Biblioteca Multimediale Marxista
«Uè Berto!, spendile un pò di palanche
per l'avviamento, non le mettere tutte sotto il mattone!».
Il coro delle risate degli altri pescatori lo colse al massimo dello sforzo
mentre, tutto rosso in viso, stava girando con la destra la manovella di avviamento,
tenendo premuta con la sinistra la leva dell'alzivalvole. Avrebbe voluto sorridere
ma i muscoli già contratti del viso glielo impedivano; lanciò
uno sguardo minaccioso al motore della sua barca, mannaggia a te, se continui
a farmi fare 'ste figure giuro che ti vendo, pensò, poi lanciandosi per
la terza volta all'assalto di quella bestia furiosa che non ne voleva sapere
di mettersi in moto, decise di buttarla piuttosto sulla lusinga: dai, vecchia
carcassa, fammi 'sto piacere, parti ... se parti domani ti cambio l'olio, promesso!,
e lasciò la levetta dell'alzivalvole. Un colpo, poi una pausa ... forse
un pò troppo lunga?, no, l'asse girava ancora, ecco il secondo colpo
poi la raffica e, come se niente fosse, il diesel prese il suo ritmo tranquillo
borbottando: uomo di poca fede ... cosa c'è da fare tutte 'ste storie?!,
andiamo!, ecchè, siamo ancora qui?
Berto si asciugò il sudore della fronte col dorso della mano, poi si
volse sorridente al pescatore che lo sfotteva e, con tono ironico:
«Diciamo che è questione di spalle ... per voi il motorino è
una necessità., per me è un lusso!», e gonfiò il
torace esagerando come un commediante, il pavoneggiarsi vanesio dei tipi da
spiaggia.
In realtà Berto non era vanitoso però era consapevole della sua
struttura tarchiata e potente, un pò natura e un pò lavoro, e
sapeva farla fruttare quando c'era bisogno. Del resto in Marina l'avevano assegnato
nei palombari proprio per questo e quei 36 mesi non gli erano davvero pesati
... c'è da dire che una parte li aveva fatti a La Spezia, vicino casa,
ma non era solo per questo, si era addirittura divertito con il pesante scafandro,
come nei vecchi film da 20.000 leghe sotto i mari, con l'elmo di rame e le scarpe
di piombo; quando poi aveva conosciuto l'attrezzatura leggera da sommozzatore,
beh, quella era diventata una seconda pelle e anche dopo aver finito la ferma
volontaria, la sua passione per il mare più profondo non aveva fatto
altro che aumentare. Una passione che gli permetteva anche di guadagnare qualcosa,
conosceva quel pezzo di costa come le sue tasche e sapeva dove trovare i pesci
e come prenderli: in effetti era l'unico pescatore di Bocca di Magra ad usare
il fucile e questo lo distingueva dagli altri, vecchi in maggior parte, che
si affidavano solo alle reti. Ed era anche un motivo di stima silenziosa e di
battute rumorose da parte dei suoi compagni.
«E lo schioppo è carico?», lanciò uno con accento
di amichevole scherno.
«E' carico e potente -rispose Berto, un lampo di malizia negli occhi castani-
come quello del padrone, e che dice la Marisa del tuo?».
Sghignazzando tutti insieme i pescatori accelerarono le manovre per salpare,
ormai era tempo e ognuno fu preso dall'impazienza di raggiungere al più
presto quel quadratino di mare dove la sera prima aveva calato la rete o il
palamito, sperando di far ben fruttare la giornata. Berto fu il primo ad uscire
dalle acque piatte del porticciolo, gli altri subito dietro ingaggiavano una
corsa festosa, i motori già caldi che spingevano a tutta forza.
La piccola flottiglia multiforme, insieme disomogeneo di vari colori e dimensioni.
fece poca strada a ranghi compatti aprendosi ben presto a ventaglio e gli equipaggi,
salutandosi con gesti e grida, si sparpagliarono da nord a sud. La schiena appoggiata
alla barra del timone, Berto guidava col corpo il suo gozzo guardando sfilare
con aria distratta la costa di cui conosceva a memoria ogni rientranza, ogni
scoglio, ogni minimo scarto di corrente. Non era necessaria una grande scienza
per leggere dietro i suoi occhi in quel momento, bastava vedere il colore dorato
e la piega dolce delle palpebre per sapere che, malgrado le apparenze, non era
solo sulla barca e che non erano le grida dei gabbiani quelle che accarezzavano
le sue orecchie ma la voce di Libera che lo cullava ...
Ma che faccio stamattina, dormo?-, arrabbiato con sé stesso Berto dette
un colpo deciso alla barra del timone per una virata di 1800, aveva superato
senza accorgersene la scogliera sommersa su cui galleggiavano i segnali del
suo palamito. Mannaggia, questa ragazza mi fa perdere la testa! Sentiva ancora
vivo tra la lingua e il palato il suo sapore, il sapore di quel bacio un pò
maldestro, confuso, senza respiro, e il sapore salato della sua pelle; sotto
le mani si disegnava ancora la curva te-nera della nuca e del collo; ancora
vedeva i suoi occhi profondi color del mare che lo fissavano intensamente e
avvertiva le carezze interminabili delle mani piccole sottili di Libera.
Inspirò profondamente gonfiando al massimo la cassa toracica, ecco ci
siamo, pensò accostando al segnale di fine del palamito. Con un colpo
indietro fermò la barca , recuperò la piccola boa assieme al suo
corpo morto, poi dette un colpettino in avanti e iniziò a salpare la
lunga lenza con tutti i suoi ami.
Lo sapeva piazzare bene il palamito e sapeva scegliere le esche, anche se non
era molto lungo, quella volta tirò, su un paio di cassette di pesce pregiato.
«Non c'è davvero da lamentarsi», mormorò a mezza voce
mentre raggiungeva il gavitello di inizio dei palamito recuperandone il corpo
morto, poi, dando giri al motore, si diresse verso la costa, verso quella prateria
di posidonie dove sperava di incontrare un bel dentice, o anche due o tre, perché
no?, si disse pregustando il piacere di quella caccia silenziosa.
