Biblioteca Multimediale Marxista
Dall'introduzione al volume Le brigate internazionali in Spagna,
Editori Riuniti, Roma 1956
Questa narrazione della partecipazione delle brigate internazionali
alla guerra di Spagna (1936-39) è stata scritta, nella sua prima stesura,
in francese, a Parigi, subito dopo la caduta della Repubblica spagnola, tra
l'aprile e l'agosto del 1939.
Per la sua redazione mi è stato possibile utilizzare: il ricco archivio
del Commissariato generale delle brigate internazionali, di cui fui responsabile
dal principio alla fine della guerra; le «cronache» e le «storie»
delle varie brigate, che volontari di ciascuna di esse prepararono, in quello
stesso periodo, sotto il mio controllo; le diverse edizioni dell'organo dei
volontari delle brigate internazionali, Voluntarios de la libertad, e tutte
le pubblicazioni apparse fino allora, relative a questa o a quella unità.
Nell'intento di dare alla narrazione carattere di schietta immediatezza, di
utilizzare nel modo migliore il prezioso materiale a disposizione e di presentare
i vari aspetti e problemi della lotta come furono visti e sentiti nel momento
stesso che si posero, ho preferito raccontare gli avvenimenti giorno per giorno,
nell'ordine stesso che si sono succeduti. Per questo tutta la narrazione si
svolge al tempo presente. Ma di rado le brigate e le altre unità internazionali
hanno operato assieme, su uno stesso tratto di fronte. Perciò ho dovuto
spesso interrompere la narrazione delle vicende di una unità per riprendere
il filo di quelle di un'altra, e farle avanzare tutte più o meno in ordine
con il calendario.
In quell'estate del 1939 ero giunto già a buon punto del mio lavoro,
quando Hitler scatenò l'aggressione contro la Polonia ed ebbe inizio
la seconda guerra mondiale. Arrestato, due giorni prima ancora dello scoppio
della guerra, dalla polizia francese, fui rinchiuso nel campo di Vernet, consegnato
poi, al principio del 1942, alla polizia fascista e deportato a Ventotene, dove
rimasi fino alla caduta del fascismo. L'8 settembre e la guerra di liberazione
nazionale mi tennero in tutt'altre faccende affaccendato. Ma questo solo per
modo di dire. In fondo, era la stessa lotta armata contro il fascismo, iniziata
in Spagna, che noi garibaldini continuavamo in Italia. Molte delle esperienze
politiche, organizzative, militari raccolte nelle file delle brigate internazionali
ci furono di prezioso aiuto per capire e risolvere, nelle particolari condizioni
della nostra lotta liberatrice, tutti i problemi che ci si presentarono poi
in Italia.
Nel rileggere le pagine scritte tanti anni fa e nel ripensare ai problemi ed
alle esperienze della partecipazione dei volontari internazionali alla guerra
di Spagna, mi ha colpito il grande numero di situazioni e di problemi analoghi
o quasi a quelli — di natura politica, militare, umana e organizzativa
— di fronte ai quali ci siamo poi trovati in Italia. A pensarci, persino
il famoso proclama di Alexander arrivato nel territorio occupato dai tedeschi
nel momento più critico della guerra partigiana, come un invito alla
smobilitazione, trova il suo riscontro politico, organizzativo ed umano, per
quanto riguarda i garibaldini in Spagna, nella richiesta di Pacciardi che la
XII brigata internazionale Garibaldi, dopo i primi mesi di duri e sanguinosi
combattimenti, considerasse esaurito il suo compito di solidarietà con
i repubblicani spagnoli e si sciogliesse, mentre la guerra infuriava più
che mai e le sue sorti erano ben lungi dall'essere decise.
Lo scoppio della guerra mondiale, come già detto, mandò me in
carcere e lontano da ogni documentazione e pubblicazione sulla Spagna. Arrivai
in Italia letteralmente con le mani e i piedi legati — catene ai polsi,
catene alle caviglie. Tutto il mio patrimonio era in un fagottino che raccoglieva
qualche povero effetto personale, una scatola di latte condensato e alcune zollette
di zucchero: la riserva di ferro da conservare gelosamente per i momenti di
maggior fame, che mi aspettavo di dover ancora affrontare.
