Biblioteca Multimediale Marxista


I comunisti e l’insurrezione
(1943-1945)


 

 

Antologia di articoli di Pietro Secchia sulla lotta di liberazione nazionale in Italia contro il nazi-fascismo

Quaderno n.2 del Centro di Documentazione Krupskaja

Le organizzazioni combattenti del Partito Comunista Italiano

Brigate partigiane

In Italia il termine “brigata” fu correntemente adottato da tutte le formazioni di una certa consistenza numerica, praticamente sostituendo nell’uso il termine “banda”, fino a diventare sinonimo di “formazione partigiana”. Il nome richiamava le imprese di Garibaldi e dei suoi volontari, ma anche quelle più recenti delle Brigate Internazionali costituite in difesa della Repubblica spagnola durante la guerra civile del 36-39.

Le brigate Garibaldi

Le brigate Garibaldi facevano capo a un comando unico, la direzione e la composizione era comunista. I distaccamenti d’assalto Garibaldi costituivano le unità-base: si componevano di nuclei con 5-6 combattenti ciascuno, 2 nuclei costituivano la squadra, 4-5 squadre il distaccamento, che quindi comprendeva al massimo 40-50 uomini. Dalla prima brigata operante in Friuli già nel settembre del 43 e dalle 2 sorte in Piemonte qualche mese dopo, si arriverà a 14 nella primavera del 44’, a centinaia alla vigilia dell’insurrezione nazionale. Le brigate Garibaldi si imposero come modello a tutte le altre formazioni che, sul loro esempio, ne adottarono la struttura, i criteri operativi e persino la terminologia. Le brigate Garibaldi ebbero un loro periodico IL COMBATTENTE, il cui primo numero uscì nell’ottobre 1943.

I GAP, Gruppi di azione partigiana

Costituiti per iniziativa delle Brigate Garibaldi alla fine del 1943, erano piccoli gruppi di comunisti, 3-4 uomini: un caposquadra, un vice caposquadra, e due gappisti. Estremamente coraggiosi, compivano sabotaggi e giustiziavano i nemici nel cuore della città, a differenza delle brigate partigiane che agivano in montagna o in collina. In ogni città esistevano parecchi gruppi.

Le SAP, Squadre di azione patriottica

Erano costituite da operai e contadini, i quali, senza passare alla clandestinità, operavano preferibilmente di notte sabotando o colpendo crumiri e nemici, mentre di giorno svolgevano una normale attività di agitazione e propaganda nel luoghi di lavoro.


Agire subito

Da LA NOSTRA LOTTA, novembre 1943 n.3-4

Affiorano qua e là tendenze a non lottare subito contro i tedeschi e contro i fascisti, e specialmente contro i tedeschi perché, si dice:
a) alle nostre azioni d’importanza scarsa e limitata i tedeschi reagiranno col terrore; per un loro morto ce ne saranno venti nostri, per un magazzino distrutto brucerà un intero villaggio.
b) perché ben poco di utile potremmo noi fare ora; bisogna attendere che gli angloamericani siano vicini, allora si, sarà possibile intervenire nella lotta utilmente.
c) perché la nostra organizzazione politica e militare è debole; se agiamo subito prima di esserci consolidati la reazione che provocheremo ci stroncherà e liquiderà la nostra organizzazione.

Orbene, tutti questi ragionamenti sono completamente errati dal punto di vista politico, organizzativo e militare. Essi manifestano incomprensione politica, incertezza, titubanza, esitazione di fronte ai compiti dell’ora, quando non sono espressioni di vero e proprio opportunismo. In tutti i casi queste tendenze, nella pratica, manifestano ritirata, capitolazione di fronte al nemico.
E’ necessario agire subito e ampiamente contro i tedeschi e contro i fascisti, contro le loro cose e le loro persone, è necessario lottare con tutti i mezzi, dal sabotaggio della produzione e delle macchine, dei mezzi di trasporto, all’interruzione e devastazione delle linee telegrafiche, telefoniche, elettriche, all’incendio di depositi, magazzini, rifornimenti, ai colpi di mano su posti e comandi tedeschi, ecc…
E’ necessario agire subito ed il più ampiamente possibile. In primo luogo, per poter abbreviare la durata della guerra e liberare al più presto il popolo italiano dall’oppressione fascista e tedesca. L’azione dei partigiani deve diventare l’azione di tutto il popolo italiano. Se ogni italiano degno veramente di questo nome si propone di fare ogni giorno qualche cosa contro i tedeschi, questo –qualche cosa-, anche se limitato dal punto di vista del singolo, sommato a tutte le azioni degli altri individui, assumerà una così immensa importanza da impegnare grandi forze avversarie e da condurre in modo decisivo ad accelerare la catastrofe dei tedeschi e dei fascisti.

In secondo luogo è necessario agire subito ed il più ampiamente possibile per risparmiare decine di migliaia di vite umane e la distruzione di tutte le nostre città e villaggi. E’ vero che la lotta contro i tedeschi ed i fascisti costerà sacrifici, vittime e sangue. Ma questa lotta è necessaria per abbreviare l’occupazione tedesca dell’Italia. Se con l’azione antitedesca il popolo italiano riuscirà ad abbreviare la durata della guerra di tre mesi ed anche un solo mese, si sarà ottenuto un risultato immenso, non soltanto dal punto di vista politico, ma essenzialmente dal punto di vista umano. Decine di migliaia di cittadini e di soldati saranno stati risparmiati, centinaia di villaggi e città saranno state salvate dall’incendio, dal saccheggio e dalla distruzione.

In terzo luogo è necessario agire subito ed il più ampiamente e decisamente possibile perché solo nella misura in cui il popolo italiano concorrerà attivamente alla cacciata dei tedeschi dall’Italia, alla sconfitta del nazismo e del fascismo, potrà veramente conquistarsi l’indipendenza e la libertà. Noi non possiamo e non dobbiamo attenderci passivamente la libertà dagli angloamericani. Il popolo italiano potrà avere un suo governo, il governo al quale da tanto tempo aspira, un governo non legato alle cricche imperialistiche reazionarie, solo se avrà lottato per la conquista dell’indipendenza e della libertà, solo se avrà dimostrato di avere la fora per imporre un suo governo.

In quarto luogo è necessario agire subito ed il più ampiamente e decisamente possibile per impedire che la reazione tedesca e fascista ossa dispiegarsi indisturbata. Se noi non passiamo subito all’attacco, i tedeschi il terrore lo faranno ugualmente. Essi lo stanno già facendo. Ogni giorno svaligiano case, derubano i passanti, saccheggiano depositi, magazzini, ammassi, depredano i nostri contadini, costringono i nostri operai ad andare in Germania, reclutano con la violenza i nostri soldati, commettono ogni sorta di delitti. Se noi non passiamo alla lotta subito, essi potranno arrecarci dei gravi e duri colpi, potranno indisturbatamente continuare a saccheggiare il nostro paese sino a radere al suolo le nostre città e distruggere fisicamente i suoi abitanti. Solo la nostra azione preventiva ed audace può far modificare i loro piani e disorganizzare la loro azione sino a stroncarla.

Infine è necessario agire subito ed il più ampiamente e decisamente possibile perché la nostra organizzazione si consolida e si sviluppa nell’azione. Non è vero che prima bisogna organizzarsi e poi agire, che se agiamo prima saremo stroncati. Se noi abbiamo delle organizzazioni a carattere militare che non agiscono, queste in breve tempo si disgregheranno e si scioglieranno. Invece l’azione addestrerà queste organizzazioni militari e le temprerà nella lotta, l’esperienza le rafforzerà e svilupperà. E’ dalla lotta e dall’esperienza che sorgeranno i migliori quadri di combattenti contro i tedeschi e i fascisti. Senza dubbio le nostre organizzazioni subiranno nel corso della lotta anche dei colpi, dei duri colpi, commetteranno forse degli errori, inizialmente, vi saranno delle debolezze, delle incertezze, ma attraverso alle azioni continue, giorno per giorno, al fuoco della vita e dell’esperienza pratica i nostri combattenti si formeranno e noi tutti miglioreremo e rafforzeremo la nostra lotta.

