Biblioteca Multimediale Marxista


“ Lo sviluppo scientifico e tecnologico ed i problemi nuovi della politica”

 


istcom@libero.it
http://digilander.libero.it/istcom

 


Lavori di riferimento:

“ Bioetica”
“ Democrazia”
“ La concezione materialista del mondo di-nanzi alle sfide del III Millennio”
“ Storia del Movimento Operaio Italiano”
“ Antonio Gramsci”
“ I compiti nel campo della cultura”
“ Analisi delle classi”
“ Pavese”
“ Mao Tstetung”
“ Crisi”
“ Errore”
“ Materiale per il Partito”
“ La Scienza della Politica”
“ Leopardi


C.G.I.L – Camera del Lavoro
Napoli, 29. Ottobre. 1998

Premessa.
Le forze comuniste iniziano ad uscire dal pesante tunnel del novembre ’89, che vedeva il punto di arrivo di una possente controffensiva scatenata dalle forze capitaliste contro il Movimento Ope-raio. La controffensiva vincente pescava indubbiamente anche in limiti, errori, insufficienze e ritar-di. Pesanti gli anni ’80, ancora di più la prima metà degli anni ’90. E’ indubbio che questa controf-fensiva ha creato vuoti, acredine, alzate di scudi, che oggi si fanno pesantemente sentire.
Nonostante tutto questo importanti forze hanno cercato di non farsi schiacciare dalla quotidianità e sviluppato analisi e bilanci coraggiosi, contribuendo in maniera considerevole alla tenuta.
Ma molte di questi avvenivano in un più generale clima di ritirata, che si fa poi sentire, condotti il più delle volte all’interno delle singole realtà e quindi per se stesse limitate, giacché l’intelligenza collettiva, che pure il proletariato aveva espresso, risultava spezzettata. Nonostante tutto questo, tali lavori non riuscivano a divenire più complessiva coscienza e quindi pratica del Movimento Operaio.
La maggior parte delle forze si è trovata impegnata nella difesa quotidiana e quindi tutta schiacciata sull’emergenza, assalita da centinaia di problemi e nell’impossibilità di tenervi testa. In
queste condizioni è venuto meno il momento della riflessione e del bilancio, della elaborazione teo-rica della teoria e della tattica adeguate ai tempi nuovi ed alle nuove condizioni in cui si sviluppava la lotta di classe, “ oppressi dalla quotidianità”, per dirla con Gramsci. Molte volte queste forze so-no state impegnate in battaglie al solo scopo di tenerle occupate ed impedire loro proprio ed esatta-mente quel momento di riorganizzazione più generale. Le si è tenute molte volte volutamente sotto scacco per sfiancarne, sfibrarne la combattività e rendere impossibile la riorganizzazione teorica e pratica. Nonostante tutto ciò queste forze hanno retto in maniera egregia all’assalto e consentito di contenere in maniera considerevole le perdite, ritardare l’azione e l’avanzata e consentito respiro al-le forze della trasformazione. Ci vuole coraggio e passione per reggere ad oltre un decennio di of-fensiva capitalista, ancora di più contrattaccare: organizzare lotte, movimenti, circoli.
E’ stato questo tessuto diffuso di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici che oggi ci consente di guardare in avanti e voltarci indietro guardando il tunnel profondo dal quale siamo usciti con suf-ficienza.
Ma oggi tutti noi dobbiamo comprendere che quelle bardature, che pure abbiamo innalzato, quell’impostazione, quella tattica, quel modo di vedere le cose, che pure ci hanno consentito di resi-stere devono oggi essere abbandonate, perché di ostacolo al procedere in avanti.
Lo spirito di indagine, il senso della sfida, il gusto della sfida e del nuovo, devono tornare a prevale-re. Certo è difficile, ci sono ancora molte cose che ci trattengono, che ci consigliano prudenza.
Ma dobbiamo procedere: dobbiamo adesso attrezzare gli strumenti per la ripresa, coniugare cioè le battaglie immediate, che avvengono ancora n condizioni di difesa, e l’elaborazione degli strumenti per la ripresa.

C’è una massa di problemi che dobbiamo affrontare, che esprimono i problemi nuovi, a cui dob-biamo dare risposta per poter costruire le condizioni sufficienti e necessarie della ripresa.
Questa relazione vuole essere una disamina rapida, un porli nei loro punti essenziali, a larghi tratti.
In parte alcuni di questi temi sono stati già affrontati, ma isolatamente e non nell’intreccio con gli altri e non dentro la problematica della teoria e della tattica.
Questa relazione, infine, non vuole, e non può, essere comprensiva di tutto, vuole porre al cen-tro del dibattito alcuni problemi, ritenuti fondamentali, e porli in una loro organicità, superando la frammentarietà. Si procederà per certi aspetti a porli in maniera schematica, a larghi tratti, rinvian-do a specifici lavori dell’Istituto ed a specifiche sezioni la trattazione più estesa.