Naturalmente, del dattiloscritto sulla guerra di Spagna non conservavo nulla
più che un vago ricordo. Le vicende carcerarie mie e dei miei, gli arresti
dei compagni e degli amici, seguiti all'occupazione tedesca di Parigi e di tanta
parte della Francia, pensavo che avessero finito col disperdere ai quattro venti
o far consumare dalle fiamme tutto quanto restava del mio lavoro. È vero
ch'io, quasi presago degli avvenimenti che dovevano accadere, avevo fatto fare
cinque copie di ogni capitolo della mia narrazione. Ogni copia l'avevo fatta
riporre in qualche «posto sicuro», o creduto tale. Ma, a liberazione
avvenuta, in Francia, non trovai più traccia dei miei dattiloscritti.
Non c'era più che da mettere l'animo in pace e lasciare ad altri il compito
di narrare le vicende delle brigate internazionali in Spagna. Ma, facendo frugare
tra gli archivi del Commissariato delle brigate internazionali, salvatisi, nonostante
le molte peripezie subite durante gli anni della guerra, riuscii alfine a recuperare
una copia della mia narrazione.
Rileggendo le pagine scritte tanti anni fa mi è parso che non fosse inutile
tentarne ancora, anche a così grande distanza, la pubblicazione. Primo,
perché finora nulla è stato scritto, ch'io sappia, che cerchi
di dare un quadro d'insieme della partecipazione delle brigate internazionali
alla guerra di Spagna. Secondo, perché io, per la carica ricoperta alla
testa delle brigate internazionali durante tutto il periodo della loro esistenza
e, perciò, per la conoscenza personale delle unità e degli avvenimenti
in cui esse sono state coinvolte, sono forse, se non il solo, certo tra i pochi
che possono portare una testimonianza diretta e la meno incompleta su tutte
le vicende, i problemi, gli eroismi delle unità e dei volontari internazionali
in Spagna.
È stato perciò anche con la coscienza di assolvere un preciso
dovere verso tutti i combattenti delle brigate internazionali in Spagna, e,
in particolare, verso i caduti, ch'io ho ripreso a curare la mia narrazione,
troncata improvvisamente tanti anni fa. Quella narrazione, nella prima stesura,
era destinata innanzitutto al pubblico francese. Ora, l'ho riscritta completamente,
ma, pur mantenendole sempre il suo carattere di relazione sulla partecipazione
di tutte le formazioni internazionali alla guerra di Spagna, ho tenuto presente
che essa è destinata, in primo luogo, al pubblico italiano. I volontari
degli altri paesi mi perdoneranno perciò se alle vicende loro, alle loro
lotte e ai loro eroismi non ho sempre dato, nella mia narrazione, tutto lo spazio
e tutta l'attenzione che meritavano.
La mia narrazione si arresta alla battaglia di Brunete (luglio 1937). Perciò,
praticamente, riflette il primo anno di guerra in Spagna, cioè, di fatto,
tutte le operazioni militari di rilievo che, in un modo o nell'altro, hanno
avuto Madrid come obiettivo immediato o lontano. Anche in questa seconda stesura,
ho voluto mantenere alla narrazione il carattere di riflesso immediato del tempo
di allora. Per questo, essa si svolge giorno per giorno, ed ogni questione è
presentata di volta in volta nel suo sorgere e nel suo svilupparsi.
Comprendo, però, che il lettore, il quale della guerra di Spagna ha avuto
scarse, monche o nessuna notizia, ha bisogno, per la migliore comprensione di
quello che è narrato nelle pagine che seguono, di qualche chiarificazione
sui precedenti che portarono alla ribellione dei generali contro il legittimo
governo repubblicano e sul corso che, dopo tanti sacrifici ed eroismi, ebbe
la lotta del popolo spagnolo, contro le caste reazionarie indigene e i loro
alleati fascisti italiani e tedeschi. Per questo ricorderò qui sommariamente
i momenti essenziali della storia di Spagna che va dalla caduta della monarchia
(1931) alla rivolta fascista (1936).