Impareremo ad agire con sempre migliore audacia e sicurezza, a colpire il nemico nei punti più vulnerabili, di sorpresa, impareremo a spostarci con grande celerità, a sfuggire il combattimento contro forze materialmente o numericamente superiori, impareremo in una parola a battere vittoriosamente il nemico ed infliggere gravi copi con perdite minime da parte nostra.
Questi sono i motivi per cui noi dobbiamo agire subito ed il più largamente e decisamente possibile. E’ necessario reagire energicamente contro coloro che ci accusano di voler scatenare il terrore tedesco in Italia, e che dicono che per non scatenarlo è necessario non far nulla. Costoro sono dei reazionari, sono dei fascisti sono dei filo nazisti.
Costoro, coscientemente o no, collaborano coi tedeschi. No, non siamo noi a scatenare il terrore tedesco, lo hanno scatenato coloro che hanno voluto la guerra, coloro che hanno voluto e sostenuto ‘alleanza tedesca con la Germania Nazista, coloro che hanno voluto e favorito l’occupazione dell’Italia da parte dei tedeschi. Del terrorismo tedesco sono responsabili coloro che predicano la rassegnazione, la passività coloro che aiutano e collaborano coi tedeschi rendendosi loro complici. Noi invece, agendo subito, organizziamo la resistenza, la difesa, la lotta contro il terrorismo tedesco, noi vogliamo impedire che centinaia di innocenti periscano e vengano trucidati dai tedeschi, volgiamo impedire che il terrore tedesco infierisca impunemente, noi, agendo subito, volgiamo affrettare la cacciata dei banditi tedeschi dall’Italia. Vogliamo al più presto liberare il nostro paese dal flagello del nazismo e del fascismo.
Abbiamo detto e ripetiamo che il compito essenziale, oggi, per il nostro partito, è la mobilitazione generale delle sue forze e delle forze popolari per la guerra di liberazione nazionale. Tutto il resto cade oggi in secondo ed in terzo piano; tutte le altre attività del partito devono confluire a questo scopo principale: la guerra contro i tedeschi e i fascisti.
A distanza di alcune settimane dalle direttive per la –mobilitazione generale-, ogni federazione provinciale comunista, ogni organizzazione comunista deve esaminare concretamente a che punto è la mobilitazione delle nostre forze nella propria località.
Primo: quanti nostri membri, facenti parte dei comitati federali, si sono arruolati ne partigiani o sono stati assegnati al lavoro militare?
Secondo: quanti membri dirigenti dei settori e delle zone, si sono arruolati nelle unità partigiane, sono divenuti commissari politici, ufficiali o dirigenti dei GAP?
Terzo: bisogna esaminare concretamente, cellula per cellula, quanti volontari alla guerra di liberazione ogni cellula ha già dato. Quanti compagni sono passati a far parte dei GAP, quanti dirigono un effettivo, quotidiano lavoro di sabotaggio nelle officine.
Non vi deve essere nessuna cellula che non dia i suoi volontari. Ed ogni cellula vi deve contribuire in rapporto alle sue forze. Si contribuisce non solo mandando i membri della cellula, ma reclutando i partigiani anche tra gli operai senza partito della fabbrica. Le officine FIAT, Breda, le Reggiane, la Galileo, devono poter dire: il tal gruppo di partigiani, il battaglione Garibaldi, Pisacane, Gramsci, è diretto, composto, alimentato da noi, dagli operai della nostra officina. Deve essere vanto e sano orgoglio per le cellule delle officine più importanti d’Italia poter dire: noi abbiamo costituito o abbiamo contribuito a costruire,, e ogni giorno alimentato con nuove reclute, un’unità partigiana. Deve essere un onore per gli operai della Breda, della Caproni, della FIAT, poter dire che l tale o tal altro combattimento è stato vittoriosamente sostenuto da formazioni partigiane appartenenti prima alle loro officine.
Quarto: ogni comitato federale, ad alcune settimane di distanza dalla –mobilitazione generale-, deve chiedersi con quante unità o gruppi militari dispersi ha preso contatto in questo mese, quanti ne ha attivizzati, quanti ne ha trasformati da gruppi disorganici di sbadati e –disertori- in vere e proprie unità combattenti contro i tedeschi ed i fascisti. Quanti di questi gruppi hanno dato l’adesione al Comitato di Liberazione Nazionale. Quanti di questi gruppi accettano le direttive del CLN e non riconoscono in Badoglio e nella monarchia il centro dirigente della lotta?(1)
Quinto: quanti sono i gruppi o le unità militari ancora non collegati, disorganizzati, mancanti del commissario politico, del dirigente politico, dei quadri ed elementi capaci di passare all’azione? Come fare per provvedervi urgentemente?
Sesto: quanto materiale, armi, munizioni, viveri, indumenti abbiamo raccolto e fatto pervenire, soprattutto fatto pervenire, a destinazione in questo mese ai partigiani? Che cosa possiamo proporci di fare di più nel prossimo mese? Quale federazione, quale nostra organizzazione ha pesato di fare pervenire per il 7 novembre ai partigiani dei pacchi regalo, del tabacco, dei viveri, dei giornali?
Settimo: ogni federazione deve esaminare quante sono, nella sua provincia, le località più importanti dal punto di vista delle comunicazioni, dei contraenti di truppe, dei depositi, delle vie di transito, ancora –sguarnite-, quali punti del fronte sono ancora privi di forze. Dove, in quale punto, in quale zona è necessario creare subito un’unità attiva e combattente di partigiani? Le località sguarnite, i punti deboli del fronte sono ancora certamente molti: bisogna subito scegliere i più importanti e provvedere a colpirli al più presto con la costruzione di nuove unità di partigiani.
Ottavo: quanti chirurghi, quanti medici abbiamo trovato da mandare nelle unità partigiane? Nessuno ancora? E’ una vergogna che i nostri eroici combattenti debbano restare senza cure. Dove sono gli intellettuali antifascisti? Come ha reso la nostra attività tra gli studenti, tra gli intellettuali, se noi oggi non siamo capaci di trovare un medico per curare i partigiani feriti, un’ingegnere per i lavori tecnici della difesa e dell’offesa?.
Nono: ogni comitato federale deve chiedersi: a quanti gruppi di partigiani siamo riusciti a far pervenire in questo mese la nostra UNITA’, IL COMBATTENTE, e quante volte abbiamo mandato questi giornali? Il nostro giornale è la guida politica, è l’animatore dei partigiani. Esso p il loro pane spirituale. Bisogna che il giornale non manchi ai nostri combattenti. Chi deve pensare a farlo pervenire loro, se non le nostre organizzazioni?
E coi nostri giornali, bisogna far pervenire ai partigiani anche i giornali quotidiani. Da essi possono talvolta trarre notizie del paese, dalla cronaca possono apprendere qualcosa sui loro, conoscenti, oltre al notiziario internazionale che, per quanto fascista e tedesco, permette sempre di conoscere abbastanza tempestivamente gli avvenimenti. Talvolta, una piccola, breve notizietta di cronaca, trascurabile per molti, può essere di grande importanza per il singolo interessato.
Decimo: quante federazioni hanno pensato di far pervenire ai partigiani degli apparecchi radio, anche solo degli apparecchi radio-riceventi, di quelli la cui vendita è libera e che si potevano facilmente acquistare? Ci si rende conto di che cosa significa per un’unità partigiana possedere un apparecchio radio?
Undicesimo: si pensa forse che è impossibile, che è inutile organizzare la posta per i partigiani? Ognuno ha provato che cosa rappresenta la posta per chi vive lontano dalla famiglia, e peggio ancora se isolato dal mondo. La posta in queste condizioni è un raggio di sole. E’ un compito assai difficile, sì, ma non impossibile organizzare la posta per i nostri partigiani, se non per tutti, almeno per una parte.
Intanto la posta in partenza che i partigiani inviano alle loro famiglie è possibile inviarla, previo un intelligente servizio di censura per impedire che degli inesperti ed ingenui diano indicazioni sulle località ove si trovano, oppure informazioni di interesse militare.
Per questo, basta organizzare la raccolta delle lettere e la loro spedizione di una città distante dai 150 ai 200 chilometri dalla località di operazione.
Più difficile è organizzare la posta in arrivo per i partigiani, ma anche questo non è impossibile, se pure non possiamo darne qui apertamente le indicazioni e i consigli.
Dodicesimo: ogni federazione, ogni settore, ha fatto o no il censimento degli iscritti? (il censimento degli iscritti si può e si deve fare senza raccogliere nomi e cognomi, basta la professione). Il censimento è la cosa prima, a condizione base per poter veramente effettuare la –mobilitazione generale- di tutte le nostre forze per la guerra contro i tedeschi e i fascisti. Quanti artiglieri abbiamo, quanti mitraglieri, quanti genieri, quanti operai meccanici, tornitori, elettricisti, minatori, ecc.. Quanti autisti? Quante donne, quanti ferrovieri, quanti medici, chirurghi, studenti in medicina, quanti infermieri, quanti ingegneri, ecc.. Quanti sono e dove sono questi compagni? Tutto questo ogni comitato federale lo deve sapere, perché ognuno di questi compagni può essere una forza mobilitabile o per il fronte combattente o per la sussistenza delle unità partigiane.
E il questionario che ogni nostra organizzazione deve porsi potrebbe continuare non solo per i partigiani, ma anche per la restante attività inerente alla guerra di liberazione nazionale, ad esempio per l’organizzazione del sabotaggio di massa nelle officine. Ogni segretario federale il questionario se lo può continuare da sé, ma lo deve fare veramente, deve esaminare minuziosamente tutti i problemi che comporta la mobilitazione generale per la guerra di liberazione, vedere autocriticamente il poco che si è fatto, e prendere tutte le misure per realizzare il molto che ancora c’è da fare per poter dire che abbiamo assolto al nostro compito.
I partigiani hanno bisogno, innanzi tutto, continuamente, ogni mese, di nuove forze fresche per sostituire i morti ed i feriti, hanno bisogno di elementi politicamente ed organizzativamente capaci, hanno bisogno di armi e munizioni, di strumenti di lavoro, di medicina, hanno bisogno di tabacco, del giornale, della radio, delle notizie e di tante altre cose. Tutti questi sono i problemi che oggi i nostri segretari federali debbano discutere e risolvere. Tutto per il fronte. Ogni nostra energia, ogni nostro pensiero deve essere rivolto alla guerra di liberazione nazionale. Solo così spezzeremo via le canaglie fasciste. Solo così noi comunisti potremo dire di essere stati all’avanguardia anche nella guerra di liberazione del nostro popolo.
-Meno frasi pompose, meno chiacchiere- diceva Lenin -ma più lavoro concreto quotidiano. Meno cicaleccio politico, ma più attenzione ai fatti semplici, ma vivi…-
Non basta che il comitato federale abbia impartito le direttive ai compagni, abbiamo lanciato l’appello per la mobilitazione generale, abbia diffusi i manifesti antitedeschi, non basta fare dei discorsi e dei pistolotti per incitare alla guerra antitedesca, bisogna esaminare concretamente e minuziosamente tutti i problemi che la condotta della guerra comporta, bisogna affrontarli decisamente e risolverli.
Né si pensi o si dica che questi problemi li deve risolvere l’apposto comitato, li deve risolvere qualcuno appositamente incaricato. No, l’organizzazione apposita provvedere ala direzione operativa, alla parte più specificatamente tecnica: questo è il compito specifico particolare. Ma è a tutto il comitato federale che va la responsabilità, se nella sua regione si combatte contro i tedeschi e i fascisti o no. Sono i segretari federali, sono i comitati di settore, sono le cellule che devono provvedere in blocco al reclutamento di nuove forze per i partigiani, che devono risolvere tutti i problemi atti ad assicurare ai partigiani l’assistenza politica, materiale e morale, necessaria ad un esercito combattente.
Tutto e tutti per il fronte. Le nostre organizzazioni che oggi non vedono, non affrontano, non risolvono i problemi inerenti alla condotta della guerra di liberazione nazionale, vengono meno al loro compito essenziale, mancano alla loro funzione, cessano perciò di essere delle organizzazioni comuniste.
L’attività essenziale, fondamentale oggi, del nostro partito, di ogni comunista, è quella di lottare con tutti i mezzi per battere i tedeschi, per schiacciare i fascisti. Ogni altra esigenza deve essere subordinata a questa lotta. Innanzi tutto, bisogna pensare alla lotta e poi ancora alla lotta e in terzo luogo ancora alla lotta.

