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POSIZIONI DI PRINCIPIO SUL PROBLEMA DELLA GUERRA

 


 


(Scritto in tedesco nel dicembre 1916. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin, XVII, 1931. Opere vol. 23)

Tra i socialdemocratici svizzeri di sinistra esiste una posizione unanime riguardo alla necessità di respingere, in rapporto alla guerra attuale, il principio della difesa della patria. Anche il proletariato o, quanto meno, i suoi elementi migliori sono orientati contro questo principio.
Sembra pertanto che sulla questione più scottante del socialismo contemporaneo in generale e del partito socialista svizzero in particolare esista la necessaria unità. Eppure, se si esamina il problema più da vicino, si finisce inevitabilmente per concludere che questa unità è solo apparente.
Non c’è in realtà la minima chiarezza — e ancor meno unità — di idee sul fatto che nel pronunciarsi negativamente sulla difesa della patria si pongono per ciò stesso esigenze eccezionalmente alte tanto alla coscienza quanto all’azione rivoluzionaria del partito che proclama questa parola d’ordine, a patto, s’intende, che non si tratti d’una frase vuota. Quando infatti ci si limita a enunciare il rifiuto di difendere il proprio paese, senza aver chiara coscienza, cioè senza rendersi conto di che cosa questo rifiuto implichi, senza capire che tutta la propaganda, l’agitazione, l’organizzazione, in breve, tutta l’attività del partito deve essere radicalmente rinnovata, “rigenerata” (per usare l’espressione di Karl Liebknecht) e adeguata a compiti rivoluzionari di ordine più alto, una tale enunciazione diventa una frase vuota.
Per comprendere esattamente che cosa significhi rifiutarsi di difendere la patria, bisogna considerare questo rifiuto come una parola d’ordine politica da prendere sul serio e da realizzare in concreto.
In primo luogo, noi proponiamo ai proletari e agli sfruttati di tutti i paesi belligeranti e di tutti i paesi minacciati dalla guerra di respingere la difesa della patria. Oggi, attraverso l’esperienza di alcuni paesi belligeranti, sappiamo con assoluta precisione che cosa significhi in realtà il rifiuto di difendere la patria nella guerra in corso. Significa negare tutti i fondamenti della moderna società borghese e minare alle radici il regime sociale vigente, non solo in teoria, non solo “in generale”, ma nella pratica, immediatamente, oggi stesso. Ebbene, non è forse evidente che questo può farsi alla sola condizione di non essere giunti soltanto al saldissimo convincimento teorico che il capitalismo è ormai pienamente maturo per essere trasformato in socialismo, ma anche di ritenere realizzabile in pratica, immediatamente, subito, questa trasformazione, cioè la rivoluzione socialista?
Eppure, proprio questo punto viene quasi sempre perduto di vista, quando si parla del rifiuto di difendere la patria. Nel migliore dei casi si è disposti a riconoscere “teoricamente” che il capitalismo è maturo per essere trasformato in socialismo, ma non si vuole nemmeno sentir parlare dell’immediato e radicale rinnovamento di tutta l’attività del partito nello spirito della rivoluzione socialista imminente!
Il popolo non sarebbe ancora preparato!
Ma qui l’incoerenza sfocia nel ridicolo. Delle due l’una. O noi non dobbiamo proclamare il rifiuto immediato di difendere la patria, oppure dobbiamo svolgere o cominciare a svolgere immediatamente un’azione metodica di propaganda per la realizzazione immediata della rivoluzione socialista. Beninteso, in un certo senso il “popolo” è “impreparato” sia al rifiuto di difendere la patria che alla rivoluzione socialista. Ma da ciò non consegue che noi abbiamo il diritto di rimandare per ben due anni — due anni! — l’inizio della preparazione sistematica della rivoluzione!
In secondo luogo, cosa si oppone alla politica della difesa della patria e della pace sociale? La lotta rivoluzionaria contro la guerra, le “azioni rivoluzionarie di massa”, come ha riconosciuto la risoluzione del congresso di Aarau del 1915. Si tratta, senza dubbio, di una risoluzione eccellente, ma... ma la storia del partito dopo quel congresso e la sua politica effettiva dimostrano che essa è rimasta sulla carta!