Dagli allineamenti a terra si rese conto di essere arrivato, dette, fondo all'ancora,
spense il motore e indossò la muta di neoprene, pinne, maschera e poca
zavorra; quindi afferrò l'arbalete e, una volta in acqua, mentire lo
caricava, ripensò a Bruno, l'amico milanese che glielo aveva regalato
e sorrise tra sé con simpatia.
Bruno era venuto in vacanza a Bocca di Magra l'estate precedente. Appassionato
di pesca subacquea si era subito recato ai porto per chiedere ai pescatori chi
poteva accompagnarlo in qualche battuta. Tutti gli avevano indicato Berto, «E'
il migliore della zona», e Berto aveva accettato perché in quel
periodo aveva bisogno di soldi per rifare le valvole del motore che ormai batteva
la fiacca. A prima vista, l'accento milanese, il viso pallido che contrastava
con le abbronzature africane dei suoi amici, quei baffetti biondi e l'aria da
impiegato, non aveva provato alcuna simpatia, il solito cittadino incapace e
arruffone, pensava, pieno di soldi e che non sa riconoscere una cernia da un
dentice ... se comincia a trattarmi come il suo mozzo portaborse lo mando a
quel paese e non se ne parla più!
Ma aveva dovuto ricredersi. Bruno era un tipo modesto, niente affatto presuntuoso,
ascoltava attentamente i consigli di Berto e cercava di metterli in pratica
nonostante non fosse in realtà un novellino, non mancava di esperienza
e anche lui aveva delle cose da insegnargli. Quando l'aveva visto arrivare al
porticciolo con un fascio di fucili nella grossa borsa, Berto gli aveva lanciato
un'occhiata scettica, lo sapevo, guarda qua quello che si porta dietro, ma dove
crede di essere, alle Azzorre? ma ... fammi vedere ... cos'è quel pezzo
di legno con due elastici in cima?! E, una volta a largo aveva messo da parte
i pregiudizi e aveva chiesto con accento di sincera curiosità.:
«Questo cos'è?».
«Un arbalete, l'ho comprato in Australia, là lo usano molto per
pescare sul reef, la barriera corallina, è adatto per la pesca in acqua
libera. Questo qui è lungo un metro e venti ed è un tipo mini,
laggiù usano armi lunghe anche due metri ... bé, certo, sono proporzionate
a quelle acque e a quel tipo di prede ... »
Anche nei giorni successivi erano andati diverse volte a pescare insieme; abile,
prudente, per nulla spaccone, Bruno aveva conquistato la simpatia di Berto e
alla fine erano diventati amici, quando rientravano al porticciolo se ne andavano
a mangiare in trattoria alle Cinque Terre o a corteggiare le ragazze a Portovenere.
Prima di rientrare a Milano, Bruno gli aveva lasciato l'arbalete come ricordo.
Il sibilo del suo respiro profondo nello snorkel si fece più lieve e
Berto scivolò sicuro verso il fondo, i polmoni pieni. Una quindicina
di metri più in basso lo aspettavano le posidonie dove si distese rimanendo
immobile, semisepolto fra i ciuffi verdi.
Non aveva che da attendere; sapeva che poteva essere una lunga attesa, i dentici
sono molto sospettosi e per questo andare da soli era pericoloso. «Non
si deve MAI fare», la voce dell'istruttore echeggiava perentoria nelle
sue orecchie e senza volerlo Berto scosse leggermente le spalle e come devo
fare se non c'è nessuno che scende con me ... lo so che se succede qualcosa
mi vanno a ripescare a Viareggio, infatti l'importante è saperlo e raddoppiare
la prudenza, «Mantenere sempre sangue freddo e lucidità!»
... mentalmente annui alle esortazioni del "capo", mille volte ripetute.
E pensare che una volta ne aveva avuta di fortuna, era stato quando, contrariamente
al solito, era uscito in mare col suo amico Antonio che, per curiosità,
lo voleva cronometrare nelle apnee. Ammazzaò, è proprio forte,
aveva pensato Antonio mentre il cronometro segnava 5 minuti, e i suoi occhi
passavano veloci e inquieti dall'orologio alla superficie luccicante del mare
appena increspato, finché non si bloccarono su un'ombra scura e non vide
Berto riemergere lentamente, senza emettere l'allegro sbuffo dallo snorkel.
Senza pensarci su Antonio si era tuffato, appena in tempo, prima che l'amico
cominciasse a scivolare di nuovo verso il fondo, e l'aveva issato incosciente
sulla barca. Si era ripreso quasi subito e il colore cadaverico del viso di
Antonio che, chino su di lui, si stava chiedendo se era vivo o morto, gli aveva
dato un'idea sufficientemente chiara del rischio corso. Basta!, giuro che è
l'ultima volta che tiro tanto l'apnea, ma sotto sotto si diceva anche che a
volte è quando. ci si sente troppo sicuri o coperti, a torto o a ragione,
che si fanno delle sciocchezze.
Era quello che si stava ripetendo anche in quel momento, mentre registrava i
primi segnali dei suo corpo che dicevano come la riserva di ossigeno si stesse
esaurendo, quando un guizzo d'argento fece brillare i suoi occhi dietro il vetro
della maschera. Eccoli!, pensò, dai, venite avanti guarda quello quant'è
grosso, ma già il suo stomaco cominciava a scalciare, vieni, vieni a
tiro bello mio ... si rendeva conto che ormai era agli sgoccioli, le dita che
impugnavano l'arbalete gli facevano male: ora!, premette il grilletto e senza
uno sguardo per la preda mollò tutto e risalì deciso verso la
superficie.
Uno sbuffo e finalmente aria, aria fresca, profumata di mare che calmava lentamente
il cuore impazzito. Guardò giù e vide una nuvola di sabbia, si,
l'ho preso, una leggera euforia strisciava e si arrotolava tra i suoi muscoli.