Note
1) I gruppi badogliani, specialmente all’inizio, erano in posizione di attendismo, contrari a chiamare le masse alla lotta, strettamente legati ai ceti conservatori e reazionari: sarebbe stato grave errore mettere il movimento di liberazione nazionale sotto la direzione di Badoglio

 

La nostra guerra

Da IL COMBATTENTE, gennaio 1944, n.5

I traditori fascisti, messisi al servizio dei tedeschi, stanno levando alte strida per le perdite subite sotto i colpi dei patrioti. Essi parlano di vili assassini, di orrendi misfatti, ecc
Che cosa pensavano i gerarchi fascisti? Di potere tradire impunemente la patria, di mettersi apertamente al servizio del nemico, senza correre alcun rischio, senza pagare il prezzo del loro ignominioso tradimento? Pensavano forse di poter fare la guerra contro gli italiani senza spargere il loro sangue? Che cosa significano tutti questi piagnistei, queste grida di indignazione e di paura dei gerarchi fascisti? Non sanno che alla guerra si va con due proverbiali sacchi: uno per prenderle e uno per darle?
Il popolo italiano ha dichiarato guerra alla Germania, mai guerra fu più giusta d più sacrosanta. Il governo italiano, il solo governo legale esistente, interpretando l’aspirazione e la volontà di tutto il popolo italiano, ha dato veste legale a questa dichiarazione popolare di guerra. Da questo momento era dovere imperioso di ogni italiano lottare con tutte le sue forze e con tutti i suoi mezzi per la cacciata dei tedeschi dal nostro suolo.
Invece, da questo momento, masnade di italiani degeneri, qualificatisi fascisti –repubblicani-, tradendo, come hanno sempre tradito, gli interessi della patria si sono schierati dalla parte dei tedeschi e conducono, al servizio di costoro, la lotta contro gli italiani, contro la patria.
Mai vi fu tradimento più infame, tradimento che grida vendetta al cielo e che non poteva non scatenare la più violenta reazione della parte sana del popolo italiano, che malgrado tutte le sevizie subite dal regime fascista, era stato così generoso dopo il 25 luglio, da risparmiare la vita a tutti i gerarchi fascisti. Allora non vi furono vendette, non vi furono rappresaglie, non vi furono uccisioni.
Ma dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania, dal momento che questa masnada di traditori si è messa al servizio dei tedeschi, ogni riguardo sarebbe diventato delitto, ogni tolleranza tradimento. Da quel momento, i patrioti italiani hanno considerato e trattato giustamente come traditori della patria i fascisti al servizio dei tedeschi.
La guerra è guerra. Chi non vuole essere ucciso, non deve andare in guerra. Chi di piombo non vuole perire, non deve tradire la patria. Ma questi traditori osano anche accusare i patrioti di crudeltà e di viltà. Tutto il popolo italiano conosce gli infami delitti perpetrati per vent’anni dai fascisti, sa come i loro padroni tedeschi si comportano in paese conquistato. Siamo in guerra aperta, dichiarata contro il nazismo e il fascismo, ma le canaglie naziste e fasciste non trattano i patrioti e i partigiani da soldati, da combattenti, ma li sottopongono a torture e a sevizie inaudite. E poi hanno la spudoratezza di strillare e di indignasi, di tentare di commuovere l’opinione pubblica quando i gerarchi responsabili di tali infamie cadono sotto il piombo di qualche giustiziere popolare. Essi cadono fulminati, ma cadono proprio come si cade in guerra, senza torture senza essere oggetto di crudeltà e di sevizie.
Finora i partigiani e i patrioti hanno condotto la guerra da leali e forti combattenti, senza abbandonarsi a bassezze e crudeltà di cui solo le iene fasciste sono capaci. Ma sappiano costoro che se essi continueranno a trattare i partigiani e i patrioti non come dei combattenti, se continueranno ad arrestare come ostaggi i famigliari di quanti si rifiutano di servire il tedesco, se continueranno a massacrare per rappresaglia innocenti cittadini, ebbene, i partigiani e i patrioti sapranno rispondere per le rime, rendere colpo su colpo. Anche i patrioti hanno dei prigionieri fascisti e tedeschi. Anche i patrioti potrebbero incominciare a rastrellare qualche famigliare dei signori gerarchi e dei signori industriali che collaborano con i tedeschi. Attenzione, o signori gerarchi e signori collaborazionisti, non lamentatevi poi se i vostri crimini e i vostri misfatti dovessero rovesciarsi sulle vostre teste e su quelle dei vostri. Non strillate poi sulla viltà, l’avete voluto voi.

