Biblioteca Multimediale Marxista
il bolscevico
Organo dell'Organizzazione Comunista Bolscevica Italiana marxista-leninista
(Pubblicato su "il bolscevico" n° 38)
Il filo nero della politica
estera italiana:
dall'Iraq al Libano
Breve analisi della politica estera italiana degli ultimi anni
Milioni di elettori hanno votato il "centro-sinistra"
perché speravano in un netto cambiamento di rotta rispetto alla precedente
politica di Berlusconi, Bossi e Fini. È innegabile che, giorno dopo giorno,
il nuovo governo distrugge sempre più questa ingenua ma tenace illusione.
Qui ci limiteremo all'analisi della politica estera, poiché è
il settore dove forse più grandi apparivano le possibilità di
cambiamento davanti agli occhi delle masse di sinistra, e poiché in questo
settore rientra il tema attualmente più scottante, ovvero la missione
militare in Libano.
All'indomani dell'insediamento del nuovo governo, il ministro degli Esteri D'Alema,
già conosciuto nel '99 come capo del governo italiano, tra i bombardatori
dei Balcani, ha assicurato il rientro dei soldati italiani dall'Iraq entro l'autunno,
negando il ritiro immediato. Ai dirigenti del "centro-sinistra", impegnati
a tenere i piedi su due staffe, una tra il mondo dell'alta finanza, della grande
imprenditoria, del Vaticano, dei circoli americani e massonici, e finanche della
mafia, e l'altro tra il proprio elettorato dinanzi al quale non possono permettersi
di perdere completamente la faccia, non è parso vero di "accontentare"
i movimenti pacifisti semplicemente urlando che avrebbero mantenuto una promessa
di Berlusconi: quella del ritiro dei soldati dall'Iraq entro l'inverno, appena
anticipata all'autunno.
Contemporaneamente è stata confermata la presenza militare dell'Italia
nell'occupazione dell'Afghanistan che prosegue da ormai cinque anni. Presenza
che non solo non si è alleggerita, ma è stata anzi aumentata sia
quantitativamente, con l'invio di ulteriori forze, che qualitativamente, con
l'assunzione del comando della Task Force nel Mediterraneo, la quale tra l'altro
compie anche operazioni di sostegno alla missione irakena.
Per mettere a tacere la critica più o meno timida di alcuni parlamentari
"dissidenti" della "sinistra radicale" riguardo la conferma
della missione afghana, l'Unione ha sostenuto di aver dovuto applicare ciò
che era scritto sul Programma di governo per obbedire alla volontà degli
elettori. Come se i 20 milioni di italiani, molto spesso lavoratori, che hanno
sbarrato un qualche simbolo del "centro-sinistra", avessero letto
le 281 pagine del Programma, come se lo avessero anzi scritto loro stessi e
lo avessero accettato in ogni singola parte. Tale ipocrita giustificazione però,
oltre a ricordare che non era poi così difficile nutrire sfiducia nella
politica estera del nuovo governo prima che questo la spostasse dalla carta
alla realtà, mette in luce il carattere pienamente presidenzialista del
"centro-sinistra", in tutto e per tutto omologato alla seconda repubblica.
Come se non bastasse, Prodi e Parisi non hanno esitato a promuovere in prima
linea la missione militare Onu in Libano, sulla quale va fatta un po' di chiarezza.
Essa viene spacciata per una missione di pace. In realtà si tratta di
una missione di guerra: a cosa serve altrimenti l'enorme apparato bellico spedito
nella regione, composto tra l'altro da navi da guerra, mezzi corazzati, reparti
d'assalto, elicotteri da combattimento? Nelle regole d'ingaggio (per quel poco
che sono state rese pubbliche) si autorizza esplicitamente i soldati a sparare
non solo se aggrediti, ma anche per "prevenire" gli attacchi. È
ad ogni modo curioso che Prodi e Bertinotti cerchino di mascherare questa missione
con lo stesso appellativo di "missione di pace" con cui Berlusconi
ha tentato invano di mascherare la guerra imperialista in Iraq. Ci ha già
pensato il ben informato Cossiga, prima che ci pensino i fatti, a mettere a
nudo la realtà di questa missione: "Temo che molti in Italia non
abbiano ancora capito. Lì si andrà a sparare, purtroppo"
(intervista a "Il Giornale" del 27 agosto).
L'obiettivo di questa missione è quello di salvare gli aggressori israeliani
nel momento in cui la resistenza libanese, organizzata per la maggioranza dagli
Hezbollah, era finalmente riuscita a bloccare l'invasione israeliana. Nella
risoluzione dell'Onu infatti, non si parla mai di assicurare il ritiro immediato
delle truppe di Israele dal territorio libanese, mentre si stabilisce quale
compito specifico della missione il disarmo di Hezbollah, cioè della
resistenza libanese, esattamente ciò in cui non era riuscito Israele.
