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Lenin e la teoria marxista dell'imperialismo
Questo articolo è stato pubblicato sul n. 4 del 1952 della rivista sovietica "Voprosy ekonomiki". I titolini sono nostri.
Lenin, come si sa, ha sviluppato e arricchito grandemente la
teoria marxista nel suo insieme e l'economia politica marxista in particolare.
E una delle pietre angolari della scienza economica marxista-leninista è
rappresentata dalla teoria dell'imperialismo, profonda ricerca scientifica della
fase superiore e ultima dello sviluppo del capitalismo, la sua fase monopolistica.
Nel suo geniale lavoro "Imperialismo, fase suprema del capitalismo"
Lenin si richiama al "Capitale" di Marx, in cui, con una precisa e
accurata analisi teorica e storica del capitalismo, viene dimostrato che la
libera concorrenza genera necessariamente la concentrazione della produzione
e che quest'ultima, a un certo grado del suo sviluppo, conduce al monopolio.
Sulla base dell'evoluzione delle forze produttive e dei rapporti di produzione
del capitalismo, infatti, - che avviene in conformità con le leggi economiche
scoperte da Marx e da Engels, - nel corso dell'ultimo terzo del XIX e agli inizi
del XX secolo, nella vita della società capitalistica sorse ed ebbe gradualmente
ad assumere un rilievo decisivo tutta una serie di nuovi fenomeni quali le unioni
monopolistiche dei capitalisti, che ebbero subito ad occupare una posizione
dominante nella vita economica dei vari paesi capitalistici. Il dominio dei
monopoli, poi, coinvolse non soltanto l'industria, ma anche l'attività
bancaria, con il che le banche presero a svolgere un ruolo sostanzialmente nuovo
rispetto al precedente periodo premonopolistico; tant'è che, accanto
ad una crescita dell'esportazione delle merci, sorse ed assunse un grande rilievo
la esportazione dei capitali. Le unioni internazionali dei monopolisti presero
allora a dividere economicamente il mondo, mentre in seguito le conquiste coloniali
delle potenze imperialistiche portarono a compimento la sua spartizione territoriale
in sfere d'influenza.
Il passaggio all'imperialismo
Il passaggio dalla libera concorrenza ai monopoli ha rappresentato un fenomeno
che è indissolubilmente legato al processo di diffusione dei rapporti
capitalistici sull'intero globo terrestre. Nel suo principale lavoro e negli
scritti ad esso preparatori Marx, con grande perspicacia, rilevò - come
egli si espresse, - l'enorme e dirompente "forza propagandistica"
del capitale, con la quale egli intendeva la capacità del capitalismo,
a differenza dei precedenti modi di produzione, di conquistare rapidamente un
paese dopo l'altro. Tuttavia, se con il passaggio all'imperialismo venne a formarsi
un unico sistema economico capitalistico mondiale, questo, però, non
significò affatto che il capitalismo fosse diventato un sistema economico
che coinvolgeva l'intera umanità. E questo perché a un tale ruolo
il capitalismo, per sua stessa natura e dato il tipo spontaneo e anarchico del
suo sviluppo sulla base della proprietà privata sui mezzi di produzione,
non è in grado di giungere. Un capitalismo "puro" non è
mai esistito e nemmeno potrà mai esistere, perché i rapporti capitalistici
- sia pure nell'ultimo stadio di sviluppo del sistema borghese, - inevitabilmente
si combinano con un enorme mare di forme economiche precapitalistiche.
Questi sostanziali mutamenti nella vita economica e politica dei paesi capitalistici
crearono una nuova situazione anche per la lotta di classe del proletariato
per il socialismo.
Infatti, per realizzare la sua grande missione storica - l'abbattimento del
capitalismo e la costruzione di una società socialista, - la classe operaia
doveva, d'ora in poi, essere armata della conoscenza non soltanto delle leggi
di sviluppo del capitalismo in generale, ma anche delle specifiche leggi del
suo stadio monopolistico: l'intero complesso dei nuovi fenomeni che lo caratterizzano
richiedeva imperiosamente dai marxisti una sua rigorosa e precisa analisi scientifica.
