Biblioteca Multimediale Marxista
il bolscevico
Organo dell'Organizzazione Comunista Bolscevica Italiana marxista-leninista
n° 34-35-36-37-38-39-40/2000
(settembre 2000)
Studio sulla sanità in italia
Storia, leggi, conquiste e rivendicazioni
PREMESSA
Storicamente la concezione della salute come problema riservato
esclusivamente alla sfera privata dell'individuo, non presenta, in Italia, in
generale incrinature fino alla metà dell'800. Il nascente sistema capitalistico
e con esso l'ideologia liberale lascia la cura del benessere fisico alle possibilità
di ogni cittadino, limitando l'intervento statale a forme marginali di beneficenza
e controllo sociale dei malati poveri.
Nel frattempo le leggi della produzione e del profitto rendono disastrose le
condizioni sanitarie dei lavoratori: donne e bambini anche piccolissimi sono
sottoposti a un bestiale sfruttamento in fabbrica e nei latifondi, dilaga tra
le masse popolari il triplice flagello della malaria, della pellagra e della
tubercolosi, anch'esse provocate e aggravate dalla rivoluzione industriale e
dal costante processo di urbanizzazione. Logicamente né lo Stato, espressione
sempre della classe dominante borghese al potere, né gli imprenditori
permettono ai lavoratori di interessarsi in problemi che riguardano la loro
salute nei luoghi di lavoro e di vita. D'altra parte l'elevata mortalità
infantile, il rischio di carestie ed epidemie generalizzate, l'aumento dei costi
delle antiche istituzioni di benificenza-controllo ai poveri, ai malati, ai
"folli" costituiscono un problema anche per loro. è verso l'inizio
del XIX secolo che si comincia a tollerare in Italia la formazione delle prime
associazioni di mutuo soccorso, o mutue. Si tratta di associazioni tra lavoratori
che implicano la raccolta di un fondo comune attraverso autocontribuzione allo
scopo di assistere i lavoratori in caso di malattia. Quest'ultima significa
infatti per il lavoratore perdita di salario, senza il quale egli non può
curare la malattia.
E' indubbio che la mutualità volontaria presenta per il sistema sociale
borghese vantaggi di cui la borghesia liberale non tarda ad accorgersi. Essa
incita al risparmio, alla temperanza e all'affezione al lavoro, il risparmio
per lo più capitalizzato in banca, permette investimenti vantaggiosi
e viene scaricata di un peso notevole la beneficenza pubblica che i padroni
hanno sempre visto come un incitamento al non lavoro. Tipico della mutua è
curare soltanto, soltanto riparare la forza-lavoro1, rifiutando qualsiasi scopo
preventivo. Essa serve a restituire la forzo lavoro danneggiata a quell'uso
che il capitale deve farne e bene o male associa l'operaio alla gestione del
capitale sociale e lo coinvolge nella difesa dell'"ordine" capitalistico.
D'altra parte è anche vero che i lavoratori in queste associazioni non
si limitano a parlare di malattia, ma parlano di condizioni di vita e di lavoro
e possono riconoscersi come membri di un'unica classe sociale con obiettivi
ed interessi, magari opposti rispetto a quelli della borghesia al potere. Questo
è un pericolo sempre presente nella mente degli imprenditori e dei pubblici
poteri. Il risultato è un'altalena di permissività e repressioni,
con una lunga serie di limitazioni e sospetti: si richiede che le mutue abbiano
una forma interclassista, non facciano in nessun modo politica, non raccolgano
un numero eccessivo di soci, vi facciano parte comunque i "soci onorari"
cioè borghesi ricchi e filantropi, che aiutano a fare quadrare i bilanci
e intanto controllano la situazione.
Nonostante il regime repressivo in atto contro qualsiasi forma di associazionismo
politico dei lavoratori, le associazioni si vanno moltiplicando. Nella seconda
metà dell'800 in Italia sono 1.164 di cui 703 nel nord. Nel 1886 vengono
riconosciute dalla legge che esclude dai loro fini l'invalidità (determinata
molto spesso dal principale evento patologico per i lavoratori cioè l'infortunio
sul lavoro) e la vecchiaia, ed in compenso detta norme tali da permettere lo
stretto controllo delle loro attività da parte delle istituzioni e dei
padroni. Le spinte dunque vengono in grandissima parte dalle lotte dei lavoratori
per "il diritto alla salute" contro lo sfruttamento senza limiti da
parte dei padroni e fin dal principio appare chiaro che la salute è un
problema essenzialmente sociale e politico determinato dallo scontro tra capitale
e lavoro e che il suo controllo dipende dai rapporti di forza tra il proletariato,
la borghesia e l'apparato statale in quanto espressione della classe dominante
al potere. Dalla legge dell'epoca Crispi fino alla legge 883 del '78 tale scontro
continuerà a manifestarsi in tutta evidenza.
Parallelamente alle mutue nascono gli ospedali moderni. Lo sviluppo della scienza
medica si accompagna da un lato alle nuove "travolgenti" scoperte
scientifiche: dal microscopio, allo stetoscopio, al termometro, alle analisi
chimiche dei liquidi biologici, alle tecniche di identificazione dei batteri
quali agenti causali delle malattie infettive, alle colture batteriche, agli
antibiotici, ai raggi X, dall'altro alla nascita di tecnici superspecializzati
che si concentrano negli ospedali. Per questi motivi l'ospedale che era stato
in epoca romana, medioevale e rinascimentale essenzialmente luogo di isolamento,
controllo, repressione e beneficenza verso le classi sfruttate ed oppresse,
si trasforma lentamente in una istituzione pubblica alla quale cominciano ad
afferire quei borghesi che, fino ad allora, erano stati curati esclusivamente
a domicilio, dai loro medici personali. I medici del territorio, che soltanto
le classi ricche potevano permettersi, divengono figure arcaiche e un po' patetiche
il cui prestigio diminuisce coll'aumentare del prestigio dei ricercatori, dei
medici, dei professori, dei tecnici dei nuovi ospedali. In questi luoghi la
salute diviene un problema essenzialmente sanitario e gli interventi statali
si concentrano sugli ospedali per aumentare i posti letto, i laboratori, le
apparecchiature, gli esami clinici. Questa situazione, caratterizzata dallo
sviluppo della medicina specialistica e dalla centralizzazione ospedaliera dell'assistenza
sanitaria, che si svolge senza soluzione di continuità, sia pure tra
mille contraddizioni, fino ai giorni nostri, conviene a tutti tranne ai malati:
ai medici ospedalieri che aumentano potere e denari; all'industria privata che
vende apparecchiature sempre più complesse e costose; ai produttori di
farmaci, poiché l'atto medico per eccellenza è costituito dalla
ricetta; all'autorità statale, che vede nella medicalizzazione e tecnicizzazione
della salute una garanzia di ordine pubblico legata alla soppressione e all'occultamento
delle componenti politiche e sociali del problema.
La salute diviene una merce da vendere, entrando a pieno titolo a far parte
dell'universo del profitto, mentre gli elementi spontanei di autogestione e
controllo dell'ambiente, presenti nelle prime associazioni operaie, scompaiono
scalzati dalla presunta neutralità della scienza e della tecnologia ospedaliera.
Nascono così gli ospedali moderni. Dal secolare calderone comune di assistenza,
beneficenza e reclusione dei "pericolosi" (per la maggior parte poveri,
"folli", malati e delinquenti) si demarca e si distacca da un lato
l'assistenza sanitaria dall'altro il sistema carcerario, i manicomi ed una miriade
di istituzioni per il controllo dei "diversi". Ancora oggi i malati
di mente, i tossicodipendenti, i ragazzi "difficili" o i "barboni"
(accomunati nella stragrande maggioranza dei casi dalla povertà) vengono
contesi, sia materialmente che dal punto di vista legislativo, tra le istituzioni
carcerarie, manicomiali ed ospedaliere che si ritrovano di nuovo unite, come
nel medioevo, nella gestione della repressione, del controllo e dell'isolamento
degli individui "socialmente pericolosi" per il regime borghese. Del
resto gli ospedali portano ancora le tracce indelebili della loro origine conservando
una ferrea gerarchia interna e una terminologia di tipo militare (reparti, divisioni,
divise).
Il sistema mutualistico si estende progressivamente a nuove categorie di lavoratori.
All'epoca del corporativismo fascista la mutualità di malattia trapassa
dal regime volontario a quello obbligatorio; prima per singole categorie (gente
di mare e dell'aria, 1929) o per singole malattie (tubercolosi, 1924; malattie
professionali, 1935), più tardi in forma generalizzata con la creazione
dell'Istituto per l'assistenza di malattia ai lavoratori (1943), che diventerà
INAM nel 1947 assorbendo diverse assicurazioni nel frattempo divenute obbligatorie
per legge o per forza di contratti collettivi. I padroni hanno compreso che
è necessario per ottimizzare il rapporto conservazione-consumo della
forza-lavoro controllare attraverso lo Stato, più o meno scopertamente,
la mutualità. Il regime fascista da un lato fonda gli enti statali mutualistici
dall'altro si scaglia contro le mutue volontarie con inaudita violenza. I medici
intanto vengono convenzionati con il pagamento "a quota capitaria"
ad avere il maggior numero possibile di assistiti e col pagamento "a notula"
ad avere il maggior numero possibile di ammalati.
Nell'immediato dopoguerra la Costituzione democratico borghese sancisce all'art.32
"il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse
della collettività". E a ben vedere si parla sì di salute
come "diritto", ma è sempre diritto "dell'individuo"
mentre il generico "interesse della collettività" rimane subordinato
a quest'ultimo. L'"assistenza sanitaria e ospedaliera" è tra
le materie attribuite alla potestà legislativa e amministrativa delle
regioni. Si tratta di una potestà legislativa di tipo "concorrente",
nel senso che le regioni legiferano "nei limiti dei principi fondamentali
stabiliti dalla Stato". La Costituzione, che rappresenta un compromesso
tra il proletariato e la borghesia in ultima analisi favorevole a quest'ultima,
rimane a lungo inattuata e, in assenza delle regioni, l'azione pubblica in materia
sanitaria viene preposto il ministero della sanità (istituito nel 1958).
Il sistema rimane pertanto frazionato tra apparato statale articolato in periferia
in vari uffici (medici e veterinari provinciali, ufficiali sanitari, uffici
di sanità marittima, aerea e di confine), gli enti ospedalieri, le casse
mutue pubbliche (INAM, INPS, INAIL, ENPAS, ENPDEDP, Inadel) e private (mutue
aziendali e di categoria), enti territoriali (i comuni competenti per l'assistenza
farmaceutica e veterinaria; le province competenti sui laboratori di igiene
profilassi, di prevenzione dell'inquinamento atmosferico e di tutela antimalarica
e tubercolare) ed altri enti nazionali assistenziali fra i quali l'ONMI, istituto
fascista in difesa della razza, per l'assistenza alla maternità e prima
infanzia. Il risultato è che non tutti i cittadini italiani hanno diritto
all'assistenza sanitaria e che, anche tra gli aventi diritto essa è distribuita
in maniera ineguale in base al reddito: un lavoratore dell'industria riceve
un trattamento diverso rispetto ad un coltivatore diretto, un mutuato INAM da
uno dell'INADEL e cosi via.
Alla vigilia della "riforma sanitaria" del 1978 esistono ancora più
di 300 mutue diverse per struttura, amministrazione, normativa e diverse soprattutto
nella qualità ed entità delle prestazioni erogate ai propri iscritti.
Il principio assicurativo sul quale sono basate comportano due conseguenze:
1) per usufruire dell'assistenza l'assistito deve incorrere nell'evento morboso
e deve avere effettivamente bisogno delle cure, bisogno accertabile dall'Ente
assicuratore; 2) per usufruire dell'assistenza egli deve dimostrare di essere
in possesso delle clausole contrattuali che maturano tale diritto (posizione
categoriale o rapporto di lavoro, versamento contributi, diritto all'assistenza
per i familiari in ragioni di determinate condizioni economiche, ecc).
Intanto il diritto universale e inalienabile alla salute inizia a fare parte
stabilmente del bagaglio delle rivendicazioni del proletariato e delle masse
popolari, che si amplieranno in ampiezza e profondità duranti la grande
rivolta del '68, l'autunno caldo del '69 e per tutto il decennio successivo
fino il grande movimento del '77 e alla "riforma sanitaria" del '78.
Essa finalmente, decreterà la morte del sistema mutualistico che era
da tempo in crisi, frazionato, corrotto e in perenne bancarotta e che la borghesia
stessa aveva interesse, a causa del peso che aveva assunto sul bilancio dello
Stato, a rivedere.
1. LE LOTTE PER LA SALUTE NEGLI ANNI '60 E '70
Le lotte per la salute emergono in tutta la loro ampiezza nella
metà degli anni '60. Si profila una svolta storica poiché mentre
le lotte precedenti erano state assai più rivolte alla difesa contro
le malattie per tutelare la capacità di lavoro le nuove lotte sono contro
la nocività del lavoro per tutelare l'integrità della salute.
Nel 1964-65 c'era stata la crisi economica durante la quale il padronato aveva
attuato una ristrutturazione degli impianti che aveva portato ad una maggiore
meccanizzazione, ad un'intensificazione dello sfruttamento della forza-lavoro
ed alla conseguente espulsione di mano d'opera dalle aziende. Centinaia di migliaia
di lavoratori videro così aggravate le loro condizioni di vita poiché
alla sofferenza dovuta alla disoccupazione, all'emigrazione e alla mancanza
di alloggi, si aggiungeva quella per l'inesistenza di una rete di assistenza
socio-sanitaria pubblica ed accessibile a tutti.
In quegli anni nelle fabbriche, sull'onda delle grandi lotte sindacali e politiche,
si manifesta, come fenomeno di massa, una nuova consapevolezza del rapporto
lavoro-profitto-malattia e si forma tra i lavoratori una visione autonoma delle
relazioni fra scienza, produzione e ambiente. Si stampano, soprattutto nelle
grandi fabbriche migliaia di volantini, centinaia di libretti, opuscoli, fascicoli
che vengono letti e discussi nelle assemblee generali. Parlano delle condizioni
barbare di sfruttamento in una fabbrica, in un reparto, del tema generale lavoro-salute-sfruttamento,
delle mille sostanze velenose presenti nelle lavorazioni industriali, si raccolgono
dati sull'ecatombe di "omicidi bianchi" e inchieste di vere e proprie
stragi industriali. Nel periodo compreso tra la primavera 1968 e l'estate 1969
le lotte operaie, che avvengono per la prima volta anche al di fuori dalle strutture
e della linea ufficiale dei sindacati, puntano direttamente all'organizzazione
del lavoro, alle condizioni in fabbrica per estendersi a significative lotte
generali (le pensioni, i salari, la casa, la scuola, i servizi sociali, i trasporti
etc.). In questo periodo i lavoratori mettono in discussione e rifiutano la
monetizzazione del rischio e la delega ai tecnici e lottano in prima persona
per il controllo delle condizioni di lavoro e delle norme di sicurezza. La salute
è, come il salario, rivendicata "variabile indipendente", ossia
deve essere sganciata dalla produttività aziendale. Gli operai si riuniscono
in assemblee generali, riscoprono la democrazia diretta e conquistano un nuovo
e più democratico strumento di lotta, il Consiglio di fabbrica. Il risultato
pratico è che, sul piano sindacale, nei contratti di lavoro e poi nello
"Statuto dei lavoratori" viene sancito il diritto degli operai di
intervenire nella determinazione delle condizioni ambientali in fabbrica e dei
tempi, orari, ritmi, turni che incidono sulla salute. Viene identificato un
quarto gruppo di nocività (nocività collegate all'organizzazione
del lavoro, orari, ritmi, turni e all'alienazione del lavoro) che, aggiungendosi
a quelli della nocività ambientale generica, della nocività ambientale
specifica e della fatica fisica, determina e autentica finalmente una sofferenza
operaia che sta oltre la malattia professionale e l'infortunio di cui alle tabelle
assicurative. Nascono i "gruppi operai omogenei" come soggetto reale:
produttivo, politico e scientifico. Infine nasce una nuova consapevolezza del
rapporto tra fabbrica e "territorio": cioè l'intelligenza della
fabbrica quale luogo di massima concentrazione di una nocività complessiva,
intesa come sfruttamento capitalistico dell'uomo e dell'ambiente, che si estende
in ogni "dove" sociale.
La coscienza del diritto alla salute nasce, come sempre, dalle drammatiche condizioni
materiali di vita e di lavoro del proletariato e delle masse popolari. L'epidemia
di colera, scoppiata a Napoli nel 1973, è una esplosione di chiarezza
catartica, di ribellione generalizzata. A Napoli e in Campania si sviluppa una
lotta generalizzata per la salute; da quelle delle ragazze paralizzate dalle
colle, a quelle degli operatori della medicina scolastica, da quelle degli operai
delle fabbriche, a quelle degli handicappati, da quelle delle donne per "sessualità
e maternità cosciente" a quelle dei paramedici per corsi pagati
e finalizzati; da quelle per la fine dell'isolamento dei malati mentali nei
manicomi-ghetto a quelle per la creazione di centri socio-sanitari e consultori
autogestiti nei quartieri popolari. Più in generale sul tema della salute
si uniscono gli operai, gli studenti, i lavoratori, le donne e si battono per
una sanità pubblica, gratuita, universale basata su strutture gestite
dal basso di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione ramificate su tutto
il territorio nazionale.
Sotto i colpi della lotta di classe l'ingiusto e discriminatorio sistema mutualistico
comincia a morire e nasce l'esigenza di un nuovo sistema sanitario basato sulla
realizzazione prioritaria delle unità sanitarie locali come centro della
prestazione sanitaria, dei Distretti Sanitari di Base come articolazione operativa
territoriale delle Usl, del controllo e della partecipazione dei lavoratori
e delle masse popolari sulle strutture sanitarie, della limitazione e progressiva
estinzione della medicina privata, della simbiosi tra servizi sanitari e servizi
sociali, dell'eliminazione del divario che separa, anche in campo socio-sanitario,
il Nord dal Sud del Paese.
In tutto il Paese si lotta per il diritto alla salute, che entra a fare parte
da allora e definitivamente degli ideali e degli obiettivi della lotta di classe.
Lo scontro tra capitale e lavoro intorno ai problemi della salute si concentra,
dalla parte del capitale, sulla medicalizzazione della politica, dalla parte
dei lavoratori sulla politicizzazione della medicina, come scelta di classe.
Viene criticata la medicina borghese e le sue istituzioni: l'ospedale, il manicomio,
le facoltà di medicina.
2. LA CRITICA DELLA MEDICINA BORGHESE
Le classi piccolo borghesi e medio borghesi e gli intellettuali
gradualmente si scindono in due campi: da una parte quelli che si schierano
con il progresso e il proletariato, dall'altra quelli che si schierano con la
reazione, il governo e la classe dominante borghese.
Il vento fresco del '68 entra dovunque e sconvolge, spezzandolo in due, anche
il mondo della medicina e della psichiatria.
Forte, e in mille forme, si leva la richiesta della socializzazione della medicina.
Nasce un modo nuovo di vedere i problemi della salute sintetizzati nella cosiddetta
"medicina sociale''. Chi vi aderisce tenta di capovolgere l'approccio ufficiale
ai problemi sanitari della popolazione a favore di un approccio basato sui reali,
e spesso drammatici, bisogni delle masse popolari povere. Ciò che la
"nuova medicina sociale'' contesta con maggiore forza è la salute
intesa come problema individuale e riferita all'organismo biologico: "non
ha senso esaminare malattie o problemi sociali in astratto ma è necessario
sempre riferirli alle diverse situazioni socio-culturali e più in generale
alla divisione in classi della società''; "anche la distinzione
tra problemi sociali e sanitari è falsa e arbitraria, ed ha lo scopo
di nascondere la realtà, e cioè che tutti i problemi riguardanti
la salute sono in primo luogo sociali e politici e determinati dall'oppressione
di classe che è alla base del sistema capitalistico''.
Alcuni studi epidemiologici mostrano che la mortalità per bronchite cronica
è sette volte più alta tra i lavoratori non specializzati rispetto
ai professionisti ed agli amministrativi a reddito elevato, così come
la mortalità perinatale, neonatale e infantile colpisce in massima parte
le classi povere e le regioni del Sud; analogamente essere anziano costituisce
una "malattia sociale'' in una società fondata sulla produttività
e la competizione e che non tiene conto dei problemi dell'età avanzata,
e degli inabili, nella "pianificazione'' architettonica e urbanistica;
ancora, gli incidenti sul lavoro capitano quasi esclusivamente agli operai,
molto meno agli impiegati, e per nulla ai padroni della medesima industria;
gli incidenti ai bambini sono legati alle condizioni abitative, alla possibilità
da parte degli adulti di occuparsene, alla presenza o meno di aree adatte al
gioco etc; il problema delle nascite è maggiore per il proletariato e
più in generale la salute della donna diventa un problema grave per le
donne proletarie sottoposte al duplice sfruttamento tra le mura domestiche e
sul posto di lavoro e ad un ulteriore carico di fatica per sopperire alle carenze
dell'assistenza sociale e sanitaria.
Dato che la struttura sanitaria e quella che si occupa dell'assistenza e della
previdenza sociale sono cresciute in maniera separata e distinta occorre modificare
radicalmente la situazione, allo scopo di coordinare ed integrare i due sistemi,
riformandoli radicalmente entrambi in direzione di un unico obiettivo: il benessere
sociale della popolazione. Insomma si denuncia che la medicina borghese, dal
punto di vista biologico, suddivide il paziente in organi e apparati, ciascuno
di pertinenza di uno specialista diverso, mentre, anche sotto il profilo sociale,
essa sballotta "il malato'' tra tecnici diversi. Il medico che si limita,
per scelta o per ignoranza, a curare la malattia senza tenere conto del suo
significato in un contesto più ampio, è infatti il medico ideale
della classe dominante borghese, un fido garante dell'ordine pubblico: egli
si limita infatti a sopprimere l'aspetto di denuncia e di rifiuto implicito
nel processo morboso, senza cercare di eliminarne le cause. Perciò la
medicina curativa, ufficiale e dominante è sempre e solo la medicina
dei sintomi e la classe dominante è salvata da ogni responsabilità
nella produzione della malattia in modo che quest'ultima appaia ineluttabile.
Che senso ha fabbricare medici e malati disposti ad accettare la malattia come
un destino ineluttabile? Ma è proprio in cambio di questa accettazione,
di questo consenso che la classe dominate è talora disposta ad elargire
i risultati del progresso tecnologico, quando è in grado di farlo, come
un "favore'', non come un preciso "dovere''. L'aspetto caritativo
è sempre stato l'aspetto di classe. Sui malati degli ospedali vengono
sperimentate a livello di massa le nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche.
La sperimentazione avviene cosi sulla classe dominata. Rendendosi utili, i malati
poveri, pagano almeno in parte la "colpa'' di essere malati, ossia improduttivi.
Questo aspetto della medicina istituzionale è legato indissolubilmente
alla nascita della stessa istituzione come struttura caritativa.
Gli esponenti della nuova medicina sociale viceversa cominciano a comprendere
che se si limita la medicina alle malattie "ufficiali'' sia pure per prevenirle,
si eliminano dagli scopi di questa medicina proprio le malattie "sociali''
per eccellenza, cioè gli stati di malessere che compaiono allorché
una situazione socioambientale si faccia insostenibile. Tali condizioni non
rientrano nelle statistiche di morbosità e tuttavia la loro sempre maggiore
importanza ed estensione e la loro ineguale distribuzione nelle diverse classi
sociali, ne fanno un problema primario per la medicina sociale. Insomma definire,
in accordo con l'ideologia dominante, la salute come "problema sanitario''
e quindi eminentemente medico, equivale a definire "gli incidenti sul lavoro''
come "un problema ortopedico''. Alla epatite virale, al colera o al tifo
non si deve più rispondere con l'intervento "tampone'' del medico
né con la vaccinazione ma con gli interventi preventivi sul suolo, sulle
acque, sulle condizioni abitative, sulle diseguaglianze di classe, di sesso
e territoriali in generale e nell'accesso alle prestazioni preventive e curative
in particolare.
Analizzando le condizioni di salute degli anziani, delle donne, dei bambini,
degli handicappati, dei tossicodipendenti, dei malati mentali, la nocività
nei luoghi di lavoro e di vita, o gli incidenti infantili si scopre che anche
qui il trattamento si limita all'intervento sulle situazioni singole o al tamponamento
dei casi limite trascurando il momento preventivo e collettivo nell'ambiente
fisico e sociale. La settorializzazione e frammentazione dell'esistenza, figlia
anch'essa della divisioni in classi e della divisione del lavoro, ha il suo
riscontro in una miriade di enti, istituzioni, uffici diversi, parassitari e
disarticolati dal tessuto sociale il cui scopo ultimo è sempre e solo
quello di occultare i disastri di un sistema basato sul massimo profitto, sullo
sfruttamento e sulla proprietà privata dei mezzi di produzione .