Ancora un respiro profondo e scese a recuperare il fucile. Attaccato alla pesante
asta d'acciaio c'era un dentice. che ancora si dibatteva, è una bella
bestia, altroché!, afferrò l'asta e portò tutto in superficie
Dopo due ore quattro bei dentici attendevano Berto nel gozzo sul quale salì
esausto. Il sole iniziava a scaldare, si cambiò velocemente quindi si
avviò soddisfatto verso casa. Li dovrei vendere bene ... due me li compra
Stefano per la trattoria di sua madre, glieli ho promessi, gli altri due invece
li vado a vendere al ristorante Aurora ... una buona giornata, và ...
e stasera la rivedrò, la mia Libera! Senti la carezza del suo sguardo
calda come il sole di mezzogiorno. Mi ha promesso una sorpresa per cena, che
stasera mi porterà, a conoscere chi devo conoscere ... mah, chissà
cosa ha voluto dire, comunque l'importante è averla vicina!, e senza
volerlo accelerò schiaffeggiando sonoramente le timide ondine bianche
che sorgevano curiose a prua.
Il sole aveva iniziato pigramente la sua discesa serale, quando Delmo scese
allegro dalla corriera in piazza Farini, la stanchezza del lavoro vinta dal
pensiero di una serata tra amici. Ora vado a casa, pensava, mi cambio e poi
li ritrovo tutti al bar, speriamo che stasera si tiri fuori qualche buona idea
perché non ho voglia di stare fino a mezzanotte seduto a un tavolino
... ma che c'è laggiù?
Mentre montava su per via Roma la sua attenzione fu attratta da un gruppetto
di gente nei giardinetti e dal suono di una chitarra. Avvicinandosi, molte delle
figure indistinte diventavano sagome di compagni che conosceva bene. E che sarà
questo raduno?, si chiese sempre più incuriosito.
Saltellante nel suo vecchio eskimo gli venne incontro Mauro: «Dai Delmo,
vieni a sentire che c'è Pino che è venuto da Pisa. Veramente stava
andando a Genova, ma qui conosce dei compagni, Ruggero e il Moro, e allora ...
dopo un pranzo dalla Iole, annaffiato come si deve, lo abbiamo convinto a suonare
un pò per noi. Comunque ha cominciato da poco, sta cantando 'la ballata
della Fiat'».
Delmo rimase in piedi ai margini del gruppo, mentre Mauro andava a sedersi in
terra più avanti. Al centro, la chitarra tra le braccia, un giovane robusto
con una folta barba stava finendo di cantare con la sua voce potente:
«E noi ai burocrati ed ai padroni
cosa vogliamo, vogliamo tutto!
Lotta Continua a Mirafiori
e il comunismo trionferà!»
Un lungo applauso seguì le ultime parole poi, dai lati: «Pino,
facci 'liberare tutti'!», «Facci la canzone dell'IRA», «No,
Pino, la canzone di Serantini!».
«Compagni, compagni!, un pò di calma che le suoniamo tutte. Adesso,
visto che me l'avete chiesta, voglio fare la canzone per Franco». Si fece
silenzio e lui iniziò:
«Era il sette di maggio
giorno delle elezioni
e i primi risultati
escon dalle prigioni
C'era un compagno
crepato là
era vent'anni
la sua età ... »
Delmo ascoltava un pò commosso, quella canzone gli dava sempre. una emozione
un pò triste un pò fiera. Si guardò intorno per vedere
se anche gli altri sentivano vibrare tra le note tra lo stomaco e la gola ...
e notò, un pò discosto un giovane ben vestito, che seguiva serio
la musica tenendosi in disparte. Ma quello è Carlo!, si disse; come un
flash nella sua mente si accesa l'immagine di quella sera a Pisa, il fumo e
l'odore acre dei lacrimogeni tutt'intorno, i sassi che volavano, visi arrossati,
arrabbiati, occhi che brillavamo, bocche che urlavano ....
«Cascasse il mondo
sulla città
quell'assassino
non parlerà ...»
Si avvicinò sorridendo a Carlo e, quando i loro sguardi si incrociarono
si slanciò come per abbracciarlo, ma raggelato dall'atteggiamento freddo
e distaccato dell'altro finì per stringergli la mano, mettendoci però
tutto il calore che sentiva dentro:
«Carlo! ... quanto tempo, ho saputo che eri uscito, sono vomito a cercarti
e non ti ho trovato, ma adesso che ti ho qui non ti mollo!».
Alla stretta forte e intensa di Delmo, Carlo contraccambiò debolmente,
quasi di malavoglia e gli occhi giravano veloci con imbarazzo: «Eemh sai
-rispose- ho avuto da fare ... sai ... impegni», e cercava di tirare via
la mano.
Delmo non si accorse di nulla, né della sua reticenza, né dei
suo disagio, aveva ancora negli occhi Carlo she si scontrava con la polizia
col bastone in mano:
«Oh, certo che quando sei mesi fa ti hanno beccato con le molotov in quella
macchina, l'avevamo vista tutti brutta, abbiano detto: adesso lo fregano, e
invece dopo tre mesi eri fuori».
«Certo -esclamò Carlo con aria scostante- si è dimostrato
che era una montatura, trasportavo un pò di benzina perché mio
padre era rimasto a secco con la macchina, e poi c'era del diserbante per il
prato di casa...»
«Si, l'acido per il cesso e lo zucchero per il fratellino ... non sei
più mica in questura! -continuò Delmo eon un sorriso ammiccante-
va bè, ma ora quand'è che ti fai vedere, che ce n'è da
fare!».
«No, guarda -la voce di Carlo era secca- da fare io ne ho solo per il
negozio. Se uno ha fatto delle cavolate in passato non è mica detto che
ci si deve fissare, ora scusa ma ho un impegno», e girandosi sui tacchi
se ne andò.
«Ma Car...», la voce gli mori in gola, ma come, continuò
tra sé, appena un anno fa eravamo in piazza insieme a far pesare la nostra
voglia di ricordare Serantini ed ora ... ma com'è possibile cambiare
in così poco tempo, com'è possibile ...
«Cascasse il sondo
sulla città
quell'assassino
non parlerà .»
