Biblioteca Multimediale Marxista
Proemio
di Niccolò Machiavegli, cittadino e segretario fiorentino sopr'al libro
dell'arte della guerra
a Lorenzo di Filippo Strozzi patrizio fiorentino.
Hanno, Lorenzo, molti tenuto e tengono questa opinione: che e' non sia cosa alcuna che minore convenienza abbia con un'altra, né che sia tanto dissimile, quanto la vita civile dalla militare. Donde si vede spesso, se alcuno disegna nello esercizio del soldo prevalersi, che subito, non solamente cangia abito, ma ancora ne' costumi, nelle usanze, nella voce e nella presenza da ogni civile uso si disforma; perché non crede potere vestire uno abito civile colui che vuole essere espedito e pronto a ogni violenza; né i civili costumi e usanze puote avere quello il quale giudica e quegli costumi essere effeminati e quelle usanze non favorevoli alle sue operazioni; né pare conveniente mantenere la presenza e le parole ordinarie a quello che con la barba e con le bestemmie vuole fare paura agli altri uomini, il che fa in questi tempi tale opinione essere verissima. Ma se si considerassono gli antichi ordini, non si troverebbono cose più unite più conformi e che, di necessità, tanto l'una amasse l'altra, quanto queste, perché tutte l'arti che si ordinano in una civiltà per cagione del bene comune degli uomini, tutti gli ordini fatti in quella per vivere con timore delle leggi e d'Iddio, sarebbono vani, se non fussono preparate le difese loro; le quali, bene ordinate mantengono quegli, ancora che non bene ordinati. E così, per il contrario, i buoni ordini, sanza il militare aiuto, non altrimenti si disordinano che l'abitazioni d'uno superbo e regale palazzo, ancora che ornate di gemme e d'oro, quando, sanza essere coperte, non avessono cosa che dalla pioggia le difendesse. E se in qualunque altro ordine delle cittadi e de' regni si usava ogni diligenza per mantenere gli uomini fedeli, pacifici e pieni del timore d'Iddio nella milizia si raddoppiava, perché in quale uomo debbe ricercare la patria maggiore fede, che in colui che le ha a promettere di morire per lei? In quale debbe essere più amore di pace, che in quello che solo dalla guerra puote essere offeso? In quale debbe essere più timore d'Iddio, che in colui che ogni dì, sottomettendosi a infiniti pericoli, ha più bisogno degli aiuti suoi? Questa necessità considerata bene, e da coloro che davano le leggi agli imperii, e da quegli che agli esercizi militari erano preposti, faceva che la vita de' soldati dagli altri uomini era lodata e con ogni studio seguitata e imitata. Ma per essere gli ordini militari al tutto corrotti e, di gran lunga, dagli antichi modi separati, ne sono nate queste sinistre opinioni, che fanno odiare la milizia e fuggire la conversazione di coloro che la esercitano. E giudicando io, per quello che io ho veduto e letto, ch'e' non sia impossibile ridurre quella negli antichi modi e renderle qualche forma della passata virtù, diliberai, per non passare questi mia oziosi tempi sanza operare alcuna cosa, di scrivere, a sodisfazione di quegli che delle antiche azioni sono amatori, della arte della guerra quello che io ne intenda. E benché sia cosa animosa trattare di quella materia della quale altri non ne abbia fatto professione, nondimeno io non credo sia errore occupare con le parole uno grado il quale molti, con maggiore prosunzione, con le opere hanno occupato; perché gli errori che io facessi, scrivendo, possono essere sanza danno d'alcuno corretti, ma quegli i quali da loro sono fatti, operando, non possono essere, se non con la rovina degli imperii, conosciuti. Voi pertanto, Lorenzo, considererete le qualità di queste mie fatiche e darete loro, con il vostro giudicio, quel biasimo o quella lode la quale vi parrà ch'elle abbiano meritato. Le quali a voi mando sì per dimostrarmi grato, ancora che la mia possibilità non vi aggiunga, de' benefizi ho ricevuto da voi, sì ancora, perché essendo consuetudine onorare di simili opere coloro i quali per nobiltà, ricchezze, ingegno e liberalità risplendono, conosco voi di ricchezze e nobiltà non avere molti pari, d'ingegno pochi e di liberalità niuno.
LIBRO PRIMO
Perché io credo che si possa lodare dopo la morte ogni
uomo, sanza carico, sendo mancata ogni cagione e sospetto di adulazione, non
dubiterò di lodare Cosimo Rucellai nostro, il nome del quale non fia
mai ricordato da me sanza lagrime, avendo conosciute in lui quelle parti le
quali, in uno buono amico dagli amici, in uno cittadino dalla sua patria si
possono disiderare. Perché io non so quale cosa si fusse tanto sua (non
eccettuando, non ch'altro, l'anima) che per gli amici volentieri da lui non
fusse stata spesa; non so quale impresa lo avesse sbigottito, dove quello avesse
conosciuto il bene della sua patria. E io confesso, liberamente, non avere riscontro,
tra tanti uomini che io ho conosciuti e pratichi, uomo nel quale fusse il più
acceso animo alle cose grandi e magnifiche. Né si dolse con gli amici
d'altro, nella sua morte, se non di essere nato per morire giovane dentro alle
sue case e inonorato, sanza avere potuto secondo l'animo suo giovare ad alcuno
perché sapeva che di lui non si poteva parlare altro, se non che fusse
morto uno buono amico. Non resta però, per questo, che noi, e qualunque
altro che come noi lo conosceva, non possiamo fare fede, poi che l'opere non
appariscono, delle sue lodevoli qualità. Vero è che non gli fu
però in tanto la fortuna nimica, che non lasciasse alcun breve ricordo
della destrezza del suo ingegno, come ne dimostrano alcuni suoi scritti e composizioni
di amorosi versi; ne' quali, come che innamorato non fusse, per non consumare
il tempo invano, tanto che a più alti pensieri la fortuna lo avesse condotto,
nella sua giovenile età si esercitava, dove chiaramente si può
comprendere con quanta felicità i suoi concetti descrivesse, e quanto
nella poetica si fusse onorato, se quella, per suo fine, fusse da lui stata
esercitata. Avendone pertanto privati la fortuna dello uso d'uno tanto amico,
mi pare che non si possa farne altri rimedi che, il più che a noi è
possibile cercare, di godersi la memoria di quello e repetere se da lui alcuna
cosa fusse stata o acutamente detta o saviamente disputata. E perché
non è cosa di lui più fresca, che il ragionamento il quale ne'
prossimi tempi il signore Fabrizio Colonna dentro a' suoi orti ebbe con seco
(dove largamente fu da quel signore delle cose della guerra disputato, e acutamente
e prudentemente in buona parte da Cosimo domandato); mi è parso, essendo
con alcuni altri nostri amici stato presente, ridurlo alla memoria, acciò
che, leggendo quello, gli amici di Cosimo che quivi convennono, nel loro animo
la memoria delle sue virtù rinfreschino, e gli altri, parte si dolgano
di non vi essere intervenuti, parte molte cose utili alla vita non solamente
militare, ma ancora civile, saviamente da uno sapientissimo uomo disputate,
imparino.
Dico pertanto che, tornando Fabrizio Colonna di Lombardia, dove più tempo
aveva per il re cattolico con grande sua gloria militato, diliberò, passando
per Firenze, riposarsi alcuno giorno in quella città, per vicitare la
eccellenza del duca e rivedere alcuni gentili uomini co' quali per lo addietro
aveva tenuto qualche familiarità. Donde che a Cosimo parve convitarlo
ne' suoi orti, non tanto per usare la sua liberalità quanto per avere
cagione di parlar seco lungamente, e da quello intendere ed imparare varie cose,
secondo che da un tale uomo si può sperare, parendogli avere occasione
di spendere uno giorno in ragionare di quelle materie che allo animo suo sodisfacevano.
Venne adunque Fabrizio, secondo che quello volle, e da Cosimo insieme con alcuni
altri suoi fidati amici fu ricevuto, tra' quali furono Zanobi Buondelmonti,
Batista della Palla e Luigi Alamanni, giovani tutti amati da lui e de' medesimi
studi ardentissimi, le buone qualità de' quali, perché ogni giorno
e ad ogni ora per se medesime si lodano, ommettereno. Fabrizio adunque fu, secondo
i tempi e il luogo, di tutti quegli onori che si poterono maggiori onorato;
ma passati i convivali piaceri e levate le tavole e consumato ogni ordine di
festeggiare, il quale, nel conspetto degli uomini grandi e che a pensieri onorevoli
abbiano la mente volta si consuma tosto, essendo il dì lungo e il caldo
molto, giudicò Cosimo, per sodisfare meglio al suo disiderio, che fusse
bene, pigliando l'occasione dal fuggire il caldo, condursi nella più
segreta e ombrosa parte del suo giardino. Dove pervenuti e posti a sedere, chi
sopra all'erba che in quel luogo è freschissima, chi sopra a sedili in
quelle parti ordinati sotto l'ombra d'altissimi arbori, lodò Fabrizio
il luogo come dilettevole; e considerando particolarmente gli arbori e alcuno
di essi non ricognoscendo stava con l'animo sopeso. Della qual cosa accortosi
Cosimo, disse: - Voi per avventura non avete notizia di parte di questi arbori;
ma non ve ne maravigliate, perché ce ne sono alcuni più dagli
antichi, che oggi dal comune uso, celebrati. - E dettogli il nome di essi, e
come Bernardo suo avolo in tale cultura si era affaticato, replicò Fabrizio:
- Io pensava che fusse quello che voi dite e questo luogo e questo studio mi
faceva ricordare d'alcuni principi del Regno, i quali di queste antiche culture
e ombre si dilettano. - E fermato in su questo il parlare e stato alquanto sopra
di sé come sospeso, soggiunse: - Se io non credessi offendere, io ne
direi la mia opinione; ma io non lo credo fare, parlando con gli amici, e per
disputare le cose e non per calunniarle. Quanto meglio arebbono fatto quelli,
sia detto con pace di tutti, a cercare di somigliare gli antichi nelle cose
forti e aspre, non nelle delicate e molli, e in quelle che facevano sotto il
sole, non sotto l'ombra, e pigliare i modi della antichità vera e perfetta,
non quelli della falsa e corrotta; perché, poi che questi studi piacquero
ai miei Romani, la mia patria rovinò. - A che Cosimo rispose... Ma per
fuggire i fastidi d'avere a repetere tante volte "quel disse e quello altro
soggiunse", si noteranno solamente i nomi di chi parli, sanza replicarne
altro. Disse dunque
COSIMO Voi avete aperto la via a uno ragionamento quale io desiderava, e vi
priego che voi parliate sanza rispetto, perché io sanza rispetto vi domanderò;
e se io, domandando o replicando, scuserò o accuserò alcuno, non
sarà per scusare o per accusare, ma per intendere da voi la verità.
FABRIZIO E io sarò molto contento di dirvi quel che io intenderò
di tutto quello mi domanderete; il che se sarà vero o no, me ne rapporterò
al vostro giudicio. E mi sarà grato mi domandiate; perché io sono
per imparare così da voi nel domandarmi, come voi da me nel rispondervi;
perché molte volte uno savio domandatore fa a uno considerare molte cose
e conoscerne molte altre, le quali, sanza esserne domandato, non arebbe mai
conosciute.
COSIMO Io voglio tornare a quello che voi dicesti prima: che lo avolo mio e
quegli vostri arebbero fatto più saviamente a somigliare gli antichi
nelle cose aspre che nelle delicate; e voglio scusare la parte mia, perché
l'altra lascerò scusare a voi. Io non credo ch'egli fusse, ne' tempi
suoi, uomo che tanto detestasse il vivere molle quanto egli, e che tanto fusse
amatore di quella asprezza di vita che voi lodate; nondimeno e' conosceva non
potere nella persona sua, né in quella de' suoi figliuoli, usarla, essendo
nato in tanta corruttela di secolo, dove uno che si volesse partire dal comune
uso, sarebbe infame e vilipeso da ciascheduno. Perché se uno ignudo,
di state, sotto il più alto sole si rivoltasse sopr'alla rena, o di verno
ne' più gelati mesi sopra alla neve, come faceva Diogene, sarebbe tenuto
pazzo. Se uno, come gli Spartani, nutrisse i suoi figliuoli in villa, facessegli
dormire al sereno, andare col capo e co' piedi ignudi, lavare nell'acqua fredda
per indurgli a poter sopportare il male e per fare loro amare meno la vita e
temere meno la morte, sarebbe schernito e tenuto piuttosto una fiera che uno
uomo. Se fusse ancora veduto uno nutrirsi di legumi e spregiare l'oro, come
Fabrizio, sarebbe lodato da pochi e seguito da niuno. Tal che, sbigottito da
questi modi del vivere presente, egli lasciò gli antichi, e in quello
che potette con minore ammirazione imitare l'antichità, lo fece.
FABRIZIO Voi lo avete scusato in questa parte gagliardamente, e certo voi dite
il vero; ma io non parlava tanto di questi modi di vivere duri, quanto di altri
modi più umani e che hanno con la vita d'oggi maggiore conformità;
i quali io non credo che ad uno che sia numerato tra' principi d'una città,
fusse stato difficile introdurgli. Io non mi partirò mai, con lo esemplo
di qualunque cosa, da' miei Romani. Se si considerasse la vita di quegli e l'ordine
di quella republica, si vedrebbero molte cose in essa non impossibili ad introdurre
in una civilità dove fusse qualche cosa ancora del buono.
COSIMO Quali cose sono quelle che voi vorresti introdurre simili all'antiche?
FABRIZIO Onorare e premiare le virtù, non dispregiare la povertà,
stimare i modi e gli ordini della disciplina militare, constringere i cittadini
ad amare l'uno l'altro, a vivere sanza sètte, a stimare meno il privato
che il publico, e altre simili cose che facilmente si potrebbono con questi
tempi accompagnare. I quali modi non sono difficili persuadere, quando vi si
pensa assai ed entrasi per li debiti mezzi, perché in essi appare tanto
la verità, che ogni comunale ingegno ne puote essere capace; la quale
cosa chi ordina, planta arbori sotto l'ombra de' quali si dimora più
felice e più lieto che sotto questa.
COSIMO Io non voglio replicare, a quello che voi avete detto, alcuna cosa, ma
ne voglio lasciare dare giudicio a questi, i quali facilmente ne possono giudicare;
e volgerò il mio parlare a voi, che siete accusatore di coloro che nelle
gravi e grandi azioni non sono degli antichi imitatori, pensando, per questa
via, più facilmente essere nella mia intenzione sodisfatto. Vorrei pertanto
sapere da voi, donde nasce che dall'un canto voi danniate quegli che nelle azioni
loro gli antichi non somigliano; dall'altro, nella guerra, la quale è
l'arte vostra e in quella che voi siete giudicato eccellente, non si vede che
voi abbiate usato alcuno termine antico, o che a quegli alcuna similitudine
renda.
FABRIZIO Voi siete capitato appunto dove io vi aspettava, perché il parlare
mio non meritava altra domanda, né io altra ne desiderava. E benché
io mi potessi salvare con una facile scusa, nondimeno voglio entrare, a più
sodisfazione mia e vostra, poi che la stagione lo comporta, in più lungo
ragionamento. Gli uomini che vogliono fare una cosa, deono prima con ogni industria
prepararsi, per essere, venendo l'occasione, apparecchiati a sodisfare a quello
che si hanno presupposto di operare. E perché, quando le preparazioni
sono fatte cautamente elle non si conoscono, non si può accusare alcuno
d'alcuna negligenza, se prima non è scoperto dalla occasione; nella quale
poi, non operando, si vede o che non si è preparato tanto che basti,
o che non vi ha in alcuna parte pensato. E perché a me non è venuta
occasione alcuna di potere mostrare i preparamenti da me fatti per potere ridurre
la milizia negli antichi suoi ordini, se io non la ho ridotta, non ne posso
essere da voi né da altri incolpato. Io credo che questa scusa basterebbe
per risposta all'accusa vostra.
COSIMO Basterebbe, quando io fussi certo che l'occasione non fusse venuta.
FABRIZIO Ma perché io so che voi potete dubitare se questa occasione
è venuta o no, voglio io largamente, quando voi vogliate con pazienza
ascoltarmi discorrere quali preparamenti sono necessarii prima fare, quale occasione
bisogna nasca, quale difficultà impedisce che i preparamenti non giovano
e che l'occasione non venga; e come questa cosa a un tratto, che paiono termini
contrarii, è difficilissima e facilissima a fare.
COSIMO Voi non potete fare, e a me e a questi altri, cosa più grata di
questa; e se a voi non rincrescerà il parlare, mai a noi non rincrescerà
l'udire. Ma perché questo ragionamento debbe esser lungo, io voglio aiuto
da questi miei amici con licenza vostra; e loro e io vi preghiamo d'una cosa
che voi non pigliate fastidio se qualche volta, con qualche domanda importuna,
vi interrompereno.
FABRIZIO Io sono contentissimo che voi, Cosimo, con questi altri giovani qui
mi domandiate, perché io credo che la gioventù vi faccia più
amici delle cose militari e più facili a credere quello che da me si
dirà. Questi altri, per aver già il capo bianco e avere i sangui
ghiacciati addosso, parte sogliono essere nimici della guerra, parte incorreggibili,
come quegli che credono che i tempi e non i cattivi modi costringano gli uomini
a vivere così. Sì che domandatemi tutti voi sicuramente e sanza
rispetto; il che io disidero, sì perché mi fia un poco di riposo,
sì perché io arò piacere non lasciare nella mente vostra
alcuna dubitazione. Io mi voglio cominciare dalle parole vostre, dove voi mi
dicesti che nella guerra, che è l'arte mia, io non aveva usato alcun
termine antico. Sopra a che dico come, essendo questa una arte mediante la quale
gli uomini d'ogni tempo non possono vivere onestamente, non la può usare
per arte se non una republica o uno regno; e l'uno e l'altro di questi, quando
sia bene ordinato, mai non consentì ad alcuno suo cittadino o suddito
usarla per arte; né mai alcuno uomo buono l'esercitò per sua particulare
arte. Perché buono non sarà mai giudicato colui che faccia uno
esercizio che, a volere d'ogni tempo trarne utilità, gli convenga essere
rapace, fraudolento, violento e avere molte qualitadi le quali di necessità
lo facciano non buono; né possono gli uomini che l'usano per arte, così
i grandi come i minimi, essere fatti altrimenti, perché questa arte non
gli nutrisce nella pace; donde che sono necessitati o pensare che non sia pace,
o tanto prevalersi ne' tempi della guerra, che possano nella pace nutrirsi.
E qualunque l'uno di questi due pensieri non cape in uno uomo buono; perché
dal volersi potere nutrire d'ogni tempo, nascono le ruberie, le violenze, gli
assassinamenti che tali soldati fanno così agli amici come a' nimici;
e dal non volere la pace nascono gli inganni che i capitani fanno a quegli che
gli conducono, perché la guerra duri; e se pure la pace viene, spesso
occorre che i capi, sendo privi degli stipendi e del vivere, licenziosamente
rizzano una bandiera di ventura e sanza alcuna piatà saccheggiano una
provincia. Non avete voi nella memoria delle cose vostre come, trovandosi assai
soldati in Italia sanza soldo per essere finite le guerre, si ragunarono insieme
più brigate, le quali si chiamarono Compagnie, e andavano taglieggiando
le terre e saccheggiando il paese, sanza che vi si potesse fare alcuno rimedio?
Non avete voi letto che i soldati cartaginesi, finita la prima guerra ch'egli
ebbero co' Romani, sotto Mato e Spendio, due capi fatti tumultuariamente da
loro, ferono più pericolosa guerra a' Cartaginesi che quella che loro
avevano finita co' Romani? Ne' tempi de' padri nostri, Francesco Sforza, per
potere vivere onorevolmente ne' tempi della pace, non solamente ingannò
i Milanesi de' quali era soldato, ma tolse loro la libertà e divenne
loro principe. Simili a costui sono stati tutti gli altri soldati di Italia,
che hanno usata la milizia per loro particolare arte; e se non sono, mediante
le loro malignitadi, diventati duchi di Milano, tanto più meritano di
essere biasimati, perché sanza tanto utile hanno tutti, se si vedesse
la vita loro, i medesimi carichi. Sforza, padre di Francesco, costrinse la reina
Giovanna a gittarsi nelle braccia del re di Ragona, avendola in un subito abbandonata
e in mezzo a' suoi nimici lasciatala disarmata, solo per sfogare l'ambizione
sua o di taglieggiarla o di torle il regno. Braccio, con le medesime industrie,
cercò di occupare il regno di Napoli, e se non era rotto e morto a l'Aquila,
gli riusciva. Simili disordini non nascono da altro che da essere stati uomini
che usavano lo esercizio del soldo per loro propria arte. Non avete voi uno
proverbio il quale fortifica le mie ragioni, che dice: «La guerra fa i
ladri, e la pace gl'impicca?». Perché quegli che non sanno vivere
d'altro esercizio, e in quello non trovando chi gli sovvenga e non avendo tanta
virtù che sappiano ridursi insieme a fare una cattività onorevole,
sono forzati dalla necessità rompere la strada, e la giustizia è
forzata spegnerli.
COSIMO Voi m'avete fatto tornare questa arte del soldo quasi che nulla, e io
me la aveva presupposta la più eccellente e la più onorevole che
si facesse; in modo che, se voi non me la dichiarate meglio, io non resto sodisfatto,
perché, quando sia quello che voi dite, io non so donde si nasca la gloria
di Cesare, di Pompeo, di Scipione, di Marcello, e di tanti capitani romani che
sono per fama celebrati come dii.
FABRIZIO Io non ho ancora finito di disputare tutto quello che io proposi, che
furono due cose: l'una, che uno uomo buono non poteva usare questo esercizio
per sua arte; l'altra, che una republica o uno regno bene ordinato non permesse
mai che i suoi suggetti o i suoi cittadini la usassono per arte. Circa la prima
ho parlato quanto mi è occorso, restami a parlare della seconda, dove
io verrò a rispondere a questa ultima domanda vostra, e dico che Pompeo
e Cesare, e quasi tutti quegli capitani che furono a Roma dopo l'ultima guerra
cartaginese, acquistarono fama come valenti uomini, non come buoni; e quegli
che erano vivuti avanti a loro, acquistarono gloria come valenti e buoni. Il
che nacque perché questi non presero lo esercizio della guerra per loro
arte, e quegli che io nominai prima, come loro arte la usarono. E in mentre
che la republica visse immaculata, mai alcuno cittadino grande non presunse,
mediante tale esercizio, valersi nella pace, rompendo le leggi, spogliando le
provincie, usurpando e tiranneggiando la patria e in ogni modo prevalendosi;
né alcuno d'infima fortuna pensò di violare il sacramento, aderirsi
agli uomini privati, non temere il senato, o seguire alcuno tirannico insulto
per potere vivere, con l'arte della guerra, d'ogni tempo. Ma quegli che erano
capitani, contenti del trionfo, con disiderio tornavono alla vita privata; e
quelli che erano membri, con maggior voglia deponevano le armi che non le pigliavano;
e ciascuno tornava all'arte sua mediante la quale si aveva ordinata la vita;
né vi fu mai alcuno che sperasse con le prede e con questa arte potersi
nutrire. Di questo se ne può fare, quanto a' cittadini grandi, evidente
coniettura mediante Regolo Attilio, il quale, sendo capitano degli eserciti
romani in Affrica e avendo quasi che vinti i Cartaginesi, domandò al
senato licenza di ritornarsi a casa a custodire i suoi poderi che gli erano
guasti dai suoi lavoratori. Donde è più chiaro che il sole, che,
se quello avesse usata la guerra come sua arte e, mediante quella, avesse pensato
farsi utile, avendo in preda tante provincie, non arebbe domandato licenza per
tornare a custodire i suoi campi; perché ciascuno giorno arebbe molto
più, che non era il prezzo di tutti quegli, acquistato. Ma perché
questi uomini buoni, e che non usano la guerra per loro arte, non vogliono trarre
di quella se non fatica, pericoli e gloria, quando e' sono a sufficienza gloriosi
disiderano tornarsi a casa e vivere dell'arte loro. Quanto agli uomini bassi
e soldati gregarii, che sia vero che tenessono il medesimo ordine apparisce,
che ciascuno volentieri si discostava da tale esercizio e, quando non militava,
arebbe voluto militare e, quando militava, arebbe voluto essere licenziato.
Il che si riscontra per molti modi, e massime vedendo come, tra' primi privilegi
che dava il popolo romano a un suo cittadino, era che non fusse constretto fuora
di sua volontà a militare. Roma pertanto, mentre ch'ella fu bene ordinata
(che fu infino a' Gracchi) non ebbe alcuno soldato che pigliasse questo esercizio
per arte; e però ne ebbe pochi cattivi, e quelli tanti furono severamente
puniti. Debbe adunque una città bene ordinata volere che questo studio
di guerra si usi ne' tempi di pace per esercizio e ne' tempi di guerra per necessità
e per gloria, e al publico solo lasciarla usare per arte, come fece Roma. E
qualunque cittadino che ha in tale esercizio altro fine, non è buono;
e qualunque città si governa altrimenti, non è bene ordinata.
COSIMO Io resto contento assai e sodisfatto di quello che insino a qui avete
detto, e piacemi assai questa conclusione che voi avete fatta; e quanto si aspetta
alla republica, io credo ch'ella sia vera; ma quanto ai re, non so già,
perché io crederrei che uno re volesse avere intorno chi particolarmente
prendesse, per arte sua, tale esercizio.
FABRIZIO Tanto più debbe uno regno bene ordinato fuggire simili artefici,
perché solo essi sono la corruttela del suo re e, in tutto, ministri
della tirannide. E non mi allegate all'incontro alcuno regno presente, perché
io vi negherò quelli essere regni bene ordinati. Perché i regni
che hanno buoni ordini, non danno lo imperio assoluto agli loro re se non nelli
eserciti; perché in questo luogo solo è necessaria una subita
diliberazione e, per questo, che vi sia una unica podestà. Nell'altre
cose non può fare alcuna cosa sanza consiglio; e hanno a temere, quegli
che lo consigliano, che gli abbi alcuno appresso che ne' tempi di pace disideri
la guerra, per non potere sanza essa vivere. Ma io voglio in questo essere un
poco più largo, né ricercare uno regno al tutto buono, ma simile
a quegli che sono oggi; dove ancora da' re deono esser temuti quegli che prendono
per loro arte la guerra, perché il nervo degli eserciti, sanza alcun
dubbio, sono le fanterie. Tal che, se uno re non si ordina in modo che i suoi
fanti a tempo di pace stieno contenti tornarsi a casa e vivere delle loro arti,
conviene di necessità che rovini; perché non si truova la più
pericolosa fanteria che quella che è composta di coloro che fanno la
guerra come per loro arte, perché tu sei forzato o a fare sempre mai
guerra, o a pagargli sempre, o a portare pericolo che non ti tolgano il regno.
Fare guerra sempre non è possibile; pagargli sempre non si può;
ecco che di necessità si corre ne' pericoli di perdere lo stato. I miei
Romani, come ho detto, mentre che furono savi e buoni, mai non permessero che
i loro cittadini pigliassono questo esercizio per loro arte, non ostante che
potessono nutrirgli d'ogni tempo, perché d'ogni tempo fecero guerra.
Ma per fuggire quel danno che poteva fare loro questo continuo esercizio, poiché
il tempo non variava, ei variavano gli uomini, e andavano temporeggiando in
modo con le loro legioni, che in quindici anni sempre l'avevano rinnovate; e
così si valevano degli uomini nel fiore della loro età, che è
da diciotto a' trentacinque anni, nel qual tempo le gambe, le mani e l'occhio
rispondevano l'uno all'altro; né aspettavano che in loro scemasse le
forze e crescesse la malizia, com'ella fece poi ne' tempi corrotti. Perché
Ottaviano, prima, e poi Tiberio, pensando più alla potenza propria che
all'utile publico, cominciarono a disarmare il popolo romano per poterlo più
facilmente comandare, e a tenere continuamente quegli medesimi eserciti alle
frontiere dello Imperio. E perché ancora non giudicarono bastassero a
tenere in freno il popolo e senato romano, ordinarono uno esercito chiamato
Pretoriano, il quale stava propinquo alle mura di Roma ed era come una rocca
addosso a quella città. E perché allora ei cominciarono liberamente
a permettere che gli uomini deputati in quelli eserciti usassero la milizia
per loro arte, ne nacque subito la insolenza di quegli, e diventarono formidabili
al senato e dannosi allo imperadore; donde ne risultò che molti ne furono
morti dalla insolenza loro, perché davano e toglievano l'imperio a chi
pareva loro; e talvolta occorse che in uno medesimo tempo erano molti imperadori
creati da varii eserciti. Dalle quali cose procedé, prima, la divisione
dello Imperio e, in ultimo, la rovina di quello. Deono pertanto i re, se vogliono
vivere sicuri, avere le loro fanterie composte di uomini che, quando egli è
tempo di fare guerra, volentieri per suo amore vadano a quella, e, quando viene
poi la pace, più volentieri se ne ritornino a casa. Il che sempre fia,
quando egli scerrà uomini che sappiano vivere d'altra arte che di questa.
E così debbe volere, venuta la pace, che i suoi principi tornino a governare
i loro popoli, i gentili uomini al culto delle loro possessioni, e i fanti alla
loro particolare arte: e ciascuno d'essi faccia volentieri la guerra per avere
pace, e non cerchi turbare la pace per avere guerra.
COSIMO Veramente questo vostro ragionamento mi pare bene considerato; nondimeno,
sendo quasi che contrario a quello che io insino a ora ne ho pensato, non mi
resta ancora l'animo purgato d'ogni dubbio; perché io veggo assai signori
e gentili uomini nutrirsi a tempo di pace mediante gli studii della guerra,
come sono i pari vostri che hanno provvisioni dai principi e dalle comunità.
Veggo ancora quasi tutti gli uomini d'arme rimanere con le provvisioni loro;
veggo assai fanti restare nelle guardie delle città e delle fortezze,
tale che mi pare che ci sia luogo, a tempo di pace, per ciascuno.
FABRIZIO Io non credo che voi crediate questo, che a tempo di pace ciascheduno
abbia luogo; perché, posto che non se ne potesse addurre altra ragione,
il poco numero che fanno tutti coloro che rimangono ne' luoghi allegati da voi,
vi risponderebbe: che proporzione hanno le fanterie che bisognano nella guerra,
con quelle che nella pace si adoperano? Perché le fortezze e le città
che si guardano a tempo di pace, nella guerra si guardano molto più;
a che si aggiungono i soldati che si tengono in campagna, che sono un numero
grande, i quali tutti nella pace si abbandonano. E circa le guardie degli stati,
che sono uno piccolo numero, papa Iulio e voi avete mostro a ciascuno quanto
sia da temere quegli che non vogliono sapere fare altra arte che la guerra;
e gli avete per la insolenza loro privi delle vostre guardie e postovi Svizzeri,
come nati e allevati sotto le leggi e eletti dalle comunità, secondo
la vera elezione; sì che non dite più che nella pace sia luogo
per ogni uomo. Quanto alle genti d'arme rimanendo quelle nella pace tutte con
li loro soldi, pare questa soluzione più difficile; nondimeno, chi considera
bene tutto, truova la risposta facile, perché questo modo del tenere
le genti d'arme è modo corrotto e non buono. La cagione è perché
sono uomini che ne fanno arte, e da loro nascerebbe ogni dì mille inconvenienti
nelli stati dove ei fussono, se fussero accompagnati da compagnia sufficiente,
ma sendo pochi e non potendo per loro medesimi fare un esercito, non possono
fare così spesso danni gravi. Nondimeno ne hanno fatti assai volte, come
io vi dissi di Francesco e di Sforza, suo padre e di Braccio da Perugia. Sì
che questa usanza di tenere le genti d'arme, io non la appruovo, ed è
corrotta e può fare inconvenienti grandi.
COSIMO Vorresti voi fare sanza? o, tenendone, come le vorresti tenere?
FABRIZIO Per via d'ordinanza; non simile a quella del re di Francia, perch'ella
è pericolosa ed insolente come la nostra, ma simile a quelle degli antichi;
i quali creavano la cavalleria di sudditi loro, e ne' tempi di pace gli mandavano
alle case loro a vivere delle loro arti, come più largamente, prima finisca
questo ragionamento, disputerò. Sì che, se ora questa parte di
esercito può vivere in tale esercizio, ancora quando sia pace, nasce
dall'ordine corrotto. Quanto alle provvisioni che si riserbano a me e agli altri
capi, vi dico che questo medesimamente è uno ordine corrottissimo; perché
una savia republica non le debbe dare ad alcuno; anzi debbe operare per capi,
nella guerra, i suoi cittadini e, a tempo di pace, volere che ritornino all'arte
loro. Così ancora uno savio re o e' non le debbe dare o, dandole, debbono
essere le cagioni: o per premio di alcuno egregio fatto, o per volersi valere
d'uno uomo così nella pace come nella guerra. E perché voi allegasti
me, io voglio esemplificare sopra di me; e dico non aver mai usata la guerra
per arte, perché l'arte mia è governare i miei sudditi e defendergli,
e per potergli defendere, amare la pace e saper fare la guerra. Ed il mio re
non tanto mi premia e stima per intendermi io della guerra, quanto per sapere
io ancora consigliarlo nella pace. Non debbe adunque alcuno re volere appresso
di sé alcuno che non sia così fatto s'egli è savio e prudentemente
si voglia governare; perché, s'egli arà intorno, o troppi amatori
della pace, o troppi amatori della guerra, lo faranno errare. Io non vi posso,
in questo mio primo ragionamento e secondo le proposte mie, dire altro; e quando
questo non vi basti, conviene cerchiate di chi vi sodisfaccia meglio. Potete
bene avere cominciato a conoscere quanta difficultà sia ridurre i modi
antichi nelle presenti guerre, e quali preparazioni ad uno uomo savio conviene
fare, e quali occasioni si possa sperare a poterle esequire; ma voi di mano
in mano conoscerete queste cose meglio, quando non vi infastidisca il ragionamento,
conferendo qualunque parte degli antichi ordini ai modi presenti.
COSIMO Se noi desideravamo prima di udirvi ragionare di queste cose, veramente
quello che infino ad ora ne avete detto, ne ha raddoppiato il disiderio; pertanto
noi vi ringraziamo di quel che noi avemo avuto, e il restante vi domandiamo.
FABRIZIO Poiché così vi è in piacere, io voglio cominciare
a trattare questa materia da principio, acciò meglio s'intenda, potendosi
per quel modo più largamente dimostrare. Il fine di chi vuole fare guerra
è potere combattere con ogni nimico alla campagna e potere vincere una
giornata. A volere far questo, conviene ordinare uno esercito. A ordinare lo
esercito, bisogna trovare gli uomini, armargli, ordinargli, e ne' piccoli e
ne' grossi ordini esercitargli, alloggiargli, e al nimico di poi, o stando o
camminando, rappresentargli. In queste cose consiste tutta la industria della
guerra campale, che è la più necessaria e la più onorata.
E chi sa bene presentare al nimico una giornata, gli altri errori che facesse
ne' maneggi della guerra sarebbono sopportabili; ma chi manca di questa disciplina,
ancora che negli altri particolari valesse assai, non condurrà mai una
guerra a onore; perché una giornata che tu vinca, cancella ogni altra
tua mala azione; così medesimamente, perdendola, restono vane tutte le
cose bene da te avanti operate. Sendo pertanto necessario prima trovare gli
uomini, conviene venire al deletto di essi, ché così lo chiamavano
gli antichi; il che noi diremmo scelta, ma, per chiamarlo per nome più
onorato, io voglio gli serviamo il nome del deletto. Vogliono coloro che alla
guerra hanno dato regole, che si eleggano gli uomini de' paesi temperati, acciò
ch'egli abbino animo e prudenza; perché il paese caldo gli genera prudenti
e non animosi, il freddo animosi e non prudenti. Questa regola è bene
data a uno che sia principe di tutto il mondo e, per questo, gli sia lecito
trarre gli uomini di quegli luoghi che a lui verrà bene; ma volendo darne
una regola che ciascun possa usarla, conviene dire che ogni republica e ogni
regno debbe scerre i soldati de' paesi suoi, o caldi o freddi o temperati che
si sieno. Per che si vede, per gli antichi esempli, come in ogni paese con lo
esercizio si fa buoni soldati; perché, dove manca la natura, sopperisce
la 'ndustria, la quale in questo caso vale più che la natura. Ed eleggendogli
in altri luoghi, non si può chiamare deletto, perché deletto vuol
dire tòrre i migliori d'una provincia e avere potestà di eleggere
quegli che non vogliono, come quegli che vogliono, militare. Non si può
pertanto fare questo deletto se non ne' luoghi a te sottoposti, perché
tu non puoi tòrre chi tu vuoi ne' paesi che non sono tuoi, ma ti bisogna
prendere quelli che vogliono.
COSIMO E' si può pure di quelli che voglion venire, torne e lasciarne;
e per questo si può chiamare deletto.
FABRIZIO Voi dite il vero in uno certo modo; ma considerate i difetti che ha
tale deletto in sé, perché ancora molte volte occorre che non
è deletto. La prima cosa: quegli che non sono tuoi sudditi e che voluntarii
militano, non sono de' migliori, anzi sono de' più cattivi d'una provincia;
perché se alcuni vi sono scandolosi, oziosi, sanza freno, sanza religione,
fuggitisi dallo imperio del padre, bestemmiatori, giucatori, in ogni parte male
nutriti, sono quegli che vogliono militare; i quali costumi non possono essere
più contrarii a una vera e buona milizia. Quando di tali uomini ti se
ne offerisce tanti che te ne avanzi al numero che tu hai disegnato, tu puoi
eleggergli; ma, sendo la materia cattiva, non è possibile che il deletto
sia buono. Ma molte volte interviene che non sono tanti ch'egli adempino il
numero di che tu hai bisogno; tal che, sendo forzato prendergli tutti, ne nasce
che non si può chiamare più fare deletto ma soldare fanti. Con
questo disordine si fanno oggi gli eserciti in Italia e altrove eccetto che
nella Magna, perché non si solda alcuno per comandamento del principe,
ma secondo la volontà di chi vuole militare. Pensate adunque ora voi
che modi di quegli antichi eserciti si possano introdurre in uno esercito di
uomini messi insieme per simile via.
COSIMO Quale via si arebbe a tenere adunque?
FABRIZIO Quella che io dissi: scergli di suoi suggetti e con l'autorità
del principe.
COSIMO Negli scelti così introdurrebbesi alcuna antica forma?
FABRIZIO Ben sapete che sì, quando chi li comandasse fusse loro principe
o signore ordinario, quando fusse principato; o come cittadino e, per quel tempo,
capitano, sendo una republica; altrimenti è difficile fare cosa di buono.
COSIMO Perché?
FABRIZIO Io vel dirò al tempo; per ora voglio vi basti questo: che non
si può operare bene per altra via.
COSIMO Avendosi adunque a far questo deletto ne' suoi paesi, donde giudicate
voi sia meglio trarli, o della città o del contado?
FABRIZIO Questi che ne hanno scritto, tutti s'accordano che sia meglio eleggergli
del contado, sendo uomini avvezzi a' disagi, nutriti nelle fatiche, consueti
stare al sole, fuggire l'ombra, sapere adoperare il ferro, cavare una fossa,
portare un peso, ed essere sanza astuzia e sanza malizia. Ma in questa parte
l'opinione mia sarebbe che, sendo di due ragioni soldati, a piè e a cavallo,
che si eleggessero quegli a piè del contado e gli a cavallo delle cittadi.
COSIMO Di quale età gli torresti voi?
FABRIZIO Torre'gli, quando io avessi a fare nuova milizia, da' diciassette a'
quaranta anni; quando la fusse fatta e io l'avessi a instaurare, di diciassette,
sempre.
COSIMO Io non intendo bene questa distinzione.
FABRIZIO Dirovvi. Quando io avessi a ordinare una milizia dov'ella non fusse,
sarebbe necessario eleggere tutti quegli uomini che fussero più atti,
pure che fussero di età militare, per potergli instruire, come per me
si dirà; ma quando io avessi a fare il deletto ne' luoghi dove fusse
ordinata questa milizia, per supplimento di essa gli torrei di diciassette anni,
perché gli altri di più tempo sarebbono scelti e descritti.
COSIMO Dunque vorresti voi fare una ordinanza simile a quella che è ne'
paesi nostri.
FABRIZIO Voi dite bene. Vero è che io gli armerei, capitanerei, eserciterei
e ordinerei in un modo, che io non so se voi gli avete ordinati così.
COSIMO Dunque lodate voi l'ordinanza?
FABRIZIO Perché, volete voi che io la danni?
COSIMO Perché molti savi uomini l'hanno sempre biasimata.
FABRIZIO Voi dite una cosa contraria a dire che un savio biasimi l'ordinanza,
ei può bene essere tenuto savio ed essergli fatto torto.
COSIMO La cattiva pruova ch'ella ha fatto sempre, farà avere per noi
tale opinione.
FABRIZIO Guardate che non sia il difetto vostro, non il suo, il che voi conoscerete
prima che si fornisca questo ragionamento.
COSIMO Voi ne farete cosa gratissima; pure io vi voglio dire in quello che costoro
l'accusano, acciò voi possiate meglio giustificarne. Dicono costoro così:
o ella fia inutile e fidandoci noi di quella ci farà perdere lo stato;
o ella fia virtuosa, e, mediante quella, chi la governa ce lo potrà facilmente
tòrre. Allegano i Romani, i quali, mediante queste armi proprie, perderono
la libertà; allegano i Viniziani e il re di Francia, de' quali quelli,
per non avere ad ubbidire a un loro cittadino, usano le armi d'altri, e il re
ha disarmati i suoi popoli per potergli più facilmente comandare. Ma
temono più assai la inutilità che questo. Della quale inutilità
ne allegano due ragioni principali: una, per essere inesperti, l'altra, per
avere a militare per forza; perché dicano che da grande non si imparano
le cose, e a forza non si fece mai nulla bene.
FABRIZIO Tutte queste ragioni che voi dite, sono da uomini che cognoschino le
cose poco discosto, come io apertamente vi mostrerrò. E prima, quanto
alla inutilità, io vi dico che non si usa milizia più utile che
la propria, né si può ordinare milizia propria se non in questo
modo. E perché questo non ha disputa, io non ci voglio molto perdere
tempo, perché tutti gli esempli delle istorie antiche fanno per noi.
E perché eglino allegano la inesperienza e la forza, dico come egli è
vero che la inesperienza fa poco animo e la forza fa mala contentezza; ma l'animo
e l'esperienza si fa guadagnare loro con il modo dello armargli, esercitargli
ed ordinargli, come nel procedere di questo ragionamento vedrete. Ma, quanto
alla forza, voi avete a intendere che gli uomini che si conducono alla milizia
per comandamento del principe, vi hanno a venire né al tutto forzati,
né al tutto volontarii, perché tutta la volontà farebbe
gli inconvenienti che io dissi di sopra: che non sarebbe deletto e sarebbono
pochi quegli che andassero; e così la tutta forza partorirebbe cattivi
effetti. Però si debbe prendere una via di mezzo dove non sia né
tutta forza né tutta volontà, ma sieno tirati da uno rispetto
ch'egli abbiano al principe, dove essi temano più lo sdegno di quello,
che la presente pena; e sempre occorrerà ch'ella fia una forza in modo
mescolata con la volontà, che non ne potrà nascere tale mala contentezza
che faccia mali effetti. Non dico già, per questo, ch'ella non possa
essere vinta, perché furono vinti tante volte gli eserciti romani, e
fu vinto lo esercito d'Annibale; tale che si vede che non si può ordinare
uno esercito, del quale altri si prometta che non possa essere rotto. Pertanto
questi vostri uomini savi non deono misurare questa inutilità dallo avere
perduto una volta, ma credere che, così come e' si perde, e' si possa
vincere e rimediare alla cagione della perdita. E quando ei cercassero questo,
troverebbono che non sarebbe stato per difetto del modo, ma dell'ordine che
non aveva la sua perfezione; e, come ho detto, dovevano provvedervi, non con
biasimare l'ordinanza, ma con ricorreggerla; il che come si debbe fare, lo intenderete
di mano in mano. Quanto al dubitare che tale ordine non ti tolga lo stato mediante
uno che se ne faccia capo, rispondo che l'arme in dosso a' suoi cittadini o
sudditi, date dalle leggi e dall'ordine, non fecero mai danno, anzi sempre fanno
utile e mantengonsi le città più tempo immaculate mediante queste
armi, che sanza. Stette Roma libera quattrocento anni, ed era armata; Sparta,
ottocento; molte altre città sono state disarmate, e sono state libere
meno di quaranta. Perché le città hanno bisogno delle armi; e
quando non hanno armi proprie, soldano delle forestiere; e più presto
noceranno al bene publico l'armi forestiere, che le proprie, perché le
sono più facili a corrompersi e più tosto uno cittadino che diventi
potente se ne può valere; e parte ha più facile materia a maneggiare,
avendo ad opprimere uomini disarmati. Oltre a questo una città debbe
più temere due nimici che uno. Quella che si vale dell'armi forestiere,
teme ad uno tratto il forestiero ch'ella solda e il cittadino; e che questo
timore debba essere, ricordivi di quello che io dissi poco fa di Francesco Sforza.
Quella che usa l'arme proprie, non teme se non il suo cittadino. Ma per tutte
le ragioni che si potessono dire, voglio mi serva questa: che mai alcuno ordinò
alcuna republica o regno, che non pensasse che quegli medesimi che abitavano
quella, con le armi l'avessono a difendere. E se i Viniziani fussero stati savi
in questo come in tutti gli altri loro ordini, eglino arebbono fatto una nuova
monarchia nel mondo. I quali tanto più meritano biasimo, sendo stati
dai loro primi datori di legge, armati. Ma non avendo dominio in terra, erano
armati in mare, dove ferono le loro guerre virtuosamente e, con l'armi in mano,
accrebbero la loro patria. Ma venendo tempo ch'eglino ebbero a fare guerra in
terra per difendere Vicenza, dove essi dovevano mandare uno loro cittadino a
combattere in terra, ci soldarono per loro capitano il marchese di Mantova.