Lottando contro l'opportunismo della 2a Internazionale, Lenin sollevò
allora in alto la bandiera di un marxismo creativo e attivo, in grado di evolversi
efficacemente in relazione ai mutamenti della situazione storica. Mentre gli
opportunisti cercavano di aggrapparsi a singoli principi del marxismo ormai
invecchiati per trasformarli in un dogma che disarmava la classe operaia nella
sua lotta contro la borghesia, Lenin fece invece avanzare la teoria marxista
e la arricchì con nuove e grandi scoperte. A lui appartiene infatti il
merito storico della prima e più rigorosa analisi scientifica marxista
dello stadio monopolistico del capitalismo e di aver scoperto con essa la legge
dell'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico dei paesi capitalistici
nell'epoca dell'imperialismo. Su questa legge, poi, si basa la nuova teoria
della rivoluzione socialista che rigettò come invecchiati i precedenti
principi del marxismo sorti nel periodo del capitalismo preimperialistico, quando
i marxisti ritenevano che la vittoria del socialismo in un solo paese fosse
impossibile, dovendo essa prodursi simultaneamente in tutti i paesi civilizzati.
Sulla base dello studio del capitalismo imperialistico, invece, Lenin, partendo
dalla teoria marxista, rovesciò questa impostazione come invecchiata
e la sostituì con una nuova teoria della rivoluzione socialista che pose
la questione del carattere del crollo del capitalismo su di un piano più
concreto e pratico: dalla asincronia di maturazione della rivoluzione socialista
nei vari anelli del sistema capitalistico mondiale ne derivò la conclusione
che il crollo del capitalismo e la vittoria del socialismo si hanno mediante
il consecutivo distacco dei singoli paesi dal sistema capitalistico.
E l'intera esperienza storica dello sviluppo mondiale del secolo odierno ha
brillantemente confermato questa conclusione.
Una serie di rilevanti aspetti dello stadio monopolistico del capitalismo attrasse
la viva attenzione di Lenin fin dagli inizi della sua attività rivoluzionaria,
e in particolare dagli inizi del XX secolo. Ma il suo principale lavoro sull'imperialismo
egli lo scrisse nel 1916, nel periodo cioè della prima guerra mondiale,
quando la Russia stava maturando una grande rivoluzione popolare e il Partito
comunista preparava la classe operaia all'assalto diretto contro il capitalismo.
Il lavoro di Lenin sull'imperialismo, però, vide la luce soltanto dopo
la rivoluzione democratico-borghese del febbraio 1917 in Russia. Nella sua prefazione,
scritta già dopo la caduta dello zarismo, Lenin rivolge l'attenzione
del lettore sulla circostanza che questa sua opera era stata scritta per essere
pubblicata nelle condizioni della censura zarista, e che quindi fu costretto
a limitarsi rigorosamente ad una analisi esclusivamente teorica - economica
in particolare, - e a formulare le necessarie notazioni politiche con la più
grande cautela e ricorrendo ad un linguaggio esopico. Da qui il suo rinvio del
lettore agli articoli da lui stesso pubblicati negli anni 1914-1916 nella stampa
estera di partito, quali sono "Il socialismo e la guerra". "L'imperialismo
e la scissione del socialismo", gli articoli sull'"economismo imperialistata"
e sul diritto della nazioni all'autodeterminazione, "Sulla parola d'ordine
degli Stati Uniti d'Europa", "Il programma militare della rivoluzione
proletaria", e tutta una serie d'altri articoli che sono parte inscindibile
e integrante della ricerca di Lenin sull'imperialismo.
Sulla base di una profonda analisi teorica e storica dello sviluppo del capitalismo
durante il mezzo secolo trascorso dalla comparsa del "Capitale" di
Marx, Lenin giunse alla conclusione che, dopo la guerra franco-prussiana degli
anni 1870-1871 e dopo la Comune di Parigi del 1871, il capitalismo era giunto
ad una epocale sua svolta verso la decadenza.