La canzone tornò ad attraversarlo come un'onda tiepida riaprendo la porta
del ricordo. Già, anche quel giorno suonavano questa canzone, un anno
fa ... beh, quasi, mancano un paio di settimane all'anniversario dell'assassino
di Franco. E pensare che è stato Carlo ad insistere per farai andare
a Pisa, io facevo un sacco di storie, non ne la sentivo, ero anche un pò
intimidito dalla situazione, era una delle prime volte che andavo ad una manifestazione
e poi si era parlato di una manifestazione dura ...
Mentre viaggiavano sul treno, Carlo gli, l'aveva raccontata più di una
volta quella "giornata storica", some chiamava il 7 maggio 1972, era
orgoglioso di essere andato a Pisa quel giorno e di come avevano impedito il
comizio di Niccolai. «Ce l'eravamo giurato -ripeteva con enfasi- cassasse
il mondo sopra un fico, quel fascista non deve parlare!, ci si è organizzati
bene, e Franco era sempre fra i primi in queste cose, anarchico nelle idee e
ben organizzato nei fatti!».
Quando giunsero a Pisa, la gente continuava ad affluire da tutte le parti in
piazza della stazione e cominciava a dispiegare gli striscioni. Molti quelli
di Lotta Continua firmati dalle sedi del centro-nord d'Italia, molte le bandiere
rossonere degli anarchici. Delmo e Carlo passeggiavano tra i vari gruppi, vedevamo
compagni che si abbracciavano e scherzavano tra loro, amici lontani che si ritrovavano,
tanti accenti diversi rimbalzavano tra risate e esclamazioni...
«0é, Carlo! -gli fece un ragazzone biondo alto e grosso- Vedo che
ti sei portato l'aiuto, mi fa piacere che è robusto perché qui
se non ci fanno passare si fa a picchi!».
Carlo lo guardò sorridente, gli era sempre piaciuta la parlata pisana:
«Se c'è da fare servizio d'ordine non mi tiro davvero indietro
-rispose con decisione, e poi se ci fosse uno 'stalin' anche per me -aggiunse-
sarebbe pure meglio».
«Prima di partire passate al nostro striscione, ce n'è per tutti
e due!», esclamò il compagno biondo allontanandosi.
Delmo che aveva seguito un pò stralunato lo scambio di battute, tirò
da parte Carlo e gli chiese: «Carlo, ma cos'è sta storia dal servizio
d'ordine?, io non l'ho mai ... non so mica ... e poi cos'è uno 'stalin'?».
«Ma dai -fece Carlo- non ti agitare, già che siano qui é
meglio dare una mano in maniera organizzata, no?!, e poi che problemi hai: sei
già grande e grosso dal tuo! Ah, invece lo 'stalin' non é altro
che un manico di piccone e quello dovresti già conoscerlo, o sbaglio?».
«Si, si, lo conosco ...» rispose con un sorriso incerto e nella
sua mente cozzavano mille timori, il servizio d'ordine ... vuoi dire che ci
sarà battaglia ... io mi credevo che si sfilava cantando e urlando e
poi a casa ... bé, meglio, se c'è da menar le mani ... e poi siamo
in tanti .... si, ma se gli sbirri sparano?, chissà. se .... no ... ma
insomma, non posso mica fare la figura di quello che se la fa sotto ... si,
però io mica ho capito quello che devo fare .... e poi se per colpa mia
...
«Oh Delmo, che fai, dormi?!», forse arrossì leggermente tanto
lo sguardo di Carlo pareva leggergli in fronte i pensieri. «Guarda che
se non te la senti è uguale, basta dirlo, non è un obbligo».
Delmo slanciò in avanti le spalle con un impeto di orgoglio: «Ma
che dici!, non hai capito niente!, é solo che non so se ne sono capace,
pensavo che ci voleva allenamento .... che ne so io!» e lo guardò
dritto negli occhi con un lampo di sfida, come a dire: e non ti azzardare a
credere che pensavo a qualcos'altro!
«Si, l'allenamento nei campi del Libano! -il tono scherzoso rilasciò
un attimo la tensione poi Carlo si fece serio e- Bene, sei capace, anche tu
cone tutti; e allora?!»
«E allora perché stiamo qui a perdere tempo: andiamo!», un
movimento dei capo, un sorriso franco e Delmo si avviò seguito dall'amico;
le gambe leggere e la testa sgombre, guardava le bandiere rosse, i visi del
compagnie si diceva, non sono mica venuto ad una scampagnata!', hanno ammazzato
uno di noi l'anno scorso, uno come me, uno dell'anarchia!, perché era
contro i padroni, contro i fascisti, né dio, né Stato, né
servi, né padroni lo Stato fascista l'ha ammazzato e io sto a fare tante
storie ...
Beh, non aveva ancora le idee molto chiare, Delmo, ma l'ingiustizia la sentiva
a fior di pelle e si schierava d'istinto quasi, a fiuto, come un segugio sapeva
dove stavano gli interessi della sua classe.
Carlo si fermò a parlare con alcuni compagni e Delmo rinfrancato, più
sicuro di sé, già fiero all'idea di far parte del servizio d'ordine,
non si sentiva più estraneo, cane capitato per caso a una festa dove
non si conosce nessuno, ma parte di quel corpo che ingrossava a vista d'occhio,
ondeggiava e si gonfiava del rosso delle sue bandiere.
Ad un tratto la sua attenzione si concentrò su una bella ragazza bionda
che passava poco distante, guarda la., pensò, che pezzo .... ma io non
la conosco?, eppure mi sembra di averla vista a Carrara, ma no, non deve essere
di Carrara ... eppure l'ho vista li, ma con chi l'ho vista? ... Ah, forse una
volta con Marcello, ma si, ma si!. Anche la ragazza dopo, qualche passo si voltò
fissandolo un attimo con aria interrogativa, poi scuotendo pensierosa i ricci
biondi riprese a camminare. Delmo accennò un movimento come per fermarla,
ma Carlo:
«Uè, Delmo, non stiano mica a rimorchio!, alle ragazze ci pensi
dopo, dai andiamo a prendere posto che fra poco si parte», e si avviarono
a passo svelto verso il grande striscione già dispiegato, "Compagno
Serantini vive nella nostra lotta".