Quale è lo scopo della lotta rivoluzionaria di massa? Ufficialmente il partito non ha detto niente al riguardo, e in generale non si parla affatto di questo problema. Si considera del tutto naturale o si riconosce apertamente che questo scopo è il “socialismo”. Al capitalismo (o all’imperialismo) si contrappone il socialismo.
Ma questa posizione è sommamente illogica (sul piano teorico) e priva di contenuto sul piano pratico. Illogica, perché troppo generica, troppo vaga. Attualmente, non solo i kautskiani e i socialsciovinisti, ma anche numerosi uomini politici borghesi ravvisano nel “socialismo” in generale uno scopo da contrapporre al capitalismo (o all’imperialismo). Oggi però non si tratta di opporre genericamente i due sistemi sociali. Si tratta invece di opporre lo scopo concreto della concreta “lotta rivoluzionaria delle masse” ad un male concreto, cioè all’odierno rincaro della vita, all’odierno pericolo di guerra o alla guerra in corso.
Tutta la II Internazionale, dal 1889 al 1914, ha opposto il socialismo in generale al capitalismo e proprio per questa “generalizzazione” troppo generica ha fatto fallimento. Essa ha ignorato in effetti il male specifico della sua epoca, che, quasi trent’anni or sono, il 10 gennaio 1887, Federico Engels così caratterizzava:
“... Un certo socialismo piccolo-borghese è rappresentato in seno allo stesso partito socialdemocratico, e perfino nel suo gruppo parlamentare. Esso si manifesta in questo: si riconoscono giuste le concezioni basilari del socialismo e l’esigenza del trapasso alla proprietà sociale di tutti i mezzi di produzione, ma si dichiara possibile la loro realizzazione soltanto in un’epoca lontana e praticamente non definibile. In tal maniera si indirizzano gli uomini, per il presente, a un puro e semplice lavoro di rattoppatura sociale...” (La questione delle abitazioni, prefazione).
Lo scopo concreto della “lotta rivoluzionaria di massa” può consistere soltanto nelle misure concrete della rivoluzione socialista e non nel “socialismo” in genere. Ma quando si chiede di definire esattamente queste misure concrete, — come hanno fatto i compagni olandesi nel loro programma, pubblicato nel n. 3 del Bollettino della Commissione socialista internazionale (Berna, 29 febbraio 1916): annullamento dei debiti statali, espropriazione delle banche, espropriazione di tutte le grandi imprese, — se si propone di inserire queste misure concrete in una risoluzione ufficiale del partito e di illustrarle metodicamente attraverso l’agitazione e la propaganda quotidiana del partito nelle assemblee, negli interventi parlamentari, nelle proposte d’iniziativa popolare, si riceve sempre la stessa risposta dilatoria o elusiva, sostanzialmente sofistica: il popolo non è ancora preparato. ecc.!
Bene, il compito è di iniziare subito questa preparazione e di portarla avanti inflessibilmente!
In terzo luogo, il partito ha “riconosciuto” la lotta rivoluzionaria di massa. Benissimo! Ma è capace il partito di operare in questa direzione? Si sta preparando? Studia questi problemi, raccoglie tutto il materiale necessario, crea organizzazioni e organismi adeguati, discute questi problemi in mezzo al popolo, con il popolo?
Niente di tutto questo! Il partito continua ostinatamente e senza deviare d’un passo a procedere sulla sua vecchia carreggiata esclusivamente parlamentare, sindacale, riformista, legalitaria. Il partito continua a essere notoriamente incapace di stimolare e dirigere la lotta rivoluzionaria di massa ed è risaputo che non si prepara affatto a questo compito. La vecchia routine impera e le parole “nuove” (rifiuto di difendere la patria, lotta rivoluzionaria di massa) restano semplici parole! Ma gli elementi di sinistra non ne hanno coscienza e non uniscono in maniera sistematica e perseverante le loro forze, dappertutto, in tutti i campi di attività del partito, per combattere questo male.
Non si può allarmarsi quando, ad esempio, nelle tesi di Grimm sulla questione della guerra. si legge la seguente (ultima) frase:
“Gli organi del partito, in accordo con le organizzazioni sindacali del paese, devono prendere in questo caso [cioè se, dinanzi al pericolo di guerra, chiamano i ferrovieri allo sciopero di massa, ecc.] tutte le misure necessarie”.
