Biblioteca Multimediale Marxista
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1902-2002:
1° Centenario della lotta degli Edili di Firenze
Piano delle monografie
Storia del Movimento Sindacale Italiano 1943-1980
1. Il Sindacato nella Resistenza: 1943-1945
2. L’Unità Sindacale: 1944-1948
3. 1948-1955: Dalla rottura dell’unità sindacale alle elezioni
del 1955 delle
Commissioni Interne,
4. 1956-1961: Dal Convegno “ I lavoratori ed il Progresso Tecnico”
al 1963
5. La ripresa operaia: 1963-1968
6. L’Autunno caldo: 1969-1974
7. 1975-1984: dalla ristrutturazione capitalistica al movimento degli autoconvocati.
8. Monografia tematica: La stagione dei Consigli
9. La contrattazione: dalla centralizzazione alla trattazione decentrata.
Dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra l’attività contrattuale
è caratterizzata da una forte centralizzazione. La CGIL unitaria firma
una serie di importanti accordi interconfederali.
Essi contengono, da una parte, norme relative al trattamento economico e normativo
dei lavoratori; dall’altra introducono ( o reintroducono ) alla ricerca
di una sempre migliore tutela della classe ope-raia, particolari istituti quali
le Commissioni Interne, la scala mobile della retribuzione e la discipli-na
dei licenziamenti per riduzione del personale oltre che dei licenziamenti individuali.
L’elemento che caratterizza questa fase della lotta sindacale è
la contrattazione interconfederale.
E’ un vero e proprio contratto stipulato dalla Confederazione Generale
dei Lavoratori e la Confin-dustria, che ha come campo di applicazione non il
singolo comparto ( metalmeccanico, tessile, chi-mico, calzaturiero, alimentarista
) ma prevalentemente l’intero settore industriale.
In questo periodo vengono stipulati i primi contratti nazionali di lavoro post-fascisti
dei vari settori, mentre a livello di fabbrica, per opera delle Commissioni
Interne si sviluppa, già all’indomani della fine della guerra,
la contrattazione aziendale.
Gli accordi interconfederali non sono accordi quadro – cioè accordi
che fissano le direttive di carat-tere generale a cui altri soggetti devono
ispirarsi nella loro azione contrattuale – ma sono invece dettagliate
regolamentazioni su alcuni specifici istituti. Vengono così fissati precisi
limiti di compe-tenza ai contratti di categoria, e fino, al 1954, la stessa
parte restante riguardante la determinazione delle retribuzioni viene definita
intercategorialmente attraverso accordi interconfederali che stabili-scono in
maniera rigida la misura dei salari e stipendi oltre alle relative differenze
per settori merce-ologici, per zone territoriali, per qualifiche, per sesso
e per età.
In generale possiamo dire che un tale sistema si colloca nella grave situazione
economica e sociale del paese, caratterizzata da un sistema produttivo semidistrutto
dalla guerra, da una disoccupazione di massa, da un processo inflazionistico
che falcidia il già scarso potere di acquisto dei lavoratori. L’attività
contrattuale viene quindi ad essere fortemente condizionata, da una lato, dalla
necessità di un rapido e generale processo di ricostruzione del paese,
e dall’altro, dalla esigenza di migliorare e livellare le condizioni di
vita della classe lavoratrice. I maggiori problemi che si presentano hanno infatti
carattere generale ed interessano tutti i lavoratori e tale risposta interconfederale
ne costitui-sce una risposta.
Abbiamo detto “ in generale” giacché tale situazione oggettiva
costituiva legittimazione a tale scel-ta, ma nascondeva ben più profonde
divergenze, occultava due concezioni diverse di intendere il sindacato e che
costituiranno poi la base della scissione sindacale, come vedremo ed analizzeremo
bene in seguito.
Nelle condizioni date del periodo 1944-1948 costituiva base sufficiente di accordo,
tale da consenti-re quella unità sindacale.
Questo periodo vede importanti conquiste da parte del movimento operaio italiano,
prodotte dal più generale rapporto di forza tra le classi, scaturito
dalla Resistenza. Questo è il dato fondamentale che occorre sempre tenere
ben presente in tutto questo periodo, che determina le scelte della classe bor-ghese,
e quindi dei suoi partiti e dei suoi uomini nel sindacato. A livello internazionale
il rapporto di forza tra le due classi ed i due sistemi sociali: borghese e
socialista era decisamente a favore del proletariato e del socialismo non solo
in Europa ma anche nei paesi d’Asia, Africa, America Latina.
Il problema di bloccare, tenere lontano il proletariato europeo dalla lotta
per il socialismo è una scelta obbligata, di qui tutta una serie di politiche
sociali, come era già avvenuto nel periodo 1917-1922 con governi socialisti
in Francia, Inghilterra, ecc.
Gli accordi interconfederali stipulati in questo primo periodo dalla Cgil assicurano,
oltre ad una cer-ta dinamica delle retribuzioni, la conquista di importanti
risultati sul piano economico-normativo, che costituiranno poi l’intelaiatura
fondamentale dell’intero movimento sindacale italiano e che co-stituiranno
gli obiettivi fondamentali contro i quali si scaglierà la classe borghese
per tutti gli anni a venire, per riconquistare quel terreno perduto.