Afferrato lo 'stalin' con su una minuscola bandiera rossa, Delmo si schierò
sulla stessa linea di Carlo mentre un ragazzo bruno col viso il largo e un collo
da pugile passava tra le fila lanciando le ultime raccomandazioni: «Allora,
compagni, noi teniamo il secondo gruppo, occhio che c'è maretta, abbiano
visto arrivare parecchi camion di carabinieri da fuori, quindi state pronti
che se si sfascia il primo gruppo noi dobbiamo tenere osennò si perde
tutto il corteo».
Alla sinistra di Delmo un ragazzo mingherlino, i lunghi capelli che gli spiovevano
sul viso e due occhi neri da furetto, teneva stretto un grosso tascapane militare
rigonfio.
«E quello?», gli fece Delmo con aria scherzosa. «La merenda»,
rispose il compagno sorridendo. «Allora ce n'è anche per me?»,
insistette lui. «Vedremo, se ti comporti come si deve», fu la laconica
risposta seguita da una strizzatina d'occhio rassicurante.
«Compagno Serantini sarai vendicato dalla giustizia dal proletariato!».
Ondeggiando il corteo si avviò lungo il corso, l'aria era tesa e festosa
insieme, i compagni urlavano in coro la loro voglia di lottare e insieme la
loro rabbia.
«Lotta dura senza paura!». Anche lo spezzone dov'era Demmo si mise
in movimento. Nella sua fila i volti erano tirati, tutti si aspettavano che
accadesse qualcosa da un momento all'altro, solo il compagno mingherlino sorrideva
rilassato, la mano aggrappata alla tracolla del tascapane. Delmo sentiva un
nodo in gola, come di commozione, era il nervoso forse?, e come raramente gli
era successo non avrebbe voluto essere in nessun'altro posto che lì in
quel momento, per nessun motivo al mondo.
Dopo poche centinaia di metri la tensione cominciava già a sciogliersi,
la manifestazione sembrava snodarsi tranquilla, le voci ormai calde si facevano
sempre più potenti e accordate. «Il potere dev'essere operaio!
Il potere dev'essere operaio!» e poi ancora più forte tutti insieme
«Po-te-re 0-pe-ra-io!», la gente sorrideva ai lati della strada,
Delmo si sentiva forte, un'energia sconosciuta lo attraversava come raffiche
di vento successive.
Ecco i lungarni, i palazzi severi, i marmi, le vecchie pietre e sopra tutto
un cielo nero, stellato di una notte serena. Ma .... perché il corteo
si ferma?, avanti!, andate avanti, facciano sentire a tutti la nostra volontà.
di lotta! Cominciarono a battere in terra gli 'stalin' al ritmo di "Ce
n'est qu'un debut continuons le combat!" .... niente, non si nuove ...
ma che succede lì davanti? Il corteo ondeggiò come un ubriaco,
poi sbandò improvvisamente. Si sentirono due, tre colpi forti, quindi
il fumo bianco: lacrimogeni.
«Tieniti pronto -esclamò Carlo stringendogli il braccio- ci siamo!».
Delmo senti contrarsi la bocca dello stomaco ma non ebbe neanche il tempo di
pensarci su, cercava di capire cosa stava succedendo e soprattutto quello che
doveva fare; si voltò e vide il ragazzo mingherlino aprire il tascapane
e distribuire intorno a sé due o tre bottiglie incartate, tenendone poi
una stretta in pugno.
Il compagno bruno che guidava le file si rivolse a loro gridando: «Tenete
la linea e avanziamo!». Davanti il fuggi fuggi generale moltiplicava la
confusione, le prime zaffate di un fumo acre materializzavano l'odore di un
nemico ancora invisibile. «Tenete la linea! Ancora un pò e poi
molliamo, passate parola al resto del corteo che ci si ricongiunge davanti alla
Sapienza!», urlavano ancora là davanti.
Carlo lo chiamò: «Delmo, guarda quel mucchio di sassi, appena si
parte portiamoci lì e poi giriamo sulla sinistra ... ». Anche alle
loro spalle i compagni si stavano disperdendo, mentre gli urli delle sirene
si facevano sempre più laceranti e vicini, e gli spari dei candelotti
si susseguivano a raffica.
«Attenti che sparano ad altezza d'uomo ... eccoli!!».. Prima ancora
di vedere il nugolo di carabinieri, Delmo vide un lacrimogeno che cadeva lì
vicino e che continuava la sua corsa sul selciato facendo scintille.. «Maledetti
! -imprecò uno al suo fianco- sono quelli di plastica, non si possono
ritirare»; «Dai, addosso, tiriamo!» urlò un altro e
contro il plotoncino di carabinieri parti una salva di oggetti di ogni genere,
sassi e alcune bottiglie che si ruppero alzando un muro di fuoco.
«Muoviti! -Carlo lo strattonò violentemente verso il mucchio di
sassi- Oè!, ma che ti sei imbambolato?!, non stai al cinema, questi fanno
sul serio!».
In realtà. Demo si sentiva lucidissimo; piuttosto aveva bisogno ancora
di essere diretto e quel gesto, quelle parole bastarono per dargli il via. Cominciò
con foga e precisione a lanciare sassi mettendo tutta la sua concentrazione
e le sue energie per raggiungere il bersaglio delle divise nere.
Davanti al contrattacco dei manifestanti la carica si arrestò di netto
e i carabinieri cominciarono a riorganizzarsi, senza dimenticare per questo
di sparare lacrimogeni. L'aria era diventata ormai irrespirabile.
«Dai, conviene spostarci ora, tanto la seconda carica non la reggiano,
raccogli qualche sasso e andiamo!».
Con lo 'stalin' sotto il braccio e un paio di grosse pietre in tasca Delmo si
avviò con Carlo nei vicoli dietro al lungarno. Incontrarono molti compagni
sbandati che si ripetevano il luogo del nuovo appuntamento; ad un tratto li
affiancò il compagno mingherlino: «Venite con me che qua dietro
c'è un raggruppamento di Celere con i camion -poi, rivolto a Delmo- Oh,
ma tu non volevi la merenda?»..
