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Questa invisibilità del movimento degli anni '70 finito
in galera, così fitta da far pensare ad alcuni di noi che si sono ostinati
a parlarne di essere dei "fissati", è per la seconda volta
lacerata nelle patrie lettere dal volume di Nanni Balestrini, Gli invisibili,
che registra una voce dal carcere, quella di
Sergio, e le dà una forma splendida, come se quella sua scrittura nitida
e scandita stavolta trovasse la ragione delle sue ragioni, sola nota possibile
per questo racconto che viene dalle nostre spalle.(...)
Nel libro di Balestrini è invece denso d'un decennio, non frammentato,
visto da "dentro" ma in continuità con il prima e il fuori,
e colto in un soggetto assolutamente tipico, e in questo senso collettivo. Ancora
presente e invisibile. Sergio lo abbiamo visto correre per le strade davanti
alla polizia, qualche volta tirare una molotov, conosciamo i suoi occhi lacrimanti
per le granate e l'espressione ostinata e sorpresa di quando la polizia gli
salta addosso. Lo abbiamo visto a Milano, Torino, Roma, in qualsiasi manifestazione
ci portassero i nostri non più sveltissimi piedi; ma anche nelle assemblee,
nei bar, nelle comuni, nei gruppi. Sergio senza l'esperienza di Sergio sta anche
ora per le strade, e se non ha, e forse non sa, la storia di Sergio è
perché è nato dopo e quindi ignora quanto di sé sia o sia
stato in galera; sa appena quanto di sé sta nella droga, che è
una delle galere utili all'ordine stabilito, perdipiù affollate senza
bisogno di carabinieri e magistrati.
Sergio è l'invisibile. Ora restituito da Balestrini, era il "movimento"
più immediato e grezzo, ma prodotto da un macinio di idee e concetti
che forse non aveva traversato, ma di cui gli arrivavano i terminali come una
nuova affermazione dell'io, un io non solitario, possibile e forte e lieto e
voglioso, ma negato dalle molte coazioni senza senso che gli presentavano scuola
e/o fabbrica, paese e/o città, tutto ciò che non era lui e quindi
come lui, e cui quindi reagiva negando.
No al preside, ai decreti delegati, al lavoro sfruttato, cui opponeva l'assemblea,
il picchetto, anche il sabotaggio, che era meno dannoso del produrre - ammonito
sempre da qualche gufo saggio dei gruppi o del sindacato che lui, Sergio, sbagliava
in quanto non costruttivo; senonché chi l'ammoniva non riusciva né
a costruire, né a dare ragione di Sergio a Sergio, e neanche di sé
a se stesso - come la storia ha presto dimostrato. Nulla è stato impedito,
dal non aver capito e abbracciato Sergio, da parte di chi si diceva con le forze
del cambiamento. Sergio era il cambiamento allo stato grezzo, anche incolto
e ingenuo; ma frutto d'una miniera, un pozzo di storia e idee, sulla quale continua
a regnare l'oscurità. (...)
Credo che bisogna essere grati a Nanni Balestrini per aver dato la sua scrittura
a questa crudele educazione sentimentale di un ragazzo degli anni Settanta.
Chi cercherà, un giorno, altre singole vite ritroverà questo tessuto,
la verità di questi passaggi fra bisogno, quasi selvaggio, di una appena
intuita liberazione e la riduzione del corpo e della mente nel luogo in cui
tutte le coazioni e le assurdità della società presente si condensano,
il carcere. A questa verità la scrittura di Balestrini offre il registro
fermo, senza urla né languori, di una coscienza sveglia e in attesa.
Rossana Rossanda
Di autoproduzione parlavo con Sergio Bianchi. Dal quinto piano del suo rifugio
sul Lungotevere portava avanti "DeriveApprodi" praticamente da solo.
Percezioni del presente. Come un instancabile lo vedevo cercare alleati nel
conflitto comunicativo. Uno come lui l'aspettavo. Uno di quelli che incontri
una volta ogni dieci anni. Uno che dà. Uno che ti mette in difficoltà
e ti fa lavorare il cervello, ma alla pari, senza un cencio di spocchia da intellettuale
da salotto. Sergio è quel ragazzo autonomo della provincia di Varese
che con la sua vita ha scritto un libro che è storia, Gli invisibili,
di Nanni Balestrini. Un giorno gli ho chiesto: "Perché non hai messo
anche il tuo nome sopra il titolo?", mi ha risposto: "io ho raccontato...
Nanni ne ha fatto un'opera letteraria".
Quando l'ho conosciuto guardava a distanza il nostro lavoro nella musica e il
mondo dei centri sociali. Considerava la teoria di questo universo non debole,
inesistente. E la pratica autoreferenziale. Dopo la Pantera si era convinto
a rimettersi in marcia. "...Com'è possibile che il letamaio degli
anni Ottanta abbia prodotto fiori coscienti del fatto che forme e contenuti
della comunicazione sono le condizioni indispensabili per non farsi calpestare,
annientare subito?". Il suo campo di battaglia era la lotta alla colonizzazione
mentale, la cultura, la possibilità di parlare. Per lui le relazioni
al primo posto, la rete. Lo vedevo mettere in contatto persone tra loro, raccogliere
articoli, produrre libri, passare ore al telefono con tutte le città
d'Italia. Si appassionava ai destini umani e avrebbe voluto per ognuno una sistemazione.
Diceva: "Bisogna mettere i saperi a disposizione dei centri sociali per
farli diventare i luoghi della cultura in città", ma poi ogni volta
che ci entrava dentro ne usciva depresso... troppi problemi inutili mi ripeteva,
troppe paranoie, quelli sono luoghi per incontrare persone, per socializzare,
punto. L'autoproduzione la sentiva una camicia diforza. Per continuare il suo
lavoro lo vedevo scrutare nel mercato... me ne parlava come un campo di battaglia,
una guerra, mi diceva che incontrava papponi, furbi, fighetti, piccoli yuppie
cresciuti che parlavano di imprese e denari e a cui avrebbe volentieri fatto
saltare il cervello... e a cui intanto dedicava un pensiero:
"Oh se siete bravini
piccoli operatori culturali
con le vostre manine pulite
addestrate e svelte
a sciacquettare le acque marce
degli anni in cui siete cresciuti
Oh se siete bravini
a fare la schiuma dell'evoluzione
ora che la rivoluzione è finita
dite e ridite
perché l'avete sentito dire
non vi ricordate più da chi
Esibizionisti narcisisti
col culo incipriato cinguettate
cicisbei
nei salotti scemi dei giornali
delle radio e delle televisioni
annunciando il nuovo con il niente
Cinguettate anche con noi
pensate di tenerci buoni
per quanto credete che vi serviamo
ma il vostro timore traspare
quando vi sovvengono gli echi
della nostra confidenza con la benzina".