Biblioteca Multimediale Marxista


Dichiarazione letta in aula e allegata agli atti del processo “esproprio-Hunt”
Seconda corte d’Assise del Tribunale di Roma, udienza del 24/09/2002.



Se la celebrazione di questo processo voleva avere la velleità di contrapporsi al rilancio dell’attività rivoluzionaria delle BR per la costruzione del PCC, intento peraltro sempre politicamente impraticabile, le iniziative di attacco al cuore dello Stato contro M. D’Antona del 20 maggio ’99 e contro M. Biagi del 19 marzo 2002 hanno definitivamente lacerato la rappresentazione che il rito giuridico voleva dare della realtà rivoluzionaria prodottasi nel nostro paese e che noi stessi rappresentiamo, rimettendola con i piedi per terra e facendo entrare a pieno diritto in quest’aula i nodi attuali dello scontro tra classe e Stato e tra rivoluzione e controrivoluzione, chiarendo la natura di classe di questi nodi, quali prodotto delle contraddizioni di un sistema sociale basato sullo sfruttamento, da cui derivano le motivazioni sociali e politiche che legittimano la proposta strategica della Lotta Armata come risoluzione proletaria alla crisi della borghesia imperialista.
Proprio l’attacco al progetto centrale della borghesia imperialista del 19/3/2002 mette a nudo questi nodi entrando nel cuore dello scontro, e cioè il tentativo della BI e del suo Stato di consolidare l’arretramento delle posizioni del proletariato, prodottosi in venti anni di politiche antiproletarie e controrivoluzionarie, all’interno di un disegno neocorporativo di riorganizzazione delle relazioni sociali.
Uno scontro durissimo su cui si sta confrontando la vasta mobilitazione operaia e proletaria con i suoi contenuti unificanti e gli strumenti organizzativi che trova a disposizione, nella chiara coscienza della portata e delle implicazioni dell’attacco che gli viene condotto. Scontro in cui il proletariato misura le proprie forze e quelle che gli contrappone lo Stato, il quale non intende arretrare dai suoi obiettivi e perciò innalza il livello dello scontro, dovendo garantire alla BI in piena crisi l’attuazione del programma di governo, in piena continuità con le linee antiproletarie e controrivoluzionarie assestate dagli esecutivi del decennio scorso.
E’ dunque nel quadro dell’offensiva lanciata dall’esecutivo Berlusconi che si inserisce l’attacco delle BR-PCC del 19 marzo, come solo modo per far pesare in questo scontro le posizioni del proletariato e gli interessi politici generali di classe, opponendovi la forza di un’iniziativa combattente che ha indebolito l’azione dell’esecutivo. E questo perché la nostra Organizzazione è intervenuto sul progetto di rimodellazione delle regole dello sfruttamento, di cui M. Biagi con il “libro bianco” era artefice, piano centrale su cui l’esecutivo Berlusconi intende articolare i passaggi che investono sia l’accentramento dei poteri e la stabilizzazione del sistema di alternanza, sia la stessa modifica in senso “federale” della forma-Stato. Portare a compimento questa linea progettuale significa anche dare soluzione alle contraddizioni che le riforme economico-sociali e quelle istituzionali avviate nel decennio scorso hanno prodotto in termini di governabilità, in primo luogo per l’opposizione del proletariato a quelle scelte, stante la loro incidenza sulle sue condizioni politiche e materiali.
Due linee di “riforma” queste che, per essere portate a compimento superando le contraddizioni, e ricevere l’adeguamento necessario alle urgenze della BI, nell’aggravarsi della sua crisi, richiedono di essere affrontate integrandole tra loro in un quadro organico, pena non riuscire a governare le contraddizioni del conflitto e della crisi. Riforme che, se inizialmente erano concepite per essere attuate nel corso della legislatura, non sono potute procedere nella linearità programmata per le pressioni della BI e per le dinamiche dello scontro, ricevendo un’accelerazione tramite le forzature operate dall’esecutivo sulla classe per stringere in primo luogo nell’attuazione dei provvedimenti legislativi sul lavoro, oggetto dello scontro e forzando anche sull’avvio concreto dello stesso “dialogo sociale”.
