Biblioteca Multimediale Marxista


Documento allegato a 3 processi Gennaio 1991



Noi militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente e militanti rivoluzionari prigionieri intendiamo qualificare la nostra presenza in questo processo non solo ribadendo la nostra identità politica nel rapporto col nemico di classe, ma soprattutto nella rivendicazione della progettualità rivoluzionaria delle BR, poiché essa rappresenta l’ELEMENTO STRATEGICO nell’evoluzione dello scontro di classe, per l’affermazione degli interessi generali del proletariato. Sono le stesse ineliminabili ragioni politiche e sociali dello scontro che fanno dell’ipotesi rivoluzionaria, storicamente basata sulla strategia della lotta armata come proposta a tutta la classe, il risvolto proletario alla crisi della borghesia per la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura del proletariato, per una società comunista.
Di contro alle politiche esplicitamente antiproletarie e controrivoluzionarie e ai progetti guerrafondai che la borghesia imperialista sta attuando, oggi più che mai si pongono in primo piano gli interessi generali del proletariato e lo sviluppo della guerra di classe come il solo modo di perseguirli, come il solo terreno che, sotto la direzione della sua avanguardia rivoluzionaria, le Br, consente al movimento di classe di dare peso politico e rilevanza nel conflitto contro la borghesia imperialista e il suo Stato. La valenza dell’alternativa rivoluzionaria risalta maggiormente per l’acuirsi di tutte le contraddizioni del mondo capitalista quali manifestazioni della putrescenza di un sistema sociale che a questo stadio storico produce solo sfruttamento, miseria, guerra e distruzione.
Da questa premessa partiamo per leggere l’evoluzione dello scontro nel nostro paese evidenziando la sua possibile e necessaria risoluzione sul terreno rivoluzionario a partire dalle concrete condizioni che si maturano qui nel rapporto classe/Stato.
L’opposizione di classe ha oggi di fronte una situazione politica che pur riflettendo i caratteri del decennio ha subito un mutamento di sostanza in questo breve arco di tempo, mutamento che non ha ancora manifestato tutte le sue implicazioni, ma che ha fin da subito impresso allo scontro caratteristiche apertamente antiproletarie e controrivoluzionarie a livello delle relazioni politiche tra le classi. Le iniziative e le misure politiche prese dall’Esecutivo oggi al potere sono parte integrante di una offensiva generalizzata che parte dagli anni ’80 e che oggi si inserisce all’interno della crisi politica istituzionale che attraversa lo Stato italiano.
La gestione di questa crisi da parte delle più alte cariche dello Stato risponde alla necessità di operare mutamenti profondi nell’impianto costituzionale, e per la direzione che questi prefigurano devono essere sostenuti dagli organi che hanno il maggior peso politico e istituzionale (Esecutivo, Presidenza del Consiglio, Presidenza della Repubblica) col fine di garantire l’ultimazione dei passaggi di quella che abbiamo definito la svolta alla II a Repubblica all’interno della quale dovrebbe vivere un nuovo modello di relazioni tra le classi a partire dalle modifiche avvenute nel carattere e nel modo di operare la mediazione politica tra classe e Stato.
Un’esigenza della borghesia imperialista quella della “rifunzionalizzazione dello Stato” che ha avuto la sua base di forza nella controrivoluzione degli anni ’80 e, in particolar modo, nella fase politica relativa ai “patti sociali neocorporativi” che hanno segnato e sancito il punto di svolta nelle relazioni politiche tra le classi e hanno così posto le basi concrete per l’apertura ad una nuova fase costituente, ad una IIa Repubblica. E’ bene ricordare che i passaggi politici che aprono l’attuale fase politica di scontro tra le classi sono stati segnati da uno scontro sociale e politico molto forte e lo Stato non ha certo disdegnato di mettere in campo i suoi apparati di sicurezza e ricorrendo anche alla politica delle stragi per assestare strappi istituzionali e sancire rapporti di forza nello scontro id classe e rivoluzionario per dare stabilità alle linee di governo. Un processo profondo di modifica nelle relazioni tra le classi al quale le stesse opposizioni istituzionali (PCI e sindacati) si sono conformate avviando un percorso finalizzato al decurtarsi, anche sul piano formale, della loro origine di classe con una ristrutturazione del proprio apparato atto a svincolarsi dagli orpelli di democrazia sindacale e dallo scomodo ruolo di oppositore istituzionale, per quanto riguarda il PCI, col fine di omologarsi e svolgere un ruolo attivo e compartecipe intorno agli interessi della frazione dominante di borghesia imperialista. Un’omologazione ormai conclusa e ben evidente negli atti politici di quest’ultimo periodo. Inoltre, i passaggi a questa fase politica si sono caratterizzati per un accentramento dei poteri nell’Esecutivo attraverso il varo di modifiche istituzionali nell’imperio della stabilità di governo, una marginalizzazione delle sedi parlamentari con “corsie preferenziali” e decretazione d’urgenza, le elezioni politiche usate per mascherare cambi di staffetta alla guida dell’esecutivo. Il tutto condito con la salsa della politica delle emergenze per mobilitare consenso coatto al nascente regime. Un processo che oggi prefigura equilibri e schieramenti volti alla IIa Repubblica sia nell’accentramento dei poteri nell’Esecutivo come dato costitutivo, sia nell’aspro confronto fra le forze politiche borghesi, il partito di Occhetto incluso, per raggiungere posizioni di forza all’interno dei nuovi assetti istituzionali che si vanno determinando. Uno scontro fra i partiti che, è bene sottolineare, si svolge al di fuori delle sedi istituzionali e parlamentari e si sviluppa in forme e modi interni ai rapporti di forza del costituente regime, per questo i partiti diventano, già nel confronto stesso, soggetti attivi e promotori del regime stesso. E’ questo il vero rinnovamento dei partiti, un percorso dove ogni partito colloca e si conquista la sua posizione intorno agli interessi dominanti della frazione di borghesia imperialista.