 

I garibaldini passano all’offensiva

Da LA NOSTRA LOTTA, giugno 1944, n. 10

La liberazione di Roma e lo sbarco degli alleati in Francia segnano l'inizio della fase decisiva della guerra. L'ora della fine per il nazifascismo è suonata. Alle grandi offensive dell'esercito sovietico e degli eserciti alleati deve corrispondere l'offensiva audace e impetuosa del popolo italiano. Con tutta probabilità altre regioni italiane nelle prossime settimane saranno oggetto di operazioni militari di grande importanza. È necessario che ogni comunista sia alla testa della lotta. È necessario che ogni comunista sia pronto a fronteggiare gli sviluppi della situazione. È necessario che le organizzazioni comuniste sappiano risolvere, anche se dovessero restare temporaneamente staccate dal centro del partito, i problemi che il rapido sviluppo di tale situazione pone e porrà. Un solo obiettivo, deve guidarci: passare all'offensiva per preparare nella lotta le condizioni dell'insurrezione popolare nazionale. Ciò vuol dire che noi vogliamo e dobbiamo potenziare al massimo il fronte partigiano, attivizzarlo; che dobbiamo organizzare il grande sabotaggio sistematico della produzione, l'interruzione delle linee di comunicazione, la distruzione dei mezzi di trasporto, dei depositi di armi, di viveri e di carburanti per il nemico. Ciò vuol dire che le agitazioni, le dimostrazioni, gli scioperi contro la fame, contro le deportazioni devono moltiplicarsi e susseguirsi in una ondata crescente e sempre più potente, devono scoppiare ininterrottamente, devono assumere un carattere sempre più violento e di massa, devono unificarsi in un grande movimento generale, fino a sboccare nella insurrezione popolare.
In questo momento ciò che conta è l'azione. Non si tratta solo di redigere e distribuire dei manifestini, di innalzare delle bandiere, di fare delle riunioni di propaganda. L'agitazione è utile, è necessaria in quanto serve a mobilitare il popolo italiano per l'insurrezione; l'agitazione è utile in quanto serve a portare sempre più larghe masse alla lotta per la liberazione della nostra patria e per la vittoria.
Oggi ciò che conta è l'azione. È assolutamente necessario che ogni compagno si renda conto che oggi compito essenziale dei comunisti e dei patrioti è quello di attaccare con tutti i mezzi il nemico tedesco, di attaccarlo alle spalle, di interrompere le linee ferroviarie, di rovinare le macchine, di fare deviare i treni che trasportano truppe e materiale tedesco, di fare ritardare il loro arrivo. Oggi compito essenziale dei comunisti e dei patrioti è quello di impedire al nemico nazifascista il trasporto delle sue truppe e delle sue armi, di distruggere le sue vie di comunicazione, di far saltare i suoi depositi. Si tratta di sabotare sistematicamente, con ritmo crescente, la produzione del nemico. Sul nemico nazifascista devono piovere da tutte le parti colpi su colpi, si che gli sia resa impossibile la vita nel nostro paese. Questi sono oggi i nostri compiti, se vogliamo affrettare l'ora della liberazione della nostra patria, l'ora della vittoria. Questi sono i compiti da discutere e da risolvere in questi giorni nelle nostre cellule, se noi comunisti vogliamo veramente essere alla testa del popolo italiano in lotta. No, non possiamo limitarci ad applaudire e a manifestare per la liberazione di Roma, a gioire per l'apertura del secondo fronte. Oggi non è ancora venuto il momento delle manifestazioni di giubilo, oggi è l'ora della lotta, l'ora dell'azione. Noi dobbiamo facilitare con tutte le nostre forze, con tutti i mezzi le azioni belliche degli alleati che vengono a liberare il nostro territorio dall'invasore. È dovere, è compito nostro far tutto quanto sta in noi per eseguire le disposizioni che gli alleati ci fanno pervenire. Questi sono oggi i compiti dei comunisti, dei patrioti; e sono veramente «compiti nuovi». A questi compiti nuovi e che non ammettono indugi, potremo far fronte solo con lo spirito dei combattenti, con l'entusiasmo rivoluzionario. È necessario che i compagni tutti, da quelli di base ai responsabili, la rompano col lavoro routinier tradizionale, burocratico di ogni giorno. È necessario che ognuno di noi senta che c'è qualcosa di nuovo nel mondo, che stanno battendo le ore decisive. Roma liberata, il secondo fronte realizzato, devono significare una svolta anche nel nostro lavoro, devono significare anche per noi l'impiego di tutte le nostre energie. Non si può continuare nel tran-tran di ogni giorno, degli appuntamenti quotidiani, della solita riunione settimanale della cellula, della discussione sindacale, della distribuzione del giornale, della raccolta delle quote, delle chiacchierate coi compagni di lavoro, delle otto ore di fabbrica per ogni giorno dal lunedì al sabato, una settimana dopo l'altra. Come se nulla di nuovo vi fosse sotto il sole. No, lavorare con questo spirito significa lavorare con metodo attendista, anche se si è contro l'attendismo, significa non fare oggi nulla di diverso da quello che si faceva ieri, significa «attendere» che arrivino gli alleati a liberarci, significa abbandonarsi alla spontaneità, aspettare che le cose vadano da sé.
Oggi è dovere supremo dei comunisti e dei patrioti, abbandonare la fabbrica, l'ufficio, i campi, per imbracciare un fucile contro l'invasore tedesco. Oggi è dovere dei comunisti e degli italiani studiare e organizzare l'interruzione delle linee ferroviarie e di comunicazione del nemico, impedire, ostacolare, ritardare i suoi trasporti di armi e di truppe. Oggi è dovere di ogni comunista e di ogni italiano, organizzare e attuare nelle fabbriche, nei cantieri, negli uffici il sabotaggio alla produzione per il nemico. Ogni giorno, ogni ora, in ogni fabbrica, in ogni villaggio, in ogni rione di città, in ogni via di comunicazione bisogna fare qualcosa che danneggi il nemico nazifascista. Oggi è dovere di ogni comunista lavorare con lo spirito che anima il combattente rivoluzionario, che dà tutto se stesso completamente, senza limiti, per il raggiungimento del suo obiettivo. Al di sopra delle preoccupazioni familiari, al di sopra degli interessi di lavoro, al di sopra delle esigenze personali, oggi vi deve essere la lotta per la vittoria, la lotta per distruggere al più presto il nazifascismo. Non tutti possono partire per il fronte, ma tutto il territorio nazionale lo dobbiamo considerare un grande fronte. Ogni comunista deve sentire la necessità del lavoro che svolge, qualunque sia il lavoro che il partito gli ha affidato, deve sentirlo necessario per contribuire a battere il nemico. Noi dobbiamo lavorare con lo stesso entusiasmo, con lo stesso spirito di sacrificio, con lo stesso disprezzo del pericolo, con la piena dedizione di noi stessi, con l'impiego di tutte le nostre energie come se fossimo al fronte. Se vi sono compagni che oggi dormono otto ore al giorno, dormono troppo; se vi sono compagni che nella fabbrica lavorano puntualmente, alacremente, otto ore al giorno, accanto alla loro macchina, che lavorano e producono «bene» per la produzione di guerra, questi compagni non sono dei comunisti, non fanno oggi il loro dovere; se vi sono dei compagni che trovano oggi troppo tempo per riposarsi e per divertirsi, questi non sono dei soldati, non sono dei combattenti. Non sono dei combattenti quei compagni che lavorano in modo tale come se oggi fosse ieri; che trascorrono la loro vita come se fossimo in tempo di «pace», e non alla vigilia dell'insurrezione popolare nazionale; che trascorrono la giornata all'officina, la sera in famiglia, quattro chiacchiere al caffè con gli amici e poi a letto con la moglie.
Oggi, supremo dovere per un comunista, per un italiano, è quello di essere un combattente sul fronte e dietro il fronte, davanti e alle spalle del nemico, sui monti e nelle città, in trincea e nella fabbrica. È assolutamente necessario che ogni giorno, alla fine della giornata, ogni compagno possa non solo costatare che ha lavorato altre otto ore per guadagnarsi il pane ed arricchire i suoi sfruttatori, ma possa dire: «Oggi ho fatto qualcosa per distruggere il nazifascismo, per conquistare la libertà. Oggi ho dato un colpo al mio mortale nemico».Lavorare, dunque, alacremente, con entusiasmo, febbrilmente, senza ritardi burocratici. Avere soprattutto presenti i compiti ai quali oggi dobbiamo far fronte. È compito dei nostri organismi ridurre al minimo nell'attuale situazione la burocrazia, i sistemi di lavoro con scartafacci, archivi, collezioni di documenti.
Abituarsi a lavorare rapidamente e a risolvere prontamente i problemi, a non perdersi in lunghe discussioni. Non è l'ora delle grandi discussioni, dei convegni, dei congressi. Arrivare tempestivamente al momento giusto con un manifestino, un appello, una direttiva, anche redatti rapidamente, val meglio che arrivare in ritardo, con un documento ben stilato nella forma. Fare deragliare un treno di uomini e di materiale tedesco questa sera, vale più che passare la notte per fare dei grandiosi progetti, dei piani fantastici da realizzare non si sa in quale domani.
Specialmente i compagni più qualificati devono cercare di essere sempre pronti come lo è il combattente prima dell'attacco. Devono cercare di scaricarsi di tutti i legami che sono per loro un peso e un ostacolo alla loro azione. Devono organizzare il loro lavoro in modo da non essere legati al loro posto da esigenze tecniche e organizzative. Devono essere in grado di potersi allontanare da un momento all'altro dalla loro città, di portarsi rapidamente da una località all'altra, dove la loro opera è necessaria, devono essere in grado di poter passare prontamente dal lavoro politico al lavoro militare, dal lavoro di agitazione e propaganda a quello di comandante di un distaccamento, o viceversa, secondo le circostanze.
Solo lavorando con spirito veramente pratico e rivoluzionario, solo con la dedizione di tutte le nostre forze, di tutte le nostre energie fisiche e morali, noi potremo assolvere al nostro compito di oggi, noi potremo sostenere l'offensiva, noi potremo dirigere l'insurrezione nazionale.