Il sistema capitalistico è infatti interessato da una parte a consumare,
e dall'altra a conservare la forza-lavoro. E alla medicina è affidato
il compito di risolvere, nella razionalità scientifica, questa contraddizione
del modo di produzione capitalista, che da una parte consuma e spegne la forza-lavoro,
ma dall'altra parte ne ha bisogno per continuare ad alimentare se stessa. Per
risolvere questa contraddizione il capitale deve assumere la gestione di tutti
i momenti della medicina: la gestione del malato, la gestione del medico, la
gestione dell'istituzione, la gestione dell'insegnamento e la gestione della
ricerca scientifica ed in particolare medica.
Accanto a ciò il capitale ha sempre cercato in tutti i paesi di egemonizzare
il controllo del farmaco poiché nella sua somministrazione scopre un
momento di controllo della società. Non solo il farmaco è esclusivamente
prodotto secondo le esigenze speculative dell'industria farmaceutica che è
a sua volta governata dalle leggi capitalistiche di produzione, ma la sua violenza
sulla pelle del malato diviene senza riguardo quando prende la forma della ricetta
nella quale si materializza la connivenza tra il capitale dell'industria farmaceutica
e la medicina borghese. Il sistema detta dunque alla medicina e al medico alcuni
compiti: riparare la forza-lavoro, obliterare i danni prodotti dal sistema,
mascherarne la responsabilità, deviare le domande insoddisfatte dei beni
sociali, fungere da tranquillante sociale e così via. Per tali usi il
farmaco è l'utensile più versatile; versatile è anche la
sua produzione che non a caso si concentra soprattutto sugli ansiolitici, sui
sedativi, sugli analgesici, sugli stimolanti, sui ricostituenti e su cose di
questo genere. Il farmaco è una forma di violenza sulla realtà
nella misura in cui la copre, la nasconde, le toglie voce e capacità
di esprimersi.
L'individuo apparentemente confortato dall'assunzione di farmaci è spinto
ad interiorizzare i conflitti, le pressioni che lo circondano, in lui nasce
la malattia somatica e psichiatrica. Nel momento in cui il farmaco diventa un
feticcio miracoloso a questo punto esso non è più soltanto un
prodotto dell'industria farmaceutica ma di tutto il sistema, anzi diventa il
vero punto d'incontro tra medicina borghese, scienza borghese e capitale.
Per sovvertire questo stato di cose ci si batte affinché la popolazione
partecipi alla gestione, alla programmazione e al controllo dei servizi sanitari
e sociali, evitando la delega in bianco a tecnici, burocrati o politicanti borghesi,
per calare l'organizzazione socio-sanitaria, completamente da rifare, sui bisogni
reali delle masse, da esse direttamente espressi. In questo quadro la educazione
sanitaria vera è quella che induce alla maggiore partecipazione possibile
della popolazione, nel suo diritto alla critica e al dissenso nei confronti
di modelli imposti dall'alto e non discussi collettivamente, mentre alcune esperienze
pilota di autogestione dei servizi sanitari e sociali sembrano preludere ad
una più vasta deistituzionalizzazione della medicina.
Sull'onda della rivolta studentesca vengono occupate diverse facoltà
di medicina da dove si sviluppa, anche con il contributo di alcuni professori
ed intellettuali progressisti, una critica radicale e generale alle istituzioni
centrali della medicina borghese quali gli ospedali, le facoltà di medicina
e i manicomi.
In alcuni scritti e documenti della fine degli anni '70, per esempio si legge:
"la classe dominante dopo aver creato la propria medicina ha creato anche
un modo per essere medici ed un modo per essere malati. E ha istituito l'università
come fabbrica del medico di classe e l'istituzione ospedaliera come fabbrica
del malato di classe. In base a tali presupposti, non pare allora strano che
l'università appaia incomprensibile sul piano dell'apprendimento e dell'efficienza,
ne appare semplice negligenza lo stravolgimento della vita del ricoverato e
la negazione dei suoi più elementari diritti. Una logica interna connette
queste apparenti `anomalie', la logica di classe. Perciò diventa ingenuo
chiedersi perché agli studenti si parla di nozioni, o al più di
contenuti e non di metodo, perché ai malati si dà il cibo scadente
ad ore stravaganti se non si comprende che il medico ideale per la classe dominante
è un medico che, in ospedale, non si occupa della situazione del malato
nell'istituzione, dell'igiene, dei servizi, del vitto ecc, si disinteressa dell'edilizia,
sia o meno follemente irrazionale nei confronti dei malati che devono abitare
nell'ospedale per un più o meno lungo periodo, ignora i problemi del
personale tecnico ed infermieristico e così via, mentre il docente ideale
è quello che si disinteressa dei problemi metodologici (che ignora) e
didattici in generale, non si cura di controllare se quanto insegna e il modo
in cui insegna sarà in qualche maniera applicabile nella pratica quotidiana
e ignora tutti i problemi di ordine economico, lavorativo, familiare, sociale
connessi con la malattia. In realtà il malato (e naturalmente il sano)
non appartenente alla classe dominante, può rendersi conto quotidianamente
che la sua salute, intesa come totale stato di benessere psicofisico, non è
né protetta ne tutelata dalla categoria medica. L'esempio quasi emblematico
del fatto che alla massima `irrealtà', al minimo potere di intervento
reale nella realtà sociale, corrisponde un elevato `prestigio' offerto
dalla classe dominante in cambio di un fedele appoggio e di una autoritaria
difesa dei suoi principi è costituito senza dubbio dal tradizionale direttore
di istituto universitario, la cui carriera non raramente è determinata
dall'affiliazione alla massoneria'' "Del resto la semplice denuncia di
tali situazioni, senza la ricerca dei rapporti interni che ne permettono e ne
giustificano la sopravvivenza, ha puro valore caritativo: anche in questo caso
si guarda al sintomo, non alla causa della disfunzione. Naturalmente è
ancora più ingenuo aspettarsi cambiamenti reali dalle riforme di struttura
(propagandate dal PCI, ndr), che del resto arrivano sempre in ritardo: con le
riforme sarà possibile ottenere forse dei progressi formali....''(G.
Bert, il medico immaginario e il malato per forza, Edizione medicina e potere,
p.152)
è quanto avverrà puntualmente con la legge di "riforma''
883 che in nessun modo riuscirà a scalfire la logica settoriale, iperspecialistica,
gerarchica, feudale, alienante, antistudentesca ed antipopolare sulla quale
sono fondati gli ospedali e le facoltà di medicina della classe dominante
borghese.
3. IL COMPROMESSO DELLA LEGGE 883 DEL '78 CHE ISTITUIVA IL SSN
Il DPR 616 del 1977 trasferisce alle regioni, tra le altre,
le funzioni relative all'"assistenza sanitaria ed ospedaliera'' oltre ad
agricoltura e foreste, conservazione del suolo, urbanistica, viabilità,
acquedotti e così via. Viene attuato il decentramento amministrativo
delle funzioni inerenti la salute pubblica; nello stesso anno le mutue vengono
sciolte definitivamente. Per la prima volta la salute diviene ufficialmente
uno "stato di benessere'' e si parla di prevenzione, di igiene e sicurezza
negli ambienti di vita e di lavoro. La salute diviene formalmente e in via di
enunciazione un problema collettivo e non privato e individuale; un diritto
di tutti e non una beneficenza fatta ai poveri; un problema di prevenzione più
che di riparazione; è il preludio alla "riforma sanitaria'' che
viene partorita, sotto l'influsso ancora potente delle grandi lotte studentesche
ed operaie del '68-69 per il diritto alla salute, dopo una gestazione durata
almeno un trentennio, nel dicembre del 1978 con la prima legge quadro in materia
del nostro Paese, la n. 883, che istituirà il servizio sanitario nazionale.
Primo ministro era Andreotti (DC) e il ministero della sanità era diretto
da Tina Anselmi (DC). Il PCI appoggiava dall'esterno il governo cosiddetto di
"solidarietà nazionale''.
Esso si pone obiettivi ambiziosi in tema di educazione sanitaria, prevenzione,
cura e riabilitazione degli eventi morbosi, riabilitazione degli stati di invalidità
e inabilità, promozione della salubrità degli ambienti di vita
e di lavoro, igiene degli alimenti, disciplina e informazione in tema di farmaci,
formazione e aggiornamento del personale, nonché il superamento degli
squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del paese e l'uniformità
delle condizioni di salute sul territorio nazionale (art.2). Vengono delineati
alcuni progetti-obiettivo come "la sicurezza del lavoro, la tutela materno-infantile,
la tutela della salute degli anziani e della salute mentale, l'eliminazione
degli inquinanti''. Sono esplicitamente sanciti - sia pure sulla carta - l'uguaglianza
dei cittadini nei confronti del servizio, la partecipazione dei cittadini, il
"collegamento e il coordinamento con gli organi, centri, istituzioni e
servizi che svolgono nel settore sociale attività incidenti sullo stato
di salute individuale e sociale''. Il metodo è quello della programmazione
degli interventi da parte dello Stato e delle regioni. Vengono istituite le
Unità sanitarie locali (Usl), in un ambito di 50.000-200.000 abitanti,
intese "come il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni
e delle comunità montane, i quali in un determinato ambito territoriale
assolvono ai compiti del Servizio sanitario nazionale'' (SSN). Esse provvedono
all'educazione sanitaria, all'igiene ambientale, alla prevenzione individuale
e collettiva delle malattie fisiche e psichiche, alla protezione sanitaria materno-infantile,
all'assistenza pediatrica e alla tutela del diritto alla "procreazione''
cosciente e responsabile, all'igiene scolastica in tutte le scuole, all'igiene
e medicina del lavoro, alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie
professionali, alla medicina dello sport, all'assistenza medico-generica e medico
specialistica (infermieristica, ambulatoriale e domiciliare), all'assistenza
ospedaliera, alla riabilitazione, all'assistenza farmaceutica e alla vigilanza
sulle farmacie, all'igiene della produzione, lavorazione, distribuzione e commercio
degli alimenti e delle bevande, alla medicina veterinaria, alle prestazioni
medico-legali (art.14). Le USL vengono a loro volta articolate in distretti
sanitari di base (in un ambito di 10.000-20.000 abitanti). Le Usl debbono "coincidere
con gli ambiti di gestione dei servizi sociali'' (art.11).
La salute diviene dunque, sulla carta, un diritto inalienabile ed universale
che lo Stato attraverso il Servizio sanitario nazionale dovrebbe garantire a
tutti a prescindere dal reddito.
Tuttavia per comprendere più a fondo il significato delle legge 883 è
indispensabile ricordare che essa è stata il frutto di un compromesso
tra gli interessi del capitalismo monopolistico di Stato e i bisogni delle masse
popolari rivendicati in un decennio di lotta al sistema, compromesso, in ultima
analisi, sfavorevole al proletariato. Vedremo infatti nel prossimo paragrafo
che la legge accoglierà solo parzialmente le rivendicazioni popolari
in tema di salute preoccupandosi molto di più di escludere, deformare
e rendere inattuabili quelle più avanzate e rivoluzionarie.
Il PCI revisionista e tutti i riformisti, difendendo a spada tratta questa legge
e più in generale venerando lo Stato borghese (ed in particolare lo "Stato
sociale'' borghese) come un'entità astratta e neutrale rispetto alle
classi in lotta, contribuirono ad illudere il proletariato circa la possibilità
di risolvere nell'ambito del sistema capitalistico le contraddizioni inconciliabili
tra capitale e lavoro, tra profitto e sfruttamento, tra "diritto'' al profitto
e diritto alla salute, tra proletariato e borghesia, tra medicina borghese e
medicina proletaria, che viceversa non possono, fino in fondo e definitivamente,
essere risolte che con la conquista del potere politico da parte del proletariato,
con la distruzione della macchina statale borghese e con essa di tutta la sua
sovrastruttura politica e giuridica.
LA SALUTE NEGLI AMBIENTI DI LAVORO
I lavoratori più avanzati rivendicano un'efficace medicina
preventiva e l'adozione di adeguati strumenti di indagine e controllo degli
impianti e della produzione al fine di individuare ed eliminare alle radici
le cause delle malattie professionali e gli infortuni
Il riconoscimento del principio della partecipazione diretta dei lavoratori
alla difesa della propria salute avviene al termine della stagione 1968-1969,
quando il potere contrattuale della classe operaia è molto elevata, dopo
le lotte per il rinnovo dei contratti condotte nell'autunno del '69 sull'onda
della Grande rivolta del '68. Nel pieno dell'"autunno caldo'', la classe
operaia italiana pone, al centro della lotta per la salute in fabbrica, il miglioramento
dell'ambiente di lavoro e la difesa dell'integrità psico-fisica dei lavoratori
dai rischi infortunistici e da malattie professionali e la convinzione che solo
l'esperienza diretta, collettiva, dei lavoratori sottoposti ogni giorno a ritmi
massacranti di lavoro in ambienti nocivi, poteva costituire un metro valido
per misurare le ripercussioni che quei metodi di produzione avevano sulla salute
dei lavoratori stessi. La valutazione degli effetti sulla salute dei diversi
fattori di rischio individuati e la realizzazione delle cosiddette "mappe
di rischio'' non doveva essere delegata dal "gruppo omogeneo'', cioè
dal gruppo di lavoratori addetti alla stessa mansione ed esposti alla medesima
condizione di lavoro, ai tecnici o ai medici di parte (aziendali) o che non
avessero esperienza diretta delle situazioni di lavoro.
Di qui la lotta si allarga alla rivendicazione di un SSN che avrebbe dovuto
prevedere la creazione di una rete diffusa di servizi socio-sanitari a livello
territoriale presso ogni Usl tra cui quelli fondamentali di medicina preventiva
a cui affidare il compito di promuovere l'intervento di bonifica e il controllo
sui luoghi di lavoro.
Lo "Statuto dei lavoratori'', la legge 300/1970, recepisce in parte le
richieste dei lavoratori ed afferma all'art. 9: "i lavoratori, mediante
loro rappresentanza, hanno il diritto di controllare l'applicazione delle norme
per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere
la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare
la loro salute e la loro integrità fisica'' 2. A partire dallo stesso
anno nascono spontaneamente, in varie regioni, dei "servizi di medicina
del lavoro'' sul territorio, legati alle fabbriche. Tali servizi intendono privilegiare
gli interventi di prevenzione primaria, l'intervento diretto dei lavoratori
nella gestione della salute, far uscire gli operatori sanitari e sociali dall'arroccamento
nelle cliniche del lavoro e negli ospedali per renderli capaci di agire sul
territorio e in fabbrica, definire le cosiddette mappe di rischio. Molto importante
è anche la rivendicazione della piena retribuzione salariale e della
conservazione del posto di lavoro in caso di infortunio, malattia professionale,
maternità e malattia in generale fino a completa guarigione e ristabilimento
e l'estensione per le lavoratrici partorienti del congedo di parto a 4 mesi
prima e 6 mesi dopo il parto con il diritto in questo periodo al salario pieno.
Con la legge 883 la tutela della salute dei lavoratori viene affidata esplicitamente
alle Unità sanitarie locali, le quali "organizzano propri servizi
di igiene ambientale e medicina del lavoro anche prevedendo ove non esistano,
presidi all'interno delle unità produttive'' (art.21). "Il prefetto
su proposta del presidente della regione stabilisce quali addetti ai servizi
delle Usl ed a quelli multizonali assumono qualifica di `ufficiale di polizia
giudiziaria', in relazione alle funzioni ispettive e di controllo relativamente
all'applicazione della legislazione sulla sicurezza del lavoro''. Questi ultimi
andranno a sostituire i vecchi ispettori del lavoro. Le ispezioni sul lavoro
da parte delle Usl, secondo la 883, riguardano esclusivamente "la prevenzione
degli infortuni e l'igiene del lavoro'', mentre quelle riguardanti più
in generale le condizioni di lavoro (orario, lavoro dei minori etc.) restano
di competenza dello Stato (viene però garantita ai padroni "la tutela
del segreto industriale'').
La regione istituisce anche "i presidi multizonali per il controllo e la
tutela dell'igiene ambientale, e la prevenzione degli infortuni sul lavoro e
le malattie professionali, prevedendo le forme di coordinamento di tali presidi
con le Usl''. Viene approvato il modello di libretto sanitario personale, da
distribuire a tutti i cittadini, comprendente l'eventuale esposizione a rischi
in relazione alle condizioni di vita e di lavoro (art.27).
Come si vede con la legge 883 formalmente la sicurezza e la tutela della salute
sul posto di lavoro acquista un'importanza primaria, estesa a tutti i settori
di attività e non limitata alla fabbrica. Ma a guardare più a
fondo c'è da notare che su questo aspetto la legge (al di là del
fallimento alla quale sarà condannata dalla inefficienza, incapacità
e corruzione dilagante dei "comitati di gestione delle Usl'' e dal progressivo
svilupparsi della linea filopadronale dei sindacati confederali nelle fabbriche)
non protegge quasi per niente i lavoratori dell'agricoltura, dell'edilizia,
e i lavoratori delle aziende sotto i 15 dipendenti che hanno un potere contrattuale
e sindacale molto limitato e non sono protetti dallo "Statuto dei lavoratori''.
Altrettanto non garantiti dalla legge sono tutti i lavoratori nei periodi di
crisi economica quando diventa massimo il ricatto sull'occupazione e sul posto
di lavoro e il potere contrattuale dei lavoratori nel campo della salute si
riduce notevolmente subordinandosi alla difesa del posto di lavoro. Praticamente
inesistente infine sono gli strumenti di controllo e di tutela del lavoro a
domicilio e del lavoro nero che in ogni caso sono la principale forma di reclutamento
e sfruttamento della manodopera nelle regioni meridionali.
La situazione è talmente evidente che una commissione parlamentare di
indagine sul lavoro in Italia nel 1988 sarà costretta a rilevare: 1)
l'evasione dilagante degli obblighi di legge in materia di sicurezza del lavoro
specie nel settore delle costruzioni e nel vastissimo mondo del lavoro in appalto
e subappalto, in particolare al Sud, e delle microimprese; 2) gli elevatissimi
tassi di infortuni, anche gravi e mortali, specie in alcuni comparti: edilizia,
agricoltura e cantieristica; 3) l'insufficienza strutturale delle attività
di vigilanza, dovuta per lo più al sottodimensionamento degli organici
(al Centro-Nord) o all'assenza quasi totale (Sud e Isole) della rete dei servizi
pubblici di prevenzione; 4) il mancato addestramento e formazione della manodopera
giovanile avviata al lavoro con le nuove forme di lavoro a termine o precarie;
5) la scarsa presenza ed incisività dell'azione sindacale; 6) lo scarso
controllo e potere contrattuale del sindacato sulle condizioni di lavoro, anche
in settori a grande tradizione sindacale, in presenza di situazioni di crisi
aziendale e di comparto.
LA SALUTE DELLE DONNE E DEI BAMBINI
Le lotte per l'emancipazione della donna si sviluppano in tutti
i paesi occidentali, e soprattutto in Italia si intrecciano costantemente con
le lotte per la salute.
Le donne si mobilitano in una vera e propria battaglia per "il diritto
all'aborto'' che fino ad allora era stato regolarmente criminalizzato e condannato
dalla morale dominante e dalle gerarchie ecclesiastiche, oltreché ignorato
come fenomeno a livello medico e scientifico. In un paese in cui la stessa contraccezione
era un argomento proibito dalla legge, l'aborto non poteva che essere considerata
una pratica vergognosa e criminale: un omicidio. Il movimento proletario e femminile
impose all'attenzione di tutti il rischio, per la salute della donna, costituito
dalla sua obbligata clandestinità, nonché il vero e proprio racket
dell'aborto clandestino, nella maggior parte dei casi eseguito in condizioni
ad alto rischio.
La grande lotta per "il diritto all'aborto'' si affianca a quella per i
consultori autogestiti, che spontaneamente sorgono in varie parti d'Italia,
e nei quali il metodo d'intervento è quello di comprendere e spiegare
la malattia attraverso il "sociale'', in opposizione all'ambulatorio ginecologico
in cui viceversa la malattia si rinchiude sull'apparato riproduttivo della singola
donna. Si sottolinea come la condizione lavorativa e sociale della donna condiziona
in maniera determinante i rischi dovuti alla gravidanza e al parto (aborto spontaneo,
malformazioni, basso peso alla nascita, ipossia, accidenti da parto, mortalità
materna).
Da quelle prime esperienze germogliano tante iniziative e rivendicazioni, quali
ad esempio la richiesta di potenziare e realizzare nuovi consultori autogestiti,
adeguatamente attrezzati, con orari di apertura che tengano conto delle esigenze
delle donne lavoratrici, dotarli di sufficiente personale ginecologico per l'apertura
giornaliera, rendere pubblici i nomi dei medici obiettori e affiancarli con
dei medici non obiettori, pubblicizzare l'esistenza e i servizi dei consultori,
realizzare corsi di informazione sessuale e contraccettiva, da tenersi anche
nelle scuole, informare circa i mezzi contraccettivi e la loro distribuzione
gratuita, snellire le procedure burocratiche per l'aborto e il rilascio del
certificato richiesto, senza alcuna intromissione nella vita privata e personale
della donna. Si rivendica inoltre l'obbligo dello Stato di assicurare un'adeguata
medicina preventiva e un funzionale servizio igienico e di profilassi nelle
scuole. Per alleviare la schiavitù del lavoro domestico delle donne e
per socializzare la vita dei quartieri si chiede la costruzione di centri sociali
e di servizi, asili nido gratuiti e scuole materne in numero adeguato alle richieste
di iscrizione.
I consultori autogestiti sono osteggiati fin dall'inizio dalle forze clericali
e democristiane, dagli enti ed istituti privati operanti nel campo dell'assistenza
sanitaria e sociale , della maternità e dell'infanzia, ed anche dai baroni
della medicina. I quali hanno fatto di tutto per impedire che attraverso i consultori
si affermasse a livello sociale una concezione della sessualità, dei
rapporti uomo-donna e della famiglia più progressista e democratica,
libera dai condizionamenti della morale e dell'ideologia cattolica.
Nel 1975 con la legge 698/1975 viene decretato lo scioglimento dell'Onmi, istituzione
clerico-fascista, già sommersa dagli scandali per le condizioni indegne
di reclusione dei minori ricoverati nei suoi istituti. Nello stesso anno la
legge 405 istituiva i nuovi "consultori familiari'' affidandone le norme
di funzionamento alle regioni e la gestione ai comuni. Questi consultori istituzionali
vengono subito definiti "familiari'' per dare il senso di un servizio volto
prettamente alla cura e all'assistenza dei nuclei familiari con prestazioni
analoghe sostanzialmente a quelle fornite dall'ex-Onmi o dai consultori cattolici
(assistenza sanitaria al puerperio e post-puerperio, visite ginecologiche e
pediatriche).
In queste istituzioni le rivendicazioni delle donne vengono accolte in maniera
molto parziale: l'accento è posto fortemente sulla famiglia e non sulla
donna e tutto sommato gli obiettivi si limitano ad una informazione sulla contraccezione,
sulla sessualità e la riproduzione tutt'altro che progressiste e scientifiche
e all'assistenza socio-sanitaria per problemi fisici e psico-sociali all'interno
di una istituzione che rimane specialistica in problemi femminili e chiusa alla
realtà sociale.
Arriva la legge 883 del '78 che affida alle Usl anche "l'assistenza sanitaria
materno-infantile, l'assistenza pediatrica e la tutela del diritto alla procreazione
cosciente e responsabile'' (art.14). Le attività del consultorio vengono
quindi assunte dalle Usl ed "integrate'', sulla carta, con quelle degli
altri servizi, sia a livello di base (distretto), che a livello zonale e multizonale
(ospedale). La legge inoltre prevede il diritto dei privati di istituire consultori
e convenzionarsi con le Usl.
Nello stesso anno arriva la legge 194 sull'aborto che presenta però subito
gravi limiti poiché: 1) affida ai consultori familiari i compiti di informazione
e supporto all'aborto, con l'obiettivo palese di scoraggiare l'interruzione
di gravidanza; 2) l'aborto necessita dell'assenso da parte di chi esercita la
patria potestà nel caso di minori di 18 anni, o il ricorso al giudice
tutelare quando vi sono difficoltà; 3) sancisce il diritto all'obiezione
di coscienza che "esonera il personale sanitario ed ausiliario'' ad applicare
una legge dello Stato richiesta dal paziente.
Queste procedure contribuiscono in maniera sostanziale ad affossare il diritto
all'aborto, incentivando la continuazione delle pratiche clandestine, il ricorso
alle strutture private e il versamento di tangenti per avere il posto in ospedale.