Questo fu quel partito sinistro che tagliò loro le gambe del salire in
cielo e dello ampliare. E se lo fecero per credere che, come che ei sapessono
far guerra in mare, ei si diffidassono farla in terra, ella fu una diffidenza
non savia; perché più facilmente un capitano di mare, che è
uso a combattere con i venti, con l'acque e con gli uomini, diventerà
capitano di terra, dove si combatte con gli uomini solo, che uno di terra non
diventerà di mare. E i miei Romani, sapendo combattere in terra e non
in mare, venendo a guerra con i Cartaginesi che erano potenti in mare, non soldarono
Greci o Spagnuoli consueti in mare, ma imposero quella cura a' loro cittadini
che mandavano in terra, e vinsero. Se lo ferono perché uno loro cittadino
non diventasse tiranno, ei fu uno timore poco considerato; perché, oltre
a quelle ragioni che a questo proposito poco fa dissi, se uno cittadino con
l'armi di mare non si era mai fatto tiranno in una città posta in mare,
tanto meno arebbe potuto fare questo con le armi di terra. E, mediante questo,
dovevano vedere che l'armi in mano a' loro cittadini non gli potevano fare tiranni,
ma i malvagi ordini del governo che fanno tiranneggiare una città; e
avendo quegli buono governo, non avevano a temere delle loro armi. Presero pertanto
uno partito imprudente; il che è stato cagione di torre loro di molta
gloria e di molta felicità. Quanto allo errore che fa il re di Francia
a non tenere disciplinati i suoi popoli alla guerra (il che quelli vostri allegano
per esemplo) non è alcuno, deposta qualche sua particolare passione,
che non giudichi questo difetto essere in quel regno e questa negligenza sola
farlo debile. Ma io ho fatto troppa grande digressione, e forse sono uscito
del proposito mio; pure lo ho fatto per rispondervi e dimostrarvi che non si
può fare fondamento in altre armi che nelle proprie, e l'armi proprie
non si possono ordinare altrimenti che per via d'una ordinanza, ne' per altre
vie introdurre forme di eserciti in alcuno luogo né per altro modo ordinare
una disciplina militare. Se voi avete letto gli ordini che quelli primi re fecero
in Roma e massimamente Servio Tullo, troverrete che l'ordine delle classi non
è altro che una ordinanza per potere di subito mettere insieme uno esercito
per difesa di quella città. Ma torniamo al nostro deletto. Dico di nuovo
che, avendo ad instaurare un ordine vecchio, io gli prenderei diciassette; avendo
a crearne uno nuovo, io gli prenderei d'ogni età tra' diciassette e quaranta,
per potermene valere subito.
COSIMO Faresti voi differenza di quale arte voi gli scegliessi?
FABRIZIO Questi scrittori la fanno, perché non vogliono che si prendano
uccellatori, pescatori, cuochi, ruffiani e qualunque fa arte di sollazzo; ma
vogliono che si tolgano, oltre a' lavoratori di terra, fabbri, maniscalchi,
legnaiuoli, beccai, cacciatori, e simili. Ma io ne farei poca differenza, quanto
al conietturare dall'arte la bontà dell'uomo; ma sì bene, quanto
al poterlo con più utilità usare. E per questa cagione i contadini
che sono usi a lavorare la terra, sono più utili che niuno; perché
di tutte l'arti questa negli eserciti si adopera più che l'altre. Dopo
questa sono i fabbri, legnaiuoli, maniscalchi, scarpellini; de' quali è
utile avere assai, perché torna bene la loro arte in molte cose, sendo
cosa molto buona avere uno soldato del quale tu tragga doppio servigio.
COSIMO Da che si conoscono quelli che sono o non sono sufficienti a militare?
FABRIZIO Io voglio parlare del modo dello eleggere una ordinanza nuova per farne
di poi uno esercito; perché parte si viene ancora a ragionare della elezione
che si facesse ad instaurazione d'una ordinanza vecchia. Dico, pertanto, che
la bontà d'uno che tu hai ad eleggere per soldato, si conosce o per esperienza,
mediante qualche sua egregia opera, o per coniettura. La pruova di virtù
non si può trovare negli uomini che si eleggono di nuovo e che mai più
non sono stati eletti; e di questi se ne truova o pochi o niuno nell'ordinanze
che di nuovo s'ordinano. È necessario pertanto, mancando questa esperienza,
ricorrere alla coniettura; la quale si trae dagli anni, dall'arte e dalla presenza.
Di quelle due prime si è ragionato; resta parlare della terza; e però
dico come alcuni hanno voluto che il soldato sia grande, tra i quali fu Pirro;
alcuni altri gli hanno eletti dalla gagliardia solo del corpo, come faceva Cesare;
la quale gagliardia di corpo e d'animo si coniettura dalla composizione delle
membra e dalla grazia dell'aspetto. E però dicono questi che ne scrivono,
che vuole avere gli occhi vivi e lieti, il collo nervoso, il petto largo, le
braccia musculose, le dita lunghe, poco ventre, i fianchi rotundi, le gambe
e il piede asciutto; le quali parti sogliono sempre rendere l'uomo agile e forte,
che sono due cose che in uno soldato si cercano sopra tutte l'altre. Debbesi
sopratutto riguardare a' costumi, e che in lui sia onestà e vergogna,
altrimenti si elegge uno instrumento di scandolo e uno principio di corruzione;
perché non sia alcuno che creda che nella educazione disonesta e nello
animo brutto possa capere alcuna virtù che sia in alcuna parte lodevole.
Non mi pare superfluo, anzi credo che sia necessario, perché voi intendiate
meglio la importanza di questo deletto, dirvi il modo che i consoli romani nel
principio del magistrato loro osservavono nello eleggere le romane legioni;
nel quale deletto, per essere mescolati quegli si avevono ad eleggere, rispetto
alle continue guerre, d'uomini veterani e nuovi, potevano procedere con la esperienza
ne' vecchi e con la coniettura ne' nuovi. E debbesi notare questo: che questi
deletti si fanno, o per usargli allora, o per esercitargli allora ed usargli
a tempo. Io ho parlato e parlerò di tutto quello che si ordina per usarlo
a tempo, perché la intenzione mia è mostrarvi come si possa ordinare
uno esercito ne' paesi dove non fusse milizia, ne' quali paesi non si può
avere deletti per usargli allora; ma in quegli donde sia costume trarre eserciti,
e per via del principe, si può bene avergli per allora, come si osservava
a Roma e come si osserva oggi tra i Svizzeri. Perché in questi deletti,
se vi sono de' nuovi, vi sono ancora tanti degli altri consueti a stare negli
ordini militari, che, mescolati i nuovi ed i vecchi insieme, fanno uno corpo
unito e buono; nonostante che gli imperadori, poi che cominciarono a tenere
le stazioni de' soldati ferme, avevano preposto sopra i militi novelli, i quali
chiamavano Tironi, uno maestro ad esercitargli, come si vede nella vita di Massimino
imperadore. La quale cosa, mentre che Roma fu libera, non negli eserciti, ma
dentro nella città era ordinato; ed essendo in quella consueti gli esercizi
militari dove i giovanetti si esercitavano, ne nasceva che, sendo scelti poi
per ire in guerra, erano assuefatti in modo nella finta milizia, che potevano
facilmente adoperarsi nella vera. Ma avendo di poi quegli imperadori spenti
questi esercizi, furono necessitati usare i termini che io v'ho dimostrati.
Venendo pertanto al modo del deletto romano, dico, poi che i consoli romani,
a' quali era imposto il carico della guerra, avevano preso il magistrato, volendo
ordinare i loro eserciti (perché era costume che qualunque di loro avesse
due legioni d'uomini romani, le quali erano il nervo degli eserciti loro), creavano
ventiquattro tribuni militari, e ne proponevano sei per ciascuna legione, i
quali facevano quello uffizio che fanno oggi quegli che noi chiamiamo connestaboli.
Facevano di poi convenire tutti gli uomini romani idonei a portare armi, e ponevano
i tribuni di qualunque legione separati l'uno dall'altro. Di poi a sorte traevano
i tribi, de' quali si avesse prima a fare il deletto, e di quello tribo sceglievano
quattro de' migliori, de' quali ne era eletto uno da' tribuni della prima legione;
dagli altri tre, ne era eletto uno da' tribuni della seconda legione; degli
altri due, ne era eletto uno da' tribuni della terza; e quello ultimo toccava
alla quarta legione. Dopo questi quattro se ne sceglieva altri quattro; de'
quali, prima, uno ne era eletto da' tribuni della seconda legione; il secondo
da quelli della terza; il terzo da quelli della quarta; il quarto rimaneva alla
prima. Di poi se ne sceglieva altri quattro: il primo sceglieva la terza, il
secondo la quarta, il terzo la prima, il quarto restava alla seconda; e così
variava successivamente questo modo dello eleggere, tanto che la elezione veniva
ad essere pari e le legioni si ragguagliavano. E come di sopra dicemmo, questo
deletto si poteva fare per usarlo allora, perché si faceva d'uomini de'
quali buona parte erano esperimentati nella vera milizia e tutti, nella finta,
esercitati; e potevasi fare questo deletto per coniettura e per esperienza.
Ma dove si avesse ad ordinare una milizia di nuovo, e per questo a scergli per
a tempo, non si può fare questo deletto se non per coniettura, la quale
si prende dagli anni e dalla presenza.
COSIMO Io credo al tutto essere vero quanto da voi è stato detto. Ma,
innanzi che voi passiate ad altro ragionamento, io vi voglio domandare d'una
cosa di che voi mi avete fatto ricordare, dicendo che il deletto che si avesse
a fare dove non fussero gli uomini usi a militare, si arebbe a fare per coniettura;
perché io ho sentito in molte parti biasimare l'ordinanza nostra, e massime
quanto al numero, perché molti dicono che se ne debbe tòrre minore
numero, di che se ne trarrebbe questo frutto: che sarebbono migliori e meglio
scelti; non si darebbe tanto disagio agli uomini; potrebbesi dar loro qualche
premio mediante il quale starebbono più contenti, e meglio si potrebbono
comandare. Donde io vorrei intendere in questa parte l'opinione vostra, e se
voi ameresti più il numero grande che il piccolo, e quali modi terresti
ad eleggerli nell'uno e nell'altro numero.
FABRIZIO Sanza dubbio egli è migliore e più necessario il numero
grosso che il piccolo; anzi, a dire meglio, dove non se ne può ordinare
gran quantità, non si può ordinare una ordinanza perfetta; e facilmente
io vi annullerò tutte le ragioni assegnate da cotestoro. Dico pertanto,
in prima, che 'l minore numero dove sia assai popolo, come è, verbigrazia,
in Toscana, non fa che voi gli abbiate migliori, né che il deletto sia
più scelto. Perché volendo, nello eleggere gli uomini, giudicargli
dall'esperienza, se ne troverebbe in quel paese pochissimi i quali l'esperienza
facesse probabili, sì perché pochi ne sono stati in guerra, sì
perché, di quegli pochi, pochissimi hanno fatto pruova mediante la quale
ei meritassono di essere prima scelti che gli altri; in modo che chi gli debbe
in simili luoghi eleggere, conviene lasci da parte l'esperienza e gli prenda
per coniettura. Riducendosi dunque altri in tale necessità, vorrei intendere,
se mi vengono avanti venti giovani di buona presenza, con che regola io ne debbo
prendere o lasciare alcuno; tale che, sanza dubbio, credo che ogni uomo confesserà
come e' fia minore errore torgli tutti per armargli ed esercitargli, non potendo
sapere quale di loro sia migliore, e riserbarsi a fare poi più certo
deletto quando, nel praticargli con lo esercizio, si conoscessero quegli di
più spirito e di più vita. In modo che, considerato tutto, lo
scerne in questo caso pochi per avergli migliori è al tutto falso. Quanto
per dare meno disagio al paese e agli uomini, dico che l'ordinanza, o molta
o poca ch'ella sia, non dà alcuno disagio; perché questo ordine
non toglie gli uomini da alcuna loro faccenda, non gli lega che non possano
ire a fare alcuno loro fatto, perché gli obliga solo ne' giorni oziosi
a convenire insieme per esercitarsi; la quale cosa non fa danno né al
paese né agli uomini, anzi a' giovani arrecherebbe diletto, perché,
dove ne' giorni festivi vilmente si stanno oziosi per li ridotti, andrebbero
per piacere a questi esercizi, perché il trattare dell'armi, com'egli
è bello spettacolo, così è a' giovani dilettevole. Quanto
a potere pagare il minore numero e, per questo, tenergli più ubbidienti
e più contenti, rispondo come non si può fare ordinanza di sì
pochi, che si possano in modo continuamente pagare, che quel pagamento loro
sodisfaccia. Verbigrazia, se si ordinasse una milizia di cinquemila fanti, a
volergli pagare in modo che si credesse che si contentassono, converrebbe dar
loro almeno diecimila ducati il mese. In prima, questo numero di fanti non basta
a fare uno esercito; questo pagamento è insopportabile a uno stato, e,
dall'altro canto, non è sufficiente a tenere gli uomini contenti, ed
obligati da potersene valere a sua posta. In modo che, nel fare questo, si spenderebbe
assai, arebbesi poche forze, e non sarebbero a sufficienza o a defenderti o
a fare alcuna tua impresa. Se tu dessi loro più, o ne prendessi più,
tanta più impossibilità ti sarebbe il pagargli. Se tu dessi loro
meno, o ne prendessi meno, tanta meno contentezza sarebbe in loro, o a te tanta
meno utilità arrecherebbono. Pertanto quegli che ragionano di fare una
ordinanza, e, mentre ch'ella si dimora a casa, pagarla, ragionano di cose o
impossibili o inutili. Ma è bene necessario pagargli quando si levono
per menargli alla guerra. Pure se tale ordine dessi a' descritti in quello qualche
disagio ne' tempi di pace (che non ce lo veggo) e' vi sono per ricompenso tutti
quegli beni che arreca una milizia ordinata in uno paese, perché sanza
quella non vi è secura cosa alcuna. Conclude che, chi vuole il poco numero
per poterlo pagare, o per qualunque altra delle cagioni allegate da voi, non
se ne intende, perché ancora fa per la opinione mia, che sempre ogni
numero ti diminuirà tra le mani per infiniti impedimenti che hanno gli
uomini, di modo che il poco numero tornerebbe a niente. Appresso, avendo l'ordinanza
grossa, ti puoi a tua elezione valere de' pochi e degli assai. Oltre a questo,
ella ti ha a servire in fatto e in riputazione, e sempre ti darà più
riputazione il gran numero. Aggiugnesi a questo che, faccendosi l'ordinanze
per tenere gli uomini esercitati, se tu scrivi poco numero di uomini in assai
paese, ei sono tanto distanti gli scritti l'uno dall'altro, che tu non puoi
sanza loro danno gravissimo raccozzargli per esercitargli; e sanza questo esercizio
l'ordinanza è inutile, come nel suo luogo si dirà.
COSIMO Basti sopra questa mia domanda quanto avete detto; ma io disidero ora
che voi mi solviate uno altro dubbio. Costoro dicono che tale moltitudine di
armati è per fare confusione, scandolo e disordine nel paese.
FABRIZIO Questa è un'altra vana opinione, per la cagione vi dirò.
Questi ordinati all'armi possono causare disordine in due modi: o tra loro,
o contro ad altri. Alle quali cose si può facilmente ovviare, dove l'ordine
per se medesimo non ovviasse; perché, quanto agli scandoli tra loro,
questo ordine gli leva, non gli nutrisce, perché, nello ordinarli, voi
date loro armi e capi. Se il paese dove voi gli ordinate è sì
imbelle che non sia, tra gli uomini di quello, armi, e sì unito che non
vi sia capi, questo ordine gli fa più feroci contro al forestiero, ma
non gli fa in niuno modo più disuniti, perché gli uomini bene
ordinati temono le leggi, armati come disarmati; né mai possono alterare,
se i capi che voi date loro non causano l'alterazione; e il modo a fare questo
si dirà ora. Ma se il paese dove voi gli ordinate, è armigero
e disunito, questo ordine solo è cagione d'unirgli, perché costoro
hanno armi e capi per loro medesimi, ma sono l'armi inutili alla guerra, e i
capi nutritori di scandoli. E questo ordine dà loro armi utili alla guerra
e capi estinguitori degli scandoli; perché subito che in quel paese è
offeso alcuno, ricorre al suo capo di parte, il quale, per mantenersi la reputazione,
lo conforta alla vendetta, non alla pace. Al contrario fa il capo publico; tale
che per questa via si lieva la cagione degli scandoli e si prepara quella della
unione; e le provincie unite ed effeminate perdono la viltà e mantengono
l'unione; le disunite e scandolose si uniscono e quella loro ferocia, che sogliono
disordinatamente adoperare, si rivolta in publica utilità. Quanto a volere
che non nuocano contro ad altri, si debbe considerare che non possono fare questo
se non mediante i capi che gli governono. A volere che i capi non facciano disordine,
è necessario avere cura che non acquistino sopra di loro troppa autorità.
E avete a considerare che questa autorità si acquista o per natura, o
per accidente. E quanto alla natura, conviene provvedere che chi è nato
in un luogo, non sia preposto agli uomini descritti in quello, ma sia fatto
capo di quelli luoghi dove non abbia alcuna naturale convenienza. Quanto allo
accidente, si debbe ordinare la cosa in modo che ciascuno anno i capi si permutino
da governo a governo; perché la continua autorità sopra i medesimi
uomini genera tra loro tanta unione, che facilmente si può convertire
in preiudizio del principe. Le quali permute quanto sieno utili a quegli che
le hanno usate, e dannose a chi non le ha osservate, si conosce per lo esempio
del regno degli Assiri e dello imperio de' Romani; dove si vede che quel regno
durò mille anni sanza tumulto e sanza alcuna guerra civile; il che non
procedé da altro che dalle permute che facevono da luogo a luogo ogni
anno quegli capitani i quali erano preposti alla cura degli eserciti. Né
per altra cagione nello imperio romano, spento che fu il sangue di Cesare, vi
nacquero tante guerre civili tra' capitani degli eserciti e tante congiure da'
predetti capitani contro agli imperadori, se non per tenere continuamente fermi
quegli capitani ne' medesimi governi. E se in alcuni di quegli primi imperadori
e di quegli poi i quali tennono l'imperio con reputazione, come Adriano, Marco,
Severo e simili, fusse stato tanto vedere, che gli avessono introdotto questo
costume di permutare i capitani in quello imperio, sanza dubbio lo facevono
più quieto e più durabile; perché i capitani arebbero avuta
minore occasione di tumultuare, gl'imperadori minore cagione di temere, e il
senato, ne' mancamenti delle successioni, arebbe avuto nella elezione dello
imperadore più autorità, e per conseguente sarebbe stata migliore.
Ma le cattive consuetudini, o per la ignoranza o per la poca diligenza degli
uomini, né per i malvagi né per i buoni esempli si possono levare
via.
COSIMO Io non so se col mio domandare io v'ho quasi che tratto fuora dell'ordine
vostro, perché dal deletto noi siamo entrati in uno altro ragionamento;
e se io non me ne fussi poco fa scusato, crederrei meritarne qualche riprensione.
FABRIZIO Non vi dia noia questo; perché tutto questo ragionamento era
necessario volendo ragionare della ordinanza la quale, sendo biasimata da molti,
conveniva la scusassi, volendo che questa prima parte del deletto ci avesse
luogo. E prima che io descenda all'altre parti, io voglio ragionare del deletto
degli uomini a cavallo. Questo si faceva, appresso agli antichi, de' più
ricchi, avendo riguardo e agli anni e alla qualità dell'uomo; e ne eleggevano
trecento per legione, tanto che i cavagli romani in ogni esercito consolare
non passavano la somma di secento.
COSIMO Faresti voi ordinanza di cavagli per esercitargli a casa, e valersene
col tempo?
FABRIZIO Anzi è necessario; e non si può fare altrimenti, a volere
avere l'armi che sieno sue, e a non volere avere a torre di quegli che ne fanno
arte.
COSIMO Come gli eleggeresti?
FABRIZIO Imiterei i Romani; torrei de' più ricchi, darei loro capi in
quel modo che oggi agli altri si danno, e gli armerei ed eserciterei.
COSIMO A questi sarebb'egli bene dare qualche provvisione!
FABRIZIO Sì bene; ma tanta solamente, quanta è necessaria a nutrire
il cavallo; perché, arrecando a' tuoi sudditi spesa, si potrebbono dolere
di te. Però sarebbe necessario pagare loro il cavallo e le spese di quello.
COSIMO Quanto numero ne faresti, e come gli armeresti?
FABRIZIO Voi passate in un altro ragionamento. Io vel dirò nel suo luogo,
che fia quando io vi arò detto come si debbono armare i fanti, o come
a fare una giornata si preparano.
LIBRO SECONDO
Io credo che sia necessario, trovati che sono gli uomini, armargli;
e volendo fare questo, credo sia cosa necessaria esaminare che arme usavano
gli antichi, e di quelle eleggere le migliori. I Romani dividevano le loro fanterie
in gravemente e leggermente armate. Quelle dell'armi leggieri chiamavano con
uno vocabolo Veliti. Sotto questo nome s'intendevano tutti quegli che traevano
con la fromba, con la balestra, co' dardi, e portavano la maggior parte di loro,
per loro difesa, coperto il capo e come una rotella in braccio. Combattevano
costoro fuora degli ordini e discosti alla grave armadura; la quale era una
celata che veniva infino in sulle spalle, una corazza che con le sue falde perveniva
infino alle ginocchia; e avevano le gambe e le braccia coperte dagli stinieri
e da' bracciali, con uno scudo imbracciato lungo due braccia e largo uno, il
quale aveva un cerchio di ferro di sopra, per potere sostenere il colpo, e un
altro di sotto, acciò che, in terra stropicciandosi, non si consumasse.
Per offendere avevano cinta una spada in sul fianco sinistro lunga uno braccio
e mezzo, in sul fianco destro uno stiletto. Avevano uno dardo in mano, il quale
chiamavono pilo, e nello appiccare la zuffa lo lanciavano al nimico. Questa
era la importanza delle armi romane, con le quali eglino occuparono tutto el
mondo. E benché alcuni di questi antichi scrittori dieno loro, oltre
alle predette armi, una asta in mano in modo che uno spiede, io non so come
una asta grave si possa da chi tiene lo scudo adoperare; perché, a maneggiarla
con due mani, lo scudo lo impedisce, con una, non può fare cosa buona
per la gravezza sua. Oltre a questo, combattere nelle frotte e negli ordini
con l'arme in asta è inutile, eccetto che nella prima fronte dove si
ha lo spazio libero a potere spiegare tutta l'asta; il che negli ordini dentro
non si può fare, perché la natura delle battaglie, come nello
ordine di quelle vi dirò, è continuamente ristringersi; perché
si teme meno questo, ancora che sia inconveniente, che il rallargarsi, dove
è il pericolo evidentissimo. Tal che tutte le armi che passano di lunghezza
due braccia, nelle stretture sono inutili; perché se voi avete l'asta
e vogliate adoperarla a due mani, posto che lo scudo non vi noiasse, non potete
offendere con quella uno nimico che vi sia addosso. Se voi la prendete con una
mano, per servirvi dello scudo, non la potendo pigliare se non nel mezzo, vi
avanza tanta asta dalla parte di dietro, che quelli che vi sono di dietro v'impediscono
a maneggiarla. E che sia vero, o che i Romani non avessono queste aste, o che,
avendole, se ne valessono poco, leggete tutte le giornate nella sua Istoria
da Tito Livio celebrate, e vedrete, in quelle radissime volte essere fatta menzione
delle aste; anzi sempre dice che, lanciati i pili, ei mettevano mano alla spada.
Però io voglio lasciare queste aste e attenermi, quanto a' Romani, alla
spada per offesa e, per difesa allo scudo con l'altre armi sopradette. I Greci
non armavono sì gravemente per difesa come i Romani, ma, per offesa si
fondavono più in su l'asta che in su la spada, e massime le falangi di
Macedonia, le quali portavano aste che chiamavono sarisse, lunghe bene dieci
braccia, con le quali eglino aprivono le stiere nimiche e tenevano gli ordini
nelle loro falangi. E benché alcuni scrittori dicono ch'egli avevano
ancora lo scudo, non so, per le ragioni dette di sopra, come e' potevano stare
insieme le sarisse e quegli. Oltre a questo, nella giornata che fece Paulo Emilio
con Persa re di Macedonia, non mi ricorda che vi sia fatta menzione di scudi,
ma solo delle sarisse e delle difficultà che ebbe lo esercito romano
a vincerle. In modo che io conietturo che non altrimenti fusse una falange macedonica,
che si sia oggi una battaglia di Svizzeri, i quali hanno nelle picche tutto
lo sforzo e tutta la potenza loro. Ornavano i Romani, oltre alle armi, le fanterie
con pennacchi; le quali cose fanno l'aspetto d'uno esercito agli amici bello,
a' nimici terribile. L'armi degli uomini a cavallo, in quella prima antichità
romana, erano uno scudo tondo, ed avevano coperto il capo e il resto era disarmato.
Avevano la spada, e una asta con il ferro solamente dinanzi, lunga e sottile,
donde venivano a non potere fermare lo scudo; e l'asta nello agitarsi si fiaccava,
ed essi, per essere disarmati, erano esposti alle ferite. Di poi con il tempo
si armarono come i fanti; ma avevano lo scudo più breve e quadrato e
l'asta più ferma e con due ferri, acciò che, scollandosi da una
parte, si potessero valere dell'altra. Con queste armi, così di piede
come di cavallo, occuparono i miei Romani tutto il mondo; ed è credibile,
per il frutto che se ne vide, che fussono i meglio armati eserciti che fussero
mai. E Tito Livio nelle sue Istorie ne fa fede assai volte dove, venendo in
comparazione degli eserciti nimici, dice: «Ma i Romani per virtù,
per generazione di armi e disciplina erano superiori»; e però io
ho più particolarmente ragionato delle armi de' vincitori che de' vinti.
Parmi bene solo da ragionare del modo dello armare presente. Hanno i fanti,
per loro difesa, uno petto di ferro e, per offesa, una lancia nove braccia lunga,
la quale chiamano picca, con una spada al fianco piuttosto tonda nella punta
che acuta. Questo è l'armare ordinario delle fanterie d'oggi, perché
pochi ne sono che abbiano armate le stiene e le braccia, niuno il capo; e quelli
pochi portano in cambio di picca una alabarda, l'asta della quale, come sapete,
è lunga tre braccia e ha il ferro ritratto come una scure. Hanno tra
loro scoppiettieri, i quali, con lo impeto del fuoco, fanno quello ufficio che
facevano anticamente i funditori e i balestrieri. Questo modo dello armare fu
trovato da' populi tedeschi e massime dai Svizzeri; i quali, sendo poveri e
volendo vivere liberi, erano e sono necessitati combattere con la ambizione
de' principi della Magna; i quali, per essere ricchi, potevano nutrire cavagli,
il che non potevano fare quelli popoli per la povertà; onde ne nacque
che, essendo a piè e volendosi difendere da' nimici che erano a cavallo,
convenne loro ricercare degli antichi ordini e trovare arme che dalla furia
de' cavagli gli difendesse. Questa necessità ha fatto o mantenere o ritrovare
a costoro gli antichi ordini, sanza quali, come ciascuno prudente afferma, la
fanteria è al tutto inutile. Presono pertanto per arme le picche, arme
utilissima non solamente a sostenere i cavagli, ma a vincergli. E hanno per
virtù di queste armi e di questi ordini presa i Tedeschi tanta audacia,
che quindici o ventimila di loro assalterebbero ogni gran numero di cavagli;
e di questo da venticinque anni in qua se ne sono vedute esperienze assai. E
sono stati tanto possenti gli esempli della virtù loro fondati in su
queste armi e questi ordini, che poi che il re Carlo passò in Italia,
ogni nazione gli ha imitati; tanto che gli eserciti spagnuoli sono divenuti
in una grandissima reputazione.
COSIMO Quale modo di armare lodate voi più: o questo tedesco o lo antico
romano?
FABRIZIO Il romano sanza dubbio; e dirovvi il bene e il male dell'uno e dell'altro.
I fanti tedeschi così armati possono sostenere e vincere i cavagli; sono
più espediti al cammino e all'ordinarsi, per non essere carichi d'armi.
Dall'altra parte sono esposti a tutti i colpi, e discosto e d'appresso, per
essere disarmati; sono inutili alle battaglie delle terre e ad ogni zuffa dove
sia gagliarda resistenza. Ma i Romani sostenevano e vincevano i cavagli, come
questi; erano securi da' colpi da presso e di lontano, per essere coperti d'armi;
potevano meglio urtare e meglio sostenere gli urti, avendo gli scudi; potevano
più attamente nelle presse valersi con la spada che questi con la picca;
e se ancora hanno la spada, per essere sanza lo scudo, ella diventa in tale
caso inutile. Potevano securamente assaltare le terre, avendo il capo coperto
e potendoselo meglio coprire con lo scudo. Talmente che ei non avevano altra
incommodità che la gravezza dell'armi e la noia dello averle a condurre;
le quali cose essi superavano con lo avvezzare il corpo a' disagi e con indurirlo
a potere durare fatica. E voi sapete come nelle cose consuete gli uomini non
patiscono. E avete ad intendere questo: che le fanterie possono avere a combattere
con fanti e con cavagli, e sempre fieno inutili quelle che non potranno o sostenere
i cavagli, o, potendoli sostenere, abbiano nondimeno ad avere paura di fanterie
che sieno meglio armate e meglio ordinate che loro. Ora se voi considererete
la fanteria tedesca e la romana, voi troverrete nella tedesca attitudine, come
abbiamo detto, a vincere i cavagli, ma disavvantaggio grande quando combatte
con una fanteria ordinata come loro e armata come la romana. Tale che vi sarà
questo vantaggio dall'una all'altra: che i Romani potranno superare i fanti
e i cavagli, i Tedeschi solo i cavagli.
COSIMO Io disidererei che voi venissi a qualche esempio più particolare,
acciò che noi lo intendessimo meglio.
FABRIZIO Dico così: che voi troverrete, in molti luoghi delle istorie
nostre, le fanterie romane avere vinti innumerabili cavagli, e mai troverrete
ch'elle siano state vinte da uomini a piè, per difetto ch'ell'abbiano
avuto nell'armare, o per vantaggio che abbia avuto il nimico nell'armi. Perché,
se il modo del loro armare avesse avuto difetto, egli era necessario che seguisse
l'una delle due cose: o che, trovando chi armasse meglio di loro, ei non andassono
più avanti con gli acquisti, o che pigliassero de' modi forestieri e
lasciassero i loro. E perché non seguì né l'una cosa né
l'altra, ne nasce che si può facilmente conietturare che il modo dell'armare
loro fusse migliore che quello di alcuno altro. Non è già così
intervenuto alle fanterie tedesche, perché si è visto fare loro
cattiva pruova qualunque volta quelle hanno avuto a combattere con uomini a
piè, ordinati e ostinati come loro; il che è nato dal vantaggio
che quelle hanno riscontro nelle armi nimiche. Filippo Visconti, duca di Milano,
essendo assaltato da diciottomila Svizzeri, mandò loro incontro il conte
Carmignuola, il quale allora era suo capitano. Costui con seimila cavagli e
pochi fanti, gli andò a trovare, e, venendo con loro alle mani, fu ributtato
con suo danno gravissimo. Donde il Carmignuola, come uomo prudente, subito conobbe
la potenza dell'armi nimiche, e quanto contro a' cavagli le prevalevano, e la
debolezza de' cavagli contro a quegli a piè così ordinati; e rimesso
insieme le sue genti, andò a ritrovare i Svizzeri e, come fu loro propinquo,
fece scendere da cavallo le sue genti d'armi; e in tale maniera combattendo
con quegli, tutti, fuora che tremila, gli ammazzò; i quali, veggendosi
consumare sanza avere rimedio, gittate l'armi in terra, si arrenderono.
COSIMO Donde nasce tanto disavvantaggio?
FABRIZIO Io ve l'ho poco fa detto; ma poiché voi non lo avete inteso,
io ve lo replicherò. Le fanterie tedesche, come poco fa vi si disse,
quasi disarmate per difendersi, hanno, per offendere, la picca e la spada. Vengono
con queste armi e con gli loro ordini a trovare il nimico, il quale, se è
bene armato per difendersi, come erano gli uomini d'arme del Carmignuola che
gli fece scendere a piè, viene con la spada e ne' suoi ordini a trovargli;
e non ha altra difficultà che accostarsi a' Svizzeri tanto che gli aggiunga
con la spada; perché, come gli ha aggiunti, li combatte securamente,
perché il tedesco non può dare con la picca al nimico che gli
è presso per la lunghezza dell'asta, e gli conviene mettere mano alla
spada, la quale è a lui inutile, sendo egli disarmato e avendo all'incontro
uno nimico che sia tutto armato. Donde chi considera il vantaggio e il disavvantaggio
dell'uno e dell'altro, vedrà come il disarmato non vi arà rimedio
veruno; e il vincere la prima punga e passare le prime punte delle picche non
è molta difficultà, sendo bene armato chi le combatte; perché
le battaglie vanno (come voi intenderete meglio, quando io vi arò dimostro
com'elle si mettono insieme) e, andando, di necessità si accostano in
modo l'una all'altra, ch'elle si pigliano per il petto; e se dalle picche ne
è alcuno morto o gittato per terra, quegli che rimangono in piè
sono tanti che bastano alla vittoria. Di qui nacque che il Carmignuola vinse
con tanta strage de' Svizzeri e con poca perdita de' suoi.
COSIMO Considerate che quegli del Carmignuola furono uomini d'arme, i quali,
benché fussero a piè, erano coperti tutti di ferro, e però
poterono fare la pruova che fecero; sì che io mi penso che bisognasse
armare una fanteria come loro, volendo fare la medesima pruova.
FABRIZIO Se voi vi ricordassi come io dissi che i Romani armavano, voi non penseresti
a cotesto, perché uno fante che abbia il capo coperto dal ferro, il petto
difeso dalla corazza e dallo scudo, le gambe e le braccia armate, è molto
più atto a difendersi dalle picche ed entrare tra loro, che non è
uno uomo d'arme a piè. Io ne voglio dare un poco di esemplo moderno.
Erano scese di Sicilia nel regno di Napoli fanterie spagnuole, per andare a
trovare Consalvo, che era assediato in Barletta da' Franzesi. Fecesi loro incontro
monsignore d'Ubignì con le sue genti d'arme e con circa quattromila fanti
tedeschi. Vennero alle mani i Tedeschi. Con le loro picche basse apersero le
fanterie spagnuole, ma quelle, aiutate da' loro brocchieri e dall'agilità
del corpo loro, si mescolarono con i Tedeschi, tanto che gli poterono aggiugnere
con la spada; donde ne nacque la morte, quasi, di tutti quegli e la vittoria
degli Spagnuoli. Ciascuno sa quanti fanti tedeschi morirono nella giornata di
Ravenna; il che nacque dalle medesime cagioni: perché le fanterie spagnuole
si accostarono al tiro della spada alle fanterie tedesche, e le arebbero consumate
tutte, se da' cavagli franzesi non fussero i fanti tedeschi stati soccorsi;
nondimeno gli Spagnuoli, stretti insieme, si ridussero in luogo securo. Concludo,
adunque, che una buona fanteria dee non solamente potere sostenere i cavagli,
ma non avere paura de' fanti; il che, come ho molte volte detto procede dall'armi
e dall'ordine.
COSIMO Dite, pertanto, come voi l'armeresti.
FABRIZIO Prenderei delle armi romane e delle tedesche, e vorrei che la metà
fussero armati come i Romani e l'altra metà come i Tedeschi. Perché,
se in seimila fanti, come io vi dirò poco di poi, io avessi tremila fanti
con gli scudi alla romana e dumila picche e mille scoppiettieri alla tedesca,
mi basterebbono; perché io porrei le picche o nella fronte delle battaglie,
o dove io temessi più de' cavagli; e di quelli dello scudo e della spada
mi servirei per fare spalle alle picche e per vincere la giornata, come io vi
mostrerò. Tanto che io crederrei che una fanteria così ordinata
superasse oggi ogni altra fanteria.
COSIMO Questo che è detto ci basta quanto alle fanterie, ma quanto a'
cavagli disideriamo intendere quale vi pare più gagliardo armare, o il
nostro o l'antico?
FABRIZIO Io credo che in questi tempi, rispetto alle selle arcionate e alle
staffe non usate dagli antichi, si stia più gagliardamente a cavallo
che allora. Credo che si armi anche più sicuro, tale che oggi uno squadrone
di uomini d'arme, pesando assai, viene ad essere con più difficultà
sostenuto che non erano gli antichi cavagli. Con tutto questo, nondimeno, io
giudico che non si debba tenere più conto de' cavagli, che anticamente
se ne tenesse; perché, come di sopra si è detto, molte volte ne'
tempi nostri hanno con i fanti ricevuta vergogna, e la riceveranno, sempre che
riscontrino una fanteria armata e ordinata come di sopra. Aveva Tigrane, re
d'Armenia, contro allo esercito romano del quale era capitano Lucullo, cento
cinquantamila cavagli, tra li quali erano molti armati come gli uomini d'arme
nostri, i quali chiamavano catafratti; e dall'altra parte i Romani non aggiugnevano
a seimila, con venticinquemila fanti, tanto che Tigrane, veggendo l'esercito
de' nimici disse: - Questi sono cavagli assai per una ambasceria; - nondimeno,
venuto alle mani, fu rotto. E chi scrive quella zuffa vilipende quelli catafratti
mostrandogli inutili, perché dice che, per avere coperto il viso, erano
poco atti a vedere e offendere il nimico e, per essere aggravati dall'armi,
non potevano, cadendo, rizzarsi né della persona loro in alcuna maniera
valersi. Dico, pertanto, che quegli popoli, o regni, che istimeranno più
la cavalleria che la fanteria, sempre fieno deboli ed esposti a ogni rovina,
come si è veduta l'Italia ne' tempi nostri; la quale è stata predata,
rovinata e corsa da' forestieri, non per altro peccato che per avere tenuta
poca cura della milizia di piè, ed essersi ridotti i soldati suoi tutti
a cavallo. Debbesi bene avere de' cavagli, ma per secondo e non per primo fondamento
dello esercito suo; perché, a fare scoperte, a correre e guastare il
paese nimico, a tenere tribolato e infestato l'esercito di quello e in sull'armi
sempre, a impedirgli le vettovaglie, sono necessarii e utilissimi; ma, quanto
alle giornate e alle zuffe campali che sono la importanza della guerra e il
fine a che si ordinano gli eserciti, sono più utili a seguire il nimico,
rotto ch'egli è, che a fare alcuna altra cosa che in quelle si operi,
e sono alla virtù del peditato assai inferiori.
COSIMO E' mi occororno due dubitazioni; l'una, che io so che i Parti non operavano
in guerra altro che i cavagli, e pure si divisono il mondo con i Romani; l'altra,
che io vorrei che voi mi dicessi come la cavalleria puote essere sostenuta da'
fanti, e donde nasca la virtù di questi e la debolezza di quella.
FABRIZIO O io vi ho detto, o io vi ho voluto dire, come il ragionamento mio
delle cose della guerra non ha a passare i termini d'Europa. Quando così
sia, io non vi sono obligato a rendere ragione di quello che si è costumato
in Asia. Pure io v'ho a dire questo: che la milizia de' Parti era al tutto contraria
a quella de' Romani, perché i Parti militavano tutti a cavallo e, nel
combattere, procedevano confusi e rotti ed era uno modo di combattere instabile
e pieno di incertitudine. I Romani erano, si può dire, quasi tutti a
piè e combattevano stretti insieme e saldi; e vinsono variamente l'uno
l'altro secondo il sito largo o stretto; perché, in questo, i Romani
erano superiori, in quello, i Parti; i quali poterono fare gran pruove con quella
milizia, rispetto alla regione che loro avevano a difendere; la quale era larghissima,
perché ha le marine lontane mille miglia, i fiumi l'uno dall'altro due
o tre giornate, le terre medesimamente e gli abitatori radi; di modo che uno
esercito romano, grave e tardo per l'armi e per l'ordine, non poteva cavalcarlo
sanza suo grave danno, per essere chi lo difendeva a cavallo ed espeditissimo,
in modo ch'egli era oggi in uno luogo, e domani discosto cinquanta miglia; di
qui nacque, che i Parti poterono prevalersi con la cavalleria sola e la rovina
dell'esercito di Crasso e i pericoli di quello di Marco Antonio. Ma io, come
v'ho detto, non intendo in questo mio ragionamento parlare della milizia fuora
d'Europa; però voglio stare in su quello che ordinarono già i
Romani e i Greci, e oggi fanno i Tedeschi. Ma vegnamo all'altra domanda vostra,
dove voi disiderate intendere quale ordine o quale virtù naturale fa
che i fanti superano la cavalleria. E vi dico, in prima, come i cavagli non
possono andare, come i fanti, in ogni luogo. Sono più tardi a ubbidire,
quando occorre variare l'ordine, che i fanti; perché, s'egli è
bisogno o andando avanti tornare indietro, o tornando indietro andare avanti,
o muoversi stando fermi, o andando fermarsi, sanza dubbio non lo possono così
appunto fare i cavagli come i fanti. Non possono i cavagli, sendo da qualche
impeto disordinati, ritornare negli ordini se non con difficultà, ancora
che quello impeto manchi; il che rattissimo fanno i fanti. Occorre, oltre a
questo, molte volte, che uno uomo animoso sarà sopra uno cavallo vile
e uno vile sopra uno animoso; donde conviene che queste disparitadi d'animo
facciano disordine. Né alcuno si maravigli che uno nodo di fanti sostenga
ogni impeto di cavagli, perché il cavallo è animale sensato e
conosce i pericoli e male volentieri vi entra. E se considererete quali forze
lo facciano andar avanti e quali lo tengano indietro, vedrete sanza dubbio essere
maggiori quelle che lo ritengono che quelle che lo spingono; perché innanzi
lo fa andar lo sprone, e dall'altra banda lo ritiene o la spada o la picca.
Tale che si è visto per le antiche e per le moderne esperienze un nodo
di fanti essere securissimo, anzi insuperabile da' cavagli. E se voi arguissi
a questo che la foga con la quale viene, lo fa più furioso a urtare chi
lo volesse sostenere, meno stimare la picca che lo sprone, dico che, se il cavallo
discosto comincia a vedere di avere a percuotere nelle punte delle picche, o
per se stesso egli raffrenerà il corso, di modo che come egli si sentirà
pugnere si fermerà affatto, o, giunto a quelle, si volterà a destra
o a sinistra. Di che se volete fare esperienza, provate a correre un cavallo
contro a un muro; radi ne troverrete che, con quale vi vogliate foga, vi dieno
dentro. Cesare, avendo in Francia a combattere con i Svizzeri, scese e fece
scendere ciascuno a piè e rimuovere dalla schiera i cavagli, come cosa
più atta a fuggire che a combattere. Ma, nonostante questi naturali impedimenti
che hanno i cavagli, quello capitano che conduce i fanti, debbe eleggere vie
che abbiano per i cavagli più impedimenti si può; e rado occorrerà
che l'uomo non possa assicurarsi per la qualità del paese. Perché,
se si cammina per le colline, il sito ti libera da quelle foghe di che voi dubitate;
se si va per il piano, radi piani sono che, per le colture o per li boschi,
non ti assicurino; perché ogni macchia, ogni argine, ancora debole, toglie
quella foga, e ogni coltura, dove sia vigne e altri arbori, impedisce i cavagli.
E se tu vieni a giornata, quello medesimo ti interviene che camminando, perché
ogni poco di impedimento che il cavallo abbia, perde la foga sua. Una cosa nondimeno
non voglio scordare di dirvi: come i Romani istimavano tanto i loro ordini e
confidavono tanto nelle loro armi, che se gli avessono avuto ad eleggere o un
luogo sì aspro per guardarsi dai cavagli, dove ei non avessono potuti
spiegare gli ordini loro, o uno dove avessono avuto a temere più de'
cavagli, ma vi si fussono potuti distendere, sempre prendevano questo e lasciavano
quello. Ma perch'egli è tempo passare allo esercizio, avendo armate queste
fanterie secondo lo antico e moderno uso, vedreno quali esercizi facevano loro
fare i Romani, avanti che le fanterie si conduchino a fare giornata. Ancora
ch'elle siano bene elette e meglio armate, si deono con grandissimo studio esercitare,
perché sanza questo esercizio mai soldato alcuno non fu buono. Deono
essere questi esercizi tripartiti: l'uno, per indurare il corpo e farlo atto
a' disagi e più veloce e più destro; l'altro, per imparare ad
operare l'armi; il terzo, per imparare ad osservare gli ordini negli eserciti,
così nel camminare, come nel combattere e nello alloggiare. Le quali
sono le tre principali azioni che faccia uno esercito; perché, se uno
esercito cammina, alloggia e combatte ordinatamente e praticamente, il capitano
ne riporta l'onore suo, ancora che la giornata avesse non buono fine. Hanno
pertanto a questi esercizi tutte le republiche antiche provvisto in modo, per
costume e per legge, che non se ne lasciava indietro alcuna parte. Esercitavano
adunque la loro gioventù per fargli veloci nel correre, per fargli destri
nel saltare, per fargli forti a trarre il palo o a fare alle braccia. E queste
tre qualità sono quasi che necessarie in uno soldato, perché la
velocità lo fa atto a preoccupare i luoghi al nimico, a giugnerlo insperato
e inaspettato, a seguitarlo quando egli è rotto. La destrezza lo fa atto
a schifare il colpo, a saltare una fossa, a superare uno argine. La fortezza
lo fa meglio portare l'armi, urtare il nimico, sostenere uno impeto. E sopratutto,
per fare il corpo più atto a' disagi, si avvezzavano a portare gran pesi.
La quale consuetudine è necessaria, perché nelle espedizioni difficili
conviene molte volte che il soldato oltre all'armi, porti da vivere per più
giorni; e se non fusse assuefatto a questa fatica non potrebbe farlo; e per
questo o e' non si potrebbe fuggire uno pericolo o acquistare con fama una vittoria.
Quanto ad imparare ad operare l'armi, gli esercitavano in questo modo. Volevano
che i giovani si vestissero armi che pesassero più il doppio che le vere,
e per spada davano loro uno bastone piombato il quale, a comparazione di quella,
era gravissimo. Facevano a ciascuno di loro ficcare uno palo in terra che rimanesse
alto tre braccia, e in modo gagliardo, che i colpi non lo fiaccassero o atterrassono;
contro al quale palo il giovane con lo scudo e col bastone, come contro a uno
nimico, si esercitava; e ora gli tirava come se gli volesse ferire la testa
o la faccia, ora come se lo volesse percuotere per fianco, ora per le gambe,
ora si tirava indietro, ora si faceva innanzi. E avevano, in questo esercizio,
questa avvertenza: di farsi atti a coprire sé e ferire il nimico; e avendo
l'armi finte gravissime, parevano di poi loro le vere più leggieri. Volevano
i Romani che i loro soldati ferissono di punta e non di taglio, sì per
essere il colpo più mortale e avere manco difesa, sì per scoprirsi
meno chi ferisse ed essere più atto a raddoppiarsi che il taglio. Né
vi maravigliate che quegli antichi pensassero a queste cose minime, perché,
dove si ragiona che gli uomini abbiano a venire alle mani, ogni piccolo vantaggio
è di gran momento; e io vi ricordo quello che di questo gli scrittori
ne dicano, piuttosto che io ve lo insegni. Né istimavano gli antichi
cosa più felice in una republica, che essere in quella assai uomini esercitati
nell'armi; perché non lo splendore delle gemme e dell'oro fa che i nimici
ti si sottomettono, ma solo il timore dell'armi. Di poi gli errori che si fanno
nell'altre cose, si possono qualche volta correggere; ma quegli che si fanno
nella guerra, sopravvenendo subito la pena, non si possono emendare. Oltre a
questo, il sapere combattere fa gli uomini più audaci, perché
niuno teme di fare quelle cose che gli pare avere imparato a fare. Volevano
pertanto gli antichi che i loro cittadini si esercitassono in ogni bellica azione,
e facevano trarre loro, contro a quel palo, dardi più gravi che i veri;
il quale esercizio, oltre al fare gli uomini esperti nel trarre, fa ancora le
braccia più snodate e più forti. Insegnavano ancora loro trarre
con l'arco, con la fromba, e a tutte queste cose avevano preposti maestri, in
modo che poi, quando egli erano eletti per andare alla guerra, egli erano già
con l'animo e con la disposizione soldati. Né restava loro ad imparare
altro che andare negli ordini e mantenersi in quegli, o camminando o combattendo,
il che facilmente imparavano, mescolandosi con quegli che, per avere più
tempo militato, sapevano stare negli ordini.