Le tesi di Grimm sono state rese pubbliche nel corso di questa estate, ma il 16 settembre, nella Schweizerische Metallarbeiterzeitung, diretta da O. Schneeberger e da K. Dürr, si poteva leggere la seguente frase (stavo per dire: la seguente risposta ufficiale alle tesi o alle pie intenzioni di Grimm):
“... È di pessimo gusto... l’espressione “l’operaio non ha patria”... nel momento in cui gli operai di tutta l’Europa, nella loro stragrande maggioranza, combattono da due anni contro i “nemici” della loro patria a fianco della loro borghesia e coloro che sono rimasti a casa desiderano “tener duro”, nonostante la miseria e le privazioni. Nel caso d’un attacco straniero alla Svizzera vedremmo senza dubbio lo stesso spettacolo”!!!
Non si realizza forse una politica “kautskiana”, una politica fondata sulle frasi impotenti, sulle declamazioni di sinistra e sulla pratica opportunistica, quando, da un lato, si propone un documento in cui si dice che il partito, “in accordo con e organizzazioni sindacali”, deve chiamare agli scioperi rivoluzionari di massa, e, dall’altro, non si combatte in alcun modo contro la tendenza grütliana, che è socialpatriottica, riformista e puramente legalitaria e contro i suoi fautori nel partito e nei sindacati?
Si “educano” le masse o si tende invece a disgregarle e a demoralizzarle, quando non si dice loro e non si dimostra quotidianamente che i compagni “dirigenti” O. Schneeberger, K. Dürr, P. Pflüger, H. Greulich, Huber e molti altri ancora si attengono alle stesse concezioni socialpatriottiche e svolgono la stessa politica socialpatriottica che Grimm denuncia e fustiga “arditamente”... quando si tratta dei tedeschi che vivono in Germania e non degli svizzeri? Ingiuriare gli stranieri e proteggere i “propri connazionali”: è questo forse un atto “internazionalista”, “democratico”?
Hermann Greulich ha delineato come segue la situazione degli operai svizzeri, la crisi del socialismo svizzero e la sostanza della politica grütliana in seno al partito socialista:
“Il tenore di vita è stato migliorato molto poco e solo per gli strati superiori (udite! udite!) del proletariato. La massa degli operai vive, come prima, in uno stato di miseria, tra preoccupazioni e disagi. Perciò di tanto in tanto si dubita che la strada seguita fino a questo momento sia giusta. I critici cercano nuove strade e ripongono le loro speranze nelle azioni più energiche. In questa direzione si fanno tentativi che, di regola (?), non riescono (??) e che inducono con forza rinnovata a ritornare alla vecchia tattica” (il desiderio non è anche qui padre dell’idea?). “Ed ecco la guerra mondiale... Il grave peggioramento del tenore di vita, che diviene miseria persino negli strati che un tempo avevano un’esistenza sopportabile, rinvigorisce lo spirito rivoluzionario” (udite! udite!). “In effetti, la direzione del partito non è stata all’altezza dei suoi compiti e si è arresa (??) troppo alla influenza delle teste calde (davvero? davvero?) ... Il Comitato centrale della Lega di Grütli cerca, per parte sua, di realizzare una “politica nazionale pratica”, che esso vuole condurre fuori del partito ... Perché non la realizza all’interno del partito?” (udite! udite!). “Perché lascia quasi sempre a me l’incombenza di combattere gli ultraradicali?” (Lettera aperta alla Lega grütliana di Gottinga, 26 settembre 1916).
Ecco che cosa dice Greulich. Non si tratta quindi (come pensano in segreto o dicono allusivamente sulla stampa i grütliani che militano nel partito e come affermano apertamente i grütliani che sono fuori delle sue file) di alcuni “stranieri male intenzionati”, i quali, in un accesso d’impazienza personale, desidererebbero trapiantare lo spirito rivoluzionario in un movimento operaio che essi vedono con “occhiali stranieri”. Oh, no! È proprio Hermann Greulich — la cui funzione politica equivale di fatto a quella di un ministro borghese del lavoro in una piccola repubblica democratica — a informarci che solo gli strati superiori del proletariato godono di un qualche miglioramento del tenore di vita, mentre la massa degli operai continua a versare in uno stato di miseria, e che “il rinvigorirsi dello spirito rivoluzionario” non deriva dai maledetti “sobillatori” stranieri, ma dal “grave peggioramento del tenore di vita”.