Un agire dell’esecutivo che si è saldato con le pressanti richieste della Confindustria, in quanto il progetto di rimodellazione delle regole dello sfruttamento è il presupposto affinché la condizione di riduzione della base produttiva nazionale possa essere tradotta in vantaggi competitivi e ciò si può dare solo se viene aumentato lo sfruttamento della forza lavoro impiegata. Una scelta questa su cui il capitale monopolistico nostrano ha puntato a seguito della sua perdita di posizioni nella competizione internazionale, e su cui si gioca anche il rafforzamento del potere della BI, in quanto da una tale rimodellazione delle regole sul lavoro ne dovrebbe derivare l’esclusione a monte dell’antagonismo di classe e della sua possibile maturazione in autonomia politica, antagonismo gioco forza alimentato dalla condizione di ipersfruttamento e crisi.
Un attacco, quello delle BR-PCC che ha indebolito l’esecutivo, in quanto M. Biagi era il perno di quel “dialogo sociale” che dovrebbe rappresentare l’evoluzione ed il superamento del modello concertativo, tramite la ridefinizione delle relazioni e della negoziazione neocorporativa, per istituire un modello di relazioni funzionale all’esecutivo per dare l’affondo alla modifica della legislazione sul lavoro ed approdare al cosiddetto “statuto dei lavori” che, sull’azzeramento delle conquiste economiche, politiche e sociali raggiunte dal proletariato in un secolo di lotte, dovrebbe sancire un sistema di regole e normative tese ad istituire la massima differenziazione contrattuale, elevare a norma le condizioni di precarietà del lavoro e la sua massima flessibilità, agendo a partire dall’esercito industriale di riserva con le “politiche attive” per il lavoro in funzione della competitività, passando per la riforma del collocamento che vede le agenzie private fare da primo filtro all’occupazione, e per le diverse forme di inquadramento contrattuale precarie e deregolamentate che i proletari sono costretti ad accettare, per il loro stato di ricattabilità che accompagna tutto il corso della loro vita lavorativa. Lo scopo è quello di instaurare un percorso ad ostacoli che, selezionando e filtrando la capacità di adattamento allo sfruttamento, vincola la forza lavoro ai bisogni del padrone, un sistema di regolamentazione che ha al contempo lo scopo di drenare l’antagonismo agendo a monte del formarsi del conflitto.
Questa sorta di bolgia dantesca che si prospetta alla classe operaia implica in ogni passaggio legislativo, l’approfondimento del contenuto neocorporativo e allo stesso tempo, sul piano negoziale, è la base del superamento della stagione concertativa che la resistenza operaia aveva già messo in crisi, poiché la relazione negoziale del “dialogo sociale” non richiede di avvalersi di quella formale condivisione delle scelte dell’esecutivo da parte del Sindacato Confederale, in quanto nel nuovo modello di relazioni è presupposto il depotenziamento del conflitto di classe “alla fonte”, superando quella funzione di assorbimento e depotenziamento del conflitto che ha svolto la concertazione, tanto necessaria nel decennio scorso, all’avvio della politica neocorporativa che ha accompagnato e sostenuto il trapasso tra la prima e la seconda Repubblica.
Alla rimodellazione dello sfruttamento ispirata dal “libro bianco”, l’esecutivo deve coniugare un complesso di modifiche tese a portare a compimento l’azione riformatrice degli esecutivi precedenti in materia di mercato del lavoro, previdenza, sanità, scuola ecc. in senso localistico e privatistico, sulla base della compenetrazione tra pubblico e privato che introduce la logica del profitto in questi campi, diminuendo le coperture sociali dei servizi che prima erano diritto acquisito dei lavoratori.