COSIMO Quali esercizi faresti voi fare loro al presente?
FABRIZIO Assai di quegli che si sono detti, come: correre e fare alle braccia,
fargli saltare, fargli affaticare sotto armi più gravi che l'ordinarie,
fargli trarre con la balestra e con l'arco; a che aggiugnerei lo scoppietto,
istrumento nuovo, come voi sapete, e necessario. E a questi esercizi assuefarei
tutta la gioventù del mio stato, ma, con maggiore industria e più
sollecitudine, quella parte che io avessi descritta per militare; e sempre ne'
giorni oziosi si eserciterebbero. Vorrei ancora ch'egl'imparassino a notare;
il che è cosa molto utile, perché non sempre sono i ponti a' fiumi,
non sempre sono parati i navigii; tale che, non sapendo il tuo esercito notare,
resti privo di molte commodità, e ti si tolgono molte occasioni al bene
operare. I Romani non per altro avevano ordinato che i giovani si esercitassero
in Campo Marzio, se non perché, avendo propinquo il Tevere, potessero,
affaticati nello esercizio di terra, ristorarsi nella acqua e parte, nel notare,
esercitarsi. Farei ancora, come gli antichi, esercitare quegli che militassono
a cavallo; il che è necessarissimo, perché, oltre al sapere cavalcare
sappiano a cavallo valersi di loro medesimi. E per questo avevano ordinati cavagli
di legno, sopr'alli quali si addestravano, saltandovi sopra armati e disarmati,
sanza alcuno aiuto e da ogni mano, il che faceva che ad un tratto e ad un cenno
d'uno capitano la cavalleria era a piè, e così ad un cenno rimontava
a cavallo. E tali esercizi, e di piè e di cavallo, come allora erano
facili, così ora non sarebbero difficili a quella republica o a quel
principe che volesse farli mettere in pratica alla sua gioventù, come
per esperienza si vede in alcune città di Ponente dove si tengono vivi
simili modi con questo ordine. Dividono quelle tutti i loro abitanti in varie
parti, e ogni parte nominano da una generazione di quell'armi che egli usano
in guerra. E perché egli usano picche, alabarde, archi e scoppietti,
chiamano quelle: picchieri, alabardieri, scoppiettieri e arcieri. Conviene,
adunque, a tutti gli abitanti dichiararsi in quale ordine voglia essere descritto.
E perché tutti, o per vecchiezza o per altri impedimenti, non sono atti
alla guerra, fanno di ciascuno ordine una scelta, e gli chiamano i Giurati;
i quali ne' giorni oziosi sono obligati a esercitarsi in quell'armi dalle quali
sono nominati. E ha ciascuno il luogo suo deputato dal publico, dove tale esercizio
si debba fare; e quelli che sono di quello ordine, ma non de' Giurati, concorrono
con i danari a quelle spese che in tale esercizio sono necessarie. Quello pertanto
che fanno loro, potremmo fare noi; ma la nostra poca prudenza non lascia pigliare
alcuno buono partito. Da questi esercizi nasceva che gli antichi avevano buone
fanterie e che ora quegli di Ponente sono migliori fanti che i nostri; perché
gli antichi gli esercitavano, o a casa, come facevano quelle republiche, o negli
eserciti, come facevano quegli imperadori, per le cagioni che di sopra si dissono.
Ma noi a casa esercitare non li vogliamo; in campo non possiamo, per non essere
nostri suggetti e non gli potere obligare ad altri esercizi che per loro medesimi
si vogliono. La quale cagione ha fatto che si sono straccurati prima gli esercizi
e poi gli ordini, e che i regni e le repubbliche, massime italiane, vivono in
tanta debolezza. Ma torniamo all'ordine nostro; e, seguitando questa materia
degli esercizi, dico come non basta a far buoni eserciti avere indurati gli
uomini, fattigli gagliardi, veloci e destri; che bisogna ancora ch'egli imparino
a stare negli ordini, a ubbidire a' segni, a' suoni e alle voci del capitano,
e sapere, stando, ritirandosi, andando innanzi, combattendo e camminando, mantenere
quegli; perché sanza questa disciplina, con ogni accurata diligenza osservata
e praticata, mai esercito non fu buono. E sanza dubbio gli uomini feroci e disordinati
sono molto più deboli che i timidi e ordinati; perché l'ordine
caccia dagli uomini il timore, il disordine scema la ferocia. E perché
voi intendiate meglio quello che di sotto si dirà, voi avete a intendere
come ogni nazione, nell'ordinare gli uomini suoi alla guerra, ha fatto nell'esercito
suo, ovvero nella sua milizia uno membro principale; il quale, se l'hanno variato
con il nome, l'hanno poco variato con il numero degli uomini, perché
tutti l'hanno composto di sei in ottomila uomini. Questo membro da' Romani fu
chiamato legione, da' Greci falange, dai Franzesi caterva. Questo medesimo ne'
nostri tempi da' Svizzeri, i quali soli dell'antica milizia ritengono alcuna
ombra, è chiamato in loro lingua quello che in nostra significa battaglione.
Vero è che ciascuno l'ha poi diviso in varie battaglie e a suo proposito
ordinato. Parmi, adunque, che noi fondiamo il nostro parlare in su questo nome
come più noto, e di poi, secondo gli antichi e moderni ordini, il meglio
che è possibile, ordinarlo. E perché i Romani dividevano la loro
legione, che era composta di cinque in seimila uomini, in dieci coorti, io voglio
che noi dividiamo il nostro battaglione in dieci battaglie e lo componiamo di
seimila uomini di piè; e dareno a ogni battaglia quattrocentocinquanta
uomini, de' quali ne sieno quattrocento armati d'armi gravi e cinquanta d'armi
leggieri. L'armi gravi sieno trecento scudi con le spade, e chiaminsi scudati;
e cento con le picche, e chiaminsi picche ordinarie; l'armi leggieri sieno cinquanta
fanti armati di scoppietti, balestra e partigiane e rotelle; e questi da uno
nome antico si chiamino veliti ordinarii. Tutte le dieci battaglie pertanto
vengono ad avere tremila scudati, mille picche ordinarie e cinquecento veliti
ordinarii; i quali tutti fanno il numero di quattromila cinquecento fanti. E
noi diciamo che vogliamo fare il battaglione di seimila, però bisogna
aggiugnere altri mille cinquecento fanti, de' quali ne farei mille con le picche,
le quali chiamerei picche estraordinarie, e cinquecento armati alla leggiera,
i quali chiamerei veliti estraordinarii. E così verrebbero le mie fanterie,
secondo che poco fa dissi, a essere composte mezze di scudi e mezze fra picche
e altre armi. Preporrei a ogni battaglia uno connestabole, quattro centurioni
e quaranta capidieci; e di più un capo a' veliti ordinarii, con cinque
capidieci. Darei alle mille picche estraordinarie tre connestaboli, dieci centurioni
e cento capidieci; a' veliti estraordinarii due connestaboli, cinque centurioni
e cinquanta capidieci. Ordinerei di poi un capo generale di tutto il battaglione.
Vorrei che ciascuno connestabole avesse la bandiera e il suono. Sarebbe pertanto
composto uno battaglione di dieci battaglie, di tremila scudati, di mille picche
ordinarie, di mille estraordinarie, di cinquecento veliti ordinarii, di cinquecento
estraordinarii; e così verrebbero ad essere seimila fanti, tra quali
sarebbero mille cinquecento capidieci e, di più, quindici connestaboli
con quindici suoni e quindici bandiere, cinquantacinque centurioni, dieci capi
de' veliti ordinarii, e uno capitano di tutto il battaglione con la sua bandiera
e con il suo suono. E vi ho volentieri replicato questo ordine più volte,
acciò che poi, quando io vi mostrerò i modi dell'ordinare le battaglie
e gli eserciti, voi non vi confondiate. Dico, pertanto, come quel re o quella
republica dovrebbe quegli suoi sudditi ch'ella volesse ordinare all'armi, ordinargli
con queste armi e con queste parti, e fare nel suo paese tanti battaglioni di
quanti fusse capace. E quando gli avesse ordinati secondo la sopradetta distribuzione,
volendogli esercitare negli ordini, basterebbe esercitargli battaglia per battaglia.
E benché il numero degli uomini di ciascuna di esse non possa per sé
fare forma d'uno giusto esercito, nondimeno può ciascuno uomo imparare
a fare quello che s'appartiene a lui particolarmente; perché negli eserciti
si osserva due ordini: l'uno, quello che deono fare gli uomini in ciascuna battaglia,
e l'altro, quello che di poi debbe fare la battaglia quando è coll'altre
in uno esercito. E quelli uomini che fanno bene il primo, facilmente osservano
il secondo; ma, sanza sapere quello, non si può mai alla disciplina del
secondo pervenire. Possono, adunque, come ho detto, ciascuna di queste battaglie
da per sé imparare a tenere l'ordine delle file in ogni qualità
di moto e di luogo e, di poi, a sapere mettersi insieme, intendere il suono
mediante il quale nelle zuffe si comanda; sapere cognoscere da quello, come
i galeotti dal fischio, quanto abbiano a fare, o a stare saldi, o gire avanti,
o tornare indietro, o dove rivolgere l'armi e il volto. In modo che, sappiendo
tenere bene le file, talmente che né luogo né moto le disordinino,
intendendo bene i comandamenti del capo mediante il suono e sappiendo di subito
ritornare nel suo luogo, possono poi facilmente, come io dissi, queste battaglie,
sendone ridotte assai insieme, imparare a fare quello che tutto il corpo loro
è obligato, insieme con l'altre battaglie, in un esercito giusto operare.
E perché tale pratica universale ancora non è da istimare poco,
si potrebbe una volta o due l'anno, quando fusse pace, ridurre tutto il battaglione
insieme e dargli forma d'uno esercito intero, esercitandogli alcuni giorni come
se si avesse a fare giornata, ponendo la fronte, i fianchi e i sussidi ne' luoghi
loro. E perché uno capitano ordina il suo esercito alla giornata, o per
conto del nimico che vede o per quello del quale sanza vederlo dubita, si debbe
esercitare il suo esercito nell'uno modo e nell'altro, e istruirlo in modo che
possa camminare e, se il bisogno lo ricercasse, combattere, mostrando a' tuoi
soldati quando fussero assaltati da questa o da quella banda, come si avessero
a governare. E quando lo istruisse da combattere contro al nimico che vedessono,
mostrar loro come la zuffa s'appicca, dove si abbiano a ritirare sendo ributtati,
chi abbi a succedere in luogo loro, a che segni, a che suoni, a che voci debbano
ubbidire e praticarvegli in modo, con le battaglie e con gli assalti finti,
ch'egli abbiano a disiderare i veri. Perché lo esercito animoso non lo
fa per essere in quello uomini animosi, ma lo esservi ordini bene ordinati;
perché se io sono de' primi combattitori, e io sappia, sendo superato,
dove io m'abbia a ritirare e chi abbia a succedere nel luogo mio, sempre combatterò
con animo, veggendomi il soccorso propinquo. Se io sarò de' secondi combattitori,
lo essere spinti e ributtati i primi non mi sbigottirà, perché
io mi arò presupposto che possa essere e l'arò disiderato, per
essere quello che dia la vittoria al mio padrone, e non sieno quegli. Questi
esercizi sono necessarissimi dove si faccia uno esercito di nuovo; e dove sia
lo esercito vecchio sono necessarii, perché si vede come ancora che i
Romani sapessero da fanciugli l'ordine degli eserciti loro, nondimeno quegli
capitani, avanti che venissero al nimico, continuamente gli esercitavano in
quegli. E Iòsafo nella sua Istoria dice che i continui esercizi degli
eserciti romani facevano che tutta quella turba che segue il campo per guadagni,
era, nelle giornate, utile; perché tutti sapevano stare negli ordini
e combattere servando quelli. Ma negli eserciti d'uomini nuovi, o che tu abbi
messi insieme per combattere allora, o che tu ne faccia ordinanza per combattere
con il tempo, sanza questi esercizi, così delle battaglie di per sé,
come di tutto l'esercito, è fatto nulla; perché, sendo necessarii
gli ordini, conviene con doppia industria e fatica mostrargli a chi non gli
sa, che mantenergli a chi gli sa, come si vede che per mantenergli e per insegnargli
molti capitani eccellenti si sono sanza alcuno rispetto affaticati.
COSIMO E' mi pare che questo ragionamento vi abbia alquanto trasportato, perché,
non avendo voi ancora dichiarati i modi con i quali s'esercitano le battaglie,
voi avete ragionato dell'esercito intero e delle giornate.
FABRIZIO Voi dite la verità; e veramente ne è stata cagione l'affezione
che io porto a questi ordini, e il dolore che io sento veggendo che non si mettono
in atto, nondimanco non dubitate che io tornerò a segno. Come io v'ho
detto la prima importanza che è nell'esercizio, delle battaglie, è
sapere tenere bene le file. Per fare questo è necessario esercitargli
in quegli ordini che chiamano chiocciole. E perché io vi dissi che una
di queste battaglie debbe essere di quattrocento fanti armati d'armi gravi,
io mi fermerò sopra questo numero. Deonsi adunque ridurre in ottanta
file a cinque per fila. Di poi, andando o forte o piano, annodargli insieme
e sciorli; il che come si faccia, si può dimostrare più con i
fatti che con le parole. Di poi è meno necessario, perché ciascuno
che è pratico negli eserciti sa come questo ordine proceda; il quale
non è buono ad altro che all'avvezzare i soldati a tenere le file. Ma
vegnamo a mettere insieme una di queste battaglie. Dico che si dà loro
tre forme principali. La prima, la più utile, è farla tutta massiccia
e darle la forma di due quadri; la seconda è fare il quadro con la fronte
cornuta; la terza è farla con uno vacuo in mezzo che chiamano piazza.
Il modo del mettere insieme la prima forma può essere di due sorti. L'una
è fare raddoppiare le file: cioè, che la seconda fila entri nella
prima, la quarta nella terza, la sesta nella quinta, e così successive;
tanto che, dove ell'erono ottanta file a cinque per fila, diventino quaranta
file a dieci per fila. Di poi farle raddoppiare un'altra volta nel medesimo
modo, commettendosi l'una fila nell'altra, e così restono venti file
a venti uomini per fila. Questo fa due quadri incirca, perché, ancora
che sieno tanti uomini per un verso quanti per l'altro, nondimeno di verso le
teste si congiungono insieme, che l'uno fianco tocca l'altro; ma per l'altro
verso sono distanti almeno due braccia l'uno dall'altro, di qualità che
il quadro è più lungo dalle spalle alla fronte, che dall'uno fianco
all'altro. E perché noi abbiamo oggi a parlare più volte delle
parti davanti, di dietro e da lato di queste battaglie e di tutto l'esercito
insieme, sappiate che, quando io dirò o testa o fronte, vorrò
dire le parti dinanzi; quando dirò spalle, la parte di dietro; quando
dirò fianchi, le parti da lato. I cinquanta veliti ordinarii della battaglia
non si mescolano con l'altre file, ma, formata che è la battaglia, si
distendono per i fianchi di quella. L'altro modo di mettere insieme la battaglia
è questo; e perché egli è migliore che il primo, io vi
voglio mettere davanti agli occhi appunto com'ella si debbe ordinare. Io credo
che voi vi ricordiate di che numero d'uomini, di che capi ella è composta
e di che armi armata. La forma adunque che debbe avere questa battaglia, è,
come io dissi, di venti file a venti uomini per fila: cinque file di picche
in fronte e quindici file di scudi a spalle; due centurioni stieno nella fronte
e due dietro alle spalle, i quali facciano l'ufficio di quegli che gli antichi
chiamavano tergiduttori; il connestabole con la bandiera e con il suono stia
in quello spazio che è tra le cinque file delle picche e le quindici
degli scudi; de' capidieci, ne stia, sopr'ogni fianco di fila, uno, in modo
che ciascuno abbia a canto i suoi uomini; quegli che saranno a mano manca, in
su la man destra; quelli che sieno a mano destra, in su la man manca. Li cinquanta
veliti stieno a' fianchi e a spalle della battaglia. A volere ora che, andando
per l'ordinario i fanti, questa battaglia si metta insieme in questa forma,
conviene ordinarsi così: fare di avere ridotti i fanti in ottanta file
a cinque per fila, come poco fa dicemmo, lasciando i veliti o dalla testa o
dalla coda, pure ch'egli stieno fuora di quest'ordine; e debbesi ordinare che
ogni centurione abbia dietro alle spalle venti file, e sia dietro a ogni centurione
immediate cinque file di picche, e il resto scudi. Il connestabole stia con
il suono e con la bandiera in quello spazio che è tra le picche e gli
scudi del secondo centurione, e occupino i luoghi di tre scudati. Degli capidieci,
venti ne stieno ne' fianchi delle file del primo centurione in sulla man sinistra,
e venti ne stieno ne' fianchi delle file dell'ultimo centurione in sulla man
destra. E avete ad intendere che il capodieci che ha a guidare le picche, debbe
avere la picca, e quegli che guidano gli scudi, deono avere l'armi simili. Ridotte
adunque in questo ordine le file e volendo nel camminare ridurle in battaglia
per fare testa, tu hai a fare che si fermi il primo centurione con le prime
venti file, ed il secondo seguiti di camminare e, girandosi in su la man ritta,
ne vada lungo i fianchi delle venti file ferme, tanto che si attesti con l'altro
centurione, dove si fermi ancora egli; e il terzo centurione seguiti di camminare,
pure girando in su la man destra, e, lungo i fianchi delle file ferme, cammini
tanto che si attesti con gli altri due centurioni: e, fermandosi ancora egli,
l'altro centurione seguiti con le sue file, pure piegando in su la destra lungo
i fianchi delle file ferme, tanto ch'egli arrivi alla testa degli altri, e allora
si fermi; e subito due de' centurioni soli si partino dalla fronte e vadino
a spalle della battaglia, la quale viene fatta in quel modo e con quello ordine
appunto che poco fa ve la dimostrammo. I veliti si distendino per i fianchi
di essa, secondo che nel primo modo si dispose, il quale modo si chiama raddoppiargli
per retta linea; questo si dice raddoppiargli per fianco. Quel primo modo è
più facile, questo più ordinato e vien più appunto e meglio
lo puoi a tuo modo correggere; perché in quello conviene ubbidire al
numero, perché cinque ti fa dieci, dieci venti, venti quaranta, tal che,
con il raddoppiare per diritto, tu non puoi fare una testa di quindici né
di venticinque, né di trenta, né di trentacinque, ma ti bisogna
andare dove quel numero ti mena. Eppure occorre ogni dì, nelle fazioni
particolari, che conviene fare testa con secento o ottocento fanti, in modo
che il raddoppiare per linea retta ti disordinerebbe. Però mi piace più
questo; e quella difficultà che vi è più, conviene con
la pratica e con l'esercizio facilitarla. Dicovi, adunque com'egl'importa più
che cosa alcuna avere i soldati che si sappiano mettere negli ordini tosto;
ed è necessario tenergli in queste battaglie, esercitarvegli dentro e
fargli andare forte o innanzi o indietro, passare per luoghi difficili sanza
turbare l'ordine; perché i soldati che sanno fare questo bene, sono soldati
pratichi, e, ancora che non avessero mai veduti nimici in viso, si possono chiamare
soldati vecchi. E al contrario, quegli che non sanno tenere questi ordini, se
si fussero trovati in mille guerre, si deono sempre istimare soldati nuovi.
Questo è quanto al mettergli insieme, quando sono nelle file piccole,
camminando. Ma messi che sono, e poi, essendo rotti per qualche accidente che
nasca o dal sito o dal nimico, a fare che in uno subito si riordinino, questa
è la importanza e la difficultà e dove bisogna assai esercizio
ed assai pratica, e dove gli antichi mettevano assai studio. È necessario
pertanto fare due cose: prima, avere questa battaglia piena di contrassegni;
l'altra, tenere sempre questo ordine: che quegli medesimi fanti stieno sempre
in quelle medesime file. Verbigrazia, se uno ha cominciato a stare nella seconda,
ch'egli stia di poi sempre in quella; e non solamente in quella medesima fila,
ma in quello medesimo luogo; a che osservare, come ho detto, sono necessarii
gli assai contrassegni. In prima, è necessario che la bandiera sia in
modo contrassegnata che, convenendo con l'altre battaglie, ella si conosca da
loro. Secondo, che il connestabole e i centurioni abbiano pennacchi in testa,
differenti e conoscibili; e, quello che importa più, ordinare che si
conoscano i capidieci. A che gli antichi avevano tanta cura, che, non ch'altro,
avevano scritto nella celata il numero, chiamandoli primo, secondo, terzo, quarto,
ecc. E non erano ancora contenti a questo; che de' soldati ciascuno aveva scritto
nello scudo il numero della fila e il numero del luogo che in quella fila gli
toccava. Sendo dunque gli uomini contrassegnati così e assuefatti a stare
tra questi termini, è facil cosa, disordinati che fussono, tutti riordinarli
subito; perché, ferma che è la bandiera, i centurioni e i capidieci
possono giudicare a occhio il luogo loro, e, ridottisi i sinistri da sinistra,
i destri da destra con le distanze loro consuete, i fanti, guidati dalla regola
loro e dalle differenze de' contrassegni, possono essere subito ne' luoghi propri;
non altrimenti che, se tu scommetti le doghe d'una botte che tu abbi contrassegnata
prima, con facilità grandissima la riordini; che non l'avendo contrassegnata,
è impossibile a riordinarla. Queste cose con la diligenza e con l'esercizio
s'insegnano tosto e tosto s'imparano, e, imparate, con difficultà si
scordano, perché gli uomini nuovi sono guidati da' vecchi, e con il tempo
una provincia con questi esercizi diventerebbe tutta pratica nella guerra. È
necessario ancora insegnare loro voltarsi in un tempo e fare quando egli accaggia,
de' fianchi e delle spalle fronte, e della fronte fianchi e spalle. Il che è
facilissimo, perché basta che ogni uomo volti la sua persona verso quella
parte che gli è comandato; e dove voltano il volto, quivi viene ad essere
la fronte. Vero è che quando si voltano per fianco, gli ordini tornano
fuora della proporzione loro, perché dal petto alle spalle v'è
poca distanza, e dall'un fianco all'altro v'è assai distanza; il che
è tutto contro all'ordine ordinario delle battaglie. Però conviene
che la pratica e la discrezione gli rassetti. Ma questo è poco disordine,
perché facilmente per loro medesimi vi rimediano. Ma quello che importa
più, e dove bisogna più pratica, è quando una battaglia
si vuole voltare tutta come s'ella fusse un corpo solido. Qui conviene avere
gran pratica e gran discrezione, perché, volendola girare, verbigrazia,
in su la man manca, bisogna che si fermi il corno manco e, quegli che sono più
propinqui a chi sta fermo, camminino tanto adagio, che quegli che sono dritto
non abbiano a correre; altrimenti ogni cosa si confonderebbe. Ma perché
egli occorre sempre, quando uno esercito cammina da luogo a luogo, che le battaglie
che non sono poste in fronte, hanno a combattere non per testa, ma o per fianco
o a spalle, in modo che una battaglia ha in uno subito a fare del fianco o delle
spalle testa (e volendo che simili battaglie in tale caso abbiano la proporzione
loro, secondo che di sopra si è dimostro, è necessario che ell'abbiano
le picche da quel fianco che abbia ad essere testa e i capidieci, centurioni
e connestabole, a quello ragguaglio, ne' luoghi loro) però, a volere
fare questo, nel metterle insieme vi bisogna ordinare le ottanta file di cinque
per fila, così: mettere tutte le picche nelle prime venti file, e, de'
capidieci d'esse, metterne cinque nel primo luogo e cinque nell'ultimo; l'altre
sessanta file, che vengono dietro, sono tutte di scudi; che vengono ad essere
tre centurie. Vuolsi adunque che la prima e ultima fila d'ogni centuria sieno
capidieci; il connestabole con la bandiera e con il suono stia nel mezzo della
prima centuria degli scudi i centurioni in testa d'ogni centuria ordinati. Ordinati
così, quando volessi che le picche venissono in sul fianco manco, voi
gli avete a raddoppiare centuria per centuria dal fianco ritto, se volessi ch'elle
venissero dal fianco ritto, voi le avete a raddoppiare dal manco. E così
questa battaglia torna con le picche sopr'un fianco, con i capidieci da testa
e da spalle, con i centurioni per testa e il connestabole nel mezzo. La quale
forma tiene andando; ma, venendo il nimico e il tempo ch'ella voglia fare del
fianco testa, non si ha se non a fare voltare il viso a tutti i soldati verso
quel fianco dove sono le picche; e torna allora la battaglia con le file e con
i capi in quel modo si è ordinata di sopra; perché da' centurioni
in fuora tutti sono ne' luoghi loro, e i centurioni subito e sanza difficultà
vi entrano. Ma quando ell'abbia, camminando per testa, a combattere a spalle,
conviene ordinare le file in modo che, mettendole in battaglia, le picche vengano
di dietro; e a fare questo non s'ha a tenere altro ordine se non che, dove,
nello ordinare la battaglia, per l'ordinario ogni centuria ha cinque file di
picche davanti, le abbia di dietro, e in tutte l'altre parti osservare l'ordine
che io dissi prima.
COSIMO Voi avete detto, se bene mi ricorda, che questo modo dello esercizio
è per potere poi ridurre queste battaglie insieme in uno esercito, e
che questa pratica serve a potere ordinarsi in quello. Ma s'egli occorresse
che questi quattrocento cinquanta fanti avessono a fare una fazione separata,
come gli ordineresti?
FABRIZIO Dee, chi gli guida, allora giudicare dove egli vuole collocare le picche,
e quivi porle. Il che non repugna in parte alcuna all'ordine soprascritto; perché,
ancora che quello sia il modo che si osserva per fare la giornata insieme con
l'altre battaglie, nondimeno non è regola che serve a tutti quegli modi
nelli quali ti occorresse averti a maneggiare. Ma nel mostrarvi gli altri due
modi, da me preposti, di ordinare le battaglie, sodisfarò ancora più
alla domanda vostra; perché o e' non si usano mai, o e' si usano quando
una battaglia è sola e non in compagnia dell'altre. E per venire al modo
di ordinarla con due corna, dico che tu dèi ordinare le ottanta file
a cinque per fila in questo modo: porre là in mezzo uno centurione, e,
dopo lui, venticinque file che sieno di due picche in su la sinistra e di tre
scudi in su la destra; e dopo le prime cinque, sieno posti nelle venti sequenti
venti capidieci; tutti tra le picche e gli scudi, eccetto che quelli che portano
le picche, i quali possono stare con le picche. Dopo queste venticinque file
così ordinate si ponga un altro centurione: il quale abbia dietro a sé
quindici file di scudi. Dopo questi il connestabole in mezzo del suono e della
bandiera; il quale ancora abbia dietro a sé altre quindici file di scudi.
Dopo queste si ponga il terzo centurione; e abbia dietro a sé venticinque
file, in ognuna delle quali sieno tre scudi in su la sinistra e due picche in
su la destra; e dopo le cinque prime file sieno venti capidieci posti tra le
picche e gli scudi. Dopo queste file sia il quarto centurione. Volendo pertanto
di queste file così ordinate fare una battaglia con due corna, si ha
a fermare il primo centurione con le venticinque file che gli sono dietro. Di
poi si ha a muovere il secondo centurione con le quindici file scudate che gli
sono a spalle, e volgersi a mano ritta e, su per il fianco ritto delle venticinque
file, andare tanto ch'egli arrivi alla quintadecima fila, e qui fermarsi. Di
poi si ha a muovere il connestabole con le quindici file degli scudati che gli
sono dietro, e, girando pure in su la destra, su per il fianco destro delle
quindici file mosse prima, cammini tanto ch'egli arrivi alla testa loro, e quivi
si fermi. Di poi muova il terzo centurione con le venticinque file e con il
quarto centurione che era dietro, e, girando pure in su la ritta, cammini su
per il fianco destro delle quindici file ultime degli scudati, e non si fermi
quando è alla testa di quelle, ma seguiti di camminare, tanto che l'ultime
file delle venticinque sieno al pari delle file di dietro. E, fatto questo,
il centurione che era capo delle prime quindici file degli scudati, si lievi
donde era e ne vadia a spalle nello angulo sinistro. E così tornerà
una battaglia di venticinque file ferme, a venti fanti per fila, con due corna,
sopr'ogni canto della fronte uno, e ciascuno arà dieci file a cinque
per fila, e resterà uno spazio tra le due corna, quanto tengono dieci
uomini che volgano i fianchi l'uno all'altro. Sarà tra le due corna il
capitano; in ogni punta di corno uno centurione. Sarà ancora di dietro
in ogni canto uno centurione. Fieno due file di picche e venti capidieci da
ogni fianco. Servono queste due corna a tenere tra quelle l'artiglierie, quando
questa battaglia ne avesse con seco, e i carriaggi. I veliti hanno a stare lungo
i fianchi sotto le picche. Ma a volere ridurre questa battaglia cornuta con
la piazza, non si dee fare altro che, delle quindici file di venti per fila,
prenderne otto e porle in su la punta delle due corna: le quali allora di corna
diventano spalle della piazza. In questa piazza si tengono i carriaggi; stavvi
il capitano e la bandiera; ma non già l'artiglierie, le quali si mettono
o nella fronte o lungo i fianchi. Questi sono i modi che si possono tenere da
una battaglia, quando, sola, dee passare per i luoghi sospetti. Nondimeno la
battaglia soda, sanza corna e sanza piazza è meglio. Pure, volendo assicurare
i disarmati, quella cornuta è necessaria. Fanno i Svizzeri ancora molte
forme di battaglie; tra le quali ne fanno una a modo di croce, perché,
negli spazi che sono tra i rami di quella, tengono sicuri dall'urto de' nimici
i loro scoppiettieri. Ma perché simili battaglie sono buone a combattere
da per loro, e la intenzione mia è mostrare come più battaglie
unite insieme combattono, non voglio affaticarmi altrimenti in dimostrarle.
COSIMO E' mi pare avere assai bene compreso il modo che si dee tenere a esercitare
gli uomini in queste battaglie; ma, se mi ricorda bene, voi avete detto come,
oltre alle dieci battaglie, voi aggiugnevi al battaglione mille picche estraordinarie
e cinquecento veliti estraordinarii. Questi non gli vorresti voi descrivere
ed esercitare?
FABRIZIO Vorrei, e con diligenza grandissima. E le picche eserciterei almeno
bandiera per bandiera, negli ordini delle battaglie, come gli altri; perché
di questi io mi servirei più che delle battaglie ordinarie in tutte le
fazioni particolari, come è fare scorte, predare, e simili cose. Ma i
veliti gli eserciterei alle case sanza ridurli insieme; perché, sendo
l'ufficio loro combattere rotti, non è necessario che convenghino con
li altri negli esercizi comuni, perché assai sarebbe esercitargli bene
negli esercizi particolari. Deonsi adunque, come in prima vi dissi né
ora mi pare fatica replicarlo, fare esercitare i suoi uomini in queste battaglie,
in modo che sappiano tenere le file, conoscere i luoghi loro, tornarvi subito
quando o nimico o sito gli perturbi, perché, quando si sa fare questo,
facilmente s'impara poi il luogo che ha a tenere una battaglia e quale sia l'ufficio
suo negli eserciti. E quando uno principe o una republica durerà fatica
e metterà diligenza in questi ordini e in queste esercitazioni, sempre
avverrà che nel paese suo saranno buoni soldati; ed essi fieno superiori
a' loro vicini e saranno quegli che daranno e non riceveranno le leggi dagli
altri uomini. Ma, come io vi ho detto, il disordine nel quale si vive fa che
si straccurano e non si istimano queste cose; e però gli eserciti nostri
non son buoni; e se pure ci fusse o capi o membra naturalmente virtuosi, non
la possono dimostrare.
COSIMO Che carriaggi vorresti voi che avesse ciascuna di queste battaglie?
FABRIZIO La prima cosa, io non vorrei che né centurione né capodieci
avesse da ire a cavallo; e se il connestabole volesse cavalcare vorrei ch'egli
avesse mulo e non cavalio. Permettere'gli bene due carriaggi e uno a qualunque
centurione e due ad ogni tre capidieci, perché tanti ne alloggiamo per
alloggiamento, come nel suo luogo direno; talmente che ogni battaglia verrebbe
avere trentasei carriaggi; i quali vorrei portassono di necessità le
tende, i vasi da cuocere, scure e pali di ferro in sufficienza per fare gli
alloggiamenti e, di poi, se altro potessono, a commodità loro.
COSIMO Io credo che i capi da voi ordinati in ciascuna di queste battaglie sieno
necessarii; nondimeno io dubiterei che tanti comandatori non si confondessero.
FABRIZIO Cotesto sarebbe quando non si referissono a uno, ma, referendosi, fanno
ordine; anzi sanza essi è impossibile reggersi; perché uno muro
il quale da ogni parte inclini, vuole piuttosto assai puntegli e spessi, ancora
che non così forti, che pochi, ancora che gagliardi, perché la
virtù d'uno solo non rimedia alla rovina discosto. E però conviene
che negli eserciti, e tra ogni dieci uomini, sia uno di più vita, di
più cuore o almeno di più autorità, il quale con lo animo,
con le parole, con lo esemplo tenga gli altri fermi e disposti al combattere.
E che queste cose da me dette sieno necessarie in uno esercito, come i capi,
le bandiere, i suoni, si vede che noi l'abbiamo tutte ne' nostri eserciti; ma
niuna fa l'ufficio suo. Prima, i capidieci, a volere che facciano quello per
che sono ordinati, è necessario abbia, come ho detto, ciascuno distinti
i suoi uomini, alloggi con quegli, faccia le fazioni, stia negli ordini con
quegli; perché collocati ne' luoghi loro sono come uno rigo e temperamento
a mantenere le file diritte e ferme, ed è impossibile ch'elle disordinino
o, disordinando, non si riduchino tosto ne' luoghi loro. Ma noi oggi non ce
ne serviamo ad altro che a dare loro più soldo che agli altri e a fare
che facciano qualche fazione particolare. Il medesimo ne interviene delle bandiere,
perché si tengono piuttosto per fare bella una mostra, che per altro
militare uso. Ma gli antichi se ne servivano per guida e per riordinarsi; perché
ciascuno, ferma che era la bandiera, sapeva il luogo che teneva presso alla
sua bandiera e vi ritornava sempre. Sapeva ancora come, movendosi e stando quella,
avevano a fermarsi o a muoversi. Però è necessario in uno esercito
che vi sia assai corpi, e ogni corpo abbia la sua bandiera e la sua guida; perché,
avendo questo, conviene ch'egli abbia assai anime e, per consequente, assai
vita. Deono adunque i fanti camminare secondo la bandiera e la bandiera muoversi
secondo il suono; il quale suono, bene ordinato, comanda allo esercito; il quale,
andando con i passi che rispondano a' tempi di quello, viene a servare facilmente
gli ordini. Onde che gli antichi avieno sufoli, pifferi e suoni modulati perfettamente;
perché, come chi balla procede con il tempo della musica e, andando con
quella, non erra, così uno esercito, ubbidendo nel muoversi a quel suono,
non si disordina. E però variavano il suono, secondo che volevano variare
il moto e secondo che volevano accendere o quietare o fermare gli animi degli
uomini. E come i suoni erano varii, così variamente gli nominavano. Il
suono dorico generava costanzia, il frigio furia, donde che dicono che, essendo
Alessandro a mensa e sonando uno il suono frigio, gli accese tanto l'animo,
che misse mano all'armi. Tutti questi modi sarebbe necessario ritrovare; e quando
questo fusse difficile, non si vorrebbe almeno lasciare indietro quegli che
insegnassono ubbidire al soldato; i quali ciascuno può variare e ordinare
a suo modo, pure che con la pratica assuefaccia gli orecchi de' suoi soldati
a conoscerli. Ma oggi di questo suono non se ne cava altro frutto in maggiore
parte, che fare quel rumore.
COSIMO Io disidererei intendere da voi, se mai con voi medesimo l'avete discorso,
donde nasca tanta viltà e tanto disordine e tanta negligenza, in questi
tempi, di questo esercizio.
FABRIZIO Io vi dirò volentieri quello che io ne pensi. Voi sapete come
degli uomini eccellenti in guerra ne sono stati nominati assai in Europa, pochi
in Affrica e meno in Asia. Questo nasce perché queste due ultime parti
del mondo hanno avuto uno principato o due, e poche republiche; ma l'Europa
solamente ha avuto qualche regno e infinite republiche. Gli uomini diventono
eccellenti e mostrano la loro virtù, secondo che sono adoperati e tirati
innanzi dal principe loro, o republica o re che si sia. Conviene pertanto che,
dove è assai potestadi, vi surga assai valenti uomini; dove ne è
poche, pochi. In Asia si truova Nino, Ciro, Artaserse, Mitridate, e pochissimi
altri che a questi facciano compagnia. In Affrica si nominano, lasciando stare
quella antichità egizia, Massinissa, Iugurta, e quegli capitani che dalla
republica cartaginese furono nutriti; i quali ancora, rispetto a quegli d'Europa,
sono pochissimi; perché in Europa sono gli uomini eccellenti sanza numero,
e tanti più sarebbero, se insieme con quegli si nominassono gli altri
che sono stati dalla malignità del tempo spenti; perché il mondo
è stato più virtuoso dove sono stati più Stati che abbiano
favorita la virtù o per necessità o per altra umana passione.
Sursero adunque in Asia pochi uomini, perché quella provincia era tutta
sotto uno regno, nel quale, per la grandezza sua, stando esso la maggior parte
del tempo ozioso, non poteva nascere uomini nelle faccende eccellenti. All'Affrica
intervenne il medesimo; pure vi se ne nutrì più, rispetto alla
republica cartaginese. Perché delle republiche esce più uomini
eccellenti che de' regni, perché in quelle il più delle volte
si onora la virtù, ne' regni si teme; onde ne nasce che nell'una gli
uomini virtuosi si nutriscono, nell'altra si spengono. Chi considererà
adunque la parte d'Europa, la troverrà essere stata piena di republiche
e di principati, i quali, per timore che l'uno aveva dell'altro, erano constretti
a tenere vivi gli ordini militari e onorare coloro che in quegli più
si prevalevano. Perché in Grecia, oltre al regno de' Macedoni, erano
assai republiche, e in ciascuna di quelle nacquero uomini eccellentissimi. In
Italia erano i Romani, i Sanniti, i Toscani, i Galli Cisalpini. La Francia e
la Magna era piena di republiche e di principi; la Ispagna quel medesimo. E
benché a comparazione de' Romani se ne nominino pochi altri, nasce dalla
malignità degli scrittori, i quali seguitano la fortuna, e a loro il
più delle volte basta onorare i vincitori. Ma egli non è ragionevole
che tra i Sanniti e i Toscani, i quali combatterono cento cinquanta anni col
popolo romano prima che fussero vinti, non nascessero moltissimi uomini eccellenti.
E così medesimamente in Francia e in Ispagna. Ma quella virtù
che gli scrittori non celebrano negli uomini particolari, celebrano generalmente
ne' popoli, dove esaltano infino alle stelle l'ostinazione che era in quegli
per difendere la libertà loro. Sendo adunque vero che, dove sia più
imperii, surga più uomini valenti, seguita di necessità che, spegnendosi
quelli, si spenga di mano in mano la virtù, venendo meno la cagione che
fa gli uomini virtuosi. Essendo pertanto di poi cresciuto l'imperio romano,
e avendo spente tutte le republiche e i principati d'Europa e d'Affrica e in
maggior parte quelli dell'Asia, non lasciò alcuna via alla virtù,
se non Roma. Donde ne nacque che cominciarono gli uomini virtuosi a essere pochi
in Europa come in Asia; la quale virtù venne poi in ultima declinazione,
perché, sendo tutta la virtù ridotta in Roma, come quella fu corrotta,
venne a essere corrotto quasi tutto il mondo; e poterono i popoli Sciti venire
a predare quello Imperio il quale aveva la virtù d'altri spenta e non
saputo mantenere la sua. E benché poi quello Imperio, per la inundazione
di quegli barbari, si dividesse in più parti, questa virtù non
vi è rinata; l'una, perché si pena un pezzo a ripigliare gli ordini
quando sono guasti; l'altra, perché il modo del vivere d'oggi, rispetto
alla cristiana religione, non impone quella necessità al difendersi,
che anticamente era; perché, allora, gli uomini vinti in guerra o s'ammazzavano
o rimanevano in perpetuo schiavi, dove menavano la loro vita miseramente; le
terre vinte o si desolavano o ne erano cacciati gli abitatori, tolti loro i
beni, mandati dispersi per il mondo; tanto che i superati in guerra pativano
ogni ultima miseria. Da questo timore spaventati, gli uomini tenevano gli esercizi
militari vivi e onoravano chi era eccellente in quegli. Ma oggi questa paura
in maggior parte è perduta; de' vinti, pochi se ne ammazza; niuno se
ne tiene lungamente prigione, perché con facilità si liberano.
Le città, ancora ch'elle si sieno mille volte ribellate, non si disfanno;
lasciansi gli uomini ne' beni loro, in modo che il maggior male che si tema
è una taglia; talmente che gli uomini non vogliono sottomettersi agli
ordini militari e stentare tuttavia sotto quegli, per fuggire quegli pericoli
de' quali temono poco. Di poi queste provincie d'Europa sono sotto pochissimi
capi, rispetto allora; perché tutta la Francia obedisce a uno re, tutta
l'Ispagna a un altro, l'Italia è in poche parti; in modo che le città
deboli si difendono con lo accostarsi a chi vince, e gli stati gagliardi, per
le cagioni dette, non temono una ultima rovina.
COSIMO E' si sono pur vedute molte terre andare a sacco, da venticinque anni
in qua, e perdere de' regni, il quale esemplo doverrebbe insegnare agli altri
vivere e ripigliare alcuno degli ordini antichi.
FABRIZIO Egli è quello che voi dite; ma se voi noterete quali terre sono
ite a sacco, voi non troverrete ch'elle sieno de' capi degli stati, ma delle
membra: come si vede che fu saccheggiata Tortona e non Milano, Capova e non
Napoli, Brescia e non Vinegia, Ravenna e non Roma. I quali esempli non fanno
mutare di proposito chi governa, anzi gli fa stare più nella loro opinione
di potersi ricomperare con le taglie; e per questo non vogliono sottoporsi agli
affanni degli esercizi della guerra, parendo loro, parte non necessario, parte
uno viluppo che non intendono. Quegli altri che sono servi, a chi tali esempli
doverrebbero fare paura, non hanno potestà di rimediarvi; e quegli principi,
per avere perduto lo stato, non sono più a tempo, e quegli che lo tengono,
non sanno e non vogliono; perché vogliono sanza alcuno disagio stare
con la fortuna e non con la virtù loro, perché veggono che, per
esserci poca virtù, la fortuna governa ogni cosa, e vogliono che quella
gli signoreggi, non essi signoreggiare quella. E che questo che io ho discorso
sia vero, considerate la Magna; nella quale, per essere assai principati e republiche,
vi è assai virtù, e tutto quello che nella presente milizia è
di buono, depende dallo esemplo di quegli popoli; i quali, sendo tutti gelosi
de' loro stati, temendo la servitù (il che altrove non si teme) tutti
si mantengono signori e onorati. Questo voglio che basti avere detto a mostrare
le cagioni della presente viltà, secondo l'opinione mia. Non so se a
voi pare il medesimo, o se vi fusse nata, per questo ragionare, alcuna dubitazione.
COSIMO Niuna; anzi rimango di tutto capacissimo. Solo disidero, tornando alla
materia principale nostra, intendere da voi come voi ordineresti i cavagli con
queste battaglie, e quanti e come capitanati e come armati.
FABRIZIO E' vi pare forse che io gli abbia lasciati indietro; di che non vi
maravigliate, perché io sono per due cagioni per parlarne poco: l'una,
perché il nervo e la importanza dello esercito è la fanteria;
l'altra, perché questa parte di milizia è meno corrotta che quella
de' fanti; perché, s'ella non è più forte dell'antica,
ell'è al pari. Pure si è detto, poco innanzi, del modo dello esercitargli.
E quanto allo armargli, io gli armerei come al presente si fa, così i
cavagli leggieri come gli uomini d'arme. Ma i cavagli leggieri vorrei che fussero
tutti balestrieri con qualche scoppiettiere tra loro; i quali, benché
negli altri maneggi di guerra sieno poco utili, sono a questo utilissimi: di
sbigottire i paesani e levargli di sopra uno passo che fusse guardato da loro,
perché più paura farà loro un scoppiettiere che venti altri
armati. Ma, venendo al numero, dico che, avendo tolto a imitare la milizia romana,
io non ordinerei se non trecento cavagli utili per ogni battaglione; de' quali
vorrei ne fusse centocinquanta uomini d'arme e centocinquanta cavagli leggieri;
e darei a ciascuna di queste parti uno capo, faccendo poi tra loro quindici
capidieci per banda, dando a ciascuna uno suono e una bandiera. Vorrei che ogni
dieci uomini d'arme avessero cinque carriaggi e, ogni dieci cavalli leggieri,
due; i quali, come quegli de' fanti, portassero le tende, i vasi, e le scure
e i pali e, sopravanzando, gli altri arnesi loro. Né crediate che questo
sia disordine, vedendo ora come gli uomini d'arme hanno al loro servizio quattro
cavagli, perché tale cosa è una corruttela; perché si vede
nella Magna quegli uomini d'arme essere soli con il loro cavallo; solo avere,
ogni venti, uno carro che porta loro dietro le cose loro necessarie. I cavagli
de' Romani erano medesimamente soli; vero è che i triarii alloggiavano
propinqui alla cavalleria, i quali erano obligati a sumministrare aiuto a quella
nel governo de' cavagli; il che si può facilmente imitare da noi, come
nel distribuire degli alloggiamenti vi si mostrerà. Quello, adunque,
che facevano i Romani, e quello che fanno oggi i Tedeschi, possiamo fare ancora
noi, anzi, non lo faccendo, si erra. Questi cavagli ordinati e descritti insieme
col battaglione, si potrebbero qualche volta mettere insieme, quando si ragunassono
le battaglie, e fare che tra loro facessero qualche vista d'assalto, il quale
fussi più per riconoscersi insieme, che per altra necessità. Ma
sia per ora detto di questa parte abbastanza; e discendiamo a dare forma a uno
esercito per potere presentare la giornata al nimico e sperare di vincerla;
la quale cosa è il fine per il quale si ordina la milizia e tanto studio
si mette in quella.
LIBRO TERZO
COSIMO Poiché noi mutiamo ragionamento, io voglio che
si muti domandatore, perché io non vorrei essere tenuto presuntuoso;
il che sempre ho biasimato negli altri. Però io depongo la dittatura,
e do questa autorità a chi la vuole di questi altri miei amici.
ZANOBI E' ci era gratissimo che voi seguitassi; pure, poiché voi non
volete, dite almeno quale di noi dee succedere nel luogo vostro.
COSIMO Io voglio dare questo carico al signore.
FABRIZIO Io sono contento prenderlo, e voglio che noi seguitiamo il costume
viniziano: che il più giovane parli prima, perché, sendo questo
esercizio da giovani, mi persuado che i giovani sieno più atti a ragionarne,
come essi sono più pronti a esequirlo.