Proprio per questo il contingente multinazionale non viene stanziato nel Paese
aggressore, e nemmeno in entrambi, ma nel Paese aggredito.
Ci viene detto che la funzione di questa missione è quella di salvaguardare
il Libano dalle violenze israeliane. Ma quando mai si è vista una forza
che, per difendere gli aggrediti, li disarma e al contempo garantisce all'aggressore
la libertà di restare sul loro territorio? Una forza che vuole "difendere"
gli aggrediti dichiara forse tregua solo allorché essi conseguono le
prime vittorie sull'invasore?
Senza dire che nella risoluzione dell'Onu non viene detta una parola sui crimini
di Israele, che ha deliberatamente invaso un paese sovrano senza alcun preavviso,
facendo tornare alla memoria le vili invasioni naziste ai danni dell'Austria
nel '38, della Polonia nel '39 e della Russia nel '41, e ha compiuto stragi
efferate, massacrato oltre 1.100 civili, distrutto 15.000 case, provocato un
milione di profughi su un Paese di appena tre milioni di abitanti. Anzi vengono
giustificati ufficialmente.
Questo per quanto riguarda le caratteristiche più visibili della missione,
direttamente ricavabili dalle stesse dichiarazioni e documenti. Per quanto riguarda
un'analisi più profonda, non dobbiamo mai dimenticare la celebre frase
del generale Von Clausewitz divenuta parte integrante della visione materialista
della storia, secondo cui " la guerra è la continuazione della politica
con altri mezzi".
Gli Stati che oggi sostengono la missione Onu in Libano, legati da mille fili
economici politici e militari a Israele, hanno nel recente passato sempre sostenuto
una politica filoisraeliana, antisiriana, antilibanese, antipalestinese, e il
loro intervento militare in quella regione è la diretta continuazione,
con le armi in mano, della politica precedente. Non è verosimile credere
che senza armi sviluppino una politica e con le armi ne sviluppino una opposta.
Si sente dire che questa missione sarebbe legittima perché approvata
e gestita dall'Onu. Ma non è certo il colore dei caschi che rende una
missione giusta o sbagliata. In ogni caso non si può ignorare che l'Onu
rappresenta oggi solo il luogo dove le varie potenze tentano di gestire le reciproche
contraddizioni interimperialiste. E dunque l'"unità dell'Onu"
significa solo la temporanea ricomposizione degli interessi particolari delle
varie potenze imperialiste attorno a un qualche interesse comune. Niente di
più probabile che l'interesse comune all'imperialismo americano, a quello
europeo, a quello russo, ecc., cozzi direttamente con l'interesse di un qualche
popolo, in questo caso quello libanese. Fino a quando l'Onu sarà solo
un "covo di briganti", per parafrasare la felice espressione con cui
Lenin ebbe a indicare la defunta Società delle Nazioni, dove questi briganti
"multilateralmente" e "democraticamente" tentano di accordarsi
sulla spartizione del bottino, il sigillo Onu non solo non dimostrerà
la legittimità di una missione, ma anzi la metterà ulteriormente
in dubbio.
Gli interessi particolari dei vari Stati si sono in questo caso risolti attorno
al comune interesse politico strategico di salvaguardare nella regione l'egemonia
di Israele in quanto longa manus dell'imperialismo americano in Medioriente.
Ogni paese si differenzia poi nello sforzo e nelle richieste a seconda dei rispettivi
interessi particolari. Così, non è un caso se le due potenze che
si spendono maggiormente in questa missione in terra libanese, ossia l'Italia
e la Francia, sono rispettivamente il primo partner commerciale e il primo creditore
del Libano. La seconda, assieme all'Arabia Saudita, altra grande sostenitrice
di Israele, ha in passato esercitato pressioni sul governo libanese affinché
privatizzasse i beni pubblici, col risultato di favorire la penetrazione delle
aziende straniere. La prima ha invece firmato un trattato militare segreto con
l'aggressore israeliano.
Il ruolo di prima importanza assunto dall'Europa in generale in questa missione
si spiega anche con l'esistenza del progetto Mercato Unico Euro-mediterraneo
del 2010 volto a garantire la penetrazione dei capitali europei nella regione,
oltre che ovviamente con l'importanza geopolitica del Medioriente.
