Biblioteca Multimediale Marxista


Capitolo 5

Un giorno l'alba sorse limpida nel cielo chiaro sulla capanna della selva. E negli occhi di Josefo corse una cascata di allegria. 1 suoi uomini - sciolta la rigidità della pelle - uscirono all'aperto, diedero fuoco alla capanna e, precedendo le intenzioni del loro stesso capo, si avviarono verso il sud. Josefo riprese la testa del gruppo seguendo, nel fango già secco, le orme lasciate dai cavalli dei corrieri d'un tempo. Non avvertì il peso del sole che si rompeva sulle sue spalle, non avvertì lo scroscio delle piogge che l'avvolgevano ogni giorno sul far della sera: fiutava le impronte, le cercava con gli occhi, e solo quando oltrepassò il confine della zona sud si sentì le spalle e il volto risecchi, spaccati come un deserto. Era arrivato troppo tardi.
Due giorni prima, i missionari dell'ampia regione erano partiti da Rio Chiquito per la capitale, per trattare con monsignor Builes il destino dei villaggi, il modo di farla finita con il loro malodore e le centinaia di piante e rimedi che i curandero nascondevano in luoghi segreti. Tornarono due giorni "dopo, a mezzanotte, con il volto illuminato dà una felicità tenera e un'enorme, vecchia valigia che rinserrava, nel fondo, il duplice ordine di distruggere i villaggi e di cancellare dalla faccia della terra il seme stesso degli indios.
A riceverli, c'era monsignor Vallejo, la maggiore autorità della zona, che non s'era unito a loro nel viaggio alla capitale perché troppo occupato a scrutare gli occhi cristallini degli indios per scoprire se dietro l'eterna calma che vi era dipinta non si nascondesse la macchia della morte. Li accolse benedicendoli, prese la valigia di slancio e, prima di far ritorno a palazzo, incaricò il missionario più giovane di svegliare - per favore e con la dovuta gentilezza - il sindaco Santos Urrego e di portarlo da lui, spingendo, sempre con la debita delicatezza, la carrozzella di ferro e legno sulla quale il poveretto era costretto a vivere dall'età di vent'anni.
Quando giunse, e le ruote della carrozzella s'arrestarono davanti alla pietra dei gradini, monsignor Vallejo in persona si presentò ad accoglierlo e volenterosamente lo sollevò e spinse fino al salone dei ricevimenti. «Mi scuso», disse Vallejo ritirandosi per un attimo nella stanza della resurrezione. E tornò subito con un vaso di pomata tra le mani, vi immerse la punta delle dita e se la spalmò sulle centomíla rughe del volto che, al contatto, si stiravano, come si stirava la membrana trasparente e livida che gli copriva a mezzo gli occhi. «Miracolosa», disse. «E prova a immaginare che cosa devono essere, al confronto, i miracoli dei santi in paradiso».
«Forse», disse Santos esitando, «questa pomata potrebbe anche restituirmi le gambe».
«No», rispose serio Vallejo massaggiandosi lo stomaco enorme, «Dio non restituisce i beni che ha espropriato». E Santos rise amaro pensando che probabilmente aveva sbagliato a farsi militare anziché vescovo.
Seduto accanto alla carrozzella, Vallejo aprì la valigia, ne estrasse l'oidine manoscritto e timbrato con il sigillo del vescovo principale: «Prima dell'alba», disse, «dobbiamo riunire i gruppi incaricati di accendere la miccia del massacro: avverrà alle dieci in punto, quando gli indios usciranno dalla messa festiva».
Gli uomini erano già in attesa. Vallejo li chiamò con un fischio: erano una settantina, avvolti in ruane scure, la faccia nascosta dai cappelli di paglia e i piedi infilati in sandali scalcagnati. Portavano le armi sotto le camicie. Vallejo chiamando presso di sé il più alto, quello dall'aria più arrogante, gli ordinò di aiutarlo a prepararsi. Attraversò poi la sala, spalancò l'anta di un armadio e ne estrasse un paio di baffi rossi e curvi come ali di passero; un paio di gambali dalla pelle dura come pietra e un paio di pantaloni che Santos gli aveva regalato l'estate prima, in un attacco di euforia, proprio perché se ne servisse nel momento in cui monsignor Builes e Napoleon Lleras avessero deciso di sistemare per l'eternità metà della popolazione del paese a filo di machete. Toltosi la ruana, l'uomo applicò con estrema cura i mustacchi intorno alla bocca di Vallejo; lo fece stendere sul tappeto per calzargli i gambali e fu costretto a inginocchiarglisi sopra per appiattirgli l'irriducibile ventre e infilargli i pantaloni.