In particolare gli accordi per la perequazione delle retribuzioni firmati rispettivamente
il 6. dicem-bre 1945 per i lavoratori dell’industria del Nord ed il 23.
maggio 1946 per i lavoratori dell’Italia centro-meridionale. Tali accordi
unificano su scala nazionale i trattamenti retributivi che, in relazio-ne alla
situazione economica dell’immediato dopoguerra, si erano profondamente
diversificati at-traverso una quantità enorme di iniziative e di accordi
particolari, che avevano frantumato il regime salariale sul terreno comunale
ed aziendale. Con tali accordi, inoltre, viene introdotto un meccani-smo di
adeguamento delle retribuzioni all’andamento del costo della vita: la
scala mobile delle re-tribuzioni, capace, almeno in parte, di salvaguardare
il potere di acquisto dei salari dei lavoratori.
Già qui si evidenzia tutta la linea di classe della borghesia.
Essa cerca di dividere il movimento operaio: quello del Nord da quello del centro-sud,
adotta la po-litica della minor resistenza nei punti più forti del nemico
di classe: di qui la doppia firma per lo stesso accordo: il primo del dicembre
1945 per la classe operaia del Nord e solo dopo sei mesi un accordo analogo
per la classe operaia del centro e del sud.
Gli accordi interconfederali del 27. ottobre 1946 e del 30. maggio 1947 prevedono
aumenti per tutte le categorie di lavoratori ( impiegati, operai, categorie
speciali ), una modifica del meccanismo della scala mobile, un aumento ad un
minimo di 12 giorni di ferie per tutte le categorie, il pagamento per gli operai
delle festività infrasettimanali e della gratifica natalizia nella misura
di 200 ore di retribu-zione globale .
Il 30. marzo 1946 viene raggiunto un accordo per gli impiegati appartenenti
alle categorie speciali che, oltre a stabilire gli aumenti degli stipendi mensili
di fatto, prevedeva aumenti periodici di an-zianità, aumenti automatici
delle retribuzioni a prescindere da qualsiasi aumento di merito.
Il 7. agosto 1947 viene imposto l’accordo per la “ Costituzione
ed il Funzionamento delle Commis-sioni Interne”. L’accordo attribuisce
alle Commissioni Interne, quali organismi unitari, il compito di intervento
nell’applicazione dei contratti di lavoro e delle norme legislative, ma
sottrae alle stes-se poteri e compiti come la trattazione e la conclusione di
accordi aziendali.
Vengono invece attribuiti alla Commissioni Interne nuovi importanti poteri in
materia di licenzia-menti effettuati sia per riduzione di personale che individualmente.
I primi contratti di categoria
La conquista di questi primi contratti, avvenuta tra il 1946-1948, richiede
alle singole categorie lotte lunghe ed impegnative di fronte alla resistenza
opposta dalle varie componenti del padronato. Le rivendicazioni avanzate, non
riferendosi ai minimi salariali determinati nazionalmente dagli Ac-cordi Interconfederali,
tendevano ad una nuova regolamentazione del rapporto di lavoro valida per tutti
i lavoratori occupati in ogni specifica categoria o settore produttivo.
Tra i primi contratti quello degli edili stipulato il 1. dicembre 1946 per gli
operai ed il 14.novembre 1947 per gli impiegati; il contratto dei lavoratori
della industria chimica e farmaceutica, firmato dopo sei mesi di trattativa
il 6. settembre. 1947; il contratto per l’industria grafica del 30. aprile
1947, del settore tessile del 31. gennaio. 1947 e quello del settore dell’abbigliamento
del 1°. luglio,. 1948. Particolare accanimento il fronte padronale lo riserva
agli operai metalmeccanici che strappa-no il loro contratto il 25. giugno. 1948
dopo un anno di lotte.
Come si evince anche da questa cronologia esiste una ben precisa intenzionalità
politica da parte della classe della borghesia italiana, tendente a tentare
tutte le carte della divisione non solo tra le varie categorie ma anche all’interno
delle stesse categorie tra operai ed impiegati.
Il particolare accanimento verso il settore dei metalmeccanici è evidentemente
un accanimento tutto di natura politica, che mostra bene gli stessi rapporti
di forza esistenti tra le varie fazioni del capitale monopolistico italiano,
ove la frazione meccanica, capeggiata da Agnelli, impone una unità a
tutto il campo per la resistenza fino all’ultimo e perché il cedere
in questo settore costituiva di fatto un ce-dere politico dell’intera
classe dei capitalisti.
Ma tale politica di resistenza e di divisione oltre a quella che può
essere considerata una normale a-zione di resistenza della controparte, costituiva
un disegno ben più organico ed ambizioso.
Assolveva, cioè, al compito di tenere impegnate le forze del proletariato,
inchiodandole sul terreno sindacale e nella difesa contro le provocazioni padronali:
rappresaglie e repressioni nei luoghi di la-voro, per sfiancarlo e poter lavorare
alla sua divisione interna e preparare le migliori condizioni per la scissione
che poi i suoi uomini consumeranno all’indomani del luglio 1948.
L’azione puramente sindacale assolveva al compito da una parte di disintossicazione
politica del movimento operaio, determinata dalla lotta per la Resistenza che
aveva visto al centro la classe ope-raia, come classe dirigente, ma solo in
parte egemone. Il proletariato italiano cioè veniva ricondotto al rapporto
per lui più svantaggioso, veniva portato sul terreno ove egli è
meno forte e decisamente subalterno, quello del rapporto lavoro salariato-capitale,
terreno che di fatto stabilisce e legittima se non l’egemonia della classe
della borghesia, ma decisamente la superiorità e restituisce centralità
alla classe della borghesia.