Parte Prima
La Teoria

Questioni dell’Economia.
Si parla con insistenza di “ globalizzazione”, “ mondializzazione” per indicare il processo di dominio planetario del sistema di produzione capitalistico.
Il termine usato non è corretto, e - come vedremo – porterà a conclusioni non esatte e conseguen-zialmente a non cogliere i problemi nuovi. L’uso che viene fatto di questo termine rimanda ad un dominio totale, assoluto del capitalismo. Giustamente il Prof. Domenico Losurdo aveva messo in guardia nel febbraio 1992 da un tal uso, fissando in maniera chiara come questo avrebbe portato un cadere nelle teorie del “ Superimperialismo” di Kautsky e già criticato da Lenin. Ed in effetti l’idea che si tende a dare di questa fase dell’imperialismo – ricordiamo qui che questo termine è usato nel senso leniniano, ossia di fase suprema del capitalismo – è quello di una onnipresenza e forza a cui niente e nessuno può sottrarsi e la condizioni quasi disperata della lotta contro questo gigante che tutto domina e sovrasta. Si finisce così, in via immediata, per non vedere le contraddizioni del si-stema capitalistico nell’attuale fase, la lotta feroce che viene scatenata da ciascun imperialista con-tro tutti gli altri, le contraddizioni tra i vari blocchi e le lotte trasversali che attraversano gli stessi grandi gruppi monopolistici. Si finisce così per non poter, poi, spiegare le pesanti crisi che straccia-no il sistema capitalistico nella fase attuale – ‘ turbolenze’ vengono chiamate! – mercati finanziari, la guerra dei Balcani, nel centro Africa, in Asia, la crisi russa, ecc.
Il termine non è corretto giacché il sistema capitalistico è sistema di produzione e distribuzione della ricchezza sociale a livello mondiale già dalla metà del 1800, che già Marx ed Engels nel “ Manifesto del Partito Comunista” avevano ben fissato. Marx in “ Lotte di classe in Francia” e “ Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte” aveva ben dimostrato come l’andamento della rivoluzione del 1848 in Francia era legata agli andamenti dei mercati finanziari e all’andamento della produzione industriale ed agricola, come le difficoltà inglesi ed i momenti di ripresa del mercato avevano se-gnato gli zigzag del 1848 in Francia e lo stesso andamento della situazione in Francia durante il pe-riodo di Luigi Bonaparte. Marx in una serie di scritti aveva ben dimostrato come la guerra Franco-Austriaca del 1859-60, che in Italia va sotto il nome di 2a guerra di indipendenza, era determinata da un immobilizzo aureo delle Banche centrali inglesi e francesi e la necessità di una loro messa in circolazione; data la inadeguatezza del tasso del 4%. Sulla base di questo e delle esigenze finanzia-rie dei singoli belligeranti Marx indica con precisione il periodo entro il quale questa guerra sarebbe iniziata, sulla base dei tempi di rimessa in circolazione di questa massa aurea e la solvibilità dei bel-ligeranti. Tra il 1880 ed il 1911 il sistema capitalistico transita alla fase imperialista, che è la fase dei monopoli e del capitale finanziario, definito in quanto “ simbiosi tra il capitale bancario ed il ca-pitale industriale”, transita cioè alla sottomissione delle colonie ed alla rapina delle materie prime, come via d’uscita alla crisi che attanaglia il sistema di produzione capitalistico.
La struttura dell’Imperialismo ci è quindi già nota non solo dagli importanti scritti di Lenin e Bu-charin, ma anche da quelli di Hilferding ed Hobson. La definizione di “ globalizzazione” non ci aiu-ta quindi a capire quali sono i caratteri ed i contenuti nuovi, specifici, dell’Imperialismo nell’attuale fase post 2a g.m. ed in specifico a partire dagli anni ’60.Non ci aiuta cioè a capire in cosa, esatta-mente, precisamente, in cosa l’Imperialismo nell’attuale fase è diverso da quello degli anni ‘30-40 e quindi quali sono i tratti nuovi, originali, specifici di questa particolare fase. Viene poi posto con troppa enfasi l’accento sul nuovo sistema produttivo: il toyotismo. Anche qui si esasperano tratti e contenuti, come bene ha messo in evidenza Carla Filosa in un suo studio, finendo anche da questo versante per sfociare nel “ Superimperialismo”.
A noi sembra che l’attuale fase si caratterizza per un più alto processo di concentrazione monopoli-stico, con la costituzione di holding, i cui singoli bilanci sopravanzano i singoli bilanci statali di Francia, Germania, Usa, Giappone, Italia, con una elevata integrazione di tutti i processi produttivi, che conduce a quello che noi chiamiamo “ prezzo transfert”. L’intero processo produttivo dal fi-nanziamento – e questo porta ad un feroce rastrellamento di capitale sul piano internazionale ed in connessione a questo i cosiddetti ‘ paradisi fiscali’ - dal finanziamento, si diceva, alla ricerca, alle materie prime, ai processi di trasformazione, al semilavorato, prodotto finito, distribuzione e com-mercializzazione – società di pubblicità, grandi catene di distribuzione, ecc. – credito alla distribu-zione avviene tutto all’interno della holding, senza alcun esborso di denaro, mentre in passato ciò avveniva attraverso cartelli, trust, sindacati, dove il capitale finanziario ha ulteriormente sottomesso il capitale industriale, ossia il momento produttivo del processo di produzione e ne ha eroso spazi con una pesante impennata del processo parassitario. Di qui allora le pesanti crisi dei mercati finan-ziari, le lotte feroci che qui si scatenano e l’impatto su tutte le altre borse in tempi reali dei più pic-coli squilibri. Questo dei tempi reali, così tanto esaltato, agisce da pesante accelerazione della crisi. Karl Marx nel secondo volume del Capitale e poi nel terzo, aveva ben messo in evidenza che i tem-pi in cui venivano trasmesse le indicazioni di crisi agiva da rallentamento della crisi stessa, che si sarebbe invece accelerata quando si sarebbero migliorate le trasmissioni. La scienza cioè se per certi aspetti e nel breve periodo agisce da freno alla caduta tendenziale del saggio medio generale del profitto, in generale agisce da accelerazione della crisi, incrementando gli strumenti della conoscen-za e della trasformazione innalza in maniera esponenziale i momenti di crisi, facendoli ulteriormen-te interagire ed in tempo reale. Il sistema capitalistico interviene in questa situazione con un roll back, ossia riportando temporaneamente ed artificialmente indietro la situazione: spegnendo i com-puter o sospendendo i titoli. Il punto chiave è cioè – rimandiamo qui ai corsi dell’Istituto e che invi-tiamo ad una ripresa – che la massa del capitale complessivo investito, il capitale organico, richiede una massa molto alta per la sua messa in attività e che lo sviluppo scientifico e tecnologico tende ad incrementare sempre più una tale forbice, contraendo i margini di profitto e quindi delle possibilità della riproduzione allargata. La stasi della riproduzione allargata è la recessione. Di qui il carattere speculativo finanziario al fine di compensare tale forbice. Ma questo avviene a danno della ricchez-za sociale prodotta, attraverso una più massiccia e feroce rapina delle materie prime, il controllo delle fonti di energia, la lotta accanita per il controllo dei mercati e per l’estensione delle sfere di in-fluenza di ciascuno a danno di tutti gli altri di qui la lotta furibonda: Balcani, Mar Rosso, Oceano Indiano, ecc. Questo comporta un ulteriore innalzamento del processo di concentrazione monopoli-stico, l’integrazione e fusione di grandi gruppi monopolistici ed una altrettanta feroce espulsione di interi gruppi dal mercato e loro sottomissione. La situazione è molto addomesticata dal fatto che quando interi gruppi monopolistici cadono sotto il controllo di altri più forti, i vincitori tendono a mantenere le denominazioni commerciali, per ovvi motivi di vendita, per cui sembra che vi siano ancora sul mercato tutta una serie di società, che invece in realtà non esistono più, continuando ad esistere unicamente il marchio.
Questo sviluppo forte dei gruppi monopolistici comporta una importante modifica nel rapporto tra i singoli Stati nazionali ed i gruppi monopolistici, ridefinisce diversamente l’entità statale ed i confini territoriali di ciascun Stato nazionale: questo modifica il rapporto Pace-Guerra e quindi gli strumen-ti tecnici di questo rapporto: ONU, OCSE, Nato, ecc.
Il problema si andava già delineando verso la fine del 1800 ed è stato tratteggiato da Engels nell’
“ Antiduhring”, ma si definisce ai primi del 1900 ed è ben fissato da Lenin. Oggi quella contraddi-zione Stato nazionale-gruppi monopolistici si è ulteriormente sviluppata al punto da modificare quel rapporto e conseguenzialmente quello Pace-Guerra.

Il rapporto Pace-Guerra nella fase attuale dell’Imperialismo.
Il rapporto tra Stati nazionali – gruppi monopolistici nell’attuale fase di ulteriore processo di concentrazione monopolistico.