Se Marx, nel "Capitale", oltre ad aver svelato le leggi generali di
sviluppo del modo di produzione capitalistico, aveva dimostrato che lo sviluppo
del capitalismo e la crescita delle sue contraddizioni creano le basi materiali
per il futuro rivolgimento socialista, nonché le sue premesse soggettive
- la classe operaia rivoluzionaria, - Lenin, da parte sua, e sulla base di una
analisi marxista dell'imperialismo, ha svelato quali debbano essere, con il
sorgere di sempre nuovi antagonismi, le concrete condizioni che consentono il
maturare della rivoluzione socialista.
Se Marx ha rivelato il carattere specifico delle leggi economiche del capitalismo
e ha stabilito la loro reciproca interazione e interdipendenza, Lenin, sottoponendo
ad una circostanziata analisi scientifica i principali indizi economici dello
stadio monopolistico del capitalismo, chiarì che il discorso non riguarda
qui fenomeni eterogenei e disgiunti, non reciprocamente legati tra loro, ma
un'unica catena di mutamenti che compongono un solo e indissolubile insieme.
Marx aveva dimostrato che il "capitalismo puro" è soltanto
un'astrazione, e Lenin, sulla base di una precisa indagine del capitalismo monopolistico,
giunse alla conclusione che un "imperialismo puro" non c'è
mai stato e nemmeno può esserci. L'imperialismo, infatti, è impensabile
senza una larga base di forme economiche premonopolistiche e perfino precapitalistiche,
dato che esso è, a suo modo, una "sovrastruttura" sopra il
vecchio capitalismo. I monopoli, nel crescere dalla libera concorrenza, non
la eliminano affatto questa base, ma esistono al di sopra di essa e accanto
ad essa, generando con ciò tutta una serie di contraddizioni, attriti
e conflitti particolarmente acuti e aspri. Proprio questa congiunzione di "principi"
l'un l'altro contraddittori - la concorrenza e il monopolio, - è essenziale
per l'imperialismo, e proprio essa, come Lenin ha indicato, ne predispone il
crollo e quindi la rivoluzione socialista.
L'analisi di Lenin dell'imperialismo, inoltre, ha arricchito lo stesso metodo
della dialettica materialistica, e in particolare con un riguardo specifico
all'economia politica. L'analisi scientifica delle categorie economiche del
capitalismo monopolistico data da Lenin ha rivelato fino in fondo il reale contenuto
dei processi che si hanno nella vita economica della moderna società
borghese. Il logico sviluppo di tali categorie, nella teoria leninista dell'imperialismo,
riflette il processo del loro sviluppo storico nella sua effettiva realtà
e riproduce un enorme materiale storico-concreto. Ad ogni livello dell'analisi
leninista la generalizzazione teorica si arricchisce e assorbe in sé
sempre nuovi aspetti della realtà, divenendo così più ricca,
concreta e pregnante.
La definizione di imperialismo
Esito ultimo dell'analisi leninista dell'imperialismo è la seguente conclusione:
"L'imperialismo è un particolare stadio storico del capitalismo.
E questa particolarità è triplice: l'imperialismo è (1)
- capitalismo monopolistico; (2) - capitalismo parassitario e imputridente;
(3) - capitalismo morente". In tale definizione il posto storico dell'imperialismo
è delineato con esauriente compiutezza, - l'imperialismo interviene quale
vigilia della rivoluzione socialista del proletariato.
Marx aveva elaborato la sua teoria economica in aspra lotta contro l'apologetica
borghese e la critica reazionaria piccolo-borghese del capitalismo, mentre Lenin
mise a punto la teoria dell'imperialismo in decisa e inesorabile lotta sia contro
gli aperti difensori dell'imperialismo, sia contro i nemici della classe operaia
che si atteggiano a suoi amici. Tant'è che il fuoco principale della
sua critica, o per così dire la sua artiglieria pesante, egli la concentrò
sulla teoria di Kautskj dell'imperialismo, ritenendola come il più pericoloso
procedimento di dissimulazione della essenza reazionaria del capitalismo morente.