Il movimento sindacale e la lotta sindacale vanno letti nella loro duplice funzione,
nel loro movi-mento contraddittorio, diversamente si finisce o per negarne qualsiasi
funzione o per innalzarli a ruolo decisivo.
Nelle condizioni date effettivamente il movimento economico diviene il punto
centrale di battaglia, giacché dinanzi alla devastazione economica, la
ripresa e la ricostruzione il problema economico-rivendicativo e quello sindacale
più complessivo diventano il terreno principale di scontro, assieme a
quello della Carta Costituzionale e della definizione dei più generali
equilibri tra le classi. In tale contesto chi riesce a mobilitare ed egemonizzare
il movimento sindacale riesce nel contempo a get-tare sul piatto della bilancia
una massa considerevole. Inoltre, finita la guerra, effettivamente il pro-blema
principale diviene quello della sussistenza. Infine sul terreno della lotta
di fabbrica si giocano i rapporti tra le classi, giacché qui si decide
della ricostruzione e delle prospettive del Paese.
All’interno di questo movimento il problema della lotta economico-rivendicativa
assume una sua rilevanza, consistente nel mobilitare il centro e gli elementi
arretrati del proletariato per il più gene-rale scontro di classe e questo
era possibile tramite la lotta economico-rivendicativa.
La massa enorme di membri di questa classe che viene coinvolta spinge per una
lettura più econo-mico-rivendicativa, che per quella sindacale più
generale e politica.
Si trattava di coniugare i due momenti dell’azione sindacale: la componente
economico-rivendicativa e la componente politico-sindacale; ossia le Commissioni
Interne ed i Consigli di Ge-stione delle Fabbriche.
La battaglia per tutto il periodo 1945-47 è appunto attorno a questo,
attorno ad un ridimensionamen-to, ed infine scioglimento e decaduta dei Consigli
di Gestione delle Fabbriche, o una loro qualifica-zione, facendole assumere
un ruolo di direzione entro cui iscriversi anche la lotta economico-rivendicativa.
La borghesia, e quindi i partiti e gli uomini nel sindacato di questi partiti,
spingono per la soluzione borghese anche perché questo consente loro
di agganciare gli elementi intermedi ed arretrati del movimento operaio e farne
una loro base di massa, isolare gli elementi avanzati e le esperienze a-vanzate
del proletariato e costruire già da qui le premesse della scissione.
Il movimento economico-rivendicativo cioè diviene da parte della borghesia
e dei partiti e degli uomini di questi partiti nel sindacato lo strumento per
agganciare il movimento operaio e costruirvi una rete organizzativa, al fine
di poter aver le condizioni migliori per la scissione.
Essi cioè leggono ed utilizzano l’altro aspetto della contraddizione.
Tutto un discorso a parte, ma che ha qui effettivamente una sua importanza,
andrebbe sviluppato sul ruolo e la funzione assolta dal sindacalismo americano,
l’AFL-CIO sia nelle indicazioni tattiche e strategiche e sia nella formazione
di quadri che poi daranno vita alla Cisl ed alla Uil.
Essi cioè formano questi quadri sulla base delle teorie del sindacalismo
americano basate appunto sull’organizzazione delle singole categorie e
delle singole figure più forti, in base alla concezione del sindacato
in quanto strumento di difesa degli iscritti, ossia sindacato-azienda.
Il tema lo riprenderemo ed analizzeremo con attenzione nel quadro delle monografie
sul mo-vimento sindacale europeo e statunitense. Per ora basti tanto.
Il movimento sindacale italiano non saprà condurre una battaglia forte
attorno all’esperienza più alta che sin lì, dopo e con la
Resistenza, era stata compiuta: i Consigli di Gestione.
Essi scaturivano e ne costituivano eredità alta dello stesso movimento
della Resistenza, quali stru-menti della gestione della produzione nelle fabbriche
e strumento alto che seppe mobilitare la classe operaia prima nella sottrazione
dei macchinari alla rapina che le orde germaniche intendevano ope-rare, trasportandole
in Germania: essi smontavano i pezzi chiave di un macchinario e lo nasconde-vano,
rendendolo così inutilizzabile . All’indomani del 25. aprile essi
saranno in grado di far ri-prendere la produzione ed avviare il processo della
ricostruzione in condizioni decisamente miglio-ri, mentre i borghesi avevano
ben provveduto a riparare nella tranquilla Svizzera, dopo aver fatto affari
con le truppe germaniche, per ritornare all’indomani nel maggio 1945.
I Consigli di Gestione delle Fabbriche
I Consigli di Gestione si svilupparono subito dopo la Liberazione, quali continuatori
dei Comi-tati di Liberazione aziendali operanti nelle fabbriche nel periodo
della guerra partigiana. Il compito originario dei Consigli di Gestione era
la difesa, la ricostruzione e la riattivazione delle imprese de-vastate dalla
guerra nazifascista. Se per certi aspetti erano diversi dai Consigli del periodo
1920-1921, Occupazione delle Fabbriche, essi ne derivavano storicamente e teoricamente
da quella espe-rienza consiliare di controllo operaio sulla produzione. Furono,
però, diversi da analoghe esperien-ze, nati nell’Europa capitalistica
del dopo guerra. come strumenti di consultazione e di collabora-zione operaia.
come elementi di una ipotetica quanto utopica “ democrazia industriale”.