In questo contesto l’attuale Esecutivo pone concretamente in essere il suo indirizzo politico, un indirizzo che è portatore di pesanti sviluppi oltre che sul piano interno, sul piano della partecipazione ai concreti processi di guerra nel Golfo che implicano un impegno totale da parte dello Stato sia per l’integrazione nella catena imperialista, che specificamente per il ruolo dell’Italia nel fianco sud della Nato.
Per questo l’opposizione di classe si trova subito a misurarsi con la sostanza e il tratto distintivo antiproletario e controrivoluzionario di questa nascente IIa Repubblica. Perché un nuovo riassetto dello Stato non è un problema di ingegneria costituzionale, semplicemente un diverso modo di sedersi in Parlamento, ma le modifiche istituzionali e revisioni costituzionali sono il prodotto sul piano giuridico-formale dei rapporti di forza tra le classi, la codificazione e mediazione possibile di tali rapporti. In ultima istanza, sono i modi e le forme che sono stati sperimentati e realizzati in questi anni nel governo del conflitto di classe la base da “codificare” per la svolta alla IIa Repubblica. I fattori scatenanti della congiuntura politica odierna risiedono nell’attuale stadio della crisi economica, essa, riversando il suo peso sulle preesistenti contraddizioni, le ha radicalizzate ed estese generandone di nuove; l’impatto della crisi economica e le drastiche misure che richiede, rendono la crisi della borghesia imperialista nostrana economica, politica, sociale e istituzionale insieme, un urto che sta alla base della dinamica politica attuale, quale sua spinta oggettiva.
In sintesi tra i caratteri del decennio passato e quest’ultimo periodo c’è un salto e una rottura pur nella stretta continuità della fase, un salto che è manifestazione dell’accumularsi critico dei mutamenti avvenuti a livello politico-istituzionale ed economico-sociale a partire dagli equilibri raggiunti nel rapporto classe/Stato, all’interno del più generale rapporto rivoluzione/controrivoluzione. In altre parole, i processi di rifunzionalizzazione dello Stato, e, dentro a ciò, la situazione politica congiunturale, si collocano ben dentro agli equilibri di fase tra rivoluzione controrivoluzione.
I cambiamenti che stanno avvenendo in questa legislatura investono in primo luogo i principali organi dello Stato soggetti ed oggetti di questa ridefinizione, la quale per gli sbocchi a cui tende e le modalità con cui vengono perseguiti provoca una forte instabilità del quadro politico istituzionale. Questi passaggi orientati principalmente dalla presidenza della Repubblica e dalla Presidenza del Consiglio sono allo stesso tempo prodotto e leva per l’approfondimento delle prerogative di questi due organi che sulla base di forzature sul piano istituzionale e costituzionale vede attualmente il massimo accentramento del potere nelle mani dell’Esecutivo e più in particolare nella figura del Presidente del Consiglio.
I mutamenti in corso per la complessità dei piani che vanno ad investire e per la “delicatezza” della materia richiedono una forte stabilità politica che l’Esecutivo è costretto a garantirsi tramite strappi nei rapporti di forza generali per delineare parziali momenti di stabilità che, riflettendosi sull’equilibrio precario della coalizione che lo sostiene, aprono spazi politici tali da porte consentire la costruzione di condizioni idonee alla modifica dei poteri dello Stato. Si tratta di una stabilità precaria che comprime la stessa dialettica politica tra le forze di maggioranza rimessa continuamente in discussione dalla rapida trasformazione ed evoluzione dei fattori in gioco, primo tra tutti l’approfondimento dello scontro tra le classi che produce lo spostamento in avanti delle stesse contraddizioni interborghesi. Il modo di operare dell’Esecutivo che prefigura con la politica dei fatti compiuti ciò che poi dovrebbe essere formalmente ratificato, riguarda principalmente gli equilibri che dovrebbero instaurarsi tra maggioranza ed opposizione e nella stessa maggioranza. La bagarre sulla legge elettorale getta fumo negli occhi sugli obiettivi reali di questa legge che ne fanno il nodo centrale per l’assestamento politico istituzionale dei caratteri di questa congiuntura, ovvero sancendo un processo di esecutivizzazione che oggi passa nei fatti attraverso il rafforzamento dell’equilibrio in favore delle forze politiche che se ne fanno carico (la DC in primo luogo). Una politica dei fatti compiuti che a livello generale investe gli stessi organi dello Stato dalla magistratura alla Corte Costituzionale, una costante politica delle emergenza in materia di ordine pubblico; dalla modifica nel legiferare delle due camere, alle procedure per l’approvazione delle leggi soprattutto in materia finanziaria così da rigidamente centralizzare e indirizzare le politiche di bilancio, e con la guerra è probabile che potranno essere rivisti gli investimenti già previsti in opere pubbliche tesi a stimolare l’economia per far fronte alla stagnazione economica a favore del bellico come possibile volano dell’economia. Una politica dei fatti compiuti evidente anche nella gestione della politica estera. Tra i primi regali non richiesti fatti da questo costituente regime c’è l’entrata in guerra. Una guerra decisa dall’Esecutivo solo per far fronte agli impegni derivanti dall’integrazione nella catena imperialista, nella coscienza che l’interesse del singolo Stato può essere realizzato nella misura in cui partecipa all’interesse generale della catena imperialista, della sua leadership, e imposta alla ratifica parlamentare con l’eufemismo di “operazione di polizia internazionale”, di generico impegno militare.