La dittatura di Primo de Rivera, instaurata in Spagna nel 1923, sull'esempio
di quella mussoliniana, terminò ai primi del 1930, per le dimissioni
dello stesso De Rivera, in conseguenza dell'intensificarsi della protesta popolare
e della lotta operaia. Nell'agosto dello stesso anno, i partiti socialisti e
repubblicani, i partiti nazionali catalani, i rappresentanti dell'Ugt firmarono
il patto di San Sebastiano, per un'azione comune diretta alla liquidazione della
monarchia. Da parte degli iniziatori di questo patto si voleva evitare che il
problema fosse posto dal basso con l'azione di massa. Il 14 dicembre 1930, la
guarnigione della città di Jaca insorse; i comunisti invitarono gli operai
ad appoggiare gli insorti con uno sciopero generale; ma i socialisti non marciarono,
sabotarono lo sciopero e la monarchia riuscì a schiacciare l'insurrezione
e a far fucilare i suoi promotori: gli ufficiali Galan e Garcia Hernandez.
Questa brutale repressione non riuscì però a stroncare il movimento
per la repubblica. Al contrario. Con la parola d'ordine «Via la monarchia!»
furono fatte le elezioni amministrative del 12 aprile 1931. Queste elezioni
dettero la vittoria al blocco dei repubblicani borghesi e dei socialisti. Alfonso
XIII non attese nemmeno che fossero proclamati i risultati definitivi delle
elezioni e fuggì all'estero. Così, il 14 aprile, fu proclamata
in Spagna la Seconda Repubblica (la Prima durò dal 1873 al 1874, quando
dopo un pronunciamento militare, Alfonso XII era stato chiamato dalle Cortes
a regnare in Spagna).
Con l'abbattimento della monarchia ha inizio la rivoluzione democratico-borghese
in Spagna. Il potere passa nelle mani della coalizione dei repubblicani borghesi
e dei socialisti. La nuova Costituzione, approvata il 9 dicembre 1931 dalle
Cortes costituenti, prevede la separazione della Chiesa dallo Stato, la confisca
dei beni delle congregazioni religiose, la soppressione dell'ordine dei gesuiti,
l'abolizione delle prestazioni feudali, una parziale riforma agraria. Ma, anche
dopo l'approvazione di questa Costituzione, nelle campagne continuano a prevalere
gli ordinamenti feudali. Il 2 per cento dei proprietari terrieri possiedono
ancora il 67 per cento della terra coltivabile, mentre il 39 per cento dei contadini
hanno appezzamenti inferiori ad un ettaro. La situazione dei braccianti, dei
fittavoli, dei piccoli proprietari è miserevole. Sotto la pressione di
rivolte che scoppiano nelle campagne, nel corso delle quali i contadini passano
all'occupazione delle terre lasciate incolte dai latifondisti, le Cortes approvano,
il 21 settembre 1932, una legge di riforma agraria che prevede l'espropriazione,
senza indennizzo, di oltre mezzo milione di ettari di terre dei Grandi e impone
agli altri latifondisti di cedere a riscatto solo le cosiddette «eccedenze».
La validità di questa disposizione è limitata però a quattordici
province.
Ma, anche dopo questa legge, e fino all'inizio del 1936, soltanto dodicimila
famiglie contadine ricevono la terra. In questo modo la questione agraria non
viene risolta e nemmeno viene risolta la questione nazionale. Sette milioni
di catalani, di baschi, di galiziani, che chiedono l'autonomia, sono delusi.
Il governo centrale la concede soltanto alla Catalogna e in misura molto ridotta.
In questo stesso periodo, la Chiesa continua a ricevere laute prebende, l'esercito
resta nelle mani di ufficiali monarchici e il capitale straniero ha via libera
nell'accaparramento delle maggiori risorse nazionali.
Questa incapacità dei governanti a risolvere le varie questioni politiche
e sociali poste all'ordine del giorno della nazione esaspera le masse lavoratrici
e democratiche. Numerosi scioperi per rivendicazioni economiche e per obiettivi
politici si succedono durante tutto il 1932. Nel frattempo, le forze della reazione
clericale e feudale, sentendosi minacciate nei loro privilegi dalla pressione
popolare, si riorganizzano e passano all'attacco. Incoraggiate dall'avvento
al potere in Germania dei nazisti, queste forze organizzano nel 1933 la cosiddetta
Ceda (Confederazione spagnola delle destre autonome) sotto la direzione clericale
e fascista di Gil Robles. Dietro la Ceda marciano i grandi proprietari fondiari
legati al capitale finanziario, le alte sfere della Chiesa e dell'esercito,
con l'appoggio del Vaticano e dei circoli imperialisti stranieri.