I Consigli di Gestione delle Fabbriche avevano per obiettivo quello dell’organizzazione
dei contri-buti e dell’apporto degli operai e dei tecnici al controllo
della produzione, secondo una funzione di-rigente nel paese ed in cui lo stesso
orientamento della produzione, il suo sviluppo, la sua guida, e-rano finalizzati
al ruolo nazionale e dirigente della classe operaia nell’opera di ricostruzione
del Pa-ese.
Il 17. aprile.1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia
( CLNAI ) su delega del go-verno dispone l’elezione dei rappresentanti
dei lavoratori, affidandone provvisoriamente la rappre-sentanza di questi ai
Comitati di Liberazione. In centinaia di aziende, soprattutto medie e grandi,
vengono costituiti i Consigli di Gestione delle Fabbriche in base ad accordi
aziendali.
I compiti sono differenziati: essi vanno da quelli consultivi a quelli deliberativi.
La composizione è generalmente paritetica fra rappresentanti dei lavoratori
e quelli dell’azienda.
L’azione dei Consigli di Gestione delle Fabbriche pur partendo dai temi
della ricostruzione, della riconversione dell’industria, della ripresa
produttiva, investiva aspetti centrali della politica econo-mica, non solo a
livello aziendale o di gruppo ma a livello di settore, incidendo e condizionando
la stessa strategia industriale del paese. Proprio per questa azione e per la
loro natura di strumenti di classe, i Consigli di Gestione assunsero via via
una netta collocazione politica di opposizione alla politica dei monopoli che
si incentrava su pesanti ridimensionamenti e massicce smobilitazioni dell’apparato
industriale. Essi furono strumenti di classe, strumenti di lotta contro i monopoli
all’interno delle fabbriche e su scala nazionale. Gli stessi programmi
di produzione, spesso in alter-nativa a quelli padronali, fortemente legati
alla vita e talvolta alla sopravvivenza stessa delle azien-de, assunsero un
carattere profondamente unitario e decisamente pericoloso per la classe della
bor-ghesia. Contro di essi si abbatte la furia e l’odio di classe, dopo
l’attentato a Togliatti e la rottura dell’unità nazionale,
della classe della borghesia nell’azione dei licenziamenti in massa dei
comuni-sti o loro relegazione in reparti punitivi; principale attenzione dei
governi Scelba.
Il problema di fermare assolutamente, subito, una tale iniziativa, una tale
esperienza di governo operaia diveniva centrale e tutti gli sforzi furono fatti
al fine di spuntirne la forza eversiva.
Mentre da una parte pesante calava un muro di silenzio feroce ed altrettanto
feroce era la rappresa-glia e la repressione padronale, quando e dove i rapporti
di forza lo consentivano, dall’altra furono subito mobilitati capi e capetti,
tali, presunti tali o illusi, al fine di far rientrare tale esperienza entro
gli àmbiti del paternalismo socialdemocratico e del democraticismo borghese.
Il primo ad essere mandato avanti dalla reazione padronale fu D’Aragona,
soggetto decisamente squallido: segretario della CGL nel 1926, il cui ruolo
in quel periodo era quello di fare da sponda al fascismo, fu responsabile insieme
agli altri socialisti della direzione sindacale e del PSI del falli-mento dello
sciopero generale del 1926, per poter poi avere la giustificazione di sciogliere
la CGL sotto la pesante offensiva fascista delle leggi eccezionali: ma prontamente
ricostituita da Gramsci – Di Vittorio. In qualità di Ministro dell’Industria
nel governo di unità nazionale si fa sostenitore di un disegno di legge,
ma subito ritirato. La sua funzione era quella di aprire la strada all’azione
di Rodolfo Morandi, al fine di rendere credibile, o meno peggio, la proposta
del socialista.
I socialisti si fanno cioè piedino: D’Aragona fa da battistrada
e Morandi crede di fare il furbo.
In tutto il periodo della lotta partigiana Morandi aveva cercato di farsi una
verginità ultrasinistra, ma in questa azione dà sponda alle truppe
naziste, e si era alla fine illuso di essere reputato un ele-mento della sinistra.
Ovviamente la sua proposta è la peggiore, ricalcando, e riproponendo,
le appe-na disciolte Corporazioni Fasciste: cercava cioè di far rientrare
la teoria ed il metodo delle Corpora-zione Fasciste nelle relazioni industriali:
e poteva farlo unicamente partendo da ‘ sinistra’.
Il progetto Morandi proponeva una struttura mista e paritetica dei Consigli
di Gestione delle Fab-briche con la presidenza affidata alle imprese. Sui compiti
il progetto indicava essenzialmente fun-zioni consultive e di controllo, ma
deliberative in materia di opere sociali, di utilizzazione dei lavo-ratori nel
processo produttivo. Nelle società per azioni spettava al Consiglio di
Gestione nominare un membro nel collegio sindacale.
Il disegno di legge non ebbe alcun seguito, lasciato cadere nel dimenticatoio
come mai presentato.