Un susseguirsi di interventi che devono essere assestati contemporaneamente e su più piani, che evidenzia la debolezza politica su cui si regge l’attuale Esecutivo. Questo perché in mancanza di ulteriori modifiche istituzionali atte a mantenere la stabilità politica necessaria, è il peso dello scontro tra le classi a determinare in ultima istanza tipo e modalità di costruzione degli equilibri politici possibili tra le forze del costituente regime.
Un quadro politico, altamente instabile e contraddittorio che vede ancora oggi nella DC la forza politica che più si fa carico di operare strappi nei rapporti politici e di forza complessivi, in ciò avvalendosi di tutta la sua esperienza antiproletaria e controrivoluzionaria in continuità con il suo ruolo di rappresentante più fedele dell’interesse generale della borghesia imperialista nel nostro paese. Vi è continuità e avanzamento in questo suo modo con le fasi precedenti, ma la differenza è sostanziale, a parte le similitudini e le analogie con l’uso riaggiornato della strategia della tensione, poiché ciò avviene in un contesto di crisi generalizzata e in più nel quadro di tendenza alla guerra approfondita dalla maturazione di diversi ordini di contraddizioni. Nella smania di tirare bilanci storici a conclusione di un “ciclo costituzionale”, rileggendo lo sviluppo dello scontro di classe in Italia per potervi far gravare oggi maggiormente, cioè per come esso si dà in questa fase, lo Stato e la DC arrivano a rivendicare l’attività terroristica condotta nell’arco di questi quarant’anni nei confronti del campo proletario, recuperando la sostanza delle feroci politiche antiproletarie e controrivoluzionarie che hanno caratterizzato i diversi momenti di transizione nella ricerca della stabilità possibile nel modo di governare il paese.
Questa operazione politica, nel contesto di un insieme di pressioni, costituisce il punto di più alta tensione messo in campo dall’Esecutivo. Un peso immesso nello scontro non come mera legittimazione del passato, ma per condizionare da un lato i futuri termini politici nel governo del conflitto di classe, soprattutto rispetto all’espressione della sua autonomia politica, dall’altro per determinare su questo lo schieramento istituzionale, uno schieramento sulla natura controrivoluzionaria ed antiproletaria dello Stato affinché le istituzioni politiche ne assumano pienamente l’impronta e il portato. Ciò chiarisce quanto la natura della “crisi costituzionale” e al suo interno l’operato dell’Esecutivo, non siano riferiti semplicemente ad una ridefinizione degli assetti interni all’arco delle forze politiche borghesi, a maggior ragione considerando i terreni su cui si stanno articolando le iniziative dello Stato. A fianco di vere e proprie campagne di criminalizzazione e di intimidazione delle istanze che scaturiscono dal montare del conflitto di classe, vivono gli attacchi di carattere politico alla sostanza che ha informato lo scontro di classe nel nostro paese, un piano questo che si riferisce alla più generale attività dello Stato tesa a preparare le condizioni che servono da premessa per la ridefinizione dell’impianto costituzionale, che perciò richiede la rimessa in discussione totale dei rapporti di forza tra proletariato e borghesia esistenti alle sue origini e per come si sono successivamente mutati, una esigenza per “soluzioni forti” che caratterizza l’atteggiamento della borghesia imperialista, che spinge e in parte si fa carico affinché siano rimodellate ulteriormente in suo favore le relazioni tra le classi. In questo senso è fautrice della “politica delle mani libere” dell’Esecutivo affinché meglio risponda con politiche di supporto anticrisi e di diretto appoggio ai processi di concentrazione monopolistica, ottemperando nello stesso tempo al controllo del conflitto di classe.
Il drastico impatto della crisi economica, il suo grado di approfondimento generalizzato a tutti i paesi capitalistici, ha generato una recessione che non eguali dal dopoguerra e in questa fase, che è solo quella iniziale, ha già toccato tutti gli indici economici, sia relativi alla produzione dove tutti i comparti ne sono interessati anche se a diversi livelli (e quelli ad alta tecnologia sono i primi della lista), sia rispetto alla circolazione delle merci, alla stessa capacità di assorbimento del mercato interno, ecc. In questo contesto la riduzione della produzione è in gran parte chiusura di molte fabbriche, espulsione massiccia di forza-lavoro, contestualmente al maggiore sfruttamento degli occupati. Questi fattori, uniti alla riduzione di tutte le “spese sociali” provocano il generale impoverimento e processi di proletarizzazione (che toccano anche fasce sociali intermedie).