Nelle elezioni del 1933 la reazione, grazie all'opera di corruzione e di repressione
terroristica svolta, riesce ad ottenere la maggioranza alle Cortes. Il governo
filofascista di Lerroux inizia la liquidazione delle poche realizzazioni sociali
e politiche dei governi repubblicani e socialisti.
Alle misure reazionarie dei nuovi governanti i lavoratori e gli operai rispondono
con grandi scioperi generali locali e di categoria a cui partecipano milioni
di lavoratori e che durano anche due o tre mesi. Il 4 ottobre 1934 tre membri
della Ceda assumono incarichi ministeriali. È evidente l'intento di dare
un aperto orientamento fascista a tutta la politica governativa. Il partito
comunista, che in tutti gli anni della repubblica, essendosi liberato dagli
elementi anarchisteggianti ed estremisti ch'erano alla sua direzione, ha visto
estendersi e consolidarsi la propria organizzazione, chiama i lavoratori allo
sciopero ed alla protesta di piazza.
Lo sciopero generale è scatenato in tutto il paese in segno di protesta
contro l'entrata nel governo degli elementi fascisti della Ceda. A Barcellona,
il 6 ottobre, è proclamato lo Stato autonomo catalano; in varie località
lo sciopero sfocia nella lotta armata. Il movimento assume maggiore intensità
nelle Asturie, dove, per iniziativa del partito comunista, sono costituite le
cosiddette Alianzas obreras. Qui, gli operai costituiscono reparti armati, sconfiggono
le truppe governative, occupano Oviedo e altre città; il potere passa
praticamente nelle mani dei consigli operai e contadini. Il governo lancia contro
gli insorti la legione straniera, i reparti marocchini, l'aviazione e i carri
armati e si abbandona alla pii feroce repressione del movimento e delle organizzazioni
operaie.
Il periodo della permanenza al potere della Ceda (1934-35) è conosciuto
nella storia spagnola come il «biennio nero». Il terrore è
instaurato nella Spagna: le famiglie contadine sono cacciate dalla terra che
hanno ricevuta; le conquiste sociali degli operai sono liquidate. Il partito
comunista, benché cacciato di fatto nell'illegalità, continua
a svolgere la sua azione tra i lavoratori e verso tutte le correnti democratiche
repubblicane per la realizzazione di un potente movimento e il gabinetto Lerroux
- Gil Robles, verso la fine del 1935, è costretto a dare le dimissioni.
Il governo che gli succede indice nuove elezioni, per il 16 febbraio 1936.
Nella situazione creata dalle dimissioni del governo Lerroux - Gil Robles, dalla
convocazione dei comizi elettorali e dalla spinta delle masse popolari, i capi
socialisti e borghesi repubblicani sono costretti ad accettare la proposta di
unità d'azione avanzata dai comunisti. Il 16 gennaio 1936 viene così
firmato un patto di fronte popolare, che sancisce l'alleanza del proletariato,
dei contadini, della piccola e media borghesia urbana e degli intellettuali
progressivi e contro il fascismo. Il patto è firmato da comunisti, socialisti
e repubblicani borghesi. Esso prevede l'amnistia ai detenuti politici, la punizione
dei responsabili delle repressioni contro gli insorti antifascisti dell'ottobre
1934, lavori pubblici per combattere la disoccupazione, l'imposta progressiva
sul reddito, ecc. Nonostante il terrorismo dei fascisti, il 16 febbraio 1936,
i partiti del fronte popolare ottengono una schiacciante vittoria. I rapporti
di forza sono rovesciati alle Cortes. Viene costituito un nuovo governo repubblicano
democratico, sotto la direzione di Azana, il quale, nel maggio successivo, viene
poi eletto presidente della Repubblica.