Nelle condizioni dell’offensiva internazionale borghese scatenata nel
1948 l’esperienza dei Con-sigli di Gestione delle Fabbriche doveva di
per sé cadere. Il loro carattere decisamente classista, il loro carattere
di strumenti di ‘ contropotere’ era incompatibile con i processi
di ristrutturazione e re-staurazione dell’ordine capitalistico. Man mano
che avanzavano tali processi e di pari passo proce-devano le incrinature nell’unità
sindacale – coincidenza o parte di un disegno più generale ? –
il pa-dronato ristabiliva l’ordine capitalistico nel Paese. Con particolare
cura si dedicò a spazzare il terre-no da questi organismi che avevano
limitato il suo potere nelle imprese e costituiva una esperienza chiave nel
governo operaio in Italia.
Quella cura e sollecitudine che i socialisti avevano in precedenza dedicato
ai Consigli di Gestione delle Fabbriche viene adesso dedicata alla cura di difendere
il muro di silenzio che doveva avvolge-re la pesante rappresaglia, l’odio
di classe furioso che si scatenerà contro questa esperienza e contro
i lavoratori. Non poteva essere diversamente: questa esperienza costituiva la
delegittimazione inap-pellabile alle loro teorie socialdemocratiche e solo dalla
caduta di quell’esperienza, a cui essi si era-no con particolare cura
e sollecitudine dedicati, essi potevano trarre legittimazione e possibilità
di costruire una loro rete e raccogliere consensi tra gli strati arretrati ed
intermedi del movimento ope-raio. Non diversamente i democristiani.
La rottura dell’unità sindacale
Nel luglio 1948 si consuma la rottura dell’unità sindacale e si
ha la formazione della Cisl prima e della Uil poi.
Dell’intervento esplicito dell’imperialismo statunitense, dell’esplicito
eccitamento della scissione da parte del Vaticano, del ruolo di questa rottura
come momento più complessivo dell’offensiva pa-dronale per ricacciare
indietro il movimento operaio, del dar sfogo al peggiore odio di classe da par-te
della classe della borghesia italiana, europea ed internazionale, del ruolo
reazionario dei sindacati gialli: Cisl e Uil e del loro essere diretta emanazione
del sindacato nord americano AFL-CIO, per aperti finanziamenti e per diretta
formazione di quadri sindacali si è detto ed in abbondanza Ma non è
questo quello che a noi interessa, per noi il tutto si riduce alla semplice
constatazione che il nemi-co di classe si è limitato a fare il suo dovere.
Fermarsi qui non ci fa scalfire la superficie del problema e non ci fa comprendere
i motivi più veri e profondi che sottostavano a tale scissione, le due
opposte concezioni di classe che si scontravano e la cui risoluzione è
avvenuta con la forza delle armi: militari e finanziarie.
Ma sono questi motivi più profondi che noi dobbiamo fermare e su cui
sviluppare un ragionamento ed arricchirci di tale importante esperienza.
La scissione si tenta a limitarla al famoso articolo nove, ossia la questione
se il Sindacato dovesse fare politica, se dovesse occuparsi di temi politici
e consequenzialmente circa lo sciopero politico.
Questa posizione era poi la derivata del principio che ne stava alla base se
il Sindacato dovesse oc-cuparsi di politica, oppure soltanto delle questioni
economico-rivendicative e tutt’al più di questioni inerenti il
luogo di lavoro e le opere sociali come aveva indicato Morandi.
Da qui si faceva scaturire l’autonomia del Sindacato dai partiti.
Quindi il punto il discussione è la politica nel Sindacato.
Il secondo punto, che in verità non è mai emerso chiaramente,
era legato al problema della forma della contrattazione: interconfederale, che
era la pratica sin lì seguita dalla CGIL oppure la tratta-zione decentrata,
sulla scia della tradizione e della pratica del sindacalismo statunitense.
Che questo era poi il cuore vero del problema lo si ricava dal fatto che poi
tutto il dibattito all’interno del Movimento Sindacale ruoterà
attorno a questo punto della forma della contrattazione e qualsiasi discorso
sul passato si ferma su questo punto, bypassando quello dello sciopero politico
e delle questioni politiche.
Noi pensiamo che dobbiamo fermare l’attenzione su questi due punti e riaprire
il dibattito per com-prendere il movimento più complessivo che quella
scissione sindacale presuppone ed a cui riman-dava. Facciamo quindi astrazione
dalle implicazioni più immediatamente politiche che quell’atto
ha comportato, giacché ampiamente trattato ed a cui c’è
assai poco da aggiungere.
I due punti sono intimamente legati, come vedremo e rimandano ad un'unica concezione,
ad una concezione più generale del ruolo della classe operaia nella società
capitalistica e quindi il ruolo del Sindacato quale uno degli strumenti per
il perseguimento di tale ruolo.
Sindacato e Politica
Il tema in sé non era originale.
E’ il tema che ha attraversato il movimento operaio sin dalla sua nascita
e sul quale sono cadute le direzioni Cavour, Mazzini, Bakunin nel movimento
operaio.
Il problema si pose già al IX Congresso di Novi Ligure, 1859, delle Casse
di Mutuo Soccorso quando la direzione mazziniani cercava di scalzare quella
cavouriana. Il problema si poneva allora se la Casse di Mutuo di Soccorso dovessero
mantenere quella forma organizzativa e quei compiti o se dovessero anche occuparsi
dell’organizzazione per mestiere dei lavoratori. altri temi furono
lo sciopero, le condizioni igieniche di fabbrica, l’arbitrato nelle vertenze
operaie, la necessità per le “ casse di mutuo soccorso” di
essere organizzate per mestieri. Ciò facilitava il passaggio delle “
cas-se” da organo di assistenza ad organo di resistenza. Nella dichiarazione
finale è detto:
“ l'assemblea dichiara che le questioni politiche non sono estranee ai
suoi istituti, quante volte le ri-conosca utili al suo incremento e consolidamento.”.