Questi termini economici che condizionano le scelte dello Stato, determinano l’indirizzo programmatico sul piano economico, politico e sociale all’interno del paese, nonché rispetto ai processi di coesione politica nell’Europa occidentale. La concretizzazione di questi programmi fa emergere immediatamente l’oggettiva riduzione degli ammortizzatori economici che in generale tendono a ridurre l’impatto della crisi in termini di costi sociali. Un fattore che interagendo con le contraddizioni proprie dello scontro di classe nel nostro paese rende assai critico l’ammortizzamento politico, elemento questo su cui si gioca la risoluzione del problema della governabilità, nell’impossibilità sempre più esplicita di dare rappresentanza, anche solo formalmente, agli interessi di classe nella democrazia rappresentativa. Su questo piano materiale si colloca il mutamento di ruolo dei partiti revisionisti: a partire dal restringimento oggettivo, legato alla crisi economica, degli spazi per la politica riformista unitariamente al ridimensionamento politico avvenuto di riflesso ai rapporti di forza mutati a sfavore della classe, nel ruolo che i revisionisti vanno ad assumere, pur condizionato da equilibri politici saldamente in mano alle forze di maggioranza, è nello stesso tempo prodotto di scelte politiche tutte interne al mantenimento di questo Stato e del sistema capitalistico. E’ dentro questa dinamica che il partito di Occhetto tenta di rincorrere la borghesia imperialista sui suoi stessi terreni di intervento privilegiato. Per l’ormai ex-PCI si tratta di guadagnare gli spazi politici che gli consentano di partecipare alla definizione dei nuovi caratteri delle relazioni tra le classi, e questo può avvenire solo inserendosi a pieno titolo nel clima lealista verso la borghesia imperialista date le mutate condizioni del modo di effettuare la mediazione politica tra classe e Stato, condizioni che lo hanno schiacciato entro un ruolo di demagogico garante democratico del regime. E più la borghesia sfodera la sua arroganza nella gestione offensiva delle contraddizioni di classe, più si riducono gli spazi di agibilità per le “rappresentanze istituzionali” della classe, spostando la risoluzione dei contrasti ad un livello più alto e funzionale ai disegni del grande capitale e della sua classe dirigente insediata nell’Esecutivo. Ovvero: quanto più forte si fa il peso dell’iniziativa dello Stato nello scontro di classe, tanto più si riduce lo spazio del revisionismo, costringendolo ad appiattirsi sulle posizioni borghesi e a favorire attivamente (pur nella sua contraddittorietà) l’avvicinamento della svolta alla IIa Repubblica.
E’ nel contesto di questa dinamica più generale e principalmente in rapporto ad uno scontro di classe mai pacificato che si innesta l’ulteriore approfondimento del piano controrivoluzionario inteso nei suoi termini politici generali quale contrappeso obbligato per la governabilità del conflitto di classe. Quello che si tenta di affermare nel paese con la rifunzionalizzazione dello Stato è uno sviluppo della democrazia rappresentativa nell’unico modo possibile in questa fase di crisi dell’imperialismo che obbligatoriamente deve procedere con esecutivi fortemente centralizzati, con una natura e un carattere antiproletario e controrivoluzionario. Non si tratta di una gestione forzosa a fronte di una situazione eccezionale e congiunturale. L’irrigidimento degli apparati ed istituti preposti alla mediazione politica è funzionale alla borghesia imperialista e al suo Stato. Nella realtà la dinamica innestatasi fa riferimento all’approfondimento delle forme di dominio borghese nella misura in cui tende a svincolare il governo della società dalle spinte antagonistiche che si producono, come prodotto e sanzione sul piano giuridico-formale delle forzature che vengono operate nelle relazioni politiche tra classe e Stato, incorporando nella controrivoluzione preventiva (dato qualificante le moderne democrazie) i livelli di controrivoluzione maturati nello scontro di classe rivoluzionario interno e internazionale. I caratteri reazionari pur presenti, sono la forma di metodi di governo che non sono tesi a riproporre il passato, semmai portano all’estremo i termini della democrazia formale (esplicativa in questo senso è l’espressione “democrazia governante” usata dalle forze borghesi), pur implicando sostanziali modifiche degli organi propri dell’apparato statale. Un processo di evoluzione dei caratteri dello Stato che in Italia assume questa particolare natura alla cui problematicità concorre il fatto che il modello della democrazia rappresentativa che si è storicamente sviluppata non ha effettuato il salto qualitativo alla “democrazia compiuta” di stampo europeo, cioè all’espressione più matura della forma di dominio della borghesia imperialista relativa ad un paese a capitalismo avanzato. I tentativi di realizzare nel nostro paese questo modello si sono dimostrati inapplicabili non solo per le peculiarità storiche della borghesia nostrana e dello Stato, ma soprattutto per il contesto degli equilibri politici e di forza tra le classi. Progetti che intendevano garantire la governabilità e funzionalità della dittatura borghese a fronte del forte scontro politico e sociale e all’esistenza del processo rivoluzionario organizzato e diretto dalle BR, il loro ripiegamento è dovuto proprio all’attacco portatogli dall’avanguardia combattente e dall’autonomia di classe che non ha permesso il consolidarsi delle condizioni politiche favorevoli a queste soluzioni, questo malgrado la spinta controrivoluzionaria dello Stato che, tuttavia, non ha potuto fornirgli una base di forza sufficiente per imporli. Il sopravanzare delle necessità oggettive che la crisi mette in primo piano ha portato ad accantonare la velleità di realizzare in modo lineare e indolore i processi di rifunzionalizzazione dello Stato più lungimiranti, più consapevoli dei caratteri contraddittori insiti nel governo del conflitto di classe e nella svolta che si è determinata in questi ultimi anni; che procede attraverso ampie lacerazioni nel quadro politico istituzionale quale riflesso delle più profonde contraddizioni che si sono aperte nello scontro di classe. Le modalità di affrontamento delle contraddizioni da parte dell’Esecutivo, se da un lato mostrano la durezza dei mezzi per imporre l’attuazione dei programmi adottati, nello stesso tempo sono espressione dei limiti politici, limiti che evidenziano l’impossibilità di ricucire politicamente ogni ordine di contraddizioni che scaturiscono dallo scontro concreto e che, per i caratteri della fase, attraversano ogni aspetto della società, per questo la crisi politica produce e condiziona il nascente regime ed è appunto l’altra faccia della medaglia dei processi che materialmente sono già dentro alla seconda Repubblica.