La notevole perspicacia della valutazione di Lenin del kautskismo è stata
poi brillantemente giustificata dal corso stesso della storia. Sulla posizione
kautskiana di servilismo dinanzi alla borghesia si sono di fatto uniti tutti
i nemici della classe operaia intervenuti sotto la maschera del socialismo nel
periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale. Una originale versione, poi,
dell'interpretazione kautskiana dell'imperialismo quale uno dei possibili aspetti
della politica è l'odierna affermazione secondo cui il vecchio imperialismo
sarebbe morto e relegato nel passato, mentre oggi esisterebbero soltanto sue
sopravvivenze e la problematica scientifica ad esso relativa. Inoltre, e ancora
di recente, un difensore del capitale monopolistico come il Perroux è
intervenuto sulle pagine di riviste sia tedesche che americane proponendo di
sostituire l'odioso concetto di imperialismo con il nuovo e più "neutrale"
termine di "economia dominante".
Nel "Capitale" e in altri suoi lavori Marx, con ferrea logica, ha
dimostrato che ogni chiacchera sulla preservazione dei lati "buoni"
del capitalismo e sulla rimozione di quelli "cattivi", come pure qualsiasi
sogno su di un ritorno dal capitalismo ai rapporti patriarcali della piccola
produzione mercantile, altro non sono che una utopia reazionaria e piccolo-borghese.
Parimenti a ciò, l'analisi scientifica marxista di Lenin dell'imperialismo
ha anch'essa inferto un colpo distruttivo ad ogni sorta di illusioni piccolo-borghesi
e opportunistiche circa la possibilità di una presunta "riformazione"
del moderno capitalismo monopolistico mediante la conservazione dei suoi lati
"buoni" e l'eliminazione di quelli "cattivi": ogni sogno
o promessa reazionaria di voler ripulire il moderno capitalismo dalle sue piaghe
e dai suoi vizi sono soltanto un inganno e una ciarlataneria. La teoria leninista
dell'imperialismo, poi, ha anche denunciato le menzogne dei nemici della classe
operaia riguardo a che l'onnipotenza dei monopoli porterebbe ad esimere il capitalismo
da sue piaghe quali la concorrenza selvaggia, l'anarchia della produzione e
le crisi devastanti. In realtà, invece, essa porta inevitabilmente non
a un "capitalismo organizzato", come essi dicono, ma a un eccezionale
aggravamento dell'anarchia e del caos dell'intera produzione capitalistica,
ad un inasprimento senza precedenti della lotta di concorrenza, ad un enorme
accrescimento della forza distruttiva delle crisi economiche, nonché
ad una continua crescita della miseria e della precarietà di esistenza
delle masse popolari.
Il passaggio dal capitalismo premonopolistico all'imperialismo rappresentò
un salto qualitativo entro i limiti della formazione socio-economica borghese
predisposto dall'intero corso del suo sviluppo storico. Il dominio dei monopoli,
come con grande forza Lenin ebbe a rilevare, inasprisce la contraddizione fondamentale
del capitalismo fino al suo limite estremo.
Certo: imperialismo significa anche gigantesca crescita della socializzazione
della produzione; ma sta di fatto che questa socializzazione si svolge nella
forma antagonistica della appropriazione privata. E, come Lenin scrisse, nell'epoca
dell'imperialismo il monopolio, che si crea in alcuni settori dell'industria
rafforza e inasprisce il caos che è proprio dell'intera produzione capitalistica
nel suo insieme, il che lascia il suo marchio indelebile su tutti gli aspetti
del capitalismo monopolistico. Insomma, il giogo di alcuni monopolisti sull'intera
restante popolazione diventa cento volte più pesante, rilevante e sensibile.
La socializzazione della produzione accanto all'enorme peso del capitale e lo
smisurato potere di un pugno di affaristi finanziari che si intascano tutti
i frutti del gigantesco sviluppo delle forze produttive sono il quadro reale
e più vero dell'imperialismo.
Nei paesi capitalistici la concentrazione della produzione ha portato a una
rapida crescita del numero, relativamente esiguo, delle grandi e grandissime
imprese rispetto alle quali milioni di piccole aziende svolgono un ruolo sempre
più subordinato e di secondo piano. La prima guerra mondiale diede una
forte spinta alla concentrazione della produzione e del capitale, mentre tra
la prima e la seconda guerra mondiale l'accresciuto imputridimento del capitalismo
nelle condizioni della sua crisi generale è stato indissolubilmente legato
ad una accelerata concentrazione nelle mani dei monopoli di una sempre maggiore
quota della produzione sociale.