L’emissario di Cavour, Boldrini, venne sconfitto, la sua mozione fu bocciata,
determinando la fuo-riuscita di una parte sostanziale dei cavouriani dalle Casse
di Mutuo Soccorso. La direzione Mazzi-ni, tramite Saffi, si mantenne sino al
1871, ma già a partire dal 1864-65 venne insidiata da Bakunin. Tutta
la politica di Mazzini si risolveva in azioni legislative per la scuola, per..
mentre Bakunin so-steneva la necessità di una più salda organizzazione
per mestieri, in grado di condurre lotte rivendi-cative e non quelle per legislazioni
sociali. E’ adesso Bakunin che impugna il tema della Politica, che il
sindacato dovesse fare politica e che le Casse di Mutuo Soccorso non fossero
solo organismi di difesa ma anche di attacco, ossia di organizzazione di lotte.
Bakunin batte la maggioranza mazzi-niana esattamente sullo steso ordine del
giorno con quale 10 anni prima Mazzini aveva battuto Ca-vour, al XII Congresso,
Roma 1-6novembre. 1871. Qui adesso è Mazzini che raccomanda di evitare
che il congresso si caratterizzi politicamente, sicché egli ora fa quanto
all'VIII e IX congresso ave-vano fatto i moderati contro di lui.
Intanto la direzione Bakunin si trova da subito decisamente contestata.
L’onda della Comune di Parigi aveva spinto in avanti la lotta di classe
e ripercussioni si avevano anche in Italia. Il dibattito diviene subito alto
sulla forma dell’organizzazione e sul ruolo delle Casse di Mutuo Soccorso.
Bakunin si opponeva a che le Casse si articolassero per mestieri e che si affer-massero
come elemento di solidarietà tra i lavoratori. Intanto il movimento operaio
andava dispie-gando la sua attività, iniziavano le prime lotte per migliori
condizioni di vita, per il salario e contro le prepotenze padronali: E questo
richiedeva modifiche nelle Casse di Mutuo Soccorso che non po-tevano restare
solo organi di difesa ma anche di attacco e di solidarietà tra i lavoratori
in lotta.
Intatto attorno agli anni Ottanta inizia a svilupparsi il dibattito sul Suffragio
Universale, ossia sul voto agli uomini indipendentemente dal reddito. Il movimento
operaio fu coinvolto e trascinato in tale dibattito da alcuni esponenti quali
Osvaldo Gnocchi Viani, Lazzari, …..
Entra così il problema della politica e dello sciopero politico, ossia
di azioni che dovevano essere condotte in sostegno di tale obiettivo di democrazia.
Sarà adesso Bakunin ad opporsi a che la Politica non entri e che il movimento
operaio italiano si occupasse e partecipasse con forza autonoma ed organizzata
a tali forme di lotta che attraversavano la società civile italiana.
La direzione Bakunin cadrà esattamente su questo tema, ossia sullo steso
ed identico tema sul quale era caduta la direzione Mazzini, e che aveva fatto
cadere Cavour.
Il dato è che tutti e tre intendevano la politica unicamente da una angolazione
angusta, avevano per orizzonti quelli della propria bottega e chiamavano questo
politica:
Boldrini voleva solo un movimento operaio nel regno di Savoia in grado di essere
di sostegno alle scelte di Cavour; Mazzini voleva un movimento operaio ubbidiente,
massa di manovra, alle sue u-topie sociali, che poi non andavano oltre una generica
solidarietà sociale paternalistica; Bakunin non andava al di là
di una generica manovalanza alle sue pensate insurrezionalistiche, più
fumo che sostanza, più chiacchiere, proclami e carta stampata che azione
concreta.
Volevano tutti e tre non una classe operaia autonoma, indipendente, ma legata
al loro carrozzone: massa di manovra e carne da cannone da gettare nella battaglia
che si conducevano tra di loro.
Ad ogni nuovo passo in avanti, ad ogni nuovo compito che il movimento operaio
si trovava dinanzi, sempre puntualmente si ripresentava questo tema, pronto
a sbarrargli il passo.
E sempre la motivazione che veniva portata era che si voleva strumentalizzare
gli operai da parte dei partiti politici della sinistra a cui quelli della destra
clericale, monarchica, fascista, democristia-na e socialista e repubblicana
promettevano di sottrarre in nome dei puri interessi, dei più genuini
interessi degli operai.
Nelle condizioni concrete del 1948 il problema della politica e dell’autonomia
dai partiti era il para-vento per fermare la marcia in avanti del proletariato
italiano e ricondurlo in quell’alveo economi-co-rivendicativo e trarlo
fuori da quello politico della gestione dello Stato, impedendone così
la cre-scita ed inchiodandoli poi al rapporto lavoro salariato-capitale, renderli
docili strumenti per le loro
mene elettorali e politiche, ossia essere in grado di utilizzare il proletariato
come massa di manovra e carne da cannone nella lotta che le varie fazioni della
borghesia conducono al loro interno e tutta insieme contro le borghesie di tutti
gli altri paesi. In modo più specifico essi volevano portare fuori il
proletariato sia dall’esperienza della lotta di Resistenza che dai Consigli
di Gestioni delle Fabbri-che.