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Il 17 gennaio si è scatenata l’aggressione imperialista al popolo irakeno, a tutte le masse arabe. Una guerra che avrà pesanti ripercussioni negli stessi processi di rifunzionalizzazione dello Stato e nello scontro di classe e rivoluzionario, non solo per la partecipazione diretta dello Stato italiano a questo conflitto, ma soprattutto per la caratterizzazione di questa guerra che, per quanto oggi sia delimitata territorialmente, sul piano politico si irradia su tutti i piani delle contraddizioni divaricandoli: da quello Est-Ovest, a quello Nord-Sud ed anche a quello proletariato-borghesia. Se non si possono prevedere le contraddizioni di ritorno provocate da questo conflitto, si possono invece vederne fin da subito le direttrici a partire dall’individuazione dei caratteri generali di questa guerra. In questo senso meritano due parole anche i vecchi e nuovi guerrieri dela propaganda apologetica borghese, paladini del ristabilimento del “diritto internazionale violato” a garanzia di una prima applicazione del “nuovo ordine mondiale” scaturito dalle “ceneri del comunismo” dal post guerra fredda. Se questo vociare può essere liquidato come mera propaganda bellica, non lo sono invece gli effetti dei turbinosi avvenimenti (che apparentemente danno anche sostegno a questa propaganda) di questi ultimi due anni, perché è da una loro lettura fenomenica che si basano valutazioni riduzioniste di questo conflitto.

Ciò che viene ripetuto e presentato in tutte le salse e da fonti apparentemente opposte è, da un lato, la malcelata soddisfazione di aver vinto la guerra fredda e, dall’altro, l’esaurirsi pacifico della divisione del mondo in blocchi contrapposti. Un’era di pace, di consenso mondiale che permetterà di “superare i divari economici” e “regimi dittatoriali che affliggono l’umanità” e tanti altri “buoni intendimenti” del genere. Perciò, nell’interesse della borghesia imperialista, la guerra del Golfo viene presentata come una legittima e sacrosanta iniziativa per preservare la pace, le conquiste e la superiorità morale della democrazia occidentale.
Ma, vediamoli da vicino questi molto presunti “vincitori della terza guerra mondiale senza sparare un colpo”, perché proprio nella crisi economica che li rode sta il motore che muove in ultima istanza la catena imperialista alla ridefinizione degli equilibri internazionali per una nuova divisione del lavoro, dei mercati e delle sfere di influenza, in sintesi: la necessità di distruggere capitali, forza lavoro e mezzi di produzione in eccedenza. Indubbiamente la spinta e la guida delle necessarie forzature sono venute dagli USA proprio in quanto paese con un capitalismo maggiormente sviluppato e, quindi, con una concentrazione superiore di contraddizioni e squilibri che hanno indotto politiche aggressive, così ben rappresentate dall’amministrazione Reagan, miranti non solo a ridimensionare l’altro blocco, ma anche a rimarcare la propria supremazia sull’intero mondo capitalistico. La guida degli USA si è riproposta in modo chiaro con la scelta di avere nella produzione bellica il volano dell’economia con il rastrellamento di capitali attratti dagli alti tassi di interesse, finanziando così anche le nuove acquisizioni nel campo delle alte tecnologie da sempre intrecciate al bellico, il controllo delle quali è veicolo e garanzia della propria centralità.
La recessione che oggi investe tutto il mondo capitalistico è derivata anche da queste scelte USA, e ha avuto proprio negli Stati Uniti il suo inizio e la maggiore virulenza e conferma del fatto che la crisi del modo di produzione capitalistico è talmente acuta per cui: oltre a restringersi il campo delle varie possibili risposte di politica economica, la loro applicazione, al di là di risultati immediati nella congiuntura specifica, non portano ad un suo risolversi, ma al contrario ad un suo approfondimento e dimostra come il rafforzarsi della tendenza alla guerra imperialista che ne consegue, non sia marginale o accidentale (anche se il casus belli può essere frutto di circostanze), ma conseguenza inevitabile dato che l’imperialismo ha nella guerra il modo storicamente ricorrente di rispondere alle sue crisi più gravi. E’ questo il motore principale che spinge l’imperialismo a sfondare e a ridefinire gli equilibri usciti da Yalta; passaggi recenti nelle relazioni internazionali che solo ad uno sguardo superficiale possono far pensare ad un pacifico dissolversi della contraddizione Est-Ovest e, quindi, anche alla caduta della sua dominanza a livello mondiale. Ciò che sta avvenendo nelle relazioni Est/Ovest è una situazione ben diversa da quello che immagina chi parla molto a sproposito di un dissolversi della contraddizione Est-Ovest che invece risalta e si acutizza sempre di più. Pensare che le economie dell’Est possano essere linearmente inglobate con relativa facilità dall’occidente capitalistico, è saltare a piè pari la realtà di quei paesi, URSS in particolare. In realtà tutto mostra che il penetrare del capitale occidentale, i maggiori rapporti col mercato mondiale determinano l’esplodere e l’approfondirsi delle contraddizioni (anche tra borghesia e proletariato). L’imperialismo non mira tanto a migliorare i rapporti economici, gli interscambi, il grado di compartecipazione nelle imprese dell’Est, ma a rovesciarle come un guanto per costruire le condizioni più idonee al grande capitale monopolistico multinazionale.
