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Premessa.
Chi scrive non è affatto cattolico o credente,essendo un materialista
dialettico,
cionondimento si utilizza la terminologia propria della teologia cattolica.
Wojtila nella abitudinaria prolusione domenicale, Domenica
19. settembre. 2004, parlando del-la grave ondata di terrorismo e di violenza
ha posto il problema del
“ Perché Dio permette tutto questo? Fino a quando?.”
La risposta che ha dato è stata che dio stesso non ha risolto il grave
problema, lasciando tutto in un indistinto dominio del Male a cui lo stesso
suo figlio, Cristo, è stato sacrificato.
Questi i fatti.
Adesso Wojtila non ha espresso affatto sul tema la teoria della Chiesa Cattolica,
Apostolica Romana. Non ha espresso affatto l’elaborato della Patristica
; non ha espresso l’elaborato di Ago-stino d’Ippona ( noto come
sant’Agostino ); meno che mai ha espresso quello di Tommaso D’Aquino,
massimo teorico della Chiesa ( noto come san Tommaso ).
Wojtila, cioè, rompe in maniera netta ed eclatante con il Nuovo Testamento,
ripristinando su tale tema la vulgata trucida e sanguinaria del Vecchio Testamento.
La tematica costituisce una questione sempre dibattuta sin
dalle origini del cristianesimo.
La questione teologica è questa:
se dio è onnisciente, e quindi sa tutto, lui è a-tempo, ossia
è presente-passato-futuro, lui, quindi, sa già da ora cosa gli
uomini faranno e quindi quanto l’uomo fa non è che il di-segno
divino che si realizza – noi stiamo qui seguendo la teologia cattolica;
se dio è onnipotente, e quindi è in grado di operare qualunque
cosa, è in grado di inter-venire sulle umane tragedie, in questo caso
l’attuale situazione con i suoi lutti ed effera-tezze.
Ancora.
Se il dolore, la sofferenza, la mortificazione sono prove a cui il dio sottopone
gli uomini, perché, poi, permette atrocità tali che esulano ed
oltrepassano il dolore come prova e consente ad alcuni uomini ricchezze immani
ed efferati crimini?
La risposta che viene elaborata è la teoria del libero
arbitrio, ossia il fatto che il dio sappia non influisce sulle scelte dell’uomo,
che da solo sceglie tra il bene ed il male, avendo il dio dato all’uomo
la facoltà di discernere il bene dal male.
Quanto accade agli uomini è allora esclusivamente scelta degli uomini;
è unicamente opera degli uomini. Gli uomini sono cioè responsabili
del loro destino e sarà in base al loro aver operato sulla base del discernimento
tra il bene ed il male che essi si conquisteranno o meno la grazia eterna.
Nel Nuovo Testamento questo concetto è ben espresso, quando Cristo nell’orto
di Getzemani im-plora aiuto al padre suo, il dio-Padre non interviene in soccorso
del figlio, giacché spettava al dio fatto uomo, ossia a Cristo, scegliere,
senza alcun intervento che alleviasse o allontanasse la prova.
Tommaso D’Aquino, XIII secolo, dinanzi alla possente offensiva dell’eccellente
cultura araba – uno dei pilastri di tutta la civiltà europea, oltre
che della scienza moderna, che ovviamente non ha nulla a che fare con l’islamismo
e con teorie religiose arabe varie – che poneva sul tappeto i pro-blemi
della ricerca scientifica, sollevando così le antinomie tra quanto nella
Bibbia e quanto la co-noscenza degli uomini, D’Aquino sviluppa ed elabora
la teoria del libero arbitrio anche sul piano della ricerca scientifica.
D’Aquino costruisce questo impianto teorico:
la scienza divina è scienza superiore e le ricerche degli uomini tendono
a scoprire, cono-scere tale scienza divina. L’uomo, quindi, deve indagare
la natura, perché solo indagandola conoscerà Dio, che è
in ogni cosa, e potrà così goderne della sua perfezione e magnanimità.
Deve con il suo libero arbitrio, con le facoltà intellettive e quella
del discernimento tra il be-ne ed il male indagare la Natura e così conoscere
meglio il dio ed il suo operato.
Se nel corso di tale indagine si pongono antinomie tra quanto la scienza divina
afferma, espressa nella Bibbia, e quanto la conoscenza umana, poiché
tra le due – siamo qui in pieno impianto della logica aristoteliana, ossia
della logica formale – la superiore ed universale è quella divina
e la inferiore e parziale è quella umana, perché essa stessa in
itinere, ossia in sviluppo, in continua formazione, allora occorrerà
prestare fede alla superiore, perché scien-za che viene direttamente
dal dio, che tutto ha creato e quindi tutto sa. L’indagine successiva
degli uomini, il progredire della loro conoscenza, consentendo di ampliare le
conoscenze, consentirà di comprendere meglio il piano generale divino
della creazione, determinando così il superamento dell’antinomia.
