ai fascisti italiani dalla CIA che si serve per
questo del "canale greco". Il primo ministro Papadopulos ha affidato
la gestione di quei fondi al capo del KYP, colonnello Michele Rufogalis, (agente
- come il ministro dei Coordinamento Makarèzos - dei servizi segreti
americani da almeno otto anni), il quale a sua volta ne cura la distribuzione
sulla base delle indicazioni fornitegli dall'incaricato della "questione
italiana", l'agente del KYP Costantino Plevris.
La fonte dei finanziamenti in Europa è la Banque de Paris et des Pays
Bas, la stessa usata dai monopoli agricoli e minerari belgi, francesi e olandesi
per le colossali operazioni di finanziamento dell'OAS in Algeria e delle truppe
mercenarie in Congo. Nel novembre '68 Michele Sindona ha condotto per conto
della Banque de Paris et des Pays Bas la scalata alla società Finanziaria
Sviluppo fino a allora controllata dal gruppo italiano Cini-Gaggia-Volpi. La
Sviluppo doveva servire alle grandi società petrolifere americane e anglo-olandesi
per combattere all'interno della Montedison la battaglia contro la linea IRI-ENI-Agnelli-Pirelli
che, col processo di razionalizzazione che comportava, avrebbe aumentato la
competitività della Montedison a livello internazionale.(80)
Restano poi finanziamenti nazionali. Il quadro è estremamente composito
e riflette le contraddizioni e gli squilibri del processo di restaurazione neocapitalistica
in atto in Italia. A Genova pagano armatori e petrolieri, a Rimini grossi albergatori,
a Ravenna gli industriali zuccherieri, a Roma Napoli Palermo gli impresari edili,
a Bari e Reggio Calabria gli agrari, eccetera. In sostanza a foraggiare i fascisti
sono i settori della media e piccola industria e quelli dei capitale parassitario.
La Confindustria in quanto tale, poiché al suo interno esistono contrasti
di tendenza tra "presidenzialisti" e "riformisti", ha preferito
continuare a investire i propri soldi nei partiti di governo e dell'opposizione"
costituzionale di destra, oltre che nel SID al quale versa ogni anno dai 70
agli 80 miliardi (cfr. Alain Guérin, Qùest-ce que la CIA? Editions
Sociales, Paris 1968).
I rapporti dei fascisti con il Vaticano invece si sono fatti più cauti
e discreti che nel passato. Uno dei tramiti più noti è il principe
Filippo Orsini, ex assistente al soglio pontificio, molto legato a Junio Valerio
Borghese e a Giulio Caradonna. Tra le varie entrature, Filippo Orsini ha quella
molto consistente con il cardinale Samorè, ex presidente della pontificia
commissione latino-americana, che è uno dei fiduciari della Misereor,
una ricchissima società finanziaria tedesca che sostiene le iniziative
anticomuniste in tutta Europa.
Tra le fonti dei finanziamenti minori c'è l'Associazione per l'Amicizia
Italo-Tedesca con sede a Roma (via del Colosseo, 2 a), il cui direttore, Gino
Ragno, è stato presidente della Giovane Italia, membro di Ordine Nuovo
e fondatore del gruppo clandestino dei Figli del Sole. Ragno, che è anche
collaboratore del, quotidiano Il Tempo, ha contatti con industriali, militari
(soprattutto ufficiali dei paracadutisti), e uomini politici della Germania
Federale.(81)
Un bilancio positivo
A conti fatti il neofascismo italiano ha svolto bene il suo
ruolo negli anni '68 - '69, e chi lo ha finanziato può ritenersi soddisfatto
della scelta e della spesa. Soltanto il tentativo, operato con le infiltrazioni,
di estremizzare e deviare "dall'interno" le lotte dei gruppi della
sinistra extraparlamentare e del Movimento Studentesco è sostanzialmente
fallito.
Merlino - che pure è uno degli esempi più riusciti - fa testo
in proposito. In compenso si sono rivelate più efficaci le provocazioni
operate "dall'esterno", sia esercitando il vandalismo inutile e sistematico
ai margini delle manifestazioni - soprattutto di quelle che sfociavano in scontri
con la polizia - sia praticando i tradizionali metodi squadristici, allo scopo
di spostare all'indietro gli obiettivi di lotta della sinistra e di provocare
quelle reazioni che giustificassero uno degli argomenti-principe dei cantori
della "strategia della tensione", quello degli "opposti estremismi".
