Biblioteca Multimediale Marxista
Dentro qualsiasi livello organizzativo di Potere Operaio deve essere interamente
presente la proposta politica che noi rappresentiamo, il programma politico
che noi portiamo avanti. Dovremmo dire che siamo o meglio che rappresentiamo
lo sviluppo e la crisi dell'autonomia operaia, delle lotte di fabbrica, delle
lotte sociali come le abbiamo conosciute in questi anni in Italia. Alla III
Conferenza di organizzazione (Roma Settembre '71) ci siamo definiti "Potere
operaio per il partito per l'insurrezione per il comunismo". Che cosa vuol
dire, oggi, non proporre queste cose in modo formale e "liturgico"
ma affermare l'attualità di queste parole d'ordine? Cioè: che
cosa vuol dire oggi in questa situazione in Italia, dichiarare che il partito
è all'ordine del giorno, l'insurrezione è all'ordine del giorno,
il comunismo è all'ordine del giorno? Potere Operaio come organizzazione
nazionale data dal '69, dalle lotte FIAT del '69, dalla preparazione dell'intervento
dei gruppi rivoluzionari nei contratti e contri i contratti; però come
ipotesi politica passata attraverso esperienze successive (Quaderni Rossi, Classe
operaia), in realtà risale agli inizi degli anni sessanta. E' utile soffermarsi
sulle ipotesi di partenza, per vedere che cosa è cambiato nella situazione
di classe e nei compiti che ne derivano.
«Ricostruzione» e sconfitta di classe
Agli inizi del nostro esperimento politico, l'Italia era alle soglie del centro
sinistra, che era un tentativo di lanciare una fase riformista, un nuovo corso
dello sviluppo capitalistico nel paese. In quegli anni, il rilancio della lotta
di classe in Italia si presentava indubbiamente pesante. A partire dal dopoguerra,
dagli anni della ricostruzione, gli operai avevano subito per tutti gli anni
cinquanta una sconfitta di classe sistematica, continua, progressiva all'insegna
della collaborazione all'interesse nazionale, di una partecipazione alla ricostruzione,
in una parola all'insegna della politica di collaborazione di classe portata
avanti dal partito comunista e dalle organizzazioni sindacali. Gli operai, dagli
inizi del dopoguerra fino all'inizio degli anni sessanta, hanno pagato il costo
di tutto. La repubblica fondata sul lavoro si è costruita alle spalle
degli operai, sulla pelle di milioni di disoccupati, sullo sforzo produttivo
intenso e massacrante della classe operaia. All'inizio degli anni sessanta ,
il capitale italiano arriva alle soglie del miracolo, proprio perche' gli operai
hanno lavorato come bestie e per quindici anni e hanno lavorato a salari bassissimi.
In realtà per i padroni il "miracolo" c'e' sempre stato; la
differenza è che ora hanno bisogno - per l'espansione economica - di
"rilanciare la domanda interna" ( cioè che gli operai abbiano
più soldi da spendere). Si sono avute negli anni cinquanta lotte durissime,
ma tutte con questa comune caratteristica disperata e difensiva. Lotte contro
i licenziamenti, lotte per l'occupazione delle terre al Sud (con la prospettiva
poi di essere strozzati dallo sviluppo capitalistico dell'agricoltura ), lotte
contro la ristrutturazione : lotte, cioè, tutte di difesa, e dunque di
sconfitta, perchè se la lotta è difensiva, vuol dire che il padrone
ha in mano l'iniziativa. E per queste lotte l'unica risposta è stato
il piombo e i manganelli di Scelba e di Saragat. Da parte operaia, l'impotenza
politica, l'impotenza organizzativa a combattere queste cose è forte,
dato che negli anni che vanno dalla repubblica al '52/53 il partito comunista
ha provveduto a smantellare sistematicamente l'organizzazione comunista armata
nelle fabbriche. Il sindacato al tempo stesso si è guardato bene dall'organizzare
gli operai, - la lotta, l'insubordinazione operaia - nei punti chiave dello
sviluppo, per esempio alla FIAT. Il sindacato si è guardato bene in questi
anni di organizzare gli operai sui loro interessi materiali, sui loro interessi
particolari di classe, ostili all'interesse generale della società italiana,
- che è poi l'interesse dei padroni. Interessi ostili, antagonistici
a quelli che sono i cosiddetti compiti della ricostruzione, che poi è
ricostruzione del potere capitalistico, dello sfruttamento. Cioè, in
tutti gli anni cinquanta il sindacato si è guardato bene dallo scatenare
delle lotte per innalzare in Italia il costo del lavoro e mettere così
in crisi i piani di sfruttamento.
Progetto riformista, Stato pianificato
Ecco, su questa sconfitta operaia consolidata si chiudono gli anni cinquanta.
All'inizio degli anni '60 però, c'è il segno di una ripresa dell'insubordinazione,
di una ripresa dura, forte e violenta della capacità di lotta degli operai.
E' proprio in questi anni che i padroni, lo stato, i settori più avanzati
del capitale italiano lanciano un processo riformistico. E' quello che si chiamerà
- nel cielo della politica formale - governo di centro-sinistra, è quello
che si chiamerà nei disegni capitalistici "politica dei redditi".