Così facendo essi non fecero che ripercorrere le vecchie strade del paternalismo
borghese, ma que-sta volte ben irrorate dal paternalismo pretesco, oltre che
dal controllo del confessionale.
Bisogna qui sapere che fino agli anni Settanta per poter accedere ad un lavoro
oltre ai vari certificati di penali, carichi pendenti, occorreva un certificato
di buona condotta che veniva rilasciato dalla lo-cale parrocchia.
Il punto che noi vogliamo qui fermare è che in quella battaglia sulla
Politica la CGIL ed i comunisti si fecero difensori delle migliori tradizioni
del movimento operaio, facendo muro a quelle vecchie teorie, che volevano riportare
indietro di ben 130 anni il movimento operaio.
Socialisti e democristiani si fecero invece sostenitori del più putrido
e nauseabondo vecchio, della stancante retorica paternalistica, fino a ripescate
teorie religiose e la peggiore propaganda cristianea su dio, il paradiso e la
provvidenza che aveva così voluto che quello facesse il padrone e la
imman-cabile teoria della valle di lacrime.
Le Chiese, ed i discorsi dai pulpiti assolsero bene il loro compito:
In realtà una violenta e feroce campagna terroristica venne scatenata
dalla Chiesa in sostegno di tale scissione, che attraverso la struttura parrocchiale
esercitava un controllo poliziesco terroristico, giungendo così a non
far lavorare chi non andava in chiesa e non frequentasse i sacramenti.
Nelle grandi città questo si verificava nei quartieri popolari, ove abbondano
le chiese e le parroc-chie, ma controllo ancora più terroristico si verificava
nei centri minori e quelli rurali, giungendo ad aizzare la moglie ed i figli
contro il padre, a giustificare l’abbandono del tetto coniugale, giungendo
all’attacco dal pulpito dei peccatori, che così erano sicuri di
non trovare da lavorare ed una volta gettate nella miseria queste famiglie far
dipendere il sussidio alimentare, che gli americani forniva-no alle parrocchie,
dal ravvedimento, dal ritorno della pecora smarrita nel seno di santa madre
chie-sa.
Dietro la copertura della scissione cioè non ci fu solo Scelba, la Chiesa
seppe fare peggio: seppe scatenare un autentico terrorismo ideologico. In questa
realtà i socialisti affannavano a stare dietro e si limitavano a fare
i delatori.
L’articolo nove fu cioè unicamente la copertura per giustificare
poi il non intervento in difesa delle centinaia di migliaia di comunisti licenziati
e della feroce persecuzione contro questi e legittimare tali brutalità
della sbirraglia scelbiana presentandola non come repressione antioperaia, ma
lotta ‘ politica’ contro i comunisti.
Ma questa semplice scelta non era assolutamente sufficiente, essa poteva costituire,
e costituì, unicamente la cortina fumogena dietro cui venne scatenato
un ancora più sostanzioso attacco e smantellamento dell’organizzazione
proletaria.
Il problema consisteva nel disarticolare l’intera struttura sindacale,
impostata saldamente su caratte-re e strutture di classe e quindi dominate da
una concezione proletaria della lotta della solidarietà e del ruolo e
della funzione, della centralità, della classe operaia.
Si trattava di far transitare il movimento sindacale ad una forma organizzativa
che destrutturasse tutto ciò e costituisse veicolo forte dell’ideologia
borghese, e quindi di strutturare un diverso mo-vimento sindacale, cinghia di
trasmissione dell’ideologia, dei valori, dei principi della borghesia:
l’individualismo, la professionalità in quanto capacità
del singolo, e quindi la retribuzione in quanto capacità individuale,
in quanto capacità dell’individuo di adattarsi alle nuove situazioni
di fabbrica non in termini di aggiornamento professionale, bensì in termini
di obbedienza e fedeltà all’impresa, al capo; della gratificazione
dell’individuo determinata dalla sua personale capacità di portare
quan-to più può in casa ed affermarsi così quale capofamiglia.
E’ la più totale, come si vede, rottura dell’unità
e della solidarietà di classe, è la teoria borghese:
“ uomo lupo tra lupi”.
Il punto cardine per il padronato è la disarticolazione della contrattazione
intercategoriale per quella categoriale, aziendale e per professioni, fino a
giungere al salario in base alla produttività, ove la produttività
è il punto di arrivo del processo, ma in realtà ne costituisce
l’essenza, lo spirito animatore di tutta l’articolazione tattica;
in una parola ne costituisce la direttiva strategica e prin-cipio ordinatore.
E’ infatti la categoria “ produttività” il concetto
chiave che ispira e muove per il superamento dell’accordo intercategoriale
L’accordo intercategoriale concepisce il movimento operaio nella sua complessità
e lo costi-tuisce come unico corpo, unico esercito in lotta contro il padronato.
In questo modo spacca i tenta-tivi di divisione della classe operaia nelle sue
articolazioni: chimici, metalmeccanici, tessili, alimen-taristi, edili, ecc.
e nei vari livelli.
Costruisce e rafforza l’unità e la solidarietà di classe,
perché consente anche ai settori produttivi ove esistono più sfavorevoli
rapporti di forza di avvantaggiarsi dei più complessivi e generali rap-porti
di forza tra le classi nella società e per questa via essere introdotti
nella più complessiva lotta delle classi che attraversa la società.
