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Roseto degli Abruzzi, 03. 01. 1998
Premessa
La pesante offensiva culturale in atto da parte delle correnti più mistiche
ed irrazionaliste ha determinato la disarticolazione dell'intera corrente materialista,
mettendola così nelle condizioni di non poter costituire un quadro referente
più generale all'altezza dei tempi ed essere in grado di raccogliere
e rilanciare le sfide dei tempi.
[ Per tutto quanto attiene la disamina di tutta questa tematica rimandiamo a
“ La concezione materialista dinanzi alle sfide del III Millennio”
e “ I compiti nel campo della cultura”.]
Innanzitutto è stata scissa in cultura cosiddetta scientifica, inerente
le scienze naturali, e la cultura
“ umanista”.
All'interno di quella scientifica si è lasciato che si sviluppasse, quando
non è stata incoraggiata, la gara tra le varie discipline: Matematica,
Fisica, Biologia, e all'interno della Fisica tra varie sue componenti: Termodinamica,
Relativistica, Quantistica, per chi fosse la Scienza Principe, ossia quella
dalla quale fosse possibile astrarre princìpi e metodo di validità
generale per tutte le altre scienze.
Quella “ umanista” è stata sostanzialmente schiacciata sulla
Filosofia, affidando ad un particolare ramo di questa il compito di fungere
da ponte tra le due. Il momento artistico-letterario è stato schiacciato
tutto sull'individualità esasperata e l'estro del suo autore, finendo
così per non caratterizzarsi per scienza esso stesso, ma fatto soggettivo.
Le restanti scienze sociali: economia, antropologia, psicologia, psicanalisi,
poste in un limbo tra le due ed a cui, comunque non viene prestata una sufficiente
importanza scientifica, se non quando devono servire a giustificare e manipolare
alcuni dati scientifici in funzione irrazionalistica e/o mistica, quando non
completamento al servizio del fanatismo mistico.
E' stata poi scomposta la cultura materialista in cultura occidentale e cultura
orientale, esaltando la prima e ghettizzando la seconda, dopo averla sommersa
di falsificazioni e ben serrata dentro un solido muro del silenzio ed esaltando
della occidentale molte volte aspetti secondari se non quanto meno contraddittori,
affidando comunque all'occidentale un ruolo superiore. Al tempo stesso la cultura
materialista occidentale è stata ulteriormente distinta in europea e
statunitense, affidando alla statunitense un ruolo egemone nelle scienze naturali
e sociali, prodotto questo anche del più complessivo ruolo egemonico
statunitense, esaltando di questa la corrente pragmatica e di questa le sue
varianti peggiori, e relegando quella europea alle scienze cosiddette “
umaniste”.
Così disarticolata la corrente materialista non è stata più
in grado di assolvere ai nuovi compiti e reggere le sfide dei tempi. La ricomposizione
e riarticolazione della corrente materialista - condizione fondamentale per
la sua ripresa - non può essere il risultato di una semplice ricomposizione,
di una semplice messa assieme dei vari pezzi, ma deve essere il risultato di
un processo che sappia cogliere i momenti fondanti di ciascuna in una sintesi
superiore, in un nuovo quadro referente, che acquisisce i contenuti ed i valori
fondanti dello sviluppo delle scienze naturali.
Uno di questi momenti è la ripresa delle varie componenti a partire da
quella nordamericana.
L'iniziativa di oggi, a cui ne seguiranno altre, inerenti sia quella nordamericana
che le altre culture: araba, europea, greco-latina, orientale, asiatica, africana,
è parte di questo progetto più complessivo.
Iniziamo qui questo cammino.
Questa relazione non ha alcuna pretesa di essere esaustiva,
né potrebbe averla, vista la natura di questa iniziativa, che vuole iniziare
un ragionamento, vuole iniziare a ritessere le fila della corrente materialista.
Vuole invece fissare alcuni punti; fermare alcune riflessioni a voce alta, di
qui allora il carattere di trattazione a blocchi: per riflessioni a voce alta,
appunto.
Due sono i punti su cui vorrei articolare un ragionamento:
uno è sul rapporto Vittorini-Togliatti e quindi Pavese;
due riflessioni sullo stato della cultura nordamericana.
1. Vittorini-Togliatti e quindi Pavese.
E' a tutti noto il progetto culturale di Pavese e Vittorini, a partire dagli
anni '30, ove la rivista “ Solaria” ne costituì la prima
palestra, il progetto si diceva della diffusione della cultura nordamericana
in Italia ed in Europa, come antidoto alla stagnante cultura italiana ed europea.
Questo progetto troverà vasta espressione dopo il 1945, ma in verità
Pavese vi aveva già molto scritto e lavorato per tutti gli anni '30 e
'40, come testimonia la raccolta " Saggi letterari", edita dall'Einaudi.
Un discorso ed una iniziativa a parte andrebbe dedicata proprio a questa grande
casa Editrice, oggi in caduta libera: affossata prima, per poterla poi vendere
per quattro soldi all'editoria Berlusconi, nelle cui mani è caduta e
lì langue: è un invito ed una riflessione. Ma riprendiamo il nostro
ragionamento.
Il progetto dell'americanismo troverà negli anni 1945-50 in Vittorini,
che riprendendo la gloriosa testata che fu di Carlo Cattaneo - eminente patriota
e rivoluzionario italiano risorgimentale - il “ Politecnico”, un
punto di riferimento. Politecnico al quale Pavese non vi parteciperà,
anche se continuerà per altre vie a portare avanti il progetto culturale
che va sotto il nome di “ americanismo”.