COSIMO Adunque e' tocca a voi, Luigi. E come io ho piacere di tale successore,
così voi vi sodisfarete di tale domandatore. Però vi priego torniamo
alla materia e non perdiamo più tempo.
FABRIZIO Io son certo che, a volere dimostrare bene come si ordina uno esercito
per far la giornata, sarebbe necessario narrare come i Greci e i Romani ordinavano
le schiere negli loro eserciti. Nondimeno, potendo voi medesimi leggere e considerare
queste cose mediante gli scrittori antichi, lascerò molti particolari
indietro, e solo ne addurrò quelle cose che di loro mi pare necessario
imitare, a volere ne' nostri tempi dare alla milizia nostra qualche parte di
perfezione. Il che farà che in uno tempo io mostrerò come uno
esercito si ordini alla giornata, e come si affronti nelle vere zuffe, e come
si possa esercitarlo nelle finte. Il maggiore disordine che facciano coloro
che ordinano uno esercito alla giornata, è dargli solo una fronte e obligarlo
a uno impeto e una fortuna. Il che nasce dallo avere perduto il modo che tenevano
gli antichi a ricevere l'una schiera nell'altra; perché, sanza questo
modo, non si può né sovvenire a' primi, né difendergli,
né succedere nella zuffa in loro scambio; il che da' Romani era ottimamente
osservato. Per volere adunque mostrare questo modo, dico come i Romani avevano
tripartita ciascuna legione in astati, principi e triarii; de' quali, gli astati
erano messi nella prima fronte dello esercito con gli ordini spessi e fermi;
dietro a' quali erano i principi, ma posti con gli loro ordini più radi:
dopo questi mettevano i triarii, e con tanta radità di ordini che potessono,
bisognando, ricevere tra loro i principi e gli astati. Avevano, oltre a questi,
i funditori e i balestrieri e gli altri armati alla leggiera; i quali non stavano
in questi ordini, ma li collocavano nella testa dello esercito tra li cavagli
e i fanti. Questi, adunque, leggermente armati appiccavano la zuffa; se vincevano,
il che occorreva rade volte, essi seguivano la vittoria; se erano ributtati,
si ritiravano per i fianchi dello esercito o per gli intervalli a tale effetto
ordinati, e si riducevano tra' disarmati. Dopo la partita de' quali venivano
alle mani con il nimico gli astati; i quali, se si vedevano superare, si ritiravano
a poco a poco per la radità degli ordini tra' principi e, insieme con
quegli, rinnovavano la zuffa. Se questi ancora erano sforzati, si ritiravano
tutti nella radità degli ordini de' triarii e, tutti insieme, fatto uno
mucchio, ricominciavano la zuffa; e se questi la perdevano, non vi era più
rimedio, perché non vi restava più modo a rifarsi. I cavagli stavano
sopra alli canti dello esercito, posti a similitudine di due alie a uno corpo;
e or combattevano con i cavagli, or sovvenivano i fanti, secondo che il bisogno
lo ricercava. Questo modo di rifarsi tre volte è quasi impossibile a
superare, perché bisogna che tre volte la fortuna ti abbandoni e che
il nimico abbia tanta virtù che tre volte ti vinca. I Greci non avevano
con le loro falangi questo modo di rifarsi; e benché in quelle fusse
assai capi e di molti ordini, nondimeno ne facevano un corpo, ovvero una testa.
Il modo ch'essi tenevano in sovvenire l'uno l'altro era, non di ritirarsi l'uno
ordine nell'altro, come i Romani, ma di entrare l'uno uomo nel luogo dell'altro.
Il che facevano in questo modo: la loro falange era ridotta in file; e pognamo
che mettessono per fila cinquanta uomini, venendo poi con la testa sua contro
al nimico; di tutte le file, le prime sei potevano combattere perché
le loro lance, le quali chiamavano sarisse, erano sì lunghe che la sesta
fila passava con la punta della sua lancia fuora della prima fila. Combattendo,
adunque, se alcuno della prima o per morte o per ferite cadeva, subito entrava
nel luogo suo quello che era di dietro nella seconda fila, e, nel luogo che
rimaneva vòto della seconda, entrava quello che gli era dietro nella
terza; e così successive in uno subito le file di dietro instauravano
i difetti di quegli davanti; in modo che le file sempre restavano intere e niuno
luogo era di combattitori vacuo, eccetto che la fila ultima, la quale si veniva
consumando per non avere dietro alle spalle chi la instaurasse, in modo che
i danni che pativano le prime file consumavano le ultime, e le prime restavano
sempre intere; e così queste falangi, per l'ordine loro, si potevano
piuttosto consumare che rompere, perché il corpo grosso le faceva più
immobili. Usarono i Romani, nel principio, le falangi, e instruirono le loro
legioni a similitudine di quelle. Di poi non piacque loro questo ordine, e divisero
le legioni in più corpi, cioè in coorti e in manipuli; perché
giudicarono, come poco fa dissi, che quel corpo avesse più vita, che
avesse più anime, e che fusse composto di più parti, in modo che
ciascheduna per sé stessa si reggesse. I battaglioni de' Svizzeri usano
in questi tempi tutti i modi della falange, così nello ordinarsi grossi
e interi, come nel sovvenire l'uno l'altro; e nel fare la giornata pongono i
battaglioni l'uno a' fianchi dell'altro; e, se li mettono dietro l'uno all'altro,
non hanno modo che il primo, ritirandosi, possa essere ricevuto dal secondo;
ma tengono, per potere sovvenire l'uno l'altro, quest'ordine: che mettono uno
battaglione innanzi e un altro dietro a quello in su la man ritta, tale che,
se il primo ha bisogno d'aiuto, quello si può fare innanzi e soccorrerlo.
Il terzo battaglione mettono dietro a questi, ma discosto un tratto di scoppietto.
Questo fanno perché, sendo quegli due ributtati, questo si possa fare
innanzi, e abbiano spazio, e i ributtati e quel che si fa innanzi, a evitare
l'urto l'uno dell'altro; perché una moltitudine grossa non può
essere ricevuta come un corpo piccolo, e però i corpi piccoli e distinti
che erano in una legione romana si potevano collocare in modo che si potessono
tra loro ricevere e l'uno l'altro con facilità sovvenire. E che questo
ordine de' Svizzeri non sia buono quanto lo antico romano, lo dimostrano molti
esempli delle legioni romane quando si azzuffarono con le falangi greche; e
sempre queste furono consumate da quelle, perché la generazione dell'armi,
come io dissi dianzi, e questo modo di rifarsi, poté più che la
solidità delle falangi. Avendo, adunque, con questi esempli a ordinare
uno esercito, mi è parso ritenere l'armi e i modi, parte delle falangi
greche, parte delle legioni romane; e però io ho detto di volere in uno
battaglione dumila picche, che sono l'armi delle falangi macedoniche, e tremila
scudi con la spada, che sono l'armi de' Romani. Ho diviso il battaglione in
dieci battaglie, come i Romani; la legione in dieci coorti. Ho ordinato i veliti,
cioè l'armi leggieri, per appiccare la zuffa come loro. E perché
così, come l'armi sono mescolate e participano dell'una e dell'altra
nazione, ne participino ancora gli ordini, ho ordinato che ogni battaglia abbia
cinque file di picche in fronte e il restante di scudi, per potere, con la fronte,
sostenere i cavagli e entrare facilmente nelle battaglie de' nimici a piè,
avendo nel primo scontro le picche, come il nimico, le quali voglio mi bastino
a sostenerlo, gli scudi, poi, a vincerlo. E se voi noterete la virtù
di questo ordine, voi vedrete queste armi tutte fare interamente l'ufficio loro;
perché le picche sono utili contro a' cavagli, e, quando vengono contro
a' fanti, fanno bene l'ufficio loro prima che la zuffa si ristringa; perché,
ristretta ch'ella è, diventano inutili. Donde che i Svizzeri, per fuggire
questo inconveniente, pongono dopo ogni tre file di picche una fila d'alabarde;
il che fanno per dare spazio alle picche, il quale non è tanto che basti.
Ponendo adunque le nostre picche davanti e gli scudi di dietro, vengono a sostenere
i cavagli e, nello appiccare la zuffa, aprono e molestano i fanti; ma poi che
la zuffa è ristretta, e ch'elle diventerebbono inutili, succedono gli
scudi e le spade; i quali possono in ogni strettura maneggiarsi.
LUIGI Noi aspettiamo ora con disiderio di intendere come voi ordineresti l'esercito
a giornata con queste armi e con questi ordini.
FABRIZIO E io non voglio ora dimostrarvi altro che questo. Voi avete a intendere
come in uno esercito romano ordinario, il quale chiamavano esercito consolare,
non erano più che due legioni di cittadini romani, che erano secento
cavagli e circa undicimila fanti. Avevano di poi altrettanti fanti e cavagli,
che erano loro mandati dagli amici e confederati loro; i quali dividevano in
due parti e chiamavano, l'una, corno destro e, l'altra, corno sinistro; né
mai permettevano che questi fanti ausiliari passassero il numero de' fanti delle
legioni loro; erano bene contenti che fusse più numero quello de' cavagli.
Con questo esercito, che era di ventiduemila fanti e circa dumila cavagli utili,
faceva uno consolo ogni fazione e andava a ogni impresa. Pure, quando bisognava
opporsi a maggiori forze, raccozzavano due consoli con due eserciti. Dovete
ancora notare come, per l'ordinario, in tuttatré l'azioni principali
che fanno gli eserciti, cioè camminare, alloggiare e combattere, mettevano
le legioni in mezzo; perché volevano che quella virtù in la quale
più confidavano, fusse più unita, come nel ragionare di tuttatré
queste azioni vi si mostrerà. Quegli fanti ausiliarii, per la pratica
che avevano con i fanti legionari, erano utili quanto quelli; perché
erano disciplinati come loro e però, nel simile modo, nello ordinare
la giornata gli ordinavano. Chi adunque sa come i Romani disponevano una legione
nell'esercito a giornata, sa come lo disponevano tutto. Però, avendovi
io detto come essi dividevano una legione in tre schiere, e come l'una schiera
riceveva l'altra, vi vengo ad avere detto come tutto lo esercito in una giornata
si ordinava. Volendo io pertanto ordinare una giornata a similitudine de' Romani
come quegli avevano due legioni, io prenderò due battaglioni, e, disposti
questi, si intenderà la disposizione di tutto uno esercito; perché
nello aggiungere più genti non si arà a fare altro che ingrossare
gli ordini. Io non credo che bisogni che io vi ricordi quanti fanti abbia uno
battaglione, e come egli ha dieci battaglie, e che capi sieno per battaglia,
e quali armi abbiano, e quali sieno le picche e i veliti ordinarii e quali gli
estraordinarii; perché poco fa ve lo dissi distintamente, e vi ricordai
lo mandassi alla memoria come cosa necessaria a volere intendere tutti gli altri
ordini; e però io verrò alla dimostrazione dell'ordine sanza replicare
altro. E' mi pare che le dieci battaglie d'uno battaglione si pongano nel sinistro
fianco e, le dieci altre dell'altro, nel destro. Ordininsi quelle del sinistro
in questo modo: pongansi cinque battaglie l'una allato all'altra nella fronte,
in modo che tra l'una e l'altra rimanga uno spazio di quattro braccia che vengano
a occupare, per larghezza, centoquarantuno braccio di terreno e, per la lunghezza,
quaranta. Dietro a queste cinque battaglie ne porrei tre altre, discosto per
linea retta dalle prime quaranta braccia; due delle quali venissero dietro per
linea retta alle estreme delle cinque, e l'altra tenesse lo spazio di mezzo.
E così verrebbero queste tre ad occupare per larghezza e per lunghezza
il medesimo spazio che le cinque; ma, dove le cinque hanno tra l'una e l'altra
una distanza di quattro braccia, queste l'arebbero di trentatré. Dopo
queste porrei le due ultime battaglie pure dietro alle tre, per linea retta
e distanti, da quelle tre, quaranta braccia; e porrei ciascuna d'esse dietro
alle estreme delle tre, tale che lo spazio che restasse tra l'una e l'altra
sarebbe novantuno braccio. Terrebbero adunque tutte queste battaglie così
ordinate, per larghezza, centoquarantuno braccio e, per lunghezza, dugento.
Le picche estraordinarie distenderei lungo i fianchi di queste battaglie dal
lato sinistro, discosto venti braccia da quelle, faccendone centoquarantatré
file a sette per fila; in modo ch'elle fasciassono con la loro lunghezza tutto
il lato sinistro delle dieci battaglie, nel modo da me detto, ordinate; e ne
avanzerebbe quaranta file per guardare i carriaggi e i disarmati che rimanessono
nella coda dello esercito, distribuendo i capidieci e i centurioni ne' luoghi
loro; e degli tre connestaboli ne metterei uno nella testa, l'altro nel mezzo,
il terzo nell'ultima fila, il quale facesse l'ufficio del tergiduttore; ché
così chiamavano gli antichi quello che era proposto alle spalle dello
esercito. Ma, ritornando alla testa dello esercito, dico come io collocherei
appresso alle picche estraordinarie i veliti estraordinarii, che sapete che
sono cinquecento, e darei loro uno spazio di quaranta braccia. A lato a questi,
pure in su la man manca, metterei gli uomini d'arme, e vorrei avessero uno spazio
di centocinquanta braccia. Dopo questi, i cavagli leggieri, a' quali darei il
medesimo spazio che alle genti d'arme. I veliti ordinarii lascerei intorno alle
loro battaglie, i quali stessono in quegli spazi che io pongo tra l'una battaglia
e l'altra, che sarebbero come ministri di quelle, se già egli non mi
paresse da metterli sotto le picche estraordinarie; il che farei, o no, secondo
che più a proposito mi tornasse. Il capo generale di tutto il battaglione
metterei in quello spazio che fusse tra 'l primo e il secondo ordine delle battaglie,
ovvero nella testa e in quello spazio che è tra l'ultima battaglia delle
prime cinque e le picche estraordinarie, secondo che più a proposito
mi tornasse, con trenta o quaranta uomini intorno, scelti e che sapessono per
prudenza esequire una commissione e per fortezza sostenere uno impeto; e fusse
ancora esso in mezzo del suono e della bandiera. Questo è l'ordine col
quale io disporrei uno battaglione nella parte sinistra, che sarebbe la disposizione
della metà dell'esercito; e terrebbe, per larghezza, cinquecento undici
braccia e, per lunghezza, quanto di sopra si dice, non computando lo spazio
che terrebbe quella parte delle picche estraordinarie che facessono scudo a'
disarmati, che sarebbe circa cento braccia. L'altro battaglione disporrei sopra
'l destro canto, in quel modo appunto che io ho disposto quello del sinistro,
lasciando dall'uno battaglione all'altro uno spazio di trenta braccia, nella
testa del quale spazio porrei qualche carretta di artiglieria, dietro alle quali
stesse il capitano generale di tutto l'esercito e avesse intorno, con il suono
e con la bandiera capitana, dugento uomini almeno, eletti, a piè la maggior
parte, tra' quali ne fusse dieci, o più, atti a esequire ogni comandamento;
e fusse in modo a cavallo e armato, che potesse essere e a cavallo e a piè,
secondo che il bisogno ricercasse. L'artiglierie dell'esercito, bastano dieci
cannoni per la espugnazione delle terre, che non passassero cinquanta libbre
di portata; de' quali in campagna mi servirei più per la difesa degli
alloggiamenti che per fare giornata; l'altra artiglieria tutta fusse piuttosto
di dieci che di quindici libbre di portata. Questa porrei innanzi alla fronte
di tutto l'esercito, se già il paese non stesse in modo che io la potessi
collocare per fianco in luogo securo, dov'ella non potesse dal nimico essere
urtata. Questa forma di esercito così ordinato può, nel combattere,
tenere l'ordine delle falangi e l'ordine delle legioni romane; perché
nella fronte sono picche, sono tutti i fanti ordinati nelle file, in modo che,
appiccandosi col nimico e sostenendolo, possono ad uso delle falangi ristorare
le prime file con quelli di dietro. Dall'altra parte, se sono urtati in modo
che fieno necessitati rompere gli ordini e ritirarsi, possono entrare negli
intervalli delle seconde battaglie che hanno dietro, e unirsi con quelle, e
di nuovo, fatto uno mucchio, sostenere il nimico e combatterlo. E quando questo
non basti, possono nel medesimo modo ritirarsi la seconda volta, e la terza
combattere; sì che in questo ordine, quanto al combattere, ci è
da rifarsi e secondo il modo greco e secondo il romano. Quanto alla fortezza
dell'esercito, non si può ordinare più forte; perché l'uno
e l'altro corno è munitissimo e di capi e di armi, né gli resta
debole altro che la parte di dietro de' disarmati; e quella ha ancora fasciati
i fianchi dalle picche estraordinarie. Né può il nimico da alcuna
parte assaltarlo che non lo truovi ordinato; e la parte di dietro non può
essere assaltata, perché non può essere nimico che abbia tante
forze che equalmente ti possa assalire da ogni banda; perché, avendole,
tu non ti hai a mettere in campagna seco. Ma quando fusse il terzo più
di te e bene ordinato come te, se si indebolisce per assaltarti in più
luoghi, una parte che tu ne rompa, tutto va male. Da' cavagli, quando fussono
più che i tuoi, sei sicurissimo; perché gli ordini delle picche
che ti fasciano, ti difendano da ogni impeto di quegli, quando bene i tuoi cavagli
fussero ributtati. I capi, oltre a questo, sono disposti in lato che facilmente
possono comandare e ubbidire. Gli spazi che sono tra l'una battaglia e l'altra
e tra l'uno ordine e l'altro, non solamente servono a potere ricevere l'uno
l'altro, ma ancora a dare luogo a' mandati che andassono e venissono per ordine
del capitano. E com'io vi dissi prima, i Romani avevano per esercito circa ventiquattromila
uomini, così debbe essere questo; e come il modo del combattere e la
forma dell'esercito gli altri soldati lo prendevano dalle legioni, così
quelli soldati che voi aggiugnessi agli due battaglioni vostri arebbero a prendere
la forma e ordine da quelli. Delle quali cose avendone posto uno esemplo, è
facil cosa imitarlo; perché, accrescendo o due altri battaglioni all'esercito,
o tanti soldati degli altri quanti sono quegli, egli non si ha a fare altro
che duplicare gli ordini e, dove si pose dieci battaglie nella sinistra parte,
porvene venti, o ingrossando o distendendo gli ordini secondo che il luogo o
il nimico ti comandasse.
LUIGI Veramente, signore, io mi immagino in modo questo esercito, che già
lo veggo, e ardo d'uno disiderio di vederlo affrontare. E non vorrei, per cosa
del mondo, che voi diventassi Fabio Massimo, faccendo pensiero di tenere a bada
il nimico e differire la giornata, perché io direi peggio di voi che
il popolo romano non diceva di quello.
FABRIZIO Non dubitate. Non sentite voi l'artiglierie? Le nostre hanno già
tratto, ma poco offeso il nimico; e i veliti estraordinarii escono de' luoghi
loro insieme con la cavalleria leggiere, e più sparsi e con maggiore
furia e maggior grida che possono, assaltano il nimico; l'artiglieria del quale
ha scarico una volta e ha passato sopra la testa de' nostri fanti sanza fare
loro offensione alcuna. E perch'ella non possa trarre la seconda volta, vedete
i veliti e i cavagli nostri che l'hanno già occupata, e che i nimici,
per difenderla, si sono fatti innanzi; tal che quella degli amici e nimici non
può più fare l'ufficio suo. Vedete con quanta virtù combattono
i nostri, e con quanta disciplina, per lo esercizio che ne ha fatto loro fare
abito e per la confidenza ch'egli hanno nell'esercito; il quale vedete che,
col suo passo e con le genti d'arme allato, cammina ordinato per appiccarsi
con l'avversario. Vedete l'artiglierie nostre che, per dargli luogo e lasciargli
lo spazio libero, si sono ritirate per quello spazio donde erano usciti i veliti.
Vedete il capitano che gli inanimisce e mostra loro la vittoria certa. Vedete
che i veliti ed i cavagli leggieri si sono allargati e ritornati ne' fianchi
dell'esercito, per vedere se possono per fianco fare alcuna ingiuria alli avversarii.
Ecco che si sono affrontati gli eserciti. Guardate con quanta virtù egli
hanno sostenuto lo impeto de nimici, e con quanto silenzio, e come il capitano
comanda agli uomini d'arme che sostengano e non urtino e dall'ordine delle fanterie
non si spicchino. Vedete come i nostri cavagli leggieri sono iti a urtare una
banda di scoppiettieri nimici che volevano ferire per fianco, e come i cavagli
nimici gli hanno soccorsi: tal che, rinvolti tra l'una e l'altra cavalleria,
non possono trarre e ritiransi dietro alle loro battaglie. Vedete con che furia
le picche nostre si affrontano, e come i fanti sono già sì propinqui
l'uno all'altro, che le picche non si possono più maneggiare; di modo
che, secondo la disciplina imparata da noi, le nostre picche si ritirano a poco
a poco tra gli scudi. Guardate come, in questo tanto, una grossa banda d'uomini
d'arme, nimici, hanno spinti gli uomini d'arme nostri dalla parte sinistra,
e come i nostri, secondo la disciplina, si sono ritirati sotto le picche estraordinarie,
e, con lo aiuto di quelle avendo rifatto testa, hanno ributtati gli avversari
e morti buona parte di loro. Intanto tutte le picche ordinarie delle prime battaglie
si sono nascose tra gli ordini degli scudi, e lasciata la zuffa agli scudati;
i quali guardate con quanta virtù, sicurtà e ozio ammazzano il
nimico. Non vedete voi quanto, combattendo, gli ordini sono ristretti, che a
fatica possono menare le spade? Guardate con quanta furia i nimici muoiono.
Perché, armati con la picca e con la loro spada, inutile l'una per essere
troppo lunga, l'altra per trovare il nimico troppo armato, in parte cascano
feriti o morti, in parte fuggono. Vedetegli fuggire dal destro canto; fuggono
ancora dal sinistro, ecco che la vittoria è nostra. Non abbiamo noi vinto
una giornata felicissimamente? Ma con maggiore felicità si vincerebbe,
se mi fusse concesso il metterla in atto. E vedete che non è bisognato
valersi né del secondo né del terzo ordine; che gli è bastata
la nostra prima fronte a superargli. In questa parte io non ho che dirvi altro,
se non risolvere se alcuna dubitazione vi nasce.
LUIGI Voi avete con tanta furia vinta questa giornata, che io ne resto tutto
ammirato e in tanto stupefatto, che io non credo potere bene esplicare se alcuno
dubbio mi resta nell'animo. Pure, confidandomi nella vostra prudenza, piglierò
animo a dire quello che io intendo. Ditemi prima: perché non facesti
voi trarre le vostre artiglierie più che una volta? E perché subito
le facesti ritirare dentro all'esercito, né poi ne facesti menzione?
Parvemi ancora che voi ponessi l'artiglierie del nimico alte e ordinassile a
vostro modo; il che può molto bene essere. Pure, quando egli occorresse,
che credo ch'egli occorrà spesso, che percuotano le schiere, che rimedio
ne date? E poiché io mi sono cominciato dalle artiglierie, io voglio
fornire tutta questa domanda, per non ne avere a ragionare più. Io ho
sentito a molti spregiare l'armi e gli ordini degli eserciti antichi, arguendo
come oggi potrebbono poco, anzi tutti quanti sarebbero inutili, rispetto al
furore delle artiglierie; perché queste rompono gli ordini e passono
l'armi in modo, che pare loro pazzia fare uno ordine che non si possa tenere,
e durare fatica a portare una arme che non ti possa difendere.
FABRIZIO Questa domanda vostra ha bisogno, perch'ella ha assai capi, d'una lunga
risposta. Egli è vero che io non feci tirare l'artiglieria più
che una volta, e ancora di quella una stetti in dubbio. La cagione è,
perché egli importa più a uno guardare di non essere percosso,
che non importa percuotere il nimico. Voi avete a intendere che, a volere che
una artiglieria non ti offenda, è necessario o stare dov'ella non ti
aggiunga, o mettersi dietro a uno muro o dietro a uno argine. Altra cosa non
è che la ritenga, ma bisogna ancora che l'uno e l'altro sia fortissimo.
Quegli capitani che si riducono a fare giornata, non possono stare dietro a'
muri o agli argini, né dove essi non sieno aggiunti. Conviene adunque
loro, poiché non possono trovare uno modo che gli difenda, trovarne uno
per il quale essi sieno meno offesi; né possono trovare altro modo che
preoccuparla subito. Il modo del preoccuparla è andare a trovarla tosto
e rotto, non adagio e in mucchio; perché, con la prestezza, non se le
lascia raddoppiare il colpo e, per la radità, può meno numero
d'uomini offendere. Questo non può fare una banda di gente ordinata,
perché, s'ella cammina ratta, ella si disordina; s'ella va sparsa, non
dà quella fatica al nimico di romperla, perché si rompe per sé
stessa. E però io ordinai l'esercito in modo che potesse fare l'una cosa
e l'altra; perché, avendo messo nelle sue corna mille veliti, ordinai
che, dopo che le nostre artiglierie avessono tratto, uscissero insieme con la
cavalleria leggiere a occupare l'artiglierie nimiche. E però non feci
ritrarre l'artiglieria mia, per non dare tempo alla nimica; perché e'
non si poteva dare spazio a me e torlo ad altri. E per quella cagione che io
non la feci trarre la seconda volta, fu per non lasciare trarre la prima, acciò
che, anche la prima volta, la nimica non potesse trarre. Perché, a volere
che l'artiglieria nimica sia inutile, non è altro rimedio che assaltarla;
perché, se i nimici l'abbandonano, tu la occupi; se la vogliono difendere,
bisogna se la lascino dietro; in modo che, occupata da' nimici e dagli amici,
non può trarre. Io crederrei che sanza esempli queste ragioni vi bastassero;
pure, potendone dare degli antichi, lo voglio fare. Ventidio venendo a giornata
con li Parti, la virtù de' quali in maggior parte consisteva negli archi
e nelle saette, gli lasciò quasi venire sotto i suoi alloggiamenti, avanti
che traesse fuora l'esercito; il che solamente fece per poterli tosto occupare
e non dare loro spazio a trarre. Cesare in Francia referisce che, nel fare una
giornata con gli nimici, fu con tanta furia assaltato da loro, che i suoi non
ebbero tempo a trarre i dardi secondo la consuetudine romana. Pertanto si vede
che, a volere che una cosa che tira discosto, sendo alla campagna, non ti offenda,
non ci è altro rimedio che, con quanta più celerità si
può, occuparla. Un'altra cagione ancora mi moveva a fare sanza trarre
l'artiglieria, della quale forse voi vi riderete; pure io non giudico ch'ella
sia da spregiarla. E' non è cosa che facci maggiore confusione in uno
esercito che impedirgli la vista; onde che molti gagliardissimi eserciti sono
stati rotti, per essere loro stato impedito il vedere o dalla polvere o dal
sole. Non è ancora cosa che più impedisca la vista che 'l fumo
che fa l'artiglieria nel trarla; però io crederrei che fusse più
prudenza lasciare accecarsi il nimico da se stesso, che volere tu, cieco, andarlo
a trovare. Però o io non la trarrei, o (perché questo non sarebbe
approvato, rispetto alla riputazione che ha l'artiglieria) io la metterei in
su' corni dell'esercito, acciò che, traendola, con il fumo ella non accecasse
la fronte di quello; che è la 'mportanza delle mie genti. E che lo impedire
la vista al nimico sia cosa utile, se ne può addurre per esemplo Epaminonda;
il quale, per accecare l'esercito nimico che veniva a fare seco giornata, fece
correre i suoi cavagli leggieri innanzi alla fronte de' nimici, perché
levassono alta la polvere e gli impedissono la vista; il che gli dette vinta
la giornata. Quanto al parervi che io abbia guidati i colpi delle artiglierie
a mio modo, faccendogli passare sopra la testa de' fanti, vi rispondo che sono
molte più le volte, e sanza comparazione, che l'artiglierie grosse non
percuotono le fanterie, che quelle ch'elle percuotono; perché la fanteria
è tanto bassa e quelle sono sì difficili a trattare, che, ogni
poco che tu l'alzi, elle passano sopra la testa de' fanti; e se l'abbassi, danno
in terra, e il colpo non perviene a quegli. Salvagli ancora la inequalità
del terreno, perché ogni poco di macchia o di rialto che sia tra' fanti
e quelle, le impedisce. E quanto a' cavagli, e massime quegli degli uomini d'arme,
perché hanno a stare più stretti che i leggieri, e per essere
più alti possono essere meglio percossi, si può, infino che l'artiglierie
abbiano tratto, tenergli nella coda dello esercito. Vero è che assai
più nuocono gli scoppietti e l'artiglierie minute, che quelle; alle quali
è il maggiore rimedio venire alle mani tosto; e se nel primo assalto
ne muore alcuno, sempre ne morì; e uno buono capitano e uno buono esercito
non ha a temere uno danno che sia particolare, ma uno generale; ed imitare i
Svizzeri, i quali non schifarono mai giornata sbigottiti dalle artiglierie;
anzi puniscono di pena capitale quegli che per paura di quelle o si uscissero
della fila o facessero con la persona alcuno segno di timore. Io le feci, tratto
ch'elle ebbero, ritirare nell'esercito, perch'elle lasciassero il passo libero
alle battaglie. Non ne feci più menzione, come di cosa inutile, appiccata
che è la zuffa. Voi avete ancora detto che, rispetto alla furia di questo
instrumento, molti giudicano l'armi e gli ordini antichi essere inutili; e pare,
per questo vostro parlare, che i moderni abbiano trovati ordini e armi che contro
all'artiglieria sieno utili. Se voi sapete questo, io arò caro che voi
me lo insegniate, perché infino a qui non ce ne so io vedere alcuno,
né credo se ne possa trovare. In modo che io vorrei intendere da cotestoro,
per quali cagioni i soldati a piè de' nostri tempi portano il petto o
il corsaletto di ferro e quegli a cavallo vanno tutti coperti d'arme; perché,
poi che dannano l'armare antico come inutile rispetto alle artiglierie, doverrebbero
fuggire ancora queste. Vorrei intendere anche per che cagione i Svizzeri, a
similitudine degli antichi ordini, fanno una battaglia stretta di sei o ottomila
fanti, e per quale cagione tutti gli hanno imitati, portando questo ordine quel
medesimo pericolo, per conto dell'artiglierie, che si porterebbono quegli altri
che dell'antichità si imitassero. Credo che non saprebbero che si rispondere;
ma se voi ne dimandassi i soldati che avessero qualche giudicio, risponderebbero,
prima, che vanno armati, perché, sebbene quelle armi non gli difendono
dalle artiglierie, gli difendono dalle balestre, dalle picche, dalle spade,
da' sassi e da ogni altra offesa che viene da' nimici. Risponderebbero ancora
che vanno stretti insieme come i Svizzeri, per potere più facilmente
urtare i fanti, per potere sostenere meglio i cavagli e per dare più
difficultà al nimico a rompergli. In modo che si vede che i soldati hanno
a temere molte altre cose oltre alle artiglierie, dalle quali cose con l'armi
e con gli ordini si difendono. Di che ne seguita che, quanto meglio armato è
uno esercito e quanto ha gli ordini suoi più serrati e più forti,
tanto è più sicuro. Tale che, chi è di quella opinione
che voi dite, conviene o che sia di poca prudenza, o che a queste cose abbia
pensato molto poco; perché, se noi veggiamo che una minima parte del
modo dello armare antico che si usa oggi, che è la picca, è una
minima parte di quegli ordini, che sono i battaglioni de' Svizzeri, ci fanno
tanto bene e porgono agli eserciti nostri tanta fortezza, perché non
abbiamo noi a credere che l'altre armi e gli altri ordini che si sono lasciati,
sieno utili? Di poi, se noi non abbiamo riguardo all'artiglieria nel metterci
stretti insieme come i Svizzeri, quali altri ordini ci possono fare più
temere di quella? Con ciò sia cosa che niuno ordine può fare che
noi temiamo tanto quella, quanto quegli che stringono gli uomini insieme. Oltre
a questo, se non mi sbigottisce l'artiglieria de' nimici nel pormi col campo
a una terra dov'ella mi offende con più sua sicurtà (non la potendo
io occupare per essere difesa dalle mura, ma solo col tempo con la mia artiglieria
impedire di modo ch'ella può raddoppiare i colpi a suo modo), perché
la ho io a temere in campagna dove io la posso tosto occupare? Tanto che io
vi conchiudo questo: che l'artiglierie, secondo l'opinione mia, non impediscono
che non si possano usare gli antichi modi e mostrare l'antica virtù.
E se io non avessi parlato altra volta con voi di questo instrumento, mi vi
distenderei più; ma io mi voglio rimettere a quello che allora ne dissi.
LUIGI Noi possiamo avere inteso benissimo quanto voi ne avete circa l'artiglierie
discorso; e, in somma, mi pare abbiate mostro che lo occuparle prestamente sia
il maggiore rimedio si abbia con quelle, sendo in campagna e avendo uno esercito
allo incontro. Sopra che mi nasce una dubitazione: perché mi pare che
il nimico potrebbe collocarle in lato, nel suo esercito, ch'elle vi offenderebbero,
e sarebbono in modo guardate da' fanti, ch'elle non si potrebbero occupare.
Voi avete, se bene mi ricordo, nello ordinare lo esercito vostro a giornata,
fatto intervalli di quattro braccia dall'una battaglia all'altra; fatto di venti
quegli che sono dalle battaglie alle picche estraordinarie. Se il nimico ordinasse
l'esercito a similitudine del vostro, e mettesse l'artiglierie bene dentro in
quegli intervalli, io credo che di quivi elle vi offenderebbero con grandissima
sicurtà loro, perché non si potrebbe entrare nelle forze de' nimici
a occuparle.
FABRIZIO Voi dubitate prudentissimamente, e io mi ingegnerò o di risolvervi
il dubbio o di porvi il rimedio. Io vi ho detto che continuamente queste battaglie,
o per lo andare o per il combattere, sono in moto e sempre, per natura, si vengono
a ristringere; in modo che, se voi fate gli intervalli di poca larghezza dove
voi mettete l'artiglierie, in poco tempo son ristretti in modo che l'artiglieria
non potrà più fare l'ufficio suo; se voi gli fate larghi per fuggire
questo pericolo, voi incorrerete in uno maggiore; che voi per quegli intervalli
non solamente date commodità al nimico di occuparvi l'artiglieria, ma
di rompervi. Ma voi avete a sapere ch'egli è impossibile tenere l'artiglierie
tra le schiere, massime quelle che vanno in su le carrette, perché l'artiglierie
camminano per uno verso e traggono per l'altro; di modo che, avendo a camminare
e trarre, è necessario, innanzi al trarre, si voltino e, per voltarsi,
vogliono tanto spazio che cinquanta carri d'artiglieria disordinerebbono ogni
esercito. Però è necessario tenerle fuora delle schiere, dov'elle
possono essere combattute nel modo che poco fa dimostrammo. Ma poniamo ch'elle
vi si potessono tenere e che si potesse trovare una via di mezzo, e di qualità
che, ristringendosi, non impedisse l'artiglieria e non fusse sì aperta
ch'ella desse la via al nimico; dico che ci si rimedia facilmente col fare all'incontro
intervalli nell'esercito tuo che dieno la via libera a' colpi di quella; e così
verrà la furia sua ad essere vana. Il che si può fare facilissimamente,
perché, volendo il nimico che l'artiglieria sua stia sicura, conviene
ch'egli la ponga dietro nell'ultima parte degli intervalli; in modo che i colpi
di quella, a volere che non offendano i suoi proprii, conviene passino per una
linea retta e per quella medesima, sempre; e però col dare loro luogo,
facilmente si possono fuggire; perché questa è una regola generale:
che a quelle cose le quali non si possono sostenere, si ha a dare la via, come
facevano gli antichi a' liofanti e a' carri falcati. Io credo, anzi sono più
che certo, che vi pare che io abbia acconcia e vinta una giornata a mio modo;
nondimeno io vi replico questo, quando non basti quanto ho detto infino a qui:
che sarebbe impossibile che uno esercito, così ordinato e armato, non
superasse nel primo scontro ogni altro esercito che si ordinasse come si ordinano
gli eserciti moderni. I quali il più delle volte non fanno se non una
fronte, non hanno scudi e sono di qualità disarmati, che non possono
difendersi dal nimico propinquo; ed ordinansi in modo che, se mettono le loro
battaglie per fianco l'una all'altra, fanno l'esercito sottile; se le mettono
dietro l'una all'altra, non avendo modo a ricevere l'una l'altra, lo fanno confuso
e atto ad essere facilmente perturbato. E benché essi pongano tre nomi
agli loro eserciti e li dividano in tre schiere, antiguardo, battaglia e retroguardo,
nondimeno non se ne servono ad altro che a camminare e a distinguere gli alloggiamenti;
ma nelle giornate tutti gli obligano a uno primo impeto e a una prima fortuna.
LUIGI Io ho notato ancora, nel fare la vostra giornata, come la vostra cavalleria
fu ributtata da' cavagli nimici, donde ch'ella si ritirò dalle picche
estraordinarie; donde nacque che, con l'aiuto di quelle, sostenne e ripinse
i nimici indietro. Io credo che le picche possano sostenere i cavagli, come
voi dite, ma in uno battaglione grosso e sodo, come fanno i Svizzeri; ma voi
nel vostro esercito avete per testa cinque ordini di picche e, per fianco, sette,
in modo che io non so come si possano sostenergli.
FABRIZIO Ancora che io v'abbia detto come sei file si adoperavano nelle falangi
di Macedonia ad un tratto, nondimeno voi avete a intendere che uno battaglione
de' Svizzeri, se fusse composto di mille file, non ne può adoperare se
non quattro o, al più, cinque; perché le picche sono lunghe nove
braccia; uno braccio e mezzo è occupato dalle mani; donde alla prima
fila resta libero sette braccia e mezzo di picca. La seconda fila, oltre a quello
ch'ella occupa con mano, ne consuma uno braccio e mezzo nello spazio che resta
tra l'una fila e l'altra; di modo che non resta di picca utile se non sei braccia.
Alla terza fila, per queste medesime ragioni, ne resta quattro e mezzo; alla
quarta tre, alla quinta uno braccio e mezzo. L'altre file, per ferire, sono
inutili, ma servono a instaurare queste prime file, come avemo detto, e a fare
come uno barbacane a quelle cinque. Se adunque cinque delle loro file possono
reggere i cavagli, perché non gli possono reggere cinque delle nostre,
alle quali ancora non manca file dietro che le sostengano e facciano loro quel
medesimo appoggio, benché non abbiano picche come quelle? E quando le
file delle picche estraordinarie che sono poste ne' fianchi, vi paressono sottili,
si potrebbe ridurle in uno quadro e porle per fianco alle due battaglie che
io pongo nell'ultima schiera dell'esercito; dal quale luogo potrebbono facilmente
tutte insieme favorire la fronte e le spalle dello esercito e prestare aiuto
a' cavagli, secondo che il bisogno lo ricercasse.
LUIGI Useresti voi sempre questa forma di ordine, quando voi volessi fare giornata?
FABRIZIO No, in alcun modo: perché voi avete a variare la forma dell'esercito
secondo la qualità del sito e la qualità e quantità del
nimico; come se ne mostrerà, avanti che si fornisca questo ragionamento,
qualche esemplo. Ma questa forma vi si è data, non tanto come più
gagliarda che l'altre, che è in vero gagliardissima, quanto perché
da quella prendiate una regola e uno ordine a sapere conoscere i modi d'ordinare
l'altre; perché ogni scienza ha le sue generalità, sopra le quali
in buona parte si fonda. Una cosa solo vi ricordo: che mai voi non ordiniate
esercito in modo che, chi combatte dinanzi, non possa essere sovvenuto da quegli
che sono posti di dietro; perché, chi fa questo errore, rende la maggior
parte del suo esercito inutile, e, se riscontra alcuna virtù, non può
vincere.
LUIGI E' mi è nato sopra questa parte uno dubbio. Io ho visto che nella
disposizione delle battaglie voi fate la fronte di cinque per lato, il mezzo
di tre e l'ultime parti di due; ed io crederrei che fusse meglio ordinarle al
contrario, perché io penso che uno esercito si potesse con più
difficultà rompere, quando chi l'urtasse, quanto più penetrasse
in quello, tanto più lo trovasse duro, e l'ordine fatto da voi mi pare
che faccia che, quanto più s'entri in quello, tanto più si truovi
debole.
FABRIZIO Se voi vi ricordassi come a' triarii, i quali erano il terzo ordine
delle legioni romane, non erano assegnati più che secento uomini, voi
dubiteresti meno, avendo inteso come quegli erano posti nell'ultima schiera;
perché voi vedresti come io, mosso da questo esemplo, ho posto nella
ultima schiera due battaglie, che sono novecento fanti; in modo che io vengo
piuttosto, andando con l'ordine romano, a errare per averne tolti troppi che
pochi. E benché questo esemplo bastasse, io ve ne voglio dire la ragione.
La quale è questa: la prima fronte dello esercito si fa solida e spessa,
perch'ella ha a sostenere l'impeto de' nimici e non ha a ricevere in sé
alcuno degli amici, e per questo conviene ch'ell'abbondi di uomini, perché
i pochi uomini la farebbero debole o per radità o per numero. Ma la seconda
schiera, perché ha prima a ricevere gli amici che a sostenere il nimico,
conviene che abbia gli intervalli grandi; e per questo conviene che sia di minore
numero che la prima, perché, s'ella fusse di numero maggiore o equale,
converrebbe o non vi lasciare gli intervalli, il che sarebbe disordine, o lasciandovegli,
passare il termine di quelle dinanzi; il che farebbe la forma dello esercito
imperfetta. E non è vero quel che voi dite: che 'l nimico, quanto più
entra dentro al battaglione, tanto più lo truovi debole; perché
il nimico non può combattere mai col secondo ordine se 'l primo non è
congiunto con quello; in modo che viene a trovare il mezzo del battaglione più
gagliardo e non più debole, avendo a combattere col primo e col secondo
ordine insieme. Quel medesimo interviene quando il nimico pervenisse alla schiera
terza, perché quivi, non con due battaglie che vi truova fresche, ma
con tutto il battaglione arebbe a combattere. E perché questa ultima
parte ha a ricevere più uomini, conviene che gli spazi sieno maggiori
e, chi li riceve, sia minore numero.
LUIGI E' mi piace quello che voi avete detto; ma rispondetemi ancora a questo:
se le cinque prime battaglie si ritirano tra le tre seconde e, di poi, le otto
tra le due terze, non pare possibile che, ridotte le otto insieme e di poi le
dieci insieme, cappiano, o quando sono otto o quando sono dieci, in quel medesimo
spazio che capevano le cinque.
FABRIZIO La prima cosa che io vi rispondo, è ch'egli non è quel
medesimo spazio; perché le cinque hanno quattro spazi in mezzo, che ritirandosi
tra le tre o tra le due, gli occupano: restavi poi quello spazio che è
tra uno battaglione e l'altro e quello che è tra le battaglie e le picche
estraordinarie; i quali spazi tutti fanno larghezza. Aggiugnesi a questo, che
altro spazio tengono le battaglie quando sono negli ordini sanza essere alterate,
che quando le sono alterate; perché, nell'alterazione, o elle stringono
o elle allargano gli ordini. Allargangli, quando temono tanto ch'elle si mettono
in fuga; stringongli, quando temono in modo ch'elle cercono assicurarsi non
con la fuga, ma con la difesa, tale che in questo caso elle verrebbero a ristringersi
e non a rallargarsi. Aggiugnesi a questo, che le cinque file delle picche che
sono davanti, appiccata ch'elle hanno la zuffa, si hanno tra le loro battaglie
a ritirare nella coda dell'esercito, per dare luogo agli scudati che possano
combattere, e quelle, andando nella coda dell'esercito, possono servire a quello
che il capitano giudicasse fusse bene operarle; dove dinanzi, mescolata che
è la zuffa, sarebbono al tutto inutili. E per questo gli spazi ordinati
vengono ad essere del rimanente delle genti capacissimi. Pure, quando questi
spazi non bastassero, i fianchi dal lato sono uomini e non mura, i quali, cedendo
e rallargandosi, possono fare lo spazio di tanta capacità che sia sufficiente
a ricevergli.
LUIGI Le file delle picche estraordinarie che voi ponete nell'esercito per fianco,
quando le battaglie prime si ritirano nelle seconde, volete voi ch'elle stieno
salde e rimangano come due corna allo esercito, o volete che ancora loro insieme
con le battaglie si ritirino? Il che, quando abbiano a fare, non veggo come
si possano, per non avere dietro battaglie con intervalli radi che le ricevano.
FABRIZIO Se il nimico non le combatte quando egli sforza le battaglie a ritirarsi,
possono star salde nell'ordine loro e ferire il nimico per fianco, poi che le
battaglie prime si fussero ritirate; ma se combattesse ancora loro, come pare
ragionevole, sendo sì possente che possa sforzare l'altre, si deono ancora
esse ritirare. Il che possono fare ottimamente, ancora ch'elle non abbiano dietro
chi le riceva; perché dal mezzo innanzi si possono raddoppiare per dritto,
entrando l'una fila nell'altra, nel modo che ragionammo quando si parlò
dell'ordine del raddoppiarsi. Vero è che a volere, raddoppiando, ritirarsi
indietro, conviene tenere altro modo che quello che io vi mostrai; perché
io vi dissi che la seconda fila aveva a entrare nella prima, la quarta nella
terza, e così di mano in mano; in questo caso non s'arebbe a cominciare
davanti, ma di dietro, acciò che, raddoppiandosi le file, si venissero
a ritirare indietro, non a gire innanzi. Ma per rispondere a tutto quello che
da voi, sopra questa giornata da me dimostrata, si potesse replicare, io di
nuovo vi dico che io vi ho ordinato questo esercito e dimostro questa giornata
per due cagioni: l'una, per mostrarvi come si ordina, l'altra, per mostrarvi
come si esercita. Dell'ordine io credo che voi restiate capacissimi; e quanto
allo esercizio, vi dico che si dee, più volte che si può, mettergli
insieme in queste forme, perché i capi imparino a tenere le loro battaglie
in questi ordini. Perché a' soldati particolari s'appartiene tenere bene
gli ordini di ciascuna battaglia, a' capi delle battaglie s'appartiene tenere
bene quelle in ciascuno ordine di esercito e che sappiano ubbidire al comandamento
del capitano generale. Conviene pertanto che sappiano congiugnere l'una battaglia
con l'altra, sappiano pigliare il luogo loro in un tratto; e perciò conviene
che la bandiera di ciascuna battaglia abbia descritto, in parte evidente, il
numero suo, sì per poterle comandare, sì perché il capitano
e i soldati a quel numero più facilmente le riconoscano. Deono ancora
i battaglioni essere numerati e avere il numero nella loro bandiera principale.
Conviene, adunque, sapere di qual numero sia il battaglione posto nel sinistro
o nel destro corno, di quale numero sieno le battaglie poste nella fronte e
nel mezzo, e così l'altre di mano in mano. Vuolsi ancora che questi numeri
sieno scala a' gradi degli onori degli eserciti; verbigrazia: il primo grado
sia il capodieci, il secondo il capo de' cinquanta veliti ordinarii, il terzo
il centurione, il quarto il capo della prima battaglia, il quinto della seconda,
il sesto della terza; e, di mano in mano, infino alla decima battaglia, il quale
fusse onorato in secondo luogo dopo al capo generale d'uno battaglione, né
potesse venire a quel capo alcuno se non vi fusse salito per tutti questi gradi.
