Biblioteca Multimediale Marxista
Nel momento in cui col XX congresso Occhetto sta per celebrare il funerale del
PCI e tenere a battesimo quel mostriciattolo del PDS, noi auspichiamo che i
militanti di questo partito che credono ancora nel socialismo e vogliono restare
comunisti come lo intendeva Lenin sappiano trarre un serio e approfondito bilancio
della storia del PCI, per capire perché e come si è arrivati alla
sua liquidazione, per evitare che nel futuro si ripeta una simile amara esperienza,
per stabilire che cosa devono fare per proseguire nella lotta di classe per
la conquista del potere politico da parte del proletariato.
Per aiutarli in questo fondamentale bilancio che investe l'avvenire del proletariato
italiano e delle masse popolari, quindi anche lo stesso avvenire del nostro
Partito, offriamo loro questo documento e il numero speciale de Il Bolscevico
sul PCI che lo riporta.
Noi marxisti-leninisti italiani non siamo sorpresi dalla liquidazione del PCI,
sapevamo da sempre che prima o poi sarebbe crollato. Solo che pensavamo che
sarebbe stato abbattuto da sinistra sotto i nostri colpi e di quelli delle compagne
e dei compagni di base del PCI una volta che avessero preso coscienza del tradimento
del gruppo dirigente. Fino all'89 infatti era impensabile che il PCI arrivasse
all'autoscioglimento, all'ammissione di fatto del suo fallimento storico, al
rinnegamento persino del suo simbolo.
Per 23 anni, ricordiamo in particolare il numero monografico de Il Bolscevico
dedicato al 50° anniversario del PCI, ci siamo seccati la gola per spiegare
che tale partito era un partito revisionista e che i suoi dirigenti non avevano
alcun interesse a guidare il proletariato ad abbattere il capitalismo, conquistare
il potere politico e realizzare il socialismo. Ora, paradossalmente, è
il liquidatore di origine trotzkista Occhetto, proprio colui che nel Sessantotto
ci disputava il terreno rivoluzionario, che ci dà ragione.
Meglio così, una fatica in meno per sgombrare il campo di un partito
che ostruiva la strada verso il socialismo. Bisogna essere contenti, visto che
è finito un inganno durato 70 anni. Se si capisce questo non c'è
alcun motivo per disperarsi, per ritenersi scippati di un nome, quello comunista,
che non ha mai avuto nel PCI la sostanza ideologica e politica sperate e per
cui i nostri padri hanno dato anche la vita. Il punto vero perciò non
è il cambio del nome, quanto il bilancio della storia del PCI. Solo così
si potranno scoprire le fondamenta revisioniste di questo partito, e quindi
capire perché è finito nelle grinfie della borghesia, della socialdemocrazia
e del neoduce Craxi.
La liquidazione del PCI, nonché la capitolazione dei regimi revisionisti
dell'Est, sull'esempio e l'impulso dell'Urss del neoliberale Gorbaciov, all'imperialismo
e al capitalismo, dimostrano il fallimento totale a livello storico, ideologico,
strategico, economico e pratico del revisionismo moderno, la sua inconsistenza,
la sua incapacità di durare nel tempo, finanche rispetto alla stessa
socialdemocrazia, che invece continua ancora ad esistere.
Per lungo tempo il revisionismo moderno ha ingannato il proletariato e i popoli
dei vari paesi ma alla fine ha fatto bancarotta, e ha dovuto rinnegare se stesso,
autoliquidandosi e ritornando al liberalismo borghese dal quale era provenuto.
Non c'è da stupirsi quindi se la socialdemocrazia gli è sopravvissuta,
visto che essa fin dall'inizio della sua storia, da quando cioè Lenin
la denunciò, si era già saldamente attestata sul liberalismo borghese
e capitalistico a cui oggi tutti i partiti revisionisti si stanno omologando.