Il clima politico e culturale all'indomani del 1948 e poi a partire dal 1950
in Italia e nell'Europa Occidentale si inasprisce, ed inasprendosi inaridirà
lo stesso progetto dell'americanismo a tal punto che quello che all'inizio costituiva
momento di rottura e di crescita culturale, successivamente dinanzi ai progetti
di egemonismo statunitense si convertirà nel suo contrario, in sostegno
e giustificazione teorica proprio di quell'egemonismo statunitense. L'americanismo
diverrà allora l'hollywoodismo, ossia smaccata e più spicciola
propaganda dei più insulti e raccattati valori di quell'egemonismo e
attraverso questa lente deformata filtrata l'intera cultura nordamericana, ove
la Selezione del Reader Digest ne sarà il campione, che riuscirà
a far ben rimpiangere il Minculpop degli anni '30.
In questo clima si opera la rottura Vittorini-Togliatti con la polemica circa
il “ Politecnico”, che si chiuderà con il famoso articolo
di Togliatti “ Vittorini se ne ghiutto”, che finirà per mettere
la parola fine a questa esperienza.
Ora il primo punto che vorrei porre a riflessione è proprio questo: la
fine di questa esperienza.
Se da una parte in quelle condizioni non poteva farsi diversamente, a distanza
di tempo, oggi a quasi cinquant'anni, facendo un bilancio dell'esperienza occorre
constatare che con la rottura Vittorini-Togliatti quel ragionamento si è
arrestato. Si è arrestato e questo - al di là di tutto - costituisce
il dato negativo, che visto oggi a distanza di tempo, non ha certamente ostacolato
quella scissione nella cultura materialista - di cui abbiamo ampiamente discusso
nella relazione “ I Compiti nel campo della cultura” a cui rinviamo
- ove un punto era proprio l'isolamento dei contributi più forti di quella
tradizione di pensiero e la sua scissione dalla più complessiva corrente
materialista, unico àmbito in cui essa può trovare momenti di
esaltazione dei suoi contributi e senza di cui isterilisce nel provincialismo.
Ora la nostra riflessione deve partire proprio ed esattamente dal perché
quel ragionamento si è fermato. Bisogna cioè scavare a fondo ed
impadronirci di quella importante esperienza, giacché, al di là
della giustezza del momento storico contingente, è indubbio che si è
scappati dinanzi a qualche problema, di cui non si riusciva a venirne a capo.
Non è sufficiente e non spiega la contingenza politica, che pur giustifica
la posizione politica di Togliatti e del P.C.I., giacché il progetto
poteva prendere un'altra piega, un'altra variante: il progetto invece si è
arrestato, questo è quello che va ben fermato e non attenuato. La cultura
nordamericana non è riuscita così a svilupparsi in un'ampia circolazione
di idee e di contributi e così rigenerare la cultura italiana ed europea.
Queste dopo la parentesi neorealista, liberatesi della fastidioso nuovo, ha
potuto continuare la melensa produzione, riuscendo così a mettere tra
parentesi quella pur ricca e vivace stagione e questa volta sotto la bandiera
di un altro americanismo, ma ponendosi sul piano formale in continuità
con quella stagione che coniugandosi con la retorica umanistico-crociana ha
ben prosperato negli anni '50 e '60 e saputo essere fino a tutti gli anni '70
veicolo eccezionale proprio ed esattamente di quei valori dell'holliwoodismo.
A questa tendenza assai stentatamente ha cercato di opporvisi un neorealismo,
che però già dalla metà degli anni '50 aveva esaurito tutta
la sua spinta propulsiva, finendo per languire nel folclore, nella ricerca dei
valori veri della cultura e provando e cercando nel mondo contadino quei nuovi
valori. In proposito eloquenti sono i lavori di Nanni Loy e di De Simone, che
mostrano e marcano in maniera irrefutabile tutta la subalternità di una
tale operazione. Antonio Gramsci in “ Passato e Presente” aveva
pur bene messo in guardia contro i pericoli del folclore in quanto variante
del provincialismo.
Si è arrestato quel ragionamento e quella fonte pur ricca ha finito per
inaridirsi nel folclore, nel “ pop”, che voleva essere il “
popolare” da opporre alla produzione borghese. E con essa si inaridirà
tutta la produzione artistico-letteraria italiana: si inaridirà Pratolini,
ma così tutto il neorealismo, che non saprà passare ad una forma
superiore. Non riuscirà, cioè, a transitare dalla denuncia/protesta
alla propositività di nuovi ed altri valori artistico-letterari.
Se quel ragionamento, allora, si è bloccato, significa che esso aveva
limiti che alla fine hanno mostrato la corda.
Ripensare allora significa scavare a fondo, perché bisogna ripartire
da lì, da quell'interruzione, comprendendone bene i limiti, ossia facendo
un bilancio di quell'esperienza e capire da cosa si è fuggiti, arricchirci
di quell'esperienza e andare avanti. E andare avanti oggi, dopo 50anni da quel
progetto ed alle soglie del III Millennio, non può significare la riperpetuazione
stanca, ma l'elaborazione di un nuovo progetto di americanismo all'altezza dei
tempi, che sappia fare tesoro dell'esperienza e rilanciare più in alto
quella sfida.
Questo mi sembra il primo punto da fissare e che può costituire un primo
momento di riflessione, di studio e di dibattito.
Io credo che un elemento di contributo possa venire fermando l'attenzione non
tanto su Vittorini, quanto su Pavese, che ne fu l'ideatore più forte
ed organico, che più vi lavorò con traduzioni e prefazioni ad
opere statunitensi.
A me sembra che Pavese ci possa dire molte cose ed essere un buon viatico.
Io credo che innanzitutto Pavese vada storicizzato, ossia vada distinto il periodo
1930-1940, il periodo 1940-43 ed infine quello 1943-1950.
Pavese è un progetto in fieri, che si ferma all'improvviso e che non
troverà più una continuità, Ed in quanto progetto in fieri
è tormentoso, spigoloso, contraddittorio; questa sua forte dimensione
in fieri è la sua potenza ed il suo contributo, ed è questo che
noi dobbiamo cercare di cogliere, capire, intelligere. Pavese ci dice molte
cose, riesce a fendere con sguardo acuto le tenebre e le nebbie dell'incultura
italiana e cogliere i nessi, i passaggi, i momenti di sostanziale identità-unità
e di differenziazione tra la cultura italiana e quella europea e sa intravederne
una via unitaria in grado di tirare fuori entrambe dallo stallo nel quale si
trovavano.