A questo hanno inevitabilmente portato l'eccezionale asprezza della lotta di
concorrenza e l'estremo acuirsi del problema dei mercati di smercio e fornitura
delle materie prime, oltre che una particolare asprezza e profondità
delle crisi economiche. Poi, il cronico sottoutilizzo dell'apparato produttivo
dell'industria dei paesi capitalistici, caratteristico della crisi generale
del capitalismo, concorre altresì alla rapida rovina e caduta delle piccole
e medie imprese, e allo sfacelo e all'assorbimento delle aziende meno solide
e meno salde da parte di potenti trust e consorzi. Come pure, un altro importante
fattore del rafforzamento dello strapotere e dell'oppressione dei monopoli nel
periodo tra le due guerre è stato l'estremo inasprimento dell'ineguaglianza
di sviluppo dei paesi capitalistici.
Concorrenza e monopoli
In misura ancor maggiore l'oppressione dei monopoli, nei paesi capitalistici,
si è rafforzata a seguito della seconda guerra mondiale, la quale ha
portato a un incorporamento di molte imprese piccole e medie e alla loro trasformazione
in filiali dei grandi monopoli. Arricchendosi sul sangue di milioni di persone,
i monopoli hanno incorporato una notevole quantità di imprese costruite
negli anni della guerra a spese dell'erario, vale a dire a spese delle vaste
masse dei contribuenti. è noto infatti che negli Stati Uniti le più
grandi corporazioni del paese si sono intascate, e per niente, ben il 70% delle
grandi imprese costruite con i mezzi dello Stato. Di tali concentrazioni, negli
Stati Uniti, se ne contano oggi 250, ed esse controllano ben i due terzi delle
possibilità produttive dell'industria di lavorazione del paese.
Se già nei primi decenni del XX secolo gli Stati Uniti si definivano
come il paese dei trust, oggigiorno questa espressione è ancor più
vera di allora. Nel 1901, infatti, soltanto quattro corporazioni industriali
disponevano di un capitale di 200 milioni di dollari e più, mentre nel
1951 esistevano già 15 corporazioni industriali con un capitale che superava
il miliardo di dollari, e più di 30 corporazioni con capitale superiore
ai 500 milioni di dollari.
La concentrazione dell'attività bancaria, poi, porta inevitabilmente
al sorgere di giganteschi monopoli bancari, e questa conclusione di Lenin è
stata del tutto confermata dall'intero corso di sviluppo dell'economia capitalistica.
Negli Usa a quota delle 20 maggiori banche è toccato nel 1900 il 15%,
nel 1929 il 19%, nel 1939 il 27% e nel 1952 il 29% dei depositi presenti in
tutte le banche statunitensi. In Inghilterra la somma dei bilanci delle cinque
maggiori banche costituiva, nel 1900, il 28%, nel 1916 il 37%, nel 1929 il 73%
e, nel 1952, il 79% dell'intera somma dei bilanci delle banche inglesi di deposito.
E questo mentre in Francia, la quota di sole sei banche di deposito, nel 1952
spettò ben il 66% dei depositi di tutte le banche francesi.
Nell'opuscolo "Le corporazioni miliardarie", pubblicato a New York
dall'Associazione operaia di ricerca, è data una precisa analisi del
peso specifico che, nell'economia americana, hanno oggi le maggiori corporazioni
con un attivo che supera il miliardo di dollari. Verso la fine del 1952 di tali
corporazioni se ne contavano soltanto 66. "Queste 66 corporazioni - si
osserva in questo opuscolo, - costituiscono una quota molto piccola (l'un per
cento) del numero generale delle corporazioni, - che negli Usa è di più
di 660 mila, - e tuttavia nel 1952 a queste 66 compagnie apparteneva ben il
28,3% degli attivi di tutte le corporazioni del paese.