Lo sfondamento di una superpotenza a danno dell’altra in questo contesto di crisi-recessione è un passo concreto nel cammino della tendenza alla guerra.
E’ in questo quadro di recessione economica e di modifica dei rapporti di forza tra Est e Ovest che si inserisce la “crisi del Golfo” non come variabile a sé, un incidente di percorso sulla strada aperta dall’ “idilliaco 1989”, ma come momento di rottura di equilibri politici preesistenti nell’area perseguito dall’imperialismo in questa congiuntura politica a lui favorevole. Che la “liberazione del Kuwait” sia mera foglia di fico a copertura delle reali mire imperialiste, è solo una constatazione dimostrata anche dal rapido dispiegamento militare di dimensioni mai viste dalla fine della IIa Guerra Mondiale, così come dall’acquiescenza agli USA degli Stati europei dove l’intervento operato da Washington contro l’Irak ha avuto una pronta risposta in sede Nato e Cee rimarcando, tra l’altro, quanto siano velleitarie e demagogiche le ipotesi terzaforziste della coesione politica europea, come essa non sia affatto un controbilanciamento all’egemonia statunitense, ma invece un processo tutto interno alla maggiore integrazione della catena imperialista. Gli obiettivi nemmeno tanto celati dell’aggressione al popolo irakeno sono la “normalizzazione” imperialista e sionista di tutta l’area mediorientale, un’area che sostanzialmente è rimasta fuori dalla definizione delle aree di influenza dei blocchi fatta a Yalta, con le sue risorse energetiche, la sua posizione geografica che consente il controllo di importanti rotte tra i continenti, le lotte di liberazione contro la presenza dell’imperialismo anglo-francese, l’innesto di un corpo estraneo, lo Stato sionista, causa scatenante delle successive guerre con i paesi arabi e della pluridecennale lotta dei palestinesi per la riconquista della tessa invasa dai sionisti. Per questo l’aggressione imperialista-sionista è rivolta contro tutte le masse arabe e non certo il solo regime irakeno, e influenza gli equilibri politici fra e negli Stati di una vasta area geografica che arriva fino all’Atlantico, per questo la questione del controllo nella produzione del petrolio, pur nella sua importanza, risulta essere poco più di un pretesto e a ciò basti una semplice constatazione: non sono certo i produttori di materie prime che fissano prezzi e quote di produzione!
I rapporti capitalistici hanno da tempo penetrato la regione determinando un rapporto di dipendenza che è quello caratteristico Nord-Sud con la subordinazione alle sue tecnologie e con lo scambio ineguale delle materie prime. Una condizione economica di dipendenza che negli ultimi quarant’anni ha influenzato vasti e marcati sommovimenti politici e sociali con importanti rotture rivoluzionarie dal giogo imperialista, attraverso movimenti politici che si richiamano al panarabismo, ad uno sviluppo economico-sociale più consono alle tradizioni e alla realtà araba e al coagulo delle masse arabe contro l’imperialismo. Per questo l’aggressione imperialista, pur non essendo una guerra del “Nord” contro il “Sud”, fa emergere tale contraddizione con tutta la sua potenzialità di emancipazione rivoluzionaria per i popoli della periferia.
Una guerra imperialista, quindi che è sia il prodotto dello sviluppo-crisi dell’imperialismo, e che perciò attraversa la contraddizione proletariato-borghesia, sia l’effetto dei mutati rapporti di forza fra Est e Ovest e che agisce avendo sullo sfondo la contraddizione Nord-Sud. Un insieme di fattori economico-politico-sociali che fanno di questa guerra il possibile detonatore di una IIIa Guerra Mondiale, al di là dell’esito militare di questa battaglia, anche se non in una sua meccanica evoluzione ad un conflitto mondiale. Ciò non tanto per la reale possibilità che vengano usate dai criminali imperialisti-sionisti bombe atomiche più o meno tattiche, ma proprio per le ragioni di fondo che hanno reso possibile questa guerra, per lo scenario geopolitico e sociale su cui essa si svolge. Non si tratta perciò genericamente di essere contro la guerra, di dolersi per gli efferati crimini che sta commettendo la borghesia imperialista, d’altronde dove vige il credo statunitense delle “guerre di bassa intensità” esse sono comunque ad alta intensità di cadaveri senza ricorrere a sofisticati mezzi bellici, ma di attrezzarsi e combattere fin da subito questa aggressione imperialista col fine di trasformare la guerra imperialista in rivoluzione proletaria, l’unica che garantisce progresso e pace. L’enorme schieramento militare, la potenza distruttrice che oggi si abbatte sul popolo irakeno, se per un verso dimostra la grande potenza tattica dell’imperialismo, dall’altro fa risaltare il suo essere obbligato dal procedere della crisi del modo di produzione capitalistico ad intervenire nel modo più pesante in ogni angolo della terra, dimostrando quindi la sua debolezza strategica. In quei deserti, in quei mari, di fronte al popolo arabo corre il serio pericolo e concreto rischio di dimostrare giustezza e materialità della parola d’ordine: l’imperialismo è una tigre di carta…..