Pavese si coniuga con Luckacs di “ Distruzione della ragione" e come
Luckacs non sa affondare il bisturi fino in fondo contro Croce ed il crocianesimo,
finendo così per rimanerne subalterno, anche se si libera dall'aspetto
più rozzo, pacchiano e folcloristico: l'incultura savoiarda, ossia il
provincialismo gretto e meschino di una borghesia bottegaia, quale quella italiana.
Non si insisterà mai abbastanza sul tratto " bottegaio" della
borghesia italiana a differenza invece di quella francese, inglese e soprattutto
americana.
La differenza sostanziale sta nella differenza delle borghesie nazionali che
hanno guidato prima un processo rivoluzionario e diretto poi quell'entità
nazionale successivamente.
La cultura europea, con le sue diversità e momenti di unità sostanziali
- passa dall'esaltazione acritica dello scientismo alla rivolta contro la scienza,
per approdare puntualmente all'idealismo più insulso e becero, che fu
la cultura europea degli anni 1920-1940 i cui tratti di maggiore rozzezza e
volgarità furono la cultura fascista e nazista, mentre altrove in Francia,
Inghilterra, ecc. seppe vestirsi un po' meglio e presentarsi in maniera un po'
più decente: dato appunto dalla qualità diversa delle rispettive
borghesie nazionali: la bottegaia messa nelle condizioni di sproloquiare: dio
ci scansi e liberi!
“ La distruzione della ragione” luckasciana, appunto!
Il clima culturale italiano nel periodo fascista fu un clima insulso - Minculpop,
si usa dire - ove la retorica più smaccata faceva da solido surrogato
al ragionamento più elementare, alla più elementare constatazione
dei fatti più elementari.
“ Minculpop” come è noto sta a significare: Ministero della
Cultura Popolare, che era un Dicastero del governo Mussolini, che quotidianamente
trasmetteva, impartiva, ordini ai giornali, riviste ecc. di cosa dire e cosa
non dire, come dire ed in che misura e modo evidenziare, tacere, sottacere,
dire e non dire, lasciar intendere, smentire senza dire, affermare smentendo,
ecc. ecc. ecc. Di qui poi il termine “ Minculpop” per indicare una
cultura d'accatto, servile e stupida. Uno studio, o se si vuole una rapida lettura,
di alcuni lavori degli anni '60 e '70 sul Minculpop, che ne riportano ampiamente
queste “ direttive” è assai istruttivo; come istruttivo è
l'elenco degli artisti ( scrittori, poeti, cineasti, attori, saggisti, pittori,
ecc. ) sul libro paga dell'OVRA - polizia segreta fascista - di cui se ne è
saputa notizia dai quotidiani, che ne hanno pubblicato il lungo elenco agli
inizi degli anni '80.
Le nuove generazioni letterarie e non: va qui ricordata come figura e factum
emblematici il caso di Ludovico Geymonat che su di un altro versante: quello
filosofico-scientifico, sentivano tutta l'oppressione, la vacuità, l'inconsistenza
di queste linee.
Avvertivano chiaramente che la loro classe, la borghesia, non poteva reggere
a lungo nel mantenimento del consenso continuando a seguire queste vie: di qui
la loro opposizione ed il tentativo di cercare nuove strade. Dalla metà
degli anni '30 inizia a serpeggiare un fermento nei giovani quadri della borghesia,
che avvertivano tutta la pesantezza e gravità dell'eredità che
veniva lasciata a loro. Di qui Solaria, l'opposizione di quadri come Bottai,
Ugo Spirito, ecc. ecc. Solo che la loro presa di coscienza viene a coincidere
con un innalzamento forte dello scontro di classe, che conduce ipso facto queste
forti diversità, tutte dentro alla classe borghese se mantenute entro
i limiti e gli ambiti propri, ad un vero e proprio scontro, che porrà
questi elementi attivi della classe borghese in linea di rottura con la propria
classe, di qui la loro proiezione nel campo del proletariato.
Un clima pesante, duro: si diceva.
Dal quale diveniva impossibile uscirne, ma da cui si doveva uscire e uscirne
voleva dire anche rompere in maniera definitiva con la propria classe e compiere
il salto di classe: come molti fecero, tra cui Pavese, Alicata, Curiel, ecc.
ecc.
Il primo periodo 1930-40 di Pavese esprime tutta la contraddittorietà
di questo processo - a tal riguardo di eccezionale importanza è il romanzo
di Preti “ Giovinezza, Giovinezza”. Il cercare altre vie, altre
strade, seguendo e battendo percorsi già battuti leggendoli da angolazioni
diverse e secondo altri parametri: cercando cioè ancora e sempre dentro
il patrimonio, grande, sconfinato, patrimonio teorico culturale della classe
dominante in particolare e di tutte le precedenti classi dominanti, che assieme
a quella attuale costituiscono il patrimonio sconfinato della cultura, ossia
del consenso, delle classi che si basano sulla proprietà privata.
Pavese, cioè, è uno che cerca.
Ma come dice giustamente Marx “ La prima critica ad una scienza parte
sempre dai presupposti di quella scienza che pur si voleva criticare”.
Ecco il Pavese 1930-40 è questo partire dai presupposti di quello che
pur si voleva criticare e superare. La formazione culturale di queste generazioni
era poi Croce, il crocianesimo, l'idealismo sguaiato e bottegaio di un Gentile,
innaffiato dalle raffinatezze savoiarde di un Croce; erano poi quei luoghi comuni
e senso comune che si respiravano ad ogni angolo del Paese, nelle strade, nei
caffè, nei vicoli e nei salotti della borghesia-bene.