Grazie poi al sistema della partecipazione le filiali d'impresa, con i loro
legami finanziari, vengono a controllare più del 75% di tutti gli attivi
delle corporazioni". Poi, la maggior parte di queste grandi associazioni
del capitale è legata con uno o più dei gruppi finanziari principali
della plutocrazia americana. La somma generale degli attivi degli otto maggiori
gruppi finanziari degli Usa (Morgan, Rockfeller, Dupont e altri) assomma a ben
121,4 miliardi di dollari.
Gli economisti e i politici borghesi decantano tanto e in coro l'"iniziativa
privata" e la cosiddetta "libertà d'impresa", e al tempo
stesso sono costretti a riconoscere fatti irrefutabili che comprovano l'incontrastato
dominio dei monopoli dinanzi al quale questi imperituri "beni" del
capitalismo si sono ormai trasformati in una finzione. Curioso, per esempio,
è il riconoscimento contenuto in una ricerca pubblicata di recente da
una rivista economica americana, in cui si possono leggere le righe seguenti:
"Molti americani che credono fermamente nel sistema dell'imprenditoria
in condizioni di concorrenza e che mai hanno letto Marx temono ciò che
egli ha predetto, e cioè che la concentrazione dell'organizzazione d'affari
acceleri il disfacimento del capitalismo concorrenziale privato". Il giogo
dei monopoli urta a tal punto i vitali interessi delle vaste masse della popolazione
che i lacché del capitale sono costretti a intraprendere tutti i possibili
tentativi per negare, smussare o abbellire una realtà che è davvero
poco o per nulla attraente: essi propongono perfino di non utilizzare termini
quali "monopolio" e "oligarchia", e di sostituirli con la
più vaga espressione di "oligopolio".
Gli avvocati della borghesia monopolistica, inoltre, parlano di "democratizzazione
del capitale", di "capitalismo popolare" e di "democrazia
industriale", cercando così di avvelenare la coscienza di classe
di chi è storicamente deputato ad esserne l'esecutore testamentario e
il becchino, - il proletariato rivoluzionario.
La legge economica fondamentale dell'imperialismo rappresenta la concretizzazione
e l'ulteriore sviluppo, relativamente alle condizioni del capitalismo monopolistico,
della legge fondamentale del capitalismo in generale, - la legge del plusvalore,
scoperta e argomentata da Marx nel "Capitale". Nelle condizioni del
capitalismo premonopolistico il meccanismo della concorrenza tra capitalisti
conduceva, mediante continue variazioni dei prezzi sulle merci, a una redistribuzione
dell'intera massa del plusvalore prodotto, a seguito di che la norma di profitto
ricevuta dai singoli capitalisti veniva più o meno a equipararsi. Il
passaggio dal dominio della libera concorrenza a quello dei monopoli, invece,
ha introdotto in questo processo dei mutamenti sostanziali. Il senso dell'esistenza
e il fine primo dei monopoli è quello di assicurarsi il massimo e più
elevato profitto monopolistico. Nell'imperialismo l'allargamento della produzione,
nei settori decisivi dell'industria, richiede enormi investimenti di capitale;
nella lotta di concorrenza si scontrano a morte imprese enormi, e questa lotta
è legata a perdite colossali, mentre la dissipatezza del sistema capitalistico
e le sue spese improduttive raggiungono proporzioni senza precedenti. In tali
condizioni soltanto l'afflusso di sempre nuovi massimi profitti consente ai
grandi e grandissimi monopoli di attuare, anche se più o meno regolarmente,
la riproduzione allargata. I fatti degli ultimi anni indicano che i profitti
dei monopoli crescono a ritmi da capogiro. E questo al punto che perfino gli
apologeti borghesi sono costretti a riconoscere che il senso dell'esistenza
dei monopoli risiede nel garantirsi, sempre e comunque, il massimo profitto.
In una ricerca pubblicata da un istituto americano, per esempio, si può
leggere un tale eloquente ragionamento: "Dal punto di vista degli interessi
dei membri di un oligopolio le loro azioni coordinate sono sempre opportune.