Questo piano riformatore ha nel federalismo l’adeguata impalcatura istituzionale e statuale in grado di fornire, sull’assegnazione delle competenze e funzioni in queste materie a livello localistico, il terreno di attuazione e di sanzione della massima frammentazione del potere contrattuale della forza-lavoro in funzione dello sfruttamento dei diversi margini competitivi offerti localmente. “Riforma federale” che, proprio per il fine di maggiore competitività di sistema a cui risponde, è richiesta dai processi di integrazione economica europea a cui è organica, in un rapporto in cui alla ripartizione locale delle competenze corrisponde una centralizzazione allo Stato del potere, e dunque delle decisioni di bilancio, che ne dispone dentro ai vincoli stabiliti a livello europeo.
Il complesso dei mutamenti che, dalla rimodellazione dello sfruttamento, si articola sui differenti piani economico, sociale, istituzionale, fino a raggiungere la modifica della forma-Stato, prefigura una riorganizzazione delle relazioni sociali innervata da un approfondimento neocorporativo di tali relazioni, in base alla quale viene a rimodellarsi il ruolo della rappresentanza sociale nella contestuale riduzione del suo peso rispetto alla centralità degli interessi della BI sul piano politico. Un processo già riscontrabile nel modello che instaura il “dialogo sociale” sul piano negoziale delle relazioni neocorporative, nel quale in generale perde peso la rappresentanza sociale in corrispondenza del maggior ruolo decisionale dell’esecutivo nel legiferare in materia di lavoro. Questa ridefinizione della negoziazione neocorporativa rappresenta il modulo di relazione negoziale corrispondente a quella democrazia governante che la stabilizzazione dell’alternanza tra i due schieramenti alla guida dell’esecutivo vuole consolidare, che nella sua affermazione, comporta anche la definizione delle componenti di riferimento sindacali e sociali proprie a ciascun schieramento politico.
In questo senso la maggioranza al governo stringe equilibri politici con componenti sindacali ed istituzionali che operano attività sociali politicamente affini, a cui più in generale è demandata la funzione di operare quelle saldature del piano economico-sociale con gli interessi della BI, funzione propria al sindacato, affiancato oggi dalle varie associazioni no-profit, Fondazioni, ecc. nel gestire socialmente i residui del welfare, quello che ne resta, cioè, dopo la destrutturazione operata e che si opera tuttora con le “riforme” in questi campi. Un quadro questo in cui il sindacato, abbandonando il precedente ruolo di organizzatore ed incanalatore del conflitto, per non farlo tracimare dall’alveo democratico-borghese, sarà sostanzialmente un erogatore di servizi e “venditore” di contratti.
Il contenuto primario del neocorporativismo, di composizione forzosa di interessi diversi e particolari sugli interessi generali della frazione dominante di BI, trova nell’obiettivo di questa riorganizzazione delle relazioni sociali, concepita ad hoc per assorbire il montare dello scontro, la sua più autentica espressione, la forma più adeguata cioè per sostenere i termini di quella democrazia governante affermatasi nei paesi a capitalismo maturo, che prefigura il sogno di un modello di società pacificata e corporativizzata.
Colpire la progettualità della BI finalizzata a rimodellare in senso neocorporativo i rapporti sociali per subordinare materialmente e politicamente il proletariato, e su cui rifunzionalizzare i poteri dello Stato, è una specifica linea politica delle BR per la costruzione del PCC che con le iniziative di attacco al cuore dello Stato del 20/5/99 contro M. D’Antona e del 19/3/2002 contro M. Biagi hanno messo un’ipoteca sulla realizzazione di questo disegno, perché colpendo gli equilibri che ne hanno sorretto i passaggi politici, ne rende difficile il percorso e su questo indebolimento opera per sostenere le posizioni del proletariato di contro allo Stato e alla borghesia, costruendo nello scontro le condizioni politiche e materiali per modificare i rapporti di forza e rafforzare le posizioni di classe, organizzando le sue espressioni di autonomia politica sulla Lotta Armata. Con queste iniziative di attacco al cuore dello Stato le BR per la costruzione del PCC rilanciano nello scontro generale tra le classi la strategia della LA come proposta a tutta la classe, la cui valenza politica e strategica si riversa in positivo sull’intero campo proletario, rimettendo in gioco gli interessi politici e generali della classe, ponendo all’ordine del giorno il nodo del potere e reimmettendo la rappresentanza di classe all’interno della polarizzazione degli antagonismi causata dalle politiche antiproletarie e controrivoluzionarie indispensabili al governo della crisi per la BI ed il suo Stato.