E allora?
Allora sarà assolutamente giusto dire che:
o il popolo svizzero patirà la fame, una fame ogni settimana più terribile e correrà quotidianamente il rischio di essere coinvolto nella guerra imperialistica, cioè di farsi massacrare per gli interessi dei capitalisti, oppure esso seguirà il consiglio della parte migliore del suo proletariato, radunerà tutte le sue energie e realizzerà la rivoluzione socialista.
La rivoluzione socialista? Un’utopia! Una possibilità di un’“epoca lontana e praticamente non definibile”!
Questa rivoluzione non è più utopistica del rifiuto di difendere la patria in questa guerra o della lotta rivoluzionaria di massa contro questa guerra. Non bisogna farsi stordire né spaventare dalle parole. Quasi tutti sono pronti ad accettare la lotta rivoluzionaria contro la guerra, ma si deve pur cercare d’immaginare l’immensità del compito di mettere fine a questa guerra mediante la rivoluzione! No, non è un’utopia! La rivoluzione sta avanzando in tutti i paesi. Oggi non si tratta più di sapere se bisognerà continuare a vivere in maniera tranquilla e sopportabile o buttarsi invece nell’avventura. Oggi si tratta di sapere se bisogna morire di fame e andare al massacro per interessi estrani, per interessi di altri, o se bisogna fare invece grandi sacrifici per il socialismo, per gli interessi dei nove decimi dell’umanità.
La rivoluzione socialista sarebbe un’utopia! Ma il popolo svizzero, grazie a dio, non parla una lingua “autonoma”, “indipendente”, parla tre lingue mondiali, che sono quelle dei paesi belligeranti limitrofi. Non può quindi stupire che il popolo svizzero sappia molto bene che cosa accade in questi paesi. In Germania si è giunti a dirigere da un unico centro la vita economica di sessantasei milioni di uomini, a organizzare attraverso questo centro l’economia nazionale di sessantasei milioni di cittadini, a imporre sacrifici immani alla stragrande maggioranza del popolo: e tutto questo perché “trentamila privilegiati” possano intascare i miliardi dei profitti di guerra e milioni di uomini siano mandati al macello a vantaggio degli esponenti “migliori e più nobili” della nazione. Dinanzi a questi fatti, di fronte a questa esperienza, si vorrebbe considerare “utopistico” che un piccolo popolo, senza monarchia e senza nobili agrari, con un capitalismo molto evoluto, organizzato in associazioni di vario genere forse meglio che in qualsiasi altro paese capitalista, pur di sfuggire alla fame e al pericolo di guerra, faccia la stessa cosa che è stata sperimentata praticamente in Germania, con la sola differenza, beninteso, che in Germania si mandano a morte e si rendono invalidi milioni di uomini per far arricchire pochi privilegiati, per impadronirsi di Bagdad, per conquistare i Balcani, mentre in Svizzera basta espropriare al massimo trentamila borghesi, cioè non mandarli a morire, ma condannarli al “terrificante destino di avere un reddito di “soli” 6.000-10.000 franchi e consegnare il resto al governo operaio socialista, al fine di tutelare il popolo dalla fame e dal pericolo di guerra.
Si! Tuttavia le grandi potenze non tollererebbero in nessun caso una Svizzera socialista e i primi germi della rivoluzione socialista sarebbero soffocati dalla schiacciante preponderanza di forze di tali potenze!
Le cose andrebbero innegabilmente così, se, da un lato, una rivoluzione potesse aver inizio in Svizzera senza suscitare un movimento di solidarietà di classe nei paesi vicini, e se, dall’altro lato, le grandi potenze non si trovassero nel vicolo cieco d’una “guerra di logoramento”, che ha ormai esaurito quasi del tutto anche la pazienza dei popoli più pazienti. Oggi, l’intervento militare delle grandi potenze, tra loro ostili, sarebbe soltanto il prologo allo scoppio della rivoluzione in tutta l’Europa.
Credete forse che io sia tanto ingenuo da pensare di poter risolvere “con la persuasione” un problema come quello della rivoluzione socialista?
No. Voglio fare solo un esempio, riferendomi, per di più, ad una questione specifica: quali cambiamenti bisogna operare in tutta la propaganda del partito, se si vuole affrontare con serietà il problema del rifiuto di difendere la patria? Voglio solo illustrare una questione specifica, non pretendo di più.