E perché, fuora di questi capi, ci sono gli tre connestaboli delle picche
estraordinarie e gli due dei veliti estraordinarii vorrei che fussono in quel
grado del connestabole della prima battaglia; né mi curerei che fussero
sei uomini di pari grado, acciò che ciascuno di loro facesse a gara per
essere promosso alla seconda battaglia. Sappiendo adunque ciascheduno di questi
capi in quale luogo avesse a essere collocata la sua battaglia, di necessità
ne seguirebbe che, ad un suono di tromba, ritta che fusse la bandiera capitana,
tutto l'esercito sarebbe a' luoghi suoi. E questo è il primo esercizio
a che si debbe assuefare uno esercito, cioè a mettersi prestamente insieme;
e per fare questo conviene ogni giorno, e in uno giorno più volte, ordinarlo
e disordinarlo.
LUIGI Che segno vorresti voi che avessono le bandiere di tutto l'esercito, oltre
al numero?
FABRIZIO Quella del capitano generale avesse il segno del principe dell'esercito,
l'altre tutte potrebbero avere il medesimo segno e variare con i campi, o variare
con i segni, come paresse meglio al signore dell'esercito; perché questo
importa poco, pure che ne nasca l'effetto ch'elle si conoscano l'una dall'altra.
Ma passiamo all'altro esercizio in che si debba esercitare uno esercito, il
quale è farlo muovere e con il passo conveniente andare, e vedere che,
andando, mantenga gli ordini. Il terzo esercizio è ch'egli impari a maneggiarsi
in quel modo che si ha di poi a maneggiare nella giornata; far trarre l'artiglierie
e ritirarle; fare uscire fuora i veliti estraordinari; e dopo uno sembiante
di assalto, ritirargli; fare che le prime battaglie, come s'elle fussono spinte,
si ritirino nella radità delle seconde, e di poi tutte nelle terze, e
di quivi ciascuna ritorni al suo luogo; e in modo assuefargli in questo esercizio,
che a ciascuno ogni cosa fosse nota e familiare; il che con la pratica e con
la familiarità si conduce prestissimamente. Il quarto esercizio è
ch'egli imparino a conoscere, per virtù del suono e delle bandiere, il
comandamento del loro capitano; perché quello che sarà loro pronunziato
in voce, essi sanza altro comandamento lo intenderanno. E, perché l'importanza
di questo comandamento dee nascere dal suono, io vi dirò quali suoni
usavano gli antichi. Da' Lacedemonii, secondo che afferma Tucidide, ne' loro
eserciti erano usati zufoli; perché giudicavano che questa armonia fusse
più atta a fare procedere il loro esercito con gravità e non con
furia. Da questa medesima ragione mossi, i Cartaginesi, nel primo assalto, usavano
la citera. Aliatte, re de' Lidii, usava nella guerra la citera e i zufoli; ma
Alessandro Magno e i Romani usavano i corni e le trombe, come quelli che pensavano
per virtù di tali istrumenti, potere più accendere gli animi de'
soldati e farli combattere più gagliardamente. Ma come noi abbiamo, nello
armare lo esercito preso del modo greco e del romano, così nel distribuire
i suoni servereno i costumi dell'una e dell'altra nazione. Però farei
presso al capitano generale stare i trombetti, come suono non solamente atto
a infiammare l'esercito, ma atto a sentirsi in ogni romore più che alcuno
altro suono. Tutti gli altri suoni che fussero intorno a' connestaboli e a'
capi de' battaglioni, vorrei che fussono tamburi piccoli e zufoli sonati, non
come si suonano ora, ma come è consuetudine sonargli ne' conviti. Il
capitano, adunque, con le trombe mostrasse quando si avesse a fermare o ire
innanzi o tornare indietro, quando avessono a trarre l'artiglierie, quando muovere
gli veliti estraordinarii, e, con la variazione di tali suoni, mostrare all'esercito
tutti quegli moti che generalmente si possono mostrare; le quali trombe fussero
di poi seguitate da' tamburi. E in questo esercizio, perch'egli importa assai,
converrebbe assai esercitare il suo esercito. Quanto alla cavalleria, si vorrebbe
usare medesimamente trombe, ma di minore suono e di diversa voce da quelle del
capitano. Questo è quanto mi è occorso circa l'ordine dell'esercito
e dell'esercizio di quello.
LUIGI Io vi priego che non vi sia grave dichiararmi un'altra cosa: per che cagione
voi facesti muovere con grida e romore e furia i cavagli leggieri e i veliti
estraordinarii, quando assaltarono, e di poi, nello appiccare il resto dello
esercito, mostrasti che la cosa seguiva con uno silenzio grandissimo? E perché
io non intendo la cagione di questa varietà, disidererei me la dichiarassi.
FABRIZIO E' sono state varie l'opinioni de' capitani antichi circa al venire
alle mani: se si dee o con romore accelerare il passo o con silenzio andare
adagio. Questo ultimo modo serve a tenere l'ordine più fermo e a intendere
meglio i comandamenti del capitano. Quel primo serve ad accendere più
gli animi degli uomini. E perché io credo che si dee avere rispetto all'una
e all'altra di queste due cose, io feci muovere quegli con romore e quegli altri
con silenzio. Né mi pare in alcun modo che i romori continui sieno a
proposito, perch'egli impediscono i comandamenti; il che è cosa perniciosissima.
Né è ragionevole che i Romani, fuora del primo assalto, seguissero
di romoreggiare, perché si vede, nelle loro istorie, essere molte volte
intervenuto, per le parole e conforti del capitano, i soldati che fuggivano
essersi fermi e in varii modi per suo comandamenti avere variati gli ordini;
il che non sarebbe seguito, se i romori avessero la sua voce superato.
LIBRO QUARTO
LUIGI Poiché sotto l'imperio mio si è vinto una
giornata sì onorevolmente, io penso che sia bene che io non tenti più
la fortuna, sappiendo quanto quella è varia e instabile. E però
io desidero deporre la dittatura e che Zanobi faccia ora questo ufficio del
domandare, volendo seguire l'ordine che tocchi al più giovane. E io so
che non ricuserà questo onore o, vogliamo dire, questa fatica, sì
per compiacermi, sì ancora per essere naturalmente più animoso
di me; né gli recherà paura avere a entrare in questi travagli,
dove egli potesse così essere vinto, come vincere.
ZANOBI Io sono per stare dove voi mi metterete, ancora che io stessi più
volentieri ad ascoltare; perché, infino a qui, mi sono più sodisfatte
le domande vostre che non mi sarieno piaciute quelle che a me, nello ascoltare
i vostri ragionamenti, occorrevano. Ma io credo che sia bene, signore, che voi
avanziate tempo e abbiate pazienza, se con queste nostre cerimonie vi infastidissimo.
FABRIZIO Anzi mi date piacere, perché questa variazione de' domandatori
mi fa conoscere i varii ingegni e i varii appetiti vostri. Ma restavi cosa alcuna
che vi paia da aggiugnere alla materia ragionata?
ZANOBI Due cose disidero, avanti che si passi ad un'altra parte: l'una, è
che voi ne mostriate se altra forma di ordinare eserciti vi occorre; l'altra,
quali rispetti debbe avere uno capitano prima che si conduca alla zuffa, e,
nascendo alcuno accidente in essa, quali rimedii vi si possa fare.
FABRIZIO Io mi sforzerò sodisfarvi. Non risponderò già
distintamente alle domande vostre, perché, mentre che io risponderò
a una, molte volte si verrà a rispondere all'altra. Io vi ho detto come
io vi proposi una forma di esercito, acciò che, secondo quella, gli potesse
dare tutte quelle forme che 'l nimico e il sito ricerca; perché, in questo
caso, e secondo il sito e secondo il nimico si procede. Ma notate questo: che
non ci è la più pericolosa forma che distendere assai la fronte
dell'esercito tuo, se già tu non hai un gagliardissimo e un grandissimo
esercito; altrimenti tu l'hai a fare piuttosto grosso e poco largo, che assai
largo e sottile. Perché, quando tu hai poche genti a comparazione del
nimico, tu dei cercare degli altri rimedii, come sono: ordinare l'esercito tuo
in lato che tu sia fasciato o da fiume o da palude, in modo che tu non possa
essere circundato; o fasciarti da' fianchi con le fosse, come fece Cesare in
Francia. E avete a prendere in questo caso questa generalità: di allargarvi
o ristrignervi con la fronte, secondo il numero vostro e quello del nimico;
ed essendo il nimico di minore numero, dei cercare di luoghi larghi, avendo
tu massimamente le genti tue disciplinate, acciò che tu possa non solamente
circundare il nimico, ma distendervi i tuoi ordini; perché ne' luoghi
aspri e difficili, non potendo valerti degli ordini tuoi, non vieni ad avere
alcuno vantaggio. Quinci nasceva che i Romani quasi sempre cercavano i campi
aperti e fuggivano i difficili. Al contrario, come ho detto, dei fare se hai
o poche genti o male disciplinate; perché tu hai a cercare luoghi, o
dove il poco numero si salvi, o dove la poca esperienza non ti offenda. Debbesi
ancora eleggere il luogo superiore, per potere più facilmente urtarlo.
Nondimanco si debbe avere questa avvertenza: di non ordinare l'esercito tuo
in una spiaggia e in luogo propinquo alle radici di quella, dove possa venire
l'esercito nimico; perché in questo caso, rispetto alle artiglierie,
il luogo superiore ti arrecherebbe disavvantaggio; perché sempre e commodamente
potresti dalle artiglierie nimiche essere offeso sanza potervi fare alcuno rimedio,
e tu non potresti commodamente offendere quello, impedito da' tuoi medesimi.
Debbe ancora, chi ordina uno esercito a giornata, avere rispetto al sole e al
vento, che l'uno e l'altro non ti ferisca la fronte; perché l'uno e l'altro
ti impediscono la vista, l'uno con i razzi, l'altro con la polvere. E di più
il vento disfavorisce l'armi che si traggono al nimico e fa più deboli
i colpi loro. E quanto al sole, non basta avere cura che allora non ti dia nel
viso, ma conviene pensare che, crescendo il dì, non ti offenda. E per
questo converrebbe, nello ordinare le genti, averlo tutto alle spalle, acciò
ch'egli avesse a passare assai tempo nello arrivarti in fronte. Questo modo
fu osservato da Annibale a Canne e da Mario contro a' Cimbri. Se tu fossi assai
inferiore di cavagli, ordina l'esercito tuo tra vigne e arbori e simili impedimenti,
come fecero ne' nostri tempi gli Spagnuoli, quando ruppono i Franzesi nel Reame
alla Cirignuola. E si è veduto molte volte come con i medesimi soldati,
variando solo l'ordine e il luogo, si diventa di perdente vittorioso, come intervenne
a' Cartaginesi, i quali, sendo stati vinti da Marco Regolo più volte,
furono di poi, per il consiglio di Santippo lacedemonio, vittoriosi, il quale
gli fece scendere nel piano, dove, per virtù de' cavagli e degli liofanti,
poterono superare i Romani. E mi pare, secondo gli antichi esempli, che quasi
tutti i capitani eccellenti, quando eglino hanno conosciuto che il nimico ha
fatto forte uno lato della battaglia, non gli hanno opposta la parte più
forte, ma la più debole; e l'altra più forte hanno opposta alla
più debole; poi, nello appiccare la zuffa, hanno comandato alla loro
parte più gagliarda, che solamente sostenga il nimico e non lo spinga,
e alla più debole, che si lasci vincere e ritirisi nell'ultima schiera
dell'esercito. Questo genera due grandi disordini al nimico: il primo, ch'egli
si truova la sua parte più gagliarda circundata; il secondo è
che, parendogli avere la vittoria subito, rade volte è che non si disordini;
donde ne nasce la sua subita perdita. Cornelio Scipione, sendo in Ispagna contro
ad Asdrubale cartaginese, e sappiendo come ad Asdrubale era noto ch'egli nell'ordinare
l'esercito poneva le sue legioni in mezzo, la quale era la più forte
parte del suo esercito, e, per questo, come Asdrubale con simile ordine doveva
procedere; quando di poi venne alla giornata, mutò ordine, e le sue legioni
messe ne' corni dello esercito, e nel mezzo pose tutte le sue genti più
deboli. Di poi, venendo alle mani, in un subito quelle genti poste nel mezzo
fece camminare adagio ed i corni dello esercito con celerità farsi innanzi;
di modo che solo i corni dell'uno e dell'altro esercito combattevano, e le schiere
di mezzo, per essere distante l'una dall'altra, non si aggiugnevano; e così
veniva a combattere la parte di Scipione più gagliarda con la più
debole d'Asdrubale; e vinselo. Il quale modo fu allora utile; ma oggi, rispetto
alle artiglierie, non si potrebbe usare; perché quello spazio che rimarrebbe
nel mezzo, tra l'uno esercito e l'altro, darebbe tempo a quelle di potere trarre;
il che è perniziosissimo, come di sopra dicevo. Però conviene
lasciare questo modo da parte, e usarlo, come poco fa dissi, faccendo appiccare
tutto lo esercito e la parte più debole cedere. Quando uno capitano si
truova avere più esercito di quello del nimico, a volerlo circundare
che non lo prevegga, ordini lo esercito suo di equale fronte a quello dello
avversario; di poi, appiccata la zuffa, faccia che a poco a poco la fronte si
ritiri e i fianchi si distendano; e sempre occorrerà che 'l nimico si
troverrà, sanza accorgersene, circundato. Quando uno capitano voglia
combattere quasi che sicuro di non potere essere rotto, ordini l'esercito suo
in luogo dove egli abbia il refugio propinquo e sicuro, o tra paludi o tra monti
o in una città potente; perché, in questo caso, egli non può
essere seguito dal nimico e il nimico può essere seguitato da lui. Questo
termine fu usato da Annibale, quando la fortuna cominciò a diventargli
avversa e che dubitava del valore di Marco Marcello. Alcuni, per turbare gli
ordini del nimico, hanno comandato a quegli che sono leggermente armati, che
appicchino la zuffa, e, appiccata, si ritirino tra gli ordini; e quando di poi
gli eserciti si sono attestati insieme e che la fronte di ciascuno è
occupata al combattere, gli hanno fatti uscire per li fianchi delle battaglie,
e quello turbato e rotto. Se alcuno si truova inferiore di cavagli, può,
oltre a' modi detti, porre dietro a' suoi cavagli una battaglia di picche, e,
nel combattere, ordinare che dieno la via alle picche; e rimarrà sempre
superiore. Molti hanno consueto di avvezzare alcuni fanti leggiermente armati
a combattere tra' cavagli; il che è stato alla cavalleria di aiuto grandissimo.
Di tutti coloro che hanno ordinati eserciti alla giornata, sono i più
lodati Annibale e Scipione quando combatterono in Affrica, e perché Annibale
aveva l'esercito suo composto di Cartaginesi e di ausiliarii di varie generazioni,
pose nella prima fronte ottanta liofanti; di poi collocò gli ausiliarii,
dopo a' quali pose i suoi Cartaginesi; nell'ultimo luogo messe gli Italiani,
ne' quali confidava poco. Le quali cose ordinò così, perché
gli ausiliarii, avendo innanzi il nimico e di dietro sendo chiusi da' suoi,
non potessono fuggire; di modo che, sendo necessitati al combattere, vincessero
o straccassero i Romani, pensando poi, con la sua gente fresca e virtuosa facilmente
i Romani già stracchi superare. All'incontro di questo ordine, Scipione
collocò gli astati, i principi e i triarii nel modo consueto da potere
ricevere l'uno l'altro e sovvenire l'uno all'altro. Fece la fronte dello esercito
piena di intervalli; e perch'ella non transparesse, anzi paresse unita, li riempié
di veliti; a' quali comandò che, tosto ch'e' liofanti venivano, cedessero,
e, per li spazi ordinarii, entrassono tra le legioni e lasciassero la via aperta
a' liofanti; e così venne a rendere vano l'impeto di quegli, tanto che,
venuto alle mani, ei fu superiore.
ZANOBI Voi mi avete fatto ricordare, nello allegarmi cotesta giornata, come
Scipione nel combattere non fece ritirare gli astati negli ordini de' principi,
ma gli divise e fecegli ritirare nelle corna dello esercito, acciò che
dessono luogo a' principi, quando gli volle spingere innanzi. Però vorrei
mi dicessi quale cagione lo mosse a non osservare l'ordine consueto.
FABRIZIO Dirovvelo. Aveva Annibale posta tutta la virtù del suo esercito
nella seconda schiera; donde che Scipione, per opporre, a quella, simile virtù,
raccozzò i principi e i triarii insieme: tale che essendo gli intervalli
de' principi occupati da' triarii, non vi era luogo a potere ricevere gli astati;
e però fece dividere gli astati e andare ne' corni dello esercito, e
non gli ritirò tra' principi. Ma notate che questo modo dello aprire
la prima schiera per dare luogo alla seconda, non si può usare se non
quando altri è superiore; perché allora si ha commodità
a poterlo fare, come potette Scipione. Ma essendo al disotto e ributtato, non
lo puoi fare se non con tua manifesta rovina; e però conviene avere,
dietro, ordini che ti ricevino. Ma torniamo al ragionamento nostro. Usavano
gli antichi Asiatici, tra l'altre cose pensate da loro per offendere i nimici,
carri i quali avevano da' fianchi alcune falce; tale che, non solamente servivano
ad aprire con il loro impeto le schiere, ma ancora ad ammazzare con le falci
gli avversarii. Contro a questi impeti in tre modi si provvedeva: o si sostenevano
con la densità degli ordini, o si ricevevano dentro nelle schiere come
i liofanti, o e' si faceva con arte alcuna resistenza gagliarda; come fece Silla
romano contro ad Archelao, il quale aveva assai di questi carri che chiamavano
falcati, che, per sostenergli, ficcò assai pali in terra dopo le prime
schiere, da' quali i carri sostenuti perdevano l'impeto loro. Ed è da
notare il nuovo modo che tenne Silla contro a costui in ordinare lo esercito;
perché misse i veliti e i cavagli dietro e tutti gli armati gravi davanti,
lasciando assai intervalli da potere mandare innanzi quegli di dietro quando
la necessità lo richiedesse; donde, appiccata la zuffa, con lo aiuto
de' cavagli a' quali dette la via, ebbe la vittoria. A volere turbare nella
zuffa l'esercito nimico, conviene fare nascere qualche cosa che lo sbigottisca,
o con annunziare nuovi aiuti che vengano, o col dimostrare cose che gli rappresentino;
talmente che i nimici, ingannati da quello aspetto, sbigottiscono e, sbigottiti,
si possano facilmente vincere. I quali modi tennono Minuzio Ruffo e Acilio Glabrione
consoli romani. Caio Sulpizio ancora misse assai saccomanni sopra muli e altri
animali alla guerra inutili, ma in modo ordinati che rappresentavano gente d'arme,
e comandò ch'eglino apparissono sopra uno colle, mentre ch'egli era alle
mani con i Franzesi; donde ne nacque la sua vittoria. Il medesimo fece Mario
quando combatté contro a' Tedeschi. Valendo, adunque, assai gli assalti
finti mentre che la zuffa dura, conviene che molto più giovino i veri,
massimamente se allo improvviso nel mezzo della zuffa si potesse di dietro o
da lato assaltare il nimico. Il che difficilmente si può fare se il paese
non ti aiuta; perché, quando egli è aperto, non si può
celare parte delle tue genti come conviene fare in simili imprese; ma ne' luoghi
silvosi o montuosi, e per questo atti agli agguati, si può bene nascondere
parte delle tue genti, per potere, in uno subito e fuora di sua opinione assaltare
il nimico; la quale cosa sempre sarà cagione di darti la vittoria. È
stato qualche volta di grande momento, mentre che la zuffa dura, seminare voci
che pronuncino il capitano de' nimici essere morto, o avere vinto dall'altra
parte dello esercito; il che molte volte a chi l'ha usato ha dato la vittoria.
Turbasi facilmente la cavalleria nimica o con forme o con romori inusitati;
come fece Creso, che oppose i cammegli agli cavagli degli avversarii; e Pirro
oppose alla cavalleria romana i liofanti, lo aspetto de' quali la turbò
e la disordinò. Ne' nostri tempi il Turco ruppe il Sofì in Persia
e il Soldano in Sorìa, non con altro se non con i romori degli scoppietti;
i quali in modo alterarono con gli loro inusitati romori la cavalleria di quegli,
che il Turco potéo facilmente vincerla. Gli Spagnuoli, per vincere l'esercito
d'Amilcare missero nella prima fronte carri pieni di stipa tirati da buoi, e,
venendo alle mani, appiccarono fuoco a quella; donde che i buoi, volendo fuggire
il fuoco, urtarono nell'esercito di Amilcare e lo apersero. Soglionsi, come
abbiamo detto, ingannare i nimici nel combattere, tirandogli negli agguati,
dove il paese è accomodato; ma, quando fusse aperto e largo, hanno molti
usato di fare fosse, e di poi ricopertole leggermente di frasche e terra e lasciato
alcuni spazi solidi da potersi tra quelle ritirare; di poi, appiccata la zuffa,
ritiratosi per quelli, e il nimico seguendogli, è rovinato in esse. Se
nella zuffa ti occorre alcuno accidente da sbigottire i tuoi soldati, è
cosa prudentissima il saperlo dissimulare e pervertirlo in bene, come fece Tullo
Ostilio e Lucio Silla; il quale, veggendo come, mentre che si combatteva, una
parte delle sue genti se ne era ita dalla parte inimica, e come quella cosa
aveva assai sbigottiti i suoi, fece subito intendere per tutto lo esercito come
ogni cosa seguiva per ordine suo; il che non solo non turbò lo esercito,
ma gli accrebbe in tanto lo animo, che rimase vittorioso. Occorse ancora a Silla
che, avendo mandati certi soldati a fare alcuna faccenda, ed essendo stati morti,
disse, perché l'esercito suo non si sbigottisse, avergli con arte mandati
nelle mani de' nimici perché gli aveva trovati poco fedeli. Sertorio,
faccendo una giornata in Ispagna, ammazzò uno che gli significò
la morte d'uno de' suoi capi, per paura che, dicendo il medesimo agli altri,
non gli sbigottisse. È cosa difficilissima, uno esercito già mosso
a fuggire, fermarlo e renderlo alla zuffa. E avete a fare questa distinzione:
o egli è mosso tutto, e qui è impossibile restituirlo; o ne è
mossa una parte, e qui è qualche rimedio. Molti capitani romani con il
farsi innanzi a quegli che fuggivano, gli hanno fermi, faccendoli vergognare
della fuga; come fece Lucio Silla, che, sendo già parte delle sue legioni
in volta cacciate dalle genti di Mitridate, si fece innanzi con una spada in
mano, gridando: - Se alcuno vi domanda dove voi avete lasciato il capitano vostro,
dite: Noi lo abbiamo lasciato in Beozia che combatteva -. Attilio consolo a
quegli che fuggivano oppose quegli che non fuggivano, e fece loro intendere
che, se non voltavano, sarebbero morti dagli amici e da' nimici. Filippo di
Macedonia, intendendo come i suoi temevano de' soldati sciti, pose dietro al
suo esercito alcuni de' suoi cavagli fidatissimi, e commisse loro ammazzassono
qualunque fuggiva; onde che i suoi, volendo più tosto morire combattendo
che fuggendo, vinsero. Molti Romani, non tanto per fermare una fuga, quanto
per dare occasione a' suoi di fare maggiore forza, hanno, mentre che si combatte
tolta una bandiera di mani a' suoi e gittatala tra' nimici e proposto premi
a chi la riguadagna. Io non credo che sia fuora di proposito aggiugnere a questo
ragionamento quelle cose che intervengono dopo la zuffa, massime sendo cose
brevi e da non le lasciare indietro e a questo ragionamento assai conformi.
Dico, adunque, come le giornate si perdono o si vincono. Quando si vince, si
dee con ogni celerità seguire la vittoria e imitare in questo caso Cesare
e non Annibale; il quale, per essersi fermo da poi ch'egli ebbe rotti i Romani
a Canne, ne perdé lo imperio di Roma. Quello altro mai dopo la vittoria
non si posava, ma con maggiore impeto e furia seguiva el nimico rotto, che non
l'aveva assaltato intero. Ma quando si perde, dee un capitano vedere se dalla
perdita ne può nascere alcuna sua utilità, massimamente se gli
è rimaso alcuno residuo di esercito. La commodità può nascere
dalla poca avvertenza del nimico, il quale, il più delle volte, dopo
la vittoria diventa trascurato e ti dà occasione di opprimerlo; come
Marzio Romano oppresse gli eserciti cartaginesi, i quali, avendo morti i duoi
Scipioni e rotti i loro eserciti, non stimando quello rimanente delle genti
che con Marzio erano rimase vive, furono da lui assaltati e rotti. Per che si
vede che non è cosa tanto riuscibile quanto quella che il nimico crede
che tu non possa tentare, perché il più delle volte gli uomini
sono offesi più dove dubitano meno. Debbe un capitano pertanto, quando
egli non possa fare questo, ingegnarsi almeno con la industria che la perdita
sia meno dannosa. A fare questo ti è necessario tenere modi che il nimico
non ti possa con facilità seguire, o dargli cagione ch'egli abbia a ritardare.
Nel primo caso, alcuni, poi ch'egli hanno conosciuto di perdere, ordinarono
agli loro capi che in diverse parti e per diverse vie si fuggissono, avendo
dato ordine dove si avevano di poi a raccozzare; il che faceva che il nimico,
temendo di dividere l'esercito, ne lasciava ire salvi o tutti o la maggior parte
di essi. Nel secondo caso, molti hanno gittato innanzi al nimico le loro cose
più care, acciò che quello, ritardato dalla preda, dia loro più
spazio alla fuga. Tito Didio usò non poca astuzia per nascondere il danno
ch'egli aveva ricevuto nella zuffa; perché, avendo combattuto infino
a notte con perdita di assai de' suoi, fece la notte sotterrare la maggior parte
di quegli; donde che la mattina, vedendo i nimici tanti morti de' loro e si
pochi de' Romani, credendo avere disavvantaggio, si fuggirono. Io credo di avere
così confusamente, come io dissi, sodisfatto in buona parte alla domanda
vostra. Vero è che, circa la forma degli eserciti, mi resta a dirvi come
alcuna volta per alcun capitano si è costumato fargli con la fronte a
uso d'uno conio, giudicando potere per tale via più facilmente aprire
l'esercito inimico. Contro a questa forma hanno usato fare una forma a uso di
forbici, per potere tra quello vacuo ricevere quello conio e circundarlo e combatterlo
da ogni parte. Sopra che voglio che voi prendiate questa regola generale: che
il maggiore rimedio che si usi contro a uno disegno del nimico, è fare
volontario quello ch'egli disegna che tu faccia per forza; perché, faccendolo
volontario, tu lo fai con ordine e con vantaggio tuo e disavvantaggio suo; se
lo facessi forzato, vi sarebbe la tua rovina. A fortificazione di questo non
mi curerò di replicarvi alcuna cosa già detta. Fa il conio lo
avversario per aprire le tue schiere? Se tu vai con esse aperte, tu disordini
lui ed esso non disordina te. Pose i liofanti in fronte del suo esercito Annibale
per aprire con quegli l'esercito di Scipione; andò Scipione con esso
aperto e fu cagione e della sua vittoria e della rovina di quello. Pose Asdrubale
le sue genti più gagliarde nel mezzo della fronte del suo esercito, per
spingere le genti di Scipione; comandò Scipione che per loro medesime
si ritirassono, e ruppelo. In modo che simili disegni, quando si presentano,
sono cagione della vittoria di colui contro a chi essi sono ordinati. Restami
ancora, se bene mi ricorda, dirvi quali rispetti debbe avere uno capitano prima
che si conduca alla zuffa. Sopra che io vi ho a dire, in prima, come uno capitano
non ha mai a fare giornata se non ha vantaggio, o se non è necessitato.
Il vantaggio nasce dal sito, dall'ordine, dall'avere o più o migliore
gente, La necessità nasce quando tu vegga, non combattendo, dovere in
ogni modo perdere; come è: che sia per mancarti danari e, per questo,
lo esercito tuo si abbia in ogni modo a risolvere; che sia per assaltarti la
fame; che il nimico aspetti di ingrossare di nuova gente. In questi casi sempre
si dee combattere, ancora con tuo disavvantaggio, perch'egli è assai
meglio tentare la fortuna dov'ella ti possa favorire, che, non la tentando,
vedere la tua certa rovina. Ed è così grave peccato, in questo
caso, in uno capitano il non combattere, come è d'avere avuta occasione
di vincere e non la avere o conosciuta per ignoranza o lasciata per viltà.
I vantaggi qualche volta te gli dà il nimico e qualche volta la tua prudenza.
Molti, nel passare i fiumi, sono stati rotti da uno loro nimico accorto, il
quale ha aspettato che sieno mezzi da ogni banda e, di poi, gli ha assaltati;
come fece Cesare a' Svizzeri, che consumò la quarta parte di loro, per
essere tramezzati da uno fiume. Trovasi alcuna volta il tuo nimico stracco per
averti seguito troppo inconsideratamente, di modo che, trovandoti tu fresco
e riposato, non dei lasciare passare tale occasione. Oltre a questo, se il nimico
ti presenta, la mattina di buona ora, la giornata, tu puoi differire di uscir
de' tuoi alloggiamenti per molte ore; e quando egli è stato assai sotto
l'armi e ch'egli ha perso quel primo ardore con il quale venne, puoi allora
combattere seco. Questo modo tenne Scipione e Metello in Ispagna, l'uno contro
ad Asdrubale, l'altro contro a Sertorio. Se il nimico è diminuito di
forze, o per avere diviso gli eserciti, come gli Scipioni in Ispagna, o per
qualche altra cagione, dei tentare la sorte. La maggior parte de' capitani prudenti
piuttosto ricevano l'impeto de' nimici, che vadano con impeto ad assaltare quelli:
perché il furore è facilmente sostenuto dagli uomini fermi e saldi,
e il furore sostenuto facilmente si convertisce in viltà. Così
fece Fabio contro a' Sanniti e contro a' Galli, e fu vittorioso; e Decio suo
collega vi rimase morto. Alcuni che hanno temuto della virtù del loro
nimico, hanno cominciato la zuffa nell'ora propinqua alla notte, acciò
che i suoi, sendo vinti, potessero, difesi dalla oscurità di quella,
salvarsi. Alcuni, avendo conosciuto come l'esercito nimico è preso da
certa superstizione di non combattere in tale tempo, hanno quel tempo eletto
alla zuffa, e vinto. Il che osservò Cesare in Francia contro ad Ariovisto,
e Vespasiano in Sorìa contro a' Giudei. La maggiore e più importante
avvertenza che debba avere uno capitano, è di avere appresso di sé
uomini fedeli, peritissimi della guerra e prudenti, con gli quali continuamente
si consigli e con loro ragioni delle sue genti e di quelle del nimico: quale
sia maggiore numero, quale meglio armato, o meglio a cavallo, o meglio esercitato;
quali sieno più atti a patire la necessità; in quali confidi più,
o ne' fanti o ne' cavagli. Di poi considerino il luogo dove sono, e s'egli è
più a proposito per il nimico che per lui; chi abbia di loro più
commodamente la vettovaglia; s'egli è bene differire la giornata o farla;
che di bene gli potesse dare o torre il tempo; perché molte volte i soldati,
veduta allungare la guerra, infastidiscono e, stracchi nella fatica e nel tedio,
ti abbandonano. Importa sopra tutto conoscere il capitano de' nimici e chi egli
ha intorno: s'egli è temerario o cauto, se timido o audace. Vedere come
tu ti puoi fidare de' soldati ausiliarii. E sopra tutto ti debbi guardare di
non condurre l'esercito ad azzuffarsi che tema o che in alcuno modo diffidi
della vittoria; perché il maggiore segno di perdere è quando non
si crede potere vincere. E però in questo caso dei fuggire la giornata,
o col fare come Fabio Massimo che, accampandosi ne' luoghi forti, non dava animo
ad Annibale d'andarlo a trovare; o, quando tu credessi che il nimico ancora
ne' luoghi forti ti venisse a trovare, partirsi della campagna e dividere le
genti per le tue terre, acciò che il tedio della espugnazione di quelle
lo stracchi.
ZANOBI Non si può egli fuggire altrimenti la giornata, che dividersi
in più parti e mettersi nelle terre?
FABRIZIO Io credo, altra volta, con alcuno di voi avere ragionato come quello
che sta alla campagna non può fuggire la giornata, quando egli ha uno
nimico che lo vogli combattere in ogni modo; e non ha se non uno rimedio: porsi
con l'esercito suo discosto cinquanta miglia almeno dall'avversario suo, per
essere a tempo a levarsegli dinanzi quando lo andasse a trovare. E Fabio Massimo
non fuggì mai la giornata con Annibale, ma la voleva fare a suo vantaggio;
e Annibale non presumeva poterlo vincere andando a trovarlo ne' luoghi dove
quello alloggiava; ché s'egli avesse presupposto poterlo vincere, a Fabio
conveniva fare giornata seco in ogni modo, o fuggirsi. Filippo, re di Macedonia,
quello che fu padre di Perse, venendo a guerra con i Romani, pose gli alloggiamenti
suoi sopra uno monte altissimo per non fare giornata con quegli; ma i Romani
lo andarono a trovare in su quello monte e lo ruppono. Cingentorige, capitano
de' Franciosi, per non avere a fare giornata con Cesare, il quale fuora della
sua opinione aveva passato un fiume, si discostò molte miglia con le
sue genti. I Viniziani, ne' tempi nostri, se non volevano venire a giornata
con il re di Francia, non dovevano aspettare che l'esercito francioso passasse
l'Adda, ma discostarsi da quello, come Cingentorige. Donde che quegli, avendo
aspettato, non seppono pigliare nel passare delle genti la occasione del fare
la giornata, né fuggirla; perché i Franciosi, sendo loro pripinqui,
come i Viniziani disalloggiarono, gli assaltarono e ruppero. Tanto è
che la giornata non si può fuggire quando il nimico la vuole in ogni
modo fare. Né alcuno alleghi Fabio, perché tanto in quel caso
fuggì la giornata egli, quanto Annibale. Egli occorre molte volte che
i tuoi soldati sono volonterosi di combattere, e tu cognosci, per il numero
e per il sito o per qualche altra cagione, avere disavvantaggio, e disideri
fargli rimuovere da questo disiderio. Occorre ancora che la necessità
o l'occasione ti costringe alla giornata, e che i tuoi soldati sono male confidenti
e poco disposti a combattere; donde che ti è necessario nell'uno caso
sbigottirgli e nell'altro accendergli. Nel primo caso, quando le persuasioni
non bastano, non è il migliore modo che darne in preda una parte di loro
al nimico, acciò che quegli che hanno e quegli che non hanno combattuto,
ti credano. E puossi molto bene fare con arte quello che a Fabio Massimo intervenne
a caso. Disiderava, come voi sapete, l'esercito di Fabio combattere con l'esercito
d'Annibale; il medesimo disiderio aveva il suo maestro de' cavagli; a Fabio
non pareva di tentare la zuffa; tanto che, per tale disparere, egli ebbero a
dividere l'esercito. Fabio ritenne i suoi negli alloggiamenti; quell'altro combatté,
e, venuto in pericolo grande, sarebbe stato rotto, se Fabio non lo avesse soccorso.
Per il quale esemplo il maestro de' cavagli, insieme con tutto lo esercito,
cognobbe come egli era partito savio ubbidire a Fabio. Quanto allo accendergli
al combattere, è bene fargli sdegnare contro a' nimici, mostrando che
dicono parole ignominiose di loro; mostrare di avere con loro intelligenza e
averne corrotti parte; alloggiare in lato che veggano i nimici e che facciano
qualche zuffa leggiere con quegli, perché le cose che giornalmente si
veggono, con più facilità si dispregiano; mostrarsi indegnato
e, con una orazione a proposito, riprendergli della loro pigrizia e, per fargli
vergognare, dire di volere combattere solo, quando non gli vogliano fare compagnia.
E dei, sopra ogni cosa, avere questa avvertenza, volendo fare il soldato ostinato
alla zuffa: di non permettere che ne mandino a casa alcuna loro facultà,
o depongano in alcuno luogo, infino ch'egli è terminata la guerra, acciò
che intendano che, se 'l fuggire salva loro la vita, egli non salva loro la
roba; l'amore della quale non suole meno di quella rendere ostinati gli uomini
alla difesa.
ZANOBI Voi avete detto come egli si può fare i soldati volti a combattere
parlando loro. Intendete voi, per questo, che si abbia a parlare a tutto l'esercito,
o a' capi di quello?
FABRIZIO A persuadere o a dissuadere a' pochi una cosa è molto facile
perché, se non bastano le parole, tu vi puoi usare l'autorità
e la forza; ma la difficultà è rimuovere da una moltitudine una
sinistra opinione e che sia contraria o al bene comune o all'opinione tua; dove
non si può usare se non le parole le quali conviene che sieno udite da
tutti, volendo persuadergli tutti. Per questo gli eccellenti capitani conveniva
che fussono oratori, perché, sanza sapere parlare a tutto l'esercito,
con difficultà si può operare cosa buona; il che al tutto in questi
nostri tempi è dismesso. Leggete la vita d'Alessandro Magno, e vedete
quante volte gli fu necessario concionare e parlare publicamente all'esercito;
altrimenti non l'arebbe mai condotto, sendo diventato ricco e pieno di preda,
per i deserti d'Arabia e nell'India con tanto suo disagio e noia; perché
infinite volte nascono cose mediante le quali uno esercito rovina, quando il
capitano o non sappia o non usi di parlare a quello; perché questo parlare
lieva il timore, accende gli animi, cresce l'ostinazione, scuopre gl'inganni,
promette premii, mostra i pericoli e la via di fuggirli, riprende, priega, minaccia,
riempie di speranza, loda, vitupera, e fa tutte quelle cose per le quali le
umane passioni si spengono o si accendono. Donde quel principe o republica che
disegnasse fare una nuova milizia e rendere riputazione a questo esercizio,
debbe assuefare i suoi soldati a udire parlare il capitano, e il capitano a
sapere parlare a quegli. Valeva assai, nel tenere disposti gli soldati antichi,
la religione e il giuramento che si dava loro quando si conducevano a militare;
perché in ogni loro errore si minacciavano non solamente di quelli mali
che potessono temere dagli uomini, ma di quegli che da Dio potessono aspettare.
La quale cosa, mescolata con altri modi religiosi, fece molte volte facile a'
capitani antichi ogni impresa, e farebbe sempre, dove la religione si temesse
e osservasse. Sertorio si valse di questa, mostrando di parlare con una cervia
la quale, da parte d'Iddio, gli prometteva la vittoria. Silla diceva di parlare
con una immagine ch'egli aveva tratta dal tempio di Apolline. Molti hanno detto
essere loro apparso in sogno Iddio, che gli ha ammoniti al combattere. Ne' tempi
de' padri nostri, Carlo VII re di Francia, nella guerra che fece contro agli
Inghilesi, diceva consigliarsi con una fanciulla mandata da Iddio, la quale
si chiamò per tutto la Pulzella di Francia; il che gli fu cagione della
vittoria. Puossi ancora tenere modi che facciano che i tuoi apprezzino poco
il nimico; come tenne Agesilao spartano, il quale mostrò a' suoi soldati
alcuni Persiani ignudi, acciò che, vedute le loro membra dilicate, non
avessero cagione di temergli. Alcuni gli hanno costretti a combattere per necessità,
levando loro via ogni speranza di salvarsi, fuora che nel vincere; la quale
è la più gagliarda e la migliore provvisione che si faccia, a
volere fare il suo soldato ostinato. La quale ostinazione è accresciuta
dalla confidenza e dall'amore del capitano o della patria. La confidenza, la
causa l'armi; l'ordine, le vittorie fresche e l'opinione del capitano. L'amore
della patria è causato dalla natura; quello del capitano, dalla virtù
più che da niuno altro beneficio. Le necessitadi possono essere molte,
ma quella è più forte, che ti costringe o vincere o morire.
LIBRO QUINTO
FABRIZIO Io vi ho mostro come si ordina uno esercito per fare
giornata con un altro esercito che si vegga posto all'incontro di sé,
e narratovi come quella si vince e, di poi, molte circustanze per li varii accidenti
che possono occorrere intorno a quella; tanto che mi pare tempo da mostrarvi
ora come si ordina uno esercito contro a quel nimico che altri non vede, ma
che continuamente si teme non ti assalti. Questo interviene quando si cammina
per il paese nimico o sospetto. E prima avete a intendere come uno esercito
romano, per l'ordinario, sempre mandava innanzi alcune torme di cavagli come
speculatori del cammino. Di poi seguitava il corno destro. Dopo questo ne venivano
tutti i carriaggi che a quello appartenevano. Dopo questi veniva una legione;
dopo lei i suoi carriaggi; dopo quegli un'altra legione e, appresso a quella,
i suoi carriaggi; dopo i quali ne veniva il corno sinistro co' suoi carriaggi
a spalle e, nell'ultima parte, seguiva il rimanente della cavalleria. Questo
era in effetto il modo col quale ordinariamente si camminava. E se avveniva
che l'esercito fusse assaltato a cammino da fronte o da spalle, essi facevano
a un tratto ritirare tutti i carriaggi o in su la destra o in su la sinistra,
secondo che occorreva o che meglio, rispetto al sito, si poteva e tutte le genti
insieme, libere dagli impedimenti loro, facevano testa da quella parte donde
il nimico veniva. Se erano assaltate per fianco, si ritiravano i carriaggi verso
quella parte che era sicura, e dell'altra facevano testa. Questo modo, sendo
buono e prudentemente governato, mi parrebbe da imitare, mandando innanzi i
cavagli leggieri come speculatori del paese, di poi, avendo quattro battaglioni,
fare che camminassero alla fila, e ciascuno con i suoi carriaggi a spalle. E
perché sono di due ragioni carriaggi, cioè pertinenti a' particolari
soldati e pertinenti al publico uso di tutto il campo, dividerei i carriaggi
publici in quattro parti e, ad ogni battaglione, ne concederei la sua parte,
dividendo ancora in quarto le artiglierie e tutti i disarmati, acciò
che ogni numero di armati avesse equalmente gli impedimenti suoi. Ma perché
egli occorre alcuna volta che si cammina per il paese, non solamente sospetto,
ma in tanto nimico che tu temi a ogni ora di essere assalito, sei necessitato,
per andare più sicuro, mutare forma di cammino e andare in modo ordinato,
che né i paesani né l'esercito ti possa offendere, trovandoti
in alcuna parte improvvisto. Solevano in tale caso gli antichi capitani andare
con lo esercito quadrato (ché così chiamavano questa forma, non
perch'ella fusse al tutto quadra, ma per essere atta a combattere da quattro
parti) e dicevano che andavano parati e al cammino e alla zuffa; dal quale modo
io non mi voglio discostare, e voglio ordinare i miei due battaglioni, i quali
ho preso per regola d'uno esercito, a questo effetto. Volendo pertanto camminare
sicuro per il paese nimico e potere rispondere da ogni parte quando fusse all'improvviso
assaltato, e volendo, secondo gli antichi, ridurlo in quadro, disegnerei fare
uno quadro, che il vacuo suo fusse di spazio da ogni parte dugentododici braccia,
in questo modo: io porrei prima i fianchi, discosto l'uno fianco dall'altro
dugentododici braccia, e metterei cinque battaglie per fianco in filo per lunghezza,
e discosto l'una dall'altra tre braccia; le quali occuperebbero con gli loro
spazii, occupando ogni battaglia quaranta braccia, dugentododici braccia. Tra
le teste poi e tra le code di questi due fianchi porrei l'altre dieci battaglie,
in ogni parte cinque, ordinandole in modo che quattro se ne accostassono alla
testa del fianco destro, e quattro alla coda del fianco sinistro, lasciando
tra ciascuna uno intervallo di tre braccia; una poi se ne accostasse alla testa
del fianco sinistro e una alla coda del fianco destro. E perché il vano
che è dall'uno fianco all'altro è dugentododici braccia, e queste
battaglie, che sono poste allato l'una all'altra per larghezza e non per lunghezza,
verrebbero a occupare con gli intervalli centotrentaquattro braccia, verrebbe,
tra le quattro battaglie poste in su la fronte del fianco destro e l'una posta
in su quella del sinistro, a restare uno spazio di settantotto braccia; e quello
medesimo spazio verrebbe a rimanere nelle battaglie poste nella parte posteriore;
né vi sarebbe altra differenza se non che l'uno spazio verrebbe dalla
parte di dietro verso il corno destro, l'altro verrebbe dalla parte davanti
verso il corno sinistro. Nello spazio delle settantotto braccia davanti porrei
tutti i veliti ordinarii: in quello di dietro gli straordinarii, che ne verrebbe
ad essere mille per spazio. E volendo che lo spazio che avesse di dentro l'esercito
fusse per ogni verso dugentododici braccia, converrebbe che le cinque battaglie
che si pongono nella testa, e quelle che si pongono nella coda, non occupassono
alcuna parte dello spazio che tengono i fianchi; e però converrebbe che
le cinque battaglie di dietro toccassero, con la fronte, la coda de' loro fianchi,
e quelle davanti, con la coda, toccassero le teste, in modo che sopra ogni canto
di questo esercito resterebbe uno spazio da ricevere un'altra battaglia. E perché
sono quattro spazi, io torrei quattro bandiere delle picche estraordinarie e,
in ogni canto, ne metterei una; e le due bandiere di dette picche che mi avanzassero,
porrei nel mezzo del vano di questo esercito in uno quadro in battaglia, alla
testa delle quali stesse il capitano generale co' suoi uomini intorno. E perché
queste battaglie, ordinate così, camminano tutte per uno verso, ma non
tutte per uno verso combattono, si ha, nel porle insieme, a ordinare quegli
lati a combattere che non sono guardati dall'altre battaglie. E però
si dee considerare che le cinque battaglie che sono in fronte, hanno guardate
tutte l'altre parti eccetto che la fronte; e però queste s'hanno a mettere
insieme ordinariamente e con le picche davanti. Le cinque battaglie che sono
dietro, hanno guardate tutte le bande fuora che la parte di dietro; e però
si dee mettere insieme queste in modo che le picche vengano dietro, come nel
suo luogo dimostrammo. Le cinque battaglie che sono nel fianco destro hanno
guardati tutti i lati, dal fianco destro in fuora. Le cinque che sono in sul
sinistro, hanno fasciate tutte le parti, dal fianco sinistro in fuora; e però
nell'ordinare le battaglie si debbe fare che le picche tornino da quel fianco
che resta scoperto. E perché i capidieci vengano per testa e per coda,
acciò che, avendo a combattere, tutte l'armi e le membra sieno ne' luoghi
loro, il modo a fare questo si disse quando ragionammo de' modi dell'ordinare
le battaglie. L'artiglierie dividerei; e una parte ne metterei di fuora nel
fianco destro e l'altra nel sinistro. I cavagli leggieri manderei innanzi a
scoprire il paese. Degli uomini d'arme, ne porrei parte dietro in sul corno
destro e parte in sul sinistro, distanti un quaranta braccia dalle battaglie.
E avete a pigliare, in ogni modo che voi ordinate uno esercito, quanto a' cavagli,
questa generalità: che sempre si hanno a porre o dietro o da' fianchi.
