Biblioteca Multimediale Marxista


Articolo (o capitolo) IV Zimmerwald al bivio

 


 

(Articolo scritto a Zurigo il 1° gennaio 1917. Opere vol. 23)

Il 28 dicembre sono arrivati a Berna i giornali francesi con il resoconto del congresso della CGT. Il 30 dicembre i giornali socialisti di Berna e di Zurigo hanno pubblicato il nuovo appello dell’ISK (Internationale Sozialistische Kommission) di Berna, cioè della Commissione socialista internazionale, organo esecutivo dell’unione di Zimmerwald. In quest’appello, che reca la data della fine di dicembre del 1916, si parla delle proposte di pace della Germania, nonché di Wilson e di altri paesi neutrali. Tutti questi interventi governativi vengono definiti — senza dubbio con piena ragione — come “la commedia della pace”, come “un gioco per imbrogliare i popoli”, come “ipocrite gesticolazioni pacifistiche dei diplomatici”.
A questa commedia e a questa menzogna l’appello oppone, come “unica forza” capace di assicurare la pace, ecc., la “salda volontà” del proletariato internazionale di “volgere le armi non contro i propri fratelli, ma contro il nemico interno del proprio paese”.
Queste citazioni ci mostrano nitidamente l’esistenza di due politiche radicalmente diverse che sono fino ad ora coesistite in seno alla unione di Zimmerwald e che si separano oggi in maniera definitiva.
Da un lato, Turati dice con chiarezza, e molto giustamente, che la proposta della Germania, di Wilson, ecc. è soltanto una “parafrasi” del pacifismo “socialista” italiano; inoltre, la dichiarazione dei socialsciovinisti tedeschi e la votazione dei francesi dimostrano che gli uni e gli altri hanno ottimamente apprezzato l’utilità di una copertura pacifista della loro politica.
Dall’altro lato, l’appello della Commissione socialista internazionale definisce commedia e ipocrisia il pacifismo di tutti i governi belligeranti e neutrali.
Da un lato, Jouhaux si allea con Merrheim; Bourderon, Longuet e Raffin-Dugens si alleano con Renaudel, Sembat e Thomas. I socialsciovinisti tedeschi Südekum, David, Scheidemann proclamano la prossima “ricostituzione dell’unità socialdemocratica” con Kautsky e con il “Gruppo socialdemocratico del lavoro”.
Dall’altro lato, l’appello della Commissione socialista internazionale incita le “minoranze socialiste” a combattere energicamente i “propri governi” e “i loro mercenari socialpatrioti”.
Delle due l’una.
Denunciare l’inconsistenza, l’assurdità, l’ipocrisia del pacifismo borghese o “parafrasarlo” invece nel pacifismo “socialista”? Combattere i Jouhaux, i Renaudel, i Legien, i David come “mercenari” dei loro governi o unirsi invece a loro nelle vuote declamazioni pacifiste di stampo francese o tedesco?
Lungo questa linea passa oggi lo spartiacque tra la destra zimmerwaldiana, che si è sempre opposta con tutte le forze alla scissione dai socialsciovinisti, e la sinistra zimmerwaldiana, che, già a Zimmerwald, si era adoperata non senza ragione per separarsi pubblicamente dalla destra, prendendo posizione alla conferenza e, dopo di essa, sulla stampa con una sua piattaforma particolare. L’approssimarsi della pace o, per lo meno, l’intensificarsi delle discussioni sulla pace in determinati ambienti borghesi ha provocato necessariamente, non per caso, una frattura molto netta tra l’una e l’altra politica. Infatti, i pacifisti borghesi e i loro imitatori e portavoce “socialisti” hanno sempre concepito la pace come un qualcosa di distinto (dalla guerra, ndr) nel suo stesso principio, nel senso che l’idea: “La guerra è la continuazione della politica di pace, e la pace è la continuazione della politica di guerra” è sempre rimasta incompresa per i pacifisti delle due sfumature. Tanto i borghesi quanto i socialsciovinisti non hanno mai voluto convenire che la guerra imperialista del 1914-1917 è la continuazione della politica imperialista del periodo 1898-1914, se non di un periodo più lungo. Tanto i borghesi quanto i socialsciovinisti non vogliono convenire che, se i governi borghesi non saranno rovesciati mediante la rivoluzione, la pace potrà essere soltanto una pace imperialista in quanto continuazione della guerra imperialista.