Inoltre, negli anni successivi, poco o niente si fa perché i "consultori
familiari e materno-infantili'' istituzionali servano al controllo e verifica
dell'applicazione della legge sull'aborto e di aiuto concreto alle donne che
vogliono interrompere la gravidanza. Sostanzialmente a causa dell'"ambiguità''
delle leggi 883 e 194, e delle palese volontà di disattenderle, le prestazioni
legate all'aborto e alla maternità vanno subito peggiorando. Anche i
consultori sbandierati ai quattro venti come il servizio privilegiato per le
donne per affrontare tutti i problemi della salute, della maternità,
della sessualità oltre che dell'accrescimento dei figli, si dimostrano
un vero e proprio bluff; non solo sono scarsi e quasi inesistenti al Sud"
(nel 1980 sono appena 917, di cui solo 100 nel Mezzogiorno, nessun consultorio
nel Molise e solo 1 in Sicilia), non solo non funzionano, sono privi di personale
e attrezzature adeguate, non offrono prestazioni in uno o più campi previsti
dalla loro stessa istituzione ma il governo e le amministrazioni, che ne hanno
la gestione politica e amministrativa, tendono subito a sopprimerli. Quei pochi
che esistono inoltre soffrono di una pesante impostazione idealistica, retrograda
ed antifemminile che si rispecchia nel tipo di prestazioni nel campo dell'informazione
sessuale e contraccettiva, nelle prestazioni in campo pedagogico, pediatrico,
dell'assistenza al puerperio e al post-puerperio sovente tutt'altro che scientifica.
Vengono colonizzati da personale "obiettore'' che è autorizzato
a rifiutarsi di procedere all'interruzione di gravidanza e di applicare la 194.
Insomma delle rivendicazioni del movimento femminile vi rimane veramente poco
e quel poco che c'è non funziona certo per rispondere alle esigenze economiche,
sociali e personali delle masse e in particolare delle donne.
A tutte queste carenze si vanno ad aggiungere quelle organizzative delle strutture
pubbliche nella assistenza alla gravidanza e al parto che contribuiscono, soprattutto
al Sud 3, all'elevata mortalità perinatale, neonatale e all'alto tasso
di handicap fisici e mentali. La medicina scolastica, anch'essa attribuita alle
Usl, ben presto sostituisce alla prevenzione e all'educazione sanitaria, interventi
inutili, irrazionali e dannosi che spesso si trasformano in una indiscriminata
"caccia al deviante'' nelle scuole. Sui veri problemi e bisogni dei bambini
e degli adolescenti la nuova "medicina scolastica'' delle Usl risulta ben
presto totalmente assente, cosi come la cosiddetta "educazione sanitaria''.
LA SALUTE DEGLI ANZIANI
Il problema degli anziani è in grandissima parte il
risultato della povertà e della situazione socio-ambientale. Esso necessita
di una risposta che viene sintetizzata: 1) nella rivendicazione di servizi e
interventi che permettano di mantenere l'anziano per quanto possibile autosufficiente
ed inserito nella struttura sociale e nel proprio ambiente di vita attraverso
la lotta alla sua esclusione; 2) nella riorganizzazione dell'ambiente per renderlo
compatibile con i bisogni della popolazione anziana; 3) nell'assicurare agli
anziani una adeguata pensione e un trattamento economico che faccia tabula rasa
dell'elemosina statale che rafforza anche essa l'emarginazione ed esclusione
sociale.
Le principali richieste concrete sono: l'abolizione dei reparti ghetto per lungo-degenti
o di geriatria degli ospedali (istituiti con la legge 132/1968); la realizzazione
nei quartieri popolari di strutture di riabilitazione pubbliche, nonché
di centri pubblici di residenza e assistenza (case alloggio, case protette,
ecc) per gli anziani anche non autosufficienti che sviluppino la socializzazione
della vita di tutti coloro che vengono abbandonati a se stessi ed emarginati
dal sistema del profitto capitalistico; la realizzazione di un servizio pubblico
gratuito di assistenza domiciliare agli anziani, per prestazioni sanitarie,
lavoro domestico e ogni altra esigenza; un'assistenza domiciliare completa ai
non autosufficienti attraverso l'assunzione nei servizi distrettuali di un gran
numero di ``infermieri e medici di comunità e d'equipe''.
In base alla legge 833/1978 ``le attività riabilitative vengono affidate
alle Usl oltre che ai servizi ospedalieri'' (art.26). Dopo la legge però,
per la stragrande maggioranza degli anziani poveri, non cambia nulla. Essi continuano
a ricevere pensioni da fame, causa della loro ulteriore povertà ed inabilità,
fino a quando non sono costretti a ricoverarsi in ospedale: qui molto spesso
contraggono nuove malattie e cronicizzano i disturbi, fino al punto in cui vengono
scaricati definitivamente dalla società in un ospizio o, per quelli che
possono permettersela, in una casa di ``riposo'' privata (!) con la scusa che
non hanno più bisogno di cure mediche.
LA SALUTE DEI ``MALATI MENTALI'', DEI DISABILI, DEGLI HANDICAPPATI E DEI TOSSICODIPENDENTI
Per i ``malati mentali'' si chiede la chiusura definitiva dei
manicomi civili, degli ospedali psichiatrici e dei manicomi giudiziari. La contestazione
nasce dalle denunce sugli orrori di questi veri e propri lager differenziati
in reparti ``agitati'', ``suicidi'', ``senili'', etc, dove si utilizza ogni
forma di ``contenzione forzata'' e di ``terapie sperimentali'': acqua bollente
o gelida, elettroshock, induzione di febbre elevata, coma insulinico e simili.
L'indignazione per lo stato di repressione, emarginazione ed abbandono dei ricoverati
negli ospedali psichiatrici è generale e coinvolge gli infermieri, i
medici, gli assistenti sociali, gli studenti, gli intellettuali e più
in generale le masse popolari. La critica si allarga alle istituzioni psichiatriche,
al sistema carcerario, agli istituti per minori disadattati, alle case di riposo
per gli anziani. Ci si accorge che i degenti negli ospedali psichiatrici appartengono
prevalentemente ad alcune classi sociali, al sottoproletariato e al proletariato.
Si scoprono i legami delle istituzioni psichiatriche con la magistratura, la
polizia, i poteri amministrativi che cooperano al controllo e alla repressione
dei ``disturbatori'' dell'ordine pubblico. La ``malattia mentale'', la ``follia''
viene scoperta problema sociale e politico, non medico, psicologico e psichiatrico.
Si rivendica l'abrogazione di tutta la legislazione manicomiale risalente all'età
giolittiana, di tutta la materia riguardante accertamenti e trattamenti sanitari
obbligatori (Tso) e la costruzione di una rete di servizi extraospedalieri e
territoriali di prevenzione e riabilitazione.
Nel 1978 viene varata la legge 180 che decreta la soppressione dei manicomi
e i cui contenuti vengono ripresi nella legge 883 dello stesso anno; l'assistenza
psichiatrica è trasferita alle regioni e tramite esse alle Usl; vengono
riscritte le regole per l'utilizzo dei Tso che riguardano anche la profilassi
delle malattie infettive e diffusive.
La legge è positiva e avanzata ma da più parti se ne denunciano
le ambiguità. Di fatti non si occupa dei manicomi giudiziari (basta la
qualifica di ``imputato'' per essere ricoverato in manicomio, secondo i principi
classici della pericolosità e dell'internamento), prevede procedure farraginose
e burocratiche per i Tso nelle quali è confermata la competenza giudiziaria
4, le case di cura private, che utilizzano da sempre modalità scandalose
di gestione dei ``malati psichiatrici'' non molto diverse dai manicomi pubblici,
possono continuare indisturbate le loro lucrose attività. Alle pecche
della legge 180 si aggiungono la totale mancanza di strutture alternative sul
territorio e una martellante campagna propagandistica ``sui pazzi in libertà''
orchestrata dai mass-media per terrorizzare l'opinione pubblica. Tutto ciò
ostacolerà la chiusura dei manicomi e fermerà sul nascere l'applicazione
delle parti più avanzate della legge 180, decretandone il fallimento.
Da notare infine che la legge 883 prevede il ricovero obbligatorio in ospedale
(Tso) anche ``qualora non vi siano le condizioni e le circostanze che permettano
di adottare misure extraospedaliere tempestive e idonee''.
I servizi extraospedalieri quali i ``servizi di igiene mentale'' e i ``dipartimenti
per la salute mentale'' delle Usl nonché i servizi deputati alla decronicizzazione
e al reinserimento di malati per lungo tempo segregati negli istituti, si riveleranno
ben presto pochi (scarsissimi al Sud) ed aperti per poche ore al giorno, con
personale scarso e prevalentemente a tempo parziale. Cosicché il ricovero
coatto nei cosiddetti ``repartini psichiatrici'' (per i più poveri) e
nelle case di cura private (per i più ricchi), finisce col tempo col
trasformarsi in un nuovo strumento di segregazione e di esclusione5 mentre i
casi cosiddetti ``meno gravi'', ``pre-psicotici'' o ``borderline'' sono per
intero scaricati sulle spalle delle famiglie dei ``malati'', sole e private
di qualsiasi supporto e aiuto da parte dei servizi pubblici.
Per quanto riguarda la salute degli handicappati e dei disabili, essi con l'appoggio
degli operatori socio-sanitari, delle donne e delle masse popolari, rivendicano
giustamente il diritto di vivere una vita normale e di inserirsi a tutti gli
effetti nella società, di non essere esclusi dal mondo del lavoro, di
avere una pensione adeguata, nonché l'abolizione delle barriere architettoniche
nel territorio comunale, nelle strutture pubbliche, sui mezzi di trasporto pubblico,
nelle abitazioni, nei luoghi di lavoro e di studio, un'assistenza completa e
qualificata fin dalla scuola, la creazione di centri di riabilitazione psico-fisica
e l'assistenza domiciliare.
Diversi studi chiariscono che l'integrazione sociale e l'assistenza socio-sanitaria
ai bambini handicappati deve iniziare il più precocemente possibile,
fin dall'asilo nido e dalla scuola materna mentre per i casi più gravi
si rivendica la costruzione di ``istituzioni pubbliche aperte'' come le ``comunità
alloggio'' e i ``centri residenziali'' ove sia possibile praticare una riabilitazione
prolungata e gratuita. Anche in questo campo si contesta la medicina borghese
che ``risponde'' con interventi settoriali e inadeguati in ``istituzioni chiuse''
(istituti per ciechi, per sordomuti, per subnormali, per handicappati mentali
gravi, per disadattati, per soggetti con disturbi del linguaggio).
La legge 118 del 1971 affronta il problema dei mutilati e degli invalidi civili
e fissa le norme per la concessione delle pensioni di invalidità, prevede
delle indennità per la frequenza a corsi di formazione professionale
ed istituisce sistemi di lavoro protetto per speciali categorie di inabili mentre
il Dpr 384/78 propone una politica dettagliata di eliminazione delle barriere
architettoniche, il trasporto gratuito a scuola e che ``l'istruzione dell'obbligo
deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvo i casi di gravi
deficienze intellettive e di menomazioni fisiche di particolare gravità''.
La legge 517/1977 prevede l'assistenza ad handicappati e disabili da parte del
servizio socio-pedagogico e altre forme di sostegno.
Con la 883 vengono coinvolti nell'assistenza, accanto ai comuni, i ``servizi
di medicina scolastica'' delle Usl ma complessivamente anche in questo ``settore''
la sovrastruttura giuridica capitalistica mostrerà ben presto la sua
ipocrisia. L'eliminazione delle barriere architettoniche si scontra con le leggi
del profitto e della speculazione edilizia rimanendo lettera morta; grazie all'infame
accordo sindacale del 22 gennaio 1983 gli handicappati e disabili saranno esclusi
dal mondo del lavoro e costretti a percepire l'elemosina dell'assistenza statale;
gli asili e le scuole materne sono scarsi (quasi inesistenti al Sud); i servizi
di igiene mentale vengono mantenuti fuori dalle scuole e non sono coordinati
con gli altri servizi delle Usl; la medicina scolastica si limita ``alla caccia
al deviante'' per cui i criteri per la definizione dei soggetti portatori di
handicap è nei fatti lasciata alla discrezione degli insegnanti della
scuola borghese che spesso classificano handicappati alunni poveri che in realtà
non lo sono; si diffonde la pratica lombrosiana della valutazione del quoziente
intellettivo; i centri alloggio e residenziali sono inesistenti e i centri di
riabilitazione saldamente nelle mani dei privati. L'assistenza pubblica si limita
quindi a forme marginali di beneficenza pubblica per i casi gravissimi (assegno
di accompagnamento ai portatori di handicap gravi) e viene dunque anch'essa
scaricata sulle famiglie, e in particolar modo sulle donne, mentre in quelle
poche regioni dove esistono centri pubblici essi conservano l'aspetto di ``tetri
contenitori per emarginati'' che rassomigliano più a dei lager che a
dei centri di rieducazione vera e propria.
Nel generale movimento contro l'emarginazione sociale e l'istituzionalizzazione
si distingue il fronte della tossicodipendenza dove i volontari si mobilitano
per chiedere la costruzione presso le Usl di attrezzati centri di assistenza
e cura dei tossicodipendenti, destinandovi adeguati finanziamenti pubblici.
Si chiede che tali centri possano anche procedere alla somministrazione controllata
dell'eroina con forme e modalità che evitino la ghettizzazione e il controllo
poliziesco e giudiziario dei tossicodipendenti e li aiutino ad assicurargli
un posto di lavoro. Di questo aspetto la legge 883 non si occupa nello specifico
e ciò comporta il progressivo svilupparsi delle ``comunità terapeutiche''
e ``dei centri di disintossicazione e recupero'' gestite da privati o associazioni
di volontariato. In alcune di esse, come è emerso per le strutture create
e gestite dal padre-padrone Muccioli, si utilizzano metodi fascisti, non dissimili
da quelli utilizzati negli ex-manicomi e i tossicodipendenti e i volontari sono,
a loro insaputa, gestiti per manovre affaristiche e clientelari.
4.LE CAUSE DEL FALLIMENTO DELLA ``RIFORMA SANITARIA''
Da quanto detto si comprende la strategia della classe dominante,
prima, dopo e durante la ``riforma'' del 1978, per annacquarla, svilirla e privarla
di quei contenuti che il proletariato e le masse popolari avevano rivendicato
nelle grandi lotte di quasi un ventennio.
Più in generale, per quanto riguarda l'impianto stesso della legge 883,
la borghesia, attraverso la sua sovrastruttura giuridica, inserisce preventivamente
un cancro, che contribuirà in misura notevole nei decenni successivi
a corrodere il tessuto sul quale è impiantata la ``riforma sanitaria''.
Questo cancro è la legge n.132 del 1968 che detta le norme generali riguardanti
l'ordinamento ospedaliero e il personale sanitario. Essa riconosce la centralità
dell'ente ospedaliero in tema di salute attribuendogli per di più, oltre
all'attività di diagnosi e cura generica e specialistica, compiti in
difesa attiva della salute, tra cui l'educazione igienico-sanitaria del malato
e del suo nucleo familiare e persino attività extraospedaliere, quali
l'istituzione di ambulatori, dispensari, consultori, centri per la cura e la
prevenzione di malattie sociali e del lavoro(!), centri per il recupero funzionale,
attività di ricerca indagini scientifiche e medico sociali. Il risultato
è una colonizzazione del territorio da parte dell'ospedale, con la relativa
diffusione metastatica di un modello di salute esclusivamente tecnicistico.
L'istituzione ospedaliera continuerà dunque non solo ad assorbire la
stragrande maggioranza delle risorse finanziarie dello Stato, ma, insieme ai
nuovi Policlinici, a conservare il monopolio assoluto della formazione di tutto
il personale sanitario, che non è altro che il monopolio della riproduzione
della medicina della classe dominante, o meglio della sua ideologia di classe
in campo sanitario.
L'organizzazione gerarchica, feudale, superspecialistica, chiusa delle facoltà
di medicina e degli ospedali non vengono scalfiti dalla ``riforma sanitaria'',
che se ne occupa solo superficialmente. ll cuore del sistema medico borghese
è dunque preservato e continua ininterrotto a pompare ovunque il suo
sangue reazionario, attraverso i suoi ambasciatori: i medici e il personale
sanitario, formati e selezionati ideologicamente accuratamente a sua immagine
e somiglianza.
Dunque un cancro, un cuore nero, l'amputazione di quella che doveva essere la
seconda gamba del sistema sanitario e cioè la riforma del sistema assistenziale
che non sarà mai attuata (Quella della Livia Turco, attualmente in discussione
in parlamento non si può certo considerare una vera riforma); infine
la privazione dell'ossigeno rappresentato dalla partecipazione reale dei malati
e delle masse popolari al controllo, alla programmazione e alla gestione del
sistema sanitario che, al di là delle consuete chiacchiere legislative,
sarà sistematicamente evitato.
I piani sanitari nazionali e regionali e relativa programmazione, che sono il
perno del sistema, sono varati in grosso ritardo o non lo sono affatto. Nel
1980 10 regioni non hanno ancora definito le aree di intervento delle Usl e
il primo piano sanitario nazionale deve ancora vedere la luce. La maggior parte
degli 86 (!) decreti delegati che avrebbero dovuto seguire immediatamente la
legge 883 e precisarla non sono varati. è il caso per esempio del ``testo
unico in materia di sicurezza del lavoro, che riordini la disciplina generale
del lavoro e della produzione al fine della prevenzione degli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali......al fine di garantire la salute e l'integrità
fisica dei lavoratori, secondo i principi indicati dalla presente legge (883)''
che sarà varato solo 15 anni dopo (legge antioperaia 626/94).
Subito dopo la ``riforma'' vengono liberati gli sciacalli nel tentativo frenetico
di ripristinare i vecchi equilibri di potere tutti centrati sulle baronie universitarie
ed ospedaliere, sul controllo politico, mafioso-affaristico-clientelare, dei
consigli di amministrazione delle Usl e degli ospedali, sulla subordinazione
dell'unità sanitaria e della medicina territoriale all'ospedale, sulla
subordinazione della medicina pubblica alla medicina privata, sui proclami circa
la presunta neutralità della scienza medica e la centralità del
tecnico. Si delineano due campi: da una parte vecchi baroni, nuovi leoni, tutti
indaffarati attorno al grande affare a chiedere, litigando tra di loro, milioni
e miliardi per superstrutture tecniche per nuovi reparti, nuovi primariati e
nuovi ospedali e dall'altra uno schieramento sociale che chiedeva, lottava,
sperava ingenuamente che una legge potesse portare alla bonifica igienica e
produttiva del territorio. L'illusione durò pochi mesi poiché
come viene puntualmente denunciato dalle colonne de ``Il Bolscevico'' ``la sanità
pubblica italiana è ridotta subito allo sfascio e il diritto alla salute
non è affatto garantito rimanendo lettera morta sulla carta costituzionale
e nella legge di `riforma'... lo sfascio del Ssn avviene per tre motivi fondamentali:
1) appena approvata la legge di `riforma' si scatena una violenta campagna stampa
denigratoria; 2) si avvia un processo progressivo di privatizzazione del servizio
e delle strutture mentre costanti sono i tagli alla spesa sanitaria, pagata
per lo più dai lavoratori dipendenti con le trattenute previdenziali;
3) si sviluppa una ferrea lottizzazione ed una interessata incapacità
gestionale da parte del governo e delle amministrazioni locali''.
In tutta Italia, e particolarmente nel Meridione, il denaro è gestito
in modo mafioso da commissari governativi e presidenti regionali con aziende
amiche dei politici che controllano appalti e subappalti per alimentare uno
sfacciato clientelismo elettorale e intascare cospicue tangenti. Le Usl, molto
spesso, sono sommerse dai debiti e gli operatori costretti ad operare in uno
stato di irreversibile precarietà, abbandonati dalle istituzioni e senza
la garanzia dello stipendio. Negli ospedali mancano i farmaci e gli strumenti
sanitari ed è disastrosa la gestione del servizio, con paurosa carenza
di strutture e personale, inefficienza, lottizzazione, clientelismo e corruzione
che provocano liste di attesa infinite per i ricoveri e le visite ambulatoriali.
L'introduzione dei ticket sempre più costosi sui medicinali e le analisi
colpiscono pesantemente i magri bilanci dei lavoratori e dei più bisognosi
come gli anziani, chiarendo subito a tutti che la gratuità dell'assistenza
è stata solo un'altra illusione giuridica!
Quando, nella seconda metà degli anni '80, per colpa dei revisionisti
la lotta di classe in Italia perde la sua carica dirompente e comincia a rifluire,
la borghesia, attraverso il suo apparato propagandistico (giornali, tv, libri,
ecc), scatena una campagna per convincere le masse popolari della necessità
di nuovi e più pesanti tagli e sacrifici per il bene del Paese. Per affrontare
al meglio la sfrenata competizione economica mondiale che si staglia all'orizzonte
dell'entrata dell'Italia nell'Europa unita imperialista, i vari governi affamatori
che si succedono alla guida del Paese, si concentrano sullo smantellamento dello
``Stato sociale'', cavalcando strumentalmente le inefficienze e gli sprechi
del sistema pubblico, e sulla privatizzazione di tutto ciò che è
privatizzabile con l'obiettivo di cancellare diritti conquistati con decenni
di lotte dal proletariato e dalle masse popolari. Uno degli argomenti preferiti,
per assopire e limitare le lotte, è ``la necessità di ridurre
il debito pubblico''. Per quanto riguarda la spesa sanitaria vedremo in seguito
che il contributo dello Stato in realtà rappresenta soltanto una insignificante
percentuale del Pil e che più della metà del fondo sanitario nazionale
è finanziato con i contributi versati dai lavoratori. Qui intendiamo
rispondere alla domanda: da dove viene lo sperpero di denaro pubblico e il misterioso
``debito pubblico'' che la borghesia da almeno un decennio utilizza per fare
ingoiare alle masse popolari stangate, tagli e controriforme in ogni settore
pubblico? Lenin in ``Stato e rivoluzione'', a proposito dello Stato scrive:
``Per mantenere un potere pubblico speciale, posto al di sopra della società,
sono necessarie delle imposte ed un debito pubblico''. (Edizioni PMLI, p.10)
``L'imperialismo, epoca del capitale bancario e dei giganteschi monopoli capitalistici,
epoca in cui il capitalismo monopolistico si trasforma in capitalismo monopolistico
di stato, mostra in modo particolare lo straordinario consolidamento della `macchina
statale', l'inaudito accrescimento del suo apparato burocratico e militare per
accentuare la repressione contro il proletariato...''(idem, p.25) ``La burocrazia
e l'esercito permanente sono dei `parassiti' sul corpo della società
borghese, parassiti generati dalle contraddizioni interne che dilaniano questa
società, ma parassiti appunto che ne `ostruiscono' i pori vitali''. (idem
p.23)
Si pone qui la questione dei privilegi e della corruzione dei funzionari quali
organi del potere statale, e la storia di tangentopoli e sanitopoli confermano
ancora una volta che la società capitalistica è corrotta fino
al midollo, in ogni parte del suo più o meno grande apparato di controllo
politico, che essa ha bisogno della corruzione e del debito pubblico per mantenere
quella forza pubblica che è lo Stato, organo di dominio e di oppressione
di classe che stabilisce l'``ordine'', legalizzando e consolidando questa oppressione,
al fine di moderare il conflitto tra le classi.
Dunque lo Stato ``rappresentativo'' moderno è sempre lo strumento per
lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale, strumento che ha
bisogno di essere foraggiato e che quindi porta sempre con sé un ``debito
pubblico'', che più che un debito è un furto alle classi oppresse
utilizzato esclusivamente per tenerle tali. Chiarisce Engels, ``Eccezionalmente
tuttavia, vi sono periodi in cui le classi in lotta hanno forze pressocché
eguali, cosicché il potere statale, in qualità di apparente mediatore,
momentaneamente acquista una certa autonomia di fronte ad entrambe''. (idem,
pp.10 e 11)
Proprio durante le grandi lotte degli anni '60 e '70 lo Stato borghese, ``in
qualità di apparente mediatore'', si è momentaneamente trasformato
nel cosiddetto ``Stato sociale'', formalmente equidistante dalle classi in lotta,
raggiungendo un compromesso con le classi oppresse teso a moderarne e imbrigliarne
la spinta rivoluzionaria. In quegli anni grazie alle grandiose mobilitazioni
popolari la scuola, l'università, i trasporti, la sanità vengono
sottratti al controllo diretto del capitale ed entrano a far parte e vengono
gestiti dall'apparato statale borghese, il cui nucleo principale, indispensabile
e portante è costituito sempre, fin dall'inizio, e in ogni sistema capitalistico,
dall'esercito permanente, dalla polizia, dal carcere, dai manicomi e dalla burocrazia.
Questo nuovo, perfezionato e allargato sistema statale borghese (``Stato sociale''),
rafforzato grazie all'illusoria e complice propaganda riformista e revisionista
del PCI, è in grado di sopportare l'urto di una violentissima ondata
di lotta di classe del proletariato che aveva portato quest'ultimo ad un passo
dalla rivoluzione (che non può essere altro che la conquista del potere
politico da parte del proleteriato, attraverso l'insurrezione armata e la distruzione
della macchina statale borghese) ed ha assolto ``magnificamente'' la sua funzione
di apparente mediatore e moderatore dei conflitti inconciliabili tra classi
irreversibilmente nemiche. Una volta poi che la lotta di classe segna il passo
e che i servi e rinnegati dirigenti del Pci tramutano il loro giuramento di
fedeltà allo Stato borghese in giuramento di fedeltà al capitale,
il capitalismo italiano può riorganizzare le forme del suo dominio politico,
sfoltendo le competenze statali in campo sociale, centralizzando il potere dei
suoi organi a tutti i livelli e svendendo nuovamente ai privati tutto ciò
che non serve strettamente a controllare le classi sfruttate nel nuovo tornante
storico caratterizzato da rapporti di forza diversi. Il ritiro progressivo dello
Stato borghese dal ``sociale'', da un lato ci svela sempre di più la
vera essenza dello Stato, e dall'altro chiarisce l'operazione di facciata che
ha dovuto compiere negli anni caldi caratterizzati dal divampare della lotta
di classe, per mantenere in piedi la proprietà privata dei mezzi di produzione,
il profitto e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
ll PCI ha idealizzato lo Stato borghese, astraendolo, insieme alla sua sovrastruttura
politica e giuridica dal sistema economico che lo regge e lo alimenta, ed ha
inculcato così nelle masse l'illusione di una via riformistica al socialismo.