Vuol dire uno stato nel quale andrà in dissolvenza, passerà in
secondo piano la faccia di Scelba e verrà in primo piano la faccia di
La Malfa, Giolitti e Lombardi. Questa scelta politica di avviare un processo
riformistico, vuole dire, addirittura stimolare una ripresa di lotte, il rilancio
di una dinamica salariale, purchè questa sia controllata, contenuta,
equilibrata, purchè questa dinamica di lotte, questa spinta massiccia,
questa richiesta di aumento dei salari, di trasformazione delle condizioni di
lavoro funzioni da fattore propulsivo dello sviluppo, di espansione dell'economia
capitalistica. Sono gli anni in cui i capitalisti in Italia si rendono conto
che è necessario operare un relativo miglioramento della condizione operaia
: perchè operai con più soldi significa espansione dei consumi
e stimolo alla produzione. I padroni in Italia scoprono la vecchia politica
di Ford, la politica "nuova" di Keynes; la FIAT lancia la vetturetta
democratica e lo stato le prepara le autostrade, le infrastrutture, per operare
questo salto in avanti nello sviluppo capitalistico in Italia. Ora, a che cosa
è dovuto questo tipo di passaggio politico, il centrosinistra e l'avvio
di una esperienza riformista? E' dovuto proprio al campanello di allarme di
questa ripresa massiccia della volontà di lotta degli operai, che i capitalisti
registrano in Italia. L'insurrezione proletaria del luglio '60, i primi "gatti
selvaggi" alla FIAT sono la campana d'allarme per i capitalisti in Italia.
E quindi il ceto politico, il ceto capitalistico italiano più avanzato
tenta di cambiare le carte in tavola, di riportare nel paese certi modelli avanzati
di sviluppo che sono già stati sperimentati negli Stati Uniti, a livello
di paesi capitalistici avanzati all'interno del mercato mondiale. E' un tentativo
di anticipare l'iniziativa operaia, di predisporre gli strumenti politico-istituzionali
perchè il capitale abbia una capacità di lettura e di interpretazione
dei movimenti di classe e dunque è una sorta di "preliminare"
al riformismo, di "legge quadro" del riformismo. Ecco quindi che il
padronato più moderno e più forte - pubblico e privato - e il
personale politico più avveduto di parte capitalistica si rendono conto
di come sia necessario, proprio per mantenere il controllo sulla forza lavoro,
portare avanti una gestione democratica del rapporto di lavoro; far partecipare
gli operai al progetto di sviluppo, incanalare l'insubordinazione operaia rendendola
un elemento dinamico del sistema, superare gli squilibri e le contraddizioni
attraverso la programmazione, gli uffici studi, il piano, superarli attraverso
la determinazione di una funzione dello stato come cervello capitalistico, non
solo come poliziotto; superarli attraverso questa determinazione di una funzione
dello stato come regolatore dei conflitti tra capitalista e capitalista, e soprattutto
tra operai e capitale. Il ceto capitalistico in Italia tende attraverso questa
ristrutturazione generale dello Stato a superare il rischio sempre in agguato
di crisi catastrofiche dell'economia capitalistica, di recessioni spaventose
come quella che era stata conosciuta a livello internazionale nel '29. Per questo
disegno occorre appunto una nuova struttura dello Stato, ed è quella
che si chiama stato democratico-pianificato, in cui vengono in primo piano non
gli strumenti di repressione ma gli strumenti di controllo, di mediazione, di
regolamentazione, viene fuori il sindacato, come struttura di controllo sugli
operai, il sindacato che al tavolo delle trattative dovrebbe stabilire con il
governo e i pianificatori quello che è il tetto, quelli che sono i livelli
di richieste operaie compatibili con lo sviluppo capitalistico; cioè,da
parte capitalistica si tenta all'inizio degli anni sessanta di liquidare questo
elemento irrazionale per i capitalisti e per la logica dello sfruttamento, questo
elemento per i padroni anarchico, insopportabile che è lo sviluppo autonomo
della lotta di classe. Per far questo, non occorre solo una nuova struttura
dello stato, ma anche una classe operaia diversa, strutturata sul modello degli
operai dell'auto americani, sugli operai di Detroit, cioè su una forza
lavoro mobile, sradicata dal posto di lavoro, indistinta, senza attaccamento
ai valori professionali, senza alcuna velleità di gestire la produzione.