( T. D’Aquino, Summa Teologia, parte prima, ed. Paoline 1962 – editio
latina.
La teoria è esposta in vari capitoli, denominati “ Quaestio”.
).
Come ben si vede D’Aquino difende ed elabora, rispetto alle sfide dei
tempi, il principio del libero arbitrio.
Ed esso viene esplicitamente e nettamente espresso nell’ultimo atto ufficiale,
il Concilio Vaticano secondo, Documento Conciliare IV, “ Chiesa nel mondo”,
par. 17 “ Eccellenza della Libertà”, che non fa altro che
confermare consolidata tradizione teorica.
La teoria del Libero Arbitrio.
Costituisce sul piano della teoria un punto decisivo, fondamentale, discrimine
irrinunciabile, che traccia la differenza tra l’ebraismo ed il cristianesimo.
L’ebraismo costituiva una delle tante religioni dell’Asia Minore
– Iran, Iraq Egitto, sostan-zialmente dell’area Nilo-Tigri/Eufrate
– , di struttura monoteistica, che avevano al fondo il messia-nesimo,
ossia l’attesa dell’uomo che avrebbe posto fine alla sottomissione,
allo sfruttamento ed all’oppressione e dato inizio così ad una
nuova era.
Esprimevano teorie di liberazione di popolazioni schiave nella forma mistica
della religione, ove l’uomo-dio si identificava con il capo, quale mito
e proiezione mitica dell’invincibilità e della ine-luttabilità
dell’evento.
L’ebraismo si esprime essenzialmente nel Vecchio Testamento ove vi è
una concezione del dio vendicatore e sanguinario, spietato verso il suo stesso
popolo eletto, vendicatore di torti. Qui il rap-porto uomo-dio è di totale
subordinazione dell’uomo al dio, ove l’uomo è semplice strumento
della volontà del dio in terra e dove l’uomo non ha alcun potere
di decidere, tutto è inscritto nel piano della provvidenza divina. Il
popolo ebraico era il popolo eletto dal dio.
Le numerose altre religioni dell’area, ciascuna, a seconda di quale “
nazione” o tribù era espressio-ne, eleggeva popolo eletto quella
tribù.
In quanto tale ciascuno viveva entro quel ristretto ambito della propria tribù
e quella “ religione” costituiva l’identificazione culturale
e politica di ciascuna gens o tribù o “ nazione”.
Con la crisi dell’impero romano queste teorie di liberazione si coniugano
con la più generale crisi della società schiavista, con la lotta
delle moderne forze produttive contro i rapporti di produ-zione schiavisti.
E’ la “ nazione” ebraica, ossia la tribù dei Giudei,
di cui Cristo ne era il “ re” ,che conduce una lotta più
intransigente contro il dominio romano, tenendo impegnate legioni romane, di
cui emblematici i fatti di Masada del 70 dell’era volgare.
Questo determina che dall’Asia minore vengono queste teorie in Roma, importate
da schiavi e liber-ti, in una situazione di crisi della stessa cultura latina,
e la loro diffusione nella stessa cittadella dell’impero: la città-stato
Roma.
Ma, così, come esse erano originariamente elaborate, non potevano avere
alcun sviluppo di massa ed interesse per i traci, i macedoni, gli illiri, gli
iberici, gli osco, i sabini, gli etruschi, e per le varie altre “ nazioni”
sfruttate e rapinate da Roma; meno che mai la massa degli schiavi che non era
certo solo giudea. Assolutamente non era comprensibile dalla massa delle classi
e dei ceti impoveriti ro-mani e dal “ civis” romano: contadini,
artigiani, in una il popolo romano. Assolutamente rigettato da quella massa
di intellettuali educati all’ellenismo, che pure avvertivano tutta la
decadenza e si po-nevano in opposizione critica.
Toynbee e Finley hanno ben studiato questo tema, che qui sintetizziamo, pur
rinviando al lavoro dell’Istituto su tutta la complessa tematica dell’acquisizione
del cristianesimo quale teoria di lotta contro la società schiavista
.
Il problema era quello di elaborare l’ebraismo sulla base della coscienza
e della tradizione el-lenistica, ossia greco-romana, sottraendolo al carattere
limitato, angusto, localistico, di tribù così da renderlo comprensibile,
metabolizzabile da tutte le altre genti dominate da Roma, consentendogli così
di assolvere al ruolo unificante, di teoria della liberazione di tutti i popoli
del basso e medio mediterraneo: teoria generale della transizione dalla società
schiavista a quella feudale.