Lenin in “ Imperialismo fase suprema del capitalismo” e poi in “ Stato e rivoluzione” pone bene il rapporto tra Stato nazionale e gruppi monopolistici. Dice che questi gruppi e di più le unioni che essi tendono a stringere tra di loro: cartelli, trust, sindacati li proietta in una dimensione che va ben oltre i confini nazionali a cui questi singoli gruppi fanno riferimento o da cui sono partiti.
Lo sviluppo del capitale finanziario - che Lenin definisce ‘ simbiosi tra il capitale bancario e quello industriale’, ove il capitale bancario sottomette quello industriale ed erode spazi a quello industriale produttivo per quello speculativo, di qui il carattere parassitario della fase imperialista del capitale –è determinato proprio dallo sviluppo di questi gruppi monopolistici e ne è la condizione per il suo sviluppo ed esistenza e la sua base è già di per sé sovranazionale.
L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, porta cioè al limite le contraddizioni già insite nel capitalismo e quindi anche la sua natura globalizzante, che già Marx-Engels nel “ Manifesto del Partito Comunista” hanno ben trattato.
Il gruppo Krupp ha sì una base ‘ nazionale’ in Germania, ma le sue dimensioni sono già oltre lo Stato nazionale tedesco e questo lo è ancora di più se si considera il cartello di cui i Krupp fanno parte, che ha una base mondiale o quantomeno inerenti quei territori ove si estraggono le materie prime che il cartello in oggetto controlla. Se a questo aggiungiamo il capitale finanziario tedesco più in generale –noi abbiamo un quadro ancora abbastanza limitato della contraddizione tra la base nazionale del gruppo monopolistico Krupp, la Germania, e la massa territoriale a cui essa è interessata.
Premesso questo, veniamo ad ora.
Lo sviluppo del capitale monopolistico a partire dalla crisi di Wall Strett ha subìto una forte accelerazione i cui momenti importanti sono stati la 2a guerra mondiale e la rivoluzione scientifica e tecnologica. Un aspetto di tale accelerazione, molto trascurato ma molto importante, è dato dalla lotta dell’Imperialismo contro i paesi del socialismo, in cui ha dovuto centralizzare momenti del comando economico, politico, civile e militare, ove Nato, BMI, FMI, Trilaterale erano i luoghi di questa centralizzazione del comando. La realtà che ne è scaturita è quella di un capitale monopoli-stico altamente concentrato con gruppi monopolistici che hanno visto estendersi la loro base e cen-tralizzati non solo momenti diversi del ciclo produttivo, in precedenza dati da cartelli, trust, sindaca-ti, ed in cui sono integrati tra loro il momento delle materie prime, trasformazione, produzione, di-stribuzione, ricerca, finanza, ma intere categorie produttive, basta pensare alla Mitsubishi, Fiat, ecc. Questi gruppi monopolistici, questo era già presente nel periodo 1880-1914, non vanno letti solo in rapporto al più immediato prodotto che vendono: per es. l’auto per la Fiat, ma essi attraverso le va-rie compartecipazioni azionarie e società finanziarie sono interessati a centinaia di altri prodotti, per cui in definitiva quello che la Fiat ricava dalla produzione dell’auto non costituisce che una minima parte del più complessivo fatturato e profitto del gruppo Fiat. Vi è cioè non solo una integrazione verticale ed orizzontale di questi gruppi monopolistici, ma anche una trasversalizzazione.
Tutto questo processo di ulteriore concentrazione monopolistico, va sotto il nome ideologico di ‘ globalizzazione’, ‘ mondializzazione’. Ora in queste nuove condizioni la contraddizione individuata da Lenin - tra la base nazionale dei singoli gruppi monopolistici e la Stato nazionale di cui sono la più immediata espressione e che ha costituito la base nazionale e di forza dei singoli gruppi mono-polistici, ossia l’entità statale che più immediatamente questi gruppi monopolistici hanno sottomes-so ai loro interessi ed in nome di questi gli Stati nazionale hanno condotto guerre, disegnato le pro-prie strategie diplomatiche e sviluppato le proprie linee economiche, politiche, ecc. – si è ulterior-mente sviluppata ed è su questa base che noi dobbiamo studiare come oggi vengono a porsi i pro-blemi e quindi le contraddizioni tra i singoli gruppi monopolistici e i rispettivi Stati nazionali e dei rispettivi gruppi monopolistici e tutti gli altri Stati nazionali.
E’ su questa base che noi possiamo comprendere il processo in atto di ridisegno degli Stati naziona-li, che va sotto il nome di rottura, lacerazione, disgregazione, smembramento degli Stati nazionali.
Ed è poi questa la base su cui ragionare per comprendere, per es. il processo di ridisegno costituzio-nale, che va sotto il nome di 2a repubblica e riscrizione della 2a parte della Costituzione e quindi della Bicamerale, suo sviluppo e sorte; dello scontro che vede contrapposte le forze che fanno capo all’Ulivo ed al Polo, della Lega, dei suoi sviluppi, impennate, ecc. ecc.
Il processo in atto cioè non è altro che il consequenziale ridisegno delle basi territoriali fondamenta-li dei singoli grandi gruppi monopolistici, o holding
Quello che noi chiamiamo e definiamo Stato nazionale, entità nazionale non è una categoria eterna , ma è soltanto la forma di organizzazione statuale ed organizzativa-territoriale di specifici capitali, che hanno disegnato sulla base del loro complessivo raggio d’azione un territorio, definito naziona-le, che è venuto costituendo lo Stato nazionale: Italia, Francia, Inghilterra, Stati Uniti. E’ cioè la forma organizzativa-statuale della borghesia, della formazione borghese, dell’ambito territoriale ed organizzativo che le forze di produzione capitalistiche si sono date nel loro più complessivo proces-so di formazione e sviluppo il cui equilibrio fondamentale e disegno territoriale è esso stesso il ri-sultato di guerre durate 250 anni e conclusesi con la “ Guerra dei Trent’Anni” ( 1619-1648 ).
In senso strettamente marxista il termine “ processo di unità nazionale, ecc.”, non è corretto ed il marxismo usa invece, ed assai più correttamente, il termine: “ processo di formazione del mercato unico nazionale” francese, inglese, italiano….
Il fenomeno è, cioè, il prodotto ed il risultato di un ben determinato sviluppo delle forze pro-duttive, di una particolare fase di sviluppo dell’umanità: la società borghese.
Poste così le cose, appare evidente che venendosi a modificare la dimensione del capitale monopo-listico, viene a modificarsi la sua base territoriale-statuale e quindi si assiste ad un ridisegno delle unità nazionali che possono divenire nuove unità nazionali, diverse da quelle che noi siamo abituati a considerare e che conosciamo. Ad un diverso grado di sviluppo dei rapporti di produzione viene alla fine a configurarsi anche una diversa base territoriale. E’ il processo di produzione, capitalisti-co, nel nostro caso, che determina le coscienze e quindi alla lunga l’intera sovrastruttura e quindi anche la coscienza del processo che viviamo ed in questa coscienza vi è anche la cosiddetta entità nazionale- che materialmente, concretamente è fatta di usi, costumi, mentalità, cultura, ecc. - la vi-sione, la concezione di Stato e tutta la nostra dimensione temporale e spaziale dei processi, che nella società capitalistica partono dalla base statuale-organizzativa-territoriale dell’entità nazionale, nella società schiavista era la ‘ pòlis’ o città-Stato e nella società feudale era il contado.
Il processo reale è attraversato da una duplice azione: quella della ulteriore centralizzazione da una parte e dalla decentralizzazione e ridisegno regionale : l’unione europea da una parte e le re-gioni transfrontaliere dall’altra. E dove il secondo elemento della contraddizione è il prodotto degli interessi di parte, settoriali, ossia degli interessi del capitalista, ossia espressione degli attuali rap-porti di produzione ed il primo elemento è invece espressione dello sviluppo delle forze produttive e della direzione tendenziale che tali forze produttive tendono a dare ai processi in atto. Noi cioè stiamo leggendo la lotta rapporti di produzione e forze produttive, lo scontro dei rapporti di produ-zione esistenti che stritolano, soffocano, limitano lo sviluppo delle forze produttive, dal lato dell’organizzazione territoriale-statuale.
Questo ridisegno territoriale avviene in una situazione di acuto scontro interimperialistico, dentro il più complessivo ridisegno delle sfere di influenza in cui i gruppi monopolistici tendono a dividersi il mondo. All’interno di questo dobbiamo leggere tutto il ridisegno geopolitico dei Balcani, URSS compresa, le lotte tra Stati in Africa e gli stessi ‘ bollettini di guerra’ delle Borse sono parte di que-sto ridisegno.
Il processo in atto mostra, così, un Imperialismo decisamente debole, diviso, che aggrava il suo stato di debolezza , mostra il livello acuto della lotta che vede opposte le forze produttive, che ten-dono a svilupparsi in una dimensione sovranazionale, in una dimensione planetaria ed i rapporti di produzione capitalistici che richiedono una ben esatta ed individuata base territoriale, una ben preci-sa entità statuale territoriale-organizzativa.
In sintesi:
noi abbiamo bisogno di comprendere come si pone oggi il rapporto Stato nazionale- gruppi monopolistici, alla luce dell’attuale livello di sviluppo del processo di concentrazione del capitale.
Questo rapporto ci porta a quello strettamene conseguenziale: Pace-Guerra, ossia come viene a configurarsi la guerra imperialista, che noi dobbiamo ben comprendere, non astrattamente, ideolo-gicamente, ma concretamente, per comprendere linee tendenziali di sviluppo e di azione dell’Imperialismo in generale e dei singoli paesi imperialisti e dei singoli grandi gruppi monopoli-stici, le loro strategie e tattiche odierne e future.
Venendosi a modificare il rapporto Stato nazionale - gruppi monopolistici e venendosi a configurare un più alto livello di concentrazione monopolistico, comunemente chiamato ‘ capitale transnaziona-le’ come si modifica il rapporto Pace-Guerra?
La modifica dei rapporti suddetti comporta, come abbiamo visto indirettamente, una modifica dello Stato, del suo ruolo di strumento della dittatura di classe della borghesia, una subordinazione mag-giore dello Stato al grande capitale finanziario non solo ‘ nazionale’, ma di quello presente in quello Stato, con tutte le interrelazioni con gli altri Stati nazionali ove prevale quel tipo di presenza di capi-tale finanziario, con quelle alleanze, quei trust, quei cartelli. Si intrecciano, si infittiscono i rapporti tra gli Stati nazionali, venendosi così a configurare un’entità territoriale statuale diversa.
Questo, come si è visto, comporta una complessità di problemi, contraddizioni, lacerazioni nel campo Imperialista, nei singoli Paesi imperialisti ed all’interno dei grandi gruppi monopolistici; comportando una modifica dei blocchi sociali , nella più complessiva fase di restringimento della base sociale che regge il dominio imperialista .
Il rapporto Pace-Guerra è un rapporto importante nello sviluppo ed esistenza della società capitali-stica, nel modo di produzione capitalistico in particolare e nell’esistenza e sviluppo dei sistemi di
produzione basati sulla proprietà privata.