Lenin, ancora in ``Stato e rivoluzione'', fa i conti con la repubblica democratica,
il riformismo e il cretinismo parlamentare con queste parole: ``l'onnipotenza
della `ricchezza' è, in una repubblica democratica, tanto più
sicura in quanto non dipende da un cattivo involucro del capitalismo. La repubblica
democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo;
per questo il capitale, dopo essersi impadronito di quest'involucro fonda il
suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento,
né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell'ambito
della repubblica-democratico borghese può scuoterlo''. (Idem, p.11)
In fondo il PCI revisionista è stato prima il più grande difensore
della ``riforma sanitaria del '78'' che istituiva il Ssn poi, trasformatosi
nel mostriciattolo liberista del PDS poi DS e raggiunte le poltrone di governo
in piena seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista,
è divenuto il principale artefice della distruzione di quello stesso
Ssn, attraverso una vera e propria controriforma sanitaria che in fondo persegue,
per via parlamentare e governativa gli stessi obiettivi, (anche se con velocità
diverse e strumenti più ``soft'') che gli ultraliberisti e neofascisti
Pannella e Bonino avrebbero voluto raggiungere per via referendaria (abolizione
del Ssn) 6
5. LA CONTRORIFORMA DE LORENZO
IL DEBITO PUBBLICO E LO SMANTELLAMENTO DEL SSN
Per comprendere il reale significato della controriforma sanitaria
che, all'inizio dello scorso decennio, riscrive l'organizzazione della sanità
italiana è in primo luogo indispensabile analizzare il contesto generale
nella quale si inscrive.
I parametri di Maastricht impongono ai vari paesi dell'Unione europea la riduzione
del debito pubblico quale condizione indispensabile per partecipare all'unione
economico-monetaria europea e i governi affamatori tagliano la spesa sociale
inaugurando una politica di lacrime e sangue che accomunerà poi tutti
i governi che si succederanno alla guida del nostro Paese.
Già all'inzio degli anni '90 vengono raddoppiati i ticket sanitari e
portati al 60% del loro costo, viene ulteriormente ristretta la casistica delle
esenzioni ai soli malati cronici con conseguenze drammatiche per gli indigenti.
A chi può pagare viene garantita la cura e l'assistenza, per gli altri
indebitamento o assistenza insufficiente e di serie B. Eminenti studiosi, medici,
scienziati e economisti, politici e industriali parlano della necessità
delle privatizzazioni. Ed è proprio la necessità di tagliare la
spesa sanitaria e di privatizzare la sanità che porta alla legge delega
421 del 1992. Quest'ultima appare essenzialmente imperniata su criteri opposti
a quelli che ispiravano (anche se solo formalmente) la ``riforma sanitaria'',
essendo finalizzata non tanto ad individuare le quote di bisogno sanitario da
soddisfare sulla base di dati clinico-epidemiologici, quanto ad indicare le
quote di finanziamento che, partendo dalle risorse messe a disposizione dalla
legge finanziaria, vanno in sostanza ad individuare ``quanto'' dei singoli bisogni
sanitari si può soddisfare con tali risorse. La priorità del bisogno
sulla quale era fondata la stesura della legge 883 del 1978 che istituiva il
Servizio Sanitario Nazionale viene completamente ribaltata dalla priorità
assoluta dei costi e delle spese.
Il decreto legislativo De Lorenzo n.502 arriva puntualmente nel '92 quando è
in carica il primo governo Amato, seguito dal 517 nel corso dell'anno successivo,
sotto il governo Ciampi. In essi si specifica nel dettaglio che lo smantellamento
del Sistema sanitario nazionale così come era stato definito dalla legge
di riforma del '78 (883), avviene trasformando le Usl e i grandi ospedali in
aziende, svincolate dal controllo comunale, dotate di autonomia finanziaria,
gestionale, patrimoniale, amministrativa, contabile e tecnica e dirette da un
manager, con poteri sconfinati, il cui compito è di fare quadrare i bilanci
(preferibilmente attraverso tagli ai servizi, ai posti letto, al personale,
alla sicurezza, al consumo di farmaci, ecc.). A seguito di questa controriforma
si apre la competizione tra le aziende nel mercato sanitario e riemergono prepotentemente
le strutture private, accreditate e non, foraggiate dalle mille collusioni a
tutti i livelli con le amministrazioni pubbliche, le giunte locali, le baronie
universitarie ed ingigantite dalla politica sanitaria nazionale e regionale
di distruzione o affamamento progressivo della sanità pubblica e del
sistema sanitario nazionale. Vengono inoltre accorpate diverse Usl in unica
Asl e drasticamente ridotti i distretti sanitari di base (articolazione operativa
territoriale delle Usl) già drammaticamente carenti su tutto il territorio
nazionale e sostanzialmente soppresso ogni approccio preventivo ai problemi
sanitari della popolazione. Nel frattempo a livello nazionale, sempre con la
scusa del ``debito pubblico'', si operano gli ennesimi tagli alla spesa sanitaria
e alcune modifiche sostanziali ai parametri di assegnazione del fondo sanitario
nazionale destinato alle regioni con grosse penalizzazioni per le regioni del
Sud e delle Isole che sono ``costrette'', per limitare le spese, a centelinare
i finanziamenti alle Asl e alle aziende ospedaliere e, per procacciarsi nuove
entrate, a ritoccare di continuo e in aumento gli odiosi ticket su farmaci,
prestazioni specialistiche, etc o inventarsi nuovi balzelli.
Le leve principali sulle quali poggia dunque la controriforma della Sanità,
varata dai decreti legislativi 502/92 e 517/93 sono:
1) La regionalizzazione della sanità
2) La aziendalizzazione delle Usl
3) Il finanziamento pubblico alle assicurazioni e alle strutture private.
LA REGIONALIZZAZIONE DELLA SANITA'
L'articolo 13 della legge delega 421 del 1992 per quanto riguarda
l'autofinanziamento recita al comma 1: ``le Regioni fanno fronte con risorse
proprie agli effetti finanziari conseguenti all'erogazione di livelli uniformi
di assistenza, all'adozione di modelli organizzativi diversi da quelli assunti
come base per la determinazione del parametro capitario di finanziamento di
cui all'art.1 (popolazione residente, mobilità sanitaria, consistenza
e conservazione di impianti, strutture e dotazioni strumentali) nonché
agli eventuali disavanzi di gestione delle unità sanitarie locali e delle
aziende ospedaliere con conseguente esonero di interventi finanziari da parte
dello Stato'' e al comma 2: ``Per provvedere agli oneri di cui al comma precedente
le regioni hanno facoltà, di provvedere la riduzione dei limiti massimi
di spesa per gli esenti previsti dai livelli di assistenza, l'aumento della
quota fissa sulla singole prestazioni farmaceutiche e sulle ricette relative
a prestazioni sanitarie, fatto salvo l'esonero totale per i farmaci salva-vita,
nonché variazioni in aumento dei contributi e dei tributi regionali....''
Ecco la prima picconata al SSN: il perno del sistema sanitario diventa la Regione.
Da un lato il comune, che nella precedente organizzazione sanitaria sovraintendeva
alle attività delle Usl, perde gran parte delle sue funzioni in campo
assistenziale, dall'altro lo Stato perde d'un colpo la possibilità di
programmare e verificare il riequilibrio territoriale delle condizioni sanitarie
della popolazione, di poter programmare e verificare livelli uniformi di assistenza
su tutto il territorio nazionale.
Il Piano sanitario nazionale perde di significato e viene sostituito da tanti
piani sanitari regionali, che tra l'altro in molte regioni a distanza di dieci
anni devono ancora vedere la luce.
La riduzione delle spese sanitarie dello Stato si attua dunque:
1) con la riduzione notevolissima del budget a disposizione del fondo sanitario
nazionale (previsto nelle varie leggi finanziarie) da erogare alle regioni;
2) con la possibilità, ed evidentemente con l'assoluta necessità,
delle regioni di sopperire autonomamente alla carenza di risorse finanziarie
attraverso il cosiddetto federalismo fiscale (possibilità di riscuotere
autonomamente tasse e tributi).
L'AZIENDALIZZAZIONE DELLE USL E DEGLI OSPEDALI
L'altro versante dell'assalto e sostanziale smantellamento
del SSN proviene, come abbiamo detto, dalla trasformazione delle Unità
sanitarie locali in aziende sanitarie (Asl). Esse pur rimanendo personalità
giuridica pubblica ed enti strumentali della regione acquisiscono ``autonomia
organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica''.
L'organizzazione delle neonate Asl viene mutuata dall'organizzazione delle aziende
ed imprese private: a capo della Asl, con enormi poteri, vi è il manager
che non deve necessariamente avere una preparazione specifica in campo sanitario,
è assunto con contratto di lavoro privato ed è responsabile dell'andamento
della azienda dal punto di vista essenzialmente economico.
La tendenza decisa verso la privatizzazione della sanità pubblica non
si evidenzia soltanto dai punti sovraesposti ma è anche, e soprattutto,
confermata dalla possibilità di accesso da parte delle Asl a finanziamenti
da parte dei privati (oltre ai fondi regionali). Si instaura un sistema misto
pubblico-privato con il coinvolgimento delle famiglie e del volontariato.
Il ``consiglio dei sanitari'' della Asl, che ha funzioni di consulenza tecnica
alla direzione aziendale, è costituito a maggioranza da medici ospedalieri,
il che conferma l'orientamento ospedaliero e curativo, più che territoriale
e preventivo, della ``nuova'' sanità.
Per quanto riguarda i finanziamenti le regioni attribuiscono alle Asl ed aziende
ospedaliere ``una quota del fondo sanitario nazionale non superiore all'80%
dei costi complessivi delle prestazioni che l'azienda è nelle condizioni
di erogare, rilevabile sulla base della contabilità''. Il resto entrerà
alle aziende tramite ``prestazioni regolate da tariffe regionali, partecipazione
alla spesa da parte dei cittadini, attività libero professionale, lasciti,
prestiti, donazioni e rendite del patrimonio aziendale, altri contratti e convenzioni
con soggetti terzi''.
Con la 502 viene modificata radicalmente la geografia delle funzioni tecnico-scientifiche
dei settori sanitario e ambientale. Il D.Lgs pur confermando una generica competenza
delle Asl in materia di prevenzione ambientale, ne ha molto ridimensionato il
ruolo, sottraendo loro in particolare la gestione dei ``servizi multizonali
di prevenzione (Pmp)''. La gestione dei Pmp, ex laboratori di igiene e profilassi,
è ora attribuita mediante legge regionale, ad un apposito organismo per
la prevenzione, unico per tutto il territorio regionale e organizzato in modo
autonomo (art.7). Si comincia a prospettare, accanto all'accentramento del potere
regionale, la creazione di più ``agenzie regionali'' che, in coordinamento
con il SSN ma in piena autonomia funzionale e gestionale, forniscono supporto
tecnico-operativo alle regioni e agli enti locali. Un passo più corto,
ma sempre deciso verso la completa privatizzazione e aziendalizzazione delle
Usl e dell'intero servizio sanitario nazionale.
Sull'onda controriformatrice della 502, nella primavera del '93, attraverso
un referendum abrogativo, si elimina il principio secondo cui il SSN, nell'ambito
delle sue competenze, persegue l'identificazione delle cause degli inquinanti
dell'atmosfera, delle acque e del suolo; si sottrae al SSN la competenza in
materia di igiene ambientale, si abroga la norma che dispone il trasferimento
alle Usl, dei beni mobili e immobili e delle attrezzature dei laboratori di
igiene e profilassi. In tal modo si colpisce lo stesso principio dell'inscindibilità
tra tutela ambientale e salute della popolazione garantiti da un servizio pubblico,
aprendo di fatto le porte alla sottrazione al servizio sanitario pubblico anche
di competenze sull'ambiente di lavoro conquistate con mezzo secolo di lotte
dei lavoratori.
LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ASSISTENZA SANITARIA
La controriforma sanitaria diviene ancora più esplicita quando tratta
delle cosiddette forme differenziate di assistenza che reintroducono le mutue
e assicurazioni private presenti prima dell'istituzione del SSN. A tale proposito
così si esprime l'Art.9: ``le regioni possono prevedere forme di assistenza
differenziate per tipologia di prestazioni...'' e più avanti ``con decreto
del ministero della sanità, di concerto con i ministri del tesoro e delle
finanze, d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le provincie autonome, sono determinate, per ciascun triennio di
validità del piano sanitario nazionale, le quote di risorse destinabili
per la gestione di forme di assistenza differenziate di cui al comma 1...''
e infine al comma 3 si specifica in cosa consistono le forme di assistenza differenziate:
``a) nel concorso alla spesa sostenuta dall'interessato per la fruizione della
prestazione a pagamento; b) nell'affidamento a soggetti singoli o consortili,
ivi comprese le mutue volontarie, della facoltà di negoziare, per conto
della generalità degli aderenti o per soggetti appartenenti a categorie
predeterminate, con gli erogatori delle prestazioni del servizio sanitario nazionale,
modalità e condizioni allo scopo di assicurare qualità e costi
ottimali. L'adesione dell'assistito comporta la rinuncia da parte dell'interessato
alla fruizione delle corrispondenti prestazioni in forma diretta e ordinaria
per il periodo della sperimentazione''. ``A tale fine la regione può
dare vita a società miste a capitale pubblico e privato''.
Questi provvedimenti insieme a tutta una serie di agevolazioni e finanziamenti
alle strutture private pongono i presupposti per la definitiva entrata della
sanità pubblica parzialmente privatizzata nel cosiddetto mercato dove
la competizione con le strutture private e le ``mutue integrative'', l'inserimento
prepotente dei privati nel pubblico, le agevolazioni e il finanziamento pubblico
alle strutture private e la contemporanea drastica riduzione del fondo sanitario
nazionale, determina una inevitabile deriva del ``pubblico'' verso il privato.
LE CONSEGUENZE
Per questi motivi di fatto il sistema sanitario nazionale che era stato delineato
nella legge 883 del '78 non esiste più. La politica governativa assume
progressivamente toni sempre più spiccatamente tatcheriani che prefigurano,
dopo una più o meno lunga fase intermedia di transizione, la totale privatizzazione
della sanità pubblica.
Del resto la golpista ``commissione bicamerale per le riforme'', presieduta
dal rinnegato D'Alema, che aveva il compito di sancire costituzionalmente la
seconda repubblica, conferma e generalizza questi concetti introducendoli addirittura
nell'art.56 di quello che doveva essere il nuovo testo costituzionale con il
quale si estendeva l'affidamento ai privati di tutte le funzioni attualmente
attribuite allo Stato (amministrazione, servizi, assistenza, sanità,
ecc.).
Secondo il cosiddetto ``principio di sussidiarietà'' il pubblico interviene
solo laddove il mercato fallisce o non trova abbastanza profitto da ricavare.
Tutto ciò realizza i sogni della borghesia che può permettersi
le mutue private, l'accesso alla attività intramoenia negli ospedali
e l'accesso alle strutture private mentre le masse sono sempre di più
costrette a fare riferimento per i propri bisogni ad un pubblico sempre meno
efficiente, sempre più costoso (aumento dei ticket su farmaci, specialistica,
ecc.) e sempre più alla deriva e alla mercè del privato.
In due parole questa controriforma attua il risparmio e il disimpegno dello
Stato nel settore sanitario, sociale, di cura e assistenza nonostante che il
livello di spesa sociale in Italia, in rapporto al Pil, sia sempre stato inferiore
di diversi punti rispetto alla media europea (nel '96 inferiore di 5 punti rispetto
a Francia e Germania).
Il mutato meccanismo di finanziamento del SSN fa sì che dal '92 al '98
la spesa dello Stato diminuisca di 5 mila miliardi, che è quasi il 15%
del totale dell'integrazione effettuata, sul fondo sanitario nazionale7, con
i fondi della fiscalità generale da parte dello Stato al SSN (quest'ultima
nel '94 è stata appena il 2,07% del Pil). C'è da precisare che
in questi anni, oltre ai contributi di malattia dei lavoratori ed ai prelievi
tramite la fiscalità generale, sulle masse popolari grava un'ulteriore
spesa di circa 36-37 mila miliardi di lire per il pagamento dei ticket e delle
prestazioni sostenute direttamente dai cittadini, pari a 641 mila lire pro capite
nel '96, (di cui il 23,6 % per cure in cliniche private; il 34,8 % per farmaci;
il 34,5% per servizi medici; il 6,9% per materiale terapeutico). Pertanto nello
stesso anno la spesa complessiva per prestazioni e prodotti a carattere sanitario
si aggira intorno ai 131 mila miliardi che tra contributi di malattia, ticket
e spese dirette è pagata, per ben il 66,46% del totale della spesa sanitaria
del nostro Paese, ``direttamente'' dai cittadini.
La percentuale dei soli contributi di malattia, a carico soprattutto del lavoro
dipendente, rappresenta quasi il 60% del fondo sanitario nazionale.
Col pretesto del ``deficit pubblico'', che per quanto abbiamo visto non ha relazione
diretta con la spesa sanitaria che è per quasi i 3/4 pagata direttamente
dai lavoratori, vengono varati i Piani sanitari regionali ispirati ad una logica
di privatizzazione e di risparmio a tutti i costi, che ha i suoi capisaldi nel
taglio dei posti letto, nella riduzione dei conti di degenza, con ricoveri lampo
e progressiva deospedalizzazione della cura dei malati, in una diversificazione
dei servizi a pagamento.
Il primo amaro frutto dei nuovi piani sanitari regionali è la chiusura
o la riconversione dei ``piccoli'' ospedali, quelli con meno di 120 posti letto,
pari a circa 360 ospedali per un numero complessivo di 26 mila posti letto e
dove lavorano circa 40.000 dipendenti. I posti letto utilizzati invece sotto
il 75% dell'indice di saturazione vengono convertiti in day-hospital e lungodegenza
per una riduzione prevista di 20.800 posti letto, dove lavorano 36.400 dipendenti.
Dal '92 al '94 la dotazione media di posti letto diminuisce passando dal 6,6
al 6,2 per 1000 ab. I posti letto privati invece diventano nel '93 ben il 17,9%
del totale dei posti letto. Nello stesso anno le spese del SSN vanno per più
del 35% ai privati convenzionati.
L'Emilia Romagna è la prima a dare operatività alla controriforma
sanitaria, le cliniche private per fare concorrenza al servizio sanitario pubblico,
ricevono 400 miliardi dall'assessorato alla Sanità.
Si procede subito all'``accreditamento'' indifferenziato di tutte le strutture
private con l'aggiramento dei cosiddetti ``requisiti minimi'' e degli standard
tecnico organizzativi, di personale e di qualità. Nel 1998 in Campania
su 150 strutture di degenza, 7 sono aziende ospedaliere autonome, 2 le aziende
universitarie Policlinico, 2 gli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico,
55 gli ospedali a gestione diretta delle Asl, 5 gli ospedali psichiatrici ancora
in attività e ben 79 le case di cura private, tutte accreditate dal SSN.
Queste ultime rappresentano dunque in Campania il 53 % di tutte le strutture
di degenza della regione.
Dal 1995 tutti gli ospedali pubblici e privati già convenzionati e oggi
accreditati con il SSN, per la loro attività sono finanziati secondo
un sistema di tariffe massime decise a livello regionale: i Drg (Diagnosis related
groupe) che diventano lo strumento di misurazione e controllo dell'attività
in regime di ricovero negli ospedali pubblici. La strategia adoperata per massimizzare
i ricavi dai direttori generali e dai primari dei reparti ospedalieri è
quella da un lato di ridurre i posti letto e le giornate di degenza dall'altro
di aumentare indiscriminatamente i ricoveri che secondo lo schema dei drg permettono
maggiori finanziamenti regionali. Il risultato è l'aumento dei ricoveri
di 2-3 giorni (+23,4% nelle aziende pubbliche, +170,4% negli Irccs privati,
+53,3% nelle case di cura private). Le indiscriminate dimissioni lampo determinano
tra le altre cose l'esplodere delle infezioni post-chirurgiche a domicilio e
impediscono qualsiasi controllo su di esse negli ospedali, nonostante rappresentino
un importante indicatore del pessimo stato igienico dei reparti ospedalieri
del nostro Paese. Nel '96 i posti letto diminuiscono ancora toccando il 5,9
per 1.000 abitanti insieme alla media delle giornate di degenza che passano
da 12 a 10 gg. Carenti ovunque rimangono i posti letto ``pubblici'' per la lungodegenza
e la riabilitazione funzionale dove il privato detiene il 71% di tutti i posti
letto in questo settore.
Nel frattempo dal 1991 al 1996 diminuiscono da 53.223 a 47.637 i medici di base
mentre la popolazione aumenta dell'1%, per cui di conseguenza il numero di residenti
per medico passa da 1.066 a 1.205 e il numero di assistiti per medico da 1.014
a 1.087. Si accentuano le diseguaglianze tra Nord e Sud: il numero di medici
per abitante è più basso al Sud (8 per 1.000) e particolarmente
nelle zone interne e montuose (6 per 1.000).
Anche il numero medio di bambini per pediatra passa da 539 a 667 e in Liguria
ed Emilia si registrano oltre 10 pediatri per ogni 10.000 bambini mentre in
Campania sono meno di 5 per 10.000. Globalmente nelle regioni meridionali e
insulari il tasso è del 5.9 per 10.000 laddove la media nazionale è
del 7.7 per 10.000.
Inoltre i servizi di guardia medica e continuità assistenziale vengono
organizzati in maniera totalmente disomogenea sul territorio nazionale poiché
il federalismo lascia ad ogni singola regione l'indicazione e la scelta dei
campi d'intervento di questo settore importante delle cure primarie.
Dal '92 aumentano gli odiosi ticket che colpiscono indiscriminatamente a prescindere
dal reddito mentre dal '92 al '95 si registra un vero e proprio crollo della
spesa farmaceutica: dai 13.123 miliardi del 1992 si arriva a 9.520 miliardi
del '95. Dal '92 al '98 la spesa privata invece cresce ben del 22% rispetto
alla spesa totale per l'acquisto dei farmaci. Dal 1991 al 1996 il numero di
ricette procapite si dimezza passando da una media di 9 a circa 5 mentre il
costo medio subisce un aumento dalle 34.000 alla 42.000 lire. In poche parole
diminuisce del 42% il numero medio di ricette ed aumenta del 23% il costo per
ricetta.
Una volontà dichiarata da parte del sistema sanitario è quella
di trasformare i quasi cento miliardi di contributi e spese dirette dei cittadini
in un finanziamento alle forme di ``assistenza mutualistica integrativa''. La
``De Lorenzo'' parla esplicitamente di fondi separati per l'acquisto di prestazioni
sanitarie che oggi vengono garantite dal servizio pubblico. Per quanto abbiamo
detto sopra le regioni, che non sono più in grado di assicurare la copertura
economica dei servizi erogati, potranno soltanto, per mantenere gli stessi livelli
di prestazioni, o aumentare ticket e balzelli regionali o reintrodurre le assicurazioni
private ``integrative'' delle prestazioni fornite dal SSN. Il doppio salto all'indietro
al sistema mutualistico è in atto, e i chimici dell'Eni, così
come altre categorie, passano alle ``mutue integrative''.
Per quanto riguarda le ``cure secondarie'' si passa dai 14.000 ambulatori e
laboratori (specialistica, analisi e diagnostica strumentale) del '91 ai 10.000
del '96. Da 25 strutture ogni 10.000 abitanti a 18. Questo calo avviene in maniera
proporzionale al dilagare del privato convenzionato che copre ormai il 60% del
totale in Italia e il 73% al Sud. Emblematico il dato della Sicilia che passa
da 3.482 ambulatori e laboratori ``pubblici'' del '91 a 1.664 del '96, con un
calo netto del 75%.
L'abisso tra il Nord e il Sud emerge anche da alcune inchieste ed interviste
secondo le quali al Nord il 30% dichiara di attendere più di 20 minuti
per un servizio mentre tale percentuale al Sud è del 47,7% e del 54,9%
nelle Isole. Anche per quanto riguarda l'igiene l'80% dei pazienti del Nord
è soddisfatta mentre lo è solo il 58 % al Sud e il 53% nelle isole.
Stesso discorso anche per il vitto 77,1% Nord, 63,7 % Sud, 58,8 Isole.