1- L'elemento fondamentale del bilancio della storia del PCI
è l'inganno politico
L'elemento fondamentale che caratterizza la storia del PCI è l'inganno
politico.
Infatti il PCI si è costituito nel '21 per abbattere il capitalismo e
realizzare il socialismo, tramite la lotta di classe e la rivoluzione socialista,
mentre in realtà in tutto il corso della sua storia ha lavorato per sabotare
la lotta di classe, per difendere il sistema capitalistico e la democrazia borghese
e integrare in essi la classe operaia.
Per tutti questi anni il PCI non ha fatto che spargere nella classe operaia
revisionismo, riformismo, liberalismo, elettoralismo, parlamentarismo, pacifismo,
legalitarismo, al posto del marxismo-leninismo e della strategia e della tattica
proletarie e rivoluzionarie.
Questo inganno è stato possibile grazie a un lento, graduale e pilotato
processo di deideologizzazione, decomunistizzazione e socialdemocratizzazione
dei militanti, del proletariato e dei lavoratori, delle masse femminili, giovanili
e popolari.
Attraverso mille sotterfugi, mille piccoli e grandi cambiamenti sempre diretti
a spostare a destra l'asse del partito, il PCI ha finito col depotenziare sul
piano ideologico, politico e organizzativo la carica rivoluzionaria del proletariato,
col decomunistizzare le nuove generazioni, col sradicare la concezione marxista-leninista
dell'emancipazione della donna dalla coscienza delle masse femminili.
Il PMLI ha fatto quanto ha potuto per evitare questo mostruoso crimine, ma purtroppo
non ci è riuscito, poiché ci sono mancati la forza organizzativa
e i mezzi economici per far giungere la nostra voce alla grande massa dei militanti
del PCI, del proletariato e dei giovani, e poiché nessun dirigente di
quel partito, che oggi si riempie la bocca di comunismo, sia pure "moderno''
e "rifondato'', ha mai mosso un solo capello per tenere il proletariato
sulla via dell'Ottobre.
Rimangono comunque agli atti i nostri sforzi tesi a smascherare, quantomeno
a livello ideologico, teorico, storico e strategico, il più forte partito
revisionista non al potere e uno dei più grossi partiti revisionisti
in assoluto in Europa e nel mondo, nonché Gramsci e Togliatti, tra i
maggiori capofila storici del revisionismo mondiale, paragonabili per statura
e influenza rispettivamente a un Kautsky e a un Krusciov: Gramsci, il cui pensiero
liberal-riformista è stato preso a modello da molti partiti revisionisti
e trotzkisti di tutto il mondo, e tuttora gode di una vasta pubblicistica a
livello nazionale, europeo e internazionale, e Togliatti, uno dei capi revisionisti
unanimemente riconosciuto tra i più abili e manovrieri, capace di coprirsi
per anni dietro Stalin e la III Internazionale, mentre portava avanti subdolamente
la sua strategia revisionista di destra.
è a questa posizione e a questa analisi che bisognerà rifarsi
e da cui occorrerà ripartire per continuare d'ora in avanti la lotta
contro il revisionismo trasformatosi in neorevisionismo. Infatti, anche se attualmente
il revisionismo non ha ancora un'unica centrale organizzativa a livello mondiale,
la battaglia contro di esso non è finita, sia perché il revisionismo
continuerà ad esistere sotto forma di riformismo, di parlamentarismo,
di costituzionalismo, ecc., sia perché anche se esso non arrivasse a
ricostituirsi organizzativamente attraverso un partito neorevisionista promosso
da Cossutta, Garavini, Libertini, Russo Spena, Salvato, Vinci ecc., tenderebbe
comunque a riversarsi all'interno del nostro Partito, via via che nuove forze
vi entreranno ed esso si espanderà a livello nazionale.