Pavese cerca muovendosi in opposizione hegeliana, che non è quella dialettico-materialista
- anche perché, poi la formazione che aveva era questa lettura dell'opposizione.
La lettura ancora dell'A e non-A di aristoteliana memoria, la cui variante è
che mentre in Aristotele ciò si nega in Hegel si afferma: negazione o
principio della non-contraddizione.
Il mondo dell'opposizione hegeliana nel campo culturale verso la metà
degli anni '30 è il mondo delle potenze plutocratiche, il mondo della
perfida Albione, ossia il mondo anglo-sassone. Verso questo mondo veniva esercitata
la più forte censura e di questo quello inerente il mondo statunitense.
Per opposizione hegeliana Pavese, Vittorini approdano al mondo anglo-sassone,
come antidoto al Minculpop; come antidoto al gentilismo ed alla retorica umanistico-crociana.
Stringiamo l'angolo adesso su questa cultura retorico- umanistico-crociana.
In via pregiudiziale va detto che l'influenza delle teorie crociane era ampia
e vasta sull'intero campo europeo e questo fino alla fine degli anni '60: spazzata
poi via dal '68 in Italia ed in Europa, ma poi in un quadro di più generale
controffensiva imperialista è ritornata al centro - vedremo poi meglio,
e vedremo che a ben guardare essa è restata ben salda nelle radici, anche
se in superficie è stata spazzata via: per cui formalmente, ufficialmente
si fa l'inchino di critica a Croce ed al crocianesimo, ma poi gratta gratta
e ci trovi Croce.
Stringiamo quindi l'angolo su questa concezione.
Essa si esprime in due lavori fondamentali di Croce:
Filosofia dello Spirito e Logica.
Se noi spazziamo via tutta la fitta nebbia di cui Croce circonda la sua opera
e la riduciamo alla sua essenza noi vediamo che il problema che affronta Croce
è il rapporto Filosofia-Scienza. Croce si oppone a qualsiasi validità
gnoseologica delle Scienze Naturali, che in pieno impianto aristoteliano qualifica
come " tekné", affidando a Madame Philosophy il ruolo egemone
e supremo. Croce va letto in controluce alla scuola di Vienna: Carnap, la fisica
quantistica e relativistica, la logica matematica: Newmann, Peano, Godel, ecc.
ecc.: ed a questo si oppone, opponendo il suo hegelismo, il suo Hegel, la sua
dialettica hegeliana, ridotta veramente all'insulsaggine.
Mentre sarà più facile per Geymonat uscirne fuori: Carnap, Vienna,
Mach, Avenarius, ecc. muovendosi sul terreno di contrapposizione a Croce: le
Scienze naturali, ecc. ecc. ecc.; più difficile sarà per Pavese,
trovandosi a muovere su un terreno infido, ove agiscono sul piano formale quelle
categorie crociane dello Spirito, della forma, del soggetto, della creatività
dell'Io. Pavese le attraversa tutte ed alla fine non ne esce fuori, ne rimane
ancora dentro, anche se ha introdotto un forte antidoto, un forte elemento destabilizzante:
l'americanismo.
Pavese non poteva uscirne fuori, perché non si era incontrato ancora
con Gramsci.
L'Italia e la Germania, le rispettive borghesie, giungono alle forme del fascismo
e del nazismo non solo per liquidare la resistenza del proletariato e per la
struttura di classe di questi due paesi: che avevano una forte e capillare presenza
della piccola borghesia, su cui poggiare poi le loro mire egemoniche; ma vi
giungono anche come opposizione al fordismo.
Per impedire che il sistema fordista, ossia il sistema della meccanizzazione,
della produzione attraverso la catena di montaggio, passi nei rispettivi paesi
e come difesa nei riguardi degli altri paesi che avevano o stavano introducendo
il sistema di produzione fordista, quindi come forma per mantenere il saggio
di profitto basato sul vecchio sistema della meccanizzazione, basato ancora
sullo sfruttamento estensivo, anziché intensivo, basato cioè sull'uso
e l'impiego sempre crescente della scienza e della tecnica. In termini marxiani
diciamo che queste borghesie cercano di mantenere in piedi un sistema basato
sul plusvalore assoluto contro quegli Stati, che, invece, ponevano la scienza
e la tecnica quale strumento per frenare la caduta del saggio medio generale
del profitto - plusvalore relativo. Gramsci tratta estesamente di questo in
“ Americanismo e fordismo” e dice di una proposta di alleanza che
il gruppo Fiat fece al gruppo dell'Ordine Nuovo negli anni 1920-21, ma che Gramsci
e l'Ordine Nuovo rifiutarono. La battaglia allora di Croce in Filosofia dello
Spirito e tutta la tiritera delle Scienze Naturali in quanto “ tekné”
altro non è che la foglia di fico in difesa di queste scelte della borghesia
italiana. In Gentile l'opposizione è netta, in Croce è mediata.
E sarà questa forma mediata, che consentirà successivamente alla
borghesia mondiale di mediare la contraddizione da una parte di sostenere la
teoria del tutto è, perché è sempre stato e sempre sarà:
propria di tutte le classi in decadenza e la necessità di rivoluzionare
di continuo i mezzi di produzione, attraverso un impiego sempre più massiccio
della scienza e della tecnica, che sconquassa il suo intero sistema di consenso-dominio.
Croce costituisce una mediazione sostenibile. E' per questo che esso ha permeato
gli spiriti e le coscienze intellettuali fino ai nostri giorni.
Gramsci aveva colto bene tutti i passaggi ed i limiti del crocianesimo e dell'americanismo
e fordismo, ed aveva colto con grande genialità essere Croce il punto
debole dell'intero sistema teorico e del consenso: di qui la sua battaglia senza
quartiere contro Croce ed il Crocianesimo - vedi qui relazione Gramsci dell'Istituto
- che si articola in tutti i Quaderni dal Carcere.