Ognuno di tali produttori di merci rappresenta un grande e potente fattore sul
mercato. Se egli decide di ridurre i prezzi, i concorrenti saranno costretti
loro malgrado a seguirne l'esempio. E in seguito ogni riduzione dei prezzi al
di sotto del prezzo di monopolio porterà soltanto a una diminuzione dei
redditi puri di tutti. Precisamente come, quando uno dei grandi fornitori -
di solito il più grande, - stabilisce dei prezzi più elevati al
fine di ricavarne dei profitti più alti, gli altri ne seguono poi l'esempio
e si avvalgono di questa possibilità per il comune arricchimento. In
tal modo, qui la concorrenza dei prezzi quale strumento atto a ricevere ordinazioni
supplementari ne risulta del tutto inutile. Per cui, in definitiva, i prezzi
vengono stabiliti come se questo venisse fatto da un fornitore solo e, per di
più, ad un livello che assicuri i massimi profitti per tutti i membri
dell'oligopolio" (Corsivo dell'autore).
L'oligarchia finanziaria che negli Stati borghesi dispone del potere più
assoluto cerca di frenare il corso del progresso sociale ricorrendo agli sperimentati
metodi di tutte le classi reazionarie: l'inganno e la violenza, e predicando
le guerre e lo sterminio di massa come "uscita" dalle loro difficoltà
economiche e come "salvezza" dalle crisi che le investono. Il carattere
reazionario e distruttivo del capitalismo monopolistico, poi, si manifesta in
modo evidente nelle guerre imperialistiche. Una economia di guerra che significa
lavoro forzato per gli operai e paradiso per i capitalisti: così Lenin
definì il capitalismo monopolistico di Stato.
A questo livello la contraddizione tra le forze produttive e i rapporti di produzione
della società capitalistica, come pure la contraddizione tra il carattere
sociale della produzione e la forma privata dell'appropriazione, raggiungono
una accentuazione estrema. Nel capitalismo non è l'economia che si trova
nelle mani dello Stato, ma, al contrario, "è lo Stato a trovarsi
nelle mani della economia capitalistica" (Stalin). Mentre l'economia capitalistica
si trova ad essere in potere di monopoli incapaci di rimuovere o di domare gli
elementi delle leggi economiche della società borghese, il potere statale
invece si trasforma sempre più apertamente in un'arma dei monopoli nella
loro attività di sfruttamento e di aspirazioni espansionistiche, generando
così tutta una serie di conflitti e di contraddizioni particolarmente
acuti.
Imperialismo e socialismo
Certo, - capitalismo monopolistico di Stato significa la più completa
preparazione materiale al socialismo. Ma le sole premesse materiali, per il
passaggio dal capitalismo al socialismo, non bastano. Pur in presenza delle
premesse materiali, infatti, un loro valore decisivo lo rivestono la coscienza
e la coesione delle masse popolari nella loro lotta per il rovesciamento dello
strapotere dei monopoli e per il socialismo. Un radicale mutamento nelle condizioni
di lotta del proletariato per rimuovere il potere del capitale nel periodo dell'imperialismo
è legato all'azione della legge dell'ineguaglianza di sviluppo dei paesi
capitalistici.
L'inasprirsi di tale ineguaglianza e il valore decisivo della sua legge nell'imperialismo
determinano, come Stalin ha dimostrato, due importanti circostanze: in primo
luogo, la divisione del mondo tra gruppi imperialistici si è conclusa
perché di terre "libere" non ce n'è più, e la
spartizione del mondo mediante le guerre imperialistiche diventa necessità
assoluta per conseguire l'"equilibrio" economico; in secondo luogo,
il colossale sviluppo della tecnica, nel senso ampio di questa parola, facilita
i gruppi imperialistici nel sorpassare i propri rivali nella lotta per la conquista
dei mercati e delle fonti di materia prima.
La vecchia ripartizione del mondo in "sfere d'influenza" tra i singoli
gruppi imperialistici viene ogni volta a scontrarsi con un nuovo rapporto di
forze all'interno del sistema mondiale del capitalismo visto che per stabilire
un "equilibrio" tra loro sono necessarie delle periodiche e sempre
nuove ripartizioni del mondo mediante le guerre imperialistiche.
