Biblioteca Multimediale Marxista


Prefazione


Nell'ottobre 2000 la britannica "The Face", principessa sul pisello delle riviste trendaiole-patinate, cadeva giù dalla sua pila di materassi e, con diversi anni di ritardo, rendeva conto di una "nuova scena", quella di chi preferisce la gioiosa sovversione dal basso (in inglese si userebbe la parola "grassroots", radici dell'erba, cioè il livello della gente comune) al consumo coatto di merda presuntamente glamourous. Il "prestigioso" rotocalco di moda, musica e club culture informava i suoi lettori che nel mondo operano migliaia di pranksters, attivisti della burla mediatica, e che nuove forme d'azione agitano il conflitto sociale. In un articolo intitolato "Pranking is Anarchy" [Le beffe sono anarchia], tale Christian Koch inanellava finti scoop, fraintendimenti e citazioni di quarta mano cercando di descrivere molti dei gruppi e fenomeni che l'Autonome a.f.r:i.k.a. gruppe aveva descritto in tempi non sospetti nel libro che avete in mano. Questo per dire che l'argomento non è soltanto attuale, è addirittura à la page.
Non c'è dubbio che la situazione attuale sia favorevole alla sperimentazione di tattiche e strategie di resistenza ludica all'oppressione e alla barbarie neoliberista. Ma l'Handbuch der Kommunicationsguerilla è stato scritto alla metà degli anni Novanta, quando - nonostante i prodromici exploit francesi e chiapanechi - un movimento come quello odierno non ce l'immaginavamo neppure. È importante dirlo.
Dopo l'ormai leggendaria "battle of Seattle" del 30 novembre 1999, i "Mr. Jones" di tutto il mondo - mi si perdoni la trivialità della citazione dylaniana - si sono accorti che "i tempi stanno cambiando". Per tutto l'ultimo anno non c'è stata mobilitazione internazionale che i media italiani non abbiano commentato parlando del "popolo di Seattle". Tale espressione era vaga, onnicomprensiva, oltremodo irritante, ma era comunque un indicatore dell'efficacia icastica della prassi del movimento: scattava quando il giornalista incocciava in inedite forme di propaganda e azione diretta. Il primo esempio che mi passa alla mente sono le "Tute Bianche", i cui arieti di gomma e scudi di plastica (oltre al beffardo détournement di espressioni come "disobbedienza civile") stanno rivoluzionando il modo di stare in piazza e affrontare le forze dell'ordine, prevenendo la demonizzazione e scompaginando le categorie interpretative dei cronisti.
Dopo la "battaglia di Praga" del 26 settembre 2000, e dopo alcune mobilitazioni difficili da ricondurre allo schema visto a Seattle (per esempio le dimostrazioni antiamericane di Okinawa), l'espressione e stata sostituita da una altrettanto imprecisa ma meno caramellosa: "il movimento antiglobalizzazione".
A chi fa ancora lo schizzinoso per via di parole d'ordine un po' troppo "umanitarie", frequenti mediazioni "al ribasso" e, non ultima, la presenza di qualche prete tra le fila dei contestatori, io rispondo che sono abbastanza vecchio per essermi sucato gli anni Ottanta e tutti i suoi giorni di merda, smarrimento e frustrazione che un Dio sadico mandò in terra e i suoi baciapile definirono in blocco "Riflusso". Il teenager che ero si sarebbe succhiato un gomito per avere condizioni come quelle odierne, mentre intorno c'era l'hardcore punk e poco altro, voci di una ribellione talmente pessimistica da somigliare al proprio contrario.
Oggi invece mi sembra si cerchi di andare oltre la pura testimonianza, per incidere sulle decisioni prese dai "Grandi". Limitatamente, ci si riesce. Si è in grado di produrre l'effetto di prospettiva comunemente definito "opinione pubblica". Alle giornate Mobilitebio di Genova (24-26 maggio 2000) è seguita una presa di posizione del governo italiano in sede europea contro la sperimentazione sugli Organismi Geneticamente Modificati.
Si incide anche e soprattutto sul morale delle controparti. Cito un bell'articolo di Javier Moreno, inviato del quotidiano "E1 Pais" (28 ottobre 2000) sulla battaglia di Praga:

La pressione di migliaia di manifestanti nelle strade e le critiche devastanti incassate in questa settimana si sono sommate alla crisi del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, che ieri hanno deciso di anticipare di un giorno la cerimonia di chiusura... Quando la decisione è stata annunciata, la desolazione è scesa nella sala delle assemblee plenarie, semivuota, dato che erano pochi i delegati che, dopo i tumulti di martedì, avevano voluto correre il rischio di essere presi a pietrate all'uscita degli hotel o di restare chiusi di nuovo nella sede dell'assemblea... Commosse per gli avvenimenti di martedì, le autorità di ambedue gli organismi hanno deciso che la pressione era insostenibile, in una riunione d'urgenza convocata ieri la mattina presto, secondo le nostre fonti... si è deciso di metter fine al calvario in cui si stava trasformando la riunione. Le orde degli oppositori hanno immediatamente gridato al successo, e Alice Dvorska, una delle portavoci di Inpeg... si è mostrata felice dell'esito finale della riunione e del danno inflitto all'élite del capitalismo: "Non so se questo sia conseguenza diretta della nostra vittoria di ieri - ha detto - ma sicuramente abbiamo contribuito". Il movimento mondiale contro la globalizzazione annota così, dopo Seattle e Washington, un altro trionfo. Una vittoria seria, anche, perché le proteste non sono solo riuscite a interrompere l'assemblea. Funzionari della Banca e delegati hanno ammesso in privato che i costi e la tensione di questo tipo di riunioni internazionali cominciano a essere troppo alti. La capacità di pressione e organizzazione dei manifestanti anticapitalisti presuppone, di più, un aumento di tensione che impedisce di tenere normalmente un'assemblea, sottoposta al fuoco incrociato di uova e insulti. "Forse dobbiamo riunirci ogni due anni", rifletteva un alto funzionario che chiede l'anonimato... Perfino le Ong accreditate come interlocutori del Fmi e della Bm hanno espresso critiche di tale ferocia da ferire l'animo dei funzionari. Ieri, in una riunione con Jubilee 2000 - una delle Ong più serie in favore del condono del debito ai paesi più poveri - KoehIer e Wolfensohn hanno ricevuto a sorpresa delle croci come simbolo dei 19 mila bambini che ogni anno muoiono e che potrebbero essere salvati con i soldi del debito che l'Occidente rifiuta di annullare.

Sapere che si può incidere è un vero sollievo: alzi la mano chi non era stanco di "vittorie morali". Come scrisse Jaroslav Hasek: "Raggiungono la vittoria morale tutti coloro a cui l'avversario spacca una gamba. Tolstoj una volta ha detto che la vittoria morale è una cosa luminosa e Masaryk stima altamente la vittoria morale, ma né Tolstoj né Masaryk hanno mai avuto il naso rotto". (1)
Certo, la sperimentazione deve rimanere tale, aperta e imprevedibile. Già mostrano la corda diversi schemi e trucchetti a cui il movimento è ricorso nell'ultimo anno, ivi compresa la formazione "a testuggine" delle Tute Bianche. Si badi bene: non sto parlando di "recupero", categoria paranoica di cui dovremmo liberarci una volta per tutte, buttarla nel cesso assieme alla dittatura spirituale postuma di chi l'ha introdotta (2). Sto parlando di soggettività, del connubio di efficacia e godimento, dei rapporti di forza su un "mercato dell'attenzione" oggi più che mai "sovraccarico" (Franco Berardi).
Il fatto che nella vetrina di Bollini (boutique bolognese di streetwear e moda giovanile) un manichino indossi tuta bianca, anfibi, bandana e maschera anti-gas non è necessariamente negativo. Tutto questo per dire che un testo come l'Handbuch, al di là di molte pesantezze - o weh! - tipicamente teutoniche, è forse più utile nell'Italia di oggi che nella Germania di tre-quattro anni fa.
Rispetto all'edizione originale, invero cervellotica, il libro ha subìto diverse ristrutturazioni e alterazioni. Da "ipertestuale" che era, l'impaginazione è diventata lineare. Non pochi paragrafi sono stati espunti perché avrebbero necessitato di un abnorme apparato di aggiornamenti, spiegazioni e rettifiche. Un intero capitolo è stato tagliato perché mi sembrava ripetere in maniera pedante - addirittura con le stesse identiche parole - concetti già espressi in altre parti del libro. Tutti i riferimenti (in Italia triti e ritriti) al nostro movimento del '77 sono stati eliminati. In quanto editor del libro, mi assumo personalmente la responsabilità di questo remix.
Non so se esiste un "profilo medio" del lettore o della lettrice dei saggi di "Derive Approdi", io me ne sono fatto un'idea, forse completamente sbagliata ma in base alla quale diramo un consiglio: non leggete questo "manuale" con l'approccio di chi vuole spaccare in quattro il capello di Virno (che tra l'altro è quasi pelato) o cercare una certa macchiolina sugli occhiali di Negri. Non curatevi del fatto che nel libro non troverete i concetti e vocaboli più in voga in certi milieux italiani, tra compagni/e che, con tutto il rispetto, a volte scrivono come Bartezzaghi in overdose da funghetti.
La caratteristica più importante e interessante dell'Handbuch è senz'altro la fitta aneddotica, decine e decine di azioni e interventi ludici, anche e soprattutto da scene politiche e controculturali di cui in Italia si sa ben poco. Assaporate il retrogusto ruvido, leggermente "torbato" di questo piccolo best-seller dell'ultrasinistra germanica. Buona lettura.


Wu Ming Yi (Roberto Bui)
Bologna, ottobre 2000