Questa vittoria del fronte popolare spagnolo ha enorme influenza sulle masse
popolari spagnole e degli altri paesi, dando nuovo slancio alla loro lotta contro
la reazione e il fascismo. Ma la reazione e il fascismo reagiscono in Spagna
e internazionalmente, passando al contrattacco. Un complotto è organizzato
contro la repubblica popolare spagnola allo scopo di annientare il fronte popolare.
Le cricche fasciste d'Italia e di Germania sono al centro di questo complotto.
Il punto d'appoggio dei fascisti in Spagna è la cosiddetta Unione militare
spagnola, capeggiata dai generali Sanjurjo, Mola e Franco.
La reazione spagnola è costituita dal blocco dei grandi proprietari fondiari,
dell'oligarchia finanziaria, dell'alto clero e delle alte sfere militari. Gli
organizzatori del complotto fascista si pongono come obiettivo di far saltare
il fronte popolare, di disorganizzare l'attività del governo mediante
ininterrotte provocazioni e con il sabotaggio economico e politico. I capitalisti
chiudono le aziende; l'indice della produzione industriale scende così,
nel primo semestre del 1936, all'86 per cento del corrispondente semestre dell'anno
precedente; il numero di disoccupati raggiunge il milione, i grandi proprietari
fondiari minacciano di ridurre i seminativi, mentre il flusso dei capitali all'estero
assume enormi proporzioni. I fascisti della «falange spagnola» passano
al terrorismo sanguinoso contro le forze democratiche, massacrano gli attivisti
operai, compiono incursioni e devastazioni nelle redazioni dei giornali progressivi.
Le rappresentanze diplomatiche e consolari dell'Italia e della Germania forniscono
ai fascisti spagnoli armi, istruttori e provocatori.
Il partito comunista chiede provvedimenti energici contro il complotto fascista
che si va organizzando quasi alla luce del giorno, esige l'attuazione del programma
del fronte popolare e mobilita le masse per la resistenza attiva e diretta contro
l'attacco fascista. Ma i partiti al governo esitano, tentennano, non sanno e
non vogliono condurre un'azione energica ed offensiva contro le forze della
reazione. È in questa situazione che, nella notte fra il 17 e il 18 luglio
1936, scoppia la rivolta fascista nel Marocco spagnolo e nelle isole Canarie.
È con le prime notizie di questa rivolta che incomincia la nostra narrazione.
Dopo la battaglia di Brunete, con cui si chiude il nostro racconto, i fascisti
riprendono l'offensiva al Nord, contro Santander. Per aiutare i difensori repubblicani
di quella regione viene scatenata, in agosto, un'azione di grande stile in Aragona,
in direzione di Saragozza. Dopo accaniti combattimenti i repubblicani espugnano
Quinto, Belchite ed altre località. Ma questi successi locali non valgono
a salvare il nord, il quale, a fine ottobre, cade completamente sotto il controllo
dei fascisti.
Franco, liberatosi in questo modo da ogni preoccupazione sul fronte settentrionale,
riorganizza le sue forze e vuole ritentare, per l'ennesima volta, la presa di
Madrid. Egli riprende in considerazione gli stessi piani già messi in
azione sul Jarama e a Guadalajara, nella speranza di ottenere finalmente la
vittoria. I preparativi fascisti per la nuova offensiva sono quasi ultimati,
quando il 15 dicembre 1937, le truppe repubblicane attaccano in forze Teruel.
Tutti i piani e tutti i preparativi fascisti sono così mandati a monte.
Teruel è isolata e poi occupata dai repubblicani. In fretta e furia Franco
deve prendere le truppe e i mezzi già concentrati per l'attacco contro
Madrid e scagliarsi alla riconquista di Teruel. Solo dopo due mesi di cruenti
e duri combattimenti in un ambiente e in un clima nordico, con 18 e 20 gradi
sotto zero Teruel ritorna sotto il controllo fascista.
Dopo questa battaglia Franco è obbligato a rinunciare definitivamente
all'idea di conquistare immediatamente Madrid. Tutte le forze franchiste e legionarie
italiane sono allora concentrate per una grande operazione contro la Catalogna.