Se non si ha questa visione ampia e complessa e contraddittoria dei processi
diviene veramente difficile sottrarsi al crocianesimo, come concezione teorica,
al di là di Croce, specie se ci si muove su un terreno formalmente non
dissimile da quello di Croce e delle categorie crociane. Non dobbiamo dimenticare
che Pavese si muove nel campo artistico-letterario, quello cioè in cui
di più a prima vista vi è l'agire dello Spirito, dell'Io, della
creatività dell'Io, categorie delle quali anche il campo artistico-letterario
del proletariato deve pur muoversi: anche se lo fa in maniera assolutamente
diversa e da tutt'altra angolazione. Ma occorre staccarsi dal crocianesimo per
vedere l'unità materia-spirito. per leggere entrambe come momenti del
divenire della materia; per leggere che la realtà è intellegibile
solo nel suo momento di massima astrazione, ossia nel suo più alto momento
di estrinsecarsi dello “ Spirito” e che nella sua immediatezza la
materia non è leggibile.
Pavese, cioè, inizia un percorso, lo intuisce e per larghi tratti ne
imposta la soluzione. Ma resta un processo in fieri, non compiuto e di cui nemmeno
lo stesso Pavese ne aveva piena coscienza. Lui voleva opporsi alla stagnante
aria culturale italiana ed europea, voleva immettervi il flusso energico della
cultura americana, presa dal suo versante tecnico-scientifico.
Pavese è affascinato dall'immediatezza della letteratura statunitense,
dal suo essere scevra dall'ampollosità retorica e dal bizantinismo delle
forme, dal rococò. Vuole liberare la cultura italiana ed europea da tutte
queste pastoie, di qui la sua scelta dell' “ americanismo”. Occorre
considerare che negli anni '30-40
“ americanismo” era segno forte di opposizione alla cultura fascista
e negli anni 1940-45 era segno distintivo forte dell'opposizione alla “
guerra del duce”: era uno schierarsi. Questa impostazione rompeva decisamente
con l'eurocentrismo, che costituiva - ed ha costituito fino alla fine degli
anni '60 - un tratto decisivo di tutta la cultura mondiale, di cui la stessa
cultura nordamericana ne era influenzata. Per comprendere appieno tutto il senso
della scelta di Pavese occorre immettersi in quel clima culturale: se letto
con gli occhi di oggi diviene illeggibile.
Successivamente la scelta di Pavese, ossia a partire dagli anni '50: Piano Marshall,
per il suo essere in fieri, per il suo essere processo, si converte nel suo
contrario. Si converte, cioè, in sostegno alla borghesia ed alla politica
imperialista: ossia da momento eversivo a momento alto stabilizzante del sistema.
La cultura americana a partire dagli inizi degli anni '50 invade l'Italia e
l'Europa, e ne conquista forti strati dell'intellettualità per la sua
superiorità tecnico-scientifica, a riguardo Laura Conti ne fissa bene
i tratti chiave. In queste condizioni, allora, " americanismo" diviene
lo schieramento di classe attorno alla bandiera dell'imperialismo nordamericano,
che dalla fine della 2a guerra mondiale, diviene lo stato imperialista guida
dell'intero campo imperialista.
E' in queste condizioni che poi matura la rottura Vittorini-Togliatti. In questa
rottura vengono al pettine tutti i limiti del taglio vittoriano dell'americanismo.
Vittorini cioè legge l'opposto di Pavese, legge la continuità
della cultura statunitense con quella europea, mentre Pavese ne legge il lato
della rottura. Vittorini tenderà ad evidenziare come la letteratura statunitense
parte da quella inglese, che i primi autori si riallacciano a quella tradizione
e la importano sul suolo americano. Vittorini si sforzerà sempre di presentare
questa cultura non come rottura, ma come continuità della cultura europea,
come promanazione di questa. L'intento “ tattico” di Vittorini voleva
essere quello di rendere più immediatamente accettabile questa cultura,
presentandola dal lato della continuità, ma dietro questa valutazione
“ tattica” vi era una lettura diversa di questa cultura ed una visione
più generale diversa inerente la cultura europea ed italiana ed i compiti
che stavano dinanzi. Vittorini è, cioè, più ideologico,
Pavese più scientifico: ecco che allora quando si tratterà di
invertire rotta Pavese non avrà problemi, mentre la visione limitata
di Vittorini non gli consentirà di intelligere i problemi nuovi che si
ponevano all'indomani del 1948, di qui la rottura. Ed è in realtà
in quella più limitata angolazione vittoriana che va ricercata tutta
la diversità ed opposizione Vittorini-Pavese: ciò che “
Il Politecnico” privilegia, caso tipico è la polemica circa Hemingway
ed il romanzo “ Per chi suona la campana”, che anticiperà
tutta la polemica Vittorini-Togliatti.
La rottura Vittorini-Togliatti, che è poi la rottura di Vittorini con
il Partito Comunista Italiano, voluta e condotta in porto da Vittorini è
allora l'esaurimento di quel ruolo positivo dell'americanismo ed il convertirsi
nel suo opposto - per i motivi brevemente schizzati.
Il problema allora di cogliere in tutta la sua eversivi il
progetto Pavese, il suo essere un processo, un fieri, è importante. Ma
è importante cogliere in tutti i suoi momenti l'intero percorso di Pavese
stesso con tutte le sue contraddizioni, e per certi aspetti anche le sue contorsioni:
tutto quel suo liberarsi confuso, disordinato dal crocianesimo sono momenti
importanti per capire quali strade e quali viottoli l'intellettualità
dovrà attraversare per giungere, per approdare, al nuovo. Pavese ci dice
cioè di tutta la tortuosità, delle lacerazioni che una intellettualità
dovrà attraversare. Capire perché si è arrestato quel ragionamento
significa capire i problemi che si sono posti dinanzi e dinanzi ai quali - anche
per motivi storico-contingenti - si è andati via.