Gli brillavano gli occhi mentre rispondeva: «Eccome no! mi è venuta
'na fame!».. Ogni esitazione si era dissolta in quel fumo bianco e sorrise
al ragazzo che gli faceva scivolare in mano una bottiglia di birra incartata.
Assieme ad altri quattro compagni Carlo e Delmo si avvicinarono cautamente ad
un angolo, quello del tascapane si affacciò un attimo, poi si volse dicendo
a mezza voce: «Sono qui, adesso!». Tutti sbucarono dal cantone come
un corpo solo e si trovarono di fronte tre grossi camion grigio-verdi della
Celere e un gruppo di celerini intenti ad armarsi di Fal, caschi e scudi.
Una salva di sassi e bottiglie partì improvvisa e compatta, Delmo lanciò
con forza e sicurezza centrando in pieno la ruota anteriore di un camion, un
secondo topo il fuoco rabbioso avvolgeva cantando il motore e la cabina di guida.
Presi alla sprovvista i celerini ebbero un attimo di sbandamento, guardavano
il camion bruciare, cercavano di ripararsi dai sassi, non sapevano più
che fare. Uno tirò fuori la pistola guardandosi attorno con rabbia impotente,
poi sparò in aria due o tre colpi tanto per darsi un contegno.
I compagni avevano già scantonato e stavano correndo tra i vecchi palazzi
davanti agli occhi chiusi delle saracinesche abbassate. Dopo un centinaio di
metri di corsa, Delmo si voltò e vide quattro poliziotti lanciati al
loro inseguimento, ancora un paio di decine di metri ma quelli non mollavano
... sentiva il respiro pesante dei compagni, il battere veloce dei piedi sul
selciato, e il cervello che macinava a cento all'ora: «Fermiamoci!»,
fece a Carlo e con loro anche un altro si fermò e aveva in mano una spranga
di ferro di tutto rispetto. I poliziotti, sorpresi da quel gesto, si resero
subito conto di essersi troppo allontanati dai loro commilitoni e si fermarono
anch'essi ad una decina di metri da loro. Nel silenzio pesante di quegli attimi
i respiri affannosi della corsa sembravano il mantice che gonfia il fuoco, che
fa volare le scintille. I due gruppi si squadrarono pronti a reagire ad ogni
gesto di aggressione che in verità nessuno dei due aveva in mente di
attuare poi lentamente, come per tacito accordo, si allontanarono in opposte
direzioni.
«Se attaccavano gliela facevamo vedere brutta, ma attaccarli noi no, non
ci conveniva», disse Carlo traducendo a voce alta quello che gli altri
avevano pure pensato come un'unica mente. Che strano, si disse Delmo in situazioni
come questa per quanti si è si agisce e si pensa come se si fosse uno
.... ma non ebbe il tempo di soffermarsi e affinare, magari depurandola dal
velo di opportunismo, quella riflessione confusamente abbozzata, «Adesso
i meglio posare gli 'stalin' -stava dicendo Carlo- altrimenti si dà troppo
nell'occhio e all'appuntamento non ci si arriva».
Così fecero e si avviarono al luogo convenuto cercando di evitare le
strade principali. Svoltato un angolo trovarono poco più in là
due volanti, un attimo di esitazione poi continuarono a camminare tranquilli
con aria indifferente sperando di passare inosservati, quando Delmo vide spuntare
dal vicolo alle spalle delle volanti una ragazza bionda. I poliziotti., che
stavano guardando nella loro direzione, non la notarono, ma a Delmo non sfuggì
neanche un particolare dal suo viso e dei suoi gesti. Ma è lei! ... quella
di prima .... ma che fa?, cos'ha in mano? Come un fulmine Libera saltò
accanto ad una volante spaccando sul cofano la molotov che scoppiò con
un'alta fiammata. Un secondo dopo era già sparita tra le ombre del vicolo.
Accidenti, che fegato!, pensava Delmo mentre, spinto da Carlo, iniziava a correre
inseguito dalle grida dei poliziotti: «Fermi! Fermi!»..
La piazza davanti alla Sapienza si stava riempiendo alla spicciolata, visi bianchi
e tesi, volti sorridenti, occhi gonfi, richiami, esclamazioni.. «Ma ci
sono feriti?», «Hai visto che carica?», «È vero
che hanno preso Paolo?, hanno preso anche altri?», «Chi?, chi è
che si sono bevuta», «Però, quando li abbiamo fermati sul
lungarno è stato bello, eh?`!», «Ave-te mica visto la Lori?»,
«NO, 'un è nulla ... una manganellata di striscio», «Oh,
Ringo, t'ho visto, sai, e come correvi!» ...
I capannelli aumentavano, ingrossavano, finché uno prese il megafono
e, in piedi sul cofano di una Simca, sentenziò: «Compagni!, la
manifestazione é riuscita e l'abbiamo anche imposta fino in fondo, però
adesso non credo che sia il caso di tirarla troppo per le lunghe.. Nei prossimi
giorni potremo fare un bilancio più preciso, per il momento dichiariamo
chiusa la manifestazione»...
«La violenza, la violenza
la violenza, la rivolta
chi ha esitato questa volta
lotterà con noi domani ...»
Quello che ormai era diventato un coro giungeva attutito alle orecchie di Delmo
che continuava a rodersi, ma come si fa a cambiare così ... o dentro
di sé ha un vulcano, oppure ... mah, non so proprio cosa pensare... si
unì macchinalmente agli applausi e stava quasi per andarsene, mortificato
da quell'incontro, quando tutto il gruppo iniziò ad intonare l'Internazionale:
scrollò via dubbi e malinconie e con slancio si unì al coro alzando
con gli altri il pugno chiuso verso il cielo infiammato dal tramonto.