Infatti, nel marzo 1938, i fascisti penetrano in Catalogna e, il 15 aprile successivo,
raggiungono la costa mediterranea a Vinaroz, a sud di Tortosa. Il territorio
repubblicano è così diviso in due: la Spagna centrale, con Madrid
e Valencia, da una parte; la Catalogna, con Barcellona, dall'altra. Dalle posizioni
raggiunte sulla costa, i fascisti scatenano nel giugno 1938 una grande offensiva
contro Valencia. Ma sono ben presto costretti a sospenderla. Una brillante controperazione
repubblicana sull'Ebro impegna, per oltre tre mesi tutte le forze fasciste.
Il patto di Monaco, concluso dalla Germania e dall'Italia con i circoli dirigenti
dell'Inghilterra e della Francia, appoggiati dagli Stati Uniti, porta un grave
colpo al popolo spagnolo in lotta. Questo patto dà coraggio ai disfattisti
che sono in Spagna. L'idea della capitolazione penetra così nella mente
degli esponenti dei partiti repubblicani borghesi, dei socialisti di destra
e dei dirigenti anarchici. Da questo momento, da parte repubblicana, la lotta
perde slancio e vigore. Quando, il 23 dicembre 1938, gli invasori fascisti lanciano
una nuova offensiva in Catalogna, non trovano più la ferrea resistenza
di prima.
In questa situazione i circoli dirigenti anglo-franco-americani moltiplicano
gli sforzi diretti a soffocare la Repubblica spagnola. Per mezzo dei loro agenti
insinuati nell'alto comando dell'esercito repubblicano, essi ottengono, quasi
senza colpo ferire, la resa di Barcellona (26 gennaio 1939) e, poi, di tutta
la Catalogna. Le brigate internazionali le quali, dopo la battaglia dell'Ebro,
erano state ritirate sotto il controllo di una commissione internazionale nominata
dalla Società delle nazioni, dopo la caduta di Barcellona, ritornano
al combattimento. Ma non possono far altro che aiutare a proteggere la marcia
verso la frontiera francese delle truppe e delle popolazioni che si ritirano
davanti alle orde fasciste. L'8 e il 9 febbraio 1939, gli ultimi volontari internazionali
sfilano per l'ultima volta davanti ai loro dirigenti e passano la frontiera
franco-spagnola a Perthus e a PortBou in uno scenario di esodo biblico. La polizia
francese li avvia senz'altro ai vari campi di concentramento, già predisposti.
Si conclude così l'eroica e gloriosa storia delle brigate internazionali
in Spagna. Per i volontari internati, incominciano le sofferenze e le privazioni
dei campi di deportazione, fino a quando, scoppiata la seconda guerra mondiale,
non si presenta loro l'occasione della fuga o della rivolta per raggiungere
le file partigiane schierate sui vari fronti di battaglia e battersi ancora,
con le armi alla mano, contro l'invasore e l'oppressore nazista e fascista.
Dopo la caduta di Barcellona, per accelerare la fine della Repubblica spagnola,
il governo inglese invia nelle acque dell'isola di Maiorca l'incrociatore Devonshire,
che, il 9 febbraio, costringe la guarnigione repubblicana dell'isola ad arrendersi
alle truppe di Franco. Il 27 febbraio, l'Inghilterra e la Francia rompono le
relazioni diplomatiche con il governo legittimo della Spagna e riconoscono il
«governo» di Franco. Il 34 marzo 1939, i traditori nascosti nel
comando della marina militare spagnola, per ordine ricevuto da Londra e da Parigi,
fanno salpare la flotta repubblicana da Cartagena, alla volta del porto francese
di Biserta, nell'Africa settentrionale.
Gli agenti degli imperialisti anglo-franco-americani, e precisamente il generale
Casado, comandante delle truppe della capitale, e il dirigente socialista di
destra Besteiro, costituiscono a Madrid una sedicente Giunta di difesa nazionale,
con lo scopo dichiarato di consegnare la Spagna ai fascisti. La giunta inizia
la lotta contro il governo repubblicano e contro i comunisti, che tentano ancora
di organizzare, ad ogni costo e con tutti i mezzi, la resistenza all'invasione
fascista. I traditori, nel breve periodo del loro potere, per vincere la resistenza
popolare, fanno uccidere novemila patrioti e ne gettano in carcere oltre dodicimila.