La nostra lotta contro il revisionismo è stata una lotta teorica e politica,
ma anche sindacale all'interno delle fabbriche e della CGIL, pratica (nelle
piazze, nei quartieri, nelle scuole e nelle università), e finanche fisica,
dal momento che spesso abbiamo dovuto affrontare anche duri scontri fisici perché
le masse, ingannate dai dirigenti revisionisti, non comprendevano né
accettavano le nostre denunce del revisionismo del PCI e dell'Urss di Breznev
ritenendoli comunisti. In questa lotta non ci siamo fatti condizionare, al contrario
dei falsi marxisti-leninisti e degli opportunisti-trotzkisti di ogni specie,
dal rapporto di forza schiacciante a nostro sfavore; non abbiamo avuto paura
di affrontare a viso aperto, come ci hanno insegnato Lenin e Mao, chi apparentemente
era infinitamente più forte, più autorevole e più seguito
dalle masse di noi, perché eravamo coscienti che si trattava di un gigante
dai piedi d'argilla; perché eravamo nel giusto, dalla parte del marxismo-leninismo-pensiero
di Mao, sicuri che la verità alla fine avrebbe trionfato, e che se anche
fossimo stati distrutti, il fuoco ormai era stato acceso, quel che era scritto
era scritto, e niente sarebbe più stato come prima.
Quel che conta è che l'inganno è comunque finito, e che in Italia
c'è stato un Partito che ha avuto il coraggio di combatterlo e smascherarlo:
ciò è stato possibile, proprio perché il nostro è
un proletariato di grande forza, prestigio ed esperienza, ed ha saputo esprimere
dal suo seno, pur avendo subito 70 anni di inganni e menzogne, la sua parte
più cosciente e organizzata che ha rotto col revisionismo e gli ha dato
battaglia fino in fondo. Il nostro proletariato esce dunque a testa alta dalla
vergognosa disfatta del revisionismo italiano, poiché ha avuto chi lo
ha degnamente rappresentato nello scontro storico a livello interno e internazionale
tra il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il revisionismo moderno.
2- Le fasi del grande inganno
Storicamente il grande inganno del PCI ai danni del proletariato ha avuto tre
grandi fasi: la fase sotto il controllo di Lenin, Stalin e della III Internazionale
(dalla fondazione del PCI all'VIII congresso: 21/1/1921 - 8/12/1956); la fase
della "via italiana al socialismo'' (dall'VIII al XVII congresso, alle
dimissioni di Natta: 14/12/1956 - 21/6/1988); la fase del "nuovo corso''
neoliberale (dall'elezione di Occhetto a segretario generale al XX congresso:
21/6/1988 - 29/1/1991). Anche se, va detto, queste fasi non sono da considerare
rigidamente demarcate ma, come vedremo, concatenate e conseguenziali tra di
loro.
La caratteristica peculiare del PCI è che fin dall'indomani della sua
giusta e necessaria fondazione, avvenuta su impulso di Lenin e della III Internazionale,
questo partito è caduto nelle mani della borghesia, dapprima tramite
la direzione opportunista di "sinistra'' di Bordiga, e poi, dopo la sconfitta
definitiva di quest'ultima nel '26, tramite la direzione revisionista di destra
di Gramsci e successivamente di Togliatti.
Gramsci, con le sue teorie liberal-riformiste che sostituivano la costruzione
dei consigli a quella del partito, il concetto di "blocco storico'' a quello
di lotta di classe, il concetto di "egemonia'' a quello della dittatura
del proletariato, e il concetto di "guerra di posizione'' a quello di insurrezione
rivoluzionaria per il socialismo, pose per primo le fondamenta revisioniste
del PCI. Togliatti riprese, sviluppò e applicò quelle teorie con
la "via italiana al socialismo'', che sta a sua volta all'origine dell'ulteriore
passaggio revisionista del partito negli anni '70 e '80, fino all'attuale liquidazione
all'insegna del neoliberalismo.
