Biblioteca Multimediale Marxista


Gli operai non vogliono più lavorare


 

Numero 29 1/8 Ottobre 1970 - Anno 2 - Settimanale - Lire 70



La macchina del potere del padrone si è inceppata, il loro sviluppo, lo sviluppo del controllo sulla classe operaia, si è fermato. Non è stato un fatto improvviso: è stata una lunga marcia degli operai Italiani, Inglesi, Americani, Svedesi e di tutte le altre cittadelle del capitale moderno: una marcia che ha percorso gli anni 60 in un crescendo di lotte salariali con forme di insubordinazione sociale che hanno fatto saltare politiche dei redditi, governi socialdemocratici, hanno ridotto ad una crisi permanente l'economia, hanno trasformato il piano e la programmazione in un ferrovecchio, incapace ormai di usare la lotta operaia in funzione dello sviluppo. La lotta per il salario ha rotto questa barriera: è diventata concretamente lotta contro il salario, contro la costrizione al lavoro, per il diritto al reddito. La produttività è la spina costante delle relazioni ministeriali, dei capi confindustriali, dei burocrati sindacali, del PCI: gli operai non vogliono più lavorare. L'aumento costante delle ore di sciopero, le assenze crescenti dal lavoro, l'uso di massa della mutua come di una pensione anticipata, gli autolicenziamenti, il rifiuto degli straordinari, mostrano che al di là dei limiti della sopravvivenza fisica la classe operaia si rifiuta di vendere la propria forza lavoro. La lotta non funziona più come motore dello sviluppo perchè si protrae al di là della rivendicazione materiale, diventa rifiuto immediato del lavoro: non lavorare diventa l'obiettivo, diventa potere di rifiutare il lavoro, e lo strumento diventa fine e viceversa. La crisi che si è aperta, segnata dal vorticoso susseguirsi dei giorni, è dunque una crisi di potere, è la conclusione di un lungo periodo storico in cui i rapporti di forza sono stati a favore del padrone. Oggi nessun capitalista serio pensa veramente di poter rilanciare lo sviluppo. Pensa ad un lungo braccio di forza, a prendere tempo per poter saldare a livello internazionale nuove alleanze fra capitalisti di tutto il mondo, a inventare nuovi strumenti di controllo, a riorganizzare completamente il lavoro per disarticolare, spezzare, distruggere l'unità e l'opposizione radicale che su questa organizzazione del lavoro si è determinata. Ma è un lavoro lungo, che richiede "pace sociale", richiede che nel frattempo i rapporti di forza a favore della classe operaia non si tramutino in organizzazione rivoluzionaria. Questo è il vero problema di questa fase di scontro: o prolungamento forzato, soggettivo della crisi, entro cui far maturare il progetto di organizzazione rivoluzionaria, oppure la riorganizzazione a lungo termine del sistema significherà conquista di nuovi e più potenti mezzi di dominio, di controllo, significherà l'apertura di un nuovo periodo storico in cui occorrerà ricominciare da capo, in nuova organizzazione del lavoro in cui l'attuale referente organizzativo, l'operaio massa, lo studente e il tecnico massa, sarà totalmente distrutto e sostituito. Per noi il progetto di organizzazione, a partire dall' Italia, anello debole del capitale europeo, si colloca entro binari precisi. Esso ha innanzitutto come riferimento oggettivo le indicazioni strategiche emerse dalle avanguardie di massa in questi anni, la richiesta di reddito per tutti contro il diritto al lavoro, il rifiuto del lavoro come rifiuto del dominio capitalistico e della gestione socialista dello sviluppo; ha come riferimento soggettivo le avanguardie espresse dalle lotte degli ultimi anni, e quell'enorme rete di forze che PCI e sindacati liberano ogni giorno e rendono disponibili alla militanza rivoluzionaria, a mano a mano che il loro progetto antioperaio si fa concretamente violenza contro la necessità operaia di organizzazione. Esso deve costituirsi a partire dall' individuazione di precise scadenze di lotta, sulla capacità delle avanguardie organizzate di costruire oggi una risposta politica all'attacco del governo sul salario reale, ai partiti della produttività, alla truffa delle riforme. Non pensiamo che compito delle avanguardie sia sollecitare scontri generali, spontanei, ma stia tutto sulla capacità di costruire momenti di scontro organizzato, che sappiano indicare all' intero movimento la via di uscita dalla spontaneità, sappiano costruire momenti di organizzazione permanente. Occorre ricostruire dalle lotte operaie una direzione operaia che sappia rilanciare una lotta per l'appropriazione di ciò che è stato indebitamente tolto, che vanifichi definitivamente i vincoli contrattuali, che ricostruisca l'offensiva sul salario e sull'orario come offensiva politica contro la truffa delle riforme, come progetto antisindacale, come alternativa politica alla tregua della produttività, al partito della produttività. Ma ciò che conta in questa offensiva è che sia interamente in mano operaia, che sulle indicazioni di lotta si superi ogni residuo parasindacale, ogni radicalizzazione spontanea in cui i gruppi esterni funzionano come sollecitatori dello scontro. I punti di riferimento organizzativo dentro le fabbriche, le scuole, i centri di ricerca, i quartieri proletari, devono diventare riferimento di partito, comitati interamente politici che sappiano indicare all' intero movimento scadenze, obiettivi e forme di gestione della lotta. Non pensiamo perciò ad una sterile unificazione dei gruppi extraparlamentari, ma ad un impegno di tutte le avanguardie rivoluzionarie a costruire precisi momenti di direzione della lotta, a misurarsi sulle scadenze ravvicinate che la violenza dell' attacco padronale e la truffa del progetto riformistico impongono, a coinvolgere gli strati studenteschi e proletari sulle scadenze determinate delle avanguardie operaie dove i livelli di organizzazione sono più forti. Sulla capacità in questa fase di costruire reali momenti di organizzazione operaia e di gestione antisindacale della lotta a livello sociale, si verifica la possibilità a medio termine di ricomposizione dell' intero movimento rivoluzionario, di costruzione dell' organizzazione rivoluzionaria che impedisca ai padroni di riparare la loro macchina del potere.