Biblioteca Multimediale Marxista


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Prima ondata di repressione

Se la situazione prima del 15 marzo '72 è calda, l'esplosione di Segrate, giunta provvidenziale per la reazione, la rende addirittura incandescente.
Il traliccio diventa presto il cavallo di battaglia della borghesia, che non si limita a farne il tema di una manovra elettorale. L'obiettivo, di ben piú ampio respiro, è da un lato di indebolire la sinistra, creando profonde divisioni al suo interno, dall'altro di coinvolgere ampi settori del PCI nell'operazione contro i GAP e le BR, per preparare presso l'opinione pubblica un terreno propizio ad avventure reazionarie.
Mentre è convinzione generale, anche da parte di settori moderati, che si tratti di un omicidio politico, è proprio la sinistra a mostrare smarrimento e a limitare il suo intervento al livello "illuministico" della controinchiesta, lasciando cosí l'iniziativa all'avversario.
P- Potere Operaio che tenta di rompere il ghiaccio, con un numero del suo giornale, passato alla storia della sinistra extraparlamentare, in cui si rivela l'appartenenza di Feltrinelli ai GAP: pur nella "certezza politica" dell'omicidio, si ritiene giusto onorare un compagno caduto.[1]
L'iniziativa di Potere Operaio viene considerata dalla stessa sinistra extraparlamentare troppo tempestiva, maldestra o addirittura provocatoria. Un ex militante di Potere Operaio viene coinvolto nell'inchiesta per il traliccio: per non essere arrestato si rende latitante. Rozze provocazioni sulla base di somiglianze o omonimie vengono tentate per coinvolgere due dirigenti di Potere Operaio. È tirata in ballo una vecchia e vergognosa insinuazione su un presunto passato fascista di un altro militante. Giorgio Bocca giunge a dire che ogni 4 attivisti di PO due sono poliziotti. Si tenta di assimilare PO ai GAP e alle BR, dei quali sarebbe il "braccio secolare." Si fa circolare la voce di un'imminente messa fuori legge di Potere Operaio.
"Giù le mani da Potere Operaio" grida Lotta Continua: "Noi dichiariamo che qualunque tentativo poliziesco e giudiziario di colpire PO colpisce alla stessa maniera noi, e che non siamo disposti a farlo passare.”[2]
Ma la voce alta di Lotta Continua trova scarso seguito: la sinistra extraparlamentare reagisce in ordine spar-. so, quando non si dà ad un indecoroso "si salvi chi può" o addirittura alla delazione.
Sarà cosí che, nel momento in cui la provocazione poliziesca tocca il suo punto piú alto, tanto da coinvolgere militanti della sinistra parlamentare, e scattano le manette sui polsi di un valoroso partigiano, commissario politico comunista nella divisione garibaldina "Pinan Cichero" e medaglia d'argento della Resistenza, "il Manifesto" non troverà di meglio da dire che: "È venuta alla ribalta la oscura figura dell'avvocato Lazagna..."[3]
Avanguardia Operaia per conto suo sceglie proprio questo momento per attaccare PO, accusandolo di fare una "folle analisi della situazione italiana e dei compiti del movimento che lo porta a trattare da compagni" i GAP e le BR.[4] Né ci si limita da parte di AO alle parole, ma si decide insieme ad altre formazioni minori di uscire dal Comitato nazionale di lotta contro la strage di stato, spiegando che:

l'orientamento avventuristico è personificato sia pure con sfumature di discorso diverso, da PO e LC [...] PO e LC si proiettano nell'esaltazione di "azioni esemplari" del tutto separate dalla lotta di classe [...]. I piccoli gruppi che pretendono di sostituirsi alle masse, e in particolare alla classe operaia, nell'adottare forme violente di lotta, non soltanto sono destinati alla sconfitta, ma finiscono inevitabilmente in balia di provocatori e spie [...]. Le dichiarazioni di LC in appoggio alle BR, le successive innumerevoli dichiarazioni di PO su Feltrinelli, "il primo morto nella guerra di liberazione dallo sfruttamento," e sui GAP non risultano comprensibili alle masse proletarie e studentesche.[5]

Da parte del Comitato nazionale di lotta contro la strage di stato si replica con fermezza, lanciando l'accusa di opportunismo: le forze che sono uscite dal Comitato hanno compiuto "una precisa scelta opportunistica proprio nel momento in cui la repressione colpisce piú duramente la sinistra rivoluzionaria. Hanno voluto prendere le distanze dalle organizzazioni piú perseguitate ...[6]
La stessa violenta accusa ampiamente documentata sarà rivolta contro il Comitato milanese di difesa e lotta contro la repressione in un volantino diffuso dai compagni del Comitato nazionale di lotta contro la strage di stato a Torino:

... Il loro opportunismo politico del resto lo conosciamo già dal 12 dicembre, quando si rifiutarono di difendere i compagni di PO, accusati di "fabbricazione, detenzione e porto" di 250 bottiglie incendiarie. Questo avallo complessivo dato alle macchinazioni del potere - che costituisce in sostanza un valido aiuto "oggettivo" alla magistratura milanese - è continuato dopo la manifestazione dell'11 marzo e l'assassinio di Feltrinelli, quando di fronte all'inizio della caccia alle streghe contro la sinistra rivoluzionaria hanno aggiunto la loro voce al coro della stampa borghese, definendo "provocatori" i compagni di PO.
Ricordiamo tutti con quanto piacere Panza - il leccaculo di Agnelli - ha riportato le loro dichiarazioni. Ma il colmo è stata la delazione di un altro membro del comitato milanese, l'avvocato ... che ha fatto mettere in galera il compagno Lazagna, medaglia d'argento della Resistenza, da questi avvocati definito "oscura figura." Gli altri hanno sostenuto a spada tratta le sue dichiarazioni e cosí Lazagna è dentro. La sua unica colpa è in sostanza di essersi attenuto alle istruzioni del manuale pubblicato proprio da questi avvocati: "rifiutatevi semplicemente di rispondere [...] non riconoscete mai nessuno nei confronti, compagni e amici, in rapporti a fatti specifici [...]. Non rendete mai conto dei vostri atti, non dichiarate mai di aver commesso i fatti specifici che vi addebitano..."
[7]

Forte di queste divisioni e delle conseguenti debolezze del movimento, il ben noto dottor Sossi, in un momento di particolare ottimismo, potrà dichiarare alla stampa di essere in grado di fare arrestare 5.000 extraparlamentari in pochi minuti.
Nel frattempo i GAP decidono, in seguito ad un'ampia autocritica, di confluire nelle BR: dopo aver espresso la convinzione che "il fuoco guerrigliero nulla può fare contro il potere armato della borghesia e dell'imperialismo," concludono affermando: "ci sembra che questa rettifica faccia cadere gran parte delle divisioni tattiche che ci dividevano dalle Brigate Rosse."[8]
Nel quadro delle parallele inchieste milanesi su GAP e BR, che poi verranno unificate, lo stato dà la caccia ai "covi" e ne trova, tra gli altri, uno ritenuto particolarmente interessante a via Boiardo. Viene "ufficialmente" sorpreso con un mazzo di chiavi in mano, nell'atto di entrare, Marco Pisetta, un sottoproletario, ai margini dei GAP o delle BR, che già in passato si era venduto alla PS. Portato in questura, e interrogato da Calabresi e Viola, viene da quest'ultimo "persuaso" con argomenti convincenti a collaborare: "Il dottor Viola mi ha chiesto se volevo quindici anni di galera [...] oppure uscire subito [...]. `Diciamo che tu non hai mai partecipato alle bande rosse, eri lí per dare una mano a imbiancare l'ufFicio' [...]. Mentre mi diceva queste cose, il dottor Viola mi sventolava sotto il naso il mandato di scarcerazione."[9]
Pisetta cede e viene lasciato in libertà. Dopo 4 mesi, subisce un ricatto analogo da parte del SID che lo convince a firmare un memoriale.
Piú tardi cosí egli stesso rivelerà al settimanale "ABC": "Sono ritornati i due del SID, e mi hanno presentato un plico di fogli scritti a macchina dicendomi di ricopiare tutto a mano sotto forma di una mia confessione spontanea [...]. In verità non era una confessione e non era neanche spontanea, tanto che parecchie delle cose che ho ricopiato mi erano del tutto sconosciute."[10]
La confessione, cosí estorta, verrà dal SID "allungata" al "Borghese" che la pubblicherà a puntate nel mese di gennaio 1973. Risulta chiarissimo il disegno del SID di coinvolgere nell'operazione contro le BR tutta la sinistra, parlamentare e non.
La montatura appare subito nella sua goffaggine: basti pensare che il Pisetta, semianalfabeta, avrebbe scritto questa confessione con linguaggio tipicamente da questurino. Es.: "Tenendo naturalmente conto dell'animus che mi ha guidato [...] e del contesto sociale." Inoltre, per deliziare il palato sopraffino dei lettori del "Borghese," si era condito il memoriale con accenni a perversioni sessuali: "Ho vissuto per circa 4 anni in un ambiente culturalmente elevato, ma per molti aspetti corrotto, specie nel campo della morale sessuale."[11]
Ciò nonostante questo memoriale è il canovaccio su cui la reazione ha recitato, e sta recitando tuttora, a distanza di tre anni, il ritornello dell'iceberg rosso: le BR non sono che la punta di un "iceberg polipiforme" costituito da tutta la sinistra parlamentare e non. Nel giugno '72 il SID ha fatto addirittura circolare per le caserme dei CC un opuscolo, il cosiddetto "libretto azzurro," in cui si tenta di avvalorare questa assurda tesi.
Sarà lo stesso Viola, che in un primo tempo aveva usato argomenti tanto "convincenti" da indurre Pisetta a "collaborare," a indignarsi per il comportamento del SID che gli ha soffiato il testimone chiave sotto il naso, e a sollecitare una formale inchiesta. "Si tratta di un episodio di inaudita gravità [...] di omissione di atti di ufficio e favoreggiamento personale."[12] Nella sua requisitoria, tuttavia, raccoglierà gran parte delle rivelazioni di questo provocatore, il quale, tuttora, pur essendo ufficialmente ricercato e latitante, si gode tranquillamente la sua miserabile libertà.
Insieme a Girotto, Pisetta è l'unico caso noto di provocatore, o meglio di "delatore" di cui sono state vittime le BR.