Finché c'erano Lenin e poi Stalin e la III Internazionale, quest'anima
revisionista della direzione del PCI veniva combattuta ed era costretta a camuffarsi
e restare al coperto. Il revisionismo di destra di Gramsci fu capito e isolato
di fatto dalla direzione marxista-leninista dell'allora movimento comunista
internazionale guidato da Stalin. Lo stesso Togliatti dovette a lungo rimanere
coperto all'ombra di Stalin, preferendo portare avanti le sue trame dietro le
quinte.
Ma dopo lo scioglimento della III Internazionale Togliatti rompe gli indugi,
e con la "svolta di Salerno'' esce allo scoperto rivelando in maniera più
marcata la sua antica vocazione revisionista, riformista e borghese. E con l'VIII
congresso del '56 - non a caso tenuto dopo il XX congresso del PCUS in cui Krusciov
attuò il colpo di Stato che pose fine alla dittatura del proletariato
in Urss e attaccò frontalmente la gigantesca opera di Stalin - Togliatti
sviluppò e sistematizzò compiutamente tale svolta lanciando la
"via italiana al socialismo'', fondata sul rinnegamento della dittatura
del proletariato e della rivoluzione socialista, l'accettazione della democrazia
parlamentare borghese, l'accettazione piena della Costituzione borghese come
confine all'azione del partito del proletariato.
Successivamente questa linea di socialdemocratizzazione e di omologazione al
sistema capitalistico del PCI è stata ulteriormente portata avanti da
Longo e ancora più da Berlinguer, col "compromesso storico'' e la
"solidarietà nazionale'' e completata dalla segreteria Natta - sia
pure dopo una lunga fase di incertezze seguita al declino elettorale del PCI
- col XVII congresso dell'aprile '86, in cui il PCI celebra la sua Bad-Godesberg,
si rifonda come "moderno partito riformatore'' e approda alla socialdemocrazia
europea, con la complicità dei sedicenti e ridicoli "comunisti democratici''
Ingrao, Cossutta, Garavini, Libertini, Salvato, Serri.
Da questo momento, accentuatosi il declino elettorale del PCI, intensificatisi
i diktat del neoduce Craxi per inglobarlo nell'"unità socialista''
sotto la sua egemonia, abbandonata definitivamente la classe operaia e sposati
completamente la democrazia borghese e l'economia di mercato, è il neoliberalismo
l'ideologia guida di Botteghe Oscure. A tappe forzate Occhetto e la sua combriccola
di tecnocrati borghesi lanciano prima il "nuovo corso'' neoliberale al
XVIII congresso del PCI (marzo '89) che chiude definitivamente i conti con l'esperienza
storica del movimento operaio e dello stesso PCI, poi (novembre '89) avanzano
la proposta di cambiare nome e simbolo del PCI, proposta formalizzata il 10
ottobre '90 col nuovo nome, Partito democratico della sinistra (PDS), e col
nuovo simbolo del partito, infine arrivano alla liquidazione vera e propria
del PCI al XX congresso.
Questa, a grandissime linee, la storia delle tre fasi del grande inganno del
PCI durato 70 anni, dalla quale emerge, nonostante la complessità dei
vari momenti storico-politici attraversati, che c'è un unico filo nero,
un'unica strategia revisionista che le attraversa. In particolare dalla "svolta
di Salerno'' alla "solidarietà nazionale'' (e con arretramenti e
giravolte anche dopo) la linea revisionista è sempre la stessa: quella
dell'"unità nazionale'', cioè l'incontro governativo tra
PCI, DC e PSI: si tratta della linea classica socialdemocratica e riformista
della collaborazione del proletariato al governo della borghesia. Attualmente,
tale linea ha assunto la forma della "alternativa'', vale a dire dell'alleanza
PDS-PSI e altri partiti per escludere la DC dal governo; ma non è detto
che l'alleanza con lo scudocrociato non rientri dalla finestra in un prossimo
futuro, come è già successo altre volte nel corso degli anni '80
(per es. con la "rivoluzione copernicana'' di Occhetto). Tutto sommato
anche l'"alternativa'' persegue lo stesso obiettivo di fondo della "via
italiana al socialismo'', del "compromesso storico'' e della "solidarietà
nazionale'', che è quello della partecipazione subalterna della classe
operaia al governo borghese.