I dirigenti della "sinistra radicale" non perdono
occasione per sottolineare la discontinuità in politica estera che la
missione Onu rappresenterebbe. Obiettivamente, non si capisce dove stia questa
discontinuità. Un unico filo imperialista lega la politica estera di
Berlusconi e Fini con quella di Prodi e D'Alema, ossia la strenua difesa degli
interessi del capitale italiano (dal quale non a caso Prodi è stato incoronato)
in tutto il mondo, anche a costo di intervenire con le armi. Ovviamente ciò
non significa che non esistano delle differenze dialettiche tra i due schieramenti,
e negarlo comporterebbe di non comprendere il modo concreto in cui questa continuità
si realizza.
Ma queste differenze non riguardano né la natura imperialista della politica
estera, né il metodo interventista di questo imperialismo, né
la struttura essenziale delle alleanze internazionali. Mentre per Berlusconi
la posizione ideale per l'Italia e per l'Unione europea era, come per Blair,
all'ombra degli Usa, per Prodi essa può meglio giocare il suo ruolo di
grande potenza all'interno dell'Ue accanto all'asse franco-tedesco, ma sempre
e comunque in stretta alleanza con gli "amici d'Oltreoceano". Di conseguenza,
per Berlusconi l'unilateralismo americano rappresentava il carro su cui l'Italia
doveva salire per giocare un ruolo nello scenario mondiale, mentre per Prodi
il "multilateralismo" dell'Onu rappresenta la leva per rafforzare
la posizione dell'Ue in alleanza con gli Usa. Questa e solo questa è
la "discontinuità" del governo Prodi dal governo Berlusconi.
La continuazione della politica estera interventista ad ogni modo dimostra che
la guerra non deriva dalla volontà di singoli ministri, governi o parlamenti,
ma si impone ad essi come una necessità oggettiva dell'attuale fase del
capitalismo.
Per ultimo, per non cadere nell'empirismo, in quel metodo di indagine cioè
che isola ciascun fenomeno dal suo contesto, occorre inserire la politica estera
del governo Prodi all'interno di tutta la sua politica generale: e ci si accorge
che la continuità col governo Berlusconi non è prerogativa della
politica estera, ma riguarda tutte le questioni anche sul piano interno, dalla
finanziaria stangatrice alle privatizzazioni in cantiere, dal mantenimento dei
Cpt e della logica repressiva sull'immigrazione al rifiuto di abrogare le controriforme
Biagi e Moratti, ai già preannunciati attacchi alle pensioni, dal sopra
citato presidenzialismo al promesso federalismo, ecc.
Quel che più risulta incomprensibile ad un osservatore
sentimentale, è l'appoggio alle missioni militari dato da molte di quelle
forze (PRC, Verdi, Manifesto, Tavola della pace, associazioni cattoliche, ecc.)
che fino a ieri non solo si erano opposte con apparentemente fermezza alle guerre
di Berlusconi, ma avevano anche elevato la "non-violenza" a principio
assoluto e metafisico. Se nel caso dell'Afghanistan si è trattato per
lo più di una rassegnata accettazione, nel caso del Libano si tratta
di una vera e propria campagna interventista, tanto che la tradizionale Marcia
della pace di Assisi è stata quest'anno trasformata in una vera Marcia
della guerra a sostegno della missione in Libano.
Ciò non è frutto solo di un cattivo compromesso tra le forze "pacifiste"
e quelle liberali e imperialiste nel "centro-sinistra", ma del naturale
"sviluppo" del riformismo in socialsciovinismo. Nell'epoca dell'imperialismo
lo sfruttamento dei paesi arretrati diventa una condizione necessaria per una
politica di piccole e insignificanti concessioni economiche ai lavoratori dei
paesi ricchi: l'appoggio delle forze riformiste dei paesi capitalisti alla propria
borghesia contro i popoli dei paesi oppressi è la conseguenza politica
più lampante di questa situazione economica.
Ieri che le forze riformiste stavano all'opposizione elaborarono la teoria della
non-violenza assoluta quale teoria della capitolazione alle guerre imperialiste;
oggi che stanno al governo gettano a mare la vecchia non-violenza in luogo della
"nuova" teoria delle "missioni di pace" quale teoria del
sostegno alle guerre imperialiste.
Le due "teorie" sembrano inconciliabili, invece non lo sono affatto.
La teoria della "missione di pace" è solo lo sviluppo dialettico
e conseguente della teoria della non violenza quando essa compie un necessario
salto di qualità e si trasforma nel proprio opposto: è la dimostrazione
più chiara della totale bancarotta del pacifismo borghese.
Se ieri i "non-violenti" facevano comunque parte del movimento contro
la guerra, oggi i "missionari di pace" fanno parte a pieno titolo
del fronte dell'imperialismo, hanno cioè definitivamente compiuto la
loro parabola dalla codarda capitolazione al tradimento pieno.
18 ottobre 2006