6. I D.Lgs 277/91 e 626/94: LA SALUTE E LA SICUREZZA NEI LUOGHI
DI LAVORO TORNANO SOTTO CONTROLLO DEI "DATORI DI LAVORO''
Gli anni '80 sono caratterizzati da un lungo e massiccio processo di ristrutturazione
caratterizzato dal decentramento produttivo e dalla continua espulsione della
forza lavoro che ingrossa le file dei disoccupati, del lavoro ``nero'' o precario.
Contemporaneamente i sindacati, con una linea capitolazionista, neocorporativa
ed incentrata sulle compatibilità capitalistiche, permettono al padronato
di riacquistare spazio per nuovi attacchi ai diritti dei lavoratori (smantellamento
dei consigli di fabbrica, abolizione della scala mobile, diminuzione del ``costo
del lavoro'', selvagge ristrutturazioni aziendali, contratti nazionali capestro,
introduzione degli ``ammortizzatori sociali'', licenziamenti). In questo contesto
i vertici sindacali tradiscono e boicottano letteralmente le grandi rivendicazioni
per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro emerse nel corso degli anni
Sessanta e Settanta e nel 1994 contribuiscono alla stesura della legge 626 che
si rivelerà lacunosa, inadeguata e a tutto vantaggio dei padroni e che
a sei anni dalla sua promulgazione è rimasta praticamente lettera morta
mentre i morti e gli infortuni sul lavoro nel corso del '99 hanno toccato la
cifra spaventosa (e sottostimata!) rispettivamente di 1.208 e 967.000. La 626
viene partorita dopo un lungo iter concertativo tra governo, sindacati e Confindustria
e preceduta dal decreto legislativo 277/91 che recepisce le direttive europee
sulla protezione dai rischi di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici
e in particolare a piombo, amianto e rumore. Queste due leggi rappresentano
un salto indietro di vent'anni poiché sanciscono il ritorno ai famigerati
medici di fabbrica (i cosiddetti ``medici competenti'' designati dalle direzioni
aziendali) di prima della ``riforma'' sanitaria del '78 e l'introduzione nel
nostro ordinamento del principio anticostituzionale del ``ragionevolmente praticabile''
che subordina l'adozione delle misure preventive da parte del datore di lavoro
alle compatibilità dei cicli di produzione e profitto. Inoltre la 277
introduce i valori limite di esposizione per i singoli agenti ben al di sopra
della loro effettiva soglia di nocività meritandosi per questo l'appellativo
di ``legge antisicurezza''.
La legge 626, che si applica ``a tutti i settori di attività pubblici
o privati'' (art.1) prevede invece (art.18 comma1) ``che in tutte le aziende
e unità produttive è eletto o designato il rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza (Rls)'' nel numero minimo di ``uno nelle aziende
fino a 200 addetti, tre da 201 a 1.000 addetti, sei in tutte le altre'' (comma
6). Nelle imprese sopra i 15 dipendenti il ``rappresentante della sicurezza''
può essere eletto o designato dai lavoratori nell'ambito delle ``rappresentanze
sindacali''. Nelle aziende sotto i 15 dipendenti può essere eletto all'interno
delle rappresentanze o, in mancanza di esse, tra i dipendenti della azienda
stessa. La partecipazione del ``rappresentante dei lavoratori per la sicurezza''
alla gestione e al controllo della prevenzione è disciplinata dal D.Lgs
626 che cancella l'articolo 9 dello ``statuto dei lavoratori'' che sanciva il
diritti all'autotutela da parte dei lavoratori.
Da uno studio su ``lavoro e sicurezza'' emerge che nel 1994 il numero di imprese
da 1 a 19 addetti presenti in Italia (dati Inps) è di 968.496 per un
totale di 3.525.056 addetti che avrebbero dovuto quindi eleggere 968.496 Rls.
Dato però che la legge prevede (art 18. Comma 2) la possibilità
di un Rls interaziendale (per più imprese dello stesso comparto) e intercategoriali
(per più imprese di diversi comparti) da 968.496 Rls si passa, secondo
gli autori, ad appena 700 rappresentanti per la sicurezza! E questo nella migliore
delle ipotesi poiché la Confindustria con l'avallo dei sindacati è
riuscita anche ad ottenere il riassorbimento dei Rls nell'ambito del numero
di rappresentanti sindacali previsti dagli accordi sulle Rsu sancendo dunque
che la nascita di ogni Rls può avvenire solo riducendo il numero dei
rappresentanti sindacali.
Significativamente, a chiarire il meccanismo antidemocratico e filopadronale
dell'elezione dei rappresentanti, viene previsto per quest'ultimo solo l'istituto
delle dimissioni e nessun tipo di revoca della rappresentanza. Da notare poi
che i cosiddetti ``sindacati maggiormente rappresentativi'' vogliono il monopolio
degli Rls puntando su quei passaggi scritti a due mani con la Confindustria
secondo cui i sindacati che non hanno sottoscritto né l'accordo Rsu né
l'accordo complessivo per l'applicazione del 626 non possono accampare pretese
sui Rls.
Il ``Servizio di prevenzione e protezione'', obbligatorio solo per le aziende
sopra i 200 dipendenti e il ``medico competente'' vengono posti sotto le dirette
dipendenze del datore di lavoro che può anche assumere direttamente in
prima persona certe funzioni. Nell'organizzazione del Servizio di prevenzione
e protezione il ``rappresentante per la sicurezza'' non viene neanche consultato
così come sono consultivi i pareri di quest'ultimo su tutta la gestione
della prevenzione oltre che nell'elaborazione, individuazione e attuazione delle
misure di prevenzione (art.19). Il datore di lavoro è assolutamente libero
di decidere come impostare e attuare la ``valutazione del rischio''. La collaborazione
aziendale del ``medico competente ``, designato dai ``datori di lavoro'', restaura
ufficialmente la vecchia figura del medico di fabbrica. Egli deve provvedere
all'accertamento dell'idoneità fisica dei lavoratori per lo svolgimento
dei lavori cui sono addetti e lo stato di salute dei lavoratori8.
Vengono inoltre istituiti ``gli organismi paritetici'' per ``risolvere'', tramite
la ``conciliazione'' aziendale le controversie tra i ``datori di lavoro'', i
lavoratori, e i ``Rls''. Tali organismi concertativi e a tutto vantaggio dei
padroni, i cui componenti dovrebbero essere scelti di comune accordo da ``datori
di lavoro'' e sindacati, serviranno ancora di più a ostacolare qualsiasi
possibilità di intervento della magistratura sui reati, i soprusi e le
infrazioni commesse nei luoghi di lavoro.
Tutto ciò può bastare a dare il senso dell'abisso che separa la
legge 626 dalle rivendicazioni emerse durante l'autunno caldo del '69.
8. La controriforma Bindi del '99
Il 18 giugno 1999, quando è in carica il 1° governo
del rinnegato D'Alema, viene definitivamente approvato il Dlg sulle "norme
per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale''. Esso ha lo scopo
di modificare ed integrare la precedente controriforma sanitaria del '92 varata
dal primo governo Amato. L'impostazione liberista e federalista della precedente
controriforma è ampiamente confermata; il testo ridefinisce infatti il
SSN partendo dalla regionalizzazione della sanità, dall'aziendalizzazione
delle Asl e degli ospedali, dall'apertura ai privati, dalla possibilità
dei medici di svolgere la libera professione, dal pagamento di parte delle prestazioni
attraverso gli odiosi ticket, dal "sanitometro'' e dalla restaurazione
del sistema mutualistico. L'obiettivo è quello di razionalizzare, riorganizzare
e rafforzare il modello di stampo liberista inaugurato dalla controriforma Amato-Ciampi.
Ma analizziamo nel dettaglio il contenuto dei 15 articoli che compongono la
cosiddetta "riforma Bindi ter'' non prima di avere ricordato qual è
il meccanismo di finanziamento del SSN: i "datori di lavoro'' versano i
contributi dei lavoratori all'Inps (fiscalizzazione del contributo per le prestazioni)
che li trasferisce alla regione. I datori di lavoro agricoli invece trasferiscono
i contributi allo SCAU che li gira all'Inps che a sua volte li trasferisce alla
regione. Per quanto riguarda le amministrazioni statali anche autonome esse
trasferiscono i contributi alla "tesoreria dello Stato'' che li gira alla
regione. Anche i contributi sui redditi diversi da lavoro dipendente vanno alla
regione mentre i contributi sui redditi da pensione e rendita vitalizia sono
raccolti dalle poste che li trasferiscono alla regione. L'entità del
fondo sanitario nazionale viene integrata con contributi propriamente statali,
annualmente decrescenti, soltanto per 1/3 del totale dei contributi raccolti
a livello regionale.
Il Cipe, su proposta del ministro della sanità, annualmente assegna,
come anticipo, in favore delle regioni le quote del fondo di "parte corrente'',
tenuto conto dei contributi al SSN delle singole regioni. Il finanziamento statale
alle regioni è dunque subordinato all'entità dei contributi versati
dai lavoratori delle singole regioni.
Entro febbraio dell'anno successivo il Cipe provvede all'assegnazione definitiva.
La ripartizione del fondo alle regioni è definita in base agli stessi
parametri penalizzanti per le regioni del Sud dal D.Lgs 502 del 92, (popolazione
residente, stato delle strutture e mobilità interregionale) così
come è confermata, rispetto al D.Lgs 502, l'autonomia decisionale ed
impositiva delle regioni ed il compito di ripianare, senza oneri per lo Stato,
il deficit delle Asl e delle aziende ospedaliere.
I PRIVATI, IL NO-PROFIT E IL VOLONTARIATO ENTRANO NEL "SISTEMA''
Il piano sanitario regionale definisce le "forme di partecipazione
delle autonomie locali, delle strutture private accreditate e delle formazioni
sociali private non a scopo di lucro (...) oltreché dei sindacati delle
strutture pubbliche e private''. "Le istituzioni e gli organismi non lucrativi
concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate alla realizzazione
dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo
etico-culturale dei servizi alla persona''.
Il sistema sanitario "pubblico'' si trasforma quindi in un sistema sanitario
misto "pubblico-privato-no profit'' per il raggiungimento di un duplice
scopo: da un lato favorire il disimpegno e il risparmio dello Stato (e della
regione) nel settore sociale e sanitario a favore dei privati e dall'altro cancellare
il diritto inalienabile degli emarginati dal sistema capitalistico (anziani,
disabili, handicappati, tossicodipendenti, immigrati, ecc.) all'assistenza sociale
e sanitaria restaurando in forma nuova il sistema in vigore fino al '78 basato
sulla beneficenza (o meglio sull'elemosina) ai poveri e agli emarginati che
ben si scorge dietro i termini accattivanti di "solidarietà alla
persona'' e di "progetti-persona'' nei quali il volontariato e il no-profit
saranno prevalentemente coinvolti.
Il Dlg ribadisce più volte che "le regioni assicurano i livelli
essenziali ed uniformi avvalendosi dei soggetti accreditati'' e che "nei
livelli essenziali e uniformi che le regioni devono garantire alla popolazione
si calcolano anche le prestazioni fornite dalle strutture private accreditate''.
Tutte le strutture sanitarie private e i liberi professionisti per lavorare
"per conto'' del SSN dovranno ottenere "l'autorizzazione'', con la
verifica dei "requisiti minimi'', rilasciata dal comune e "l'accreditamento''
rilasciato dalla regione dopodiché potranno stipulare "accordi contrattuali''
con le regioni e con le Asl per l'erogazione dei servizi fissando tipo, entità
e remunerazione delle prestazioni erogate. L'accreditamento non vincola comunque
il SSN alla remunerazione delle prestazioni e sarà possibile anche "un
accreditamento provvisorio (!) per il tempo necessario per la verifica del volume
di attività svolto e della qualità dei suoi risultati.''
I privati entreranno così a far parte dell'Albo dei fornitori di prestazioni
sanitarie alle quali Asl e pazienti potranno rivolgersi: "I cittadini esercitano
la libera scelta sull'assistenza medica ed accedono ai servizi tramite apposita
prescrizione, proposta o richiesta compilata sul modulario del SSN''.
Le regioni definiscono, nel Piano sanitario regionale, il fabbisogno di assistenza
per garantire "i livelli essenziali'', nonché "i livelli integrativi''
degli enti locali e delle mutue, identificano inoltre le aree con carenze di
strutture da destinare ai nuovi soggetti e stabiliscono il "coordinamento''
di tutte le strutture, "pubbliche'' e private operanti nelle aree metropolitane.
"In presenza di una capacità produttiva superiore al fabbisogno
si procede alla revoca dell'accreditamento della capacità produttiva
in eccesso'', il che vuol dire che le prestazioni che eccedono quelle che saranno
ritenute essenziali saranno pagate per intero dai cittadini.
LE COMPATIBILITA' FINANZIARIE E IL FEDERALISMO
Il Sistema sanitario nazionale assicura "livelli essenziali
di prestazioni sanitarie nel rispetto dell'economicità nell'impiego delle
risorse'' che tradotto in soldoni significa che lo Stato italiano garantisce
alla popolazione soltanto prestazioni minime ed essenziali e che queste ultime
non saranno affatto misurate in base all'effettivo bisogno delle masse popolari
ma in primo luogo saranno strettamente vincolate e subordinate "alle compatibilità
finanziarie del Documento di programmazione economico e finanziaria'' che immancabilmente
preannuncia i tagli delle leggi finanziarie alla spesa sanitaria.
In realtà, sull'onda del federalismo in ogni settore, il Sistema sanitario
nazionale perde, al di là delle chiacchiere sulle "garanzie di salute
uniformi per tutto il territorio nazionale'', il suo significato originale diventando
il "complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei
Servizi sanitari regionali'', ossia la "somma'' di 20 sistemi sanitari
regionali differenti. La programmazione sanitaria difatti si basa sui piani
sanitari regionali che non a caso vengono definiti "strategici'', mentre
al piano sanitario nazionale rimangono compiti di indirizzo puramente formali.
Il ministro della sanità, sentito il giudizio dell'ARSAN sul PSR, ha
sì la facoltà di promuovere linee guida e forme di collaborazione
per l'applicazione del PSN ma fatta "salva l'autonoma determinazione regionale
in ordine al loro recepimento''.
Il federalismo sanitario si sposa, in questo settore, perfettamente con il principio
della "sussidiarietà'' secondo il quale l'intervento dello Stato
avviene solo laddove il privato fallisce o non ha interesse ad investire.
Per quanto riguarda la definizione dei livelli essenziali per il triennio 1998-2000
essi vengono individuati in maniera molto generica nell'"assistenza sanitaria
collettiva in ambiente di vita e di lavoro, nell'assistenza distrettuale e nell'assistenza
ospedaliera'' ma il testo subito si preoccupa di chiarire che sono escluse dai
livelli di assistenza erogati a carico del SSN "le tipologie di assistenza,
i servizi e le prestazioni sanitarie che non soddisfano il principio dell'economicità,
efficacia e appropriatezza''.
Qui il problema è stabilire chi definisce appropriate, efficaci ed economiche
le prestazioni sanitarie erogate? Una volta infatti che si è liberalizzato
il sistema sanitario attraverso la selvaggia competizione economica tra le aziende
pubbliche e quelle private accreditate "per conto del SSN'', e una volta
trasformate le prestazioni sanitarie in una merce da vendere per aumentare i
profitti o fare quadrare i bilanci aziendali, anche tutta la sovrastruttura
scientifica (dalle analisi statistiche a quelle epidemiologiche) verrà
progressivamente piegata alle nuove esigenze del profitto e del risparmio sulla
pelle, e non certo in base ai bisogni dei malati9.
Vengono confermate e ampliate rispetto alla controriforma Ciampi-Amato le competenze
regionali sull'organizzazione dei servizi e delle attività, sui criteri
di finanziamento delle Asl, sul controllo di gestione e qualità di quest'ultime
e delle aziende ospedaliere. La regione disciplina il finanziamento delle aziende
unità sanitarie locali "sulla base di una quota capitaria corretta
in relazione alle caratteristiche'', non meglio specificate, "della popolazione
residente'' (art.1 comma 34 legge 23 dicembre n.662). La legge regionale inoltre
istituisce "la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e
sociosanitaria regionale10'' alla quale è sottoposto il parere sul PSR,
assicura il raccordo o l'inserimento di quest'ultimo nell'organismo rappresentativo
delle autonomie locali e disciplina il rapporto tra programmazione regionale
e "programma attuativo locale11'' che per le città prende il nome
di "piano attuativo metropolitano''.
Le regioni stabiliscono anche i criteri e principi di adozione dell'"atto
aziendale'' anche per quanto riguarda l'articolazione delle Asl in distretti,
nonché le modalità, per le Asl e le aziende, di accesso alle prestazioni
per i livelli aggiuntivi di assistenza finanziati dai comuni e possono proporre
la costituzione o la conferma in azienda dei presidi ospedalieri di alta specializzazione
in possesso di specifici requisiti12.
Ogni regione avrà dunque una legge regionale differente e dunque una
organizzazione differente, sancendo definitivamente anche in questo settore
la rottura dell'unità del Paese.
I MECCANISMI DI FINANZIAMENTO DELLE STRUTTURE ACCREDITATE
Le strutture "pubbliche'' e private accreditate che erogano
assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del SSN saranno finanziate secondo
un ammontare globale definito negli "accordi contrattuali'' che "per
le funzioni assistenziali sarà calcolato in base al costo standard di
produzione del programma di assistenza e per le altre attività in base
a tariffe predefinite per prestazione''.
Un successivo decreto del ministro della sanità definirà "i
criteri generali di definizione e remunerazione massima delle attività
assistenziali13''. Un altro decreto del ministro dovrà invece. 1) definire
i sistemi di classificazione per l'unità di prestazione o di servizio
da remunerare; 2) determinare le tariffe massime da erogare alle strutture accreditate
sulla base di costi standard di produzione calcolati su un campione "rappresentativo''
di strutture accreditate; 3) definire i criteri per l'adozione del sistema tariffario
di ogni singola regione articolate per classi di strutture in base alle loro
caratteristiche organizzative e di attività verificate in sede di accreditamento;
4) prevedere i criteri di revisione e aggiornamento nel tempo della classificazione
e delle tariffe in base all'andamento dei costi dei principali fattori produttivi.
Come detto precedentemente allo Stato rimane solo il compito di classificare,
definire, vagheggiare criteri, mentre il margine di "libertà'' decisionale,
organizzativa e impositiva, delle regioni si allarga.
Nello specifico va subito precisato che il sistema di remunerazione "a
prestazione'' (così come è avvenuto fino ad oggi) porterà
le strutture accreditate ad orientare la propria offerta sanitaria verso le
prestazioni più redditizie, cioè quelle per le quali il tariffario
regionale prevederà un rimborso maggiore. Legare poi le "tariffe
massime erogabili'' per una prestazione e il rimborso dei "programmi di
assistenza'' ai "costi standard della loro produzione'' calcolati su un
"campione rappresentativo'' di strutture accreditate vuole dire14 finanziare
una prestazione sanitaria di una azienda "pubblica'' con un rimborso pesato
sulla media dei costi di produzione di quella stessa prestazione nelle strutture
"pubbliche'' e in quelle private. Col dilagante sviluppo della sanità
privata accreditata e la sua gestione imprenditoriale pura, capace, sulla pelle
dei pazienti, di minimizzare i costi per massimizzare i profitti, ciò
significa tagliare, e di un bel po', i rimborsi che spetterebbero alle aziende
"pubbliche'' se fossero calcolati solo sulla media dei costi di produzione
di un circuito pubblico impermeabile. A questo proposito bisogna ribadire che
il "costo di produzione'' è dato anche dal costo dell'acquisto della
forza-lavoro (o merce-lavoro) per la produzione di quella determinata prestazione,
che a sua volta è determinato dal costo complessivo della forza-lavoro
cristallizzata nella produzione di tutti gli strumenti e le attività
che servono all'espletamento della stessa. In poche parole si svilupperà
una sfrenata corsa competitiva al ribasso del costo di produzione delle prestazioni
tra strutture "pubbliche'', a causa dei vincoli di bilancio e delle relative
penalizzazioni, nonché tra quest'ultime e le strutture private accreditate.
Quest'ultime avranno molto spesso la meglio perché potranno contare su
un piccolo margine di vantaggio dovuto: 1) alla maggiore flessibilità
dell'uso della forza-lavoro sanitaria; 2) al più basso costo della forza
lavoro impiegata; 3) alla possibilità, maggiormente svincolata da controlli,
nell'acquisto al ribasso degli strumenti, delle apparecchiature mediche, ecc.
Tutto questo produrrà inevitabilmente, in un vero e proprio mercato della
salute fondato sulle leggi del profitto e della competizione selvaggia, la deriva
delle strutture "pubbliche'' autonome, e che vogliano rimanere "a
galla'', verso i modelli di gestione propri delle aziende private e di conseguenza
la nascita di strutture "pubbliche'' di serie A, B, C, D, ecc. ed anche
di servizi "pubblici'' di serie A,B,C,D e così via . Si svilupperà
un circolo vizioso tra abbassamento del finanziamento statale delle prestazioni
sanitarie, dilatazione di queste ultime nei settori più redditizi, abbassamento
dei costi di produzione delle prestazioni a scapito della qualità di
queste ultime e dei diritti dei lavoratori del settore sanitario, ed ulteriore
riduzione del finanziamento statale calcolato su "una media di costi standard
di un campione rappresentativo'' che sarà sempre più bassa, soprattutto
per le prestazioni veramente utili ed essenziali per le masse popolari.
Come se non bastasse la legge Bindi ha previsto anche forme di "assistenza
indiretta'' che bontà sua non dovranno superare il 50 % delle tariffe
regionali, e che la legge 883 all'art. 25, ultimo comma, prevedeva invece "solo
in forma straordinaria''!
IL RITORNO ALLE MUTUE
Certamente la parte più scandalosa della "riforma
Bindi'', che la smaschera come controriforma di stampo liberista, è l'apertura
decisa ai "fondi integrativi finalizzati a potenziare l'erogazione di trattamenti
e prestazioni eccedenti i livelli uniformi ed essenziali''. Le nuove mutue possono
essere previste nell'ambito dei contratti e accordi collettivi, anche aziendali,
tramite accordi tra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, nei regolamenti
di regioni, enti locali o enti territoriali, dalle associazioni non a scopo
di lucro e più in generale da qualsiasi soggetto pubblico o privato e
potranno riguardare: prestazioni aggiuntive erogate da professionisti e strutture
accreditate (quali cure termali, cure odontoiatriche ed odontotecniche, prestazioni
di medicina non convenzionale) nonché i servizi alberghieri e l'attività
attività intramuraria, le prestazioni sociosanitarie in strutture accreditate
residenziali, semiresidenziali o domiciliari. Le regioni, le province autonome
e gli enti locali e i loro consorzi potranno partecipare alla gestione delle
forme integrative di assistenza. Appare ridicolo a questo punto il divieto da
parte delle mutue di operare una selezione del rischio.
In realtà siamo di fronte ad un doppio salto all'indietro a prima della
legge 883 che all'art.46 sanciva: "è vietato agli enti, alle imprese
ed aziende pubbliche contribuire sotto qualsiasi forma al finanziamento di associazioni
mutualistiche liberamente costituite aventi finalità di erogare prestazioni
integrative dell'assistenza sanitaria prestata dal SSN''.
A questo proposito è interessante ricordare le dichiarazioni di Rosy
Bindi nel 1997 "quello che non sono disposta a fare è controriformare
la sanità...'', "...dobbiamo domandarci qual è la riforma
principale: per me resta la 883 negli obiettivi'' lanciandosi in una condanna
dell'ipotesi di "introdurre un sistema misto tra SSN e mutualità
integrative'', con una analisi ineccepibile: "l'introduzione dei fondi
integrativi tende ad offrire prestazioni oltre quelle che si sono individuate
come essenziali...Ed allora si deve ammettere di avere individuato livelli di
prestazioni che non sono adeguate, che non sono sufficienti, intaccando così
il principio fondamentale del SSN, quello che la salute si tutela a prescindere
dal reddito. Ci saranno infatti tante sanità di livelli diversi a seconda
dei fondi integrativi che ciascuno potrà comprarsi per integrare le prestazioni''.
L'unico commento possibile è: complimenti per la coerenza!
IL COMPLETAMENTO DELL'AZIENDALIZZAZIONE
Viene confermata e rafforzata l'aziendalizzazione delle Asl15
e degli ospedali e incentivata la trasformazione di ospedali, ancora sotto il
controllo delle Asl, in "aziende pubbliche con autonomia imprenditoriale''.
Le funzioni delle Asl vengono snellite ed accorpate nell'assistenza sanitaria
collettiva in ambiente di vita e di lavoro, nell'assistenza distrettuale e nell'assistenza
ospedaliera.
Esse non devono far fronte ai bisogni della popolazione di riferimento ma semplicemente,
ed ancora una volta, assicurare "livelli essenziali''.
Le attività delle Asl e delle aziende ospedaliere sono disciplinate con
l'"atto aziendale'' di diritto privato adottato dal manager e agiscono,
anche per quanto riguarda gli appalti e la fornitura di beni e servizi, mediante
atti di diritto privato. Avranno autonomia imprenditoriale, saranno proprietarie
del patrimonio di beni mobili e immobili (si prevedono esplicitamente dismissioni,
conferimenti e trasferimento a terzi di immobili previa autorizzazione regionale)
secondo il regime della proprietà privata.