Stava solo nelle illusioni della borghesia l’idea che la controrivoluzione degli anni ’80 ed il suo consolidamento negli anni ’90, avessero eliminato dallo scontro il processo rivoluzionario, nell’idealismo proprio a questa classe, impossibilitata perciò a tenere in conto e a valutare la realtà secondo le leggi della guerra, leggi immanenti lo scontro rivoluzionario di classe, una delle quali riguarda il fatto che quando una rivoluzione riesce a sopravvivere e a resistere ad una controrivoluzione consegue una vittoria strategica. Questo è quanto avvenuto con la scelta delle BR di aprire la Ritirata Strategica, intraprendendo una manovra di ripiegamento che, mantenendo aperta la offensiva contro lo Stato e l’imperialismo ha salvaguardato la prosecuzione del processo rivoluzionario dando apertura alla fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie e degli strumenti politico-organizzativi per attrezzare il campo proletario allo scontro prolungato contro lo Stato.
L’approfondimento avvenuto nella crisi del MPC da un lato, e dall’altro nello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione in questi venti anni, è stato il piano fondamentale da cui sono derivati mutamenti complessivi che hanno investito i rapporti di classe e che hanno portato alla trasformazione in senso neocorporativo della mediazione politica storica, in un contesto interno ed internazionale che ha visto le BI avanzare un doppio processo controrivoluzionario e conseguire posizioni di vantaggio nei rapporti di forza con il proletariato.
Processo controrivoluzionario che si è riversato in termini negativi sulle espressioni di autonomia politica di classe del proletariato, nelle sue lotte, schierato su un terreno di resistenza all’offensiva borghese, ma costantemente ingabbiato dalle politiche neocorporative di composizione del conflitto, e sul movimento rivoluzionario svuotato delle discriminanti per un approccio corretto alla risoluzione della questione del potere. Condizioni oggettive e soggettive presenti oggi nello scontro di classe e rivoluzionario, qualitativamente diverse da quelle presenti nella fase in cui le Brigate Rosse hanno avviato trenta anni fa la guerra di classe di lunga durata contro lo Stato e l’imperialismo, nel senso che oggi lo scontro rivoluzionario non è caratterizzato dalla disposizione generalizzata delle istanze proletarie sul terreno della lotta per il potere, ma dall’approfondimento delle condizioni strutturali di crisi del capitalismo, dalla controrivoluzione e dalla guerra imperialista come terreni politici dominanti per dare appunto risoluzione alla crisi capitalista. Strategie imperialiste che “assolutizzano” l’interesse della BI polarizzando all’opposto gli interessi di classe e quelli “nazionali” e per contro mettono in evidenza come le uniche alternative possibili siano la strategia proletaria per la conquista del potere politico: la guerra di classe negli Stati imperialisti, e la resistenza e la guerra di liberazione nazionale per l’autodeterminazione dei popoli.
Una situazione che emblematizza le condizioni strutturali in cui si conduce il processo rivoluzionario basato sulla strategia della Lotta Armata nello Stato imperialista contemporaneo. Il processo rivoluzionario si fa strada suscitando e confrontandosi con una serrata controrivoluzione che si riversa sulle dinamiche di governo del conflitto di classe e investe il complesso dei rapporti politici tra le classi. Condizioni oggettive e soggettive dello scontro rivoluzionario in cui le BR per la costruzione del PCC hanno costruito i termini di direzione e la capacità offensiva per rilanciare la Strategia della LA come proposta a tutta la classe dando avanzamento al processo di guerra di classe, facendo fronte alle necessità e priorità poste sul piano rivoluzionario dall’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione.