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I limiti politici che costituiscono un aspetto dell’attuale rapporto tra lo Stato e la resistenza proletaria e che fanno del governo dello scontro il nodo che determina la praticabilità o meno di ogni misura si inquadrano: dal più generale riassetto delle istituzioni, agli interventi controtendenziali alla crisi, alla regolamentazione del rapporto capitale-lavoro. Lo scontro che si sviluppa su questo piano si gioca su molteplici aspetti, sia in fabbrica con l’intimidazione e criminalizzazione a livello giuridico, padronale e delle gerarchie sindacali, dell’avanguardia operaia, sia sul piano politico attraverso le relazioni tra confindustria, sindacato e Stato, ratificando il neocorporativismo instaurato nell’84 a partire dal ruolo dei sindacati compartecipi dei programmi governativi e padronali e del ruolo che va ad assumere l’Esecutivo nella trattativa, venendo a cadere anche formalmente la sua parte di mediatore.
L’obiettivo della pacificazione con la controrivoluzione degli anni ’80 si è rivelato irrealizzabile perché non ha potuto sradicare la portata politica e rivoluzionaria sedimentata dalle BR nello scontro, né per questo ridimensionare drasticamente il peso dell’autonomia politica di classe. Per questo il ripiegamento avvenuto non ha potuto significare l’azzeramento delle condizioni dello scontro, né sul piano politico generale, né sul piano rivoluzionario, ma ha significato l’approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione. E’ QUESTO IL DATO POLITICO CENTRALE CHE INFORMA LO SCONTRO DI CLASSE E LA GESTIONE DEL CONFLITTO PER PARTE DELLO STATO. In questo senso si comprende quanto la natura controrivoluzionaria della sua offensiva in questa fase sia relativa alla necessità di inibire il portato strategico della prospettiva rivoluzionaria nel movimento di resistenza proletario.
Lo scontro che si è delineato nel paese per queste ragioni ha caratteristiche di dinamicità e complessità che non permettono di definire i rapporti di forza che consentano allo Stato di ratificare globalmente una situazione di svolta nelle relazioni tra le classi. In questo senso si comprende perché le modalità di governo dello scontro assumono anche termini di “ordine pubblico” nell’affrontare la resistenza opposta dal movimento di classe all’imposizione dei programmi della borghesia imperialista. Il carattere della lotta che si sviluppa tra la resistenza proletaria e lo Stato, nonostante il portato di maturità che si esprime nelle forme di mobilitazione, ripropone una questione ineludibile, oggi come ieri, sui suoi possibili sviluppi, perché è un dato indiscutibile che il movimento di lotta in sé non può risolvere il problema più generale dell’avanzamento dello scontro verso l’affermazione degli interessi generali del proletariato poiché per sua natura, pur pesando sui termini dello scontro, non è in grado di incidere laddove si rideterminano gli equilibri politici e di forza fra campo proletario e Stato. Un piano che solamente il terreno d’organizzazione posto dalla guerriglia alle espressioni di autonomia di classe del movimento proletario può portare a risoluzione come solo modo storicamente possibile per incidere al punto più alto dello scontro. In questa dimensione, oggi più di ieri, il solo sbocco che consente di influire e pesare sui termini dello scontro si riconferma essere con forza il terreno della lotta armata, l’unico in grado di ricondurre sul piano del potere la dinamica di lotta e resistenza che si matura tra classe e Stato, e quindi di rompere le gabbie istituzionali, padronali e revisioniste che la controrivoluzione preventiva ha reso termine costante di incanalamento e di controllo delle tensioni e bisogni politici per tutte le espressioni del movimento di classe.
A dimostrarlo sono venti anni di prassi rivoluzionaria, ma sono soprattutto gli anni difficilissimi dall’80 ad oggi, in cui l’attività delle BR ha costituito il fattore fondamentale nella tenuta-consolidamento del campo proletario contro lo Stato. Al lato del proletariato si è sviluppata una dinamica che tende al superamento dei momenti difensivi e di resistenza relativi agli anni ’80 pur dentro ad un’evoluzione frammentata e discontinua, ma che ha assunto in quest’ultimo periodo caratteri di estesa resistenza richiamandosi ai tratti più maturi del movimento di lotta operaio e proletario, nello specifico a quelli della sua autonomia politica. In altri termini l’opposizione di classe si è trovata di fronte alla necessità di riadeguare e ricostruire forme di lotta e di organizzazione autonoma che superino gli steccati e le gabbie politico-istituzionali entro cui si vorrebbe relegare il movimento di resistenza.
Al lato della sua avanguardia combattente, le BR, il processo di riadeguamento complessivo ai problemi posti dallo scontro, è stato affrontato nello stesso scontro con i nodi principali di contraddizione tra classe e Stato, riadeguamento che ha consentito di misurarvisi con maggiore coscienza seppur dentro un percorso non lineare. Le BR nella disarticolazione portata con l’attacco ai progetti dello Stato che si contrapponevano alla classe in termini dominanti ne hanno determinato il relativo ripiegamento e, nello stesso tempo, hanno dato avanzamento alla progettualità rivoluzionaria, tendendo a consolidare il grado di maturità raggiunto dallo scontro dentro al necessario termine politico-militare di organizzazione delle forze sul terreno della lotta armata nelle forme e nei modi calibrati alla fase. In questo processo le BR hanno rilanciato la prospettiva della guerra di classe di lunga durata, nello stesso tempo e di riflesso hanno contribuito ad immettere nel movimento di classe i contenuti più avanzati che vivono nello scontro, da un lato relativi alla contraddizione principale in questa fase tra classe e Stato, ossia il piano politico-istituzionale che informa le relazioni tra le classi nei processi evolventi alla IIa Repubblica, dall’altro, relativi al rilancio dell’antimperialismo con la proposta di una politica di alleanze con altre forze rivoluzionarie nel Fronte Combattente Antimperialista. Un processo che ha maturato le condizioni di fondo affinché sia possibile sostenere lo scontro prolungato con lo Stato, e in prospettiva, rovesciare i rapporti di forza attualmente in favore della borghesia imperialista.