Colpire con decisione gli obiettivi

Da LA NOSTRA LOTTA, luglio 1944, n.11

Le notizie dell’attività guerriera dei distaccamenti e delle brigate sono sempre più numerose, sabotaggio di guastatori, attacchi audaci di pattuglie di arditi, occupazione di paesi o di vallate con la partecipazione di centinaia di partigiani. Sono azioni sempre più numerose, e più vaste, che impegnano sempre più numerose forze nemiche e suscitano l’entusiasmo popolare.
C’è in Italia un esercito partigiano che conduce una guerra a fondo contro l’invasore e contro i fascisti, c’è un esercito che prova con i fatti che si può combattere e che con l’eroismo dei suoi combattenti dice ad ognuno: -compi il tuo dovere, prendi le armi per la liberazione della patria-. E’ certo che l’esperienza ha molto insegnato alle formazioni patriottiche, esse sono più rapide negli attacchi, più pronte a disimpegnarsi quando il nemico tenta di attaccarle con forze e con mezzi preponderanti, e soprattutto più solide e più agguerrite, come dimostrano gli insuccessi dei tentativi dei nemici di eliminarle. Però è altrettanto vero che l’esame di numerose azioni compiute dai distaccamenti partigiani mostra che molte lezioni devono ancora essere tratte dall’esperienza, e che quelle tratte in una formazione, in una vallata o in una zona, devono essere studiate e popolarizzate e tenute presenti per non ripetere errori, per non andare incontro a gravi pericoli, a perdite, a inutili dispersioni di preziose energie.
Una prima considerazione è quella della scelta degli obiettivi da colpire. Bisogna ricordare che, se l’azione partigiana è condotta per lo più da piccole formazioni e consiste in piccoli colpi, quest’azione si inquadra in una più vasta condotta di guerra: nell’azione concorde di migliaia e migliaia di uomini per rendere impossibile la vita all’occupante e nella più grande guerra che i popoli liberi conducono per distruggere il nazismo. Questa considerazione deve essere tenuta presente quando si decide l’azione da compiere.
Se si ha l’occhio solo alla vallata, all’ambiente ristretto, all’eco di pochi paesi su per i monti, sembreranno essenziali la liquidazione di uno scagnozzo, la vendetta, l’occupazione clamorosa, mentre se si spinge lo sguardo più in là, apparirà l’importanza di altri obiettivi. C’è un esercito alleato che avanza, un’armata hitleriana in fuga precipitosa, come intervenire, come e dove farlo più opportunamente?
Ed ecco che si penserà alla linea ferroviaria, si penserà ai sabotaggi frequenti e utilissimi, anche se meno clamorosi. Si penserà alle interruzioni stradali, all’attacco di camion nazisti, magari a chilometri e di decine di chilometri di distanza. Nessuno ci applaudirà, non si saprà nemmeno da che parte viene il colpo? Tanto meglio, ma avremo dato un colpo davvero.
Abbiamo sott’occhio un rapporto di un distaccamento mobilissimo e poco numeroso che ha operato nella regione di Roma, nelle retrovie tedesche, a pochi chilometri dal fronte. E’ un esempio di quanto si può ottenere con l’audacia e il commisurare le imprese alle possibilità effettive. Questi partigiani non hanno atteso, studiato piani vasti, ma ineseguibili. A piccoli gruppi hanno disseminato chiodi a quattro punte e attaccato con la bomba ed il fucile le auto tedesche. Hanno marciato per decine di chilometri, così che i tedeschi devono averli creduti moltiplicati ameno per dieci, si sono impadroniti di armi d munizioni preziose, che hanno dato un valido contributo agli alleati in un momento critico.
Le notizie del moltiplicarsi degli attentati alle vie di comunicazione ci dicono che si è sulla buona via, ma la situazione è tale che per questa buona via bisogna marciare rapidamente, molto rapidamente. Ma anche attaccare il traffico non basta. Occorre studiare ove è più proficuo, come è possibile, con i mezzi che si hanno a disposizione, colpire più duramente.
A X… si è circondato un ponte metallico, sostenuto da cavi, con una certa cintura di esplosivo plastico, e si è ottenuta un’interruzione. Si può essere soddisfatti? No, certo, se si è impiegato cinque volte più dell’esplosivo necessario e si è fatto meno danno che se si fosse applicato il materiale nel punto voluto dai tiranti metallici. A Y… si è fermato un treno e lo si è lanciato in una galleria perché vi esplodesse. Ottima idea, ma poco studiata, se il treno è arrivato in stazione sano e salvo qualche chilometro più in la, andando all’aria ogni piano.
Scegliere gli obiettivi e studiarli. Pensare che non si può ogni volta ricominciare daccapo: sfuggita una occasione, perso del tempo. Per questo bisogna sapere ciò che si deve fare. Istruire tutti gli uomini in modo che siano collaboratori convinti e coscienti e infine agire con decisione.
Abbiamo voluto forse dire che non si devono occupare villaggi o centri maggiori appena è possibile? No certamente, ma è evidente che anche quando si fa questo si deve agire in modo da sfruttare tutte le possibilità che da l’occupazione per vere e proprie azioni di guerra. Troppe volte i distaccamenti partigiani occupano un centro e dimenticano di sabotare gli impianti ferroviari, di far saltare le cabine di trasformazione, di danneggiare le segnalazioni e gli scambi. Troppe volte sono stati fermati dei treni, e si è dimenticato che una locomotiva è un obiettivo di primissima importanza. Quando si va a fermare un treno bisogna prima sapere che si immobilizzerà la locomotiva, anzi predisporre gli uomini che adempiranno questo incarico. Pochi minuti dopo che il treno sarà fermato, mentre si interrogheranno i prigionieri, mentre si parlerà ai viaggiatori, il colpo dovrà essere fatto. Forse c’è stato a volte lo scrupolo di non danneggiare i viaggiatori, di non disturbare le popolazioni locali. Sono scrupoli sbagliati.
Bisogna ricordare alla popolazione che il sabotaggio, il quale interrompendo il traffico può dare qualche fastidio al movimento locale, non solo è necessario e utile per affrettare la cacciate del nemico, ma evita anche i rischi di bombardamento. Colpire gli obiettivi militari da terra con precisione, vuol dire evitare gli attacchi dall’aria dove la precisione non è possibile.
Per i monti e per le campagne c’è una fitta rete di fili e palificazione. Occorre raccogliere e vagliare le informazione, poi colpire. Colpire i cavi del telefono nemici e non togliere la luce elettrica a una zona, sabotare le centrali più legate alle industrie di guerra, impedire l’afflusso dell’energia là dove più è utile al nemico.
Studiare gli obiettivi vuol dire non lasciarsi prendere alla sprovvista. Ci sono obiettivi che sono particolarmente importanti in certi momenti, in altri no. Non si deve per questo aspettare domani a riconoscerli e a stabilire il modo di operare. Ci sono linee telefoniche importanti quando il nemico può avere bisogno di chiamare rinforzi e che oggi sarebbe inutile interrompere, ci sono ponti che sarà utile minare soltanto e attendere a far saltare quando il nemico vorrà salire per le valli, ebbene non bisogna attendere il momento del combattimento per sapere cosa bisogna fare. Allora sarebbe troppo tardi, bisognerà agire senza perdere tempo.