In soli 2 mesi, nell'ottobre e novembre 1969, hanno compiuto in varie città
italiane 52 tra aggressioni e "spedizioni punitive" (16 contro licei,
5 contro sezioni dei PCI, 4 contro sedi universitarie, 7 contro manifestazioni
e cortei, 20 contro militanti di sinistra isolati).
Negli ultimi due anni, inoltre, si, sono addestrati coscienziosamente, con ampia
disponibilità di mezzi e di attrezzature. Hanno palestre in quasi tutte
le città italiane (sette soltanto a Roma) dove praticano in prevalenza
il "karatè" e l'"akidò", la lotta giapponese
con il bastone. Frequentano assiduamente i corsi di lancio organizzati nelle
varie sedi dalla Associazione Nazionale Paracadutisti; allestiscono campeggi
paramilitari un po' dovunque, addestrandosi alla controguerriglia sotto la guida
di ex ufficiali repubblichini, quando non si tratti di quelli dell'esercito
italiano che prestano servizio alla scuola d'arditismo di Cesano. Compiono periodiche
esercitazioni di tiro in poligoni militari, come quelli di Palermo o di Tor
di Quinto a Roma, oppure "clandestini", come quelli di Cornuda, di
Cervarezza, dell'Alta Sabina, di Tolfa, dei Colli Euganei, della Sila, ecc.
Costituirebbero insomma, nell'ipotesi estrema di un colpo di Stato alla greca
nel nostro paese, una sia pur modesta forza fiancheggiatrice. Ma l'attività
nella quale eccellono sono gli attentati. Nei due mesi-campione, l'ottobre e
il novembre 1969, hanno lanciato 27 bottiglie molotov (contro 11 sezioni del
PCI, 4 del PSIUP, 2 del PSI, 3 Case del Popolo, 2 sedi marxiste-leniniste, due
del M.S., 1 della FIOM-CGIL, 1 chiesa valdese e 1 sinagoga); 13 ordigni al tritolo
(contro 2 sezioni dei PCI, 5 lapidi. partigiane, 3 caserme, 2 chiese, 1 cabina
dell'ENEL); 10 bombe-carta (contro 6 sezioni del PCI, 2 circoli operai, 1 sede
della RAI, 1 ospedale militare); 2 bombe a mano di tipo SRCM in dotazione all'esercito
(contro due case del popolo).
Fondamentale, in questo quadro, è la parte giocata dagli attentati con
falsa firma di sinistra: sul totale dei 145 del 1969 escludendo quelli compiuti
da militanti di sinistra e anarchici (82) - essi sono in tutto una cinquantina.
La serie più vicina inizia nell'Ottobre del '68 con i due attentati di
Avanguardia Nazionale agli automezzi della polizia parcheggiati davanti alla
Scuola Allievi Sottufficiali di via Guido Reni a Roma; e si conclude - almeno
ufficialmente - con quello di Reggio Calabria.
La notte fra il 7 e l'8 dicembre 1969 esplode un ordigno ad alto potenziale
che devasta l'atrio della Questura di Reggio Calabria e ferisce gravemente l'appuntato
di guardia. Contro i responsabili, identificati e arrestati a Roma due settimane
più tardi, viene elevata l'imputazione di detenzione di esplosivi, lesioni
aggravate e concorso in strage. Sono due studenti universitari: Aldo Pardo e
Giuseppe Schirinzi. Nel loro curriculum giudiziario appare una serie incredibile
di denunce - apologia di fascismo, danneggiamenti, rissa aggravata, lesioni
personali, etc. - ma neppure una condanna. Il loro curriculum politico, alla
luce dei tragici avvenimenti di quei giorni, è estremamente significativo-
ex dirigenti nazionali della missina Giovane Italia, negli ultimi due anni hanno
militato
nei ranghi dell'Avanguardia Nazionale di Stefano delle Chiaie, del Fronte Nazionale
di Junio Valerio Borghese e dell'Ordine Nuovo. Giuseppe Schirinzi è componente
dell'esecutivo del "Centro studi
di Ordine Nuovo", una trovata di Pino Rauti per fornire una copertura "culturale"
all'organizzazione di cui è presidente; Aldo Pardo è uno dei responsabili
della sezione giovanile calabrese del
Fronte Nazionale. Ma c'è di più: nella primavera del '68 i due
hanno partecipato al famoso viaggio-premio in Grecia e, assieme a Mario Merlino,
sono tra i fascisti "superselezionati" che s'incontrarono con Costantino
Plevris nella sede ateniese del Movimento "4 Agosto".(83)
Quello alla Questura di Reggio, ultimo in ordine di tempo, di una lunga serie
di attentati dinamitardi che hanno seminato il panico nel capoluogo calabrese
alla fine del '69 (84) ha un significato esemplare.