Queste guerre, poi, portano inevitabilmente a un reciproco indebolimento degli
imperialisti, il che rende il fronte mondiale dell'imperialismo particolarmente
vulnerabile per la rivoluzione proletaria. Questa rivoluzione compie la rottura
del fronte imperialistico nell'anello in cui la catena di questo fronte è
più debole, laddove viene a formarsi la situazione più favorevole
per la vittoria del proletariato.
"La rivoluzione sociale - scrisse Lenin, - non può avvenire altrimenti
che nella forma di un'epoca che unisca la guerra civile del proletariato contro
la borghesia nei paesi avanzati e una intera serie di movimenti democratici
e rivoluzionari nelle nazioni poco sviluppate, arretrate ed oppresse. Perché?
Perché il capitalismo si sviluppa in modo irregolare, e l'oggettiva realtà
ci indica, accanto alle nazioni capitalistiche altamente evolute, tutta una
serie di nazioni molto debolmente o nient'affatto sviluppate economicamente".
La teoria leninista dell'imperialismo, con il potente faro della scienza marxista,
ha illuminato tutti i processi che avvengono non soltanto nelle metropoli dell'imperialismo,
ma anche nelle sue periferie coloniali. Essa ha rivelato le leggi che sottendono
al sorgere, allo sviluppo e alla rovina del sistema coloniale dell'imperialismo,
offrendo con ciò stesso a centinaia di milioni di persone una potente
arma nella loro lotta per la propria libertà. Uno degli attributi principali
dell'imperialismo Lenin lo vide proprio nel fatto che esso accelera lo sviluppo
del capitalismo nei paesi arretrati e, al tempo stesso, allarga e inasprisce
la lotta contro l'oppressione nazionale in questi stessi paesi. Una nuova era
nella vita dell'intera umanità, e quindi anche dei popoli oppressi del
mondo coloniale, l'ha aperta la grande Rivoluzione socialista d'Ottobre, che
inferse al capitalismo mondiale un colpo mortale da cui esso non si è
più ripreso. Essa poi non soltanto ha scosso il dominio dell'imperialismo
nelle stesse metropoli, ma ha anche colpito le sue retrovie coloniali, aprendo
così l'epoca delle rivoluzioni di liberazione nazionale in tutta la enorme
periferia del capitalismo imperialista.
Nelle condizioni della crisi generale del capitalismo tutte le contraddizioni
dell'epoca monopolistica raggiungono una tensione estrema. E le più importanti,
come Stalin ha indicato, devono ritenersi tre di esse: 1) la contraddizione
tra il lavoro e il capitale, 2) la contraddizione tra i vari gruppi finanziari
e le potenze imperialistiche nella loro lotta per le fonti di materia prima
e 3) la contraddizione tra un pugno di paesi imperialisti dominanti e le centinaia
di milioni dei popoli coloniali e dipendenti del mondo intero. Tutte queste
contraddizioni, poi, nel periodo della crisi generale del capitalismo, si approfondiscono
e si inaspriscono ancor più per il fatto stesso dell'esistenza di una
potenza del socialismo vittorioso, - l'Unione Sovietica. La rivoluzione socialista
in Russia rappresentò la prima breccia nel sistema mondiale dell'imperialismo
e un brillante modello del passaggio della quantità in una nuova qualità,
in quanto lo sviluppo delle contraddizioni del capitalismo morente portò
alla sua morte di fatto in una sesta parte del globo dove vinse la rivoluzione
socialista.
Le immortali idee del leninismo esercitano un enorme influsso sull'intero corso
dello sviluppo contemporaneo. Esse ispirano le masse lavoratrici di tutti i
paesi e i continenti ad una grandiosa e risoluta lotta per i grandi ideali del
socialismo e del comunismo. Nessuna forza potrebbe distruggere il capitalismo,
insegna Lenin, se la storia stessa non l'avesse già eroso da tempo. I
tentativi delle forze reazionarie dell'imperialismo di frenare il corso del
progresso storico sono quindi votati al fallimento, non essendoci al mondo una
tale forza che possa far tornare indietro la ruota della storia.