I provocatori

I provocatori, gli infiltrati, i delatori sono un'insidia per qualsiasi organizzazione rivoluzionaria, ma risultano addirittura letali per chi, come le BR, ha compiuto la scelta della clandestinità. Di questo le BR si mostrano perfettamente convinte. Esse sottolineano che il provocatore non solo presenta l'inconveniente di mandare i compagni in galera, ma soprattutto getta discredito sull'immagine dell'organizzazione che lo ospita. In una circolare interna e riservata, che sarebbe stata ritrovata a Robbiano di Mediglia, si legge:

Le spie e i traditori sono tra le armi piú efficaci per colpire le organizzazioni rivoluzionarie, sia sul piano pratico che su quello politico. Avere una spia tra le proprie file oltre che mandare i compagni in galera toglie credibilità politica a un'organizzazione rivoluzionaria "... sono un covo di spie e di provocatori." Entro certi limiti (l'applicazione scrupolosa di un certo modulo organizzativo deve restringerli al massimo) l'infiltrazione è inevitabile, ma ciò non toglie che le spie devono essere colpite con azioni di giustizia proletaria. Non è necessario che ciò sia argomento di propaganda di massa: è sufficiente che colpendo una spia si terrorizzi e si faccia meditare chi ha intenzione di mettersi sulla strada della delazione e della provocazione."[13]

Nell'intervista del maggio 1974" ritorneranno su questo argomento, sottolineando l'aspetto della prevenzione: "il criterio fondamentale per garantirsi dall'infiltrazione è il livello di coscienza politica e militanza pratica. Nessun criterio è però infallibile."[14]