Ecco questa mi sembra una prima base per articolare una riflessione ed una ricerca
e su cui articolare un ragionamento.
Il secondo punto su cui vorrei fermare la riflessione a voce
alta è lo stato della cultura nordamericana oggi, che mi sembra imbrigliata
nelle sue stesse proiezioni.
Capita per la cultura e la genesi storica americana, quanto già l'Impero
di Roma. L'operazione tendeva a nascondere, cancellare, negare i momenti meno
edificanti e nobili delle origini e della storia della polis-Roma: la dominazione
etrusca, le origini montanare e piratesche vengono annullate in una veste mistica
ed in una proiezione mitica.
Anche successivamente la polis-Roma provvederà a cancellare totalmente,
attraverso anche la distruzione di qualsiasi memoria storica: scritta o orale
di quei momenti di sconfitta: Annibale, Spartaco, la guerra giudaica, la guerra
gallica, ecc.
L'immagine che così viene proiettata è un'immagine mitica, artefatta,
che se da una parte è ben funzionale al mantenimento del consenso e del
dominio, dall'altra finisce per ingannare la stessa classe dominante schiavista,
che finisce per essere ingannata dal suo stesso inganno. Fin quando lo sviluppo
delle forze produttive sosteneva i rapporti di produzione schiavisti, l'inganno
svolgeva egregiamente il suo ruolo di consenso, la sua funzione di “ egemonia”.
Successivamente questo inganno ha oscurato le menti dell'intellettualità
romana, che ha finito così per non intelligere più processi reali,
ma li ha letti, filtrati da quella lente deformante di quell'inganno. Essi finiscono
per plasmarsi ed essere plasmati da quella proiezione mitica, da quell'inganno
al punto che pur nei punti più alti di critica: Tacito, non giunge mai
alla comprensione e quindi alla liberazione da quella. Agiva qui da pesante
condizionamento anche il ruolo di " pòlis-guida" dell'intero
sistema schiavista, che incementava a quell'inganno. Questo ha determinato che
assai raramente forze intellettuali schiaviste transitassero alla nuova concezione
teorica: il cristianesimo, che fu, invece, essenzialmente una produzione di
outsider.
La cultura romana, a partire dal I secolo dc, si troverà nella necessità
di agire da giustificazione dell'Impero Romano e da sostegno alla pòlis-Roma
e troverà allora in quell'inganno lo strumento principe sia del mantenimento
del consenso e sia dell'autogratificazione e dell'autolegittimazione.
Questa pesante cappa ideologica - ben gestita ed alimentata dal Circolo degli
Scipioni - agirà da pesante macigno che schiaccerà qualsiasi tentativo
di produzione teorica alternativa. La struttura, infine, del mecenatismo completerà
l'opera.
In queste condizioni l'unica cultura in alternativa che poteva aversi era unicamente
quella dell'opposizione rivoluzionaria, ossia la cristianesimo.
Il risultato è stato la scissione tra la cultura ellenica e quella cristianea,
ove i passaggi successivi del recupero ed integrazione della prima da parte
della seconda è stata più una operazione ideologica che culturale,
più ideologica che operazione di transizione. E la ellenica manterrà
sempre nei confronti della cristianea un carattere eversivo, sarà la
paganea adversus la cristianea.
E la cristianea riserverà alla paganea lo stesso trattamento che la polis-Roma
aveva riservato ai suoi oppositori.
Il dato che qui va ben fissato è la perdita di tutta una potenzialità,
che il sistema schiavista nella sua fase di transizione non ha espresso. Non
ha quindi trasmesso i valori, la cultura, la tradizione migliore dell'ellenica.
Ed infatti la cultura, la tradizione di pensiero scientifica ed umanista della
società schiavista non transitano alla feudale. Transiterà solamente
quanto l'ago della cruna cristianea consentirà. E questo determinerà
quello che Federico Engels dirà della supremazia della cristianea: dominio
per circa un millennio dell'idealismo e che farà dire a Snell che una
società, la feudale, che aveva alla base un libro ove tutto era già:
la Bibbia, non poteva sviluppare alcuna ricerca, determinandone un autentico
blocco.
Questa esperienza storica va messa bene al centro.
Essa ci aiuta a comprendere gli sviluppi della civiltà letteraria ed
artistica nordamericana a partire dalla metà degli anni '50, quando con
il maccartismo si è data la caccia a qualsiasi produzione che potesse
essere in odore di progresso e così bollata di essere in odore di “
bolscevismo”. Lo spartiacque è! il processo Rosemberg del 1948.
Da questo momento la civiltà artistica e letteraria nordamericana si
è trovata sottoposta a due pressioni opposte:
una l'holiwoddismo, ossia la diffusione della peggiore produzione artistico-letteraria,
spacciata per cultura americana, che poi in fondo altro non era che pezzi di
propaganda dell'Agit-prop statunitense;
l'altra l'ostracismo in quanto cultura dell'imperialismo.
In alternativa si dato proiezione quantomeno esagerata alla cultura “
pop” e nera, che quando non era folclore - nel senso gramsciano del termine
- era decisamente minoritaria e ben saldata nelle sue gabbie
“ dorate” del minoritarismo ed in questa veste ribadiva con forza
tutta la sua subalternità di una classe incapace di produrre qualcosa
che andasse al di là della denuncia minoritaria, che finiva poi quasi
sempre per definirsi settaria.
Quando ha cercato di sottrarsi al minoritarismo ha cercato forme “ antagoniste”
di omologazione con i parametri fondanti della società capitalista statunitense.
In tutti i casi non è riuscita a stagliarsi con una sua identità,
autonomia e pregnanza di valori e motore propulsore di idee, sfide.
Tutto questo fissa in maniera inequivocabile la situazione di blocco dello sviluppo
di una civiltà artistica-letteraria statunitense, che sappia essere produttrice
di un nuovo elaborato, nuovi valori che non gli stantii stereotipi hollywoodiani,
che non sa, cioè, far transitare al nuovo gli elementi forti, i valori,
le tradizioni di pensiero della civiltà statunitense.