Da molti anni ormai viene propagandata negli ambiti di classe la tesi della non riproponibilità dell’esperienza delle BR, con lo scopo di convincere che questa sia relegabile a un preciso momento della storia del nostro paese. Una tesi che, oltre ad essere orpello ideologizzante delle dinamiche controrivoluzionarie, vuole spacciare i processi controrivoluzionari, il loro portato nello scontro di classe e rivoluzionario, come superamento delle condizioni per l’esistenza della Strategia della LA per il Comunismo, esulando da una verità storicamente verificata: un processo rivoluzionario reale solleva sempre una forte controrivoluzione. Controrivoluzione che è dinamica politica tesa a comprimere tutti gli ambiti politici e rivoluzionari di classe, e non relegabile o trasfigurata in un semplice momento “emergenziale”, come echeggiato anche in questa aula. Controrivoluzione che, al tempo stesso, oltre che manifestazione della concretezza e presenza del processo rivoluzionario, lo è anche della sua maturità politica e necessità storica, che nell’affrontare il complesso dei termini politici-militari e rivoluzionari da essa rideterminati fa avanzare il processo rivoluzionario.
Riguardo al periodo di esordio della proposta rivoluzionaria delle BR, va detto innanzitutto che nelle condizioni di scontro di allora si rifletteva il contesto generalizzato di avanzamento dei processi rivoluzionari, sia relativamente alle prime esperienze della Guerriglia Metropolitana che alle guerre di popolo e di liberazione nazionale della periferia, come pure incideva l’esistenza del campo dei paesi socialisti alternativo all’imperialismo. Circostanze storiche che vedevano il blocco imperialista subire le iniziative di classe e di liberazione dei popoli dal dominio coloniale e imperialista. Inoltre lo Stato e la borghesia italiana accusavano tutta la loro debolezza storica e strutturale, e lo scontro era caratterizzato da una forte opposizione di classe con rilevanti contenuti di autonomia politica che si esprimevano anche su un terreno armato, quale espressione di un aperto conflitto che, dagli esiti della guerra partigiana contro il nazi-fascismo, non era stato pacificato nonostante la restaurazione borghese degli anni ’50, conflitto che ha costituito il retroterra delle spinte dell’autonomia di classe alla fine degli anni ’60. Queste condizioni di scontro, nelle quali le BR hanno convogliato le istanze di potere proletario sulla proposta della LA per il Comunismo a tutta la classe, hanno certamente favorito la diffusione e il radicamento della proposta rivoluzionaria, ma non costituiscono il dato su cui si fonda la valenza e la praticabilità della LA, sia perché la diffusione e il radicamento sono stati il prodotto di precisi indirizzi politici e strategici per dare risposta alle istanze di potere presenti nello scontro di classe e rivoluzionario di allora, e che hanno trovato nella proposta e nella prassi delle BR il referente e il terreno per il loro sviluppo, sia perché, ed è questo l’elemento fondamentale che ha reso possibile lo stesso radicamento in quella fase, la proposta della LA, cioè la costruzione del processo rivoluzionario in guerra di classe di lunga durata, risiede nell’essere adeguamento della politica rivoluzionaria alle attuali forme di dominio della borghesia e dell’imperialismo.
E’ proprio in ragione dell’essere espressione di questo adeguamento che la prassi d’Organizzazione, indirizzando in termini strategici lo scontro rivoluzionario, lo ha modificato nel senso del suo approfondimento sui termini della guerra di classe di lunga durata, andando a connotare lo sviluppo sul terreno rivoluzionario dei caratteri dell’autonomia politica di classe, della soggettività rivoluzionaria e le condizioni di maturazione del contesto rivoluzionario, rispetto a cui si è instaurato un preciso rapporto tra rivoluzione e controrivoluzione. Un rapporto su cui lo Stato ha affinato quel complesso di risposte politiche–-militari e controrivoluzionarie volte a separare l’opzione rivoluzionaria dalle istanze antagoniste e di classe, per operare il ridimensionamento delle forze rivoluzionarie intervenendo in termini offensivi sullo sviluppo del processo rivoluzionario al fine di bloccarne l’avanzamento.