Aspettarono ingrassando i fucili, affilando i machete e quando l'imponente orologio della chiesa suonò le dieci, in gruppo, sospingendosi l'un l'altro, trascinandosi dietro la carrozzella di Santos, si rovesciarono sulla piazza armi alla mano, perché gli indios che non erano ancora entrati in chiesa per la messa potessero rendersi conto, prima di morire, che la conquista pacifica delle anime era una storia vecchia come l'Inquisizione e che, da quel momento, non ci sarebbe stata per loro salvezza spirituale né forma di vita diversa da quella che avrebbe loro regalato monsignor Vallejo cancellandoli per sempre dalla faccia della terra. Per un istante la piazza si trasformò in un forno di silenzio e di calore solcato dal luccicare delle canne dei fucili puntate contro l'atrio della chiesa. Ma appena i primi indios sottili, straccioni, con i volti tranquilli e pacifici vi posero piede, monsignor Vallejo, trascinato da una visione, riconobbe in loro le mille streghe bruciate vive durante l'Inquisizione, si senti corpo e anima posseduti dallo spirito di monsignor Luque e premette il grilletto e continuò a premerlo finché sul pavimento dell'atrio ci fu soltanto un fiume di sangue ribollente i cui vapori penetravano acri nelle navate del tempio soffocando gli indios che vi si erano rifugiati e costringendoli a uscire allo scoperto.
Allora, fucile spianato, obbligò i superstiti ad allinearsi in due file parallele e, consegnando loro picconi e pale, ordinò che ciascuno scavasse: la fossa doveva essere lunga come l'intera fila e profonda come il più alto degli indios. Obbedirono con zelo, con disperazione, poi rimasero immobili, intrisi di sudore, sgomenti. Vallejo si avvicinò e - guardandoli negli occhi attraverso il disperato polveroso calore del mezzogiorno - aprì il fuoco sul primo poggiandogli la canna del fucile in mezzo alla fronte e cercando di far sì che lo stesso colpo spaccasse in due la testa dell'indios che si trovava all'altro lato della fossa.
Al terzo colpo sbagliato, il sindaco squittì dal profondo della sua carrozzella, pronto a scommettere una bottiglia di rum: se qualcuno lo avesse sollevato sarebbe riuscito a spaccare con un solo tiro di carabina la testa dei due poveracci che si trovavano di fronte, ai due lati dalla fossa. Vallejo accettò la sfida, mentre gli indios, guardandosi furtivamente l'un l'altro, cercavano di farsi coraggio per non morire prima che giungesse il loro turno.
Ma, alla decima fucilazione, il volto di Vallejo e dei presenti si trasformò in una smorfia dolorosa: il primo colpo riusciva a spezzare soltanto un ciuffo di capelli; il secondo smuoveva appena la testa del condannato; il terzo faceva sgorgare dalle sue tempie un filo di sangue giallastro e trasformava i suoi occhi in due cerchi di cenere supplicanti. Soltanto il quarto o il quinto tiro - ormai una raffica rabbiosa - riuscivano a colpire a morte. Per gli ultimi tre indios, Vallejo e Santos sprecarono sessanta tiri ma non riuscirono a torcer loro neppure un capello. Allora decisero di farla finita con la cupa atmosfera ch'era cresciuta intorno e di uccidere quegli indios ostinati facendoli a pezzi a colpi di machete. Ma, poiché i machete si spaccavano al primo contatto con la pelle degli indios e poiché da ogni loro ferita sgorgava una specie di polvere ironica che asfissiava i presenti, li gettarono vivi nella fossa, li calpestarono, li ricopersero di pietre e di sabbia finché la piazza ridivenne liscia, uniforme, compatta come nulla mai fosse successo.
Ritiratosi a palazzo, monsignor Vallejo si apprestò a leggere la seconda parte dell'ordinanza e di colpo arrossì di rabbia e vergogna: il massacro da perpetrarsi quel giorno non riguardava Rio Chiquito ma Puentado. Allora, con un grido di rabbia o disperazione, richiamò i suoi uomini. E partirono.
Non bastavano i camion per trasportare i cadaveri e l'imprevisto, che metteva in difficoltà il governo di Napoleon, venne subito captato da Josefo che - al riparo sulle colline - controllava attento ogni minimo segno di mutamento: d'improvviso, si rese conto che sulla strada che conduceva al precipizio nel quale venivano scaricati i cadaveri non si muovevano più i consueti, sgangherati camion di legno, ma giganti di ferro, lunghi come la via principale di Malena e ampi e alti al punto da nascondere la luce e toccare - così sembrava - le stelle. Giunse a pensare di star vivendo la vita di suo padre, o di aver prestato la propria struttura fisica allo spirito di suo nonno per fargli rivivere, dopo secoli, l'allucinante vicenda d'un tempo: dal tramonto all'alba, montagne di sangue e di cadaveri senza volto né forma, simili ai mostriciattoli gelatinosi procreati dai militari di Malena, s'alzavano verso il cielo come torri informi, a ogni angolo del giorno, in ogni luogo. E era come se il ricordo lo svuotasse in una specie di inerzia senza scampo: perché tutto si ripeteva negli anni e nei secoli con disperata e disperante monotonia che irrideva ogni speranza di salvezza, ogni illusione di libertà, ogni tentativo di ribellione crucifiggendole a una catena di morte e di morti impotenti, inutili.