Si tratta, per i padroni, di distruggere quel tipo di organizzazione comunista
che nelle fabbriche era stata modellata proprio sulla professionalità
del lavoro, sill'attaccamento ai valori professionali, - cioè di distruggere
un tipo di struttura della classe operaia che puntava alla gestione, che aveva
come obiettivo la gestione della fabbrica e della produzione. In un primo tempo,
di fronte a questo processo enorme di ristrutturazione capitalistica (enorme
a livello internazionale e poi mediati nella situazione specifica con tutte
le miserie del caso, ma pur sempre con questo segno lungimirante) di fronte
a questo tipo di disegno in quegli anni l'iniziativa rivoluzionaria sembrava
paralizzata. Cioè, di fronte a questo tipo di contrattacco generale,
di rilancio capitalistico, lo schema della III Internazionale, - lo schema classico
basato su un'ipotesi di crollo, di crisi dell'economia capitalistica su cui
intervenire portando dentro un programma di potere capace di egemonizzare l'intera
stratificazione proletaria - potremmo dire "tutto il popolo" intorno
alla classe operaia va in crisi. Questo tipo di ipotesi, - cioè dell'organizzazione
comunista che impersona le ragioni dello sviluppo contro la crisi capitalistica
e che su questo riesce ad egemonizzare realmente la maggioranza del proletariato
-, questa ipotesi veniva a cadere. I militanti comunisti, i militanti rivoluzionari
in quegli anni non vedevano più la possibilità di giocare su una
crisi "spontanea" e catastrofica del capitalismo come quella che si
era data in Russia, come quella che si era data in Cina; crisi di proporzioni
spaventose che arrivavano al punto-limite della guerra imperialistica. Sembrava
di trovarsi di fronte ad un capitale potentissimo, imbattibile, che appena scopriva
una sua contraddizione era subito capace di suturarla, di sanarla; cioè
che appena una contraddizione si rivelava - e contraddizioni ce n'erano di formidabili
- era capace di spostarla su un livello più alto, e comunque di riuscire
a tamponare le cose in modo che non si desse mai uno scoppio di violenza tale
da compromettere l'equilibrio del potere. E d'altra parte, la vecchia, tradizionale
tematica della III Internazionale - tematica leninista peraltro - dell'organizzazione
comunista che impugna la bandiera della lotta politica come lotta per lo sviluppo
estremo della democrazia; anche questo sembrava ormai uno strumento inservibile
perchè lo stato si presentava come stato pianificato e democratico, addirittura
con caratteristiche "socialiste". La stessa lotta contro la proprietà
privata, che era stata una bandiera formidabile di lotta, per esempio, per il
proletariato russo prima del '17, sembrava sfuggire di mano come parola d'ordine
possibile, perchè la ristrutturazione capitalistica dava sempre più
peso alla "mano pubblica", al capitale pubblico, proprio perchè
si andava nei paesi guida del capitalismo occidentale a un processo di "socializzazione"
del capitale, e perchè - al tempo stesso - gli operai cominciavano a
vedere nell' Unione Sovietica non più una speranza di comunismo, ma il
modello di quello che poteva essere un capitalismo senza padroni, (in cui, si,
la proprietà privata era stata abolita ma i rapporti capitalistici come
rapporti di sfruttamento restavano, - cioè in cui il dominio e la schiavitù
del lavoro restavano). Anche la lotta contro la proprietà privata sembrava
quindi una parola d'ordine che sfuggiva, che si sgretolava tra le mani. Che
fare di fronte a questo quadro di apparente forza del capitale, a questo apparente
trionfo del riformismo?
La questione della rivoluzione nel capitalismo avanzato
Attorno a questi anni - e qui possiamo determinare l'origine di quello che è
l'intero sviluppo del discorso politico di POTERE OPERAIO -, attorno a questi
anni in Italia un gruppo di compagni si applica a questo tipo di problema :
che cosa vuol dire riaprire la possibilità di una strategia rivoluzionaria,
di un programma comunista in un paese di capitalismo avanzato? E proprio gli
strumenti del marxismo venivano rintracciati, trovati, scoperti gli strumenti
che potevano riaprire questa possibilità. In quegli anni, compagni, all'inizio
degli anni '60 , il panorama - da un lato del pensiero teorico, dall'altro dell'iniziativa
politica marxista in occidente -, era desolante. Da un lato c'erano i riformisti
ridotti a un ruolo permanentemente subalterno di fronte alle ideologie più
avanzate del capitale. L'economia keynesiana, il progetto di questo grande stratega
del capitalismo, diventava un orizzonte avanzato per questi teorici del riformismo
del movimento operaio. Dall'altra parte c'erano molti velleitari all'interno
dello schieramento marxista, ma - come dire - si presentavano un pò come
una valle di lacrime, stavano lì a piangere sul fatto che la classe operaia
era a loro parere "integrata " perchè lottava per i soldi,
perchè manifestava un fondamentale egoismo ed attaccamento ai temi pratici,
materiali di lotta.
Il comunismo è all' ordine del giorno
Ecco, l'ipotesi sulla quale si è partiti, e l'ipotesi sulla quale abbiamo
poi sviluppato tutta l'iniziativa di massa degli anni sessanta è proprio
stata questa: vedere come far funzionare questo egoismo di massa, questa capacità
di lottare sui propri interessi materiali, come interessi contrapposti agli
interessi generali della società; vedere come far leva su questo, su
questi comportamenti di lotta per rimettere in moto il processo rivoluzionario.
Il progetto, l'ipotesi politica era questa : esaltare l'antagonismo tra operaio
e padrone che c'è nel rapporto di produzione, cioè dentro la fabbrica
, nel fatto che l'operaio continuamente, in ogni tipo di comportamento tende
a rifiutare il lavoro; esaltare questo tipo di contrapposizione, esaltare l'insubordinazione
degli operai dentro la fabbrica, il rifiuto del comando capitalistico: organizzare
la guerra e l'ostilità fra i bisogni materiali, concreti degli operai
e delle ragioni, la logica del piano, dello sviluppo capitalistico, propagandata
come "interessi generali". Si trattava così di lavorare attorno
a quest' ipotesi: contro questo nuovo progetto di stato capitalistico pianificato,
contro i nuovi livelli di coordinazione capitalistica a livello internazionale,
contro questa macchina che sembrava lucida e perfetta, senza un punto debole,
si trattava di trovare il punto debole. E questo punto debole era la necessità
che il riformismo, che il piano riformistico aveva - come ogni piano riformistico
ha sempre, di fondarsi sul consenso della classe operaia. Questo era il punto
debole, e qui si trattava di battere, cioè si trattava di negare il consenso
e l'adesione degli operai al riformismo. Questa è stata, compagni, la
scoperta dell'autonomia. Autonomia operaia ha significato questo, cioè
la coscienza e l'individuazione di questo fatto: che l'intera storia del capitale,
l'intera storia della società capitalistica è in realtà
storia operaia. Storia della classe operaia, delle lotte della classe operaia,
e questo lo si può verificare - gli operai di fabbrica lo toccano con
mano: la storia della tecnica è in realtà storia dell'astuzia
capitalistica a strappare informazioni agli operai, cioè la storia della
tecnica è storia di questo sforzo continuo dei capitalsiti per spremere
più lavoro agli operai: la storia dello Stato capitalistico è
storia del tentativo dei padroni di esercitare un controllo continuo, un controllo
totale sulla forza lavoro. La storia della società capitalistica è
storia di una gabbia di dominio costruita attorno al lavoro vivo, attorno alla
forza lavoro, attorno agli operai per spremergli lavoro.