Chi li pone davanti, nel dirimpetto dello esercito, conviene faccia una delle
due cose: o che gli metta tanto innanzi che, sendo ributtati, eglino abbiano
tanto spazio che dia loro tempo a potere cansarsi dalle fanterie tue e non le
urtare; o ordinare in modo quelle con tanti intervalli, che i cavagli, per quegli,
possano entrare tra loro sanza disordinarle. Né sia alcuno che stimi
poco questo ricordo, perché molti, per non ci avere avvertito, ne sono
rovinati e, per loro medesimi, si sono disordinati e rotti. I carriaggi e gli
uomini disarmati si mettono nella piazza che resta dentro all'esercito, e in
modo compartiti che dieno la via facilmente a chi volesse andare o dall'uno
canto all'altro o dall'una testa all'altra dell'esercito. Occupano queste battaglie,
sanza l'artiglierie e i cavagli, per ogni verso dal lato di fuora, dugentottantadue
braccia di spazio. E perché questo quadro è composto di due battaglioni,
conviene divisare quale parte ne faccia uno battaglione e quale l'altro. E perché
i battaglioni si chiamano dal numero e ciascuno di loro ha, come sapete, dieci
battaglie e uno capo generale, farei che il primo battaglione ponesse le sue
prime cinque battaglie nella fronte, l'altre cinque nel fianco sinistro, e il
capo stesse nell'angulo sinistro della fronte. Il secondo battaglione di poi
mettesse le prime cinque sue battaglie nel fianco destro, e le altre cinque
nella coda, e il capo stesse nell'angulo destro; il quale verrebbe a fare l'ufficio
del tergiduttore. Ordinato in questo modo lo esercito, si ha a fare muovere
e, nello andare, osservare tutto questo ordine; e sanza dubbio egli è
sicuro da tutti i tumulti de' paesani. Né dee fare il capitano altra
provvisione agli assalti tumultuarii, che dare qualche volta commissione, a
qualche cavallo o bandiera de' veliti, che gli rimettano. Né mai occorrerà
che queste genti tumultuarie vengano a trovarti al tiro della spada o della
picca, perché la gente inordinata ha paura della ordinata; e sempre si
vedrà che, con le grida e con i romori, faranno uno grande assalto sanza
appressartisi altrimenti, a guisa di cani botoli intorno a uno maschino. Annibale,
quando venne a' danni de' Romani in Italia passò per tutta la Francia
e, sempre, de' tumulti franzesi tenne poco conto. Conviene, a volere camminare,
avere spianatori e marraiuoli innanzi che ti facciano la via; i quali saranno
guardati da quegli cavagli che si mandono avanti a scoprire. Camminerà
uno esercito in questo ordine dieci miglia il giorno, e avanzeragli tanto di
sole, che egli alloggerà e cenerà; perché per l'ordinario
uno esercito cammina venti miglia. Se viene che sia assaltato da uno esercito
ordinato, questo assalto non può nascere subito, perché uno esercito
ordinato viene col passo tuo; tanto che tu sei a tempo a riordinarti alla giornata
e ridurti tosto in quella forma, o simile a quella forma di esercito che di
sopra ti si mostrò. Perché, se tu sei assaltato dalla parte dinanzi,
tu non hai se non a fare che l'artiglierie che sono ne' fianchi e i cavagli
che sono di dietro vengano dinanzi e pongansi in quegli luoghi e con quelle
distanze che di sopra si dice. I mille veliti che sono davanti escano del luogo
suo, e dividansi in cinquecento per parte, ed entrino nel luogo loro tra' cavagli
e le corna dell'esercito. Di poi nel vuoto che lasceranno, entrino le due bandiere
delle picche estraordinarie che io posi nel mezzo della piazza dell'esercito.
I mille veliti che io posi di dietro, si partano di quello luogo e dividansi
per i fianchi delle battaglie a fortificazione di quelle; e, per la apertura
che loro lasceranno, escano tutti i carriaggi e i disarmati, e mettansi alle
spalle delle battaglie. Rimasa adunque la piazza vota e andato ciascuno a' luoghi
suoi, le cinque battaglie che io posi dietro all'esercito si facciano innanzi
per il vòto che è tra l'uno e l'altro fianco, e camminino verso
le battaglie di testa; e le tre si accostino a quelle a quaranta braccia con
uguali intervalli intra l'una e l'altra; e le due rimangano addietro, discosto
altre quaranta braccia. La quale forma si può ordinare in uno subito;
e viene ad essere quasi simile alla prima disposizione che dello esercito dianzi
dimostrammo; e se viene più stretto in fronte, viene più grosso
ne' fianchi; che non gli dà meno fortezza. Ma perché le cinque
battaglie che sono nella coda hanno le picche dalla parte di dietro, per le
cagioni che dianzi dicemmo, è necessario farle venire dalla parte davanti,
volendo ch'elle facciano spalle alla fronte dell'esercito; e però conviene:
o fare voltare battaglia per battaglia come uno corpo solido, o farle subito
entrare tra gli ordini degli scudi e condurle davanti; il quale modo è
più ratto e di minore disordine che farle voltare. E così dèi
fare di tutte quelle che restono di dietro, in ogni qualità di assalto,
come io vi mostrerò. Se si presenta che il nimico venga dalla parte di
dietro, la prima cosa, si ha a fare che ciascuno volti il viso dov'egli aveva
le schiene; e subito lo esercito viene ad avere fatto del capo coda e della
coda capo. Di poi si dee tenere tutti quegli modi in ordinare quella fronte
che io dico di sopra. Se il nimico viene ad affrontare il fianco destro, si
debbe, verso quella banda, fare voltare il viso a tutto lo esercito; di poi
fare tutte quelle cose, in fortificazione di quella testa, che di sopra si dicono;
tale che i cavagli, i veliti, l'artiglierie sieno ne' luoghi conformi a questa
testa. Solo vi è questa differenza: che nel variare le teste di quelli
che si tramutono, chi ha ad ire meno e chi più. Bene è vero che
faccendo testa del fianco destro, i veliti che avessono ad entrare negli intervalli
che sono tra le corna dello esercito e i cavagli, sarebbono quegli che fussono
più propinqui al fianco sinistro; nel luogo de' quali arebbero ad entrare
le due bandiere delle picche estraordinarie, poste nel mezzo. Ma, innanzi vi
entrassero, i carriaggi e i disarmati per l'apertura sgomberassono la piazza
e ritirassonsi dietro al fianco sinistro; il che verrebbe ad essere allora coda
dello esercito. Gli altri veliti che fussono posti nella coda secondo l'ordinazione
principale, in questo caso non si mutassero, perché quello luogo non
rimanesse aperto, il quale di coda verrebbe ad essere fianco. Tutte l'altre
cose si deono fare come nella prima testa si disse. Questo che si è detto
circa il fare testa del fianco destro, s'intende detto avendola a fare del fianco
sinistro; perché si dee osservare il medesimo ordine. Se il nimico venisse
grosso ed ordinato per assaltarti da due bande, si deono fare quelle due bande,
ch'egli viene ad assaltare, forti con quelle due che non sono assaltate, duplicando
gli ordini in ciascheduna e dividendo, per ciascuna parte, l'artiglieria, i
veliti e i cavagli. Se viene da tre o da quattro bande, è necessario
o che tu o esso manchi di prudenza; perché, se tu sarai savio, tu non
ti metterai mai in lato che il nimico da tre o da quattro bande con gente grossa
e ordinata ti possa assaltare; perché, a volere che sicuramente ti offenda,
conviene che sia sì grosso, che da ogni banda egli ti assalti con tanta
gente quanta abbia quasi tutto il tuo esercito. E se tu se' si poco prudente,
che tu ti metta nelle terre e forze d'uno nimico che abbia tre volte gente ordinata
più di te, non ti puoi dolere, se tu capiti male, se non di te. Se viene,
non per tua colpa, ma per qualche sventura, sarà il danno sanza la vergogna,
e ti interverrà come agli Scipioni in Ispagna e ad Asdrubale in Italia.
Ma se il nimico non ha molta più gente di te, e voglia, per disordinarti,
assaltarti da più bande, sarà stoltizia sua e ventura tua; perché
conviene che a fare questo egli s'assottigli in modo che tu puoi facilmente
urtarne una banda e sostenerne un'altra, e in brieve tempo rovinarlo. Questo
modo dell'ordinare un esercito contro a uno nimico che non si vede ma che si
teme, è necessario, ed è cosa utilissima assuefare i tuoi soldati
a mettersi insieme e camminare con tale ordine e, nel camminare, ordinarsi per
combattere secondo la prima testa e, di poi, ritornare nella forma che si cammina;
da quella, fare testa della coda, poi del fianco; da queste, ritornare nella
prima forma. I quali esercizii e assuefazioni sono necessarii, volendo avere
uno esercito disciplinato e pratico. Nelle quali cose si hanno ad affaticare
i capitani e i principi; né è altro la disciplina militare che
sapere bene comandare ed eseguire queste cose; né è altro uno
esercito disciplinato, che uno esercito che sia bene pratico in su questi ordini;
né sarebbe possibile che chi in questi tempi usasse bene simile disciplina,
fusse mai rotto. E se questa forma quadrata che io vi ho dimostra, è
alquanto difficile, tale difficultà è necessaria, pigliandola
per esercizio; perché, sappiendo bene ordinarsi e mantenersi in quella,
si saprà di poi più facilmente stare in quelle che non avessono
tanta difficultà.
ZANOBI Io credo, come voi dite che questi ordini sieno molto necessarii; e io
per me non saprei che mi vi aggiungere o levare. Vero è che io disidero
sapere da voi due cose: l'una, se, quando voi volete fare della coda o del fianco,
testa, e voi gli volete fare voltare, se questo si comanda con la voce o con
il suono; l'altra, se quegli che voi mettete davanti a spianare le strade per
fare la via allo esercito, deono essere de' medesimi soldati delle vostre battaglie,
oppure altra gente vile, deputata a simile esercizio.
FABRIZIO La prima vostra domanda importa assai; perché molte volte lo
essere i comandamenti de' capitani non bene intesi, o male interpretati, ha
disordinato il loro esercito; però le voci con le quali si comanda ne'
pericoli deono essere chiare e nette. E se tu comandi con il suono, conviene
fare che dall'uno modo all'altro sia tanta differenza, che non si possa scambiare
l'uno dall'altro; e, se comandi con le voci, dèi avere avvertenza di
fuggire le voci generali e usare le particolari, e delle particulari fuggire
quelle che si potessono interpretare sinistramente. Molte volte il dire: - A
dietro! A dietro! - ha fatto rovinare uno esercito; però questa voce
si dee fuggire, e, in suo luogo, usare - Ritiratevi! -. Se voi gli volete fare
voltare per rimutare testa o per fianco o a spalle, non usate mai: - Voltatevi!
- ma dite: - A sinistra! A destra! A spalle! A fronte! -. Così tutte
le altre voci hanno ad essere semplici e nette, come: - Premete! State forti!
Innanzi! Tornate! -. E tutte quelle cose che si possono fare con la voce, si
facciano; l'altre si facciano con il suono. Quanto agli spianatori, che è
la seconda domanda vostra, io fare' fare questo ufficio a' miei soldati proprii,
sì perché così si faceva nella antica milizia, sì
ancora, perché fusse nello esercito meno gente disarmata e meno impedimenti,
e ne trarrei d'ogni battaglia quel numero bisognasse, e farei loro pigliare
gli istrumenti atti a spianare, e l'armi lasciare a quelle file che fussero
loro più presso, le quali le porterebbero loro, e, venendo il nimico
non arebbono a fare altro che ripigliarle e ritornare negli ordini loro.
ZANOBI Gli istrumenti da spianare chi gli porterebbe?
FABRIZIO I carri, a portare simili istrumenti, deputati.
ZANOBI Io dubito che voi non condurresti mai questi vostri soldati a zappare.
FABRIZIO Di tutto si ragionerà nel luogo suo. Per ora io voglio lasciare
stare questa parte e ragionare del modo del vivere dello esercito; perché
mi pare, avendolo tanto affaticato, che sia tempo da rinfrescarlo e ristorarlo
con il cibo. Voi avete ad intendere che uno principe debbe ordinare l'esercito
suo più espedito che sia possibile e torgli tutte quelle cose che gli
aggiugnessero carico e gli facessero difficili le imprese. Tra quelle che arrecono
più difficultà, sono avere a tenere provvisto l'esercito di vino
e di pane cotto. Gli antichi al vino non pensavano, perché, mancandone,
beevano acqua tinta con un poco d'aceto per darle sapore; donde che tra le munizioni
de' viveri dello esercito era l'aceto e non il vino. Non cocevano il pane ne'
forni, come si usa per le cittadi, ma provvedevano le farine; e di quelle ogni
soldato a suo modo si sodisfaceva, avendo per condimento lardo e sugna; il che
dava, al pane che facevano, sapore e gli manteneva gagliardi. In modo che le
provvisioni di vivere per l'esercito erano farine, aceto, lardo e sugna e, per
i cavagli, orzo. Avevano, per l'ordinario, branchi di bestiame grosso e minuto
che seguiva l'esercito; il quale, per non avere bisogno di essere portato, non
dava molto impedimento. Da questo ordine nasceva che uno esercito antico camminava
alcuna volta molti giorni per luoghi solitarii e difficili sanza patire disagi
di vettovaglie, perché viveva di cose che facilmente se le poteva tirare
dietro. Al contrario interviene ne' moderni eserciti; i quali, volendo non mancare
del vino e mangiare pane cotto in quegli modi che quando sono a casa, di che
non possono fare provvisione a lungo, rimangono spesso affamati, o, se pure
ne sono provvisti, si fa con uno disagio e con una spesa grandissima. Pertanto
io ritirerei l'esercito mio a questa forma del vivere, né vorrei mangiassono
altro pane che quello che per loro medesimi si cocessero. Quanto al vino non
proibirei il berne, né che nello esercito ne venisse, ma non userei né
industria né fatica alcuna per averne, e nell'altre provvisioni mi governerei
al tutto come gli antichi. La quale cosa se considererete bene, vedrete quanta
difficultà si lieva via, e di quanti affanni e disagi si priva uno esercito
e uno capitano, e quanta commodità si darà a qualunque impresa
si volesse fare.
ZANOBI Noi abbiamo vinto il nimico alla campagna, camminato di poi sopra il
paese suo; la ragione vuole che si sia fatto prede, taglieggiato terre, preso
prigioni; però io vorrei sapere come gli antichi in queste cose si governavano.
FABRIZIO Ecco che io vi sodisfarò. Io credo che voi abbiate considerato,
perché altra volta con alcuni di voi ne ho ragionato, come le presenti
guerre impoveriscono così quegli signori che vincono, come quegli che
perdono; perché se l'uno perde lo stato, l'altro perde i danari e il
mobile suo; il che anticamente non era, perché il vincitore delle guerre
arricchiva. Questo nasce da non tenere conto in questi tempi delle prede, come
anticamente si faceva, ma si lasciano tutte alla discrezione de' soldati. Questo
modo fa due disordini grandissimi: l'uno, quello che io ho detto; l'altro, che
il soldato diventa più cupido del predare e meno osservante degli ordini;
e molte volte si è veduto come la cupidità della preda ha fatto
perdere chi era vittorioso. I Romani pertanto, che furno principi di questo
esercizio, provvidero all'uno e all'altro di questi inconvenienti, ordinando
che tutta la preda appartenesse al publico, e che il publico poi la dispensasse
come gli paresse. E però avevano negli eserciti i questori, che erano,
come diremmo noi, i camarlinghi; appresso a' quali tutte le taglie e le prede
si collocavano; di che il consolo si serviva a dar la paga ordinaria a' soldati,
a sovvenire i feriti e gl'infermi, e agli altri bisogni dello esercito. Poteva
bene il consolo, e usavalo spesso, concedere una preda a' soldati; ma questa
concessione non faceva disordine, perché, rotto lo esercito, tutta la
preda si metteva in mezzo e distribuivasi per testa secondo le qualità
di ciascuno. Il quale modo faceva che i soldati attendevano a vincere e non
a rubare; e le legioni romane vincevano il nimico e non lo seguitavano, perché
mai non si partivano degli ordini loro; solamente lo seguivano i cavagli con
quegli armati leggermente e, se vi erano, altri soldati che legionari. Che se
le prede fussero state di chi le guadagnava, non era possibile né ragionevole
tenere le legioni ferme, e portavasi molti pericoli. Di qui nasceva pertanto
che il publico arricchiva, e ogni consolo portava con gli suoi trionfi nello
erario assai tesoro, il quale era tutto di taglie e di prede. Un'altra cosa
facevano gli antichi bene considerata; che del soldo che davano a ciascuno soldato,
la terza parte volevano che deponesse appresso quello che della sua battaglia
portava la bandiera; il quale mai non gliene riconsegnava se non fornita la
guerra. Questo facevano mossi da due ragioni: la prima, perché il soldato
facesse del suo soldo capitale; perché, essendo la maggior parte giovani
e straccurati, quanto più hanno, tanto più sanza necessità
spendono; l'altra, perché sappiendo che il mobile loro era appresso alla
bandiera, fussero forzati averne più cura e con più ostinazione
difenderla; e così questo modo gli faceva massai e gagliardi. Le quali
cose tutte è necessario osservare, a volere ridurre la milizia ne' termini
suoi.
ZANOBI Io credo che non sia possibile che ad uno esercito, mentre che cammina
da luogo a luogo, non scaggia accidenti pericolosi dove bisogni la industria
del capitano e la virtù de' soldati, volendogli evitare; però
io arei caro che voi, occorrendone alcuno, lo narrassi.
FABRIZIO Io vi contenterò volentieri, essendo massimamente necessario,
volendo dare di questo esercizio perfetta scienza. Deono i capitani, sopra ogni
altra cosa, mentre che camminano con l'esercito, guardarsi dagli agguati; ne'
quali si incorre in due modi: o camminando tu entri in quegli, o con arte del
nimico vi se' tirato dentro, sanza che tu gli presenta. Al primo caso volendo
obviare, è necessario mandare innanzi doppie guardie le quali scuoprano
il paese; e tanto maggiore diligenza vi si debba usare, quanto più il
paese fusse atto agli agguati, come sono i paesi selvosi e montuosi, perché
sempre si mettono o in una selva o dietro a uno colle. E come lo agguato, non
lo prevedendo, ti rovina, così, prevedendolo, non ti offende. Hanno gli
uccegli o la polvere molte volte scoperto il nimico, perché, sempre che
il nimico ti venga a trovare, farà polverio grande che ti significherà
la sua venuta. Così molte volte uno capitano veggendo, ne' luoghi donde
egli debbe passare, levare colombi o altri di quegli uccelli che volono in schiera,
e aggirarsi e non si porre, ha conosciuto essere quivi lo agguato de' nimici
e mandato innanzi sue genti; e, conosciuto quello, ha salvato sé e offeso
il nimico suo. Quanto al secondo caso di esservi tirato dentro, che questi nostri
chiamono essere tirato alla tratta, dèi stare accorto di non credere
facilmente a quelle cose che sono poco ragionevoli ch'elle sieno, come sarebbe:
se il nimico ti mettesse innanzi una preda, dèi credere che in quella
sia l'amo e che vi sia dentro nascoso lo inganno. Se gli assai nimici sono cacciati
da' tuoi pochi; se pochi nimici assaltono i tuoi assai; se i nimici fanno una
subita fuga e non ragionevole; sempre dèi in tali casi temere di inganno.
E non hai a credere mai che il nimico non sappia fare i fatti suoi; anzi, a
volerti ingannare meno e a volere portare meno pericolo, quanto è più
debole, quanto è meno cauto il nimico, tanto più dèi stimarlo.
E hai in questo ad usare due termini diversi, perché tu hai a temerlo
con il pensiero e con l'ordine; ma con le parole e con l'altre estrinseche dimostrazioni
mostrare di spregiarlo, perché questo ultimo modo fa che i tuoi soldati
sperano più di avere vittoria, quell'altro ti fa più cauto e meno
atto ad essere ingannato. E hai ad intendere che, quando si cammina per il paese
nimico, si porta più e maggiori pericoli che nel fare la giornata. E
però il capitano, camminando, dee raddoppiare la diligenza; e la prima
cosa che dee fare, è di avere descritto e dipinto tutto il paese per
il quale egli cammina, in modo che sappia i luoghi, il numero, le distanze,
le vie, i monti, i fiumi, i paludi e tutte le qualità loro: e a fare
di sapere questo, conviene abbia a sé, diversamente e in diversi modi,
quegli che sanno i luoghi, e dimandargli con diligenza, e riscontrare il loro
parlare e, secondo i riscontri, notare. Deve mandare innanzi cavagli e, con
loro, capi prudenti, non tanto a scoprire il nimico, quanto a speculare il paese,
per vedere se riscontra col disegno e con la notizia ch'egli ha avuta di quello.
Deve ancora mandare guardate le guide con speranza di premio e timore di pena
e, sopra tutto, deve fare che l'esercito non sappia a che fazione egli lo guida;
perché non è cosa nella guerra più utile che tacere le
cose che si hanno a fare. E perché uno subito assalto non turbi i tuoi
soldati, li dèi avvertire ch'egli stieno parati con l'armi; perché
le cose previse offendono meno. Molti hanno, per fuggire le confusioni del cammino,
messo sotto le bandiere i carriaggi e i disarmati, e comandato loro che seguino
quelle, acciò che, avendosi, camminando, a fermare o a ritirare, lo possano
fare più facilmente, la quale cosa, come utile, io appruovo assai. Debbesi
avere ancora quella avvertenza nel camminare, che l'una parte dell'esercito
non si spicchi dall'altra, o che, per andare l'uno tosto e l'altro adagio, l'esercito
non si assottigli, le quali cose sono cagione di disordine. Però bisogna
collocare i capi in lato che mantengano il passo uniforme, ritenendo i troppo
solleciti e sollecitando i tardi; il quale passo non si può meglio regolare
che col suono. Debbonsi fare rallargare le vie, acciò che sempre una
battaglia almeno possa ire in ordinanza. Debbesi considerare il costume e le
qualità del nimico, e se ti suole assaltare o da mattino o da mezzo dì
o da sera, e s'egli è più potente co' fanti o co' cavagli; e,
secondo intendi, ordinarti e provvederti. Ma vegnamo a qualche particolare accidente.
Egli occorre qualche volta che, levandoti dinanzi al nimico per giudicarti inferiore,
e per questo, non volere fare giornata seco, e venendoti quello a spalle, arrivi
alla ripa d'un fiume il quale ti toglie tempo nel passare, in modo che 'l nimico
è per raggiungerti e per combatterti. Hanno alcuni, che si sono trovati
in tale pericolo, cinto l'esercito loro dalla parte di dietro con una fossa,
e quella ripiena di stipa e messovi fuoco; di poi passato con l'esercito sanza
potere essere impediti dal nimico, essendo quello da quel fuoco che era di mezzo
ritenuto.
ZANOBI E mi è duro a credere che cotesto fuoco li possa ritenere, massime
perché mi ricorda avere udito come Annone cartaginese, essendo assediato
da' nimici, si cinse, da quella parte che voleva fare eruzione, di legname e
messevi fuoco; donde che, i nimici non essendo intenti da quella parte a guardarlo,
fece sopra quelle fiamme passare il suo esercito, faccendo tenere a ciascuno
gli scudi al viso per difendersi dal fuoco e dal fumo.
FABRIZIO Voi dite bene; ma considerate come io ho detto e come fece Annone;
perché io dissi che fecero una fossa e la riempierono di stipa; in modo
che, chi voleva passare, aveva a contendere con la fossa e col fuoco. Annone
fece il fuoco sanza la fossa; e perché lo voleva passare, non lo dovette
fare gagliardo, perché, ancora sanza la fossa l'arebbe impedito. Non
sapete voi che Nabide spartano, sendo assediato in Sparta da' Romani, messe
fuoco in parte della sua terra per impedire il passo a' Romani, i quali erano
di già entrati dentro? E mediante quelle fiamme, non solamente impedì
loro il passo, ma gli ributtò fuora. Ma torniamo alla materia nostra.
Quinto Lutazio romano, avendo alle spalle i Cimbri e arrivato ad uno fiume,
perché il nimico gli desse tempo a passare, mostrò di dare tempo
a lui al combatterlo; e però finse di volere alloggiare quivi, e fece
fare fosse e rizzare alcuno padiglione e mandò alcuni cavagli per i campi
a saccomanno; tanto che, credendo i Cimbri ch'egli alloggiasse, ancora essi
alloggiarono e si divisero in più parti per provvedere a' viveri; di
che essendosi Lutazio accorto, passò il fiume sanza potere essere impedito
da loro. Alcuni, per passare uno fiume non avendo ponte, lo hanno derivato e
una parte tiratasi dietro alle spalle; e l'altra di poi, divenuta più
bassa, con facilità passata. Quando i fiumi sono rapidi, a volere che
le fanterie passino più sicuramente, si mettono i cavagli più
possenti dalla parte di sopra, che sostengano l'acqua, e un'altra parte di sotto,
che soccorra i fanti, se alcuno dal fiume nel passare ne fusse vinto. Passansi
ancora i fiumi che non si guadano, con ponti, con barche, con otri; e però
è bene avere ne' suoi eserciti attitudine a potere fare tutte queste
cose. Occorre alcuna volta che, nel passare uno fiume, il nimico opposto dall'altra
ripa t'impedisce. A volere vincere questa difficultà non ci conosco esemplo
da imitare migliore che quello di Cesare; il quale, avendo lo esercito suo alla
riva d'un fiume in Francia, ed essendogli impedito il passare da Vergingetorige
franzese il quale dall'altra parte del fiume aveva le sue genti, camminò
più giornate lungo il fiume, e il simile faceva il nimico. E avendo Cesare
fatto uno alloggiamento in uno luogo selvoso e atto a nascondere gente, trasse
da ogni legione tre coorti e fecele fermare in quello luogo, comandando loro
che, subito che fusse partito, gittassero uno ponte e lo fortificassero, ed
egli con l'altre sue genti seguitò il cammino. Donde che Vergingetorige
vedendo il numero delle legioni, credendo che non ne fusse rimasa parte a dietro,
seguì ancora egli il camminare; ma Cesare, quando credette che il ponte
fusse fatto, se ne tornò indietro e, trovato ogni cosa ad ordine, passò
il fiume sanza difficultà.
ZANOBI Avete voi regola alcuna a conoscere i guadi?
FABRIZIO Sì, abbiamo. Sempre il fiume in quella parte la quale è
tra l'acqua che stagna e la corrente, che fa a chi vi riguarda come una riga,
ha meno fondo ed è luogo più atto a essere guadato che altrove;
perché sempre in quello luogo il fiume ha posto più, e ha tenuto
più in collo di quella materia che per il fondo trae seco. La quale cosa,
perché è stata esperimentata assai volte, è verissima.
ZANOBI Se egli avviene che il fiume abbia sfondato il guado, tale che i cavagli
vi si affondino, che rimedio ne date?
FABRIZIO Fare graticci di legname e porgli nel fondo del fiume e, sopra quegli,
passare. Ma seguitiamo il ragionamento nostro. S'egli accade che uno capitano
si conduca col suo esercito tra due monti e che non abbia se non due vie a salvarsi,
o quella davanti o quella di dietro, e quelle sieno da' nimici occupate, ha,
per rimedio, di far quello che alcuno ha per l'addietro fatto; il che è:
fare dalla parte di dietro una fossa grande e difficile a passare, e mostrare
al nimico di volere con quella ritenerlo, per potere con tutte le forze sanza
avere a temere di dietro, fare forza per quella via che davanti resta aperta.
Il che credendo i nimici, si fecero forti di verso la parte aperta e abbandonarono
la chiusa, e quello allora gittò uno ponte di legname a tale effetto
ordinato sopra la fossa, e da quella parte sanza alcuno impedimento passò
e liberossi dalle mani del nimico. Lucio Minuzio, consolo romano, era in Liguria
con gli eserciti, ed era stato da' nimici rinchiuso tra certi monti donde non
poteva uscire. Pertanto mandò quello alcuni soldati di Numidia a cavallo,
ch'egli aveva nel suo esercito, i quali erano male armati e sopra cavagli piccoli
e magri, verso i luoghi che erano guardati da' nimici, i quali, nel primo aspetto,
fecero che i nimici si missero insieme a difendere il passo; ma, poi che viddero
quelle genti male in ordine e, secondo loro, male a cavallo, stimandogli poco,
allargarono gli ordini della guardia. Di che come i Numidi si avviddero, dato
di sproni a' cavagli e fatto impeto sopra di loro, passarono sanza che quegli
vi potessero fare alcuno rimedio; i quali passati, guastando e predando il paese,
costrinsero i nimici a lasciare il passo libero allo esercito di Lucio. Alcuno
capitano che si è trovato assaltato da gran moltitudine di nemici, si
è ristretto insieme e dato al nimico facultà di circundarlo tutto,
e di poi, da quella parte ch'egli l'ha conosciuto più debole, ha fatto
forza e, per quella via, si ha fatto fare luogo, e salvatosi. Marco Antonio
andando ritirandosi dinanzi all'esercito de' Parti, s'accorse come i nimici
ogni giorno al fare del dì, quando si moveva, lo assaltavano e, per tutto
il cammino, lo infestavano; di modo che prese per partito di non partire prima
che a mezzogiorno. Tale che i Parti, credendo che per quel giorno egli non volesse
disalloggiare, se ne tornarono alle loro stanze; e Marco Antonio potéo
di poi tutto il rimanente dì camminare sanza alcuna molestia. Questo
medesimo, per fuggire il saettume de' Parti, comandò alle sue genti che
quando i Parti venivano verso di loro, s'inginocchiassero, e la seconda fila
delle battaglie ponesse gli scudi in capo alla prima, la terza alla seconda,
la quarta alla terza, e così successive; tanto che tutto lo esercito
veniva ad essere come sotto uno tetto e difeso dal saettume nimico. Questo è
tanto quanto mi occorre dirvi che possa a uno esercito, camminando, intervenire;
però quando a voi non occorra altro, io passerò ad un'altra parte.
LIBRO SESTO
ZANOBI Io credo che sia bene, poiché si debbe mutare
ragionamento, che Batista pigli l'ufficio suo e io deponga il mio; e verreno
in questo caso ad imitare i buoni capitani, secondo che io intesi già
qui dal signore; i quali pongono i migliori soldati dinanzi e di dietro all'esercito,
parendo loro necessario avere davanti chi gagliardamente appicchi la zuffa e
chi, di dietro, gagliardamente la sostenga. Cosimo, pertanto, cominciò
questo ragionamento prudentemente, e Batista prudentemente lo finirà.
Luigi ed io l'abbiamo in questi mezzi intrattenuto. E come ciascuno di noi ha
presa la parte sua volentieri, così non credo che Batista sia per ricusarla.
BATISTA Io mi sono lasciato governare infino a qui; così sono per lasciarmi
per lo avvenire. Pertanto, signore, siate contento di seguitare i ragionamenti
vostri e, se noi v'interrompiamo con queste pratiche, abbiateci per escusati.
FABRIZIO Voi mi fate, come già vi dissi, cosa gratissima; perché
questo vostro interrompermi non mi toglie fantasia, anzi me la rinfresca. Ma,
volendo seguitare la materia nostra, dico come ormai è tempo che noi
alloggiamo questo nostro esercito; perché voi sapete che ogni cosa disidera
il riposo, e sicuro, perché riposarsi, e non si riposare sicuramente,
non è riposo perfetto. Dubito bene che da voi non si fusse disiderato
che io l'avessi prima alloggiato, di poi fatto camminare e, in ultimo, combattere;
e noi abbiamo fatto al contrario. A che ci ha indotto la necessità, perché,
volendo mostrare, camminando, come uno esercito si riduceva dalla forma del
camminare a quella dell'azzuffarsi, era necessario avere prima mostro come si
ordinava alla zuffa. Ma, tornando alla materia nostra, dico che, a volere che
lo alloggiamento sia sicuro, conviene che sia forte e ordinato. Ordinato lo
fa la industria del capitano, forte lo fa o il sito o l'arte. I Greci cercavano
de' siti forti, e non si sarebbero mai posti dove non fusse stata o grotta o
ripa di fiume o moltitudine di arbori, o altro naturale riparo che gli difendesse.
Ma i Romani non tanto alloggiavano sicuri dal sito quanto dall'arte; né
mai sarebbero alloggiati ne' luoghi dove eglino non avessero potuto, secondo
la disciplina loro, distendere tutte le loro genti. Di qui nasceva che i Romani
potevano tenere una forma d'alloggiamento, perché volevano che il sito
ubbidisse a loro, non loro al sito. Il che non potevano osservare i Greci, perché,
ubbidendo al sito e variando i siti di forma, conveniva che ancora eglino variassero
il modo dello alloggiare e la forma degli loro alloggiamenti. I Romani adunque,
dove il sito mancava di fortezza, supplivano con l'arte e con la industria.
E perché io, in questa mia narrazione, ho voluto che si imitino i Romani,
non mi partirò nel modo dello alloggiare da quegli, non osservando però
al tutto gli ordini loro, ma prendendone quella parte quale mi pare che a' presenti
tempi si confaccia. Io vi ho detto più volte come i Romani avevano, negli
loro eserciti consolari, due legioni d'uomini romani, i quali erano circa undicimila
fanti e seicento cavagli; e di più avevano altri undicimila fanti di
gente mandata dagli amici in loro aiuto: né mai negli loro eserciti avevano
più soldati forestieri che romani, eccetto che di cavagli, i quali non
si curavano passassero il numero delle legioni loro; e, come in tutte l'azioni
loro, mettevano le legioni in mezzo e, gli ausiliari da lato. Il quale modo
osservavano ancora nello alloggiarsi, come per voi medesimi avete potuto leggere
in quegli che scrivono le cose loro; e però io non sono per narrarvi
appunto come quegli alloggiassero, ma per dirvi solo con quale ordine io al
presente alloggerei il mio esercito, e voi allora conoscerete quale parte io
abbia tratta da' modi romani. Voi sapete che, all'incontro di due legioni romane,
io ho preso due battaglioni di fanti, di semila fanti e trecento cavagli utili
per battaglione, e in che battaglie, in che arme, in che nomi io li ho divisi.
Sapete come nell'ordinare l'esercito a camminare e a combattere, io non ho fatto
menzione d'altre genti, ma solo ho mostro come, raddoppiando le genti, non si
aveva se non a raddoppiare gli ordini. Ma volendo, al presente, mostrarvi il
modo dello alloggiare, mi pare da non stare solamente con due battaglioni, ma
da ridurre insieme uno esercito giusto, composto, a similitudine del romano,
di due battaglioni e di altrettante genti ausiliarie. Il che fo, perché
la forma dello alloggiamento sia più perfetta, alloggiando uno esercito
perfetto; la quale cosa nelle altre dimostrazioni non mi è paruta necessaria.
Volendo adunque alloggiare uno esercito giusto di ventiquattro mila fanti e
di dumila cavagli utili, essendo diviso in quattro battaglioni, due di gente
propria e due di forestieri, terrei questo modo. Trovato il sito dove io volessi
alloggiare, rizzerei la bandiera capitana e, intorno, le disegnerei uno quadro
che avesse ogni faccia discoste da lei cinquanta braccia; delle quali qualunque,
l'una guardasse l'una delle quattro regioni del cielo, come è levante,
ponente, mezzodì e tramontana; tra 'l quale spazio vorrei che fusse lo
alloggiamento del capitano. E perché io credo che sia prudenza, e perché
così in buona parte facevano i Romani, dividerei gli armati da' disarmati
e separerei gli uomini impediti dagli espediti. Io alloggerei tutti, o la maggior
parte degli armati, dalla parte di levante, e i disarmati e gli impediti dalla
parte di ponente, faccendo levante la testa e ponente le spalle dello alloggiamento
e mezzodì e tramontana fussero i fianchi. E per distinguere gli alloggiamenti
degli armati, terrei questo modo: io moverei una linea dalla bandiera capitana
e la guiderei verso levante per uno spazio di secentottanta braccia. Farei di
poi due altre linee che mettessero in mezzo quella e fussero di lunghezza quanto
quella, ma distante ciascuna da lei quindici braccia; nella estremità
delle quali vorrei fusse la porta di levante, e lo spazio, che è tra
le due estreme linee, facesse una via che andasse dalla porta allo alloggiamento
del capitano; la quale verrebbe ad essere larga trenta braccia e lunga secento
trenta (perché cinquanta braccia ne occuperebbe lo aloggiamento del capitano)
e chiamassesi questa la via capitana; movessesi di poi un'altra via dalla porta
di mezzodì infino alla porta di tramontana, e passasse per la testa della
via capitana e rasente lo alloggiamento del capitano di verso levante, la quale
fusse lunga mille dugento cinquanta braccia (perché occuperebbe tutta
la larghezza dello alloggiamento) e fusse larga pure trenta braccia e si chiamasse
la via di croce. Disegnato adunque che fusse lo alloggiamento del capitano e
queste due vie, si cominciassero a disegnare gli alloggiamenti de' due battaglioni
proprii; e uno ne alloggerei da mano destra della via capitana, e uno da sinistra.
E però, passato lo spazio che tiene la larghezza della via di croce,
porrei trentadue alloggiamenti dalla parte sinistra della via capitana, e trentadue
dalla parte destra, lasciando, tra il sedicesimo e diciassettesimo alloggiamento,
uno spazio di trenta braccia; il che servisse a una via traversa che attraversasse
per tutti gli alloggiamenti de' battaglioni, come nella distribuzione d'essi
si vedrà. Di questi due ordini di alloggiamenti, ne' primi delle teste,
che verrebbero ad essere appiccati alla via di croce, alloggerei i capi degli
uomini d'arme; ne' quindici alloggiamenti che da ogni banda seguissono appresso,
le loro genti d'arme, che, avendo ciascuno battaglione centocinquanta uomini
d'arme, toccherebbe dieci uomini d'arme per alloggiamento. Gli spazi degli alloggiamenti
de' capi fussero, per larghezza, quaranta e, per lunghezza, dieci braccia. E
notisi che, qualunque volta io dico larghezza, significo lo spazio da mezzodì
a tramontana, e, dicendo lunghezza, quello da ponente a levante. Quegli degli
uomini d'arme fussero quindici braccia per lunghezza e trenta per larghezza.
Negli altri quindici alloggiamenti che da ogni parte seguissono (i quali arebbero
il principio loro passata la via traversa e che arebbero il medesimo spazio
che quegli degli uomini d'arme) alloggerei i cavagli leggieri; de' quali, per
essere centocinquanta, ne toccherebbe dieci cavagli per alloggiamento; e nel
sedecimo che ne restasse, alloggerei il capo loro, dandogli quel medesimo spazio
che si dà al capo degli uomini d'arme. E così gli alloggiamenti
de' cavagli de' due battaglioni verrebbero a mettere in mezzo la via capitana
e dare regola agli alloggiamenti delle fanterie, come io narrerò. Voi
avete notato come io ho alloggiato i trecento cavagli d'ogni battaglione, con
gli loro capi, in trentadue alloggiamenti posti in su la via capitana e cominciati
dalla via di croce; come dal sestodecimo al diciassettesimo resta uno spazio
di trenta braccia per fare una via traversa. Volendo pertanto alloggiare le
venti battaglie che hanno i due battaglioni ordinarii, porrei gli alloggiamenti
d'ogni due battaglie dietro gli alloggiamenti de' cavagli, che avessero ciascuno,
di lunghezza, quindici braccia e, di larghezza, trenta come quegli de' cavagli,
e fussero congiunti dalla parte di dietro, che toccassero l'uno l'altro. E in
ogni primo alloggiamento, da ogni banda, che viene appiccato con la via di croce,
alloggerei il connestabole d'una battaglia, che verrebbe a rispondere allo alloggiamento
del capo degli uomini d'arme; ed arebbe questo alloggiamento solo di spazio,
per lunghezza, venti braccia e, per lunghezza, dieci. Negli altri quindici alloggiamenti,
che da ogni banda seguissono dopo questo infino alla via traversa, alloggerei
da ogni parte una battaglia di fanti, che, essendo quattrocentocinquanta, ne
toccherebbe per alloggiamento trenta. Gli altri quindici alloggiamenti porrei
continui, da ogni banda, a quegli de' cavagli leggieri, con gli medesimi spazi,
dove alloggerei da ogni parte un'altra battaglia di fanti. E nell'ultimo alloggiamento
porrei da ogni parte il connestabole della battaglia, che verrebbe ad essere
appiccato con quello del capo de' cavagli leggieri, con lo spazio di dieci braccia
per lunghezza e di venti per larghezza. E così questi due primi ordini
di alloggiamenti sarebbero mezzi di cavagli e mezzi di fanti. E perché
io voglio, come nel suo luogo vi dissi, che questi cavagli sieno tutti utili,
e per questo non avendo famigli che, nel governare i cavagli o nell'altre cose
necessarie, gli sovvenissono, vorrei che questi fanti che alloggiassero dietro
a' cavagli, fussero obligati ad aiutargli provvedere e governare a' padroni,
e per questo fussero esenti dall'altre fazioni del campo; il quale modo era
osservato da' Romani. Lasciato di poi, dopo questi alloggiamenti, da ogni parte,
uno spazio di trenta braccia che facesse via e chiamassesi l'una, prima via
a mano destra, e l'altra, prima via a sinistra, porrei da ogni banda un altro
ordine di trentadue alloggiamenti doppi, che voltassero la parte di dietro l'uno
all'altro, con gli medesimi spazi che quegli ho detti, e divisi dopo i sedecimi
nel medesimo modo, per fare la via traversa; dove alloggerei da ogni lato quattro
battaglie di fanti con i connestaboli nelle teste da piè e da capo. Lasciato
di poi, da ogni lato, un altro spazio di trenta braccia che facesse via, che
si chiamasse da una parte, la seconda via a man destra, e dall'altra parte,
la seconda via a sinistra, metterei un altro ordine da ogni banda di trentadue
alloggiamenti doppi, con le medesime distanze e divisioni; dove alloggerei da
ogni lato altre quattro battaglie con gli loro connestaboli. E così verrebbero
ad essere alloggiati, in tre ordini d'alloggiamenti per banda, i cavagli e le
battaglie degli due battaglioni ordinarii, e metterebbero in mezzo la via capitana.
I due battaglioni ausiliarii, perché io gli fo composti de' medesimi
uomini, alloggerei da ogni parte di questi due battaglioni ordinarii, con gli
medesimi ordini di alloggiamenti, ponendo prima uno ordine di alloggiamenti
doppi dove alloggiassono mezz'i cavagli e mezz'i fanti, discosto trenta braccia
dagli altri, per fare una via che si chiamasse, l'una, terza via a man destra,
e l'altra, terza via a sinistra. E di poi farei da ogni lato due altri ordini
di alloggiamenti, nel medesimo modo distinti e ordinati che sono quegli de'
battaglioni ordinarii, che farebbero due altre vie; e tutte quante si chiamassono
dal numero e dalla mano dov'elle fussero collocate. In modo che tutta quanta
questa banda di esercito verrebbe ad essere alloggiata in dodici ordini d'alloggiamenti
doppi, e in tredici vie, computando la via capitana e quella di croce. Vorrei
restasse uno spazio, dagli alloggiamenti al fosso, di cento braccia intorno
intorno. E se voi computerete tutti questi spazi, vedrete che dal mezzo dello
alloggiamento del capitano alla porta di levante sono secentottanta braccia.
Restaci ora due spazi, de' quali, uno è dallo alloggiamento del capitano
alla porta di mezzodì, l'altro è da quello alla porta di tramontana;
che viene ad essere ciascuno, misurandolo dal punto del mezzo, secentoventicinque
braccia. Tratto di poi da ciascuno di questi spazi cinquanta braccia, che occupa
l'alloggiamento del capitano, e quarantacinque braccia di piazza, che io gli
voglio dare da ogni lato, e trenta braccia di via, che divida ciascuno di detti
spazi nel mezzo, e cento braccia che si lasciano da ogni parte tra gli alloggiamenti
e il fosso, resta da ogni banda uno spazio per alloggiamenti largo quattrocento
braccia e lungo cento, misurando la lunghezza con lo spazio che tiene l'alloggiamento
del capitano. Dividendo adunque per il mezzo dette lunghezze, si farebbe da
ciascuna mano del capitano quaranta alloggiamenti lunghi cinquanta braccia e
larghi venti, che verrebbero ad essere in tutto ottanta alloggiamenti; ne' quali
si alloggerebbe i capi generali de' battaglioni, i camarlinghi, i maestri di
campi e tutti quegli che avessono ufficio nello esercito, lasciandone alcuno
voto per gli forestieri che venissono e per quegli che militassero per grazia
del capitano. Dalla parte di dietro dello alloggiamento del capitano moverei
una via da mezzodì a tramontana, larga trenta braccia, e chiamassesi
la via di testa, la quale verrebbe ad essere posta lungo gli ottanta alloggiamenti
detti, perché questa via e la via di croce metterebbero in mezzo l'alloggiamento
del capitano e gli ottanta alloggiamenti che gli fussero da' fianchi. Da questa
via di testa, e di rincontro allo alloggiamento del capitano, moverei un'altra
via che andasse da quella alla porta di ponente, larga pure trenta braccia,
e rispondesse per sito e per lunghezza alla via capitana e si chiamasse la via
di piazza. Poste queste due vie ordinerei la piazza dove si facesse il mercato;
la quale porrei nella testa della via di piazza, all'incontro allo alloggiamento
del capitano, ed appiccata con la via di testa; e vorrei ch'ella fusse quadra,
e le consegnerei novantasei braccia per quadro. E da man destra e man sinistra
di detta piazza farei due ordini d'alloggiamenti, che ogni ordine avesse otto
alloggiamenti doppi, i quali occupassero per lunghezza dodici braccia e per
larghezza trenta; sì che verrebbero ad essere da ogni mano della piazza
che la mettessono in mezzo, sedici alloggiamenti che sarebbero in tutto trentadue;
ne' quali alloggerei quegli cavagli che avanzassero a' battaglioni ausiliarii;
e quando questi non bastassero, consegnerei loro alcuni di quegli alloggiamenti
che mettono in mezzo il capitano, e massime di quegli che guardano verso i fossi.
Restanci ora ad alloggiare le picche e i veliti estraordinarii che ha ogni battaglione;
che sapete, secondo l'ordine nostro, come ciascuno ha, oltre alle dieci battaglie,
mille picche estraordinarie e cinquecento veliti; talmente che i due battaglioni
proprii hanno dumila picche estraordinarie e mille veliti estraordinarii e gli
ausiliarii quanto quegli; di modo che si viene ancora avere ad alloggiare semila
fanti, i quali tutti alloggerei nella parte di verso ponente e lungo i fossi.