Quello che deve essere tenuto sempre presente è che gli obiettivi sono infinto, ce n’è per tutti. Per le forze numerose come per i gruppi esigui, per i bene armati come per i meno forniti di materiali. Non c’è mai una giustificazione per non fare, non c’è mai una giustificazione per l’attesa indefinita. Studiarli vuol dire proporzionare anche i nostri piani alle nostre forze. Fare il piano per distruggere un ponte sul Po, per arrivare alla conclusione che non c’è nulla da fare perché mancano le tonnellate di esplosivo è assurdo e ci impedisce di guardarci attorno e di vedere che c’è una cabina di blocco da danneggiare, un pezzo di binario da sbullonare, un deposito di locomotive in cui penetrare, dei fili da tagliare. Pensare a un campo d’aviazione da attaccare, ma concludere che ci vogliono centinaia di uomini, che non ci sono, è altrettanto assurdo e ci impedisce di vedere come tre o quattro uomini armati possono fermare un’auto nazista, eliminare un portaordini in motocicletta, obbligare i tedeschi a sorvegliare, a rallentare il traffico e intento privarli di uomini ed armi.
Ci sono delle formazioni che sono ancora troppo pesanti, che non sanno agire che in massa, e quindi si lasciano sfuggire tutta una serie di colpi che potrebbero essere più fruttuosi. Lunghi periodi quasi di inerzia precedono delle specie di battaglia campali per difendersi dai rastrellamenti. Bisogna articolare queste formazioni in nuclei ed in squadre: creare piccoli reparti specializzati di guastatori e di arditi. E mentre i comandi danno indicazioni generali e controllano i piani, bisogna abituare queste piccole unità allo spirito di iniziativa e senso di responsabilità. Bisogna insegnare a questi piccoli gruppi come si effettua la ricognizione, come si assumano notizie dagli informatori, come ci si concerta sull’azione da compiere e ci si divide il lavoro. E infine soprattutto, come si colpisce con decisione, come si sfrutta il momento senza il bisogno di tornare a chiedersi ogni volta ordini superiori.
Gli ultimi rapporti della IV brigata d’assalto Garibaldi, segnalano un’intensa attività per costruire gruppi di arditi e guastatori e danno notizia delle prime operazioni. La distruzione di 14 aeroplani nemici nel campo Morello, effettuata da esigue forze, senza subire perdite, dimostra cosa vogliono dire organizzazione, addestramento e preparazione opportuna.
L’azione generale delle formazioni partigiane contro le colonne nemiche in rotta non si aspetta, si prepara. Perché quel giorno venga al più presto e perché in quel giorno si possono muovere le nostre belle brigate, le nostre prime divisioni, occorre essere attivi ogni giorno. Ed essere attivi oggi vuol dire muovere squadre e distaccamenti, moltiplicare gli attacchi, agire su larghi spazi senza troppo concentrare le nostre forze. Scegliere e studiare centinaia di obiettivi e colpirli.
Da molte parti sentiamo dire che si potrebbero creare distaccamenti se ci fossero armi. Formazioni già costituite scrivono che devono rifiutare l’afflusso di nuove reclute perché mangano materiali.
Da altre parti si lamenta l’insufficienza di mezzi. Sono, tutti questi, gravi problemi di organizzazione, che sarebbe ridicolo sottovalutare, ma sono problemi che occorre risolvere per fare la guerra e facendo la guerra, non dare per insolubili, quasi per giustificare l’inazione.
Le armi non piovono dal cielo, o meglio non sempre e non dappertutto possono piovere dal cielo. Bisogna saperle trovare, bisogna cominciare con l’accontentarsi del poco, bisogna usare quelle che si hanno non in modo da esaurire in breve le munizioni, ma piuttosto in maniera da aumentare, moltiplicare i rifornimenti di viveri e di munizioni.
Ci sono squadre di giovani che si dicono desiderosi soltanto di impugnare le armi. E ci sono in giro per la città tanti soldati per forza, carabinieri, militi con il moschetto e la rivoltella, che se ne vanno isolati. Si è pensato che i nostri giovani possono trovare li le armi che desiderano? Un gruppo deciso di tre o quattro giovani, con qualche rivoltella, può bastare a raccogliere qualche dozzina di moschetti. Se successivamente i soldati non andranno più isolati o addirittura li faranno uscire senza armi avremo ottenuto un altro risultato. Quanti ponti sono guardati soltanto da un paio di armati? Quanti posti di blocco da una mezza dozzina al più? Ce n’è per tutte le misure. Le piccole unità scelgono i piccoli gruppi, le più forti quelli numerosi.
L’esempio dei partigiani che a Bobbio, nell’Appennino, si sono impadroniti di mitragliatrici, di moschetti, di casse di bombe, assalendo una caserma con oltre duecento tra tedeschi e fascisti, dimostra che si possono fare anche colpi grossi.
Ci sono carabinieri, guardie di finanza, vigili urbani, che sono malcontenti ma indecisi. Si disarmino, si passino le armi a che le vuole e le sa usare. Si pensi a non lasciare quello che è prezioso in mani inutili, ci si convinca che non è per domani che quelle armi devono essere tenute, ma che occorrono per chi le adopera oggi. Ogni squadra di difesa, ogni distaccamento dovrebbero, prima di inoltrare agli organi centrali domande di armamento che il più delle volte non possono essere soddisfatte, fare un piano di armamento in cui sia compreso tutto quello che può essere trovato, comperato e soprattutto strappato al nemico.
Si studi cosa possono darci i soldati amici e quello che possiamo prendere noi ai militari nemici. E non si sogni soltanto –mitra- e anticarro. La guerra si fa con ogni mezzo, con le pinze tagliafili e coi chiodi a quattro punte, si cominci ad apprestare questo. La guerra si fa coi fucili da caccia che sono adatti all’imboscata, che possono servire per assalire militari isolati e piccoli gruppi.
Si preparino bombe con materiali esplosivi, ricercando l’aiuto e la collaborazione di operai minatori o artificieri. Si preparino bottiglie di benzina e si lancino, incendiate, su depositi, su vagoni, su camion nemici. La guerra si fa anche incendiando un deposito di foraggio, e per questo basta anche una scatola di fiammiferi, non occorre un quadrimotore.
E si trovi la dinamite. Non ci sono cantieri della Todt, non ci sono operai patrioti nelle fabbriche? Non si aspetti, non si domandi al centro se occorre esplosivo, se è buono questo piuttosto che quello, si operi, si raccolga, si cominci ad operare.
Per assalire un fascista in casa, per procurarsi e armi che ha, può bastare un po’ di risolutezza, un pugnale, una baionetta, non occorre una mitragliatrice. Cosa aspettano le squadre di villaggio? Non c’è certo un presidio davanti a ogni casa del fascio, a ogni casa di sgherro repubblicano.
E si ricordi che sarà molto più facile che il centro assegni i –mitra- e le bombe speciali ai reparti che saputo da soli trovarsi dei moschetti, alla squadre che hanno saputo, senza attendere, valersi delle pinze, dei fiammiferi, delle poche rivoltelle. Le armi a chi le adopera, non a che attende passivo.
Oggi migliaia e migliaia di reclute accorrono nelle file dei volontari della libertà: sarebbe un errore respingerle, sarebbe un delitto lasciare inerti questi giovani, non guidarli, non insegnare loro a lottare con tutti i mezzi che si devono, che si possono adoperare nella guerriglia partigiana.
Non si attenda l’arma, la si conquisti combattendo.