E' stata cioè incementata in quel ruolo di difesa-guida dei valori del
sistema capitalista, a sostegno di quel ruolo di gendarme che l'imperialismo
americano veniva ad acquisire a partire dall'inizio degli anni '50, ed in questo
ruolo trova la sua autolegittimazione e la sua valenza di esistenza. In questo
ruolo/funzione di guardiano dei valori del cosiddetto ' occidente' costituisce
macigno e cappa per ogni stimolo, spunto, di cultura diversa, Finisce così
per crescere su stessa, fino a fare di quei stereotipi le categorie fondanti
della sua produzione e base di tutto il suo ulteriore sviluppo.
Congiuntamente a questo una produzione culturale scientifica ad uso e consumo
proprio di quegli stereotipi hollywoodiani - di qui poi si diceva di categorie
- funzionali al consenso ed al rafforzamento di quel ruolo guida. Determinando
un impoverimento ed inaridimento pauroso di quella pur fertile corrente che
è il pragmatismo nelle sue varianti più intelligenti e vivaci,
ridotti ed immiseriti al più deleterio affarismo, fatto divenire pragmatismo.
E così cresce a dismisura questa cultura fabbrica del consenso che schiaccia,
opprime, annulla, vanifica qualsiasi produzione culturale diversa, che sappia
essere momento alto della transizione. E non può allora che ritagliarsi
“ nicchie” in cui istarci: del folclore, del “ pop”,
del nero: in una del minoritario.
Il problema allora di liberare queste forze e metterle in grado di esprimere
appieno le loro potenzialità diviene compito centrale per tutte quelle
forze che vedono un ruolo di civiltà e progresso nella produzione e nella
estensione di una civiltà artistica e letteraria. Giacché poi
a ben vedere il prevalere di tali linee, non sono indifferenti nel rapporto
tra gli uomini, esse agiscono, contribuiscono ad un clima culturale sostanzialmente
meschino, povero, misero, che non può non tradursi in un imbarbarimento,
incattivimento nel rapporto tra gli uomini; che è un imbarbarimento strisciante,
fatto di mille cose, che però si fa ed alla fine ci schiaccia e costringe
poi tutti ad adeguarsi, sia pure per difesa e così scendere di gradino
in gradino la scala della asocialità umana ed aderire alla scala dei
valori del darwinismo sociale.
Solo se si riesce a rompere la dura scorza nazionalistica che la ingabbia e
dandole un respiro mondiale, e così farla interagire con tutta la restante
cultura d'opposizione e alternativa, che vive nelle sue stesse condizioni, ingabbiata
in quegli stessi àmbiti nazionalistici e settoriali.
Un processo culturale va sempre letto in un àmbito generale, che non
è quello sul quale sorge e si sviluppa, ossia nazionale, ma sempre quanto
meno nell'ambito della sua area geografico-culturale ed in questa va immessa
se si vuole comprenderla e darle respiro e vitalità: rinchiuderla nell'àmbito
formale entro la quale si origina significa firmarne la sua condanna a morte.
Questo è sempre vero, per le dimensione in sé anazionali che un
processo artistico-culturale prende, perché si origina in un àmbito
più vasto e corposo che quello dal quale formalmente si origina, che
è quello appunto dell'area geografico-culturale a cui afferisce. E' sempre
vero, si diceva, lo è maggiormente con lo sviluppo della società
borghese, che sin dal suo sorgere ha lavorato nella direzione dell'abbattimento
di barriere fisiche e politiche e per un unico mercato mondialmente inteso.
Questo ha fatto sì che le varie aree geografico-culturali che fino al
XVIII secolo mantenevano una loro separatezza, hanno finito per costituire solo
aspetti particolari, con loro peculiarità e momenti originali e specifici,
di un'unica area geografico-culturale, che è quello mondiale.
Diviene allora vitale reintrodurre in quell'unico àmbito la stessa produzione
statunitense, solo in quell'unico àmbito filoni, spunti in quello nazionalistico
isolato ed in definitiva non comprensibile, non leggibile ed astruso, diviene
forte e fondante.
Si tratta allora per quanto attiene la statunitense, ma poi ciò vale
per tutte le altre componenti, di scavare in profondità e ricercare quei
valori e contributi, che si ritroveranno però insaccati in un mare di
ovvietà, che hanno subìto, cioè, un forte processo di distorsione,
mistificazione, costretti a filtrare per le lenti prismatiche deformanti di
valori ufficiali ed a muoversi tra il minoritarismo, l'omologazione e la pesante
cappa dell'incultura ufficiale.
Si tratterà di scavare a fondo per far emergere alla superficie quanto
di positivo è stato prodotto-elaborato e che stenta a venir fuori e che
la forma nella quale riesce a venire fuori è totalmente distorta e mistificata
ed è assai difficile, nella forma nella quale si presenta, riconoscerne
una qualche novità e meno che mai un contributo o un nuovo valore.
Si tratta allora di muoversi su due direttrici di ricerca:
una all'interno della stessa incultura ufficiale;
due all'interno della produzione di “ alternativa”, con tutti i
limiti che si è detto, sapendola ben depurare di quegli elementi.
Operazione questa decisamente complessa, che richiede una calma certosina, una
particolare capacità di discernimento i cui parametri di comparazione
possono essere elaborati solo in una visone mondiale della più complessiva
produzione artistico-letteraria da un lato e scientifica dall'altra: l'una funzionale
all'altra ed il cui intimo nesso non sarà mai sufficientemente sottolineato.
Entrambe, la ufficiale e quella di opposizione, sono sempre e comunque prodotte
del reale. Esse ci diranno, anche se da angolazioni diverse, distorte e mistificate
quanto si vuole, dei problemi e delle istanze degli uomini a cui quelle soluzioni
cercano di dare ed essere risposte.