Sarebbe assolutamente sbagliato pensare che la lotta immediata in favore della rivoluzione socialista ci imponga o ci dia la possibilità di accantonare la lotta per le riforme. Tutt’altro! Non possiamo sapere in anticipo quanto tempo sarà necessario per avere la meglio, quando cioè le condizioni oggettive consentiranno l’avvento di questa rivoluzione. Dobbiamo quindi sostenere ogni minimo miglioramento, ogni miglioramento effettivo della situazione economica e politica delle masse. La differenza tra noi e i riformisti (cioè, in Svizzera, i grütliani) non sta nel fatto che noi siamo contrari e loro sono favorevoli alle riforme. Non è questo il punto. In effetti, essi si limitano alle riforme e si degradano quindi alla semplice funzione di “infermiere del capitalismo”, secondo la puntuale espressione di un (raro!) collaboratore rivoluzionario della Schweizerische Metallarbeiterzeitung (n. 40). Noi invece diciamo agli operai: votate pure per la proporzionale, ecc., ma non limitate a questo la vostra attività. Mettete piuttosto in primo piano la propaganda sistematica dell’idea della rivoluzione socialista immediata. Preparatevi a questa rivoluzione e operate a tale scopo i cambiamenti profondi che si rendono necessari in tutta l’attività del partito! Le condizioni della democrazia borghese ci costringono troppo spesso ad assumere questa o quella posizione su tutta una serie di piccole e minuscole riforme. Ma bisogna saper prendere o imparare a prendere posizione a favore delle riforme in modo tale che — se, per essere più chiari, vogliamo dirla in termini alquanto semplificati — in ogni nostro discorso della durata di mezz’ora si dedichino cinque minuti alle riforme e venticinque alla rivoluzione imminente.
La rivoluzione socialista non può essere realizzata, se non si combatte un’accanita lotta rivoluzionaria di massa, una lotta che costa molti sacrifici. Ma sarebbe incoerente accettare la lotta rivoluzionaria di massa, riconoscere l’aspirazione a metter fine subito alla guerra e respingere al tempo stesso la rivoluzione socialista immediata! La prima è soltanto un puro suono senza la seconda!
Non si può, d’altra parte, evitare di combattere duramente all’interno del partito. Saremmo solo sdolcinati e ipocriti e faremmo la politica filistea dello struzzo, se pensassimo alla possibilità di far regnare, in generale, la “pace interna” nel Partito socialdemocratico svizzero. Non si tratta di scegliere tra la “pace interna” e la “lotta intestina”. Basta scorrere la lettera di Hermann Greulich citata più sopra e rievocare le vicende del partito negli ultimi anni per scorgere l’assoluta erroneità di questa ipotesi.
In realtà, la questione si pone in termini diversi: o le forme di lotta attuali, che sono camuffate e demoralizzano le masse, o invece una lotta aperta, di principio, tra la tendenza internazionalista rivoluzionaria e la tendenza grütliana all’interno del partito e fuori delle sue file.
Una “lotta intestina” in cui H. Greulich si avventi sugli “ultra-radicali” o sulle “teste calde”, senza chiamare per nome questi mostri e senza definire esattamente la loro politica, mentre R. Grimm pubblica nella Berner Tagwacht articoli assolutamente incomprensibili per il 99 per cento dei lettori, articoli pieni di allusioni e di ingiurie contro gli “occhiali stranieri” o i “reali ispiratori” dei progetti di risoluzione sgraditi a Grimm, una tale lotta interna demoralizza le masse, che vi ravvisano o intuiscono una sorta di “rissa tra i capi”, senza comprendere di che cosa si tratti nella sostanza.
Ma una lotta in cui la tendenza grütliana all’interno del partito — ben più importante e pericolosa di quella che opera fuori delle sue file — sia costretta a contrastare apertamente la sinistra, una lotta in cui le due tendenze intervengano in ogni occasione con le loro posizioni autonome e con la loro politica e si scontrino sul terreno dei principi, demandando realmente alla massa dei compagni di partito, e non solo ai “capi”, la soluzione delle principali questioni di principio, una tale lotta è necessaria e utile, in quanto sviluppa nelle masse lo spirito di autonomia e la capacità di assolvere la propria funzione storica rivoluzionaria.