Dalla punta adunque della via di testa e di verso tramontana lasciando lo spazio
delle cento braccia da quegli al fosso, porrei uno ordine di cinque alloggiamenti
doppi, che tenessero tutti settantacinque braccia per lunghezza e sessanta per
larghezza; tale che, divisa la larghezza, toccherebbe a ciascuno alloggiamento
quindici braccia per lunghezza e trenta per larghezza. E perché sarebbero
dieci alloggiamenti, alloggerebbero trecento fanti, toccando ad ogni alloggiamento
trenta fanti. Lasciando di poi uno spazio di trentun braccio, porrei in simile
modo e con simili spazi un altro ordine di cinque alloggiamenti doppi, e di
poi un altro, tanto che fossero cinque ordini di cinque alloggiamenti doppi;
che verrebbero ad essere cinquanta alloggiamenti posti per linea retta dalla
parte di tramontana, distanti tutti da' fossi cento braccia, che alloggerebbero
mille cinquecento fanti. Voltando di poi in su la mano sinistra verso la porta
di ponente, porrei in tutto quel tratto che fusse da loro a detta porta, cinque
altri ordini d'alloggiamenti doppi, co' medesimi spazi e co' medesimi modi;
vero è che dall'uno ordine all'altro non sarebbe più che quindici
braccia di spazio, ne' quali si alloggerebbero ancora mille cinquecento fanti;
e così dalla porta di tramontana a quella di ponente, come girano i fossi
in cento alloggiamenti, compartiti in dieci ordini di cinque alloggiamenti doppi
per ordine, si alloggerebbero tutte le picche e i veliti estraordinarii de'
battaglioni proprii. E così dalla porta di ponente a quella di mezzodì,
come girano i fossi nel medesimo modo appunto in altri dieci ordini di dieci
alloggiamenti per ordine, si alloggerebbero le picche e i veliti estraordinarii
de' battaglioni ausiliarii. I capi ovvero i connestaboli loro, potrebbero pigliarsi
quegli alloggiamenti paressono loro più commodi dalla parte di verso
i fossi. L'artiglierie disporrei per tutto lungo gli argini de' fossi; ed in
tutto l'altro spazio che restasse di verso ponente, alloggerei tutti i disarmati
e tutti gli impedimenti del campo. E hassi ad intendere che, sotto questo nome
di impedimenti, come voi sapete, gli antichi intendevano tutto quel traino e
tutte quelle cose che sono necessarie a uno esercito, fuora de' soldati, come
sono: legnaiuoli, fabbri, maniscalchi, scarpellini, ingegneri, bombardieri,
ancora che quegli si potessero mettere nel numero degli armati, mandriani con
le loro mandrie di castroni e buoi che per vivere dello esercito bisognano e,
di più, maestri d'ogni arte, insieme co' carriaggi publici delle munizioni
publiche, pertinenti al vivere e allo armare. Né distinguerei particolarmente
questi alloggiamenti; solo disegnerei le vie che non avessero ad essere occupate
da loro; di poi gli altri spazi che tra le vie restassero, che sarebbero quattro,
consegnerei in genere a tutti i detti impedimenti, cioè l'uno a' mandriani,
l'altro agli artefici e maestranze, l'altro a carriaggi publici de' viveri,
il quarto a quegli dell'armare. Le vie, le quali io vorrei si lasciassero sanza
occuparle, sarebbero la via di piazza, la via di testa e, di più, una
via che si chiamasse la via di mezzo; la quale si partisse da tramontana e andasse
verso mezzodì e passasse per il mezzo della via di piazza, la quale dalla
parte di ponente facesse quello effetto che fa la via traversa dalla parte di
levante. E, oltre a questo, una via che girasse dalla parte di dentro, lungo
gli alloggiamenti delle picche e de' veliti estraordinarii. E tutte queste vie
fussero larghe trenta braccia. E l'artiglierie disporrei lungo i fossi del campo
dalla parte di drento.
BATISTA Io confesso non me ne intendere; né credo anche che a dire così
mi sia vergogna, non sendo questo mio esercizio. Nondimanco, questo ordine mi
piace assai; solo vorrei che voi mi solvessi questi dubbi: l'uno, perché
voi fate le vie e gli spazi d'intorno sì larghi; l'altro, che mi dà
più noia, è, questi spazi che voi disegnate per gli alloggiamenti,
come eglino hanno a essere usati.
FABRIZIO Sappiate che io fo le vie tutte larghe trenta braccia, acciò
che per quelle possa andare una battaglia di fanti in ordinanza, che, se bene
vi ricorda, vi dissi come per larghezza tiene ciascuna dalle venticinque alle
trenta braccia. Che lo spazio il quale è tra il fosso e gli alloggiamenti
sia cento braccia, è necessario, perché vi si possano maneggiare
le battaglie e l'artiglierie, condurre per quello le prede e, bisognando, avere
spazio da ritirarsi con nuovi fossi e nuovi argini. Stanno meglio ancora gli
alloggiamenti discosto assai da' fossi, per essere più discosto a' fuochi
e alle altre cose che potesse trarre il nimico per offesa di quegli. Quanto
alla seconda domanda, la intenzione mia non è che ogni spazio da me disegnato
sia coperto da uno padiglione solo, ma sia usato come torna commodità
a quegli che vi alloggiano, o con più o con manco tende, pure che non
si esca de' termini di quello. E a disegnare questi alloggiamenti, conviene
sieno uomini pratichissimi e architettori eccellenti; i quali, subito che 'l
capitano ha eletto il luogo, gli sappiano dare la forma e distribuirlo, distinguendo
le vie, dividendo gli alloggiamenti con corde e con aste in modo, praticamente,
che subito sieno ordinati e divisi. E a volere che non nasca confusione conviene
voltare sempre il campo in uno medesimo modo, acciò che ciascuno sappia
in quale via, in quale spazio egli ha a trovare il suo alloggiamento. E questo
si dee osservare in ogni tempo, in ogni luogo, e in maniera che paia una città
mobile, la quale, dovunque va, porti seco le medesime vie, le medesime case
e il medesimo aspetto; la quale cosa non possono osservare coloro i quali, cercando
di siti forti, hanno a mutare forma secondo la variazione del sito. Ma i Romani
facevano forte il luogo co' fossi, col vallo e con gli argini, perché
facevano uno steccato intorno al campo e, innanzi a quello, la fossa, per l'ordinario
larga sei braccia e fonda tre; i quali spazi accrescevano, secondo che volevano
dimorare in uno luogo e secondo che temevano il nimico. Io per me al presente
non farei lo steccato, se già io non volessi vernare in uno luogo. Farei
bene la fossa e l'argine non minore che la detta, ma maggiore secondo la necessità,
farei ancora, rispetto all'artiglierie, sopra ogni canto dello alloggiamento
un mezzo circulo di fosso, dal quale le artiglierie potessero battere per fianco
chi venisse a combattere i fossi. In questo esercizio di sapere ordinare uno
alloggiamento si deono ancora esercitare i soldati e fare, con quello, i ministri
pronti a disegnarlo e i soldati presti a cognoscere i luoghi loro. Né
cosa alcuna è difficile, come nel luogo suo più largamente si
dirà. Perché io voglio passare per ora alle guardie del campo,
perché, sanza la distribuzione delle guardie, tutte l'altre fatiche sarebbero
vane.
BATISTA Avanti che voi passiate alle guardie, vorrei mi dicessi: quando altri
vuole porre gli alloggiamenti propinqui al nimico, che modi si tengono? perché
io non so come vi sia tempo a potergli ordinare sanza pericolo.
FABRIZIO Voi avete a sapere questo: che niuno capitano alloggia propinquo al
nimico, se non quello che è disposto fare la giornata qualunque volta
il nimico voglia; e quando altri è così disposto, non ci è
pericolo se non ordinario; perché si ordinano le due parti dello esercito
a fare la giornata, e l'altra parte fa gli alloggiamenti. I Romani in questo
caso davano questa via di fortificare gli alloggiamenti a' triari, ed i principi
e gli astati stavano in arme. Questo facevano perché, essendo i triari
gli ultimi a combattere, erano a tempo, se il nimico veniva, a lasciare l'opera
e pigliare l'armi e entrare ne' luoghi loro. Voi, a imitazione de' Romani, aresti
a far fare gli alloggiamenti a quelle battaglie che voi volessi mettere nella
ultima parte dello esercito in luogo de' triarii. Ma torniamo a ragionare delle
guardie. E' non mi pare avere trovato, appresso agli antichi, che per guardare
il campo la notte tenessero guardie fuora de' fossi discosto, come si usa oggi,
le quali chiamano ascolte. Il che credo facessero, pensando che facilmente lo
esercito ne potesse restare ingannato per la difficultà che è
nel rivederle, e per potere essere quelle o corrotte o oppresse dal nimico;
in modo che fidarsi o in parte o in tutto di loro giudicavano pericoloso. E
però tutta la forza della guardia era dentro a' fossi; la quale facevano
con una diligenza e con uno ordine grandissimo, punendo capitalmente qualunque
da tale ordine deviava. Il quale, come era da loro ordinato non vi dirò
altrimenti, per non vi tediare, potendo per voi medesimi vederlo quando, infino
a ora, non l'avessi veduto. Dirò solo brevemente quello che per me si
farebbe. Io farei stare per l'ordinario ogni notte il terzo dell'esercito armato
e, di quello, la quarta parte sempre in piè; la quale sarebbe distribuita
per tutti gli argini e per tutti i luoghi dello esercito con guardie doppie
poste da ogni quadro di quello; delle quali, parte stessono saldi, parte continuamente
andassero dall'uno canto dello alloggiamento all'altro. E questo ordine che
io dico, osserverei ancora di giorno quando io avessi il nimico propinquo. Quanto
a dare il nome, e quello rinnovare ogni sera e fare l'altre cose che in simili
guardie si usano, per essere cose note, non ne parlerò altrimenti. Solo
ricorderò una cosa, per essere importantissima e che genera molto bene
osservandola, e, non la osservando, molto male; la quale è, che si usi
gran diligenza di chi la sera non alloggia dentro al campo e di chi vi viene
di nuovo. E questo è facile cosa rivedere a chi alloggia con quello ordine
che noi abbiamo disegnato; perché, avendo ogni alloggiamento il numero
degli uomini determinato, è facile cosa vedere se vi manca o se vi avanza
uomini, e, quando ve ne manca sanza licenza, punirgli come fuggitivi, e, se
ve ne avanza, intendere chi sono, quello che fanno e dell'altre condizioni loro.
Questa diligenza fa che il nimico non può, se non con difficultà,
tenere pratica co' tuoi capi ed essere consapevole de' tuoi consigli. La quale
cosa se da' Romani non fusse stata osservata con diligenza, non poteva Claudio
Nerone, avendo Annibale appresso, partirsi da' suoi alloggiamenti ch'egli aveva
in Lucania, e andare e tornare dalla Marca, sanza che Annibale ne avesse presentito
alcuna cosa. Ma egli non basta fare questi ordini buoni, se non si fanno con
una gran severità osservare; perché non è cosa che voglia
tanta osservanza, quanta si ricerca in uno esercito. Però le leggi a
fortificazione di quello deono essere aspre e dure, e lo esecutore durissimo.
I Romani punivano di pena capitale chi mancava nelle guardie, chi abbandonava
il luogo che gli era dato a combattere, chi portava cosa alcuna di nascosto
fuora degli alloggiamenti, se alcuno dicesse avere fatta qualche cosa egregia
nella zuffa e non l'avesse fatta, se alcuno avesse combattuto fuora del comandamento
del capitano, se alcuno avesse per timore gittato via l'armi. E quando egli
occorreva che una coorte o una legione intera avesse fatto simile errore, per
non gli fare morire tutti, gl'imborsavano tutti e ne traevano la decima parte,
e quegli morivano. La quale pena era in modo fatta che, se ciascuno non la sentiva,
ciascuno nondimeno la temeva. E perché dove sono le punizioni grandi,
vi deono essere ancora i premi, a volere che gli uomini ad un tratto temano
o sperino, egli avevano proposti premi a ogni egregio fatto: come a colui che,
combattendo, salvava la vita ad uno suo cittadino, a chi prima saliva sopra
il muro delle terre nimiche, a chi prima entrava negli alloggiamenti de' nimici,
a chi avesse, combattendo, ferito o morto il nimico, a chi lo avesse gittato
da cavallo. E così qualunque atto virtuoso era da' consoli riconosciuto
e premiato e, publicamente, da ciascuno lodato; e quegli che conseguitavano
doni per alcuna di queste cose, oltre alla gloria e alla fama che ne acquistavano
tra' soldati, poi ch'egli erano tornati nella patria, con solenni pompe e con
gran dimostrazioni tra gli amici e parenti le dimostravano. Non è adunque
maraviglia se quel popolo acquistò tanto imperio, avendo tanta osservanza
di pena e di merito verso di quegli che, o per loro bene o per loro male operare,
meritassono o lode o biasimo; delle quali cose converrebbe osservare la maggior
parte. Né mi pare da tacere un modo di pena da loro osservato; il quale
era che, come il reo era, innanzi al tribuno o il consolo, convinto, era da
quello leggermente con una verga percosso; dopo la quale percossa, al reo era
lecito fuggire e a tutti i soldati ammazzarlo; in modo che subito ciascuno gli
traeva o sassi o dardi, o con altre armi lo percoteva; di qualità ch'egli
andava poco vivo e radissimi ne campavano; e a quegli tali campati non era lecito
tornare a casa, se non con tanti incommodi e ignominie, ch'egli era molto meglio
morire. Vedesi questo modo essere quasi osservato da' Svizzeri, i quali fanno
i condannati ammazzare popularmente dagli altri soldati. Il che è bene
considerato e ottimamente fatto; perché, a volere che uno non sia defensore
d'uno reo, il maggiore rimedio che si truovi è farlo punitore di quello;
perché con altro rispetto lo favorisce e con altro disiderio brama la
punizione sua, quando egli proprio ne è esecutore, che quando la esecuzione
perviene ad uno altro. Volendo adunque che uno non sia negli errori sua favorito
da uno popolo, gran rimedio è fare che il popolo l'abbia egli a giudicare.
A fortificazione di questo si può addurre lo esemplo di Manlio Capitolino;
il quale, essendo accusato dal senato, fu difeso dal popolo infino a tanto che
non ne diventò giudice; ma, diventato arbitro nella causa sua, lo condannò
a morte. È adunque un modo di punire questo da levare i tumulti e da
fare osservare la giustizia. E perché a frenare gli uomini armati non
bastono né il timore delle leggi, né quello degli uomini, vi aggiugnevano
gli antichi l'autorità di Iddio; e però con cerimonie grandissime
facevano a' loro soldati giurare l'osservanza della disciplina militare, acciò
che contrafaccendo, non solamente avessero a temere le leggi e gli uomini, ma
Iddio; e usavano ogni industria per empiergli di religione.
BATISTA Permettevano i Romani che negli loro eserciti fussero femmine, o vi
si usasse di questi giuochi oziosi che si usano oggi?
FABRIZIO Proibivano l'uno e l'altro. E non era questa proibizione molto difficile,
perché egli erano tanti gli esercizi ne' quali tenevano ogni dì
i soldati, ora particolarmente, ora generalmente occupati, che non restava loro
tempo a pensare o a Venere o a' giuochi, né ad altre cose che facciano
i soldati sediziosi e inutili.
BATISTA Piacemi. Ma ditemi: quando lo esercito si aveva a levare, che ordine
tenevano?
FABRIZIO Sonava la tromba capitana tre volte. Al primo suono si levavano le
tende e facevano le balle; al secondo caricavano le some; al terzo movevano
in quel modo dissi di sopra, con gli impedimenti dopo, ogni parte di armati,
mettendo le legioni in mezzo. E però voi aresti a fare muovere uno battaglione
ausiliare e, dopo quello, i suoi particolari impedimenti e, con quegli la quarta
parte degli impedimenti publici; che sarebbero tutti quegli che fussero alloggiati
in uno di quegli quadri che poco fa dimostrammo. E però converrebbe avere
ciascuno di essi consegnato ad uno battaglione, acciò che, movendosi
lo esercito, ciascuno sapesse quale luogo fusse il suo nel camminare. E così
debbe andare via ogni battaglione co' suoi impedimenti proprii, e con la quarta
parte de' publici a spalle, in quel modo dimostrammo che camminava l'esercito
romano.
BATISTA Nel porre lo alloggiamento avevano eglino altri rispetti che quegli
avete detti?
FABRIZIO Io vi dico di nuovo che i Romani volevano, nello alloggiare, potere
tenere la consueta forma del modo loro; il che per osservare, non avevano alcuno
rispetto. Ma quanto all'altre considerazioni, ne avevano due principali: l'una,
di porsi in luogo sano; l'altra, di porsi dove il nimico non lo potesse assediare
e torgli la via dell'acqua o delle vettovaglie. Per fuggire adunque le infermità,
ei fuggivano i luoghi paludosi o esposti a' venti nocivi. Il che conoscevano
non tanto dalle qualità del sito quanto dal viso degli abitatori, e quando
gli vedevano male colorati o bolsi, o di altra infezione ripieni, non vi alloggiavano.
Quanto all'altra parte di non essere assediato, conviene considerare la natura
del luogo, dove sono posti gli amici e dove i nimici, e da questo fare tua coniettura
se tu puoi essere assediato o no. E però conviene che il capitano sia
peritissimo de' siti de' paesi, e abbia intorno assai che ne abbiano la medesima
perizia. Fuggesi ancora le malattie e la fame, col non fare disordinare l'esercito;
perché, a volerlo mantenere sano, conviene operare che i soldati dormano
sotto le tende, che si alloggi dove sieno arbori che facciano ombra, dove sia
legname da potere cuocere il cibo, che non cammini per il caldo. E però
bisogna trarlo dello alloggiamento innanzi dì, la state, e di verno guardarsi
che non cammini per le nevi e per i ghiacci sanza avere commodità di
fare fuoco, e non manchi del vestito necessario e non bea acque malvage. Quegli
che ammalano a caso, farli curare da' medici; perché uno capitano non
ha rimedio quando egli ha a combattere con le malattie e col nimico. Ma niuna
cosa è tanto utile a mantenere l'esercito sano quanto è l'esercizio;
e però gli antichi ciascuno dì gli facevano esercitare. Donde
si vede quanto questo esercizio vale; perché, negli alloggiamenti, ti
fa sano e, nelle zuffe, vittorioso. Quanto alla fame, non solamente è
necessario vedere che il nimico non t'impedisca la vettovaglia, ma provvedere
donde tu abbia a averla, e vedere che quella che tu hai, non si sperda. E però
ti conviene averne sempre in munizione con l'esercito per uno mese, e di poi
tassare i vicini amici che giornalmente te ne provveggano; farne munizioni in
qualche luogo forte e, sopra tutto, dispensarla con diligenza, dandone ogni
giorno a ciascuno una ragionevole misura; e osservare in modo questa parte ch'ella
non ti disordini, perché ogni altra cosa nella guerra si può col
tempo vincere, questa sola col tempo vince te. Né sarà mai alcuno
tuo nimico, il quale ti possa superare con la fame, che cerchi vincerti col
ferro; perché, se la vittoria non è sì onorevole, ella
è più sicura e più certa. Non può adunque fuggire
la fame quello esercito che non è osservante di giustizia e che licenziosamente
consuma quello che gli pare; perché l'uno disordine fa che la vettovaglia
non vi viene, l'altro, che la venuta inutilmente si consuma. Però ordinavano
gli antichi che si consumasse quella che davano e in quel tempo che volevano;
perché niuno soldato mangiava se non quando il capitano. Il che quanto
sia osservato da' moderni eserciti lo sa ciascuno, e meritamente non si possono
chiamare ordinati e sobrii come gli antichi, ma licenziosi ed ebbriachi.
BATISTA Voi dicesti nel principio dello ordinare lo alloggiamento, che non volevi
stare solamente in su due battaglioni, ma che ne volevi tòrre quattro,
per mostrare come uno esercito giusto si alloggiava. Però vorrei mi dicessi
due cose: l'una, quando io avessi più o meno gente, come io avessi ad
alloggiare: l'altra, che numero di soldati vi basterebbe a combattere contro
a qualunque nimico?
FABRIZIO Alla prima domanda vi rispondo che, se l'esercito è più
o meno quattro o semila fanti si lieva od aggiugne ordini di alloggiamenti tanto
che basti; e con questo modo si può ire nel più e nel meno in
infinito. Nondimeno i Romani, quando congiugnevano insieme due eserciti consolari,
facevano due alloggiamenti e voltavano la parte de' disarmati l'una all'altra.
Quanto alla seconda domanda, vi replico come lo esercito ordinario romano era
intorno a ventiquattromila soldati; ma quando maggiore forza gli premeva, i
più che ne mettevano insieme erano cinquantamila. Con questo numero si
opposono a dugentomila Franzesi, che gli assaltarono dopo la guerra prima ch'egli
ebbero co' Cartaginesi. Con questo medesimo si opposono ad Annibale; e avete
a notare che i Romani e i Greci hanno fatto la guerra co' pochi, affortificati
dall'ordine e dall'arte; gli occidentali o gli orientali l'hanno fatta con la
moltitudine, ma l'una di queste nazioni si serve del furore naturale, come sono
gli occidentali, l'altra della grande ubbidienza che quegli uomini hanno agli
loro re. Ma in Grecia e in Italia, non essendo il furore naturale né
la naturale reverenza verso i loro re, è stato necessario voltarsi alla
disciplina; la quale è di tanta forza, ch'ella ha fatto che i pochi hanno
potuto vincere il furore e la naturale ostinazione degli assai. Però
vi dico che, volendo imitare i Romani e i Greci, non si debbe passare il numero
di cinquantamila soldati, anzi piuttosto torne meno; perché i più
fanno confusione, né lasciano osservare la disciplina e gli ordini imparati.
E Pirro usava dire che con quindicimila uomini voleva assalire il mondo. Ma
passiamo ad un'altra parte. Noi abbiamo a questo nostro esercito fatta vincere
una giornata, e mostro i travagli che in essa zuffa possono occorrere; abbiànlo
fatto camminare, e narrato da quali impedimenti, camminando, egli possa essere
circumvenuto; e in fine lo abbiamo alloggiato dove, non solamente si dee pigliare
un poco di requie delle passate fatiche, ma ancora pensare come si dee finire
la guerra perché negli alloggiamenti si maneggia di molte cose, massime
restandoti ancora de' nimici alla campagna e delle terre sospette, delle quali
è bene assicurarsi, e quelle che sono nimiche espugnare. Però
è necessario venire a queste dimostrazioni e passare queste difficultà
con quella gloria che infino a qui abbiamo militato. Però, scendendo
a' particolari, dico che, se ti occorresse che assai uomini o assai popoli facessero
una cosa che fusse a te utile e a loro di danno grande (come sarebbe o disfare
le mura delle loro città, o mandare in esilio molti di loro) ti è
necessario o ingannargli in modo che ciascuno non creda che tocchi a lui, tanto
che, non sovvenendo l'uno all'altro, si truovino di poi oppressi tutti sanza
rimedio; ovvero a tutti comandare quello che deono fare in uno medesimo giorno,
acciò che, credendo ciascuno essere solo a chi sia il comandamento fatto,
pensi ad ubbidire e non a' rimedi; e così fia sanza tumulto da ciascuno
il tuo comandamento eseguito. Se tu avessi sospetta la fede di alcuno popolo
e volessi assicurartene e occuparlo allo improvvisto, per potere colorire il
disegno tuo più facilmente, non puoi far meglio che comunicare con quello
alcuno tuo disegno, richiederlo di aiuto, e mostrare di voler fare altra impresa
e di avere lo animo alieno da ogni pensiero di lui; il che farà che non
penserà alla difesa sua, non credendo che tu pensi a offenderlo, e ti
darà commodità di potere facilmente sodisfare al tuo disiderio.
Quando tu presentissi che fusse nel tuo esercito alcuno che tenesse avvisato
il tuo nimico de' tuoi disegni, non puoi fare meglio, a volerti valere del suo
malvagio animo, che comunicargli quelle cose che tu non vuoi fare e quelle che
tu vuoi fare, tacere, e dire di dubitare delle cose che tu non dubiti e, quelle
di che tu dubiti, nascondere, il che farà fare al nimico qualche impresa,
credendo sapere i disegni tuoi, dove facilmente tu lo potrai ingannare e opprimere.
Se tu disegnassi, come fece Claudio Nerone, diminuire il tuo esercito, mandando
aiuto ad alcuno amico, e che il nimico non se ne accorgesse, è necessario
non diminuire gli alloggiamenti, ma mantenere i segni e gli ordini interi, faccendo
i medesimi fuochi e le medesime guardie per tutto. Così se col tuo esercito
si congiungesse nuova gente, e volessi che il nimico non sapesse che tu fussi
ingrossato, è necessario non accrescere gli alloggiamenti; perché,
tenere secreto le azioni e i disegni suoi, fu sempre utilissimo. Donde Metello,
essendo con gli eserciti in Ispagna, a uno che lo domandò quello che
voleva fare l'altro giorno, rispose che se la camicia sua lo sapesse, l'arderebbe.
Marco Crasso a uno che lo domandava quando moverebbe l'esercito, disse: - Credi
tu essere solo a non sentire le trombe? - Se tu disiderassi intendere i secreti
del tuo nimico e conoscere gli ordini suoi, hanno usato alcuni mandar gli ambasciadori
e con quegli, sotto veste di famigli, uomini peritissimi in guerra; i quali,
presa occasione di vedere l'esercito nimico e considerare le fortezze e le debolezze
sue gli hanno dato occasione di superarlo. Alcuni hanno mandato in esilio uno
loro familiare e, mediante quello, conosciuti i disegni dello avversario suo.
Intendonsi ancora simili segreti da' nimici, quando a questo effetto ne pigliassi
prigioni. Mario, nella guerra che fece co' Cimbri per conoscere la fede di quegli
Franciosi che allora abitavano la Lombardia ed erano collegati col popolo romano,
mandò loro lettere aperte e suggellate; e nelle aperte scriveva che non
aprissero le suggellate se non al tale tempo; e innanzi a quel tempo ridomandandole
e trovandole aperte, conobbe la fede loro non essere intera. Hanno alcuni capitani,
essendo assaltati, non voluto ire a trovare il nimico, ma sono iti ad assalire
il paese suo e costrettolo a tornare a difendere la casa sua. Il che molte volte
è riuscito bene, perché i tuoi soldati cominciano a vincere, a
empiersi di preda e di confidenza; quegli del nimico si sbigottiscono, parendo
loro di vincitori diventare perditori. In modo che a chi ha fatta questa diversione,
molte volte è riuscito bene. Ma solo si può fare per colui che
ha il suo paese più forte che non è quel del nimico, perché,
quando fusse altrimenti, andrebbe a perdere. È stata spesso cosa utile
a uno capitano che si truova assediato negli alloggiamenti dal nimico, muovere
pratica d'accordo e fare triegua con seco per alcuno giorno; il che suole fare
i nimici più negligenti in ogni azione, tale che, valendoti della negligenza
loro, puoi avere facilmente occasione di uscire loro delle mani. Per questa
via Silla si liberò due volte da' nimici, e con questo medesimo inganno
Asdrubale in Ispagna uscì delle forze di Claudio Nerone, il quale lo
aveva assediato. Giova ancora, a liberarsi dalle forze del nimico, fare qualche
cosa, oltre alle dette, che lo tenga a bada. Questo si fa in due modi: o assaltarlo
con parte delle forze, acciò che, intento a quella zuffa, dia commodità
al resto delle tue genti di potersi salvare; o fare surgere qualche nuovo accidente
che, per la novità della cosa lo faccia maravigliare e per questa cagione
stare dubbio e fermo; come voi sapete che fece Annibale che, essendo rinchiuso
da Fabio Massimo, pose di notte facelline accese tra le corna di molti buoi,
tanto che Fabio, sospeso da questa novità, non pensò impedirgli
altrimenti il passo. Debbe uno capitano, tra tutte l'altre sue azioni, con ogni
arte ingegnarsi di dividere le forze del nimico, o col fargli sospetti i suoi
uomini ne' quali confida, o con dargli cagione ch'egli abbia a separare le sue
genti e, per questo, diventare più debole. Il primo modo si fa col riguardare
le cose di alcuno di quegli ch'egli ha appresso, come è conservare nella
guerra le sue genti e le sue possessioni, rendendogli i figliuoli o altri suoi
necessari sanza taglia. Voi sapete che Annibale, avendo abbruciato intorno a
Roma tutti i campi, fece solo restare salvi quegli di Fabio Massimo. Sapete
come Coriolano, venendo con l'esercito a Roma, conservò le possessioni
dei nobili e quelle della plebe arse e saccheggiò. Metello, avendo lo
esercito contro a Iugurta, tutti gli oratori che da Iugurta gli erano mandati,
erano richiesti da lui che gli dessono Iugurta prigione: e a quegli medesimi
scrivendo di poi della medesima materia lettere, operò in modo che in
poco tempo Iugurta insospettì di tutti i suoi consiglieri e in diversi
modi gli spense. Essendo Annibale rifuggito ad Antioco, gli oratori romani lo
praticarono tanto domesticamente, che Antioco, insospettito di lui, non prestò
di poi più fede a' suoi consigli. Quanto al dividere le genti nimiche,
non ci è il più certo modo che fare assaltare il paese di parte
di quelle acciò che, essendo costrette andare a difendere quello, abbandonino
la guerra. Questo modo tenne Fabio, avendo all'incontro del suo esercito le
forze de' Franzesi, de' Toscani, Umbri e Sanniti. Tito Didio, avendo poche genti
rispetto a quelle de' nimici e aspettando una legione da Roma e volendo i nimici
ire ad incontrarla, acciò non vi andassero, dette voce per tutto il suo
esercito di volere l'altro giorno fare giornata co' nimici; di poi tenne modi
che alcuni de' prigioni ch'egli aveva, ebbono occasione di fuggirsi; i quali,
referendo l'ordine del consolo di combattere l'altro giorno fecero che i nimici,
per non diminuire le loro forze, non andarono ad incontrare quella legione;
e per questa via si condusse salva; il quale modo non servì a dividere
le forze de' nimici, ma a duplicare le sue. Hanno usato alcuni, per dividere
le sue forze, lasciarlo entrare nel paese suo e, in pruova, lasciatogli pigliare
di molte terre, acciò che, mettendo, in quelle, guardie diminuisca le
sue forze; e per questa via avendolo fatto debole, assaltatolo e vinto. Alcuni
altri, volendo andare in una provincia, hanno finto di volerne assaltare un'altra
e usata tanta industria che, subito entrati in quella dove e' non si dubitava
ch'egli entrassono, l'hanno prima vinta che 'l nimico sia stato a tempo a soccorrerla.
Perché il nimico tuo, non essendo certo se tu se' per tornare indietro
al luogo prima da te minacciato, è costretto non abbandonare l'uno luogo
e soccorrere l'altro; e così spesso non difende né l'uno né
l'altro. Importa, oltre alle cose dette, a uno capitano, se nasce sedizione
o discordia tra' soldati, saperle con arte spegnere. Il migliore modo è
gastigare i capi degli errori; ma farlo in modo che tu gli abbia prima oppressi
che essi se ne sieno potuti accorgere. Il modo è: se sono discosto da
te, non chiamare solo i nocenti, ma insieme con loro tutti gli altri, acciò
che, non credendo che sia per cagione di punirgli, non diventino contumaci,
ma dieno commodità alla punizione. Quando sieno presenti, si dee farsi
forte con quegli che non sono in colpa, e, mediante lo aiuto loro, punirgli.
Quando ella fusse discordia tra loro, il migliore modo è presentargli
al pericolo, la quale paura gli suole sempre rendere uniti. Ma quello che sopra
ogni altra cosa tiene lo esercito unito, è la reputazione del capitano,
la quale solamente nasce dalla virtù sua, perché né sangue
né autorità la dette mai sanza la virtù. E la prima cosa
che a uno capitano si aspetta a fare, è tenere i suoi soldati puniti
e pagati; perché, qualunque volta manca il pagamento, conviene che manchi
la punizione; perché tu non puoi gastigare uno soldato che rubi, se tu
non lo paghi, né quello, volendo vivere, si può astenere dal rubare.
Ma se tu lo paghi e non lo punisci, diventa in ogni modo insolente, perché
tu diventi di poca stima, dove chi capita non può mantenere la dignità
del suo grado; e non lo mantenendo, ne seguita di necessità il tumulto
e le discordie, che sono la rovina d'uno esercito. Avevano gli antichi capitani
una molestia della quale i presenti ne sono quasi liberi, la quale era di interpretare
a loro proposito gli auguri sinistri; perché se cadeva una saetta in
uno esercito, s'egli scurava il sole o la luna, se veniva un tremuoto, se il
capitano o nel montare o nello scendere da cavallo cadeva, era da' soldati interpretato
sinistramente, e generava in loro tanta paura che, venendo alla giornata, facilmente
l'arebbero perduta. E però gli antichi capitani, tosto che uno simile
accidente nasceva, o e' mostravano la cagione di esso e lo riducevano a cagione
naturale, o e' l'interpretavano a loro proposito. Cesare, cadendo in Affrica
nello uscire di nave, disse: - Affrica io t'ho presa. - E molti hanno renduto
la cagione dello oscurare della luna e de' tremuoti; le quali cose ne' tempi
nostri non possono accadere, sì per non essere i nostri uomini tanto
superstiziosi, sì perché la nostra religione rimuove in tutto
da sé tali opinioni. Pure, quando egli occorresse, si dee imitare gli
ordini degli antichi. Quando o fame o altra naturale necessità o umana
passione ha condotto il nimico tuo ad una ultima disperazione e, cacciato da
quella, venga a combattere teco, dèi starti dentro a' tuoi alloggiamenti
e, quanto è in tuo potere, fuggire la zuffa. Così fecero i Lacedemoni
contro a' Messeni, così fece Cesare contro ad Afranio e Petreio. Essendo
Fulvio consolo contro a' Cimbri, fece molti giorni continui alla sua cavalleria
assaltare i nimici, e considerò come quegli uscivano degli alloggiamenti
per seguitargli; donde che quello pose uno agguato dietro agli alloggiamenti
de' Cimbri e, fattigli assaltare da' cavagli e i Cimbri uscendo degli alloggiamenti
per seguitargli, Fulvio gli occupò e saccheggiogli. È stato di
grande utilità ad alcuno capitano, avendo l'esercito propinquo all'esercito
nimico, mandare le sue genti con le insegne nimiche a rubare ed ardere il suo
paese proprio; donde che i nimici hanno creduto che sieno genti che vengano
loro in aiuto, e sono ancora essi corsi ad aiutare far loro la preda, e per
questo disordinatisi, e dato facultà allo avversario loro di vincergli.
Questo termine usò Alessandro di Epiro combattendo contra agli Illirici
e Leptene siracusano contra a' Cartaginesi; ed all'uno ed all'altro riuscì
il disegno facilmente. Molti hanno vinto il nimico, dando a quello facultà
di mangiare e bere fuora di modo, simulando di avere paura e lasciando gli alloggiamenti
suoi pieni di vino e di armenti; de' quali, sendosi ripieno il nimico sopra
ogni uso naturale lo hanno assaltato e, con suo danno, vinto. Così fece
Tamiri contra a Ciro e Tiberio Gracco contra agli Spagnuoli. Alcuni hanno avvelenati
i vini e l'altre cose da cibarsi per potere più facilmente vincergli.
Io dissi poco fa come io non trovavo che gli antichi tenessero la notte ascolte
fuora, e stimavo lo facessero per schifare i mali che ne poteva nascere; perché
si truova che, non ch'altro, le velette che pongono il giorno a velettare il
nimico, sono state cagioni della rovina di colui che ve le pose, perché
molte volte è accaduto che, essendo state prese, è stato loro
fatto fare per forza il cenno col quale avevano a chiamare i suoi; i quali al
segno venendo, sono stati o morti o presi. Giova ad ingannare il nimico qualche
volta variare una tua consuetudine; in su la quale fondandosi quello, ne rimane
rovinato; come fece già uno capitano il quale, solendo far fare cenno
a' suoi per la venuta de' nimici, la notte, col fuoco e, il dì, col fumo,
comandò che sanza alcuna intermissione si facesse fumo e fuoco, e di
poi, sopravvenendo il nimico, si restasse; il quale, credendo venire sanza essere
visto, non veggendo fare segni da essere scoperto, fece, per ire disordinato,
più facile la vittoria al suo avversario. Mennone Rodio, volendo trarre
de' luoghi forti l'esercito nimico mandò uno, sotto colore di fuggitivo,
il quale affermava come il suo esercito era in discordia e che la maggior parte
di quello si partiva; e per dare fede alla cosa, fece fare in pruova certi tumulti
tra gli alloggiamenti, donde che il nimico pensando di poterlo rompere, assaltandolo,
fu rotto. Debbesi, oltre alle cose dette, avere riguardo di non condurre il
nimico in ultima disperazione; a che ebbe riguardo Cesare combattendo co' Tedeschi;
il quale aperse loro la via, veggendo come, non si potendo fuggire, la necessità
gli faceva gagliardi; e volle più tosto la fatica di seguirgli quando
essi fuggivano, che il pericolo di vincergli, quando si difendevano. Lucullo,
veggendo come alcuni cavagli di Macedonia ch'erano seco, se ne andavano dalla
parte nimica, subito fe' sonare a battaglia e comandò che l'altre genti
li seguissono; donde i nimici, credendosi che Lucullo volesse appiccare la zuffa,
andarono a urtare i Macedoni con tale impeto, che quegli furono costretti difendersi;
e così diventarono contra a loro voglia di fuggitivi combattitori. Importa
ancora il sapersi assicurare d'una terra, quando tu dubiti della sua fede, vinta
che tu hai la giornata o prima, il che t'insegneranno alcuni esempli antichi.
Pompeo, dubitando de' Catinensi li pregò che fussero contenti accettare
alcuni infermi ch'egli aveva nel suo esercito; mandato, sotto abito di infermi,
uomini robustissimi, occupò la terra. Publio Valerio, temendo della fede
degli Epidauri, fece venire, come noi diremmo, un perdono a una chiesa fuora
della terra, e, quando tutto il popolo era ito per la perdonanza, serrò
le porte e di poi non ricevé dentro se non quegli di chi egli confidava.
Alessandro Magno, volendo andare in Asia e assicurarsi di Tracia, ne menò
seco tutti i principi di quella provincia, dando loro provvisione, e a' populari
di Tracia prepose uomini vili; e così fece i principi contenti, pagandogli,
e i popolari quieti, non avendo capi che gli inquietassono. Ma tra tutte le
cose con le quali i capitani si guadagnano i popoli, sono gli esempli di castità
e di giustizia; come fu quello di Scipione in Ispagna, quando egli rendé
quella fanciulla di corpo bellissima al padre e al marito; la quale gli fece
più che con l'armi guadagnare la Ispagna. Cesare, avendo fatto pagare
quelle legne ch'egli aveva adoperato per fare lo steccato intorno al suo esercito
in Francia, si guadagnò tanto nome di giusto, ch'egli si facilitò
lo acquisto di quella provincia. Io non so che mi resti a parlare altro sopra
questi accidenti; né ci resta sopra questa materia parte alcuna che non
sia stata da noi disputata. Solo ci manca a dire del modo dello espugnare e
difendere le terre; il che sono per fare volentieri, se già a voi non
rincrescesse.
BATISTA La umanità vostra è tanta, ch'ella ci fa conseguire i
disiderii nostri sanza avere paura di essere tenuti prosuntuosi; poiché
voi liberamente ne offerite quello che noi ci saremmo vergognati di domandarvi.
Però vi diciamo solo questo: che a noi non potete fare maggiore né
più grato beneficio, che fornire questo ragionamento. Ma prima che passiate
a quell'altra materia, solveteci uno dubbio: s'egli è meglio continuare
la guerra ancora il verno, come si usa oggi, o farla solamente la state e ire
alle stanze il verno, come gli antichi.
FABRIZIO Ecco, che se non fusse la prudenza del domandatore, egli rimaneva indietro
una parte che merita considerazione. Io vi dico, di nuovo, che gli antichi facevano
ogni cosa meglio e con maggiore prudenza di noi; e se nelle altre cose si fa
qualche errore, nelle cose della guerra si fanno tutti. Non è cosa più
imprudente o più pericolosa a uno capitano, che fare la guerra il verno,
e molto più pericolo porta colui che la fa che quello che l'aspetta.
La ragione è questa: tutta la industria che si usa nella disciplina militare,
si usa per essere ordinato a fare una giornata col tuo nimico, perché
questo è il fine al quale ha ad ire uno capitano, perché la giornata
ti dà vinta la guerra o perduta. Chi sa adunque meglio ordinarla; chi
ha lo esercito suo meglio disciplinato, ha più vantaggio in questa e
più può sperare di vincerla. Dall'altro canto non è cosa
più nimica degli ordini, che sono i siti aspri o i tempi freddi e acquosi;
perché il sito aspro non ti lascia distendere le tue copie secondo la
disciplina, i tempi freddi e acquosi non ti lasciano tenere le genti insieme,
né ti puoi unito presentare al nimico, ma ti conviene alloggiare disiunto
di necessità e sanza ordine avendo ad ubbidire a' castegli, a' borghi
e alle ville che ti ricevano, in maniera che tutta quella fatica da te usata
per disciplinare il tuo esercito è vana. Né vi maravigliate se
oggi guerreggiano il verno; perché, essendo gli eserciti sanza la disciplina,
non conoscono il danno che fa loro il non alloggiare uniti, perché non
dà loro noia non potere tenere quegli ordini e osservare quella disciplina
che non hanno. Pure e' doverrebbono vedere di quanti danni è stato cagione
il campeggiare la vernata, e ricordarsi come i Franzesi, l'anno millecinquecentotre,
furono rotti in sul Garigliano dal verno e non dagli Spagnuoli. Perché,
come io vi ho detto, chi assalta ha ancora più disavvantaggio; perché
il mal tempo l'offende più, essendo in casa altri e volendo fare la guerra;
onde è necessitato, o, per stare insieme, sostenere la incommodità
dell'acqua e del freddo, o, per fuggirla, dividere le genti. Ma colui che aspetta
può eleggere il luogo a suo modo e aspettarla con le sue genti fresche;
e quelle può, in uno subito unire ed andare a trovare una banda delle
genti nimiche, le quali non possono resistere all'impeto loro. Così furono
rotti i Franzesi, e così sempre fieno rotti coloro che assalteranno la
vernata uno nimico che abbia in sé prudenza. Chi vuole adunque che le
forze, gli ordini, le discipline e la virtù in alcuna parte non gli vaglia,
faccia guerra alla campagna il verno. E perché i Romani volevano che
tutte queste cose in che eglino mettevano tanta industria valessono loro, fuggivano
non altrimenti le vernate, che l'alpi aspre e i luoghi difficili e qualunque
altra cosa gli impedisse a potere mostrare l'arte e la virtù loro. Sì
che questo basti alla domanda vostra, e vegnamo a trattare della difesa ed offesa
delle terre e de' siti e della edificazione loro.
LIBRO SETTIMO
Voi dovete sapere come le terre e le rocche possono essere
forti o per natura o per industria. Per natura sono forti quelle che sono circundate
da fiumi o da paludi, come è Mantova e Ferrara, o che sono poste sopra
uno scoglio o sopra uno monte erto, come Monaco e Santo Leo; perché quelle
poste sopra a' monti, che non sieno molto difficili a salirgli, sono oggi, rispetto
alle artiglierie e le cave, debolissime. E però, il più delle
volte nello edificare si cerca oggi uno piano, per farlo forte con la industria.
La prima industria è fare le mura ritorte e piene di volture e di ricetti;
la quale cosa fa che 'l nimico non si può accostare a quelle, potendo
facilmente essere ferito non solamente a fronte, ma per fianco. Se le mura si
fanno alte, sono troppo esposte a' colpi dell'artiglieria; s'elle si fanno basse,
sono facili a scalare. Se tu fai i fossi innanzi a quelle per dare difficultà
alle scale, se avviene che il nimico gli riempia (il che può uno grosso
esercito fare facilmente) resta il muro in preda del nimico. Pertanto io credo,
salvo sempre migliore giudicio, che a volere provvedere all'uno e all'altro
inconveniente, si debba fare il muro alto e con fossi di dentro e non di fuora.
Questo è il più forte modo di edificare che si faccia, perché
ti difende dall'artiglierie e dalle scale, e non da facilità al nimico
di riempiere il fosso. Debbe essere adunque il muro alto di quale altezza vi
occorre maggiore, e grosso non meno di tre braccia, per rendere più difficile
il farlo rovinare. Debbe avere poste le torri con gli intervalli di dugento
braccia; debbe il fosso dentro essere largo almeno trenta braccia e fondo dodici;
e tutta la terra che si cava per fare il fosso, sia gettata di verso la città,
e sia sostenuta da uno muro che si parta dal fondo del fosso e vadia tanto alto
sopra la terra che uno uomo si cuopra dietro a quello: la quale cosa farà
la profondità del fosso maggiore. Nel fondo del fosso ogni dugento braccia
vuole essere una casamatta che, con l'artiglierie, offenda qualunque scendesse
in quello. L'artiglierie grosse che difendono la città, si pongano dietro
al muro che chiude il fosso; perché, per difendere il muro davanti, sendo
alto, non si possono adoperare commodamente altro che le minute o mezzane. Se
il nimico ti viene a scalare, l'altezza del primo muro facilmente ti difende.
Se viene con l'artiglierie, gli conviene prima battere il muro primo; ma battuto
ch'egli è, perché la natura di tutte le batterie è fare
cadere il muro di verso la parte battuta, viene la rovina del muro, non trovando
fosso che la riceva e nasconda, a raddoppiare la profondità del fosso;
in modo che passare più innanzi non ti è possibile, per trovare
una rovina che ti ritiene, uno fosso che ti impedisce e l'artiglierie nimiche
che dal muro del fosso sicuramente ti ammazzano. Solo vi è questo rimedio:
riempiere il fosso; il che è difficilissimo, sì perché
la capacità sua è grande, sì per la difficultà che
è nello accostarvisi, essendo le mura sinuose e concave; tra le quali,
per le ragioni dette, con difficultà si può entrare, e di poi
avendo a salire con la materia su per una rovina che ti dà difficultà
grandissima; tanto che io fo una città così ordinata al tutto
inespugnabile.
BATISTA Quando si facesse, oltre al fosso di dentro, ancora uno fosso di fuora,
non sarebbe ella più forte?
FABRIZIO Sarebbe sanza dubbio, ma il ragionamento mio è, volendo fare
uno fosso solo, ch'egli sta meglio dentro che fuora.
BATISTA Vorresti voi che ne' fossi fusse acqua, o gli ameresti asciutti?
FABRIZIO Le opinioni sono diverse; perché i fossi pieni d'acqua ti guardano
dalle cave sutterranee, i fossi sanza acqua ti fanno più difficile il
riempierli. Ma io considerato tutto, li farei sanza acqua, perché sono
più sicuri; e si è visto di verno ghiacciare i fossi e fare facile
la espugnazione di una città, come intervenne alla Mirandola, quando
papa Iulio la campeggiava. E per guardarmi dalle cave, gli farei profondi tanto
che chi volesse andare più sotto trovasse l'acqua. Le rocche ancora edificherei,
quanto a' fossi e alle mura, in simile modo, acciò ch'elle avessero la
simile difficultà a espugnarle. Una cosa bene voglio ricordare a chi
difende le città: e questo è, che non facciano bastioni fuora
e che sieno discosto dalle mura di quelle, ed un'altra a chi fabbrica le rocche:
e questo è, che non faccia ridotto alcuno in quelle, nel quale chi vi
è dentro, perduto il primo muro, si possa ritirare. Quello che mi fa
dare il primo consiglio è che niuno debbe fare cosa mediante la quale,
sanza rimedio, tu cominci a perdere la tua prima riputazione; la quale, perdendosi,
fa stimare meno gli altri ordini tuoi e sbigottire coloro che hanno preso la
tua difesa. E sempre t'interverrà questo che io dico, quando tu faccia
bastioni fuora della terra che tu abbia a difendere; perché sempre gli
perderai, non si potendo oggi le cose piccole difendere, quando che sieno sottoposte
al furore delle artiglierie; in modo che, perdendoli, fieno principio e cagione
della tua rovina. Genova, quando si ribellò dal re Luigi di Francia,
fece alcuni bastioni su per quegli colli che gli sono d'intorno; i quali, come
furono perduti (che si perderono subito) fecero ancora perdere la città.