 

Si liberano i prigionieri

Da l’UNITA’, 1 settembre 1944

Nel corso degli ultimi due mesi gli audaci combattenti e gappisti delle nostre brigate Garibaldi hanno preso d’assalto diverse carceri ed hanno liberato i patrioti prigionieri del nemico.
Sono state assaltate le carceri di Bologna, di Verona, di Brescia, di Fossano, di Saluzzo, di Forlì ed altre ancora.
Centinaia di patrioti e di prigionieri politici sono stati liberati e sono ritornati al loro posto di combattimento. Centinaia di patrioti e di prigionieri politici sono stati liberati e sono ritornati al loro posto di combattimento.
Non abbiamo decantato né strombazzato queste brillanti imprese. Meglio un articolo di meno, ma una porta di carcere abbattuta di più. I fatti sono più eloquenti delle frasi.
Oggi però volgiamo richiamare l’attenzione dei compagni tutti su queste azioni. Non solo per l’audacia dimostrata dai garibaldini in tali imprese, ma soprattutto per la prova di profonda solidarietà, di fraternità fino alla morte verso i compagni caduti nelle mani del nemico.
Noi non possiamo, non dobbiamo considerare i prigionieri come perduti. La lotta richiede le sue vittime. Ma noi lottando dobbiamo cercare di avere il minor numero di vittime. Dobbiamo cercare di strappare al nemico il maggior numero possibile di prigionieri.
Noi non consideriamo i nostri combattenti come carne da cannone. I nostri compagni, i nostri quadri ci sono preziosi. L’effetto che ci lega ai combattenti per la libertà, a coloro che tutto sacrificano per l’indipendenza e il progresso del nostro popolo, è profondo, è legato alla nostra stessa vita. Non si tratta di sterile sentimentalismo. E’ la sana manifestazione della nostra coscienza di classe, della nostra coscienza nazionale.
Tra le ricchezze della nostra patria, ciò che innanzi tutto amiamo sono i figli minori del nostro popolo. Lo spirito di sacrificio, il coraggio, la combattività sono tanti più elevati quanto più i combattenti sentono che essi sono degli uomini legati per la vita e per la morte ad altri uomini.
Non si possono trascinare gli uomini a grandi azioni, ad azioni sublimi, se non si ha un alto concetto del valore della personalità umana, se un profondo legame di fraternità non lega i nostri combattenti.
La liberazione dei prigionieri, dei compagni che cadono nelle mani del nemico, dev’essere uno dei nostri compiti, un dovere di tutti i combattenti. Sino a quando il compagno prigioniero è in vita, bisogna far di tutto per salvarlo, per strapparlo dalle mani dei carnefici. Il compagno che cade prigioniero non deve essere considerato, con cinica indifferenza, come perduto. No, tutto dobbiamo fare per liberarlo. L’astuzia, la corruzione, la violenza, il prelievo di ostaggi, diversi sono i mezzi che si possono di volta in volta impegnare per liberare i compagni.
L’importante è sentire imperiosamente questo dovere che lega chi combatte a chi cade prigioniero. L’importante è interessarsi tempestivamente, prontamente, senza ritardi burocratici, della sorte dei compagni che cadono nelle mani del nemico. Non è sufficiente interessati per fare avere aiuti materiali a lo ed alla sua famiglia: questo è il meno. L’importate è agire per liberare i compagni. Questo è l’aiuto esenziale. Si tratta di salvarli da morte certa.
I partigiani, dopo uno scontro, tentano sempre di raggiungere gli autocarri nazifascismi che trasportano i prigionieri. Li attaccano, e spesso riescono a liberare i compagni che nello scontro precedente erano rimasti nelle mani del nemico.
Ma questo non deve avvenire solo nelle campagne, nelle valli e sulle montagne, ma anche nella città. Quando si ha notizia che un compagno è stato portato e, secondo la sua posizione e la situazione concreta, bisogna studiare e mettere in atto prontamente i mezzi più idonei per liberarlo. Non sempre il mezzo migliore sarà l’assalto frontale, talvolta varranno meglio altri sistemi. L’importante è riuscirvi. Spesso i compagni vengono portati nelle caserme ed in alberghi, dove per giorni e giorni vengono sottoposti a torture e sevizie inaudite Talvolta queste caserme, circoli rionali, alberghi, carceri ed altri luoghi di tortura potrebbero essere presi d’assalto senza l’impiego di grandi forze. Con audaci colpi di mano si potrebbero strappare le vittime dalle mani dei carnefici.
Talvolta nella città i nostri valorosi G.A.P. compiono delle azioni assai rischiose, che comportano perdite lievi e per obiettivi meno importanti che non l’assalto ad un carcere.
La liberazione dei compagni prigionieri dev’essere uno degli obiettivi non solo dei partigiani, ma anche dei G.A.P. e delle S.A.P..
Attaccare le caserme, i circoli rionali fascisti, le carceri significa abbattere i luoghi di tortura, i cimiteri dei patrioti: significa salvare dalla morte molti dei nostri migliori. Significa stroncare il terrorismo nazifascista. Significa elevare in sommo grado il morale e lo spirito di lotta di tutti i combattenti per la libertà.

 

L’ora dell’azione

Da LA NOSTRA LOTTA, aprile 1945, n.7

“E’ insorgendo oggi per la nostra libertà che noi apriamo al nostro paese il cammino della sua redenzione, che noi garantiamo al popolo italiano un avvenire in cui esso sarà pienamente libero e padrone dei suoi destini. Per questo, compagni e amici, non esitate. Gettatevi nella lotta con tutte le vostre forze, con tutto il vostro coraggio, con tutta la vostra audacia.
Da un capo all’altro dell’Italia occupata, risuoni un grido solo: alle armi, al combattimento, tutto figli del popolo per la libertà della patria.”
P. Togliatti

La guerra volge al suo epilogo. Gli eserciti tedeschi, battuti e scompaginati, sono in rotta su tutti i fronti. La fortezza hitleriana sta crollando sotto i formidabili colpi delle armate sovietiche e anglo-americane.
Alla grande battaglia decisiva degli eserciti delle Nazioni unite deve unirsi l’offensiva audace e impetuosa del popolo italiano.
L’ora della fine del nazifascismo, l’ora dell’insurrezione nazionale è suonata. E’ suonata l’ora della azione decisiva. E nell’azione, nella lotta i comunisti devono occupare un posto di avanguardia nelle file dei patrioti. In questo momento ciò che conta è l’azione. Vi sono ancora, anche nelle nostre file, compagni che fanno distinzione tra politica e azione militare, compagni che pur entusiasmandosi per le gesta dei nostri valorosi partigiani, dei nostri meravigliosi gappisti, pensano che quelli sono soprattutto dei militari, degli “uomini di guerra”. Ed hanno l’aria di dire: “si sa, ad ognuno il suo mestiere: quelli sono uomini di guerra, sono nati per l’azione armata, noi siamo i politici”. Questa netta separazione di compiti, che certi compagni fanno, rivela un errata concezione del comunista e della sua tempra. Non si può separare la politica dall’azione. Che cos’è la politica, se non la lotta per il raggiungimento di un determinato obiettivo? Oggi l’obiettivo nostro immediato è la lotta per la cacciata dei tedeschi e per l’annientamento del fascismo. Questo obiettivo non lo si raggiunge solo facendo della propaganda, dell’agitazione, solo lanciando manifestini, scrivendo articoli e tenendo riunioni politiche. Questo obiettivo lo si raggiunge soprattutto lottando con le armi alla mano, solo abbattendo più nazifascisti possiamo, solo assestando colpi su colpi al nemico.
Oggi si fa della politica impiegando il fucile, le bombe, il mitra. E’ profondamente errato considerare il partigiano, il gappista, il sappista, semplicemente come dei “fegatacci”, come dei soldati, come degli uomini d’azione, la cui opera non è essenziale per la realizzazione della nostra linea politica. L’opera dei partigiani dei gappisti e dei sappiti è invece, oggi, la parte decisiva e più importante nella nostra politica. I nostri combattenti sono oggi i migliori comunisti, i più audaci realizzatori della nostra politica. Senza la loro azione la nostra linea politica resterebbe sulla carta.
Non si può fare l’insurrezione nazionale senza condurre, allargare e potenziare la lotta armata. La lotta armata, la lotta per schiacciare i tedeschi e i fascisti è oggi l’attività essenziale, fondamentale del nostro partito.
Non basta applaudire all’eroismo del partigiano, non basta entusiasmarsi per le brillanti azioni dei valorosi gappisti, non basta ricordare con orgoglio e ammirazione le più fulgide figure della nostra guerra di liberazione, da Dante di Nanni ad Irma Bandiera a Garemi e a tanti altri i cui nomi sono scolpiti nel cuore di ogni italiano. La loro azione, la loro audacia ci devono essere di esempio. Questi sono i comunisti. “I comunisti” a detto Stalin “sono uomini fatti di un tempra speciale”.
I nostri partigiani, i nostri gappisti: ecco gli uomini di tale tempra. Sono uomini di ferro, che non conoscono ostacoli, capaci di ogni audacia, di ogni sacrificio, di ogni eroismo.
Deve essere oggi nella aspirazione, nel desiderio, nell’ardente volontà di ogni comunista, il volere imbracciare il fucile, impugnare un arma, diventare un buon combattente.
I compagni che in questo momento non si sentono animati dalla volontà di agire, di combattere, di lottare, che non sentono lo stimolo di arruolarsi nelle formazioni patriottiche, che non sentono l’orgoglio di essere partigiani, ebbene diciamolo francamente, non sono dei comunisti.
Lo sappiamo non tutti possono essere partigiani e gappisti, non tutti i compagni possono dedicarsi esclusivamente alla lotta armata, perché molteplici sono i compiti e le esigenze del partito, molteplici sono i compiti e le esigenze della stessa lotta armata e del suo potenziamento.
Sappiamo anche che ogni comunista deve sentire la necessità del lavoro che svolge, del lavoro, qualunque esso sia, che il partito gli ha affidato, deve sentirlo necessario per contribuire ad abbattere il nemico. Ma tutti i compagni dovrebbero sentire il desiderio e la volontà di essere in prima linea, ogni compagno dovrebbe voler far parte di un gruppo di combattenti, sia esso partigiano, gappista o sappista.
Nella fase attuale della lotta è pure errato pensare ad una radicale e rigida divisione di lavoro, alla categoria dei “politici”, dei “sindacali”, alla categoria dei distributori della stampa e da quella dei combattenti.
Oggi, ognuno deve essere innanzitutto un combattente. Nella fase decisiva dell’insurrezione nazionale, ogni comunista deve sapere impugnare e adoperare un arma. Ogni comunista deve essere nello stesso tempo un propagandista e un soldato, un operaio e un gappista, un agitatore e un sappista. Un comunista deve saper scrivere l’articolo ed il manifestino, deve saper condurre l’agitazione per la cacciata dei tedeschi e l’annientamento dei fascisti, e nello stesso tempo deve sapere impugnare un arma, scagliare la bomba contro il nemico; deve essere d’esempio e di guida non solo nella propaganda, ma anche nell’azione.
In una riunione dei segretari federali, avvenuta in questi giorni, si è dovuto purtroppo constatare che alcuni segretari federali lombardi sapevano dire poco sulle consistenza del movimento partigiano della loro provincia. Ed alle domande che loro si ponevano avevano l’aria di dire: “ma io sono il segretario federale per queste informazioni di carattere puramente militare, dovete rivolgervi ai compagni della delegazione dei comandi, ecc…”.
No cari compagni, le delegazioni dei comandi, gli organismi tipicamente militari provvedono e provvederanno alla direzione operativa, alla parte più specificatamente tecnica dell’insurrezione nazionale.
Ma è a tutto il comitato federale che va la responsabilità se nella sua città e provincia la preparazione insurrezionale è in ritardo. Il comitato federale deve conoscere nei dettagli la situazione militare nella sua regione, le nostre forze e quelle del nemico, le deficienze delle nostre formazioni di combattimento e ciò che si deve fare per porvi rimedio. Sono i comitati federali, sono i comitati di settore, sono le nostre cellule, che devono provvedere al reclutamento di nuove forze per i partigiani, per i G.A.P. e per le S.A.P..
Sono i comitati federali, di settore e di cellula, che devono fare di tutto per assicurare ai partigiani, ai gappisti, ai combattenti non solo l’aiuto morale e politico, ma l’appoggio, l’aiuto continuo in uomini, mezzi e materiale.
Deve essere, per ogni cellula comunista, titolo di onore e orgoglio poter vantare il numero più grande di combattenti tra i propri iscritti, combattenti nelle formazioni partigiane e nei distaccamenti gappisti e sappiti. Deve essere titolo d’onore e di sano orgoglio per ogni cellula comunista poter dire che tutti i suoi iscritti fanno parte delle S.A.P., che tutti i suoi iscritti hanno partecipato e hanno chiesto di poter partecipare ad azioni contro il nemico.
Oggi, ripetiamo, ciò che conta è l’azione. Chi a un arma combatta, chi non ce l’ha se la procuri. Questo è il dovere di ogni comunista, di ogni patriota. Oggi, compito essenziale dei comunisti e dei patrioti è quello di attaccare con tutti i mezzi il nemico tedesco e fascista, di attaccarlo davanti e dalle spalle, sui monti e nelle città, di impedire la sua ritirata, di fare saltare i suoi trasporti, di distruggere e sabotare le sue linee e i suoi mezzi di comunicazione, di difendere i nostri impianti industriali e le opere di pubblica utilità. Fare tutto questo significa oggi fare delle politica.
L’attività essenziale, fondamentale del nostro partito e di ogni comunista è oggi quella d potenziare al massimo l’insurrezione nazionale, con tutti i mezzi per spezzare la schiena ai tedeschi, per schiacciare i traditori fascisti. Ogni altra esigenza deve essere subordinata alla lotta, deve essere subordinata all’insurrezione nazionale. Ogni nostra attività deve essere tesa ha rafforzare, a sviluppare, a portare al livello più alto l’insurrezione nazionale.