La lettura “mitica” della rapida ascesa della Lotta Armata negli anni ’70 confonde dunque le ragioni della valenza della strategia della LA per il Comunismo con una condizione particolare dello scontro facendo derivare la possibilità di sviluppare il processo rivoluzionario dal costituirsi di un ampio movimento rivoluzionario. O come naturale prolungamento della lotta di classe in ascesa.
E’ proprio in riferimento al contesto odierno del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che è di fondamentale importanza per l’avanguardia che si dispone sul piano rivoluzionario, la comprensione ed assunzione nella sua pratica dei nodi relativi ad una teoria-prassi della rivoluzione proletaria fondata sulla Strategia della Lotta Armata e dell’agire rivoluzionario confacente a dirigere lo scontro contro il nemico di classe in un contesto senza dubbio problematico per la conduzione del processo rivoluzionario, ma che appartiene appieno al tipo di scontro rivoluzionario in uno Stato imperialista. E’ dato teorico rivoluzionario assodato che un movimento rivoluzionario, e soprattutto l’affermazione dei caratteri di autonomia politica di classe, derivano in generale dall’esistenza del processo rivoluzionario e non ne sono il presupposto. Dato verificato sul piano storico generale, nonché nella prassi e direzione rivoluzionaria dello scontro condotta dalle BR, questo, sia nel corso degli anni ’70, quando gli indirizzi programmatici delle BR hanno prodotto un vasto movimento proletario di resistenza offensiva, caratterizzando e facendo crescere il movimento rivoluzionario, sia quando con l’apertura della fase di Ritirata Strategica e il ripiegamento da posizioni politiche niente affatto avanzate, le BR hanno permesso la tenuta e riqualificazione delle avanguardie di classe e rivoluzionarie a fronte della controrivoluzione scatenata, sia ancora nella fase politica attuale nella quale, pur in presenza della difensiva di classe e un considerevole svuotamento politico del movimento rivoluzionario, l’iniziativa, ovvero la direzione rivoluzionaria dello scontro da parte delle BR-PCC, ha prodotto uno schieramento rivoluzionario e di classe. In sintesi la presenza di una direzione rivoluzionaria nello scontro è condizione del processo rivoluzionario, la cui presenza non solo qualifica un movimento rivoluzionario, ma ne è condizione per la sua stessa estensione, insegnamento che si può trarre dal nostro stesso processo rivoluzionario.
I caratteri odierni dello scontro di classe in Italia dominati dai termini corporativi e controrivoluzionari, tesi a strutturare le relazioni classe/Stato e fra le classi in modo da inibire la politicizzazione del conflitto e subordinare materialmente e politicamente il proletariato al potere della borghesia, carattere storico che assume la mediazione politica fra le classi negli Stati imperialisti, evidenziano concretamente come l’aumentato peso della soggettività sia per parte borghese che rivoluzionaria connoti le relazioni e lo scontro di classe. Per parte proletaria e rivoluzionaria ciò comporta lo sviluppo di una prassi da parte dell’avanguardia combattente che abbia come obiettivo quello di favorire le rotture soggettive nelle avanguardie di classe al fine di una assunzione del terreno di lotta generale per il potere. Rotture soggettive nelle avanguardie di classe necessarie affinché esse siano in grado di sviluppare la prassi adeguata per affermare gli interessi di classe, così da incidere nello scontro, rompendo il meccanismo paralizzante che vincola le espressioni di classe in un ambito compatibile alla democrazia borghese, necessarie per favorire la loro disposizione sulla strategia della LA per il Comunismo ovvero sul terreno capace di assumere il piano della guerra di classe, costituendo, questo, la sostanza dei rapporti di scontro tra le classi, indipendentemente dai livelli di sviluppo odierni della fase rivoluzionaria. Nodo politico quest’ultimo che rimanda all’impostazione generale e ai criteri di fondo che guidano la prassi d’avanguardia, l’agire da Partito per costruire il Partito, nel trasformare lo scontro di classe in guerra di classe in ottemperanza ai caratteri della fase rivoluzionaria di Ricostruzione, misurandosi con il quadro di contraddizioni prodotte sul piano di classe e d’avanguardia dalla discontinuità d’attacco e di converso dall’assestamento della controrivoluzione, nella coscienza della problematicità dell’attuale fase rivoluzionaria, in cui le necessità politiche dello scontro definiscono il piano di adeguamento obbligato alla formazione delle forze rivoluzionarie e in cui l’approfondimento dello scontro è oggettivamente vincolo all’attestazione ed estensione della ricostruzione delle forze stesse.