La lettura dialettica di entrambe le angolazioni ci dirà del nuovo che
si fa, del nuovo che diviene, del nuovo che pur tra mille difficoltà,
mediazioni, zigzag si fa, diviene e contiene in nuce il futuro: i valori, le
tradizioni, ecc. della nuova società, della nuova e più alta socialità
degli uomini, della società dei produttori.
La lettura dialettica di entrambe ci dirà anche dei contributi originali
che la nordamericana porta alla più complessiva produzione-elaborazione
del nuovo. Ciascuna tradizione nazionale o di area non può pretendere
di essere esaustiva, ciascuna pecca dell'uno o dell'altra insufficienza, giacché
ciascuna porta con sé i tratti, le stimmate, della sua storia, della
sua genesi, del suo essere divenuta cultura ed in questo le sue originalità
e peculiarità al comune patrimonio degli uomini, che risulterà
non dalla sommatoria, ma dalla sintesi dialettica di tale confluire delle varie
componenti nazionali e di area culturali specifiche. La lettura di entrambe
- si diceva - ci dirà degli uomini, delle loro istanze a cui quelle soluzioni
cercano di dare risposte.
Il punto da ben fissare è appunto “ entrambe”;
giacché entrambe costituiscono l'unitarietà del processo. Anche
la più ideologica, la più sguaiatamente rozza e servile, anch'essa
ci dirà degli uomini: ci dirà di più verso cosa gli uomini
non devono andare, da cosa vanno tenuti lontani secondo le istanze della classe
dominante, ci dirà dove non devono approdare le coscienze degli uomini.
Ma per poter far questo dovrà essere ben in grado di intelligere il processo
reale, di intelligere le istanze degli uomini, per poterle condurre su altre
sponde: ma deve cogliere il reale, deve correttamente interpretarlo. Da questa
angolazione avremo cioè la massima distorsione del nuovo che diviene,
il nuovo nella sua più alta mistificazione, ma il nuovo, perché
quello che occorre tener ben fermo è proprio che nonostante tutto e contro
tutte le più plateali manifestazioni più esteriori, il nuovo si
fa, diviene nelle forme che gli si offrono, perché la vita vince. E noi
dobbiamo saper cogliere proprio questo divenire della vita che vince, saperne
intelligere i più reconditi momenti ed astrarli in un nuovo e più
alto processo di sistematizzazione teorica, ossia in un nuovo e più alto
processo di astrazione. Dove il momento culturale non è un momento in
più, un accessorio nella vita degli uomini: è! la vita degli uomini.
L'attività spirituale dell'uomo, ove la creazione artistico-letteraria
ne è un momento alto, non costituiscono assolutamente un accessorio,
un di più, un optional. Sono invece momenti immanenti all'Uomo, giacché
l'uomo è l'unità materia e spirito, ove i due momenti non sono
scindibili.
L'uomo, cioè, è un animale di tipo particolare - che già
Aristotele, filosofo greco del IV secolo ac, definiva animale sociale - che
a differenza di tutti gli altri animali non trova nella natura i prodotti già
pronti per il suo sostentamento, ma deve trasformare quei prodotti che la natura
spontaneamente offre a lui in prodotti per sé utili. L'uomo attua, cioè,
un ricambio organico tra sé e la Natura, un processo di trasformazione.
Questo processo è il lavoro, che in quanto tale non può essere
svolto in maniera isolata, individuale, ma è sempre il prodotto della
cooperazione, ai livelli storicamente definiti di “ cooperazione”,
di qui il tratto sociale dell'uomo.
L'uomo è quindi un animale sociale, che vive in comunità e nella
ed attraverso la comunità attua il ricambio organico tra sé e
la natura, ossia riproduce le condizioni materiali della sua esistenza. E' esattamente
in questo processo ed in questa dimensione sociale - che è ineliminabile
dal suo status e per la sua stessa sopravvivenza fisica - che l'uomo sviluppa
qualità insolite per tutti gli altri animali: le qualità spirituali,
che sono funzionali proprio ed esattamente al e per il suo vivere e progredire.
La realtà che l'uomo deve trasformare, per attuare il ricambio organico
tra sé e la natura, è intellegibile proprio nei suoi momenti di
maggiore astrazione, ossia attraverso un atto spirituale e non lo è assolutamente
nei suoi momenti di più immediata materialità.
L'uomo è allora una complessità che trova nei momenti spirituali
le forme di estrinsecazione di questa complessità. La contrapposizione
allora materia-spirito, che affidava a “ materia” il tratto della
positività ed a “ spirito” quello della negatività,
appartiene alla vecchia concezione materialista sviluppatasi fino al XVIII secolo,
di cui l'Illuminismo ne è il momento più alto, ossia il cosiddetto
materialismo meccanicistico o volgare. Esso leggeva solo il rapporto della Natura
sull'Uomo e non anche dell'Uomo sulla Natura ed il suo progredire espressione
e prodotto e risultato proprio ed esattamente di questo interagire di due elementi:
Uomo e Natura. Questo determinava un potente processo distorsivo: il momento
materialista, che pur ha determinato e sotto le cui bandiere si sono verificati
i passi in avanti dell'Uomo, fissava il momento della passività dell'Uomo
verso la Natura; mentre il momento idealista, che costituiva la cassa di risonanza
delle classi conservatrici in lotta contro il momento di ascesa delle forze
rivoluzionarie, fissava il lato attivo dell'Uomo.
Il problema allora di leggere i due momenti: materia e spirito, ove il dato
principale è la materia e lo spirito ne è quello subordinato,
è centrale; è, cioè, centrale nel processo di sintesi ricomporre
questi due momenti.
Una proposta in chiusa: sarebbe interessante proprio in questo circolo di artisti
e letterati una discussione sull'arte, la letteratura, ecc. partendo da alcuni
articoli di Pavese, come base per una discussione collettiva.