La lotta sul salario
Allora l'ipotesi era proprio questa: contro lo stato del riformismo e dello
sviluppo bisognava negare il consenso, rifiutare le regole del piano, rifiutare
la mediazione del sindacato, spezzare la programmazione di un rapporto ragionevole
fra dinamica dei salari e dinamica della produttività, cioè spingere
in avanti questa variabile salariale, renderla irrazionale, impazzita rispetto
alla razionalità dello sfruttamento capitalistico, cioè spingere
in avanti il costo del lavoro fino a mettere in crisi la programmazione. Questa
è stata la scoperta dell'autonomia, delle lotte sul salario, della possibilità
di una lotta economica offensiva degli operai, una lotta economica offensiva
che scardinasse questo nuovo stato del riformismo, del piano e dello sviluppo.
La parola d'ordine che abbiamo tante volte agitato negli anni sessanta: più
soldi e meno lavoro, era proprio questo: provocare la crisi capitalistica con
una volontà precisa e soggettiva, cioè scagliando contro la stabilità
del capitale l'irriducibilità dei bisogni materiali della classe operaia.
L'esperimento che abbiamo condotto è stato questo: di fronte ad un capitale
che aveva ridotto al minimo le sue contraddizioni interne, giocare fino in fondo
quella contraddizione principale, irriducibile che restava in piedi - la contraddizione
tra gli operai e il capitale, organizzare questo tipo di contraddizione a partire
dal rapporto di produzione. Ecco, noi abbiamo creduto necessario verificare
questo tipo di ipotesi: cioè quella di scatenare un'ondata di lotte d'attacco
su obiettivi economici e di determinare così le condizioni della crisi
capitalistica, cioè di ripristinare in questo modo le condizioni classiche
per un'iniziativa rivoluzionaria propriamente detta, - cioè per un'iniziativa
volta alla presa del potere , alla distruzione dello stato dei capitalisti,
all'instaurazione del potere operaio. C'è di più: autonomia ha
significato questo: innanzitutto costruire nella lotta e dentro la lotta, l'unità
politica degli operai. Questo è stato il grande significato della parola
d'ordine "aumenti uguali per tutti", degli obiettivi egualitari: far
crescere nel riconoscimento dell'antagonismo tra gli interessi di classe degli
operai e l'interesse dei padroni, la coscienza aperta esplicita soggettiva della
necessità di organizzarsi in modo permanente non contro un singolo padrone
ma contro tutti i padroni, contro lo stato come rappresentante generale degli
interessi dei padroni.
L'autonomia operaia
Autonomia è stata quindi, sulla base di questo tipo di disegno politico,
inchiodare il capitale alla crisi, cioè costringerlo all'arresto dello
sviluppo, cioè costringerlo a dichiararsi incapace di un'iniziativa riformista,
a dichiarare il blocco dell'iniziativa politica, a rifiutare di assecondare
le richieste operaie; e quindi ha significato costringere i padroni e lo stato
a mostrarsi come dominio, come violenza aperta contro gli operai. In questo
senso, la lotta autonoma ha determinato lo stabilirsi di una situazione politica
in cui saltano le mistificazioni del riformismo in cui proprio a fronte della
crisi per come è - un'operazione di violenza aperta, di impoverimento,
di attacco alle condizioni materiali della classe operaia e di tutto il proletariato
-, di fronte a questo, di fronte alla faccia aperta, brutale della crisi si
creano le condizioni per una crescita di coscienza di classe , a livello di
massa, - cioè per una crescita della coscienza della necessità
di distruggere il potere capitalistico, di prendere tutto il potere; cioè
di distruggere la schiavitù del lavoro salariato, il sistema capitalistico
come sistema del lavoro e delle merci. Ecco, questo è stato il nostro
percorso dentro il movimento negli anni sessanta, dalle lotte FIAT del '62 alla
grande ripresa di lotte operaie, di lotte sociali, studentesche , proletarie
cominciata nel '68 con Valdagno, con le lotte dei proletari del sud con Battipaglia,
poi la lotta FIAT del '69, poi l'autunno caldo. E' inutile soffermarsi ora su
queste scadenze; quello che interessa qui rilevare è che attraverso queste
tappe del movimento, il filo rosso del nostro discorso politico è stato
questo. E in questo senso noi crediamo, compagni, che questo tipo di ipotesi
politica sia stata già, in embrione - con tutti i limiti che aveva -,
un programma comunista. Cioè se - come dice questa frase di Marx che
ci piace molto, che è stato uno slogan della nostra III Conferenza d'organizzazione
: "il comunismo è il movimento reale che distrugge lo stato delle
cose presenti" - ecco, noi crediamo che il nostro (il nostro come gruppo
che ha interpretato queste cose, ma soprattutto come manifesto politico di massa
delle lotte degli operai), sia stato effettivamente un programma comunista.