Il valore intrinseco di questa linea è che apporta correzioni ai limiti
in sé della lotta sindacale, che si svolge avendo a base il rapporto
lavoro salariato e capitale. In questo rapporto i lavoratori sono oggettivamente
in una situazione subalterna, costituendosi in blocco attenuano tale limite
oggettivo e tale loro debolezza su questo versante.
Inoltra la linea della contrattazione intercategoriale trova la sua articolazione
negli accordi a-ziendali, che consentivano una migliore articolazione tattica
delle forze in campo.
E’ trincea ove attestarsi in condizioni sfavorevoli per una guerra manovrata;
è invece base per a-vanzare per una guerra di movimento . Agiva da pesante
sbarramento ai tentativi padronali di fran-tumare la forza lavoro attraversi
diversificazioni salariali, giacché i punti chiave erano stati definiti
appunto nell’accordo intercategoriale. Questa struttura aziendale consentiva,
infine, di riflettere l’intera diversità che si presentava nei
luoghi di lavoro in base alle innovazioni tecniche ed alla ri-strutturazione,
ma non di consentire al padronato di giungere ad una infinità di livelli
salariali.
Questa linea discendeva direttamente dalla più generale concezione teorica
del Sindacato nella concezione politica del proletariato, ossia forma dell’organizzazione
della tattica e quindi cinghia di trasmissione dei valori, delle idee e delle
teorie del proletariato ed in quanto tale “ scuola di comu-nismo”.
Nella pratica dell’esperienza sindacale i singoli lavoratori venivano
educati e formati all’unità ed al-la solidarietà classista.
Questo elemento si combina con l’altro, si combina con Consigli di Gestione
delle Fabbriche, ove i lavoratori vengono educati e formati ad esercitare la
funzione di direzione, ponendo al centro la centralità del lavoro e quindi
del lavoro, consequenzialmente della produzione in quanto pro-duzione di merci
per il soddisfacimento dei bisogni dei singoli e della società.
Ecco allora delinearsi in tutta la loro nettezza le due concezioni contrapposte,
le due concezio-ni delle classi in lotta: una borghese avente al centro la produttività,
che è funzione del profitto, ed è la linea dell’accordo
categoriale; l’altra proletaria avente al centro il Lavoro, che è
funzione della produzione per la società, ed è la linea dell’accordo
intercategoriale.
Contro l’accordo intercategoriale si è appuntate il più
feroce accanimento e questo a tutt’oggi.
Quando si discute della scissione del 1948, dopo i preamboli di rito, poi il
discorso scivola e si fer-ma proprio ed esattamente sull’accordo intercategoriale.
Il centro dell’accusa è “ autoritarismo”, “ centralismo”:
poteva essere diversamente?
Accusa scientificamente non valida.
Al di là delle questioni di classe, fin qui analizzate, la critica non
sussiste ed è solo ideologica.
I più elementari, quotidiani, dati sperimentali mostrano che sicuramente
già a partire dal 1944 esi-steva un livello di concentrazione monopolistica
tale che le linee sindacali del padronato erano cen-tralizzate. L’Italia
negli anni Trenta è tra i paesi a più alta concentrazione del
capitale finanziario.
Ed esso in effetti agiva al suo interno come accordo interconfederale, mentre
premeva per l’accordo categoriale nei confronti del movimento sindacale.
A tuttora la Confindustria nel chiuso delle sue stanze, stabilisce un accordo
interconfederale, stabi-lendo appunto i livelli salariali, ecc. entro i quali
devono stare gi accordi sindacali, costituendo vin-colo rigido per tutti i membri
della Confindustria e lascia alla contrattazione aziendale, o decentrata, il
ruolo di ridimensionare quando in sede di contratto nazionale di categoria si
è riusciti a spuntare, nell’obiettivo di dilatare la diversificazione
salariale e normativa. E qui agisce la singola azienda, ma avendo alle spalle
l’intera classe dei capitalisti, organizzata nella Confindustria. Quello
che qui è stato descritto, che può sembrare una esagerazione,
è nella pratica delle società una pratica quoti-diana. Si tratta
di un normale e tranquillo accordo di cartello in base al quale una serie di
gruppi monopolistici stabiliscono il prezzo di acquisto delle materie prime,
il prezzo di vendita, l’esclusione dal mercato di quel gruppo rivale,
la politica sindacale da adottare, la politica di soste-gno a questo o quel
partito o singolo personaggi, ecc. Questo è solo un diverso tipo di accordo
di cartello inerente la politica sindacale in un singolo paese.
La struttura dell’accordo interconfederale costituisce, quindi, alla luce
di questi più elementari e quotidiani dati risposta tranquilla all’organizzazione
della controparte.
L’attuale sistema invece è decisamente sbilanciato a favore di
una delle controparti, il padronato, ed è ritagliato esattamente per
il padronato. Ed in quanto tale agisce da cinghia di trasmissione della classe
della borghesia, veicolo delle idee, delle teorie, dei valori della classe capitalistica,
che così forma ed educa i singoli lavoratori alla centralità della
produttività, e quindi dell’impresa e quindi del mercato, essendo
la produttività funzione del profitto e non del bisogno della società.
Nelle condizioni date del periodo in esame noi possiamo tranquillamene affermare
che la strut-tura dell’accordo interconfederale era corretta, costituiva
valido strumento di difesa del movimento dei lavoratori e spingeva in avanti
il movimento sindacale.