 

La vittoria di Bologna

Paragrafo da L’INSURREZIONE DEL NORD, rapporto tenuto ai quadri della Federazione Comunista di Roma il 24 giugno 1945

Bologna fu la capitale in armi dell’Emilia, che durante venti mesi non piegò mai. In Emilia e in Romagna si può dire senza esagerazione alcuna che la parte migliore del popolo partecipò alla lotta non solo negli ultimi giorni, ma durante i venti mesi della guerra di liberazione. Trentamila partigiani facevano capo al comando unico (comandante il nostro compagno Ilio Barontini), che risiedeva in città, proprio vicino alle tane dei comandi e della polizia nazisti.
In Emila ed in Romagna ci si è battuti sempre: la caratteristica era che i combattenti non erano sostenuti da piccoli nuclei audaci, i G.A.P. a Bologna, a Modena, a Reggio si contavano a centinaia, i Gruppi di azione patriottica avevano un carattere di massa.
A Bologna e a Modena, in special modo, si può dire vi fossero due guarnigioni: quella dei tedeschi e dei fascisti e quella dei G.A.P..
I tedeschi spadroneggiavano di giorno, i G.A.P. agivano soprattutto di notte. Il coprifuoco non era come altrove il segnale della –libera uscita- per i banditi tedeschi e fascisti. Al contrario, il coprifuoco era il segnale della loro ritirata, era il segnale della libera uscita per i G.A.P. e per le S.A.P..
Le brillanti azioni dei G.A.P. a Bologna ed a Modena non si contano a diecine, ma a migliaia. Quando l’anno scorso, nel settembre, pareva prossima la liberazione di Bologna –agli angloamericani distavano appena 16 chilometri della città- tutti si mobilitarono: chi aveva un’arma la prese, chi non l’aveva la cercò.
Ma l’offensiva alleata si interruppe, ed allora un arduo problema si pose ai nostri comandanti. Vi erano alcune migliaia di uomini armati, i quali non avevano alcuna intenzione di smobilitare, di tagliare la corda, ed erano d’altronde nell’impossibilità di tornare alla vita civile, alle proprie occupazioni. Problema arduo a risolversi: far vivere in una città relativamente piccola, posta sulla linea del fronte, con una fortissima guarnigione di tedeschi, alcune migliaia di gabbasti e di partigiani armati.
Questo problema fu brillantemente risolto grazie alle capacità di organizzazione dei nostri compagni, e particolarmente del comandante Dario, ma grazie soprattutto al patriottismo, all’aiuto continuo, quotidiano dei contadini, che portavano in città le galline, il maiale, le mucche, non all’ammasso tedesco, ma ai combattenti partigiani.
Il 7 novembre 1944 i fascisti ed i tedeschi assaltarono l’Ospedale maggiore, alla Bolognina attaccarono con i carri armati, decisi a farla finita con i G.A.P..
Ma il bestiale terrorismo dei banditi nazisti non scoraggiò mai i nostri bravi gappisti, che divenivano più audaci ogni giorno. I colpi si susseguivano ai colpi. Venivano attaccati gli alberghi ed i circoli-ritrovo dei tedeschi e fascisti. Oggi toccava al questore, domani al comandante tedesco e domani ancora al segretario del fascio. Non passava giorno senza che i G.A.P. a Bologna facessero sentire lo scoppio delle loro bombe.
Bologna è stata la città che ha dato il maggior numero di donne alla lotta gappista. Tra le altre, bella per ardimento e dedizione alla causa, Irma Bandiera torturata e fucilata dai briganti neri. Molti dei nostri migliori sono caduti, molti hanno trovato la morte nel cosiddetto –posto di ristoro per i gappisti-, come i fascisti chiamavano la camera ove i patrioti venivano torturati. Ma a Bologna i nostri caduti sono sempre stati tutti vendicati. E la risposta fu sempre forte e immediata.
La sera del 19 aprile, dopo 8 mesi di assedio nelle condizioni più terribili, i nostri gappisti ed i nostri partigiani, in accordo con gli alleati, insorgevano e passavano all’occupazione definitiva della città. In poche ore la città fu nelle mani dei patrioti. Trecento tedeschi e alcune centinaia di fascisti furono uccisi in combattimento. Oltre un migliaio furono catturati con grande quantitativo di armi. Il mattino dopo, alle ore 7, facevano il loro ingesso nella città i soldati alleati. La città era calma perché tutto era stato fatto.
A Modena invece la fase finale dell’insurrezione fu più dura. Modena venne liberata dalle divisioni partigiane di pianura. I tedeschi opposero un’accanita resistenza, asserragliandosi nelle case. Oltre cento partigiani caddero in combattimento. Parecchie centinaia i morti del nemico, che alla fine fu costretto ad arrendersi. Furono catturati 5000 prigionieri, 400 automezzi e dieci carri armati.