In via immediata andava abbattuto quell’esclusivismo che identificava
il popolo eletto in quello giudicaico e destrutturato l’impianto primitivo,
elaborandolo alla luce della tradizione teorica e del-la coscienza civili, culturali,
istituzionali, letterarie delle altre genti.
La tradizione ellenistica non avrebbe mai accettato quel rapporto di servaggio
uomo-dio dell’ebraica, essendo sua concezione un rapporto più libero
ed articolato del dio e delle divinità.
Andava, inoltre, risolta una massa di questioni teoriche che consentissero al
cristianesimo di fondar-si come teoria generale, emancipandosi dall’ebraismo,
ossia da quella primaria forma primitiva.
La Patristica è esattamente questo, di cui Agostino d’Ippona ne
è sistematizzatore e teorico emerito.
Dell’intero impianto il principio del libero arbitrio costituiva, e costituisce,
elemento discri-minante netto, un pilastro di tale processo fondazionale ed
emancipazione dall’ebraismo, ossia da quella primitiva forma delle teorie
monoteiste dell’area Iran-Iraq-Egitto.
Adesso.
Proprio ed esattamente del libero arbitrio Wojtila si è dimenticato.
Se introduciamo questo concetto, risulta che sono gli uomini i responsabili
del proprio destino e non un astratto Male e quindi spetta agli uomini in base
alla loro capacità di discerne il bene dal male di trovare la via per
disegnare un altro loro destino.
Ed è proprio ed esattamente questo che Wojtila voleva nascondere, occultare
in una fase di ripresa delle forze della transizione e del cambiamento, per
prospettare una mitica quanto inconcludente lotta contro un indeterminato Male
che sovrasta gli uomini ed a cui lo stesso dio ebraico non è stato in
grado di darvi risposta ed a cui, quindi, gli uomini non possono che inchinarsi.
Adesso, poiché è verità conclamata che l’attuale
situazione è determinata dall’aggressività dell’imperialismo
statunitense con le sue azioni fortemente destabilizzanti – lo stesso
Koffi Annan, Segretario Generale dell’ONU lo dichiara apertamente –
e poiché sale in maniera imperiosa la ri-chiesta di libertà e
giustizia economiche, sociali, politiche, culturali, ossia gli uomini tornano
a pre-tendere di essere i padroni dei loro destini, l’intento ideologico
della dimenticanza di Wojtila appare in tutta la sua pienezza; si configura,
cioè, “ dimenticanza assai interessata”.
Spostando tutto su un indeterminato Male a cui lo stesso dio ebraico non è
in grado di affrontare ed a cui ha sacrificato il suo stesso figlio e quindi
agli u omini non resta che inchinarsi, Wojtila copre e legittima tutti i futuri
crimini e misfatti efferati a cui gli uomini non possono opporsi e che devono
accettare, perché prodotti da quell’indeterminato Male a cui lo
stesso dio non è in grado di dare so-luzione ed a rafforzare tale impotenza
e la consequenziale accettazione l’affermazione che il dio vi ha sacrificato
il suo stesso figlio.
In verità la venuta del Cristo, secondo la più consolidata tradizione,
non ha niente a che vedere con tale sottomissione al Male, ma con la liberazione
dell’uomo dal peccato originale, il ristabili-mento dell’alleanza
degli uomini con il dio, ecc. ecc.
Wojtila si è fatto, così, interprete delle istanze più
sanguinarie del capitale finanziario mondiale e statunitense in modo particolare;
ha dato voce all’ala più estremista del cattolicesimo statunitense,
che sostiene Bush e che costituisce la congregazione più influenze e
finanziariamente più forte del Vaticano, che ha portato Wojtila al papato:
i Marcinkus, per intenderci.
E così facendo, compie un pesante passo indietro, lacerando con tutta
la consolidata tradizione.
Certo questo può essere solo indice della ben grave
crisi in cui versa il Vaticano, dinanzi all’incedere maestoso della tempesta
non può che arretrare ed attestarsi sulle sue più arretrate e
pri-mitive linee, condizione indispensabile per poter dar vita a quell’unità
delle religioni, a cui il recen-te Convegno di Milano ha cercato di ridare fiato,
dopo il disastroso fallimento della Convention di Chicago del 1992. Esse costituiscono
la risposta di vecchie e superate superstizioni e credi e miti contro l’incedere
di una coscienza materialista, a cui il progresso scientifico e tecnologico
dà impul-so, come parte della più generale lotta ed opposizione
delle moderne forze produttive contro l’ancient regime.
mercoledì 22 settembre 2004