Esse dovranno rispettare i vincoli di bilancio dei quali sono responsabili i
manager. Questi ultimi hanno un contratto privato di 3-5 anni rinnovabile, adottano
l'"atto aziendale'', che vincola il direttore amministrativo e sanitario,
di distretto, di dipartimento e i responsabili di struttura al piano programmatico
e finanziario dell'azienda, e nominano direttamente, tra i dirigenti con incarico
di direzione di "struttura complessa'', i direttori di dipartimento. Il
manager e i dirigenti di "struttura complessa'' devono essere laureati
ed avere un'esperienza quinquennale di direzione aziendale nonché aver
frequentato un corso di formazione in "managment aziendale''. Dopo 18 mesi
la regione verifica i bilanci aziendali con eventuale risoluzione dei contratti
con i manager e con i direttori amministrativi e sanitari. Il decreto, per quanto
riguarda i criteri di "accesso alla dirigenza'', dà grande spazio
ai curriculum "conquistati'' sul campo aziendale in termini di quadratura
di bilanci. In ogni azienda è istituito il "collegio di direzione''
che è costituito dal manager e dai direttori sanitari e amministrativi,
dai direttori di distretto, dai direttori di dipartimento e di presidio.
Si delinea dunque una struttura di comando e di direzione aziendale assolutamente
autocratica nella quale è giuridicamente sancita l'esclusione, anche
soltanto consultiva, rappresentativa e formale dei lavoratori delle aziende.
Inoltre, al di là dei criteri generali che le regioni potranno individuare
per la definizione degli "atti aziendali'' approvati dai manager delle
singole aziende, questi ultimi avranno in mano un ulteriore strumento per accentrare
la gestione interna delle "loro aziende'' e per introdurre maggiore flessibilità
aziendale nella "politica del personale''. Per quanto riguarda quest'ultima
le Asl e le Aziende ospedaliere rassomiglieranno sempre di più alle "imprese
private a scopo di lucro'': siamo infatti in presenza di un vera e propria privatizzazione
del rapporto di impiego, con la eliminazione di vincoli ed obblighi ancora esistenti
per quanto riguarda la gestione del personale (accessi, mobilità, organizzazione
dei servizi), attuata anche attraverso la separazione, per i medici e gli altri
laureati sanitari, delle "funzioni puramente professionali'' da quelle
"gestionali-manageriali''. I lavoratori a cui saranno affidate le funzioni
gestionali-manageriali avranno molto più potere sul restante personale
e saranno assunti con contratti a termine rinnovabili o revocabili sul modello
dei direttori generali, sanitari e amministrativi. Anche per gli infermieri,
i tecnici e gli operatori della riabilitazione si prevede un livello gestionale-manageriale
nella gestione delle Unità operative e nei servizi. Il governo del rinnegato
D'Alema ha sposato, in ogni settore della pubblica amministrazione, la linea
della "professionalità'' e della "produttività'' da
sempre cavallo di battaglia del padronato poiché giustifica gli aumenti
salariali diseguali, gli aumenti al merito, la discriminazione, il ricatto e
la concorrenza tra lavoratori, la struttura gerarchica delle aziende.
Tra l'altro viene confermato il "perverso'' meccanismo, anch'esso mutuato
dai privati, di "incentivazione del personale'' basato sui cosiddetti "premi
di produttività'' definiti contrattualmente sulla base degli avanzi di
gestione. L'obiettivo è infatti legare sempre di più i lavoratori
agli obiettivi di profitto e di risparmio delle direzioni aziendali spaccando
le categorie di chi lavora nel sistema sanitario ed aprendo l'era del crumiraggio
aziendale e dell'asservimento dei sindacati collaborazionisti alle leggi della
produttività, del risparmio e della competizione aziendale.
Ancora per quanto riguarda il personale il D.Lgs individua un "unico ruolo
dirigenziale'' al quale si accede mediante concorso pubblico.
Gli incarichi ai dirigenti sono attribuiti dai manager a tempo determinato ed
ogni dirigente è sottoposto a verifica triennale (quello con incarico
di "struttura semplice o complessa'' ogni anno e al termine dell'incarico).
ll rapporto di lavoro è esclusivo e dà la possibilità di
partecipare ai proventi di tutte le attività a pagamento dell'azienda
(sono soppressi i rapporti a tempo definito). Confermata è anche la definizione
dell'esubero del personale in base standard: degenza media, intervallo di turn-over,
rotazione degli assistiti e si apre la strada ai contratti a tempo determinato
(da 2 a 5 anni) con rapporto esclusivo entro il 2% della dotazione organica
della dirigenza; altri contratti a termine potranno essere stipulati nel limite
del 5% per profili dirigenziali differenti da quello medico, mentre saranno
possibili anche contratti di diritto privato a tempo determinato per l'attuazione
di progetti finalizzati. Si tratta dell'ennesima accelerata verso la precarizzazione
e privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego secondo i diktat
di D'Alema e Confindustria di "farla finita al più presto con il
posto fisso'' poiché "ci vuole più flessibilità nell'acquisto
della forza-lavoro''.
è stabilito il collocamento a riposo a 65 anni dei dirigenti medici e,
"anomalia'', a 67 anni per il personale medico universitario.
Per quanto si è detto i passaggi su "l'integrazione delle aziende
nell'attività socio-sanitaria ed in quella delle Asl, il coordinamento
delle aziende tra di loro e con le strutture territoriali'' appaiono puramente
demagogici e palesemente in contraddizione con gli obiettivi di mettere in competizione
tra di loro tutte le aziende autonome presenti sul mercato della sanità.
Diventeranno aziende autonome anche gli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico. Tra 3 anni e nei PSR la regione verifica, nelle aziende ospedaliere
autonome, gli eventuali disavanzi di gestione e la permanenza o meno dei requisiti
per l'accreditamento con la possibilità di procedere alla revoca dell'autonomia
aziendale e al ritorno degli ospedali sotto il controllo delle Asl. Il rispetto
dei vincoli di bilancio delle strutture "pubbliche'' è infatti elemento
di verifica per la conferma degli incarichi ai direttori generali, ai direttori
del dipartimento, di struttura complessa e per l'assegnazione degli incentivi
di risultato al personale dirigenziale.
Questo sistema di controllo dell'andamento finanziario e di penalizzazione delle
aziende spingerà ulteriormente le direzioni aziendali, quando non sarà
possibile aggirare la verifica dei requisiti e i disavanzi di gestione, ad imboccare
la strada del taglio dei servizi, del personale e dei posti letto a tutto vantaggio
degli avvoltoi privati che si accalcheranno nei dintorni delle aziende "pubbliche''
in difficoltà finanziarie per acchiapparne la clientela.
Per quanto riguarda gli ospedali che non saranno trasformati in aziende viene
confermata la possibilità da parte delle Asl di procedere al loro accorpamento.
Gli "ospedali a gestione diretta'' avranno autonomia tecnico-gestionale,
e una contabilità separata rispetto a quella della Asl di riferimento.
Essi saranno diretti da un medico responsabile delle funzioni igienico-organizzative
e da un dirigente amministrativo responsabile per il coordinamento con la Asl.
è bene ricordare che anche queste due nuove figure poste alla direzioni
degli ospedali sono obbligate a concorrere agli obiettivi del manager della
Asl di riferimento.
Vi è l'obbligo da parte delle unità sanitarie locali e delle aziende
ospedaliere di "rendere pubblici, annualmente, i risultati delle proprie
analisi dei costi, dei rendimenti e dei risultati''. Dulcis in fundo saranno
autorizzati "programmi di sperimentazione di nuovi modelli gestionali che
prevedano forme di collaborazione tra strutture del SSN e soggetti privati,
anche attraverso la costituzione di società miste a capitale pubblico
privato''.
Società miste, strutture "pubbliche'' aziendali autonome, strutture
private accreditate, strutture private concorreranno sul mercato sanitario all'ultimo
"sangue'' (quello del paziente!) o formeranno gruppi, alleanze, monopoli
nei settori più redditizi spalancando definitivamente le porte dell'anarchia
capitalistica nel campo sanitario. E di fronte all' alternarsi e ridefinirsi
frenetico di libero mercato e monopoli nulla potranno le flebili strutture programmatrici
previste dalla Bindi come argine alla competizione selvaggia, che siano PSN,
PSR, leggi regionali, programmi territoriali o quant'altro.
Inoltre con lo scorporo progressivo degli ospedali dalle Asl, con la prevedibile
riduzione delle strutture di erogazione dei servizi che a quest'ultima erano
attribuite dalla legge 883, e con le nuove funzioni attribuitegli circa la stipula
di contratti con le strutture accreditate, le Asl rassomigliano sempre di più
alle "agenzie inglesi di acquisto dei servizi sanitari'' dal mercato sanitario
misto pubblico-privato anglosassone. Infatti nella seconda repubblica neofascista
e federalista le Asl sembrano destinate, più o meno velocemente, a mutare
e diversificare la propria funzione a seconda del territorio in cui sono collocate,
della più o meno forte presenza delle strutture accreditate nonché
dei finanziamenti statali che riceveranno: si verranno a creare due tipologie
di aziende "pubbliche'', quelle prevalentemente erogatrici di servizi e
quelle prevalentemente acquirenti, per conto dei cittadini, di servizi da strutture
"pubbliche'' o private presenti nel proprio territorio di competenza.
L'"INTRAMOENIA'': ATTIVITA' PRIVATA NELLE STRUTTURE PUBBLICHE
La democristiana Bindi aveva fatto dell'avviamento dell'incompatibilità
totale tra attività privata ed attività pubblica un suo cavallo
di battaglia. Essa sarebbe stata una goccia nel mare di macerie che è
diventato il SSN ma avrebbe comunque finalmente messo fine alla scandalosa gestione
di Policlinici e ospedali come enorme serbatoio di clientela per i più
meno grandi e potenti studi, cliniche e laboratori privati dei boss universitari
e ospedalieri. Ma così non è stato, poiché gli ultimi provvedimenti
del "ministro statalista'' (sic!) oltre al tentativo di centralizzare sul
manager il controllo di tutto il personale, introducono definitivamente l'attività
libero professionale privata all'interno di strutture ancora formalmente pubbliche,
permettendo che l'attività privata sia ancora consentita e per lo più
in duplice versione: come attività privata vera e propria (extramuraria)
alternata anno per anno con quella intramuraria nel "pubblico'' per la
quale saranno assegnate ingenti risorse e spazi all'interno delle aziende "pubbliche''.
Rispetto alla legge 502 è confermata l'organizzazione dipartimentale
di tutte le strutture "pubbliche'' e l'obbligo di trasformare il 5-10 %
dei posti letto in camere a pagamento (per un periodo transitorio l'esercizio
della attività libero professionale intramuraria potrà avvenire
fuori le mura, ossia in case di cura e strutture private). I pazienti per potere
accedere a questa strutture pagheranno una retta giornaliera in base alla qualità
alberghiera e una quota forfettaria per tutte le altre prestazioni in base al
tipo di prestazioni stesse. Bontà loro i posti destinati all'attività
libero professionale intramuraria non concorrono ai fini della definizione degli
standard regionali di posti letto per mille abitanti (legge 412/91) e l'attività
libero-professionale non può superare il numero di prestazioni effettuate
per quella ordinaria (ma chi controllerà?).
I provvedimenti che impediscono di svolgere contemporaneamente l'attività
intramuraria e quella extramuraria in realtà, più che in direzione
dell'incompatibilità tra funzione pubblica e funzione privata, sono orientati
a spingere i medici delle aziende ad identificarsi, attraverso circuiti di incentivi
economici, con gli obiettivi di produttività e risparmio di quest'ultime.
I pazienti che venivano salassati dalle parcelle dei baroni universitari e da
medici senza scrupoli che, con il ricatto, prosperavano sul cadavere dell'assistenza
pubblica, saranno ancora più derubati e ancora di più selezionati
in base al reddito: i più ricchi infatti si potranno permettere di scegliere
tra le lussuose cliniche e gli studi privati da 300.000 a visita o i ricoveri
e le visite a pagamento nei miglior reparti e ambulatori delle aziende "pubbliche''
destinati alla attività intramuraria; i più poveri invece si dovranno
accontentare di liste di attesa infinite per i ricoveri e visite, posti letto
in barella, prestazioni ambulatoriali sempre più scadenti e sempre più
costose, in un "pubblico'' ufficialmente di serie b.
I DISTRETTI E L'"INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA''
I distretti abbracciano un bacino di ben 60.000 abitanti e
devono far fronte "all'assistenza primaria per attività sanitarie
e sociosanitarie''. Sono dotati di autonomia tecnico-gestionale e economico-finanziaria
con contabilità separata all'interno delle ASL di riferimento. Le regioni
disciplinano le attività distrettuali di: assistenza primaria, continuità
assistenziale in ambulatorio e a domicilio (medici e pediatri di base, guardia
medica e specialistica ambulatoriale) nonché il "coordinamento tra
medicina di base e strutture a gestione diretta (ospedali), servizi di specialistica
ambulatoriale e strutture extraospedaliere accreditate''.
Il mercato misto pubblico-privato-no profit sbarca dunque anche nella cosiddetta
medicina territoriale attraverso "il coordinamento...con le strutture extraospedaliere
accreditate''.
Il coordinamento tra i distretti e i dipartimenti e servizi aziendali avviene
attraverso il "programma delle attività territoriali'', proposto
dal "comitato sindaci'' e dal "direttore di distretto'' ed approvato
dai manager.
Diciamo subito che anche nel ridefinire l'organizzazione distrettuale, che nella
legge 883 doveva essere il fulcro della capillarizzazione delle attività
sanitarie e socio sanitarie poiché direttamente a contatto con i cittadini,
non è stata prevista alcuna, sia pur parziale forma di partecipazione
reale delle masse popolari alla definizione dei propri bisogni di salute né
alcuna forma di controllo sulla rispondenza dei servizi ai bisogni stessi.
Il distretto garantisce, con particolare riferimento "ai servizi alla persona'',
assistenza specialistica ambulatoriale, prevenzione e cura delle tossicodipendenze,
attività consultoriali per la tutela della salute dell'infanzia, della
donna, e "della famiglia''; attività o servizi rivolti a disabili
ed anziani, assistenza domiciliare integrata per casi di HIV e pazienti in fasi
terminali e "deve costituire un dipartimento di salute mentale ed un dipartimento
di prevenzione''.
Nella "tutela della famiglia'' si può avere il senso delle concezioni
reazionarie e clericali della democristiana Bindi che vorrebbe rafforzare la
famiglia cattolica come cellula costitutiva della società capitalistica
e scaricare, all'interno di questa, sulla donna quei servizi sociali in via
di soppressione per l'infanzia, gli anziani, i disabili, i "malati di mente'',
i tossicodipendenti ecc.. In queste parole è sancita per legge l'ulteriore
involuzione reazionaria dell'ideologia che ispirò i consultori familiari
e materno-infantili e un nuovo ostacolo al diritto delle donne all'aborto e
alla informazione contraccettiva per una sessualità cosciente. Per quanto
riguarda poi i "servizi alla persona'' (leggi all' emarginato) dei quali
dovrebbe occuparsi il distretto, essi si distinguono dalle antiche istituzioni
di beneficenza ed elemosina ai poveri e agli emarginati, soltanto per il fatto
che a gestirli non sarà direttamente la chiesa cattolica ma un'intricata
commistione di volontari, operatori pubblici e privati a scopo di lucro.
Vengono distinte le "prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione
sanitaria''16 che rientrano nei "livelli essenziali previsti dai piani
sanitari nazionali, regionali e territoriali'' e "le prestazioni sociali
a rilevanza sanitaria'' di competenza dei comuni che "provvedono al finanziamento
negli ambiti previsti dalle legge regionale''.
C'è qui da dire che la legge 833/78 dava dell'integrazione delle attività
socio-sanitarie un'interpretazione collegata alla delega delle attività
sociali dai Comuni alle Usl, tenuto conto che quest'ultime erano un "organismo
tecnico dei Comuni''. L'involuzione in termini aziendalistici e di autonomia
organizzativa ed istituzionale voluti per il settore dal 502/92, dal 517/93
e dalla riforma Bindi Ter viene a determinare una situazione diversa per la
quale, alla definizione e realizzazione dei "progetti individuali'' di
assistenza socio-sanitaria, dovrebbero contribuire diversi enti autonomi quali
ASL, Comuni, privati, associazioni di no profit e volontariato attraverso "accordi
di programma'' o "società miste'' prevedendo anche vergognosamente
da parte dell'assistito "il pagamento di ticket e la partecipazione alla
spesa'' da recapitare ad ognuno dei partecipanti ai progetti. Più in
generale il neoliberista D'Alema e la democristiana neoliberista Bindi con questi
provvedimenti rifiutano di considerare i servizi sociali e socio-sanitari come
atti dovuti, come diritti dei cittadini, come prestazioni già pagate
dai contribuenti che lo Stato e il governo hanno l'obbligo di erogare. Essi
sostengono invece che l'unico modo per aumentare la qualità e la quantità
dei servizi sociali, sanitari e socio-sanitari è di trasformarli in servizi
a domanda individuale. Non più come servizi dovuti dallo Stato a tutta
la società, ma offerti da chicchessia su richiesta di singoli. Così
sanciscono la collaborazione fra intervento pubblico e privato nei servizi socio-sanitari,
dove il pubblico finanzia e il privato riscuote e impone criteri di gestione
capitalistici. In tal modo saranno ancora una volta discriminati gli strati
e le classi sociali più povere che non potendo permettersi di pagare
le esose tariffe dei servizi privati, si dovranno accontentare dei servizi statali
più scadenti e dequalificati o, nella maggior parte dei casi, arrangiarsi
da soli.
I più ricchi potranno invece anche scegliere di farsi una assicurazione
per prestazioni "integrative'', tra le quali sono esplicitamente comprese
le attività di assistenza socio-sanitaria.
L'istituzionalizzazione del volontariato poi rientra nel disegno governativo
di smantellare totalmente lo "Stato sociale'', di privatizzare tutti i
servizi sociali, di scaricare l'assistenza ai poveri, agli anziani, ai tossicodipendenti,
ai malati di aids, ai disabili, ai malati terminali etc, con prestazioni gratuite
di centinaia di migliaia di generosi volontari, soprattutto giovani. Cosicché
i volontari da impliciti e oggettivi accusatori del Palazzo e della sua inettitudine,
diventano definitivamente strumenti di copertura dello Stato capitalistico,
controllati, sfruttati e usati per smorzare le contraddizioni sociali e la lotta
delle masse per i servizi sociali pubblici17.
LA MEDICINA DI BASE, LA CONTINUITA' ASSISTENZIALE E IL SISTEMA DI EMERGENZA REGIONALE
"Il rapporto tra SSN, medici di medicina generale e pediatri
di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale
conformi agli accordi collettivi nazionali di lavoro'' che dovranno prevedere
comunque la libera scelta del medico e le modalità per l'attività
libero professionale di quest'ultimo che deve essere comunicata alla ASL.
Sono previsti incentivi a chi non sceglierà di svolgere la libera professione
ma anche qui si scorge l'equilibrismo governativo per risolvere la contraddizione
tra le necessità della medicina privata e quelle della medicina aziendalizzata.
La retribuzione avviene tramite "una quota fissa, corrisposta su base annuale,
per ciascun soggetto iscritto alla lista e una quota variabile in considerazione
del raggiungimento degli obiettivi previsti dai programmi di attività
e del rispetto dei livelli di spesa programmati nonché dei programmi
e degli obiettivi dell'attività del distretto''.
Questa duplice forma di finanziamento della medicina generalista avrà
una duplice conseguenza: da una parte spingerà i medici a ricercare il
numero più alto di assistiti possibile, a scapito ovviamente della qualità
dell'assistenza, dall'altro li incentiverà ad asservire la loro attività
alle logiche aziendali di risparmio e produttività delle prestazioni
erogate. Nelle intenzioni che ispirarono la legge 883 la medicina di base (o
generalista) era considerata il fulcro del SSN poiché in essa si sarebbero
dovute realizzare quelle condizioni di sviluppo delle cure sul "territorio'',
della prevenzione e dell'assistenza domiciliare mai in precedenza sviluppate
e che per la prima volta avrebbero dovuto affermare la priorità della
prevenzione rispetto alla cura. Nel nuovo modello liberista invece, come si
legge in un convegno sulla sanità organizzato dal PDS, "le cure
primarie sono al centro dello snodo fra domanda e offerta e dunque devono servire
al controllo dei flussi di cure secondarie per il bilanciamento del sistema
di quasi-mercato delle cure''. Il dlg intende "garantire l'attività
assistenziale per tutto l'arco della giornata e per 7 giorni a settimana'' coordinando
il lavoro dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, della
guardia medica e della medicina dei servizi attraverso forme di "associazionismo
professionale'' e la organizzazione distrettuale del servizio. Ciò vuol
dire che le Asl e le regioni potranno stipulare contratti e accordi con "le
associazioni di medici'' per il raggiungimento di specifici obiettivi definiti
in ambito convenzionale.
Quei singoli o gruppi che meglio si piegheranno al raggiungimento degli obiettivi
aziendali accederanno a tali accordi e contratti, il che spaccherà letteralmente
la categoria creando veri e propri circuiti di medici di base aziendalizzati,
con piena responsabilità finanziaria e decisionale. Il modello di riferimento
è il "managed Care'' vigente negli Usa per cui si vogliono creare
grandi e piccoli raggruppamenti di medici di base riuniti in cooperative che
competono tra di loro per contrattare con le Asl l'affidamento di funzioni assistenziali
che consentano sostanziali risparmi e razionalizzazione di risorse. Il passo
successivo sarà certamente l'affidamento a tali gruppi di un "budget''
che li trasformerà in acquirenti, per conto dei propri pazienti, di prestazioni
dai fornitori di cure in competizione tra loro, realizzando la separazione tra
acquirenti e compratori di prestazioni sanitarie, già tristemente presente
nei mercati sanitari statunitensi e anglosassoni.
Tornando al decreto Bindi esso prevede ancora un canale preferenziale nella
graduatoria annuale per chi è in possesso dell'attestato di medicina
generale. A questi ultimi dovrà essere riservata una percentuale di posti
in sede di copertura delle "zone carenti''.
Dato che per avere l'attestato di medicina generale è obbligatorio seguire
un corso di specializzazione a numero chiuso (quiz) e a pagamento ciò
porterà, come già avviene per tutte le altre specializzazioni
mediche, ad una ulteriore selezione in base al reddito tra chi rimarrà
disoccupato e chi potrà intravedere un posto di lavoro.
Vengono messi ad esaurimento i posti per la guardia medica e la medicina dei
servizi. Entro un anno le regioni possono prevedere l'instaurarsi di un rapporto
di impiego nell'emergenza territoriale. "I medici che avevano un incarico
a tempo indeterminato da almeno 5 anni sono inquadrati a domanda nel ruolo sanitario
nei limiti dei posti delle dotazioni organiche''. I medici addetti convenzionati
per l'emergenza sanitaria territoriale e quelli del sistema emergenza-urgenza
saranno gestiti "con criteri flessibili e con forme di mobilità
interaziendale'' a discrezione delle singole regioni.
La discrezionalità regionale sull'organizzazione di guardia medica, continuità
assistenziale ed organizzazione del sistema di emergenza regionale, figlia anch'essa
del federalismo sanitario, comporterà situazioni diversificate di regione
in regione. In Campania, che non ha ancora avviato un vero servizio di emergenza
regionale, già si sta procedendo al trasferimento dei medici di guardia
medica in servizi di emergenza territoriale, il tutto nel rispetto dei "criteri
flessibili di mobilità interaziendale'' che per questi medici vuol dire
pochi diritti e nessuna sicurezza sulla stabilità del proprio posto di
lavoro.
LE FUNZIONI LIMITATE DEL DIPARTIMENTO DI PREVENZIONE
Il "Dipartimento di prevenzione'' (Dp) è definito come "struttura
operativa della Asl che garantisce la tutela della salute collettiva''. Esso
"promuove azioni volte ad individuare e rimuovere le cause di nocività
e malattia di origine ambientale, umana ed animale con iniziative coordinate
con i distretti e i dipartimenti delle ASL e delle Aziende ospedaliere'', partecipa
al "programma di attività delle Asl'' dando indicazioni in ordine
alla loro copertura finanziaria.
In questa struttura vengono accorpate tutte le funzioni attribuite alle Usl
dalla 883 quali la profilassi delle malattie infettive, la tutela della collettività
dai rischi sanitari degli ambienti di vita, la tutela della collettività
e dei singoli dai rischi infortunistici e sanitari connessi agli ambienti di
lavoro, la tutela igienico-sanitaria degli alimenti, la sorveglianza e prevenzione
nutrizionale. I servizi veterinari sono invece scorporati ed hanno autonomia
tecnico-funzionale ed organizzativa e rispondono delle risorse attribuite. In
sostanza vengono accorpati gli artt. 16 - servizi veterinari, 20 - attività
di prevenzione e 21 - organizzazione dei servizi di prevenzione, igiene ambientale
e medicina del lavoro con presidi nelle aziende, della 883.