Il rilancio della Strategia della LA operato dalle BR per la costruzione del PCC con le iniziative offensive del 20/5/’99 e del 19/3 scorso ha determinato, nei fatti, un salto dialettico sul piano di contraddizione sopra espresso, sulla base di una pratica e progettualità rivoluzionaria che ha ribadito la possibilità/necessità di contrapporsi al potere della Bi e fare avanzare il processo rivoluzionario. In concreto le iniziative delle BR-PCC hanno misurato l’incidenza dell’agire da Partito quale fattore che, da un lato riafferma la prospettiva strategica della alternativa di potere, dall’altro è elemento agente, nel rappresentare gli interessi generali di classe, che investe e pesa sul complesso dei rapporti politici e di forza tra le classi, sulle condizioni soggettive del campo proletario e d’avanguardia.
Incidenza dell’agire da Partito che si realizza attraverso la costruzione della guerra di classe nello scontro a partire dalla iniziativa offensiva nell’attacco al cuore dello Stato che calibra e regola l’attività combattente e rispetto a cui le BR-PCC si propongono di dirigere e sviluppare lo scontro rivoluzionario e i suoi diversi fattori, non da un punto qualsiasi, ma sui nodi principali tra classe e Stato.
Le iniziative offensive del ’99 e di quest’anno dimostrano come ristrette avanguardie, pur confrontandosi con rapporti di forza sfavorevoli, facendo leva sull’avanzamento teorico e strategico conseguito dalle BR nel rapporto con la controrivoluzione degli anni ’80 nel condurre la guerra di classe e ricollocandolo dialetticamente nello scontro odierno, abbiano avviato quei processi aggregativi qualitativamente idonei ad assumere la funzione di direzione rivoluzionaria dello scontro, attraverso la costruzione degli strumenti politici, programmatici, organizzativi e militari per organizzare la costruzione dell’iniziativa offensiva in grado di rapportarsi allo scontro generale e stabilizzare i livelli di ricostruzione necessari ad incidere e potenzialmente invertire gli attuali rapporti di forza tra le classi, avendo a guida l’essenza della Strategia della LA e della conduzione della guerra di classe che informa l’agire da Partito per costruire il Partito in rapporto alle necessità della fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie. In riferimento a questa base di qualità che investe i processi di ricostruzione, nella chiarezza dell’impostazione, dei compiti della fase rivoluzionaria e del quadro di scontro, è a partire dal combattimento ed attorno a questo, che si esplica il ruolo di direzione rivoluzionaria sul piano della guerra di classe. Le BR per la costruzione del PCC si assumono questo piano di direzione rivoluzionaria, affrontando i nodi centrali dello scontro e facendo avanzare la Fase di Ricostruzione, strutturandosi come nucleo fondante il Partito Comunista Combattente che agendo da Partito per costruire il Partito opera, a partire dall’iniziativa offensiva quale condizione necessaria per favorire il processo di rotture soggettive dell’avanguardia per quella costruzione/formazione della soggettività rivoluzionaria che deve selezionare i termini complessivi della direzione rivoluzionaria in grado di sviluppare la guerra di classe per portare a superamento la Ritirata Strategica e in ciò avanzare verso quel processo che da “organizzatori” di ristrette avanguardie porta alla costruzione del Partito Comunista Combattente.
I militanti delle BR-PCC:
Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli.

La militante rivoluzionaria:
Vincenza Vaccaro
Roma, 24/9/2002