In quello stesso istante Libera si affacciava alla finestra richiamata tal colpetto
di clacson e dalla sgassata della Suzuki 500 a due tempi di Berto, rumori noti
e inconfondibili alle sue orecchie: «Arrivo!». Due minuti dopo era
già in sella e, mentre infilava il casco, Berto le chiese: «Allora
dove andiamo, dov'é questa sorpresa?».
«A Carrara, vai!, veloce come un lampo, però al ritorno guido io!».
Berto sorrise sotto i baffi, già il motorino gliel'aveva sacrificato
quando, doveva avere sedici anni, lei gli aveva chiesto: «Me lo impresti
un attimo? vado fino a casa e torno subito ... ». La vedeva più
poco in quel periodo e se i suoi occhi azzurri avevano pesato molto nel strappargli
un «Si" un pò incerto, era soprattutto credendo che lei lo
sapesse portare che non le aveva risposto: "Ma che sei matta?!, é
pure nuovo". Quando poi se l'era rivista davanti col motorino ammaccato
non era però riuscito ad arrabbiarsi veramente. «Scusa, sai -gli
aveva detto Libera con un sorriso imbarazzato- pensavo fosse più facile,
a vederli girare così perle strade ... ora però so come si fa».
Comunque, se questa volta al suo "al ritorno guido io" non aveva risposto
di no, era solo perchè l'aveva vista con i suoi occhi guidare tranquilla
la Guzzi 750 Sport di suo cugino.
Giunti a Carrara, Libera lo indirizzò a gesti verso il Frigido. Passando
accanto ai giardinetti Berto rallentò incuriosito da un gruppetto di
giovani che cantavano a gola spiegata. Con la coda dell'occhio vide Libera levarsi
il casco e salutare due ragazzi che si erano voltati al rumore della moto. Si
girò, Libera sorrideva continuando ad agitare la mano, «Chi sono,
li conosci?», «Ma che domande, certo che li conosco! -gli dette
ridendo una botta sulla schiena- E dai, fammi una scenata di gelosia, con urla,
schiaffi e tutto quanto, ehi?!, qui in mezzo alla strada, che ne dici?'! Capace
che ci mettono anche sul Tirreno in cronaca di Carrara ...». Berto scosse
la testa ridendo pure lui: «Ma guarda che tipo che sei ma chi ti ha detto
niente», poi tacque ad ascoltare le mani tiepide che gli accarezzavano
dolcemente il collo.
«Ecco!, fermati qui», fece ad un tratto Libera; Berto alzò
gli occhi e vide una casa vecchia, severa, addossata ad altre simili di un colore
indefinibile, cadenti e un pò sbrecciate, sfregiate da enormi chiavi
arrugginite come fermagli di una gigantesca puntatrice, con un largo terrazzo
dalla ringhiera in ferro battuto e marmo dappertutto, sugli scalini sui davanzali,
attorno alle finestre ed alla porta.
«Questa è la sorpresa! -esclamo Libera e gli occhi le brillavano-
qui abita Marcello, un grande amico di mio padre e, da quando è morto,
è un pò come se avesse preso il suo posto, per questo ci tengo
molto a fartelo conoscere».
Bussarono col pesante anello di ferro e la porta si aprì su una figura
alta, magra ma energica, lunghe braccia e spalle larghe un pò incurvate
in avanti, come in un perenne slancio e il viso scavato dagli zigomi sporgenti.
Nella penombra dell'ingresso Berto ebbe l'impressione di un uomo senza età,
come un vecchio castagno graffiato nella spessa corteccia da anni di sole e
di pioggia, slanciato in gioventù alla ricerca della luce ma irrobustito
in seguito e un pò deformato nella necessità di sopravvivere a
fulmini, tempeste, siccità.
Un gesto amichevole del capo, un sorriso che Berto avrebbe poi imparato a conoscere
come riverbero del suo animo, fatto più che altro con gli occhi, una
leggera piega della bocca, quindi Marcello li invitò ad entrare.
«Marcello, questo è Berto», disse Libera. Una stretta di
forte di mano e i due uomini si guardarono dritti con simpatia. Lo sguardo vivo
e penetrante di Marcello lo colpì più di ogni altra cosa, e subito
quell'uomo gli parve molto più giovane dietro le mille rughe che solcavano
il suo volto scarno, nella forza e nella determinazione lucida che quegli occhi,
neri come ali di corvo, irradiavano.
Fu Libera a dirigersi con sicurezza verso la sala da pranzo seguita dai due
e Berto si rese conto che Marcello zoppicava leggermente: anche quella sua camminata
un pò ondeggiante al tempo stesso ferma ed elastica gli sarebbe ritornata
alla mente anni dopo, ogni volta sempre con emozione.
La stanza non era davvero una sala buona, di quelle dove si va solo nelle grandi
occasioni, matrimoni, funerali, col divano di velluto e i pizzi poggiatesta,
le trine alla televisione e il vaso di ceramica con lucenti, eterni fiori di
plastica, le fotografie incorniciate in fila sul vetro del buffet e i ninnoli
di coccio assieme al servizio buono di tazzine e bicchieri dietro la vetrina
della credenza; era invece una stanza vissuta e usurata, giornali e riviste
ingombravano il tavolino assieme ad un lavoro a maglia lasciato a metà,
scaffali pieni di libri letti e riletti e le tante tracce di una vita quotidiana
regolata nel segno della praticità e dell'utile, un ordine disordinato
e pulito senza ombra di polvere ma con l'impronta degli anni che consumano.
Berto, a suo agio come fosse a casa sua, si sedette sul divano di tela a fiori
ma si rialzò subito vedendo entrare Maria, la moglie di Marcello, il
viso rotondo aperto in un largo sorriso, le guance rosse del colore dei fornelli.
Asciugandosi le mani sul grembiule macchiato di unto e di pomodoro, teso sul
grosso ventre, avanzò nella stanza salutando con calore i due ragazzi.
«Dai Libera, vieni a darmi una mano, altrimenti qui non si mangia»,
aggiunse e se la portò in cucina.