Così, con la pancia al sole come lucertole stanche, contemplando nel pensiero l'eterno girare delle ruote sulla strada e l'accatastarsi delle vittime sul fondo del burrone, Vallejo colse Josefo e i suoi uomini: «Fermi», gridò, «siete circondati, arrendetevi figli di puttana».
Josefo non si preoccupò neppure di alzare le mani, si lasciò premere sulla schiena la canna di un fucile mitragliatore, assorto, inerte. Ma, guardando pigramente in alto, tra gli alberi, scorse uno dei suoi, Manuel Matusalem, appollaiato tra i rami come un uccello: ebbe una specie di brivido: «Siamo come la peste, ce n'è sempre un altro che continua» disse a voce alta mentre Vallejo e i suoi-euforici guerrieri lo sospingevano, insieme al gruppo, verso uno dei mostri di ferro che, vuoti, facevano ritorno dal precipizio.
Consegnato Josefo alla direzione del carcere nazionale, Vallejo corse al palazzo cardinalizio perriscuotere il riscatto. Quadri e tappeti erano polverosi come li aveva lasciati quindici anni prima; la grande poltrona damascata conservava ancora l'impronta delle sue enormi natiche. «La guerra rispetta questa casa» pensò mentre il vescovo Builés, come trascinato da un turbine, gli correva incontro a braccia aperte. «Meglio ti dica subito» esordì stringendolo con forza a sé, «che negli ultimi quindici anni, dopo la morte di Luque, Napoleon s'è dimenticato di procedere alla nomina dei nuovi cardinali. Così, per anzianità, il posto è toccato a me. Ti bacio con riconoscenza per la cattura di Josefo ». Vallejo si scostò altezzoso: «Voglio i centomila pesos della taglia, la ricompensa che mi spetta, altro che baci! »
Builes aperse sconsolato le braccia e si lasciò cadere come un cane vecchio sull'istoriato scranno cardinalizio:
«No, figlio mio» mormorò, «quei centomila pesos hanno già un padrone. Ieri un certo Manuel Matusalem ha avuto la sfrontatezza di lasciar scritto il suo nome, capisci? se li è rubati... »
«Impossibile. Mi è sfuggito per un soffio appena qualche giorno fa. Ma ho arrestato tutta la banda, e come avrebbe potuto un uomo braccato, isolato... »
«Se è un uomo di Josefo» disse Builes con un accento di dura severità nella voce, «tu sei direttamente responsabile del furto e non puoi pretendere riscatto di sorta. Anzi: l'essertelo lasciato sfuggire potrebbe esserti imputato a colpa... »
Vallejo, smarrito, alzò gli occhi sull'immagine di Pedro Claver che gli era di fronte e lo fissava con sguardo persecutorio, lo stesso che un tempo sembrava posarsi su di lui da ogni angolo del palazzo in una specie di scoperto disprezzo. Anche ora, o almeno così avrebbe dovuto essere perché, in quanto santo, aveva il diritto e la saggezza necessaria per giudicare e con- - dannare gli errori: «La prossima volta mi perdonerà», mormorò chinando umilmente il capo.
«Insomma, dimmi che cosa vuoi fare», gridò Builes rallegrandosi per l'effetto delle proprie parole. Vallejo uscì dal suo stato di sonnambulismo e scattò in posizione di attenti: «Sua reverenza, non mi interessa più il denaro: ho a cuore soltanto la gloria del nostro azzurro partito. E preghi per me San Pedro Claver, di cui imploro perdono. Mi son fatto sfuggire Manuel Matusalem, la sua cattura sarà il mio riscatto».

Cien Puertas posò il revolver sull'ultima pagina dell'ultimo volume e gridò a Josefo: «Alzati, andiamo alla cella che ti ho preparato». Ma Josefo non lo sentì perché ormai da due giorni era caduto in un sonno roccioso e in quell'esatto momento stava vivendo nel ventre di sua madre e affilando il coltello che gli sarebbe servito', alla nascita, per tagliare il cordone ombelicale.
«Andiamo!» tuonò di nuovo Cien Puertas picchiandogli una manata sulla spalla. Josefo aprì gli occhi e infilò i polsi nelle manette che il comandante Elisandro gli porgeva.