In realtà l'esperienza insegna che una certa quota di infiltrazione è inevitabile in tutti i partiti. Lo stesso partito bolscevico di Lenin, modello di organizzazione, era abbondantemente infiltrato, al punto di tenersi addirittura due spie nel ristretto e clandestino Comitato centrale, una delle quali, Malinowski, aveva perfino un passato di schietto rivoluzionario.
Infiltrati ne hanno e ne hanno avuti in passato il PCI e il PSI; nel 1970 si è scoperto per esempio che due esponenti del Comitato centrale del PCI, Stendardi e Ottaviano, erano in realtà agenti della CIA. E chi li ha individuati non è stata la tanto conclamata vigilanza di partito, ma la KBG sovietica che li ha smascherati, dopo che la loro miserabile attività aveva provocato l'arresto di centinaia di compagni in Brasile, Portogallo, Grecia e Spagna.
Per non parlare dei "traditori" e di chi, come Eugenio Reale o Renato Mieli, hanno finito-chi col "vuotare il sacco" di tutte le informazioni riservate che gli erano state affidate, chi col partecipare a convegni insieme a Giannettini, Rauti, ecc. (Pollio, 1965). Né va dimenticato, sempre in tema di vigilanza, che i generali golpisti Fanali e De Lorenzo devono la loro carriera anche alla patente di democraticità loro conferita da PCI e PSI, i quali li sostennero come candidati per la nomina a Capo di stato maggiore.
"Contro le spie non c'è rimedio assoluto," lo dice anche Avanguardia Operaia" che consiglia di accrescere la vigilanza rivoluzionaria: "mobilitare tutti i compagni, assicurare il controllo reciproco, sapere quali compagni sono ricattabili, come vivono e dove abitano, svolgere un intenso lavoro di preparazione teorica (i poliziotti non reggono a questo tipo di lavoro)."[15]
In realtà le BR, che vengono accusate ripetutamente dalla sinistra parlamentare di essere un covo di spie, si sono, al contrario, mostrate, a differenza di altre organizzazioni, "abbastanza impermeabili alle infiltrazioni." Perfino un organo ufficioso di stampa del PCI, fuori dai denti, è stato costretto ad ammetterlo: "L'infiltrazione di 'informatori' nelle file delle BR è un'operazione alquanto difficile; ogni nuovo arrivato è minuziosamente esaminato, deve avere un passato pulito, e prima di essere ammesso tra gli addetti ai lavori deve superare mesi di collaudo, durante i quali un eventuale infiltrato svelerebbe immancabilmente la sua identità [...]. L'unico infiltrato nelle BR, a livello marginale, fu Marco Pisetta.”.[16]
Questo articolo rappresenta però l'eccezione: da parte del PCI giungerà l'accusa, piú o meno velata, di collegamenti con le piú disparate centrali eversive: Ordine Nero, SAM, Giustizieri d'Italia, Ordine Nuovo, MAR, CIA, SID, OAS, KYP, Servizi segreti israeliani, ecc.
Da parte di altre organizzazioni (MSI, DC, Stella Rossa) si rivolgerà l'accusa opposta di collegamento colla KGB. Mai uno straccio di prova: la discussione politica è degradata al rango di insulto. Il dilagare dell'accusa di provocazione, per ogni azione che esca dai canoni prefissati, è, secondo PO, il segno di una "logica degradata e questurina, di completa identificazione con le ragioni dello stato capitalistico in ogni sua articolazione."[17]
LC osserva acutamente in proposito: "Non c'è militante della nuova sinistra che non si sia sentito dire: `chi ti paga?' Domanda scarsamente morale per quanti, uomini e donne, giovani e non giovani, spesso pagano alla propria milizia un prezzo molto caro." È questo il caso di chi, come Curcio, accusato di appartenere a mille diversi servizi segreti in concorrenza tra di loro, ha già pagato con il carcere, con la morte della moglie, ed ora continua a pagare con i disagi della latitanza, la sua scelta di lotta.
Recentemente le BR, le quali già nel settembre '71 avevano ammonito che l'accusa di presentarli "come provocatori o fascisti non ammette una risposta politica, ma costituisce al momento opportuno un fatto di cui dovranno rendere conto coloro che l'hanno formulata," hanno ribadito i loro avvertimenti alla stampa di regime. "A questi seminatori di odio, dubbi, insinuazioni, diamo un ultimo consiglio: riflettano prima di stendere l'ultimo pezzo [...] perché alla guerra psicologica risponderemo con la guerra psicologica e la rappresaglia."[18]
È soprattutto grazie alla loro impermeabilità che dalla dura repressione scatenatasi contro di loro a partire dal 2 maggio 1972 le BR, secondo le loro dichiarazioni, vengono solo "sfiorate" uscendone addirittura rafforzate.

La clandestinità

A partire dal 2 maggio 1972 (perquisizione del "covo" di via Boiardo) le BR scelgono la via della clandestinità totale. In un documento cosí spiegano i motivi della loro decisione: "La clandestinità si è posta nei suoi termini reali solo dopo il 2 maggio 1972. Fino ad allora impigliati come eravamo in una situazione di semi-legalità, essa era vista piú nei suoi aspetti tattici e difensivi che nella sua portata strategica."[19]
Viene quindi portata una critica all'Assemblea autonoma dell'Alfa, la quale riterrebbe che "in questo momento storico la direzione politica deve essere completamente responsabile di fronte alle masse, pur sviluppando funzionali modelli di clandestinità dell'organizzazione rivoluzionaria."[20]
Per le BR, questa concezione difensiva della clandestinità