Cioè noi crediamo che dentro i contenuti espliciti delle lotte operaie
degli anni sessanta, dentro a questa esperienza dell'autonomia , sia corsa una
ipotesi, un programma, sia corso un progetto, un manifesto politico comunista.
Se è vero che il comunismo lo intendiamo - come lo intende Marx - come
distruzione del lavoro salariato, come distruzione della necessità di
lavorare per vivere, ecco, dire attualità del comunismo significa scoprire
questa richiesta di comunismo dentro i comportamenti degli operai e dei proletari,
dentro la lotta contro il lavoro che ha caratterizzato le lotte di fabbrica
le lotte sociali degli anni sessanta in Italia. Ecco che cosa significa, compagni,
attualità del comunismo. Noi crediamo che al livello attuale di sviluppo
delle forze produttive il sistema capitalistico sia innanzitutto una macchina
infernale per "fare lavoro", cioè si lavora per creare necessità
di lavoro, perchè - nella sua fase estrema - il capitalismo diventa veramente
costrizione al lavoro, puro dominio, puro comando sul lavoro, puro controllo
sulla forza lavoro. E allora per questo, compagni, la lotta contro il lavoro,
il rifiuto del lavoro si è caratterizzato come un programma comunista
che poi si è articolato in una serie di programmi determinati, concreti,
nelle lotte operaie degli anni '60. Lotta contro la partecipazione, contro il
tentativo di corresponsabilizzare gli operai allo sfruttamento, la lotta contro
il tempo di lavoro, contro la mistificazione capitalistica di diversi valori
del lavoro (che in realtà serve per dividere politicamente gli operai),
la lotta contro l'aggancio fra salario e produttività: ecco, tutti questi
sono stati formidabili contenuti rivoluzionari delle lotte con un bilancio largamente
positivo, cioè potevamo dire, alla chiusura dell'autunno caldo del '69,
che questa ipotesi che avevamo lanciato era stata in larga parte verificata.
Il partito è all'ordine del giorno
Perchè veramente gli operai uscivano dalle lotte con una formidabile
unità di classe, perchè veramente si usciva dalle lotte contrattuali
con una serie di avanguardie politiche nate nelle fabbriche, con una serie di
nuclei di organizzazione, con elementi significativi di organizzazione rivoluzionaria.
Cioè, possiamo dire che gli operai sono usciti da questa fase, da questa
ondata, da questo grande ciclo di lotte con una consapevolezza generale, possiamo
dire che si è imposto il bisogno operaio del partito e della rivoluzione,
e che al tempo stesso la crisi capitalistica è stata determinata, provocata
dall'attacco operaio. Ma è proprio per questo che a partire da questo
tipo di verifica, fin dalla fine dell'autunno caldo, possiamo dire, e sempre
in modo più preciso, più articolato in tutto il 1970, e poi in
questi mesi, in questi anni, abbiamo voluto imporre una svolta radicale al nostro
lavoro, allo stesso stile del nostro lavoro, alla nostra proposta politica.
Svolta radicale che secondo noi era necessaria, ed è più tanto
necessaria oggi, perchè l'andamento della situazione di classe in Italia
conferma questa necessità, e noi crediamo che esercitare un ruolo di
avanguardia significhi proprio riuscire ad interpretare queste necessità
di discontinuità, di salto, di forzatura, di riqualificazione, di rinnovamento
del discorso. Questo significa anche attraversare le fasi di isolamento, di
battaglia politica nel movimento; il problema è che quello che accettiamo
è un isolamento positivo, non l'isolamento dei ritardatari, ma semmai
di quelli che anticipano le scelte alle quali poi va costretto l'intero movimento.
Ecco, se la crisi capitalistica è dunque data, di fronte all'accelerarsi
di questa crisi (l'inflazione, l'attacco al salario reale, l'attacco all'occupazione,
la violenza aperta contro le avanguardie delle lotte, contro i nuclei di organizzazione
rivoluzionaria, l'iniziativa di repressione giudiziaria - tutto il quadro politico
che si è andato sviluppando in Italia a partire dall'estate del '70,
dal "decretone" in poi - ) Potere Operaio rappresenta un tipo di proposta
politica: è la proposta della necessità del passaggio dall'autonomia
all'organizzazione, dalla lotta sul terreno economico-rivendicativo, ad una
lotta apertamente politica sul terreno del potere. E questo noi crediamo che
sia imposto dalla natura, dalle caratteristiche, dalla materialità della
crisi. Voglio dire: dalla volontà di mantenere - nella crisi - il punto
di vista operaio dell'offensiva. E' necessario a questo punto dire che cosa
intendiamo per crisi capitalistica. Molti compagni, anche all'interno del movimento,
anche all'interno della "sinistra di classe", negano che la situazione
attuale si configuri come crisi capitalistica; ma lo negano perchè in
realtà hanno una visione contabile della crisi, e perchè continuamente
la paragonano con vecchi schemi, che hanno in testa , cioè negano questa
qualità nuova della crisi come crisi provocata dalle lotte operaie, e
continuano a immaginarsela come una ripetizione del '29, come una crisi catastrofica,
e allora stanno lì a spiare le tabelle di "Mondo economico"
e del "Sole 24 ore" per vedere nell'oggettività del tessuto
produttivo italiano quali sono i settori in crisi, se sono i tessili, se sono
i gommai. Stanno lì a stabilire se la crisi è sovrastrutturale
o strutturale; tutte cose interessanti utilissime ma di "contorno"
rispetto al nocciolo del discorso politico che va fatto. Questi compagni - che
sono forse la maggioranza delle organizzazioni della sinistra di classe -, vedono
davvero la crisi come dissesto, come bancarotta, noi affermiamo invece il concetto