Marcello si sistemò proprio di fronte a Berto sulla sua comoda poltrona
di pelle recuperata tempo addietro da un amico rigattiere Osservava quel giovane
dall'aria seria cercando di penetrare sotto la scorza per coglierne la parte
pii vera, se piace a Libera, pensava, un buon motivo ci deve essere ... in effetti
sembra proprio un ragazzo quadrato, con testa sulle spalle.
«Allora tu sei di Bocca di Magra -disse per rompere l'imbarazzo- Libera
mi ha parlato tante volte di te che mi sembra di conoscerti».
«Ah si?! -non riusciva a nascondere il piacere che gli davano quelle parole-
io invece non sapevo niente di voi prima di stasera, non sapevo neanche che
saremmo venuti qui», e me ne dispiace, soggiunse tra sé, perché
deve essere proprio una brava persona, si quello che si dice un uomo tutto di
un pezzo, come ce ne sono pochi ... tutto di un pezzo e si è detto tutto
... forse è un operaio, chissà che lavoro fa... Interruppe il
corso veloce del pensiero vedendo che Marcello si stava guardando intorno con
aria un pò comica, le sopracciglia alzate e di nuovo quel mezzo sorriso.
«Hai detto voi?, cercavo gli altri ma non vedo nessuno ... -e davanti
all'espressione confusa di Berto scopri divertito i denti anneriti, Berto notò
che diversi mancavano- no, guarda, dammi dei tu, eh?, che se ci mettiamo a fare
i complimenti tra noi ....».
Il giovane annuì sorridendo e Marcello continuò: «Fai il
pescatore,, vero?».
«Si, ho voluto riprendere il mestiere di mio nonno ... sai, mio padre
fa il cantierista con una grossa ditta e così finisce che è sempre
in giro per il mondo, lontano da casa e questo non mi i mai piaciuto. Così
fin da bambino mi ha tirato su mio nonno, che viveva con noi, e mi ha insegnato
ad amare il mare e a farci uscire di che vivere... Quando poi è morto
ho voluto continuare il suo lavoro, ho restaurato il suo vecchio gozzo, ci ho
montato su un diesel moderno e devo dire che non me la cavo malissimo ... e
tu?».
Mi fa piacere che non sei un damerino, pensava intanto Marcello, anche se forse
non sai ancora cosa vuol dire spaccarsi la schiena per campare e inguaiare rospi
grossi come buoi: «Io sono cavatore, il marmo qui sui nostri monti ...
un lavoro maledetto, oggi un pò meno turo di vent'anni fa, forse, sai
le macchine ma è sempre un lavoraccio ... Solo che lo faccio da così
tanti anni che ormai non saprei più farne a meno e tutte le mattine sono
là, su quei picchi per far belle le ville dei nostri. padroni».
«Forza, a tavola!!», l'entrata di Maria e Libera con la zuppiera
di tordelli interruppe la chiacchierata obbligandoli a fare i conti con quel
piatto fumante e profumato che li chiamava imperioso dal tavolo.
Alla prima forchettata il parmigiano che fondeva lentamente su un sugo quasi
marrone tanto era stato a borbottare sul fuoco, e l'odore del basilico avrebbe
commosso un anoressico cronico, Berto si convinse subito, duro come ferro, che
Maria era una delle migliori cuoche che avesse mai incontrato, meglio di mia
madre pensò, ed era tutto dire. Un religioso silenzio attraversato solo
dal rumore delle mandibole al lavoro e delle forchette contro i piatti, confermava
come questa fosse un'opinione generale. Fu Berto che, dando un'occhiata distratta
all'orologio a muro appeso di fronte a lui, ruppe l'incanto:
«Però, vedo che mangiamo alla stessa ora, forse per gli altri sarebbe
un pò presto».
«Sono orari da operai, che ci vuoi fare -rispose Maria- sono così
abituata ad essere in tavola a quest'ora che ormai posso cucinare senza neppure
guardare l'orologio», e pensava, certo che è proprio un bel ragazzo
Libera ha saputo scegliere bene, un bel viso deciso e anche quei grossi baffi
non è che gli stanno male; poi riprese: «E quest'anno come va iI
lavoro?», e si diceva, speriamo non sia un fannullone come se ne vedono
tanti ... Libera dice di no.
«Ad essere sincero non è che vada proprio bene anzi, se non ci
fosse il salario di mio padre non si tirerebbe avanti. Ho paura che prima o
poi toccherà anche a me di andare a lavorare sotto padrone».
«E così diventerai pure tu uno schiavo salariato -aggiunse Libera
divertita- e allora voglio vedere se insisterai a fare il superficiale!».
Con un sorriso paziente e vagamente imbarazzato Berto si rivolse a Maria e Marcello:
«Non ci fate caso, Libera mi prende un pò in giro perché
mi occupo poco di politica ... il fatto è che finora non ho avuto mai
un vero motivo per interessarmene a fondo».
«Brava -lo incalzò Libera- e così finirai con l'anello al
naso senza sapere neppure da che parte stare».
«"Dai, adesso non esagerare, Libera -intervenne Marcello- mi sembra
che Berto non sia uno che si fa mangiare in testa e pa non ce lo vedo proprio
con l'anello al naso! E poi l'impegno politico è una cosa personale che
bisogna sentire, anche perché è un impegno serio che comporta
delle responsabilità. Non bisogna forzare nessuno a prendersi impegni
...».
Berto si senti risollevato dalle parole di Marcello, ne deve sapere di cose
quest'uomo, un uomo di valore davvero... Libera è veramente fortunata
ad averlo come tutore: «Mi fa piacere che mi capisci -disse- del resto
da che parte stare lo so bene, la mia è una famiglia di operai e coi
padroni non ci si va d'accordo ... i problemi invece son altri ...».
«I problemi sono -interruppe Maria- che adesso lasciamo stare 'sti discorsi
e finiamo la cena in santa pace. Libera, sei sempre tu la pietra dello scandalo!,
piuttosto Berto prendi un altro pò di baccalà marinato, vedo che
hai già, ripulito il piatto -gli passò il tegame guardandolo con
soddisfazione- eh!, è proprio bello vedere un giovane che mangia con
appetito!».