La Guerra.
In tutte le società basate sulla proprietà privata la guerra è un elemento centrale, vitale, per l’esistenza e lo sviluppo di queste. E’ funzionale al sistema. La guerra è la manifestazione di una si-tuazione di crisi acuta, che attraversa questa viene superata determinando un ridisegno di equilibri del sistema o il suo superamento. In tutta la fase di esistenza di una società la guerra costituisce la valvola di sfogo, la camera di compensazione. Gli stessi elementi avanzati non hanno una visione corretta della guerra e questo li porta a non comprendere una serie di fondamentali rapporti che re-golano le società basate sulla proprietà privata. Non leggono la categoria “ guerra” e quindi non rie-scono a leggere, per esempio, il rapporto tra politica e guerra, al di là della definizione classica che tutti conosciamo. Questo è stato, per esempio, il tragico errore che ha commesso il terrorismo in Ita-lia, ma che Gramsci aveva pur bene fissato nei “ Quaderni” parlando di: “ egemonia”, “ bonaparti-smo”, “ casematte”.
La Scienza della Politica e la Scienza Militare sono intimamente connesse: i metodi della Scienza Politica sono determinati dalle risorse della Scienza Militare; ed i metodi della Scienza Militare so-no determinati da quelli della Politica. Esiste cioè un rapporto strettissimo tra i due campi e quindi una costante mutuazione di principi e metodi dell’uno verso l’altro e viceversa; al modificarsi del livello dell’uno si registra una modifica dell’altro.
La Scienza dell’organizzazione in Politica tiene conto ed è predeterminata dalle possibilità che la Scienza Militare offre nel raggiungere un determinato obiettivo e questo sia al livello esterno ma anche interno. Gli obiettivi che la strategia militare pone sono predeterminati dalle possibilità che la Scienza della Politica offre.
Ora se lo sviluppo del processo di concentrazione monopolistica è al grado di cui abbiamo detto e le sue linee di sviluppo sono nella direzione di un ulteriore sviluppo in quella direzione, il problema del rapporto Pace-Guerra richiede di essere riesaminato alla luce della realtà che abbiamo dinanzi.
La mia convinzione è che i vari stati imperialisti possono farsi le guerre locali per interposta perso-na, come sta avvenendo, ma essi non possono, per l’intrecciarsi trasversale dei domini territoriali del grandi gruppi monopolistici, farsi la guerra tra di loro.
In passato il gruppo Pirelli, Fiat, Ansaldo avevano sostanzialmente una base ben individuata:
gli investimenti e gli interessi gravitavano verso una ben determinata orbita, anche se vi era una componente anche in orbite diverse e posizionate sostanzialmente nel campo avverso.
Una guerra comportava la perdita, o la messa in discussione, di investimenti ed interessi che gravi-tavano nel campo avverso, ma la scelta avveniva sulla base che la vittoria della guerra avrebbe comportato una compensazione degli interessi che venivano persi, di qui il marciare deciso dello Stato verso una ben determinata direzione. Il gruppo Pirelli aveva anche interessi in Usa, in Inghil-terra e Francia, ma sostanzialmente i suoi interessi erano legati al campo che gravita attorno all’asse germanico e così i gruppi francesi, inglesi, Usa che avevano interessi, investimenti in territori che gravitavano nel campo dell’Asse.
Ora, per lo sviluppo trasversale, possiamo noi dire la stessa cosa?
Gli interessi Fiat, Pirelli, Dunlop, Krupp, Ford, Mitshubishi, della Comit, Deutsche Bank, Manat-than Bank, First National Bank, ecc. ecc. attraversano trasversalmente tutto il pianeta ed è difficile stabilirne i confini – in questo senso è corretto usare il termine ‘ globalizzazione’, giacché evidenzia il limite a cui il capitalismo giunge ed il suo transitare già verso forme superiori del sistema di pro-duzione, ma il termine oggi ha tutt’altra valenza e significato – e certamente non descrive confini e trasversalità che passano per gli attuali assetti organizzativi statuali-territoriali.
Il capitale finanziario presente in Italia, per esempio, ha interessi in aree diverse e gravita in aree di-verse, ma questo gravitare non è in termini assoluti bensì in termini percentuali ed il cui rapporto percentuale tra queste diverse aree non è netto: 70 a 30 per esempio, ma si muove su margini ben più stretti, che inficiano la compensazione, che poteva aver luogo fino alla 2a guerra mondiale.
Gruppi che hanno un rapporto percentuale che oscilla tra il 5-10% difficilmente si schiereranno da una parte o dall’altra. Essi tenderanno a condurre una battaglia per spostare i rapporti di forza all’interno dei singoli Stati, ad operare il ridisegno di ben precise arre territoriali di quella unità sta-tale: regioni transfrontaliere, la Lega in Italia, ecc.; ad influenzare e controllare forze politiche go-vernative e dell’opposizione, apparati dello Stato, ecc. Determinando così un innalzamento forte delle lacerazioni e contraddizioni all’interno di ciascun Stato nazionale. E questo Stato Nazionale attraversato così in tutta la sua globalità da questo processo trasversale è in condizioni assai precarie per poter stabilire una direzione unica e risoluta del suo operare come in passato.
Perché questo possa verificarsi occorre che una parte del capitale finanziario presente in Italia, per es., liquidi con la forza tutta un’ala facente capo ad un’altra area e con essa tutti i suoi addentellati in Italia come in tutti gli altri Stati nazionali, al fine di assicurarsi una direzione unica di un proces-so bellico. Ma questo per lo sviluppo raggiunto dal capitale monopolistico, di cui si è detto, deter-mina una lacerazione profonda, che indebolisce tutti e che determina una situazione di opposizione e rancore profondo che ne inficia quella direzione che lo sforzo bellico richiede: una qualunque dif-ficoltà in una campagna avrebbe ripercussioni dirompenti in quello Stato nazionale, ove le forze sconfitte - che sono forze della classe dirigente! – ne trarrebbero alimento per ribaltare gli equilibri militarmente imposti dalla fazione del capitale finanziario vincente in quello Stato nazionale.
E questo con ripercussioni sui più complessivi equilibri mondiali.
Sul piano puramente militare questo clima comporta una strategia e tattica militare molto prudente e tartufiana, che delinea una situazione di non guerra, di un temporeggiare, ecc.
Gli unici sbocchi potrebbero essere quelli di un blocco europeo contro quello nippo-statunitense, ma è il blocco europeo che non garantisce una stabilità strategica, tale da sfociare in un’alleanza milita-re: da questo punto di vista ritorna di grande importanza lo scritto di Lenin “ Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa”.
La trasversalità comporta che il settore della ricerca, in modo particolare quella spaziale ed informa-tica, è altamente concentrato e vi sono alcuni grandi gruppi monopolistici che detengono il monopo-lio della ricerca e quindi dei brevetti. Questo comporta che una guerra avverrebbe con un sostanzia-le equilibrio militare sul piano tecnologico. Quello che in questo caso ci deve far riflettere è che se l’imperialismo è giunto ad una unificazione dei comandi militari: Somalia, Golfo, Bosnia, ecc. im-plica un sostanziale allineamento in questo settore non solo tecnologico e scientifico ma anche della più generale scienza militare: comando, formazione dei quadri, organizzazione militare, teoria e tat-tica delle varie unità: divisioni, corpo d’armata, ecc. e delle varie armi: fanteria, truppe corazzate, marina, aviazione, spaziale. Il che fa ben intendere che questi gruppi monopolistici legati alla ricer-ca hanno venduto a tutti i loro brevetti e ricevuto commesse da tutti. Ora il punto da fissare è che l’unificazione dei comandi militari non ha riguardato un ben preciso blocco ma il campo imperiali-sta a livello mondiale. Se noi consideriamo che Fiat, Rolls, General Motor, ecc. concorrono tutti a vari livelli nella progettazione e costruzione di missili satellitari, che motori Rolls, Fiat, General, ecc. sono in dotazione a motori di tutto il mondo, ci rendiamo ben conto del problema.
E’ vero che la Fiat ha avuto il compito di costruire unicamente un pezzo e che il quadro complessi-vo è in mano agli Usa, ma due più due fa quattro: è facile per uno scienziato italiano ricavarsi dal pezzo che alla Fiat è stato commissionato il quadro più generale di tutto il motore, se a questo pezzo si uniscono quelli degli altri Stati e società che gravitano nello stesso blocco bellico.
Se noi aggiungiamo a tutto questo una globalizzazione dei metodi scientifici negli altri campi del sapere, che determina un livellamento più complessivo dei processi della conoscenza e se noi con-sideriamo l’alta concentrazione della intellighenzia abbiamo un quadro sufficientemente realistico.
Se le cose stanno come io penso l’imperialismo si trova in una condizione di grave instabilità stra-tegica: se non può ricorrere alla guerra generale, ma deve condurre una guerra nei singoli Stati na-zionali per spostare equilibri, come detto più sopra, l’imperialismo è inchiodato dal suo stesso svi-luppo ad una crisi strategica non potendo più agire qui i suoi strumenti principali.
Lo Stato nazionale è lacerato tra nuovi confini ed internazionalizzazione, che porta al superamento dello Stato nazionale; la Guerra può avere un utilizzo parziale e contingente, con tutto questo che la guerra comporta in quanto valvola di sfogo e camera di compensazione del sistema.