di crisi come blocco dell'iniziativa capitalistica. Crisi è la necessità
a cui è inchiodato il capitale, e al tempo stesso la volontà politica
di parte capitalistica di bloccare, di arrestare lo sviluppo, di pagare questo
scotto pur di riprendere il controllo e il dominio sulla classe operaia e sull'intera
società, pur di portare avanti un processo di "normalizzazione"
sociale; quindi crisi è necessità e volontà politica bloccare
lo sviluppo, di bloccare il riformismo come capacità di assecondare le
richieste operaie. Allora in questo senso noi diciamo apertamente compagni,
proprio noi che dentro le lotte di classe e dentro le lotte di fabbrica siamo
cresciuti e che anche per questo ci chiamiamo POTERE OPERAIO, che la crisi è
inevitabilmente crisi della lotta di fabbrica, crisi dell'autonomia operaia,
crisi della spontaneità della lotta operaia; proprio perchè la
crisi è il colpo specifico piazzato dal nemico di classe, proprio perchè
è la risposta specifica al progetto rivoluzionario che noi portiamo avanti,
proprio perchè è la capacità di render vana, di svuotare
di contenuto, di spuntare quest'arma formidabile che abbiamo conosciuto negli
anni dello sviluppo, quest'arma formidabile contro lo sviluppo, che era la lotta
offensiva che ha procurato tanti guai e tanti danni al padrone.
Crisi e compiti rivoluzionari dei comunisti
Ecco, la crisi è fondamentalmente questo : il disegno politico di parte
padronale che passa per tutte le articolazioni dello stato, il disegno politico
di costringere la lotta operaia sulla difensiva, di addomesticare la spontaneità
operaia. Quando l'attacco padronale, il ricatto sul posto di lavoro riduce la
spontaneità operaia a preghiera, a richiesta di lavoro, quando riduce
la lotta operaia a richiesta di essere sfruttati, di avere un posto da sfruttati;
quando il padrone porta l'attacco a questo livello, o il terreno di lotta si
sposta interamente, oppure passa la sconfitta di classe. Quando il padrone è
disposto a rinunciare all'espansione, allo sviluppo, cioè non tiene più
al primo posto le ragioni della produttività e lo sviluppo della produzione,
ma prima di tutto mira a riprendere il controllo, cioè a riconquistare
e ripristinare le condizioni generali di dominio, proprio quando assume soggettivamente
la crisi che gli operai gli hanno imposto e la usa come arma politica; quando
il padrone è lui che blocca la produzione, è lui che ferma le
catene di montaggio che mette gli operai in cassa integrazione, che licenzia,
che chiude la fabbrica, - di fronte a questo tipo di contrattacco, il ricatto
e l'arma del salario sulla quale noi ci siamo misurati diventa un'arma spuntata;
gli obiettivi dell'autonomia non funzionano più (infatti, provate ad
andare ai cancelli delle fabbriche a riproporre quello che è stato il
grande movimento dell'autonomia del '68-69 senza farvi portatori di una proposta
di sbocco politico e di nuovi strumenti di lotta: la vostra proposta non riesce
a "mordere", a orientare la volontà di lotta degli operai).
E non si tratta, come crede qualcuno, di escogitare degli obiettivi più
belli: noi crediamo che gli obiettivi della lotta autonoma degli anni '68-69
siano stati degli obiettivi formidabili di unificazione di classe e di attacco
contro il padrone. Il problema non è questo; il problema è che
è il rapporto di forza tra padrone e operai che viene a mancare. Il problema
è che oggi la lotta di fabbrica non ha più il coltello dalla parte
del manico, e qui va innestata la riqualificazione dell'iniziativa organizzativa.
Appropriazione e salario politico
Perciò il che fare è proprio questo, come mantenere l'offensiva
e impedire al padrone a riprendere l'iniziativa: questo è il punto intorno
al quale si muove interamente la proposta di Potere Operaio. Su questo siamo
anche apertamente polemici nei confronti dei teorici della continuità,
cioè di tutti quei compagni che pensano che il processo rivoluzionario
sia una specie di autostrada rettilinea. Su questi temi noi oggi vogliamo caratterizzare
la nostra proposta politica, questo crediamo sia un compito nei confronti dell'intero
movimento rivoluzionario di classe. Nel numero scorso del giornale, abbiamo
spiegato perchè riteniamo che fare questo discorso sulla continuità
sia un errore molto grosso; ci sembra che i compagni che lo portano avanti,
come negli anni sessanta non avevano capito il rapporto autonomia-sviluppo,
come hanno tardato troppo tempo a capire - e lo hanno capito solo adesso, così
in ritardo - che nello sviluppo la spontaneità operaia, la lotta economica
degli operai sui propri interessi materiali era un fatto formidabilmente sovversivo
e rivoluzionario, - così oggi non capiscono i compiti nuovi proposti
dalla crisi: un nuovo livello strategico della lotta. Non capiscono che, nella
crisi, bisogna assumere questo fatto: la lotta di fabbrica come tale, il terreno
rivendicativo non scava più la fossa al padrone. Allora, noi crediamo
che dire le cose che diciamo oggi significhi fare delle cose significative,
mettere in piedi esperienze di lotta di nuovo tipo, rischiare la praticabilità
di questo discorso politico; cioè noi crediamo che - se il compito dei
rivoluzionari nella fase dello sviluppo capitalistico era promuovere l'autonomia,
organizzare lotte e scioperi, fermate di reparto, comitati di base,- oggi, certo,
tutto questo va perseguito, va fatto ovunque sia possibile; però oggi
nella crisi, si tratta anche di impostare e di realizzare con i tempi che la
crisi impone un salto di livello della lotta politica, della lotta rivoluzionaria.