La questione fondamentale che si è evidenziata all’interno di questo processo di maturazione è la forza determinante della strategia della lotta armata come asse portante e propulsivo del processo rivoluzionario, come fattore strategico guida per lo stesso processo di riadeguamento della guerriglia; per questo le BR nel mantenimento e riferimento costante alle discriminanti dell’impianto di base hanno potuto ridefinire i compiti attuali inerenti alla conduzione della guerra di classe dentro alla fase generale di Ritirata Strategica.
All’interno di questo dato più generale la questione dell’organizzazione stessa della guerriglia nelle condizioni odierne dello scontro è il perno su cui necessariamente ruota il processo di aggregazione delle avanguardie di classe che vogliono misurarsi con lo scontro rivoluzionario. In altre parole l’organizzazione delle avanguardie e delle forze proletarie sul terreno della lotta armata, in queste condizioni dello scontro, è una delle questioni principali a cui intende dare soluzione la parola d’ordine della ricostruzione, che è nello stesso tempo caratteristica di questa fase rivoluzionaria la quale mira a ricostruire le condizioni politiche e militari relative a sostenere e far avanzare la guerra di classe all’interno dei presupposti generali che impone la Ritirata Strategica, vale a dire dentro ad una attività prevalentemente tesa al ripiegamento delle forze, mantenendo e rilanciando nel contempo la capacità offensiva della guerriglia. Il lavoro di ricostruzione deve relazionarsi col principio politico della centralizzazione nella disposizione-organizzazione delle forze in campo, quale salto di qualità a livello della direzione rivoluzionaria imposto dall’approfondimento dello scontro: la centralizzazione delle direttive politiche sull’intero movimento delle forze e la decentralizzazione delle responsabilità politiche alle diverse sedi e istanze organizzate è il principio che consente di muovere le forze dentro un piano di lavoro definito intorno all’iniziativa d’avanguardia per incidere adeguatamente nello scontro. La ricostruzione è un termine di linea politica che può vivere solamente all’interno dell’indirizzo programmatico più complessivo così articolato: attacco allo Stato, che in questa fase è sempre relativo ai processi di rifunzionalizzazione dello Stato tesi a modificare profondamente le relazioni politiche tra le classi; attacco alle politiche centrali dell’imperialismo, lavorando allo stesso tempo alla costruzione-consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista all’interno di una polotica di alleanze delle forze rivoluzionarie che agiscono nella nostra area geopolitica, al fine di indebolire e ridimensionare il nemico comune.
Ai processi di guerra cui lo Stato italiano concorre pienamente, a quelli antiproletari e controrivoluzionari, oggi come ieri si contrappone lo sviluppo della guerra di classe, l’attualità politico-strategica della lotta armata come solo terreno concreto e praticabile per dare soluzione agli interessi generali del proletariato in alternativa alla crisi della borghesia imperialista.
Come militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente e militanti rivoluzionari prigionieri non riconosciamo alcuna legittimità a questo tribunale e allo Stato che qui rappresenta. Dei nostri atti politici rispondiamo solo alle Brigate Rosse e, attraverso esse, al proletariato di cui sono l’avanguardia comunista combattente. Di conseguenza il solo rapporto che esiste tra noi e questo tribunale è quello che si instaura tra la guerriglia e lo Stato: un rapporto di guerra. Altro non ci riguarda.

- ATTACCARE E DISARTICOLARE I PROGETTI CONTRORIVOLUZIONARI E ANTIPROLETARI DI RIFUNZIONALIZZAZIONE DELLO STATO
- COSTRUIRE E ORGANIZZARE I TERMINI ATTUALI DELLA GUERRA DI CLASSE
- ATTACCARE I PROGETTI IMPERIALISTI DELLA COESIONE POLITICA EUROPEA E DI “NORMALIZZAZIONE” DELL’AREA MEDIORIENTALE
- LAVORARE ALLE ALLEANZE NECESSARIE PER LA COSTRUZIONE-CONSOLIDAMENTO DEL FRONTE COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA PER INDEBOLIRE E RIDIMENSIONARE L’IMPERIALISMO NELL’AREA
- TRASFORMARE LA GUERRA IMPERIALISTA IN RIVOLUZIONE PROLETARIA
- ONORE AI COMPAGNI E COMBATTENTI ANTIMPERIALISTI CADUTI!

I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente:
G. Armante, M. Cappello, T. Cherubini, A. De Luca, A. Fosso, F. Galloni, E. Grilli, F. Grilli, F. La Maestra, F. Lori, R. Lupo, F. Marini, F. Matarazzo, S. Minguzzi, F. Ravalli.
I militanti rivoluzionari organizzati intorno alle Brigate Rosse D. Bencini, C. Pulcini, V. Vaccaro, M. Venturini.

Roma, gennaio 1991

Documento allegato agli atti dei seguenti processi tenuti contemporaneamente in tre sezioni della Corte di Assise di Roma:
- processo di appello per “banda armata” (IIa Sezione)
- processo di primo grado per “banda armata” (IIa Sezione)