In questo quadro l’ONU viene a configurarsi diversamente e quindi diverso deve essere l’atteggiamento, ossia la tattica.
L’ONU non è un’organizzazione astorica, ha anch’esso una storia la cui nascita corrisponde ad una determinata fase dello sviluppo del capitalismo, che ne determina la sua evoluzione. Fa la sua apparizione all’indomani della 1a g.m. come “ Società delle Nazioni”, ma a quel livello di sviluppo delle forze produttive e del processo di concentrazione monopolistico è inadeguato; è cioè inade-guato a quella forma di centralizzazione ed organizzazione del capitale monopolistico. In quanto ta-le non poteva che fallire. L’ONU, cioè, esprime due momenti opposti e contraddittori, da una parte la maggiore centralizzazione richiesta dallo sviluppo delle forze produttive e quindi centralizzazio-ne e pianificazione del processo produttivo e questo è il suo lato progressivo, in quanto espressione dello sviluppo delle forze produttive; dall’altro centralizzazione del comando e dell’organizzazione capitalistica, la risposta cioè dei rapporti di produzione capitalistici in lotta contro lo sviluppo delle forze produttive, e questo è il suo lato regressivo, di freno ed ostacolo allo sviluppo ulteriore della Storia dell’umanità. E lo è dal duplice punto di vista, giacché tale opposizione deve rispondere a due ordini di problemi: a) momento di mediazione e sintesi delle spinte contraddittorie, ossia della lotta interimperialistica; b) momento di lotta contro il proletariato ed il Socialismo.
Sono i rapporti di forza reali che si vengono a stabilire di fase in fase che stabiliscono, poi, il carat-tere dominante dell’ONU in ciascuna fase.
Successivamente all’indomani della 2a g.m., dopo la fase di assestamento della crisi di Wall Strett, del 1929, e quindi di un più elevato sviluppo del processo di contrazione monopolistico, sancito dal-la 2a g.m. e dal suo esito: sconfitta dell’asse Berlino-Tokyo-Roma e ridimensionamento delle forze pur vincenti anglo-francesi e rafforzamento forte e presa della direzione dell’intero campo imperia-lista degli Usa sancito da una serie di accordi: Bretton Woods, Nato, ecc. e di strumenti di questa nuova fase dell’Imperialismo: FMI, BMI, ecc. viene a definirsi l’ONU nella forma che noi tutti co-nosciamo. Esso è allora sia questo più alto livello di concentrazione monopolistico e sanzione del predominio ed egemonismo Usa e sia momento di mediazione e lotta contro il campo Socialista u-scito dalla 2a g.m.. Gli anni ‘60-’70 vedono un ulteriore innalzamento del processo di concentrazio-ne e lo sviluppo di organismi sovranazionali quali la Trilaterale, che predeterminano e scavalcano la funzione stessa dell’ONU, il cui punto di arrivo sono stati i nuovi strumenti della fine degli anni ’80 quali il G7. E lo stesso G7 ha potuto avere un ruolo, giacché rimanda e sottende l’esistenza di quelle grandi holding di cui si è detto, costituendone momento di mediazione. Quello che impropriamente viene chiamato ‘ globalizzazione’ ha cioè svuotato l’ONU dalla funzione di mediazione per ridurlo nella sostanza in questa fase a strumento dell’imperialismo nella lotta contro i popoli che cercano di opporsi o sottrarsi a tale dominio.
L’ONU in tutta la fase degli anni ‘50-70 ha assolto ad un ruolo progressivo, per la presenza di un forte campo socialista, pur se diviso al suo interno e per le lotte dei popoli d’Asia, d’Africa ed Ame-rica Latina. In queste condizioni esso ha visto la presenza delle nazioni e dei popoli delle ex colo-nie, che spingevano per un nuovo ordine internazionale, con la stasi delle lotte ed i fatti del nov. 1989 la direzione dell’ONU è saldamente tornata nelle mani dell’Imperialismo, prima delle forze espressione dell’unità raggiunta al loro interno, ma oggi con il procedere delle contraddizioni e dei limiti del sistema capitalistico esso diviene la sede della lotta interimperialista e quando questa non riesce a trovare una forma di mediazione viene semplicemente messo a tacere ed al suo posto entra-re a decidere le armi. Quando si analizza l’ONU occorre considerare la complessità delle forze che vi sono presenti e di come esse tendono a muoversi rispetto all’imperialismo in generale e di come le lotte interimperialistiche modificano il rapporto di subalternità dei paesi ex coloniali e del più complessivo rapporto di forza all’interno del campo imperialista con la nascita di nuovi blocchi e campi.
Il dato qui da fermare è proprio questo: che vedendo la globalizzazione, come momento totale di dominio del capitale, non si vedono le modifiche che intervengono all’interno dell’ONU e questo comporta che ci si continua a rapportare ad esso allo stesso modo come ci si rapportava negli anni ‘60-70, senza tener presente proprio ed esattamente quel processo di concentrazione monopolistico che ha portato prima alla Trilaterale e poi al G7 e quindi all’esautoramento dell’ONU in assenza di una lotta dei popoli delle ex colonie ed in presenza di un rafforzamento del neocolonialismo e delle nuove forze di neocolonialismo, che vengono a stabilirsi per lo sviluppo della scienza e della tecni-ca in modo specifico nel campo della genetica, della spaziale e delle telecomunicazioni satellitari.
Ancora.
Sono queste modifiche nell’assetto del capitale monopolistico e quindi del rapporto Stato na-zionale-gruppi monopolistici che determinano una parte non secondaria delle stesse modifiche co-stituzionali: l’avvio, il fallimento e lo stop and go di tale modifica.