L'insurrezione è all'ordine del giorno
Cioè, se contro lo stato del piano, del riformismo, dello sviluppo, l'arma
che proponevamo era la lotta dura e l'obiettivo del salario, - oggi, contro
lo stato della crisi, della distruzione delle avanguardie rivoluzionarie, contro
lo stato che è veramente la libertà della violenza capitalistica,
l'arma adeguata diventa l'organizzazione di partito, l'organizzazione del processo
insurrezionale e quindi l'attualità della parola d'ordine del "Partito
dell'insurrezione", che noi portiamo avanti. Cioè, se contro il
padrone proponevamo la lotta dura, se contro lo sviluppo proponevamo l'autonomia,
oggi proponiamo contro lo stato il partito, e contro la crisi il processo insurrezionale.
Ora, noi crediamo che si presenti intero alle forze rivoluzionarie il dilemma
classico, tradizionale: sconfitta di classe o rivoluzione. Crediamo cioè
che non sia possibile prevedere una situazione di stagnazione a tempo indeterminato
dell'iniziativa capitalistica e dell'iniziativa operaia. Non andrà così.
O passano la ristrutturazione, le riforme - cioè passa la sconfitta operaia
o si avvia quel processo di lungo periodo che è la lotta armata, o ci
si comincia a muovere sulla direttrice di marcia dell'insurrezione. Ora, noi
crediamo che questo tipo di discorso significhi innanzitutto una nuova pratica
di massa da proporre al movimento, delle lotte da costruire: per questo parliamo
di scadenze. Cioè, noi crediamo per esempio che oggi dobbiamo andare
oltre quell'obiettivo che avevamo nel '68-'69, di costruire nelle lotte l'unità
degli operai su un pacchetto di obiettivi, e proporci invece l'unificazione
di tutti i proletari, cioè degli operai di fabbrica come dei disoccupati,
come dei proletari del sud, cioè l'unificazione di questa figura proletaria
complessiva che chiamiamo operaio-massa. Noi crediamo che possa oggi darsi un
programma di unificazione di tutti i proletari su un livello di scontro di potere.
L'insurrezione
Questo terreno noi lo chiamiamo salario politico (termine forse non immediatamente
comprensibile, ma non è questo che conta: quando diciamo salario politico
diciamo fondamentalmente capacità dei proletari di liberarsi dal ricatto
del lavoro, cioè potere di non essere costretti a lottare per il lavoro).
Salario politico per noi significa tutto un ventaglio di iniziative che si può
portare avanti, significa organizzare la rivolta e la violenza dei proletari
del sud per il salario garantito, significa organizzare la lotta e la violenza
dei disoccupati della metropoli sullo stesso obiettivo del salario garantito,
significa organizzare la pratica dell'appropriazione della ricchezza sociale
come capacità di sfuggire al ricatto del lavoro per avere il potere e
la libertà di non doversi massacrare di straordinari perchè non
si hanno i soldi per tirare avanti. Questo tipo di indicazione che chiamiamo
salario politico, che si può articolare appunto nell'organizzazione di
questi momenti di violenza nel Sud sul salario garantito, sull'organizzazione
di questa pratica dell'appropriazione nelle metropoli del nord e nelle grandi
fabbriche, ha questo significato: di esprimere il rifiuto della lotta difensiva.
Una lotta non per il lavoro ma per il reddito, per il reddito sganciato dal
lavoro, significa rifiuto da parte dei proletari della partecipazione. Significa
questa volta, rifiuto operaio di partecipare alla crisi dei padroni. Come durante
le lotte del '68-'70 gli operai hanno rifiutato la partecipazione allo sviluppo
dei padroni; come allora veniva rifiutato questo aggancio fra salario e produttività,
veniva rifiutata questa regola capitalistica che dice: "certo più
soldi, ma più lavoro", questa regola capitalistica secondo cui la
produttività e il "monte salari" sono legati e crescono con
un parametro uniforme. Ecco la lotta contro il lavoro e l'autonomia dentro la
fabbrica ha significato rompere questo tipo di rapporto, ha significato chiedere
più salario sulla base dei propri bisogni e non delle esigenze produttive
del capitale. Oggi il problema è dunque, di fronte alla crisi, di fronte
all'attacco all'occupazione, riuscire a sganciare il legame fra lavoro e reddito;
impostare una lotta generale sul reddito; cominciare a praticare un livello
di appropriazione, di riappropriazione della ricchezza sociale che gli operai
- quelli che lavorano e anche quelli che il capitale ha condannato al non lavoro
- hanno prodotto. Programma di appropriazione è riprendersi questa ricchezza
che è stata estorta; e ci sono tutta una serie di terreni di lotta -
sui trasporti, sulle case, sulle mense (sui supermarket ce ne sono meno per
ora) - che i proletari già cominciano a praticare per avere il potere
di lavorare di meno, di non accettare questo ricatto capitalistico che viene
portato in termini di crisi. E al tempo stesso, appropriarsi in fabbrica dei
propri obiettivi, senza contrattazione e subito. Ecco, compagni, questo vuol
dire nuova pratica di massa contro la crisi. Si tratta di esemplificare questo
discorso, di fare delle esperienze, di raccogliere non in una continuità
indefinita di episodi di lotta che si sfilacciano ogni giorno, ma di raccogliere