Una partecipazione che significa rinuncia per sempre da parte del proletariato
al potere politico e al socialismo per servire gli interessi del capitalismo.
Anche perché, come l'affare "Gladio'' dimostra, nell'Italia capitalistica
la via parlamentare e pacifica al potere effettivo è sbarrata con le
armi e col sangue davanti al proletariato; solo quando la classe dominante ha
in pugno il partito che lo rappresenta e lo controlla, l'ha addomesticato, lo
ha reso inoffensivo e fedele appieno allo Stato borghese, allora si mostra disposta
a schiudergli le porte del governo. Così si è comportata col PSI
di Nenni e Lombardi (che pure, nonostante avesse dato ampia prova nella storia
di aver tradito la classe operaia, quando arrivò al governo con la DC
provocò un tentativo di colpo di Stato ordito da Segni-De Lorenzo), e
così probabilmente si comporterà anche col PDS del voltagabbana
Occhetto.
Quello che è più grave è che la linea dell'inserimento
governativo del PDS - linea su cui fra l'altro concordano guarda caso tutte
e tre le mozioni al XX congresso - è quella della "rifondazione
democratica dello Stato'': una parola d'ordine fuorviante e reazionaria, perché
con essa l'intero gruppo dirigente dell'ex PCI rigetta implicitamente la stessa
Repubblica nata dalla Resistenza su cui fino a ieri si era invece appiattito
e di conseguenza si sposta armi e bagagli sul terreno della repubblica presidenziale,
della P2, di Craxi e della vecchia e nuova destra, tant'è vero che anche
il MSI invoca ora la "rifondazione dello Stato''.
3- Gli insegnamenti da trarre dal bilancio della storia del
PCI
Dal bilancio della storia del PCI si possono dunque trarre i seguenti cinque
insegnamenti:
1- Che per non essere ingannati, occorre conoscere a fondo il marxismo-leninismo-pensiero
di Mao e applicarlo nella pratica, anche dentro il partito.
Ciò significa che per prevenire nuovi, tragici inganni nel futuro occorre
che tutti i militanti del Partito assimilino a fondo il marxismo-leninismo-pensiero
di Mao e educhino la classe operaia e le nuove generazioni a questa scienza
proletaria rivoluzionaria, alla sua conoscenza e alla sua applicazione pratica
nella lotta di classe, trasmettendogli il marxismo-leninismo-pensiero di Mao
nella sua interezza e genuinità.
In Italia il marxismo-leninismo è sempre stato gestito, mediato e trasmesso
in maniera opportunistica, revisionistica, ad uso e consumo della borghesia,
e questo sia nel 1892, quando si è formato il PSI, sia nel 1921, quando
è stato fondato il PCI. Solo con la nascita del PMLI il proletariato
ha avuto per la prima volta una corretta e fedele trasmissione del marxismo-leninismo-pensiero
di Mao.
Occorre quindi che i combattenti per il socialismo ritornino ad assimilare il
marxismo-leninismo sfrondato e ripulito da tutte le velenose incrostazioni revisioniste,
riformiste, socialdemocratiche, trotzkiste e liberali che in Italia lo hanno
ricoperto per quasi 100 anni; per far questo devono attingere alle fonti limpide
e pure dei grandi maestri del proletariato internazionale, Marx, Engels, Lenin,
Stalin e Mao, e dei documenti del PMLI.
2- Che il revisionismo è la causa principale del cambiamento di colore
del partito e della deviazione e dell'abbandono della via della Rivoluzione
d'Ottobre.