Questione della ricerca scientifica.
Gli sviluppi della scienza e della tecnica agiscono da freno alla caduta del saggio medio gene-rale del profitto questo in generale. Gli attuali sviluppi comportano però modifiche profonde nell’organizzazione capitalistica della produzione sia nei rapporti tra i gruppi monopolistici e le co-lonie, sia nella ristratificazione delle classi, sia negli sviluppi stessi del processo di concentrazione monopolistica, con tutte le implicazioni che ciò ha comportato e comporta e che abbiamo sin qui tracciato a larghi tratti. Il dato nuovo è che oggi la maggior parte della ricerca, fatta eccezione per la ricerca di base, che viene sviluppata dai singoli Stati al servizio dei grandi gruppi monopolistici, è oggi concentrata in queste grandi holding e quindi con un processo di finanziamento autocno, inter-no cioè alle holding che attraverso società finanziarie rastrellano capitali per tutto il processo pro-duttivo e quindi anche per la ricerca ed il cui settore della ricerca, all’interno della holding, ha un suo stesso processo di autofinanziamento attraverso il possesso di brevetti e quindi di royalties.
I punti forti da fermare di questa ricerca scientifica sono:
a. Informatica?Telematica?Telecomunicazioni;
b. Genetica;
c. Astrofisa?Spaziale.
Il primo punto è sotto gli occhi di tutti, ma esso ha una implicazione ed un impatto forti sulla società civile, la sua coscienza ed i livelli di Democrazia, che tratteremo in seguito .

La Genetica.
La possibilità di intervenire sul DNA con modifiche genetiche comporta che viene modificato il rapporto tra i paesi imperialisti e le colonie produttrici di determinati beni, giacché essi possono im-porre i prezzi che vogliono, giacché quella determinata merce possono ottenerla non più obbligato-riamente in quel paese a quelle condizioni climatiche ma anche in altre con diverse condizioni in-tervenendo proprio ed esattamente sul DNA, ottenendo così una modifica genetica.
Il controllo di intere catene di DNA consente un monopolio totale non solo nella produzione di quel determinato bene, ma anche in tutti i suoi derivati: la soia manipolata comporta non solo il monopo-lio nella produzione di questa soia, ma anche di tutti i fertilizzanti, anticrittogamici e quindi la fuo-riuscita di gruppi monopolistici dominanti in questo settore o poi declassati con l’ingresso della soia manipolata. Ma lo stesso si può dire del pomodoro e di tutti gli altri beni ottenibili per manipolazio-ne genetica. Un discorso simile avviene nel campo della riproduzione con il controllo ed il monopo-lio di semi per la fecondazione ove due-tre società ne detengono il monopolio assoluto e dell’intera specie animale.