Come per valutare la guerra attuale si è ricorsi a frasi assurde, volgari, filistee sull’aggressione e sulla difesa in generale, così per valutare la pace si ricorre agli stessi luoghi comuni filistei, dimenticando la situazione storica concreta e la concreta realtà della lotta tra le potenze imperialiste. È naturale che i socialsciovinisti, che sono gli agenti della borghesia e dei governi nelle file dei partiti operai, si aggrappino particolarmente alla pace che si avvicina, o anche solo ai discorsi sulla pace, per occultare la profondità del loro riformismo e opportunismo messa a nudo dalla guerra, per riconquistare la loro vacillante influenza sulle masse. Per questa ragione, come si è visto, i socialsciovinisti rinnovano in Germania e in Francia i loro tentativi di “unificazione” con la parte pacifistica, esitante e senza principi, dell’“opposizione”.
Anche nell’unione di Zimmerwald si tenterà, probabilmente, di attenuare la divergenza tra le due linee politiche inconciliabili. Si possono prevedere due generi di tentativi. La conciliazione “pratica” consisterà semplicemente nel collegare in modo meccanico una fraseologia rivoluzionaria altisonante (come, ad esempio, quella della Commissione socialista internazionale) con un’attività pacifista e opportunista. Si faceva così nella II Internazionale. Le frasi arcirivoluzionarie degli appelli di Huysmans e di Vandervelde e di alcune risoluzioni congressuali servivano soltanto a camuffare l’ attività arciopportunista della maggior parte dei partiti socialisti europei, senza modificarla, senza scalzarla, senza combatterla. È dubbio che questa tattica possa di nuovo aver successo in seno all’unione di Zimmerwald.
Coloro che cercheranno “una conciliazione in nome dei principi” si studieranno di proporre una falsificazione de marxismo, ricorrendo, ad esempio, a questo ragionamento: le riforme non escludono la rivoluzione; una pace imperialista, che implichi certe “correzioni” dei confini nazionali o del diritto internazionale o delle spese di bilancio per gli armamenti, ecc., può coesistere con il movimento rivoluzionario, in quanto “fase di sviluppo” di questo movimento e così via.
Sarebbe una falsificazione del marxismo. Naturalmente, le riforme non escludono la rivoluzione. Tuttavia, non di questo si tratta oggi, ma di fare in modo che i rivoluzionari non “si escludano” davanti ai riformisti, cioè che i socialisti non sostituiscano al proprio lavoro rivoluzionario un’azione riformista.
L’Europa sta vivendo una situazione rivoluzionaria, che è aggravata dalla guerra e dal carovita. Non è detto che il passaggio dalla guerra alla pace metta necessariamente fine a questa situazione, perché niente induce a pensare che i milioni di operai, i quali hanno oggi nelle loro mani un magnifico armamento, si faranno senza meno e a colpo sicuro “disarmare docilmente” dalla borghesia, invece di seguire il consiglio di Liebknecht e rivolgere le armi contro la propria borghesia.
La questione non sta come la pongono i pacifisti, i kautskiani: o la campagna politica riformista. o la rinuncia alle riforme. Questo è un modo borghese di porre la questione. In effetti, il problema si pone in questi termini: o la lotta rivoluzionaria, che — nel caso di un successo incompleto — dà come prodotto secondario le riforme (tutta la storia delle rivoluzioni in tutto il mondo lo dimostra), o niente altro che chiacchiere e promesse di riforma.
Il riformismo di Kautsky, Turati, Bourderon, che si manifesta oggi nella forma del pacifismo, non solo accantona il problema della rivoluzione (e questo è già un tradimento del socialismo), non solo rinuncia in pratica ad ogni attività rivoluzionaria, sistematica e perseverante, ma giunge anche ad affermare che le manifestazioni di strada sono avventure (Kautsky nella Neue Zeit del 26 novembre 1915), giunge fino a difendere e a realizzare l’unità con avversari dichiarati e risoluti della lotta rivoluzionaria come i Südekum, i Legien, i Renaudel, i Thomas, ecc.
Questo riformismo è assolutamente incompatibile con il marxismo rivoluzionario, che è tenuto a utilizzare in tutti i modi la presente situazione rivoluzionaria in Europa per la propaganda aperta della rivoluzione, per il rovesciamento dei governi borghesi, per la conquista del potere da parte del proletariato in armi, senza rinunciare minimamente a trarre profitto dalle riforme per sviluppare la lotta per la rivoluzione e nel corso stesso della rivoluzione.
L’imminente avvenire ci mostrerà come in generale si svilupperà la situazione in Europa e come in particolare si svolgerà la lotta del riformismo-pacifismo contro il marxismo rivoluzionario, e quindi anche la lotta tra le due ali dell’unione di Zimmerwald.