nasconde l'illusione che lo scontro tra borghesia e proletariato, in ultima analisi, si giochi sul terreno politico piuttosto che su quello della guerra e cioè che gli aspetti militari siano in fondo solo aspetti tattici di supporto. Viceversa: La clandestinità è una condizione indispensabile per la sopravvivenza di un'organizzazione politico-militare offensiva che operi all'interno delle metropoli imperialiste. La condizione di clandestinità non impedisce che la organizzazione si svolga per linee interne alle forze dell'area dell'autonomia operaia. Oltre alla condizione di clandestinità assoluta si presenta perciò, nella nostra esperienza, una seconda condizione in cui il militante pur appartenendo all'organizzazione, opera "nel movimento" ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità.
Questo secondo tipo di militanza clandestina da un punto di vista politico è alla base della costruzione delle articolazioni del potere rivoluzionario; da un punto di vista militare è a fondamento dello sviluppo delle milizie operaie e popolari. Operare a partire dalla clandestinità consente un vantaggio tattico decisivo sul nemico di classe che vive invece esposto nei suoi uomini e nelle istallazioni. Questo vantaggio viene completamente annullato quando la clandestinità è intesa in un senso puramente difensivo.
[21]

Gli "espropri"

Le BR, in assoluta clandestinità, si astengono per un periodo di 6 mesi, fino al novembre 1972, dal compiere azioni "firmate," dedicandosi esclusivamente allo sviluppo del fronte logistico: "Non accettando il terreno che ci veniva imposto di uno scontro frontale tra le Brigate e l'apparato armato dello stato abbiamo avuto tutto il tempo di contrattaccare in 'silenzio' su obbiettivi economici, e rafforzare di conseguenza il nostro impianto organizzativo.[22]
Per quanto riguarda gli "obbiettivi economici" le BR non hanno mai fatto mistero della loro posizione rispetto all' esproprio, ritenendolo giustificato non solo come "tassaziozione" ma soprattutto come accenno al futuro "assalto alla ricchezza sociale."
Questi concetti, tratteggiati fin dai tempi di "Nuova Resistenza" (maggio 1971) vengono piú tardi ribaditi e sviluppati: "L'esproprio non deve essere affrontato semplicemente per necessità contingenti di autofinanziamento, ma va considerato uno degli aspetti fondamentali della lotta per la costruzione del potere proletario."[23] Renato Curcio, circa quattro anni piú tardi, nel corso di un'intervista rilasciata in carcere rincarerà la dose: "nell'espropriazione si oggettivano una legalità ed una moralità rivoluzionaria.”[24]
Ma oltre che per attaccare su obbiettivi economici, le BR utilizzano questi sei mesi per radicarsi in fabbrica. Il metodo è quello delle inchieste a tappeto, che le porterà, attraverso l'elaborazione e l'analisi delle informazioni ottenute, alla comprensione dei meccanismi di potere all'interno della fabbrica.
L'impianto organizzativo, cosí rafforzato, diviene la base per il salto di qualità che consentirà in breve tempo di portare l'attacco al "fascismo FIAT" e, nel medio periodo, di porsi all'attenzione di tutto il paese con azioni clamorose.

 

  1. "Potere Operaio del Lunedí," n. 5, 26 marzo 1972.
  2. "Processo Valpreda," quotidiano a cura di Lotta Continua, 21 marzo 1972.
  3. "il Manifesto," 24 marzo 1972.
  4. "Avanguardia Operaia," n. 9, 4 maggio 1972.
  5. "Avanguardia Operaia," n. 8, 22 Aprile 1972
  6. Volantino diffuso il 22 aprile 1972 dal Comitato nazionale di lotta contro la strage di stato, pubblicato su "Potere operaio," mensile (n. 47148, 1972).
  7. Ibidem.
  8. Documento GAP del 25 aprile 1972. Alcuni stralci sono stati pubblicati sull'"Europeo," n. 18, 1974.
  9. "ABC," n. 4, 1973.
  10. Ibidem
  11. "II Borghese," 4 febbraio 1973.
  12. Requisitoria del dottor Viola nel processo GAP-BR di Milano.
  13. "Panorama" del 29 maggio 1975. "L'Espresso," n. 20, 1974.
  14. "L'Espresso," n. 20, 1974.
  15. "Avanguardia Operaia," n. 8, 22 aprile 1972..
  16. "Giorni-Vie nuove," n. 23, 1974.
  17. "Linea di Condotta," n. 1, luglio-ottobre 1975
  18. Da "Il Giornale dei Capi," edito dalla FIAT, con diffusione interna.
  19. Documento riprodotto nella requisitoria del dottor Bruno Caccia, PM nel processo contro le BR a Torino.
  20. Ibidem.
  21. Ibidem.
  22. Intervista del gennaio 1973 pubblicata su "Potere Operaio del Lunedí," n. 44, 11 marzo 1973.
  23. "Nuova Resistenza," maggio 1971.
  24. "L'Espresso," n. 1, 1975.