La Medicina subisce una forte impennata nel campo della produttività del settore chimico-farmaceutico, che già – per le specifiche condizioni di mercato – agisce in una situazione di fatto di monopolio e quindi con un saggio di profitto tra i più alti.
Le più recenti invenzioni farmacologiche scalzano le più consolidate strategie terapeutiche, deter-minando l’obsolescenza di macchinari e farmaci in precedenza usati, impone una nuova domanda e quindi una commissione forte dei nuovi prodotti. La stessa strumentistica subisce la stessa sorte: decadono macchinari per obsolescenza tecnologica per nuovi. Tutto questo determina un forte in-nalzamento dei profitto. È questo un caso concreto di come l’innovazione scientifica e tecnologica agisce da freno alla caduta del saggio medio generale del profitto rilanciando in alto il saggio di profitto e quindi il processo della riproduzione allargata, frenando la crisi recessiva, ma dando una forte impennata a quella forbice tra capitale investito e massa di capitale necessario per la messa in opera del capitale investito, di cui si è detto.

La Spaziale interagisce strettamente con il settore delle telecomunicazioni ed entrambi con il rap-porto Pace-Guerra, introducendo modifiche nella conduzione della guerra e quindi nella teoria, nella strategia e nella tattica militare con la caduta a cascata sul piano della teoria e della tattica della Scienza della Politica.

L’Astrofisica si integra con la spaziale più generale, ossia con l’esplorazione nella Galassia. An-che questo settore interviene nel processo della concentrazione monopolistica, determinando una lotta feroce tra i vari gruppi monopolistici e tra i vari Stati. La recente notizia di masse d’acqua tro-vate su Marte apre uno spiraglio sui veri intendimenti della ricerca spaziale, ossia sulla ricerca di nuove fonti di materie prime a più basso costo. Tutto questo comporta sia un nuovo e più alto im-mobilizzo di capitali, ma anche nei settori delle telecomunicazioni, Medicina, Genetica un forte in-nalzamento del profitto, che consente investimenti nei settori a più alta redditività, innestando così un ulteriore processo di concentrazione monopolistica che aggrava i rapporti che tale processo ina-sprisce. Rapporto Stato nazionale- gruppi monopolistici, Pace-Guerra, colonie, forbice, ecc.

Parte Seconda
La Tattica

Questione del Partito
e
Questione del Sindacato.

Il Partito, il Sindacato e le altre forme di organizzazione del Movimento Operaio non possono essere pensate e disegnate al di fuori di tutta una analisi sulla fase e sul grado di organizzazione del capitale e sul grado di comando che il capitale esercita sul lavoro.
Le forme principali di organizzazione del Movimento Operaio, invece, sono ancora quelle scaturite dalla precedente fase. Sostanzialmente sono ancora quelle scaturite all’inizio del secolo, sia quelle scaturite dalla II Internazionale e sia quelle uscenti dalla III Internazionale.

Le forme di organizzazione anch’esse non sono atemporali, hanno anch’esse una loro storia, una loro evoluzione. Alcune forme vengono superate, altre modificate, altre ancora integrate e ridi-segnate. Esse costituiscono, nel campo del proletariato, la risposta sul piano organizzativo che il proletariato dà alla disposizione delle forze in campo da parte della borghesia.
Esse sono, cioè, lo strumento tecnico attraverso cui la classe si organizza e dispone le sue forze in campo in contrapposizione alla disposizione delle forze in campo della borghesia.
Anche la più elementare lotta sindacale è sempre una disposizione in campo di forze, di quelle im-mediatamente visibili che si contrappongono nella lotta sindacale, ma, e soprattutto, di quelle dell’uno e dell’altro campo, non immediatamente visibili, che a quelle visibili sono legate, intercon-nesse e che subiscono le conseguenze dalla risoluzione in una senso o in un altro di quella pur ele-mentare vertenza. Esse quindi tenderanno a far sentire il loro peso ed entrano in campo e predeter-minano il risultato finale, che sarà dato dal complessivo rapporto di forza, visibile ed invisibile. In-fatti la più elementare lotta sindacale è sempre la risultante, la combinazione, di queste forze, del lo-ro intersecarsi, annullarsi. Ecco perché già all’epoca di Lenin, inizi del secolo, la più elementare lot-ta sindacale richiedeva un’organizzazione a monte, una linea ed una strategia e tattica, e quindi una forma organizzativa più complessiva e generale che è il Partito, che dirige la complessità della lotta in tutte le sue più complesse e multiforme manifestazioni. Ecco perché la più elementare lotta sin-dacale non può mai essere il risultato di un evento spontaneo o espressione di una risposta emotiva, reazione ad un evento, ma richiede sempre un’organizzazione, un piano, una visione strategica complessiva un centro di direzione.
Le questioni organizzative, infatti, non sono mai questioni tecniche, ma sempre politiche e teoriche, rimandando ad una visione teorica, ad una ben precisa analisi, ad una strategia e tattica che si ha mente, in base alle quali si formulano poi i criteri ispiratori dell’organizzazione. E questi non sono astratti, ma sono sempre il risultato dell’esperienza, del grado di maturità politica, culturale, sociale.
La chiarezza di tutto questo, allora, presuppone e rimanda non solo ad una corretta teoria in grado di comprendere scientificamente la realtà che si sta vivendo e che si intende trasformare, ma anche un’analisi ed un programma e quindi una strategia ed una tattica, scaturiti dal programma, giacché sono queste due che consentono di raggiungere i punti posti dal programma. Un determinato pro-gramma richiede una specifica strategia, che può articolarsi se la tattica è corretta e questa può at-tuarsi se le forme organizzative sono funzionali all’obiettivo da raggiungere che la strategia ha po-sto alla tattica, sulla base del programma, scaturito dall’analisi, condotta sulla base di una teoria.
Conseguenzialmente la stessa formazione di quadri è determinata non solo dall’analisi e dal pro-gramma, ma anche dalle forme organizzative, giacché è in queste e tramite queste che avviene la formazione dei quadri ed è per rispondere a quelle forme organizzative, a quel modo in cui le forze sono organizzate e disposte in campo, che si formano i quadri di quelle masse che in quelle forme sono organizzate. Ed è poi attraverso queste che avviene la trasformazione della realtà e quindi la conoscenza del reale e quindi l’ulteriore elaborazione, correzione del tiro, bilancio, ecc. ecc.
Le forme di organizzazione sono cioè gli strumenti cardini della stessa vita democratica di questi organismi, giacché una errate disposizione delle forze delle errate o non corrette, ossia non corri-spondenti ai nuovi compiti, forme di organizzazione comporta una non corretta lettura e filtraggio della realtà e conseguenzialmente linea politica, formazione dei quadri, verifica, bilancio.
Antonio Gramsci chiamava queste “ antenne”.
Il Partito dal periodo di Marx ed Engels, I e II Internazionale, a quello dell’epoca dell’Imperialismo, III Internazionale, ha subito modifiche profonde, che sono passate dopo un forte ed alto, ed a volte lacerante, dibattito, dal partito strutturato sul territorio: circoli e sezioni territoriali a Partito strutturato sul luogo di lavoro. E così lo stesso Sindacato.
Questa modifica è il risultato delle modifiche nel processo produttivo, che passava dall’artigiano, dall’operaio specializzato nell’esecuzione di un intera fase del processo produttivo, all’operaio ma-novalanza e l’operaio specializzato finito, ossia il modello fordista o catena di montaggio. Una simi-le struttura del processo produttivo richiedeva società per azioni di grandi dimensioni in grado di poter attuare grandi investimenti sia nei macchinari ma anche nelle forniture di materie prime, semi-lavorati, ecc., di qui la struttura imperialista con il controllo delle materie prime, trust, cartelli, sin-dacati e coalizioni di capitali bancari in grado di sostenere l’innovazione e l’ammodernamento tec-nologici e quindi il capitale finanziario in quanto simbiosi; in una: l’imperialismo dell’epoca 1910-1960.
Antonio Gramsci ha ben illustrato in “ Americanismo e fordismo” le caratteristiche del fordi-smo e le modifiche che esso introduce e richiede nella società: civile, economica, culturale, istitu-zionale una volta introdotto.
A questa nuova forma dell’organizzazione capitalistica il partito leninista: la cellula sul luogo di la-voro ed il decadimento della struttura territoriale a forma secondaria e conseguenzialmente un sin-dacato organizzato esso stesso non più territorialmente ma dentro le grandi concentrazioni operaie, la struttura in federazione e confederazione con una struttura territoriale della Camera del Lavoro, che sia momento di centralizzazione e sintesi e direzione generale dei vari momenti, che è poi la struttura che tutti noi conosciamo.
Antonio Gramsci nel suo intervento alla Commissione Politica del III Congresso, Lione 1926, ha ben illustrato queste caratteristiche nuove e la necessità del partito leninista.
Con la fine della 2a g.m. e dentro la strategia generale del Movimento Comunista Internaziona-le in Italia si ha il partito di massa togliattiano, con una sostanziale riconversione della struttura sul territorio. “ Un campanile, una sezione” era la parola d’ordine che ben sintetizzava tale modifica, ossia la necessità di organizzare gli strati di masse popolari, oltre la classe operaia classicamente in-tesa, e legata a tutta la strategia togliattiana delle “ riforme di struttura” e quindi dell’egemonia su strati e classi, chiamati “ ceti medi”, che era possibile trovare sul territorio e contrastare qui l’egemonia della classe dominante.