Attribuito dalla stampa padronale (con i soliti quotidiani della catena Monti,
Il Tempo di Roma e La Notte di Pesenti in prima fila) agli anarchici e ai maoisti,
avviene alla vigilia di un evento d'eccezione: il comizio che Junio Valerio
Borghese, ospite di un albergo di Reggio dal 6 dicembre, dovrà tenere
il giorno successivo in città. In una città presumibilmente sconvolta
e indignata per il "gesto criminale dei dinamitardi di sinistra contro
uno dei templi dei potere costituito".
Alle ore 17 del 12 dicembre 1969, la autoambulanze che si dirigono a sirene
spiegate alla Banca Nazionale del Lavoro per raccogliere i feriti della prima
bomba romana, sfrecciano tra mura ricoperte da migliaia di giganteschi manifesti
tricolori. Sopra vi si legge: "Domenica 14 dicembre - Manifestazione nazionale
del MSI al Palazzo dei Congressi dell'EUR. Parlerà Giorgio Almirante.
Italiani accorrete! Reagite al caos e al disordine dilagante! La piazza di destra
vi attende!"
La manifestazione, il giorno successivo alla strage, verrà vietata in
extremis dal Ministro degli Interni. Ancora una volta i fascisti italiani naufragano
nel loro delirante velleitarismo. Dopo 50 anni non hanno ancora capito che se
nel '22 lo Stato monarchico e conservatore non avesse deciso di identificarsi
nel regime, Mussolini avrebbe fatto la marcia su Roma, anziché in vagone
letto, in un cellulare; e che, se l'illusione riformista del movimento operaio
non avesse riconsegnato l'Italia della Resistenza alla restaurazione capitalistica,
il MSI ed i suoi sottopancia non avrebbero reperito né i mezzi né
le complicità politiche per sopravvivere. Con la strage di Piazza Fontana
i fascisti ritentano un'impossibile ingresso nella storia e finiscono, come
al solito, nella cronaca (nera) delle grandi scelte del capitale e dell'imperialismo
stranieri: impotenti e subalterni, in una impresa criminale che li vedrà
esclusi dalla spartizione del bottino.
A Roma dalle ore 15 circa del 12 dicembre 1969, un noto professionista iscritto
ad un partito di sinistra riceve un avvertimento telefonico: "Ti consiglio
di sparire dalla circolazione. Tra poco in Italia, per voi, l'aria sarà
irrespirabile".
La voce è quella di P.M., figlio ventiduenne di un ex pezzo grosso del
SIFAR, attualmente in pensione, ma con incarichi "riservati" in ambienti
ad altissimo livello. Un'ora e mezza più tardi esplodeva l'ordigno della
Banca Nazionale dell'Agricoltura, uccidendo sul colpo 12 persone e dilaniandone
un centinaio. Il giorno successivo, sabato 13 dicembre, il presidente del consiglio,
on. Mariano Rumor dichiarava ai giornalisti andati ad accoglierlo all'aeroporto
di Fiumicino al suo ritorno da Milano che la "ricostituzione del centro-sinistra
organico è urgente e indifferibile".
Quando ormai l'inchiesta è chiusa e questo libro pronto
per essere stampato, siamo venuti in possesso, per una serie di circostanze
assolutamente casuali, di nuove notizie. Purtroppo non siamo in grado di valutare
esattamente la loro veridicità in tutti i particolari, né resta
il tempo per farlo. Tuttavia, poichè tali notizie concordano singolarmente
coi risultati della nostra inchiesta, riteniamo doveroso renderle pubbliche.