La regione18 disciplina le strutture organizzative dedicate a: igiene e sanità
pubblica, igiene degli alimenti, prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro,
sanità animale, igiene alimentare, igiene su animali e derivati, igiene
degli allevamenti e riproduzione Zootecnica, medicina legale e necroscopica.
Il dipartimento di prevenzione nella propria attività di tutela della
salute e della sicurezza degli ambienti di lavoro si raccorda con gli "organismi
paritetici'' (626) o le "parti sociali''.
Su questo punto il testo presenta notevole ambiguità poiché il
raccordo con gli "organismi paritetici e le parti sociali'' non è
meglio definito venendosi a prefigurare la possibilità di un ruolo e
potere marginale se non nullo dei Dp all'interno dei luoghi di lavoro.
Il dipartimento opera nel "piano attuativo locale'' con autonomia organizzativa
e contabile attraverso centri di costo e di responsabilità. Il direttore
è scelto dal manager, deve perseguire gli obiettivi aziendali ed è
responsabile dell'organizzazione e della gestione delle risorse assegnate (budget).
Qui si viene a creare una stridente contraddizione tra le necessità economiche
dei programmi di prevenzione, i cui risultati evidentemente non sono quantificabili
a breve scadenza, e l'obbligo del direttore del dipartimento di rispettare gli
obiettivi aziendali di risparmio e produttività immediata delle prestazioni.
Inoltre l'estensione delle attività preventive dei dipartimenti e la
loro qualità dipenderà dalla quantità di risorse, di strutture
di strumenti e di personale assegnate al dipartimento ed a questo proposito
le condizioni in cui sono ridotti i vecchi Servizi di epidemiologia e prevenzione,
almeno al Sud, non lasciano ben sperare sulla reale efficacia preventiva delle
attività dei Dp.
LE AZIENDE OSPEDALIERO-UNIVERSITARIE E LA PRIVATIZZAZIONE DELLA FORMAZIONE
Per quanto riguarda le facoltà di medicina è
bene ricordare che dalla controriforma De Lorenzo in poi si viene a creare una
situazione per la quale queste ultime sono fisicamente collocate in aziende
autonome che si riorganizzano, anche qui, con la logica delle imprese private
e nelle quali i professori e baroni universitari cominciano a perdere parte
del potere incontrastato che avevano sui propri feudi e sulla gestione complessiva
delle strutture e del personale, a favore dei nuovi organi di potere: la troica
direttore generale, direttore amministrativo, direttore sanitario che inizia,
spinta dalla quadratura dei bilanci e dai ridotti "budget'' regionali,
a mettere, anche se molto timidamente, il naso nelle attività dei baroni,
soprattutto per quanto riguarda la loro attività assistenziale. L'ente
regione, come abbiamo visto, assume intanto competenze sanitarie sempre più
vaste nel quadro di un federalismo spinto fino ai limiti della secessione. Le
regioni fin dall'inizio sono alle prese con vere e proprie voragini finanziarie
e con il sempre più evidente sfascio dell'assistenza pubblica. In Campania,
ad esempio, l'assessorato regionale alla sanità ha tentato nel 1997,
attraverso finanziamenti e protocolli d'intesa, di costringere le aziende universitarie
policlinico ed il suo personale, a collaborare al sistema territoriale per le
emergenze (118) attraverso la creazione dei SIRES (Centri di emergenza di II
livello) per lo smistamento dei pazienti non gestibili da altri ospedali o aziende
ospedaliere dotati di centri di emergenza I livello. Si rivelerà subito
un servizio di emergenze criminalmente fantasma ma è comunque un altro
colpo all'indipendenza ed al dorato isolamento dei cosiddetti "professoroni
universitari'' che nonostante le proteste sono costretti a misurarsi non più
con pazienti superselezionati da utilizzare come cavie di laboratorio ma con
pazienti che rischiano la vita, mostrando tutta la loro vergognosa ignoranza
professionale.
Arriva infine il decreto legislativo della democristiana Bindi ("riforma''
sanitaria Ter) che, in linea con quello del suo predecessore De Lorenzo (502/92),
accentua i caratteri privatistici, aziendalistici e federalistici del SSN e
rimodella su questa base i rapporti tra sistema sanitario nazionale ed università
con il passaggio delle aziende universitarie policlinico e delle aziende miste
ad un modello aziendale unico di azienda ospedaliero-universitaria in cui l'attività
assistenziale dei professori e dei ricercatori sarà regolata da specifici
protocolli d'intesa regione-università sulla base delle esigenze della
programmazione sanitaria regionale. Tali protocolli potranno prevedere: 1) che
l'attività didattica (corsi di laurea, di diploma e di specializzazione)
venga svolta anche nelle Asl, nelle aziende ospedaliere e nelle strutture private
accreditate; 2) la riduzione dei posti letto nelle neo aziende ospedaliero-universitarie
in rapporto al numero degli studenti iscritti ai corsi di laurea e in attuazione
del Piano sanitario regionale; 3) il reclutamento e trasferimento per posti
vacanti di professori o ricercatori universitari richiesti dal consiglio di
Facoltà delle aziende stesse. è chiaro che con questi protocolli
la regione avrà mano libera: 1) nell'utilizzo di manodopera a costo zero
(studenti di medicina e diplomandi) o a basso costo (specializzandi) nelle Asl,
nelle aziende ospedaliere e nelle strutture private sottraendola in parte al
monopolio delle cosche dei feudatari universitari; 2) nel tagliare drasticamente
i posti letto delle aziende ospedaliero-universitarie dato che gli studenti
iscritti ai corsi di Laurea di medicina e chirurgia sono stati enormemente sfoltiti
e selezionati nel corso degli anni dall'imposizione dell'odioso numero chiuso,
tra l'altro utilizzato illegalmente fino all'estate dello scorso anno! (Legge
D'Alema-Zecchino del 2 agosto); 3) nel reclutamento e trasferimento dei professori
e dei ricercatori.
Tutta l'organizzazione interna di queste nuove aziende sarà in pratica
sotto il diretto controllo del direttore generale che potrà: 1) nominare
e revocare il direttore amministrativo e sanitario dell'azienda; 2) nominare
e rimuovere i direttori delle nuove strutture dipartimentali; 3) istituire,
modificare o sopprimere le strutture che compongono i dipartimenti stessi; 4)
giudicare l'adempimento dei doveri assistenziali da parte del personale universitario
che in determinate circostanze potrà anche allontanare dall'azienda;
5) attribuire e revocare ai professori gli "incarichi di strutture''.
Dovrebbero a questo punto essere chiari i veri motivi della recente insofferenza
di presidi e baroni delle facoltà di Medicina e dell'ira dei rettori
di alcuni atenei, che si vedono scippati, dai manager e dagli assessorati regionali
alla sanità, parte di quell'enorme bacino di controllo clientelare e
affaristico che sono state fino ad oggi le corsie di reparto, i laboratori e
le aule dei Policlinici universitari. Per placare la rivolta delle potenti lobby,
anche parlamentari, dei professori ordinari e associati, questi ultimi riceveranno,
per passare al nuovo sistema, diversi "incentivi economici'' e "premi
di produttività'' che serviranno a selezionare la nuova classe di potere
delle aziende ospedaliero-universitarie, ossia quella classe dirigenziale più
allineata e fedele alla politica economica e gestionale dei manager, chiudendo
l'epoca dei feudi baronali ed aprendo, anche qui, quella del crumiraggio aziendale.
I direttori generali avranno inoltre maggior libertà e flessibilità
nell'utilizzo della manodopera; i provvedimenti legislativi infatti aprono la
strada alle assunzioni part-time ed a tempo determinato di durata non superiore
ai quattro anni e non rinnovabili. Essi faranno da apripista per la completa
privatizzazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro nel pubblico impiego.
Come ultima ciliegina sulla torta sarà possibile realizzare aziende ospedaliero-universitarie
gestite da università non statali anche attraverso l'utilizzo di strutture
private accreditate. Da quanto detto appare in maniera lampante che le contraddizioni
tra i potentati universitari e i ministri Bindi e Zecchino, nonché le
contraddizioni tra i potentati universitari e i manager delle aziende sanitarie
e universitarie sono contraddizioni in seno al nemico! Peggioreranno infatti
le condizioni dei pazienti, dei lavoratori e degli studenti. I pazienti nelle
aziende si troveranno ad essere "curati'' da un personale sempre più
alienato dal proprio lavoro e sempre più lontano dai pazienti poiché
le direzioni aziendali selezioneranno e formeranno operatori esperti più
sul versante dei risparmi, dei tagli e della pubblicità che su quello
prettamente sanitario (prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione). I lavoratori
infatti, e con essi intendiamo oggi anche i ricercatori universitari, passeranno
dalla sudditanza ai baroni dei reparti-feudo alla sudditanza al nuovo padrone
dell'azienda (manager) ed ai suoi sottopadroni di settore (dirigenti e direttori).
Gli studenti invece potranno finalmente uscire e studiare fuori dall'azienda
e dall'università, liberarsi dell'ipernozionismo supersettorializzato
e conoscere la realtà socio-sanitaria che li circonda? No di certo. Molto
più probabilmente saranno sfruttati nell'organizzazione aziendale di
qualche Asl, di qualche azienda ospedaliera o di qualche clinica privata! I
ricercatori invece scompariranno progressivamente dopo un periodo transitorio
in cui (forse) saranno inquadrati nella provvisoria terza fascia della docenza
universitaria e comparirà la figura del nuovo precario dell'università
che andrà a sostituire borsisti e dottorandi: il tirocinante.
Con decreto ministeriale sarà stabilito il fabbisogno per il SSN di medici,
veterinari, dentisti, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi, infermieri,
ottici, tecnici e di tutto il restante personale sanitario e socio-sanitario
per definire il numero di studenti da selezionare per le facoltà medicina,
le scuole di specializzazione ed i diplomi universitari.
Anche questo è un passaggio particolarmente grave poiché subordina
il diritto allo studio alle esigenze di forza-lavoro del mercato sanitario e
socio-sanitario avallando di fatto la spietata selezione meritocratica e di
classe che già avviene nei corsi di laurea, di diploma e di specializzazione
delle facoltà mediche con l'introduzione generalizzata del numero chiuso
per l'accesso a tutte le professioni dell'area sanitaria e socio-sanitaria.
La formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione
si svolgerà anche nel SSN e nelle strutture private accreditate attraverso
percorsi paralleli a quelli dell'università. Con decreto del ministro
della sanità saranno definite "delle linee guida ogni tre anni per
protocolli d'intesa regioni, università e SSN per individuare le strutture
universitarie per attività assistenziali e le strutture per la formazione
specialistica e i diplomi universitari''. I percorsi formativi svolti in strutture
accreditate sono requisito valido per potere accedere al SSN
Per il personale verrà avviata la cosiddetta "formazione continua''
che potrà essere affidata anche direttamente a privati asservendo la
formazione da un lato alle esigenze di profitto dell'industria farmaceutica
e dell'industria di apparecchi diagnostici e terapeutici dall'altro alle necessità
formative di risparmio e profitto dei vertici aziendali. Anche la ricerca sanitaria
e biomedica, secondo il pensiero unico della Bindi, deve essere immediatamente
"integrata e coordinata con la ricerca privata''.
IL SANITOMETRO
Un altro versante di attacco e demolizione del SSN nato dalla 883/78 è
l'introduzione del sanitometro19, varato dal governo Prodi-D'Alema-Bertinotti
ed entrato in vigore sotto il governo del rinnegato D'Alema, con il quale viene
stravolta radicalmente la concezione e la filosofia del SSN. In pratica esso
decreta ufficialmente la morte della sanità pubblica, universale, gratuita
e sostenuta dalla fiscalità generale e al suo posto si sancisce un sistema
sanitario a pagamento con agevolazioni solo per gli indigenti. Il ministro Bindi,
vero artefice del provvedimento, assicura "che si tratta solo di una più
equa distribuzione delle esenzioni e della partecipazione degli utenti alla
spesa sanitaria'' negando in sostanza che si tratta invece di un altro grimaldello
per lo smantellamento della sanità pubblica, di un ulteriore strumento
per favorire la privatizzazione dei servizi, e dell'ennesima controriforma in
piena regola che trasforma il diritto alla salute in beneficenza ai poveri ed
ai bisognosi ricollegandosi direttamente al sistema in vigore prima della "riforma
sanitaria'' del '78.
8. LA "RIFORMA SANITARIA'' DEL '78 E LA CONTRORIFORMA DEL '99 A CONFRONTO
La controriforma Bindi nasce in un contesto economico-politico
radicalmente mutato rispetto a quello nel quale si inquadrava la legge 883.
Quest'ultima fu il frutto di una vasta, profonda e lunga lotta del proletariato
e delle masse popolari per "il diritto alla salute'' in un momento storico
in cui lo Stato borghese, con l'aiuto dei vertici del PCI, si riorganizzava
per dar vita alla versione italiana del cosiddetto "Stato sociale'' (con
il quale arginare, contenere e imbrigliare la lotta di classe rivoluzionaria);
la "riforma Bindi Ter'' si muove nell'ambito di un processo avanzato di
distruzione dello "Stato sociale'' reso possibile dal momentaneo refluire
della lotta di classe e dalle pressioni competitive dei grandi gruppi economici
e finanziari dell'Europa unita, delle banche e dei padroni. In questo contesto
i soldi destinati ai servizi pubblici vengono sempre di più dirottati
per incentivare il privato o settori più strategici per la competizione
internazionale e un esempio lampante è stato la recente disinvolta sottrazione,
nella legge finanziaria 2000, di 500 miliardi destinati alla sanità per
il finanziamento di un nuovo caccia militare per l'imperialismo italiano. Del
resto il processo di privatizzazione delle strutture pubbliche, e di finanziamento
con soldi pubblici di quelle private non si limita al campo della sanità,
ma investe la scuola, l'università, i servizi sociali e quant'altro
Da questo punto di vista, e sfrondata di alcuni elementi demagogici, il D.Lgs
Bindi appare molto più come un passo avanti nel solco liberista aperto
dalla controriforma del '92 che, come dice il ministro, "un ritorno ai
principi della legge 883''. Con questo decreto lo Stato si ritira ulteriormente
dal campo dell'assistenza sanitaria e socio-sanitaria liberando spazio in primo
luogo ai privati e alle mutue e in secondo luogo al no-profit ed al volontariato.
La sanità nelle aziende diviene un enorme supermarket nelle quali la
salute è una merce da vendere come le altre, i pazienti sono clienti
da ingannare e circuire e gli operatori sanitari all'occorrenza sono produttori,
commercianti e capireparto.
I fondamentali principi che ispiravano la legge 883 vengono uno ad uno a cadere:
"l'universalità del SSN'' è cancellata dall'introduzione
del "sanitometro'' che inaugura la sanità a pagamento, con esenzioni
solo per i più poveri; il suo carattere "pubblico'' dall'accreditamento
indifferenziato dei privati; "la gratuità del SSN e il diritto alla
salute uguale per tutti a prescindere dal reddito'' polverizzato dai "ticket'',
"dalla attività intramuraria'', "dalla compartecipazione alle
spesa'' per un numero sempre maggiore di prestazioni e dall'introduzione delle
mutue assicurative; "l'uniformità delle prestazioni su tutto il
territorio nazionale'' contraddetta dalla riorganizzazione federalista del sistema
sanitario che diversifica l'assistenza sanitaria di regione in regione nonché
dall'"autonomia aziendale'' che diversifica le prestazioni offerte di territorio
in territorio; "la capillarità delle attività del sistema
sanitario'' troncata dal sovradimensionamento delle Asl e dei distretti sanitari,
dall'accorpamento degli ospedali e dalla chiusura di quelli "piccoli'',
dal taglio dei posti letto, dai numeri chiusi per l'accesso a tutte le professioni
sanitarie e dal conseguente diminuire del numero di medici, infermieri operatori
sanitari per abitante.
Anche le attività di prevenzione e riabilitazione che occupavano la maggior
parte del testo del '78 vengono quasi completamente cancellate dal D.Lgs Bindi;
le prime centrifugate nel "Dipartimento di prevenzione'' che già
si prevede ridotto all'impotenza dal taglio della spesa sanitaria pubblica e
dalle logiche produttivistiche aziendali; le seconde, insieme alle attività
di medicina territoriale e socio-sanitarie, "semplificate'' nell'elemosina
dei "progetti-persona'' e scaricate sul volontariato e il no profit. Per
non parlare del principio della partecipazione della popolazione al controllo
e all'elaborazione della programmazione sanitaria che per il testo della Bindi,
a differenza della 883, non merita neanche un rigo laddove fiumi di inchiostro
vengono riversati per chiarire i meccanismi di accentramento del potere assoluto
dei manager sui lavoratori e le attività delle aziende.
Da quanto detto il decreto Bindi può essere considerato un aggiornamento
ed una razionalizzazione del dlg 502. Tuttavia in alcuni passaggi, circa l'"integrazione
socio-sanitaria'', il ritorno a più vaste competenze dei comuni sull'assistenza
sanitaria e socio-sanitaria e la "deospedalizzazione delle cure'', il testo
potrebbe sembrare ricongiungersi ad alcuni principi della 883; in realtà
queste modifiche perseguono obiettivi diversi da quelli che ispirarono la legge
del '78. L'integrazione socio-sanitaria delle attività dei distretti
sanitari, più che coordinare realmente l'assistenza sanitaria e sociale,
entrambe falcidiate e allo sfascio, ha lo scopo di permettere lo sbarco dei
privati, del no-profit e del volontariato in questo settore, creando anche qui
un sistema misto tra privati, no profit, volontariato, Comuni e distretti sanitari
per l'"assistenza integrata'', anche domiciliare, al singolo emarginato
(anziano, disabile ed handicappato, tossicodipendente, malato di Aids che sia)
e prevedendo tra l'altro anche forme di partecipazione alla spesa da parte degli
"assistiti''.
Per quanto riguarda le nuove funzioni attribuite alle giunte comunali esse rimangono
comunque strangolate dai più vasti poteri regionali ed aziendali nonché
dal dilagare delle strutture private accreditate e del no-profit. I passaggi
sulla deospedalizzazione delle cure, che a prima vista potrebbero ingannare
qualcuno circa una volontà governativa di potenziamento della medicina
territoriale, in realtà sono funzionali soltanto ed unicamente al contenimento
della spesa sanitaria ospedaliera quale principale capitolo della spesa sanitaria
pubblica.
A ben guardare quindi la democristiana Bindi riprende, più che gli aspetti
progressisti, quelli più reazionari ed ambigui della legge 883 confermando
per esempio la possibilità per i medici generici e i pediatri di svolgere
l'attività privata o la possibilità di compartecipazione alla
spesa da parte dei cittadini.
9.IL BARONE VERONESI, NEL SOLCO LIBERISTA E FEDERALISTA TRACCIATO DAI SUOI PREDECESSORI, INTENDE COMPLETARE IL PROCESSO DI SMANTELLAMENTO E PRIVATIZZAZIONE DEL SSN
"Uno Stato garante, che si prende cura del benessere dei
cittadini, fu la grande novità dell'Inghilterra post-bellica. Da allora,
con le necessarie trasformazioni e tra infiniti ostacoli, quest'idea ha viaggiato
per l'Europa. Ora siamo arrivati al punto in cui dobbiamo riconoscere un altro
passaggio, quello dal concetto di Stato che dà assistenza e benessere
al concetto di una comunità intera che vi concorre e ne assume la responsabilità''.
"La conquista della salute... deve diventare un terreno su cui si confrontano
e collaborano tutti i soggetti sociali e istituzionali: le Regioni, i Comuni,
le associazioni di volontariato, la scuola, le famiglie, il mondo della ricerca
e della produzione'' e più avanti "... il 1999 ha rap-presentato
per la sanità italiana un anno carico di avvenimenti. Un anno nel corso
del quale sono state avviate due importanti riforme: una sul fronte dell'organizzazione
del sistema sanitario, con il decreto n.229 (a tutti noto come riforma sanitaria
ter) per garantire una maggiore tutela della salute dei cittadini, migliorando
la qualità e l'efficienza dell'assistenza sanitaria; l'altra sul fronte
del finanziamento del sistema sanitario con l'introduzione del federalismo fiscale,
che ha aperto la strada a un nuovo ruolo delle Regioni nella gestione dei servizi
di assistenza e nella programmazione delle risorse ad essi destinate.'' All'onorevole
Bindi, che ha tra i molti meriti quello di aver promosso una riforma necessaria
per allinearci all'Europa, va la mia personale gratitudine''. Con queste parole
piene di demagogia e di spudorate menzogne circa "il benessere, il miglioramento
della qualità e dell'efficienza del sistema sanitario'' e "la maggiore
tutela della salute dei cittadini'', pronunciate dinanzi alle Camere, in occasione
della presentazione della relazione sullo stato sanitario del Paese, il ministro
della sanità Umberto Veronesi difende e rilancia l'impianto federalista,
liberista e familista della controriforma sanitaria varata dalla democristiana
Rosy Bindi e dichiara apertamente che il suo ministero vuole operare nel solco
tracciato dal suo predecessore. In parole povere egli intende completare il
processo di distruzione del Ssn, di ritirata dello Stato e del governo dall'assistenza
sociosanitaria, di smantellamento di quel poco che resta dell'assistenza sanitaria
pubblica, per favorire, tramite20 diversi sistemi sanitari regionali nati dalle
venti nuove regioni-stato le strutture private e il mercato sanitario privato
e scaricare così quei servizi sociali e sanitari essenziali per le masse
popolari, ma poco redditizi, sulle spalle del volontariato e delle donne.
Larga parte della relazione è poi occupata nella divulgazione di dati
che secondo il ministro attesterebbero che "il Ssn italiano ha saputo conseguire
negli anni obiettivi che hanno avuto rilevanza internazionale''. Per dimostrare
quanto questa relazione sia ingannatoria e offensiva dell'intelligenza delle
masse popolari vogliamo solo ricordare che in neanche un passaggio si nomina
il grande divario sanitario tra il Nord e il Sud (!). Per quanto riguarda ad
esempio la mortalità infantile si afferma che è in continua diminuzione
ma non si cita l'aumento dal '92 ad oggi della natimortalità e della
mortalità neonatale in tutto il paese, né che queste ultime, come
la mortalità infantile, fanno registrare tassi doppi nel Mezzogiorno
rispetto al Nord del Paese. Un altro esempio: circa la mortalità per
malattie infettive si parla "di una quasi totale assenza di morti'' laddove
tutti gli operatori sanitari conoscono, l'altissimo e netto aumento del tasso
di mortalità da infezioni post-chirurgiche causato dalle dimissioni veloci
attuate dagli ospedali dopo l'approvazione del sistema di pagamento regionale
tramite i Drg. I presunti risultati positivi raggiunti dal piano sanitario nazionale
1988-2000 sono quindi virtuali poiché tra l'altro esso è stato
approvato per la prima volta proprio nel momento in cui con l'instaurazione
della repubblica federale diveniva privo di significato e non vincolante.
Ma vediamo nel concreto quali sono le misure adottate dal 2° governo Amato
tramite Veronesi, che ricordiamo oltre ad essere ministro della sanità,
quale direttore dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano è il referente
politico di quelle grosse cordate di baroni universitari, dirigenti di cliniche,
centri privati e case farmaceutiche che navigano nel grande affare dell'oncologia
medica (diagnostica, radio-chemio terapica e chirurgica).
ATTIVITA' PRIVATA DEI MEDICI: secondo il Decreto integrativo della "riforma''
sanitaria Ter, approvato il 26 luglio, l'attività libero professionale
privata dovrà essere avviata nelle strutture pubbliche entro il 30 giugno
2001 e a tale scopo le regioni possono stornare soldi già destinati ad
altri capitoli di spesa (si parla di 3.000 miliardi). Inoltre i medici potranno
continuare a svolgere tranquillamente e per altri tre anni l'attività
privata nei loro studi contemporaneamente a quella "pubblica''. Evidentemente
la difesa dell'attività privata dei medici sta particolarmente a cuore
al ministro Veronesi. Egli non si è limitato a seguire la strada intrapresa
da De Lorenzo e Bindi, confermando gli odiosi e discriminatori provvedimenti
che introducevano nelle aziende sanitarie e ospedaliere "pubbliche'' la
cosiddetta attività intramoenia (camere, ambulatori, servizi rigorosamente
a pagamento e gestiti privatamente) destinandovi centinaia di miliardi ma è
arrivato a prorogare per altri tre anni l'obbligo di scelta tra attività
"pubblica'' (intramoenia) e privata vera e propria (extramoenia); obbligo
di scelta del quale la Bindi, sia pure tra mille titubanze e compromessi, aveva
fatto il suo cavallo di battaglia. "Credo che i medici'', ha dichiarato
a tale proposito Veronesi, "possano apprezzare lo sforzo fatto per realizzare
le nuove strutture all'interno ma anche per una gradualità dell'applicazione
della legge per quanto riguarda gli studi privati''.