Quanto al consiglio secondo, affermo niuna cosa essere ad una rocca più
pericolosa, che essere in quella ridotti da potersi ritirare; perché
la speranza che gli uomini hanno, abbandonando uno luogo, fa che egli si perde,
e quello perduto fa perdere poi tutta la rocca. Di esemplo ci è fresco
la perdita della rocca di Furlì, quando la contessa Caterina la difendeva
contra a Cesare Borgia, figliuolo di papa Alessandro VI il quale vi aveva condotto
l'esercito dei re di Francia. Era tutta quella fortezza piena di luoghi da ritirarsi
dall'uno nell'altro; perché vi era prima la cittadella; da quella alla
rocca era uno fosso, in modo che vi si passava per uno ponte levatoio; la rocca
era partita in tre parti, e ogni parte era divisa con fossi e con acque dall'altra,
e con ponti da quello luogo a quell'altro si passava. Donde che il duca batté
con l'artiglieria una di quelle parti della rocca e aperse parte del muro; donde
messer Giovanni da Casale, che era preposto a quella guardia, non pensò
di difendere quella apertura, ma l'abbandonò per ritirarsi negli altri
luoghi; tal che, entrate le genti del duca sanza contrasto in quella parte,
in uno subito la presero tutta, perché diventarono signori de' ponti
che andavano dall'uno membro all'altro. Perdessi adunque questa rocca, ch'era
tenuta inespugnabile, per due difetti: l'uno per avere tanti ridotti, l'altro
per non essere ciascuno ridotto signore de' ponti suoi. Fece, dunque, la mala
edificata fortezza e la poca prudenza di chi la difendeva, vergogna alla magnanima
impresa della contessa; la quale aveva avuto animo ad aspettare uno esercito,
il quale né il re di Napoli né il duca di Milano aveva aspettato.
E benché gli suoi sforzi non avessero buono fine, nondimeno ne riportò
quello onore che aveva meritata la sua virtù. Il che fu testificato da
molti epigrammi in quegli tempi in sua lode fatti. Se io avessi pertanto ad
edificare rocche, io farei loro le mura gagliarde e i fossi nel modo abbiamo
ragionato; né vi farei dentro altro che case per abitare, e quelle farei
deboli e basse di modo ch'elle non impedissero, a chi stesse nel mezzo della
piazza, la vista di tutte le mura, acciò che il capitano potesse vedere
con l'occhio dove potesse soccorrere e che ciascuno intendesse che perdute le
mura e il fosso, fusse perduta la rocca. E quando pure io vi facessi alcuno
ridotto, farei i ponti divisi in tal modo che ciascuna parte fusse signore de'
ponti dalla banda sua, ordinando che battessero in su' pilastri nel mezzo del
fosso.
BATISTA Voi avete detto che le cose piccole oggi non si possono difendere; ed
egli mi pareva avere inteso al contrario: che quanto minore era una cosa, meglio
si difendeva.
FABRIZIO Voi non avevi inteso bene; perché egli non si può chiamare
oggi forte quello luogo dove, chi lo difende non abbia spazio da ritirarsi con
nuovi fossi e con nuovi ripari; perché egli è tanto il furore
delle artiglierie, che quello che si fonda in su la guardia d'uno muro e d'uno
riparo solo, s'inganna; e perché i bastioni, volendo che non passino
la misura ordinaria loro, perché poi sarebbono terre e castella, non
si fanno in modo che altri si possa ritirare, si perdono subito. È adunque
savio partito lasciare stare questi bastioni di fuora e fortificare l'entrate
delle terre e coprire le porte di quelle con rivellini, in modo che non si entri
o esca della porta per linea retta, e dal rivellino alla porta sia uno fosso
con uno ponte. Affortificansi ancora le porte con le saracinesche, per potere
mettere dentro i suoi uomini quando sono usciti fuora a combattere e occorrendo
che i nimici gli caccino, ovviare che alla mescolata non entrino dentro con
loro. E però sono trovate queste, le quali gli antichi chiamano cateratte,
le quali, calandosi, escludono i nimici e salvono gli amici; perché in
tale caso altri non si può valere né de' ponti né della
porta, sendo l'uno e l'altra occupata dalla calca.
BATISTA Io ho vedute queste saracinesche che voi dite, fatte nella Magna di
travette in forma d'una graticola di ferro, e queste nostre sono fatte di panconi
tutte massicce. Disidererei intendere donde nasca questa differenza e quali
sieno più gagliarde.
FABRIZIO Io vi dico di nuovo che i modi e ordini della guerra in tutto il mondo,
rispetto a quegli degli antichi, sono spenti; ma in Italia sono al tutto perduti;
e se ci è cosa un poco più gagliarda, nasce dallo esemplo degli
oltramontani. Voi potete avere inteso, e quest'altri se ne possono ricordare,
con quanta debolezza si edificava innanzi che il re Carlo di Francia nel mille
quattrocento novantaquattro passasse in Italia. I merli si facevano sottili
un mezzo braccio, le balestriere e le bombardiere si facevano con poca apertura
di fuora e con assai dentro, e con molti altri difetti che, per non essere tedioso,
lascerò; perché da' merli sottili facilmente si lievano le difese,
e le bombardiere edificate in quel modo facilmente si aprono. Ora da' Franciosi
si è imparato a fare il merlo largo e grosso, e che ancora le bombardiere
sieno larghe dalla parte di dentro e ristringano infino alla metà del
muro e poi, di nuovo, rallarghino infino alla corteccia di fuora; questo fa
che l'artiglieria con fatica può levare le difese. Hanno pertanto i Franciosi,
come questi, molti altri ordini i quali, per non essere stati veduti da' nostri,
non sono stati considerati. Tra' quali è questo modo di saracinesche
fatte ad uso di graticola, il quale è di gran lunga migliore modo che
il vostro; perché, se voi avete per riparo d'una porta una saracinesca
soda come la vostra, calandola, voi vi serrate dentro e non potete per quella
offendere il nimico; talmente che quello con scure o con fuoco la può
combattere sicuramente. Ma s'ella è fatta ad uso di graticola, potete,
calata ch'ella è, per quelle maglie e per quegli intervalli difenderla
con lance, con balestre e con ogni altra generazione d'armi.
BATISTA Io ho veduto in Italia un altra usanza oltramontana, e questo è
fare i carri delle artiglierie co' razzi delle ruote torti verso i poli. Io
vorrei sapere perché gli fanno così, parendomi che sieno più
forti diritti, come quegli delle ruote nostre.
FABRIZIO Non crediate mai che le cose che si partono da modi ordinarii sieno
fatte a caso; e se voi credessi che gli facessero così per essere più
begli, voi erreresti, perché dove è necessaria la fortezza, non
si fa conto della bellezza, ma tutto nasce perché sono assai più
sicuri e più gagliardi che i vostri. La ragione è questa: il carro,
quando egli è carico, o e' va pari, o e' pende sopra il destro o sopra
il sinistro lato. Quando egli va pari, le ruote parimente sostengono il peso,
il quale, sendo diviso ugualmente tra loro, non le aggrava molto, ma, pendendo,
viene ad avere tutto il pondo del carro addosso a quella ruota, sopra la quale
egli pende. Se i razzi di quella sono diritti, possono facilmente fiaccarsi,
perché, pendendo la ruota, vengono i razzi a pendere ancora loro e a
non sostenere il peso per il ritto. E così quando il carro va pari e
quando eglino hanno meno peso, vengono ad essere più forti; quando il
carro va torto e che vengono ad avere più peso, e' sono più deboli.
Al contrario appunto interviene a' razzi torti de' carri franciosi; perché,
quando il carro, pendendo sopra una banda, ponta sopra di loro, per essere ordinariamente
torti, vengono allora ad essere diritti e potere sostenere gagliardamente tutto
il peso; che quando il carro va pari e che sono torti lo sostengono mezzo. Ma
torniamo alle nostre città e rocche. Usano ancora i Franciosi, per più
sicurtà delle porte delle terre loro e per potere nelle ossidioni più
facilmente mettere e trarre genti di quelle, oltre alle cose dette, un altro
ordine, del quale io non ne ho veduto ancora in Italia alcuno esemplo; e questo
è che rizzano dalla punta di fuora del ponte levatoio due pilastri, e
sopra ciascuno di quegli bilicono una trave; in modo che le metà di quelle
vengano sopra il ponte, l'altre metà di fuora. Di poi tutta quella parte
che viene di fuora congiungono con travette, le quali tessono dall'una trave
all'altra ad uso di graticola, e dalla parte di dentro appiccano alla punta
di ciascuna trave una catena. Quando vogliono adunque chiudere il ponte dalla
parte di fuora, eglino allentano le catene e lasciano calare tutta quella parte
ingraticolata la quale, abbassandosi, chiude il ponte; e quando lo vogliono
aprire, tirano le catene, e quella si viene ad alzare; e puossi alzare tanto
che vi passi sotto uno uomo e non uno cavallo, e tanto che vi passi il cavallo
e l'uomo, e chiuderla ancora affatto, perch'ella si abbassa ed alza come una
ventiera di merlo. Questo ordine è più sicuro che la saracinesca,
perché difficilmente può essere dal nimico impedito in modo che
non cali, non calando per una linea retta come la saracinesca, che facilmente
si può puntellare. Deono adunque coloro che vogliono fare una città,
fare ordinare tutte le cose dette; e di più si vorrebbe, almeno uno miglio
intorno alle mura, non vi lasciare né cultivare, né murare, ma
fusse tutta campagna dove non fusse né macchia, né argine, né
arbori, né casa che impedisse la vista e che facesse spalle al nimico
che si accampa. E notate che una terra che abbia i fossi di fuora con gli argini
più alti che il terreno, è debolissima; perché quegli fanno
riparo al nimico che ti assalta e non gli impediscono l'offenderti, perché
facilmente si possono aprire e dare luogo alle artiglierie di quello. Ma passiamo
dentro nella terra. Io non voglio perdere molto tempo in mostrarvi come, oltre
alle cose predette, conviene avere munizioni da vivere e da combattere, perché
sono cose che ciascuno se le intende e, sanza esse, ogni altro provvedimento
è vano. E generalmente si dee fare due cose: provvedere sé e tòrre
commodità al nimico di valersi delle cose del tuo paese. Però
gli strami, il bestiame, il frumento che tu non puoi ricevere in casa, si dee
corrompere. Debbe ancora, chi difende una terra, provvedere che tumultuariamente
e disordinatamente non si faccia alcuna cosa, e tenere modi che in ogni accidente
ciascuno sappia quello abbia a fare. Il modo è questo: che le donne,
i vecchi, i fanciugli e i deboli si stieno in casa e lascino la terra libera
a' giovani e gagliardi; i quali armati si distribuiscano alla difesa, stando
parte di quegli alle mura, parte alle porti, parte ne' luoghi principali della
città, per rimediare a quegli inconvenienti che potessero nascere dentro;
un'altra parte non sia obligata ad alcuno luogo, ma sia apparecchiata a soccorrere
a tutti, richiedendolo il bisogno. Ed essendo le cose ordinate così,
possono con difficultà nascere tumulti che ti disordinino. Ancora voglio
che notiate questo nelle offese e difese delle città: che niuna cosa
dà tanta speranza al nimico di potere occupare una terra, quanto il sapere
che quella non è consueta a vedere il nimico; perché molte volte,
per la paura solamente, sanza altra esperienza di forze, le città si
perdono. Però debbe uno, quando egli assalta una città simile,
fare tutte le sue ostentazioni terribili. Dall'altra parte chi è assaltato
debba preporre, da quella parte che il nimico combatte uomini forti e che non
gli spaventi l'opinione ma l'arme; perché se la prima pruova torna vana,
cresce animo agli assediati, e di poi il nimico è forzato a superare
chi è dentro con la virtù e non con la reputazione. Gli instrumenti
co' quali gli antichi difendevano le terre erano molti, come baliste, onagri,
scorpioni, arcubaliste, fustibali, funde; ed ancora erano molti quegli co' quali
le assaltavano, come arieti, torri, musculi, plutei, vinee, falci, testudini.
In cambio delle quali cose sono oggi l'artiglierie, le quali servono a chi offende
e a chi si difende; e però io non ne parlerò altrimenti. Ma torniamo
al ragionamento nostro, e vegnamo alle offese particolari. Debbesi avere cura
di non potere essere preso per fame e di non essere sforzato per assalti. Quanto
alla fame, si è detto che bisogna, prima che la ossidione venga, essersi
munito bene di viveri. Ma quando ne manca per la ossidione lunga, si è
veduto usare qualche volta qualche modo estraordinario ad essere provvisto dagli
amici che ti vorrebbero salvare, massime se per il mezzo della città
assediata corre uno fiume, come ferno i Romani essendo assediato Casalino loro
castello da Annibale, che, non potendo per il fiume mandare loro altro, gittorno
in quello gran quantità di noci, le quali, portate dal fiume sanza potere
essere impedite, ciborno più tempo i Casalinesi. Alcuni assediati, per
mostrare al nimico che gli avanza loro grano e per farlo disperare che non possa
per fame assediargli, hanno o gittato pane fuora delle mura, o dato mangiare
grano ad uno giovenco, e quello di poi lasciato pigliare, acciò che,
morto e trovatolo pieno di grano, mostri quella abbondanza che non hanno. Dall'altra
parte, i capitani eccellenti hanno usato vari termini per affamare il nimico.
Fabio lasciò seminare a' Campani, acciò che mancassero di quel
frumento che seminavano. Dionisio, essendo a campo a Reggio, finse di volere
fare con loro accordo, e durante la pratica si faceva provvedere da vivere,
e quando poi gli ebbe per questo modo voti di frumento, gli ristrinse ed affamogli.
Alessandro Magno, volendo espugnare Leucadia, espugnò tutti i castegli
allo intorno, e gli uomini di quegli lasciò rifuggire in quella; e così,
sopravvenendo assai moltitudine, l'affamò. Quanto agli assalti, si è
detto che altri si debbe guardare dal primo impeto, col quale i Romani occuparono
molte volte di molte terre, assaltandole ad un tratto e da ogni parte, e chiamavanlo
«Aggredi urbem corona», come fece Scipione quando occupò
Cartagine Nuova in Ispagna. Il quale impeto se si sostiene, con difficultà
sei poi superato. E se pure egli occorresse che il nimico fusse entrato dentro
nella città per avere sforzate le mura, ancora i terrazzani vi hanno
qualche rimedio, se non si abbandonano; perché molti eserciti sono, poi
che sono entrati in una terra, stati o ributtati o morti. Il rimedio è
che i terrazzani si mantengano ne' luoghi alti e dalle case e dalle torri gli
combattano. La quale cosa coloro che sono entrati nelle città si sono
ingegnati vincere in due modi: l'uno, con aprire le porte della città
e fare la via a' terrazzani che securamente si possano fuggire; l'altro, col
mandare fuora una voce che significhi che non si offenda se non gli armati,
e a chi getta l'armi in terra si perdoni. La quale cosa ha renduta facile la
vittoria di molte città. Sono facili, oltre a questo, le città
ad espugnarle, se tu giugni loro addosso imprevisto; il che si fa, trovandosi
con lo esercito discosto, in modo che non si creda o che tu le voglia assaltare,
o che tu possa farlo sanza che si presenta per la distanza del luogo. Donde
che se tu secretamente e sollecitamente le assalti, quasi sempre ti succederà
di riportarne la vittoria. Io ragiono male volentieri delle cose successe de'
nostri tempi, perché di me e de' miei mi sarebbe carico a ragionare;
d'altri non saprei che mi dire. Nondimeno non posso a questo proposito non addurre
lo esemplo di Cesare Borgia, chiamato duca Valentino; il quale, trovandosi a
Nocera con le sue genti, sotto colore di andare a' danni di Camerino si volse
verso lo stato d'Urbino, ed occupò uno stato in uno giorno e sanza alcuna
fatica, il quale un altro con assai tempo e spesa non arebbe appena occupato.
Conviene ancora, a quegli che sono assediati, guardarsi dagli inganni e dalle
astuzie del nimico; e però non si deono fidare gli assediati d'alcuna
cosa che veggano fare al nimico continuamente, ma credano sempre che vi sia
sotto lo inganno e che possa a loro danno variare. Domizio Calvino, assediando
una terra, prese per consuetudine di circuire ogni giorno, con buona parte delle
sue genti, le mura di quella. Donde credendo i terrazzani lo facesse per esercizio,
allentarono le guardie; di che accortosi Domizio, gli assaltò ed espugnogli.
Alcuni capitani, avendo presentito che doveva venire aiuto agli assediati, hanno
vestiti loro soldati sotto le insegne di quegli che dovevano venire, ed essendo
stati intromessi hanno occupato la terra. Cimone ateniese messe fuoco una notte
in uno tempio che era fuora della terra, onde i terrazzani, andando a soccorrerlo,
lasciarono in preda la terra al nimico. Alcuni hanno morti quegli che del castello
assediato vanno a saccomanno e rivestiti i suoi soldati con la veste de' saccomanni;
i quali di poi gli hanno dato la terra. Hanno ancora usato gli antichi capitani
vari termini da spogliare di guardie le terre che vogliono pigliare. Scipione,
sendo in Affrica e desiderando occupare alcuni castegli ne' quali erano messe
guardie da' Cartaginesi, finse più volte di volergli assaltare, ma poi
per paura non solamente astenersi, ma discostarsi da quegli. Il che credendo
Annibale essere vero, per seguirlo con maggiore forze e per potere più
facilmente opprimerlo, trasse tutte le guardie di quegli; il che Scipione conosciuto,
mandò Massinissa suo capitano ad espugnargli. Pirro, faccendo guerra
in Schiavonia ad una città capo di quello paese, dove era ridotta assai
gente in guardia, finse di essere disperato di poterla espugnare e, voltatosi
agli altri luoghi, fece che quella per soccorrergli si votò di guardie
e diventò facile ad essere sforzata. Hanno molti corrotte l'acque e derivati
i fiumi per pigliare le terre, ancora che di poi non riuscisse. Fannosi facili
ancora gli assediati ad arrendersi, spaventandogli con significare loro una
vittoria avuta o nuovi aiuti che vengano in loro disfavore. Hanno cerco gli
antichi capitani occupare le terre per tradimento, corrompendo alcuno di dentro;
ma hanno tenuti diversi modi. Alcuno ha mandato uno suo che, sotto nome di fuggitivo,
prenda autorità e fede co' nimici, la quale di poi usi in benificio suo.
Alcuno per questo mezzo ha inteso il modo delle guardie e, mediante quella notizia,
presa la terra. Alcuno ha impedito la porta, ch'ella non si possa serrare, con
uno carro e con travi sotto qualche colore, e per questo modo fatto l'entrare
facile al nimico. Annibale persuase ad uno che gli desse uno castello de' Romani
e che fingesse di andare a caccia la notte, mostrando non potere andare di giorno
per paura de' nimici, e, tornando di poi con la cacciagione, mettesse dentro
con seco de' suoi uomini e, ammazzata la guardia, gli desse la porta. Ingannansi
ancora gli assediati col tirargli fuora della terra e discostargli da quella,
mostrando, quando essi ti assaltano, di fuggire. E molti, tra' quali fu Annibale,
hanno non ch'altro, lasciatosi tòrre gli alloggiamenti per avere occasione
di mettergli in mezzo e tòrre loro la terra. Ingannansi ancora col fingere
di partirsi, come fece Formione ateniese; il quale, avendo predato il paese
de' Calcidensi, ricevé di poi i loro ambasciadori, riempiendo la loro
città di sicurtà e di buone promesse sotto le quali, come uomini
poco cauti, furono poco di poi da Formione oppressi. Debbonsi gli assediati
guardare dagli uomini che egli hanno fra loro sospetti; ma qualche volta si
suole così assicurarsene col merito come con la pena. Marcello, conoscendo
come Lucio Banzio Nolano era volto a favorire Annibale, tanta umanità
e liberalità usò verso di lui, che di nimico se lo fece amicissimo.
Deono gli assediati usare più diligenza nelle guardie, quando il nimico
si è discostato, che quando egli è propinquo; e deono guardare
meglio quegli luoghi i quali pensano che possano essere offesi meno; perché
si sono perdute assai terre quando il nimico le assalta da quella parte donde
essi non credono essere assaltati. E questo inganno nasce da due cagioni: o
per essere il luogo forte e credere che sia inaccessibile, o per essere usata
arte dal nimico di assaltargli da uno lato, con romori finti e, dall'altro,
taciti e con assalti veri. E però deono gli assediati avere a questo
grande avvertenza, e sopra tutto d'ogni tempo, e massime la notte, fare buone
guardie alle mura; e non solamente preporvi uomini, ma i cani, e torgli feroci
e pronti, i quali col fiuto presentano il nimico e con lo abbaiare lo scuoprano.
E non che i cani, si è trovato che l'oche hanno salvo una città,
come intervenne a' Romani quando i Franzesi assediavano il Campidoglio. Alcibiade,
per vedere se le guardie vigilavano, essendo assediata Atene dagli Spartani,
ordinò che, quando la notte egli alzasse uno lume, tutte le guardie lo
alzassero, constituendo pena a chi non lo osservasse. Ificrate ateniese ammazzò
una guardia che dormiva, dicendo di averlo lasciato come l'aveva trovato. Hanno
coloro che sono assediati tenuti vari modi a mandare avvisi agli amici loro;
e per non mandare imbasciate a bocca, scrivono lettere in cifera e nascondonle
in vari modi: le cifere sono secondo la volontà di chi l'ordina, il modo
del nasconderle è vario. Chi ha scritto il fodero, dentro, d'una spada;
altri hanno messe le lettere in uno pane crudo, e di poi cotto quello e datolo
come per suo cibo a colui che le porta. Alcuni se le sono messe ne' luoghi più
secreti del corpo. Altri le hanno messe in un collare d'uno cane che sia familiare
di quello che le porta. Alcuni hanno scritto in una lettera cose ordinarie,
e di poi, tra l'uno verso e l'altro, scritto con acque che, bagnandole e scaldandole,
poi le lettere appariscano. Questo modo è stato astutissimamente osservato
ne' nostri tempi; dove che, volendo alcuno significare cose da tenere secrete
a' suoi amici che dentro a una terra abitavano, e non volendo fidarsi di persona,
mandava scomuniche scritte secondo la consuetudine ed interlineate, come io
dico di sopra, e quelle faceva alle porte de' templi suspendere; le quali conosciute
da quegli che per gli contrassegni le conoscevano, erano spiccate e lette. Il
quale modo è cautissimo, perché chi le porta vi può esser
ingannato e non vi corre alcuno pericolo. Sono infiniti altri modi che ciascuno
per sé medesimo può fingere e trovare. Ma con più facilità
si scrive agli assediati, che gli assediati agli amici di fuora, perché
tali lettere non le possono mandare, se non per uno che sotto ombra di fuggitivo
esca della terra; il che è cosa dubbia e pericolosa quando il nimico
è punto cauto. Ma quelli che mandono dentro, può quello che è
mandato, sotto molti colori andare nel campo che assedia, e di quivi, presa
conveniente occasione, saltare nella terra. Ma vegnamo a parlare delle presenti
espugnazioni; e dico che s'egli occorre che tu sia combattuto nella tua città,
che non sia ordinata co' fossi dalla parte di dentro, come poco fa dimostrammo,
a volere che il nimico non entri per le rotture del muro che l'artiglieria fa
(perché alla rottura ch'ella non si faccia non è rimedio), ti
è necessario, mentre che l'artiglieria batte, muovere uno fosso dentro
al muro che è percosso, largo almeno trenta braccia, e gittare tutto
quello che si cava di verso la terra, che faccia argine e più profondo
il fosso; e ti conviene sollecitare questa opera in modo che, quando il muro
caggia, il fosso sia cavato almeno cinque o sei braccia. Il quale fosso è
necessario, mentre che si cava, chiudere da ogni fianco con una casamatta. E
quando il muro è sì gagliardo che ti dia tempo a fare il fosso
e le casematte, viene ad essere più forte quella parte battuta che il
resto della città; perché tale riparo viene ad avere la forma
che noi demmo a' fossi di dentro. Ma quando il muro è debole e che non
ti dia tempo, allora è che bisogna mostrare la virtù, ed opporvisi
con le genti armate e con tutte le forze tue. Questo modo di riparare fu osservato
da' Pisani, quando voi vi andavi a campo; e poterono farlo, perché avevano
le mura gagliarde, che davano loro tempo, e il terreno tenace e attissimo a
rizzare argini e fare ripari. Che se fussono mancati di questa commodità,
si sarebbero perduti. Pertanto si farà sempre prudentemente a provvedersi
prima, faccendo i fossi dentro alla sua città e per tutto il suo circuito,
come poco fa divisammo, perché in questo caso si aspetta ozioso e sicuro
il nimico, essendo i ripari fatti. Occupavano gli antichi molte volte le terre
con le cave sutterranee in due modi: o e' facevano una via sotterra segretamente
che riusciva nella terra, e per quella entravano (nel quale modo i Romani presono
la città de' Veienti) o con le cave scalzavano uno muro e facevanlo rovinare.
Questo ultimo modo è oggi più gagliardo e fa che le città
poste alto sieno più deboli, perché si possono meglio cavare;
e mettendo di poi nelle cave di quella polvere che in istante si accende, non
solamente rovina uno muro, ma i monti si aprono e le fortezze tutte in più
parti si dissolvono. Il rimedio a questo è edificare in piano e fare
il fosso che cigne la tua città tanto profondo, che il nimico non possa
cavare più basso di quello che non trovi l'acqua, la quale è solamente
nimica di queste cave. E se pure ti truovi con la terra che tu difendi in poggio,
non puoi rimediarvi con altro che fare dentro alle tue mura assai pozzi profondi,
i quali sono come sfogatoi a quelle cave che il nimico ti potesse ordinare contra.
Un altro rimedio è fargli una cava all'incontro, quando ti accorgessi
donde quello cavasse; il quale modo facilmente lo impedisce, ma difficilmente
si prevede, essendo assediato da uno nimico cauto. Deve sopra tutto avere cura,
quello che è assediato, di non essere oppresso ne' tempi del riposo,
come è dopo una battaglia avuta, dopo le guardie fatte, che è
la mattina al fare del giorno, la sera tra dì e notte, e sopra tutto
quando si mangia; nel quale tempo molte terre sono espugnate e molti eserciti
sono stati da quegli di dentro rovinati. Però si debbe con diligenza
da ogni parte stare sempre guardato e in buona parte armato. Io non voglio mancare
di dirvi come quello che fa difficile il difendere una città o uno alloggiamento
è lo avere a tenere disunite tutte le forze che tu hai in quegli; perché,
potendoti il nimico assalire a sua posta tutto insieme da qualunque banda, ti
conviene tenere ogni luogo guardato; e così quello ti assalta con tutte
le forze e tu con parte di quelle ti difendi. Può ancora lo assediato
essere vinto in tutto, quello di fuora non può essere se non ributtato;
onde che molti che sono stati assediati o nello alloggiamento o in una terra,
ancora che inferiori di forze sono usciti con tutte le loro genti ad un tratto
fuora e hanno superato il nimico. Questo fece Marcello a Nola; questo fece Cesare
in Francia, che, essendogli assaltati gli alloggiamenti da uno numero grandissimo
di Franzesi e veggendo non gli potere difendere per avere a dividere le sue
forze in più parti, e non potere, stando dentro agli steccati, con empito
urtare il nimico, aperse da una banda lo alloggiamento, e, rivoltosi in quella
parte con tutte le forze, fece tanto impeto loro contra e con tanta virtù
che gli superò e vinse. La costanza ancora degli assediati fa molte volte
disperare e sbigottire coloro che assediano. Essendo Pompeo a fronte di Cesare
e patendo assai l'esercito Cesariano per la fame, fu portato del suo pane a
Pompeo; il quale vedendo fatto di erbe comandò che non si mostrasse al
suo esercito per non lo fare sbigottire, vedendo quali nimici aveva all'incontro.
Niuna cosa fece tanto onore a' Romani nella guerra di Annibale quanto la costanza
loro, perché in qualunque più nimica e avversa fortuna mai non
domandorono pace, mai fecero alcun segno di timore; anzi, quando Annibale era
allo intorno di Roma, si venderono quegli campi dove egli aveva posti i suoi
alloggiamenti, più pregio che per l'ordinario per altri tempi venduti
non si sarebbono; e stettero in tanto ostinati nelle imprese loro, che, per
difendere Roma, non vollero levare le offese da Capua, la quale, in quel medesimo
tempo che Roma era assediata, i Romani assediavano. Io so che io vi ho detto
di molte cose le quali per voi medesimi avete potuto intendere e considerare;
nondimeno l'ho fatto, come oggi ancora vi dissi, per potervi mostrare, mediante
quelle, meglio la qualità di questo esercizio e ancora per sodisfare
a quegli, se alcuno ce ne fusse, che non avessero avuta quella commodità
di intenderle che voi. Né mi pare che ci resti altro a dirvi che alcune
regole generali, le quali voi averete familiarissime; che sono queste:
Quello che giova al nimico nuoce a te, e quel che giova a te nuoce al nimico.
Colui che sarà nella guerra più vigilante a osservare i disegni
del nimico e più durerà fatica ad esercitare il suo esercito,
in minori pericoli incorrerà e più potrà sperare della
vittoria.
Non condurre mai a giornata i tuoi soldati, se prima non hai confermato l'animo
loro e conosciutogli sanza paura e ordinati, né mai ne farai pruova,
se non quando vedi ch'egli sperano di vincere.
Meglio è vincere il nimico con la fame che col ferro, nella vittoria
del quale può molto più la fortuna che la virtù.
Niuno partito è migliore che quello che sta nascoso al nimico infino
che tu lo abbia eseguito.
Sapere nella guerra conoscere l'occasione e pigliarla, giova più che
niuna altra cosa.
La natura genera pochi uomini gagliardi; la industria e lo esercizio ne fa assai.
Può la disciplina nella guerra più che il furore.
Quando si partono alcuni dalla parte nimica per venire a' servizi tuoi, quando
sieno fedeli vi sarà sempre grandi acquisti; perché le forze degli
avversari più si minuiscono con la perdita di quegli che si fuggono,
che di quegli che sono ammazzati, ancora che il nome de' fuggitivi sia a' nuovi
amici sospetto, a' vecchi odioso.
Meglio è, nell'ordinare la giornata, riserbare dietro alla prima fronte
assai aiuti, che, per fare la fronte maggiore, disperdere i suoi soldati.
Difficilmente è vinto colui che sa conoscere le forze sue e quelle del
nimico.
Più vale la virtù de' soldati che la moltitudine; più giova
alcuna volta il sito che la virtù.
Le cose nuove e subite sbigottiscono gli eserciti; le cose consuete e lente
sono poco stimate da quegli; però farai al tuo esercito praticare e conoscere
con piccole zuffe un nimico nuovo, prima che tu venga alla giornata con quello.
Colui che seguita con disordine il nimico poi ch'egli è rotto, non vuole
fare altro che diventare, di vittorioso, perdente.
Quello che non prepara le vettovaglie necessarie al vivere è vinto sanza
ferro.
Chi confida più ne' cavagli che ne' fanti, o più ne' fanti che
ne' cavagli, si accomodi col sito.
Quando tu vuoi vedere se, il giorno, alcuna spia è venuta in campo, fa'
che ciascuno ne vadia al suo alloggiamento.
Muta partito, quando ti accorgi che il nimico l'abbia previsto.
Consigliati, delle cose che tu dèi fare, con molti; quello che di poi
vuoi fare conferisci con pochi.
I soldati, quando dimorano alle stanze, si mantengano col timore e con la pena;
poi, quando si conducono alla guerra, con la speranza e col premio.
I buoni capitani non vengono mai a giornata se la necessità non gli strigne
o la occasione non gli chiama.
Fa' che i tuoi nimici non sappiano come tu voglia ordinare l'esercito alla zuffa:
e in qualunque modo l'ordini, fa' che le prime squadre possano essere ricevute
dalle seconde e dalle terze.
Nella zuffa non adoperare mai una battaglia ad un'altra cosa che a quella per
che tu l'avevi deputata, se tu non vuoi fare disordine.
Agli accidenti subiti con difficultà si rimedia, a' pensati con facilità.
Gli uomini, il ferro, i danari e il pane sono il nervo della guerra; ma di questi
quattro sono più necessarii i primi due, perché gli uomini e il
ferro truovano i danari e il pane, ma il pane e i danari non truovano gli uomini
e il ferro.
Il disarmato ricco è premio del soldato povero.
Avvezza i tuoi soldati a spregiare il vivere delicato e il vestire lussurioso.
Questo è quanto mi occorre generalmente ricordarvi; e so che si sarebbero
possute dire molte altre cose in tutto questo mio ragionamento, come sarebbero:
come e in quanti modi gli antichi ordinavano le schiere; come vestivano e come
in molte altre cose si esercitavano, e aggiugnervi assai particolari i quali
non ho giudicati necessarii narrare, sì perché per voi medesimi
potete vederli, sì ancora perché la intenzione mia non è
stata mostrarvi appunto come l'antica milizia era fatta, ma come in questi tempi
si potesse ordinare una milizia che avesse più virtù che quella
che si usa. Donde che non mi è parso delle cose antiche ragionare altro
che quello che io ho giudicato a tale introduzione necessario. So ancora che
io mi arei avuto ad allargare più sopra la milizia a cavallo e di poi
ragionare della guerra navale, perché chi distingue la milizia dice come
egli è uno esercizio di mare e di terra, a piè e a cavallo. Di
quello di mare io non presumerei parlare, per non ne avere alcuna notizia; ma
lascieronne parlare a' Genovesi e a' Viniziani, i quali con simili studi hanno
per lo addietro fatto gran cose. De' cavagli ancora non voglio dire altro che
di sopra mi abbia detto, essendo, come io dissi, questa parte corrotta meno.
Oltre a questo, ordinate che sono bene le fanterie, che sono il nervo dello
esercito, si vengono di necessità a fare buoni cavagli. Solo ricorderei
a chi ordinasse la milizia nel paese suo per riempierlo di cavagli, facesse
due provvedimenti: l'uno, che distribuisse cavalle di buona razza per il suo
contado e avvezzasse i suoi uomini a fare incette di puledri come voi in questo
paese fate de' vitegli e de' muli; l'altro, acciò che gli incettanti
trovassero il comperatore, proibirei il potere tenere mulo ad alcuno che non
tenesse cavallo, talmente che chi volesse tenere una cavalcatura sola fusse
costretto tenere cavallo; e di più, che non potesse vestire di drappo
se non chi tenesse cavallo. Questo ordine intendo essere stato fatto da alcuno
principe ne' nostri tempi, e in brevissimo tempo avere nel paese suo ridotto
una ottima cavalleria. Circa alle altre cose, quanto si aspetta a' cavagli,
mi rimetto a quanto oggi vi dissi e a quello che si costuma. Desidereresti forse
ancora intendere quali parte debbe avere uno capitano? A che io vi sodisfarò
brevissimamente, perché io non saprei eleggere altro uomo che quello
che sapesse fare tutte quelle cose che da noi sono state oggi ragionate; le
quali ancora non basterebbero, quando non ne sapesse trovare da sé, perché
niuno sanza invenzione fu mai grande uomo nel mestiero suo; e se la invenzione
fa onore nell'altre cose, in questo sopra tutto ti onora. E si vede ogni invento,
ancora che debole, essere dagli scrittori celebrato; come si vede che lodano
Alessandro Magno, che, per disalloggiare più segretamente, non dava il
segno con la tromba, ma con uno cappello sopra una lancia. È laudato
ancora per avere ordinato agli suoi soldati che, nello appiccarsi con gli nimici,
s'inginocchiassero col piè manco, per potere più gagliardamente
sostenere l'impeto loro; il che avendogli dato la vittoria, gli dette ancora
tanta lode, che tutte le statue, che si rizzavano in suo onore, stavano in quella
guisa. Ma perch'egli è tempo di finire questo ragionamento, io voglio
tornare a proposito; e parte fuggirò quella pena in che si costuma condannare
in questa terra coloro che non vi tornano. Se vi ricorda bene, Cosimo, voi mi
dicesti che, essendo io dall'uno canto esaltatore della antichità e biasimatore
di quegli che nelle cose gravi non la imitano, e, dall'altro, non la avendo
io nelle cose della guerra, dove io mi sono affaticato, imitata, non ne potevi
ritrovare la cagione; a che io risposi come gli uomini che vogliono fare una
cosa, conviene prima si preparino a saperla fare, per potere poi operarla quando
l'occasione lo permetta. Se io saprei ridurre la milizia ne' modi antichi o
no, io ne voglio per giudici voi che mi avete sentito sopra questa materia lungamente
disputare; donde voi avete potuto conoscere quanto tempo io abbia consumato
in questi pensieri, e ancora credo possiate immaginare quanto disiderio sia
in me di mandargli ad effetto. Il che se io ho potuto fare, o se mai me ne è
stata data occasione, facilmente potete conietturarlo. Pure per farvene più
certi, e per più mia giustificazione, voglio ancora addurne le cagioni;
e parte vi osserverò quanto promissi di dimostrarvi: le difficultà
e le facilità che sono al presente in tali imitazioni. Dico pertanto
come niuna azione che si faccia oggi tra gli uomini, è più facile
a ridurre ne' modi antichi che la milizia, ma per coloro soli che sono principi
di tanto stato, che potessero almeno di loro suggetti mettere insieme quindici
o ventimila giovani. Dall'altra parte, niuna cosa è più difficile
che questa a coloro che non hanno tale commodità. E perché voi
intendiate meglio questa parte, voi avete a sapere come e' sono di due ragioni
capitani lodati. L'una è quegli che con uno esercito ordinato per sua
naturale disciplina hanno fatto grandi cose, come furono la maggior parte de'
cittadini romani e altri che hanno guidati eserciti; i quali non hanno avuto
altra fatica che mantenergli buoni e vedere di guidargli sicuramente. L'altra
è quegli che non solamente hanno avuto a superare il nimico, ma, prima
ch'egli arrivino a quello, sono stati necessitati fare buono e bene ordinato
l'esercito loro, i quali sanza dubbio meritono più lode assai che non
hanno meritato quegli che con gli eserciti antichi e buoni hanno virtuosamente
operato. Di questi tali fu Pelopida ed Epaminonda, Tullo Ostilio, Filippo di
Macedonia padre d'Alessandro, Ciro re de' Persi, Gracco romano. Costoro tutti
ebbero prima a fare l'esercito buono, e poi combattere con quello. Costoro tutti
lo poterono fare, sì per la prudenza loro, sì per avere suggetti
da potergli in simile esercizio indirizzare. Né mai sarebbe stato possibile
che alcuno di loro, ancora che uomo pieno d'ogni eccellenza, avesse potuto in
una provincia aliena, piena di uomini corrotti, non usi ad alcuna onesta ubbidienza,
fare alcuna opera lodevole. Non basta adunque in Italia il sapere governare
uno esercito fatto, ma prima è necessario saperlo fare e poi saperlo
comandare. E di questi bisogna sieno quegli principi che, per avere molto stato
e assai suggetti, hanno commodità di farlo. De' quali non posso essere
io che non comandai mai, né posso comandare se non a eserciti forestieri
e a uomini obligati ad altri e non a me. Ne' quali s'egli è possibile
o no introdurre alcuna di quelle cose da me oggi ragionate, lo voglio lasciare
nel giudicio vostro. Quando potrei io fare portare a uno di questi soldati che
oggi si praticano, più armi che le consuete, e, oltra alle armi, il cibo
per due o tre giorni e la zappa? Quando potrei io farlo zappare o tenerlo ogni
giorno molte ore sotto l'armi negli esercizi finti, per potere poi ne' veri
valermene? Quando si asterrebbe egli da' giuochi, dalle lascivie, dalle bestemmie,
dalle insolenze che ogni dì fanno? Quando si ridurrebbero eglino in tanta
disciplina e in tanta ubbidienza e reverenza, che uno arbore pieno di pomi nel
mezzo degli alloggiamenti vi si trovasse e lasciasse intatto come si legge che
negli eserciti antichi molte volte intervenne? Che cosa posso io promettere
loro, mediante la quale e' mi abbiano con reverenza ad amare o temere, quando,
finita la guerra, e' non hanno più alcuna cosa a convenire meco? Di che
gli ho io a fare vergognare, che sono nati e allevati sanza vergogna? Perché
mi hanno eglino ad osservare che non mi conoscono? Per quale Iddio, o per quali
santi gli ho io a fare giurare? Per quei ch'egli adorano, o per quei che bestemmiano?
Che ne adorino non so io alcuno, ma so bene che li bestemmiano tutti. Come ho
io a credere ch'egli osservino le promesse a coloro che ad ogni ora essi dispregiano?
Come possono coloro che dispregiano Iddio, riverire gli uomini? Quale dunque
buona forma sarebbe quella che si potesse imprimere in questa materia? E se
voi mi allegassi che i Svizzeri e gli Spagnuoli sono buoni, io vi confesserei
come eglino sono di gran lunga migliori che gli Italiani; ma se voi noterete
il ragionamento mio e il modo del procedere d'ambidue, vedrete come e' manca
loro di molte cose ad aggiugnere alla perfezione degli antichi. E i Svizzeri
sono fatti buoni da uno loro naturale uso causato da quello che oggi vi dissi,
quegli altri da una necessità; perché, militando in una provincia
forestiera e parendo loro essere costretti o morire o vincere, per non parere
loro avere luogo alla fuga, sono diventati buoni. Ma è una bontà
in molte parti defettiva, perché in quella non è altro di buono,
se non che si sono assuefatti ad aspettare il nimico infino alla punta della
picca e della spada. Né quello che manca loro, sarebbe alcuno atto ad
insegnarlo, e tanto meno chi non fusse della loro lingua. Ma torniamo agli Italiani,
i quali, per non avere avuti i principi savi, non hanno preso alcuno ordine
buono, e, per non avere avuto quella necessità che hanno avuta gli Spagnuoli,
non gli hanno per loro medesimi presi; tale che rimangono il vituperio del mondo.
Ma i popoli non ne hanno colpa, ma sì bene i principi loro; i quali ne
sono stati gastigati, e della ignoranza loro ne hanno portate giuste pene perdendo
ignominiosamente lo stato, e sanza alcuno esemplo virtuoso. Volete voi vedere
se questo che io dico è vero? Considerate quante guerre sono state in
Italia dalla passata del re Carlo ad oggi; e solendo le guerre fare uomini bellicosi
e riputati, queste quanto più sono state grandi e fiere, tanto più
hanno fatto perdere di riputazione alle membra e a' capi suoi. Questo conviene
che nasca che gli ordini consueti non erano e non sono buoni; e degli ordini
nuovi non ci è alcuno che abbia saputo pigliarne. Né crediate
mai che si renda riputazione alle armi italiane, se non per quella via che io
ho dimostra e mediante coloro che tengono stati grossi in Italia; perché
questa forma si può imprimere negli uomini semplici, rozzi e proprii,
non ne' maligni, male custoditi e forestieri. Né si troverrà mai
alcuno buono scultore che creda fare una bella statua d'un pezzo di marmo male
abbozzato, ma sì bene d'uno rozzo. Credevano i nostri principi italiani,
prima ch'egli assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre, che a uno principe
bastasse sapere negli scrittoi pensare una acuta risposta, scrivere una bella
lettera, mostrare ne' detti e nelle parole arguzia e prontezza, sapere tessere
una fraude, ornarsi di gemme e d'oro, dormire e mangiare con maggiore splendore
che gli altri, tenere assai lascivie intorno, governarsi co' sudditi avaramente
e superbamente, marcirsi nello ozio, dare i gradi della milizia per grazia,
disprezzare se alcuno avesse loro dimostro alcuna lodevole via, volere che le
parole loro fussero responsi di oraculi; né si accorgevano i meschini
che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava. Di qui nacquero
poi nel mille quattrocento novantaquattro i grandi spaventi, le subite fughe
e le miracolose perdite; e così tre potentissimi stati che erano in Italia,
sono stati più volte saccheggiati e guasti. Ma quello che è peggio,
è che quegli che ci restano stanno nel medesimo errore e vivono nel medesimo
disordine, e non considerano che quegli che anticamente volevano tenere lo stato,
facevano e facevano fare tutte quelle cose che da me si sono ragionate, e che
il loro studio era preparare il corpo a' disagi e lo animo a non temere i pericoli.
Onde nasceva che Cesare, Alessandro e tutti quegli uomini e principi eccellenti,
erano i primi tra' combattitori, andavano armati a piè, e se pure perdevano
lo stato, e' volevano perdere la vita; talmente che vivevano e morivano virtuosamente.
E se in loro, o in parte di loro, si poteva dannare troppa ambizione di regnare,
mai non si troverrà che in loro si danni alcuna mollizie o alcuna cosa
che faccia gli uomini delicati e imbelli. Le quali cose, se da questi principi
fussero lette e credute, sarebbe impossibile che loro non mutassero forma di
vivere e le provincie loro non mutassero fortuna. E perché voi, nel principio
di questo nostro ragionamento, vi dolesti della vostra ordinanza, io vi dico
che, se voi la avete ordinata come io ho di sopra ragionato ed ella abbia dato
di sé non buona esperienza, voi ragionevolmente ve ne potete dolere;
ma s'ella non è così ordinata ed esercitata come ho detto, ella
può dolersi di voi che avete fatto uno abortivo, non una figura perfetta.
I Viniziani ancora e il duca di Ferrara la cominciarono e non la seguirono,
il che è stato per difetto loro, non degli uomini loro. E io vi affermo
che qualunque di quelli che tengono oggi stati in Italia prima entrerrà
per questa via, fia, prima che alcuno altro, signore di questa provincia; e
interverrà allo stato suo come al regno de' Macedoni, il quale, venendo
sotto a Filippo che aveva imparato il modo dello ordinare gli eserciti da Epaminonda
tebano, diventò, con questo ordine e con questi esercizi, mentre che
l'altra Grecia stava in ozio e attendeva a recitare commedie, tanto potente
che potette in pochi anni tutta occuparla, e al figliuolo lasciare tale fondamento,
che potéo farsi principe di tutto il mondo. Colui adunque che dispregia
questi pensieri, s'egli è principe, dispregia il principato suo; s'egli
è cittadino, la sua città. E io mi dolgo della natura, la quale
o ella non mi dovea fare conoscitore di questo, o ella mi doveva dare facultà
a poterlo eseguire. Né penso oggimai, essendo vecchio, poterne avere
alcuna occasione; e per questo io ne sono stato con voi liberale, che, essendo
giovani e qualificati, potrete, quando le cose dette da me vi piacciano, ai
debiti tempi, in favore de' vostri principi, aiutarle e consigliarle. Di che
non voglio vi sbigottiate o diffidiate, perché questa provincia pare
nata per risuscitare le cose morte, come si è visto della poesia, della
pittura e della scultura. Ma quanto a me si aspetta, per essere in là
con gli anni, me ne diffido. E veramente, se la fortuna mi avesse conceduto
per lo addietro tanto stato quanto basta a una simile impresa, io crederei,
in brevissimo tempo, avere dimostro al mondo quanto gli antichi ordini vagliono;
e sanza dubbio o io l'arei accresciuto con gloria o perduto sanza vergogna.