Achille Stuani, un ex deputato comunista che oggi si è ritirato nel suo
paese di Caravaggio, in provincia di Bergamo, verso il 20 maggio ha incontrato
a Milano un suo vecchio amico al quale ha confidato di conoscere la chiave per
risolvere il mistero degli attentati del 12 dicembre. Mentre parlava, Stuani
ha lasciato intravedere una cartella di documenti che teneva chiusa in una borsa.
Avvicinato qualche giorno dopo dallo stesso amico, Achille Stuani è diventato
reticente e si è rifiutato di mostrargli i documenti. Ancora più
restio a parlare si è mostrato quando altre persone, abbastanza autorevoli
per poterlo fare, gli hanno chiesto conto delle sue affermazioni. I documenti,
ha detto, non li ho più con me e in ogni caso si trattava di roba di
poco conto. E si è limitato a ripetere il racconto fatto la prima volta
a Milano, ma rendendolo sempre più scarno di particolari.
Achille Stuani dice di avere ricevuto, subito dopo gli attentati, le confidenze
di un suo vecchio amico, l'avvocato Vittorio Ambrosini, fratello dell'ex presidente
della Corte Costituzionale Gaspare Ambrosini. L'avvocato, che oggi ha 68 anni,
durante il regime è stato fascista ma per certe sue intemperanze era
finito al confino dove aveva conosciuto Stuani, militante comunista. Durante
la guerra Vittorio Ambrosini aveva cercato di avvicinare alcuni avvocati antifascisti
di Roma assicurandoli che anche lui la pensava come loro ma era sempre stato
guardato con sospetto. Finita la guerra andava in giro dicendosi comunista ma
poco tempo dopo era tornato a frequentare gli ambienti fascisti della capitale,
cosa che ha continuato a fare sino a oggi. Subito dopo gli attentati l'avvocato
Ambrosini è stato ricoverato in ospedale. sotto choc, dice Stuani. Ne
è uscito due mesi dopo e di nuovo è stato ricoverato perchè
rimasto vittima di un incidente. Da allora non è più uscito dalla
clinica. Lo assistono la donna che convive con lui, signora Teresa, e il nipote
di costei, che svolge anche mansioni di autista. La donna molto sospettosa,
si e rifiutata di rivelare dove è attualmente ricoverato l'avvocato Ambrosini.
Resta, dunque, solo il racconto di Achille Stuani il quale dice che Ambrosini
ha partecipato, la sera di mercoledì 10 dicembre, a una riunione nella
sede romana di Ordine Nuovo dove, presente un deputato del MSI, era stata presa
la decisione di "andare a Milano a buttare per aria tutto". Alla persona
che doveva recarsi a Milano per fare questo o per portare il messaggio, venne
affidato del denaro; tre pacchi di biglietti di grosso taglio più un
assegno. Questa persona era partita la sera stessa con il direttissimo Roma-Milano
delle 23,40.
L'avvocato Ambrosini, secondo il racconto di Achille Stuani, si è reso
conto del significato della riunione solo due giorni dopo, quando seppe della
strage. Fu colto da choc e ricoverato. A Stuani ha detto inoltre che gli organizzatori
degli attentati erano le "18 persone del gruppo O.N." che avevano
compiuto un viaggio in Grecia, erano poi riuscite a infiltrarsi tra i "cinesi"
e gli anarchici e, nel circolo 22 Marzo, avevano collocato una loro spia.
Dalla clinica Ambrosini ha scritto una lettera al ministro degli Interni Restivo,
suo amico personale, per comunicargli di essere in possesso di notizie importanti
circa gli attentati. Qualche giorno dopo ha affidato una seconda lettera a Achille
Stuani che l'ha consegnata al segretario particolare del ministro la mattina
dei 15 gennaio 1970. Ma non risulta che l'avvocato Ambrosini sia mai stato interrogato.
Eppure, vere o immaginarie che siano le sue rivelazioni, varrebbe comunque la
pena di ascoltarlo. Ammesso che si possa arrivare in tempo, considerato il suo
precario stato di salute.