RAPPORTI DI LAVORO: il d.lgs inoltre conferma ed estende, rispetto alla "riforma''
ter, la precarizzazione dei rapporti di lavoro nel settore sanitario stabilendo
che il personale medico, tecnico ed amministrativo potrà essere assunto
dalle aziende sanitarie con contratto a tempo determinato o nella forma della
collaborazione professionale temporanea; contratti potranno essere stipulati
anche con società cooperative di servizi. Con questi provvedimenti, in
linea con l'accordo tra sindacati confederali e Aran, firmato il 10 agosto scorso,
che prevede l'estensione del lavoro temporaneo nel pubblico impiego e l'assunzione
di lavoratori interinali negli ospedali e nelle scuole, il governo dell'antico
nemico dei lavoratori Amato punta a coprire le gravi carenze di organico legalizzando
ed istituzionalizzando di fatto il lavoro nero, precario ed a termine anche
nella sanità. Ciò comporterà l'ulteriore peggioramento
dei servizi sanitari e delle condizioni di lavoro, e il blocco dell'assunzione
regolare di nuovo personale a tutti i livelli.
SPESA FARMACEUTICA: tra i provvedimenti in cantiere Veronesi ha annunciato un'operazione
sul mercato farmaceutico per tagliare di almeno 2-3.000 miliardi la spesa farmaceutica.
Come avverrà il risparmio? Gli ammalati, fino ad oggi salassati dagli
odiosi ticket, pagheranno per intero i farmaci "firmati'', ossia il 99,6%
dei farmaci in vendita in Italia, dal momento che il servizio sanitario pagherà
loro soltanto i farmaci "generici'' (0,4% del mercato dei farmaci). Questi
ultimi sono farmaci, per i quali il brevetto è scaduto, contenenti la
stessa composizione chimica dei loro omologhi "firmati'' ma dal costo più
contenuto 20. Tali dichiarazioni d'intenti annunciano una vera e propria stangata
antipopolare, che tuttavia potrebbe non trovare spazio in questa legislatura,
tenuto conto che per ragioni elettorali il ministro Veronesi ha annunciato una
riduzione dei ticket sui farmaci e sulle prestazioni diagnostiche. Vedremo.
In ogni caso scandalosa è stata l'opera di copertura della politica governativa
sui farmaci da parte dell'imbroglione Bertinotti che è arrivato a dichiarare,
senza ulteriori commenti, dalle colonne di "Liberazione'' del 27 settembre
che l'affermazione del craxiano Veronesi (i ticket sulla salute devono essere
aboliti) corrisponde a quanto Rifondazione sostiene da tempo. Il ministro ha
annunciato anche l'introduzione di un "budget di spesa'' vincolante per
il medico di famiglia che dovrà quindi risparmiare nella prescrizione
ai pazienti di indagini di laboratorio, strumentali e farmaci.
AGGIORNAMENTO DEI MEDICI: l'11 agosto Veronesi ha insediato la "commissione
nazionale per l'educazione continua medica'' da lui stesso presieduta. Fino
ad oggi dopo la laurea e la specializzazione infatti le uniche possibilità
di "aggiornamento'' delle conoscenze dei medici erano affidate alle case
farmaceutiche e di apparecchi diagnostico-strumentali che organizzavano la stragrande
maggioranza dei "congressi medici''. Questi ultimi, fuori da qualunque
approccio scientifico serio agli argomenti trattati, servivano da un lato ad
orientare la pratica medica verso determinati prodotti da vendere dall'altro
costituivano occasioni dirette di collusione e corruzione dei medici da parte
delle aziende produttrici. La commissione sulla scia delle controriforme universitaria
e scolastica che con l'"autonomia'' hanno introdotto il sistema dei crediti
scolastici e formativi, intende certificare tramite un analogo sistema di crediti
(punteggio) rilasciati da "enti accreditati'' "pubblici'' e privati
l'aggiornamento dei medici. Il sistema partirà da gennaio e prevede che
ogni medico o infermiere dovrà raggiungere 50 punti nel corso dell'anno
o 150 nel triennio. Ogni avvenimento sanitario di aggiornamento varrà
da 1 a 10 punti. Da rilevare che l'autorevolezza dei relatori, stabilita dall'"autorevole''
Veronesi e soci, sarà il primo criterio di valutazione di ogni evento
formativo mentre secondari saranno l'organizzazione dell'evento e la scientificità
dell'argomento e che gli enti e le società scientifiche che promuoveranno
congressi beneficeranno di sgravi fiscali.
OSPEDALI: "è fuori di dubbio che la riduzione della rete ospedaliera,
il controllo dei costi, la programmazione regionale hanno eliminato numerose
strutture ospedaliere che, allo stato attuale, non hanno più alcuna ragione
di essere e il cui completamento, in assenza di una realistica ipotesi di riconversione,
rappresenta solo un'ulteriore spesa superflua''. "Siamo contrari a qualsiasi
ipotesi di riconversione... in quanto la logica gestionale delle Asl non consentirebbe
ad alcuna Asl di mantenere gli spazi inutili e costosi.'' "i 2.500 miliardi
previsti dal piano straordinario per l'edilizia ospedaliera della legge 67 del
1988 serviranno al completamento soltanto di alcune delle opere progettate,
calcolabile in un 42% del totale''. Con queste parole il senatore Ferdinando
Di Iorio commentava le conclusioni della commissione Sanità del Senato
che ha portato a termine, dopo ben tre anni, l'inchiesta sulle strutture sanitarie
italiane. Da questa inchiesta è emerso che in Italia esistono ben 148
strutture sanitarie incompiute per un costo iniziale complessivo previsto di
2.420 miliardi che è lievitato negli anni fino a raggiungere i 5.157
miliardi mentre si stima che altri 2.029 miliardi serviranno per ultimare i
lavori21. Circa 5.000 miliardi, dunque, rubati al popolo lavoratore, l'equivalente
di una legge finanziaria; 5.000 miliardi di denaro pubblico sperperati per ingrassare
le tasche della mafia (in Sicilia sono state censite 50 strutture incompiute
per un totale di ben 1.834 miliardi in più del previsto), della camorra,
della 'ndrangheta, della "sacra corona unita'' ma anche degli assessori
regionali e degli amministratori, dei dirigenti, dei manager delle Asl con l'assenso
dei governi nazionali e dei vari ministri della sanità: ecco ciò
che emerge inequivocabilmente dall'inchiesta governativa. Tali risultati invece
vengono presentati, con la solita demagogia che contraddistingue i governi di
"centro-sinistra'', come scusa per tagliare ancora la rete ospedaliera
soprattutto dei piccoli ospedali con meno di 120 posti letto che spesso, in
mancanza di servizi territoriali, sono l'unico punto di riferimento per gli
abitanti delle piccole città e dei piccoli paesi di montagna e per bloccare
il completamento ed ammodernamento di strutture ospedaliere indispensabili che
le masse popolari aspettano da anni. Contemporaneamente un'altra ondata di speculazione
edilizia ospedaliera è stata annunciata da Veronesi per la costruzione
di opere faraoniche ed inutili quali il cosiddetto "ospedale supertecnologico''
della cui progettazione avrebbe investito il superpubblicizzato architetto Renzo
Piano (30.000 miliardi).
10.LOTTARE PER FERMARE LA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITA' E RILANCIARE GLI IDEALI
DELLE GRANDI RIVOLTE DEGLI ANNI '60 e '70
Lo smantellamento dello "Stato sociale'', la distruzione del Servizio sanitario
nazionale, il federalismo sanitario, l'instaurazione della sanità a pagamento
("sanitometro''), la restaurazione delle "assicurazioni integrative''
e di un sistema sanitario misto-pubblico privato, il completamento del processo
di privatizzazione della sanità pubblica, la deregolamentazione e destrutturazione
selvaggia del mercato del lavoro, la privatizzazione e precarizzazione dei contratti
di lavoro nel pubblico impiego determineranno un ulteriore peggioramento delle
condizioni di salute e di lavoro del proletariato e delle masse popolari, soprattutto
del Sud, nonché dei lavoratori della sanità!
Per questi motivi è necessario che i lavoratori, gli studenti, gli infermieri,
gli specializzandi, i ricercatori, i tecnici, gli operatori socio-sanitari,
i medici più progressisti e gli altri lavoratori della sanità
costituiscano un unico fronte di lotta con le masse popolari per fermare la
privatizzazione della sanità portata avanti senza tregua, e con mille
inganni, dal governo affamatore del rinnegato Amato nemico dei lavoratori. Occorre
unire le forze per cacciare manager e baroni, respingere con decisione qualsiasi
tentativo di restaurare il sistema mutualistico, rigettare senza tentennamenti
l'introduzione del settore del no-profit e del volontariato nell'assistenza
sanitaria e socio-sanitaria, abolire gli odiosi ticket e battersi per la totale
gratuità delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie attraverso la
costruzione di comitati di lotta di quartiere basati sulla democrazia diretta,
sulle assemblee generali e sulla delega revocabile in qualsiasi momento. Contemporaneamente
i lavoratori della sanità dovranno rivendicare il governo di ogni struttura
e ad ogni livello dell'organizzazione sanitaria, attraverso le assemblee generali
dei lavoratori basate anch'esse sulla democrazia diretta e il meccanismo della
delega revocabile in qualsiasi momento. Ad esse devono poter partecipare anche
le masse popolari e i pazienti.
Solo quando l'organizzazione e la gestione della sanità sarà saldamente
nelle mani dei lavoratori e delle masse, sarà possibile rilanciare i
grandi ideali sbocciati nelle grandi lotte degli '60 e '70 di una sanità
pubblica, gratuita, universale, gestita dai lavoratori, controllata e cogestita
dalla popolazione e dai pazienti, che si avvalga di strutture capillari di prevenzione,
diagnosi, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale e che sia finanziata
tramite la fiscalità generale. Nello specifico il fondo sanitario nazionale,
che deve essere gestito direttamente dalla masse popolari, deve alimentarsi
tramite la fiscalità generale. Vanno aboliti subito i contributi di malattia
che gravano in prevalenza sul lavoro dipendente. L'intero ammontare della spesa
sociale e sanitaria deve essere svincolato dalle compatibilità capitalistiche
(Dpef e finanziarie varie) per essere agganciata al Pil del quale dovrà
essere una cospicua percentuale. Anche i parametri di distribuzione del fondo
sanitario vanno cambiati tenendo conto non solo della numerosità della
popolazione residente e dello stato e capillarità di tutte le strutture
pubbliche ma anche delle differenze socio-economiche tra le zone centrali e
le zone periferiche delle città, tra città e campagna, tra zone
agricole e zone industriali, del tasso di disoccupazione, sottoccupazione, lavoro
nero e lavoro a domicilio, della presenza di servizi sociali, della condizione
delle donne e dei giovani, della struttura urbanistica e della stratificazione
del reddito e dei consumi, delle esigenze socio-sanitarie degli anziani, degli
emarginati e degli immigrati, privilegiando in ogni caso, anche con fondi straordinari,
le zone più povere e depresse del Sud e delle Isole. Tutte le strutture
private, accreditate e non, vanno trasformate in strutture pubbliche, gratuite
e governate dai lavoratori e dal popolo, comprese le farmacie e le industrie
farmaceutiche vanno nazionalizzate mentre va rilanciata la battaglia per le
decine di migliaia di medici ed altri operatori sanitari che sono attualmente
disoccupati, sottoccupati o precari per il lavoro stabile, a salario intero,
a tempo pieno e sindacalmente tutelato nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie
pubbliche.
Per fare fronte alle attuali drammatiche condizioni sanitarie del Paese e allo
sfascio del SSN c'è bisogno urgente, soprattutto nel Sud e nelle Isole,
di un gran numero di distretti sanitari autogestiti, di consultori autogestiti,
di ambulatori pubblici polispecialistici, di servizi di guardia medica e di
continuità assistenziale, di servizi capillari di assistenza domiciliare,
di presidi medico-preventivi autogestiti e con pieni poteri in ogni fabbrica
e azienda, anche per quelle sotto i 15 dipendenti. Se non avverrà tutto
ciò è da rigettare ogni processo di deospedalizzazione e di riduzione
del numero dei posti letto che anzi dovranno essere immediatamente potenziati.
C'è bisogno, ancora, di un gran numero di infermieri professionali, medici,
pediatri, dentisti, igienisti e operatori sociosanitari che lavorino esclusivamente
nel pubblico, nonché di un servizio di emergenza territoriale efficiente
che tramite centrali operative e collegamenti informatici coordini le disponibilità
di posti letto delle strutture pubbliche e lo smistamento dei pazienti "urgenti''
in queste strutture. A questo proposito, in tutte le Isole minori e nelle zone
scarsamente collegate alla rete di trasporto, va istituito un servizio di Pronto
Soccorso di alto livello e un servizio pubblico efficiente di eliambulanze.
Occorre inoltre procedere immediatamente alla chiusura dei rimanenti ospedali
psichiatrici, e di tutte le "istituzioni chiuse'' per anziani, disabili,
minori a rischio, tossicodipendenti, handicappati fisici e mentali per trasformarli
in consultori, centri sociali e strutture sanitarie autogestite. Anche gli attuali
"consultori familiari'' e "materno-infantili'' vanno trasformati in
consultori autogestiti nei quali sia vietato, per lo svolgimento delle prestazioni
legate all'aborto e all'informazione contraccettiva, l'utilizzo di medici "obiettori
di coscienza'' e qualsiasi intromissione nella vita privata e familiare delle
donne. Bisogna prepararsi ad opporsi con ogni mezzo a disposizione a qualsiasi
tentativo di cancellare le leggi 194 e 180 che certamente, affossata la 883,
entreranno presto nel mirino del cecchino Amato, a capo di un governo propugnatore
convinto del familismo mussoliniano e dell'oscurantismo cattolico.
Più in generale bisogna cancellare l'attività privata dei medici
e rivendicare che tutti lavorino esclusivamente nella sanità pubblica,
accorciando le differenze salariali tra medici, infermieri, tecnici, amministrativi
e operatori sociali.
Nello specifico occorre lottare contro la privatizzazione della formazione medica
affinché le facoltà di medicina siano pubbliche, gratuite e governate
dagli studenti e per riorganizzare i suoi corsi affinché siano aperti
a tutti e comprendano argomenti di studio teorico legati dialetticamente alle
attività operative e di apprendimento della medicina preventiva svolte
dagli studenti sul territorio, nei luoghi di vita e di lavoro, nel fuoco delle
ingiustizie e delle contraddizioni economiche, politiche e sociali del sistema
capitalistico. Anche la ricerca medica e biomedica va completamente sovvertita
rendendola funzionale davvero, attraverso finanziamenti adeguati, rigorosamente
statali, ed un reale controllo popolare, agli interessi e ai bisogni dei lavoratori
e delle masse. Essa va sganciata finalmente dal controllo, più o meno
indiretto e mascherato, dell'industria farmaceutica, di quella di strumenti
e apparecchi diagnostici e terapeutici che tanto spesso l'hanno utilizzata per
criminali sperimentazioni sui pazienti-cavia delle corsie ospedaliere e universitarie.
Infine occorre procedere alla costruzione dal basso di un grande sindacato delle
lavoratrici e dei lavoratori che in ogni luogo di lavoro, nelle assemblee generali,
elegga con delega revocabile i propri rappresentanti che devono avere i mezzi
a disposizione per attuare tutte le misure necessarie a tutelare il diritto
alla salute psico-fisica dei lavoratori.
I medici competenti e gli ufficiali sanitari vanno liberati totalmente da qualsiasi
tipo di controllo e dipendenza dai padroni delle fabbriche e viceversa vincolati
alle assemblee generali dei lavoratori che potranno eleggerli o meno, con delega
revocabile, "rappresentanti dei lavoratori per il diritto alla salute in
fabbrica''. Tutti i lavoratori devono, senza alcun rischio, avere il potere
di denuncia delle infrazioni all'autorità giudiziaria che dovrà
procedere immediatamente d'ufficio con dure sanzioni penali.
Per evitare qualsiasi tentazione riformistica il fronte di lotta dovrà
nella pratica comprendere che le condizioni di salute (di lavoro e di vita)
del proletariato e delle masse popolari, come insegna la storia dello "Stato
sociale'' italiano, non possono essere migliorate più di tanto in una
società basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione,
sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e sull'acquisto e il consumo di quella
merce particolare che è la forza-lavoro e che permette ai parassiti capitalisti
il profitto. Soltanto con l'abbattimento del sistema capitalistico e la distruzione
della macchina statale borghese, con la rivoluzione socialista, il proletariato,
conquistato il potere politico, potrà costruire per sé, e per
le altre classi alleate, una società realmente salubre, dentro e fuori
le fabbriche socialiste.
Come scrive il Comitato centrale del PMLI nel documento del 25 marzo 1990 dal
titolo "Combattiamo la battaglia di maggio sotto la bandiera dei Comitati
popolari e del socialismo'': "il principio ispiratore che orienta e illumina
la nostra visione strategica di organizzazione e mobilitazione delle masse è
rappresentato dall'autogoverno del popolo. Marx, sulla base dell'esperienza
della Comune di Parigi, ha indicato che nel socialismo si deve realizzare l'autogoverno
dei produttori, cioè l'amministrazione degli affari economici e politici
dello Stato da parte dei lavoratori. Nel capitalismo questo non si può
fare perché, come spiega lo stesso Marx, il dominio politico dei produttori
non può coesistere con la perpetuazione del loro asservimento sociale.
Si può però fin da questo momento, attraverso i Comitati popolari
e le assemblee generali popolari, la democrazia diretta e l'autogestione intesa
correttamente, gettare quei fermenti, quelle idee che germoglieranno e daranno
i loro frutti nella nuova società, mentre mettono in subbuglio la vecchia
società che muore''.
Nel Rapporto dell'UP al 4° Congresso nazionale del PMLI si chiarisce: "Lo
scopo fondamentale dei Comitati popolari è quello di guidare le masse,
anche se non fanno parte delle assemblee popolari, nella lotta politica per
strappare al potere centrale e locale opere, misure e provvedimenti che migliorino
le condizioni di vita e che diano alle masse l'autogestione dei servizi sanitari
e sociali e dei centri sociali, ricreativi e sportivi di carattere pubblico''.
NOTE
1 - "Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l'insieme
delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità,
ossia nella personalità vivente d'un uomo, e che egli mette in movimento
ogni volta che produce valori d'uso di qualsiasi genere". (K. Marx: Il
Capitale, libro primo, 1865, p.200. Editori Riuniti)
2 - Esso però non si applica alle "piccole imprese'' sotto i 15
dipendenti che progressivamente si svilupperanno in tutto il paese.
3 - Si pensi che in Campania nel 1998 il 40,4% dei parti è avvenuto nelle
oltre 50 strutture private, nella stragrande maggioranza dei casi prive di qualsiasi
struttura di assistenza alla gravidanze a rischio ed ai bambini prematuri e
sottopeso. Mentre nella città di Napoli questo dato ha raggiunto la quota
del 57%. Queste strutture inoltre utilizzano il parto cesareo per evidenti motivi
di convenienza organizzativa ed economica in ben il 50,3% dei parti. Da una
altra indagine è emerso che in quasi tutti i 'punti parto pubblici' della
città di Napoli vi sono carenze strutturali, igieniche, strumentali e
di personale.
4 - Gli ``esperti'' e gli specialisti devono distinguere tra `` i pericolosi
responsabili'' , cioè i criminali e i`` pericolosi non responsabili'',
cioè i matti e smistarli dunque, a seconda del caso, all'autorità
giudiziaria o a quella sanitaria.
5 - Nel 1988 negli ex ospedali psichiatrici sono ancora ricoverati 30.000 pazienti
e ben 15000 nelle cliniche private. Nella sola Lombardia, nel 1999, esistono
ancora 25 manicomi in attività.
6 - Del resto un discorso simile può essere valido anche per la costituzione
democratica borghese, della quale il PCI è stato il più strenuo
difensore e che oggi D'Alema e DS in testa sono chiamati a cancellare per passare
ad un nuovo testo più funzionale al regime neofascista in vigore.
7 - Costituito da due voci, la prima il contributo di malattia pagato da chi
lavora (che rappresenta quasi il 60% del totale), la seconda appunto è
l'integrazione dello Stato (circa 40%).
8 - Gli art.21-22 sanciscono l'obbligo di informazione da parte del datore di
lavoro di tutti i lavoratori circa i rischi e le misure di prevenzione. Egli
è anche tenuto alla formazione prevenzionistica dei lavoratori (anche
in caso di assunzione, trasferimenti, mutamento di mansioni e introduzione di
nuove attrezzature o materiali di lavorazione).
Il controllo pubblico sull'applicazione della legislazione in materia di sicurezza
e salute nei luoghi di lavoro è svolto dall'azienda sanitaria. La vigilanza
può essere esercitata anche dall'ispettorato del lavoro per i rischi
elevati.
Le Asl devono controllare i cosiddetti MAC (livelli massimi di tollerabilità
degli ambienti nocivi). Ai funzionari, ispettori di polizia giudiziaria, della
Asl spettano anche le diffide e gli ordini (art.21 833/78) che devono essere
trasmessi entro 24 h ai P.M. (art.43 c.p.p).
La diffida non promuove l'azione penale.
9 - Già infatti si stanno diffondendo nelle aziende e nelle facoltà
di medicina corsi di management gestiti anche da privati nei quali "esperti''
nel campo imprenditoriale e professori delle facoltà di economia e commercio
(senza la minima competenza in campo medico!), vengono ad insegnare al personale
come i bisogni di salute devono venire valutati in termini di produttività
aziendale. Un programma di prevenzione a lungo termine ad esempio anche se realmente
efficace ed appropriato non potrà mai essere adeguatamente finanziato
da un manager di una Asl o di una azienda ospedaliera dato che le sue esigenze
di stipendio legate alla quadratura dei bilanci, e dunque di ritorno economico
della prestazione, durano il tempo della durata del contratto (massimo 5 anni)
che lo lega all'azienda.
10 - Essa ha anche la facoltà di chiedere alla regione la rimozioni dei
direttori generali delle aziende sanitarie
11 - La mancata definizione da parte delle regioni della "conferenza''
e del "piano attuativo locale'' ne prevede il commissariamento, mentre
la mancata definizione del piano sanitario regionale comporta il divieto da
parte della regione di accreditare nuove strutture
12 - Tre unità operative di alta specialità, un dipartimento di
emergenza di II livello, un ruolo di ospedale di riferimento in programmi integrati
di assistenza regionale e interregionale come da PSR, un'organizzazione dipartimentale
di tutte le unità operative, la disponibilità di una contabilità
economico-patrimoniale e di una per centri di costo, il 10% in più rispetto
agli altri di ricoveri ordinari per pazienti di regioni diverse, una complessità
della casistica dei ricoveri del 20% rispetto agli altri.
13 - Vengono definite tali: l'assistenza a patologie croniche di lunga durata
e recidivanti, i programmi ad alto grado di personalizzazione della prestazione,
le attività in programmi di prevenzione, l'assistenza a malattie rare,
il sistema di allarme sanitario e di trasporto di emergenza, la centrale operativa,
i programmi sperimentali di assistenza, l'attività di trapianto d'organo.
14 - Se nelle migliori delle ipotesi "campione rappresentativo'' vorrà
dire campione casuale
15 - Le Asl e le aziende ospedaliere hanno una propria personalità giuridica
ed autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale
e tecnica.
16 - All'area socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria si accederà
tramite corsi di diploma universitario.
17 - In Campania l'assistenza sociale e socio-sanitaria oltre che sui volontari
è stata, negli ultimi anni, scaricata anche sui lavoratori socialmente
utili (Lsu).
18 - "La regione si coordina, senza oneri per il SSN, con le agenzie regionali
per la protezione dell'ambiente. è previsto anche il coordinamento tra
i servizi veterinari e gli istituti zooprofilattici sperimentali, nonché
quello tra vigilanza sul lavoro delle ASL, dell'ispettorato del lavoro e dell'INAIL''
19 - Col "sanitometro'' si riducono sensibilmente coloro che fino ad oggi
beneficiavano dell'esenzione totale, passando dal 35 al 25%. In termini numerici,
6 milioni circa di persone che non pagavano nulla ora dovranno sborsare la quota
prevista dagli odiosi ticket se vorranno usufruire di prestazioni sanitari essenziali
quali day hospital, pronto soccorso, la diagnostica e la specialistica, la riabilitazione
extraospedaliera, i farmaci. Le regioni potranno ulteriormente ritoccare in
aumento i ticket e si introduce anche un modulo di autocertificazione del reddito
e una burocrazia senza eguali a livello europeo per potere accedere alle prestazioni
sanitarie.
20 - Le aziende che producono i farmaci generici, cioè prodotti per i
quali l'esclusiva dell'azienda che li ha brevettati e sperimentati è
scaduta, superano il problema del brevetto e possono produrre la molecola senza
le ingenti spese per la ricerca, la sperimentazione clinica e la pubblicità.
21 - La stessa commissione governativa ammette che "ad oggi non esiste
un indice nazionale che delinei le caratteristiche dei presidi ospedalieri esistenti,
che evidenzi la funzione, il dimensionamento, l'anno di costruzione, lo stato
di conservazione, la dotazione tecnologica'' e la pianta organica.