Tutta la storia del PCI è un'amara conferma di questa verità,
cosiccome la storia della gloriosa Urss di Lenin e Stalin, che a causa delle
cricche revisioniste di Krusciov e Breznev prima, e adesso del neoliberale Gorbaciov,
ha finito per rinnegare totalmente il socialismo e la via dell'Ottobre per sposare
il capitalismo e inginocchiarsi all'imperialismo occidentale; e così
pure la grande Cina di Mao, dopo la sua morte e il colpo di Stato dell'omuncolo
arcirevisionista e fascista Deng, ha finito per precipitare nel capitalismo
più spregevole e in una nera e sanguinaria dittatura fascista.
3- Che occorre lottare affinché il Partito sia sempre marxista-leninista.
Poiché il revisionismo continuerà ad esistere finché esisteranno
la borghesia e l'imperialismo, ed esisterà sempre in forma latente o
palese la lotta tra le due linee in seno al Partito, poiché la borghesia
non rinuncerà mai a far cambiare di colore al Partito e fargli abbandonare
la via rivoluzionaria, occorre non cessare mai la lotta per salvaguardare il
carattere marxista-leninista del Partito esercitando una ferrea vigilanza e
una forte e tempestiva critica e autocritica contro gli elementi di revisionismo
e i loro portatori che nello sviluppo della vita del Partito certamente si manifesteranno.
Questa consegna vale in particolare per i nuovi giovani militanti che entreranno
nel PMLI dai quali, come successori della causa rivoluzionaria, dipende se il
Partito continuerà sulla via dell'Ottobre e se il proletariato potrà
conquistare il socialismo.
4- Che non bisogna mai allontanarsi dalla via del marxismo-leninismo-pensiero
di Mao, del socialismo e della Rivoluzione d'Ottobre.
Questo insegnamento è strettamente complementare ai due precedenti. Il
marxismo-leninismo-pensiero di Mao, il socialismo e la Rivoluzione d'Ottobre
rappresentano i punti cardinali dell'orizzonte strategico universale del proletariato
internazionale. Se si revisiona o si rigetta uno dei tre, inevitabilmente si
rigettano tutti e tre e si cade in braccio alla borghesia e all'imperialismo.
Diverso è il discorso degli aggiustamenti tattici da apportare necessariamente
alla linea del Partito nel corso della lotta per il socialismo, in base alle
caratteristiche specifiche paese per paese, momento per momento, ma in nessun
caso ciò deve comportare revisione o anche soltanto una parziale rinuncia
ai suddetti principi fondamentali. A tal fine occorre vigilare attentamente
affinché, come l'esperienza storica insegna, dietro certe proposte di
aggiustamenti tattici della linea del Partito non si nascondano in realtà
attacchi e snaturamenti dei principi che possono portare passo dopo passo al
loro completo ribaltamento.
5- Che quando la direzione del partito tradisce la causa del socialismo e non
è più possibile rovesciarla e prendere il potere, occorre rompere
con essa e ricostruire il partito.
Nel '21 i rivoluzionari si separarono dai riformisti seguendo il grande insegnamento
di Lenin che dice: "Quando la classe dirigente di un partito operaio viene
meno alla propria funzione e tradisce, tocca alla classe operaia costruire il
proprio partito capace di guidarla in modo rivoluzionario, nella lotta contro
il proprio nemico di classe, per il socialismo'' (citato da Stalin in "Principi
del leninismo'').
Oggi che i revisionisti, divenuti neoliberali, si smascherano da se stessi e
si ricongiungono con i vecchi riformisti ricomponendo di fatto la scissione
del '21, occorre rifarsi a quella lontana esperienza, che è ancora viva
nel cuore del proletariato e conserva ancora oggi tutta la sua validità,
occorre scindersi di nuovo dai riformisti e dai neoliberali e dare tutta la
forza al PMLI, il Partito che rappresenta nelle condizioni attuali la continuità
della centenaria lotta per il socialismo del proletariato italiano.