Poi, aprono il fronte al nemico e, il 28 marzo 1939, l'invitta Madrid e l'intero
territorio repubblicano sono occupati dagli invasori stranieri e dai franchisti.
Su tutta la Spagna viene così instaurato il barbaro e sanguinario regime
fascista. Franco si autoproclama dittatore assoluto. Tutti i partiti politici,
tranne la «falange» fascista, sono proibiti; tutte le riforme e
le trasformazioni attuate dal governo del fronte popolare sono abolite. Incomincia
una feroce repressione contro il popolo. Decine di migliaia di patrioti sono
massacrati senza inchiesta e senza processo; centinaia di migliaia di popolani
sono rinchiusi in campi di deportazione. I fascisti tedeschi e italiani divengono
i veri padroni della Spagna.
La seconda guerra mondiale, scoppiata pochi mesi dopo, conferma quanto i combattenti
repubblicani e gli antifascisti sostennero sempre durante la guerra di Spagna;
che la guerra era stata provocata in territorio spagnolo dai fascisti italiani
e tedeschi allo scopo di procurarsi preziose basi militari ed economiche, in
vista della realizzazione dei loro piani di aggregazione contro i paesi democratici.
Questa funzione venne assolta dalla Spagna fascista, fino a che la fortuna delle
armi arrise a Hitler. Quando incominciarono le sconfitte della coalizione hitleriana,
in seguito alle vittoriose offensive dell'esercito sovietico, Franco tentò
di salvarsi dalla catastrofe inevitabile, cercando il contatto con i circoli
dirigenti dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. Il gioco gli riuscì;
ed è grazie proprio all'aiuto ricevuto dall'Inghilterra e soprattutto
dall'America che il regime di Franco ha potuto trarsi fuori indenne dalla tempesta
che ha spazzato via dalla faccia della terra tutti i regimi fascisti: da quello
italiano e tedesco, a quello giapponese.
In questi giorni si compiono vent'anni dallo scoppio della rivolta dei generali
fascisti. Vent'anni di sanguinosa dittatura franchista hanno condotto la Spagna
allo sfacelo. Ma in questi ultimi tempi le proteste popolari contro Franco e
il suo regime di schiavitù e di miseria si sono moltiplicate ed allargate.
Alla loro testa sono ancora i combattenti della guerra del 1936-39, i comunisti
e i loro alleati. Sono di questi giorni i grandiosi scioperi di Barcellona,
di Madrid, di Gijon, di Santander che hanno posto all'ordine del giorno le rivendicazioni
urgenti delle masse lavoratrici, ma anche le esigenze di libertà e di
indipendenza nazionale che costituirono la bandiera di lotta della Repubblica
spagnola e dei volontari di tutti i paesi accorsi a darle man forte.
Molti di quei coraggiosi caddero in terra di Spagna nei propri paesi, scrivendo
non solo pagine luminose di eroismo e di patriottismo ma, riuscendo, in Polonia,
in Cecoslovacchia, in Ungheria, in Jugoslavia, in Romania, in Bulgaria, in Albania,
assieme a tutto il popolo, sotto la guida del partito comunista e grazie alle
vittorie militari dell'Unione Sovietica, a liberarsi da ogni schiavitù
e ad avviare il proprio paese su vie nuove di libertà e di progresso.
Questo prova che le esperienze, le lotte, i sacrifici di Spagna non sono stati
vani. Hanno contribuito a fecondare largamente il fertile terreno della libertà
dei popoli. Ed oggi, quanti crebbero alla scuola di eroismo e di abnegazione
dei combattenti repubblicani e del popolo spagnolo, quanti, sull'esempio delle
grandi battaglie d'allora, continuarono la propria battaglia liberatrice in
patria, quanti non cedettero mai alle lusinghe e agli inganni dei nemici del
popolo, comunque mascherati, sono ancora e sempre, come allora, a fianco dei
fratelli spagnoli, a cui augurano di tutto cuore la vittoria, nella dura e ventennale
lotta contro il barbaro regime franchista, che opprime, soffoca e dissangua
il popolo spagnolo, perché, anche per questo popolo, tanto caro al loro
cuore, torni a dispiegarsi vittoriosa la bandiera della libertà e del
progresso.