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Balestrini, che già con Gli invisibili aveva affrontato
le esperienze della ribellione sociale di quegli anni, con L'editore ha messo
al centro dell'operazione narrativa uno degli episodi emblematici del periodo,
la morte dell'editore Feltrinelli in un tentativo di atto terroristico.
Ci si può chiedere se Balestrini non si sia per caso spostato dai modi
di scrittura della modernità avanguardistica, che gli sono propri, a
quelli del postmoderno. La messa in scena di un gruppo di personaggi che preparano
una sceneggiatura cinematografica sul caso e discutono fra loro sulle modalità
della narrazione, l'interferenza continua tra le vicende dei personaggi contemporanei
e quelle della storia passata di ciascuno; il montaggio disorientante di brani
narrativi, cronache di giornali, testi dei media; l'utilizzazione, a supporto
di una vicenda d'amore fra due dei protagonisti, di citazioni da un testo di
riferimento (un "sottotesto") letterario, Sotto il vulcano di Lowry:
questi procedimenti possono far pensare a un'adozione dei modi del postmoderno.
In realtà a me sembra che Balestrini, in questa che è forse la
sua prova di narratore più matura e riuscita, rimanga saldamente ancorato
ai modi del moderno. La forma della scrittura è quella stessa de Gli
invisibili: 12 "scene", suddivise ciascuna in 25 paragrafi di 10-12
righe, senza maiuscole o segni di interpunzione. li lettore è invitato
a ricostruire la sintassi interna del discorso, il ritmo lento o scandito o
concitato della voce narrativa, delle frasi e dei lacerti di pensiero, cronaca,
descrizione, dialogo; e la stessa sintassi, efficacemente, si applica ai passi
citati dai giornali, dai documenti, dal romanzo di Lowry. I paragrafi, inoltre,
attraverso l'accostamento e l'effetto di accumulo, si caricano di echi e significati
grazie al ritmo del montaggio e ai rapporti di interconnessione. Si tratta di
una tipica scrittura "moderna", che smonta i linguaggi consunti per
farli ritornare "nuovi". Anche l'uso di un testo di riferimento letterario
fa parte dei procedimenti tipici della "modernità", basta pensare
a Joyce o a Broch; la scelta di Sotto il vulcano non ha qui nulla di parodistico
o del "cult".
L'intera narrazione, in realtà, è organizzata secondo un modello
costruttivo abbastanza preciso: si va dalla scena iniziale, in cui è
descritta dettagliatamente, con precisione tecnica, l'autopsia del cadavere
di Feltrinelli alla grande scena finale (già celebrata in altri testi
letterari) dei suoi funerali. A questa scena segue un breve capitolo in cui
si immagina che i personaggi chiamati a ricostruire il caso propongano, conclusivamente,
la spiegazione di come sono andate le cose. Da un momento di "anatomia"
severa, fredda, conoscitiva, a un momento di celebrazione rituale pietosa, commossa,
retorica, a un ultimo momento rapido, nuovamente freddo, referenziale, con la
soluzione, come in un poliziesco, dell'intrigo. Dalla scomposizione alla ricomposizione.
Lo smontaggio narrativo, dunque, non ha la funzione di disorientare, bensì
quella di moltiplicare le prospettive storiche da cui può essere guardata
la realtà, senza intaccare alcuni "valori". Tra questi c'è
sicuramente, per Balestrini, anche la rivendicazione del significato positivo
delle esperienze politiche degli anni Settanta: "quello che è rimasto
- dice un suo personaggio - nella memoria di quasi tutta la gente di quel periodo
degli anni '70 è che è stato un periodo cupo e sanguinoso mentre
come tutti ci ricordiamo è stato un periodo si duro e teso ma soprattutto
di vitalità e di gioia e di intelligenza e di passione."
Remo Ceserani