Sarebbe una grave iattura se questa forza venisse ancora una volta ingabbiata,
neutralizzata e mantenuta nell'area riformista, il che potrebbe succedere se
i combattenti per il socialismo, magari nell'illusione di ripetere un nuovo
'21, dessero credito alle proposte demagogiche della "rifondazione comunista''
e della costituzione di un partito neorevisionista "federato'' o meno col
PDS, avanzata da un coacervo di opportunisti, trotzkisti e operaisti come Cossutta,
Garavini, Libertini, Salvato e DP.
4- La storia del proletariato italiano non finisce con la liquidazione
del PCIma continua col PMLI
Con la liquidazione del PCI finisce la storia di un partito ma non la storia
della classe operaia. Noi neghiamo decisamente l'identificazione fatta ad arte
dalla borghesia e dai revisionisti tra la storia del PCI e quella del proletariato
italiano.
Infatti il proletariato italiano è sempre stato convinto di lottare per
il socialismo, e solo perché ingannato dai dirigenti revisionisti ha
potuto dare fiducia al PCI e considerarlo il proprio partito. Ma in realtà
il proletariato e il PCI sono andati per due strade opposte, perché il
primo è stato di fatto una classe antagonista alla borghesia, il secondo
invece ne ha sempre difeso occultamente gli interessi strategici.
La storia del proletariato continua, prima di tutto perché esso continua
ad esistere, e finché esso esisterà esisterà insopprimibilmente
la sua lotta per l'emancipazione dalla schiavitù salariata e per il socialismo.
In secondo luogo perché c'è il suo Partito, il PMLI, che lo rappresenta,
che ne sintetizza l'esperienza e gli ideali, che lo guida e che perciò
ne continua la gloriosa storia.
Come ha chiarito il Segretario generale del nostro Partito, compagno Giovanni
Scuderi, nel suo Rapporto al 2° Congresso nazionale del PMLI (6-8 novembre
1982), "La fondazione del PMLI ha aperto storicamente la terza fase della
storia del movimento operaio italiano organizzato, quella del trionfo del marxismo-leninismo-pensiero
di Mao nella classe operaia. La prima fase, che va dal 1892 al 1920, è
stata dominata dalla socialdemocrazia predicata dal PSI; la seconda fase, che
è iniziata il 21 gennaio 1921, è stata ed è dominata dal
revisionismo predicato dal PCI. Il rafforzamento e lo sviluppo del nostro Partito
consentirà che la terza fase si realizzi concretamente nella pratica,
ponendo così fine al predominio dell'ideologia borghese e socialdemocratica
del revisionismo''.
Nell'aprile del '77, con la fondazione del PMLI, si è dunque aperta storicamente
e idealmente la 3ª fase della storia del proletariato italiano. Si tratta
adesso di realizzarla anche sul piano politico, organizzativo e pratico, e qui
sta l'importanza del ruolo storico che hanno da giocare i sinceri combattenti
per il socialismo, donne e uomini, già del PCI: sta a loro, dopo aver
compiuto quel serio bilancio critico e autocritico della storia del PCI che
auspicavamo all'inizio, scegliere di continuare la storia della classe operaia
e della lotta per il socialismo in Italia, abbandonando al suo destino il PDS
di Occhetto - ma anche tutti coloro che si propongono di coprirlo a "sinistra''
- e cominciando, ora e non domani, a prendere contatto con il PMLI, a dialogare
e collaborare con esso, meglio ancora ad entrare nelle sue file e a militarvi
attivamente per renderlo forte e per svilupparlo in tutta Italia. Le nostre
speranze le riponiamo soprattutto nelle ragazze e nei ragazzi rivoluzionari
che aspirano a un nuovo mondo.
Oggi non è possibile restare comunisti senza diventare marxisti-leninisti
e militanti del PMLI.
è questo il solo modo per aprire sul piano soggettivo, quello decisivo,
la terza fase della storia del proletariato italiano, che è quella della
lotta per il socialismo.
Il Comitato centrale del PMLI
Firenze, 21 Gennaio 1991