intorno a certe scadenze organizzate, decise centralmente, in cui verificare
una capacità di organizzazione, una capacità per esempio, di muoversi
a livello nazionale. Questo significa anche nuova pratica dell'azione organizzata,
nuovo stile di organizzazione; perchè a questo livello il problema non
è più stimolare in punti significativi il comportamento spontaneo
degli operai, il problema è quello di avere una capacità in proprio
- come organizzazione - di guidare e di forzare le lotte di massa verso lo sbocco
insurrezionale. Questo è quello che noi chiamiamo agire da partito, comportarsi
da partito; scegliere un terreno di lotta proprio del partito rivoluzionario
pur non ritenendoci oggi, al livello attuale di organizzazione, il partito rivoluzionario,
perchè ci rendiamo conto che una soglia organizzativa di partito può
determinare solo sulla base di una fase di lotte significative sul terreno della
crisi, che si riveli capace di riunificare su questo nuovo terreno più
avanzato, l'enorme patrimonio di quadri politici, di militanti che si sono formati
nelle lotte di questi anni. Agire da partito è scegliere di praticare
questo tipo di terreno di iniziativa. Non ci riteniamo né ci autodefiniamo
ora partito perchè riteniamo che la qualità specifica del partito
sia quella di essere in grado nel presente non solo di avviare il processo insurrezionale,
di muoversi sulla direttrice di marcia dell'insurrezione, ma di riaprire direttamente
in termini risolutivi una vertenza di potere con lo stato. Però, questo
non significa che non scegliamo questo tipo di terreno come terreno qualitativo
sul quale ci muoviamo. Questa è dunque la tematica che noi crediamo debba
passare nel movimento: se salario e lotta dura era il binomio e la parola d'ordine
nella fase dell'autonomia, salario politico e lotta per il potere (e quindi
processo insurrezionale, lotta armata - che è un processo a lungo periodo
ma che va avviato, reso possibile, e verso il quale il movimento va forzato)
deve essere oggi la parola d'ordine da dare al movimento. Una parola d'ordine,
che non sia enunciazione di linea, ma che sia sostenuta da una capacità
di organizzare sistematicamente delle scadenze, dei momenti di scontro, di rottura,
che facciano fare dei passi in avanti al movimento. Gli esempi sono tanti, e
ne scegliamo uno. Pensate, compagni, che cosa significa passare da un'occupazione
generalizzata di massa delle case alla capacità di difesa complessiva
del quartiere proletario, di difesa militare contro l'attacco della polizia.
Pensate che cosa significa passare da esplosioni spontanee di rivolta proletaria
come quelle che conosciamo ogni giorno nei paesi del sud, a una capacità
di coordinamento, e quindi anche a una violenza non spontanea di massa, ma a
una violenza preordinata, precostituita, guidata, diretta. Capite che cosa significa
questo in termini organizzativi. Noi pensiamo che verso questo tipo di processo,
verso questo tipo di scadenza vada diretto l'intero movimento e pensiamo però
che rispetto a questo e ai ritardi enormi che gli altri gruppi manifestano noi
dobbiamo rappresentare proprio questa urgenza imposta della situazione e quindi
anche una grossa capacità di esemplificazione. Altrimenti, compagni,
il discorso sul partito è un discorso vuoto, di costruzione dell'organizzazione
mattone su mattone. E' la lotta contro lo stato la specificità del partito,
la funzione dell'organizzazione rivoluzionaria. La differenza tra l'organizzazione
rivoluzionaria di partito degli operai e dei proletari e un'organizzazione generica,
di movimento dentro le lotte non è ovviamente quella di avere qualche
bandierina in più nella "carta geografica" dell'organizzazione,
ma è fondamentalmente la capacità di muoversi al livello dei compiti
reali che il movimento ha di fronte. Noi, su questo discorso vogliamo misurarci,
vogliamo essere portatori di questa parola d'ordine dell'offensiva. E' normale,
che all'interno di un movimento rivoluzionario, nelle fasi di crisi e di contrattacco
padronale, compaiono anche delle posizioni che non esitiamo a definire di attendismo
e di opportunismo. Molti compagni credono che quando il padrone, quando lo stato
attacca, bisogna ritirarsi e proteggere i livelli organizzativi che si detengono.
Ora, noi crediamo che non sia così, crediamo che nessuna organizzazione
che si dica rivoluzionaria potrebbe sopravvivere come tale, con un minimo di
credibilità politica, come organizzazione rivoluzionaria dopo aver mancato
a questo appuntamento, a questa verifica della capacità di sperimentare
forme significative di lotta sul terreno di potere, sul terreno dello scontro
con lo stato della crisi. Tutto questo è ancora un progetto, però
crediamo che questo tipo di sperimentazione vada fatta, che rispetto a questi
tempi il problema non sia tirarsi indietro, e che sia necessario invece giocare
fino in fondo le proprie capacità di organizzazione attorno a questo
tipo di indicazione politica a questi compiti di avanguardia e intorno alla
costruzione di alcune scadenze significative di scontro che poi possano valere
non come piatta esemplarità ma come riferimento d'avanguardia per l'intero
movimento.