Ora è evidente da tutta l’analisi fatta nella prima parte che l’organizzazione capitalistica ha su-bìto una trasversalizzazione, ossia interi settori si sono integrati in un’unica holding e che per lo svi-luppo scientifico e tecnologico è aumentata l’integrazione e la interdipendenza dei vari settori. Inol-tre alcuni settori scarsamente penetrati dal capitale, penso qui a tutta la Funzione Pubblica e più in generale ai servizi, sono oggi attraversati dalla partecipazione azionaria. Lo sviluppo scientifico e tecnologico, che nella precedente fase aveva comportato la concentrazione di grandi masse operaie, oggi consente lo sviluppo di realtà industriali di entità minori ed una loro integrazione sul territorio;
consente lo spezzettamento del processo industriale e la dislocazione in aree diverse del processo produttivo. Questo comporta che interi settori del territorio sono venuti integrandosi tra di loro fino a costituire un unico ‘ land’. Nelle realtà territoriali questo ha comportato che la divisione organiz-zativa ed amministrativa delle città in quartieri e sezioni è stata travolta e si è assistito ad una tra-sversalizzazione e ridisegno dei confini reali di intere aree delle città e la formazione di grandi ag-glomerati urbani quali la metropoli, che richiede di essere diversamente definita a seconda delle specifiche realtà. Ma esistono anche le comunità montane, i consigli di quartiere, gli accorpamenti territoriali delle Usl, che integrano più realtà, costituendole come un tutto organico. E questo pro-cesso di integrazione e trasversalizzazione del territorio investe anche provincie e regioni d’Italia, disegnando nella realtà economica, politica, civile nuove ed altre territorialità. Ma questo processo, visto in Italia ed in Europa, investe anche realtà extra italiane, che vedono il ridisegno di nuove re-gioni, cosiddette ‘ transfrontaliere’ e di nuovi ed altri corpus territoriali.
Da una parte quindi si ha che accanto al fordismo è venuto a svilupparsi il toyotismo, dall’altra il territorio ha visto modifiche importanti nella sua organizzazione economica, amministrativa e con-seguenzialmente culturale e civile. Rimandiamo qui ancora all’importante scritto di Gramsci “ A-mericanismo e fordismo”, questo testo è di fondamentale importanza metodologica per comprende-re come una modifica nel campo dell’organizzazione capitalistica comporta tutta una serie di modi-fiche nella società e nella teoria e nella tattica dei comunisti.

Alla luce di quanto qui detto appare evidente l’assoluta insufficienza delle attuali forme orga-nizzative e della inefficacia della loro struttura organizzativa. Esse risultano cioè inefficaci nell’attuale organizzazione capitalistica. Risultano decisamente fuori asse e quindi assolutamente non in grado né di contrastare i piani ed i progetti economici, politici ed egemonici della classe do-minante né di sviluppare un’azione strategica o comunque un’azione di largo respiro. Assolutamen-te out è qualsiasi ipotesi o progetto di trasformazione, superamento, fuoriuscita, ecc. per cui in que-sto àmbito vi può essere, fatta salva la buona fede di tutti, solamente populismo, dichiarazioni di principio e … .
A partire dalla metà degli anni ’70 con l’introduzione delle Regioni la sezione diviene non solo ob-soleta, ma permanendo a tale livello il processo di centralizzazione ed organizzazione di base, di-viene dispersivo, inefficace. Non è più in grado di cogliere i processi nel loro reale divenire e quindi intervenire efficacemente. La vita cioè inizia a svolgersi al di fuori ed oltre la realtà delle sezioni. Di qui il deperimento di questa forma, il suo essere tagliata fuori comporta che essa stessa non è più in grado di cogliere i processi nuovi e quindi la politica che stabilisce di portare avanti è quanto meno fuori asse e quindi inefficace. Di qui il suo distaccarsi dai reali centri decisionali e vivere una vita ‘ burocratica’, ossia una vita per se stessa, che si autolegittima ed autogenera.
Questo processo con il tempo si aggrava e la politica della Sezione e quindi il processo di formazio-ne delle idee, della formazione dei quadri, di verifica e di bilancio è fuori asse. La Sezione diviene così il megafono delle idee e teorie delle varie classi e non più del proletariato, giacché non sussi-stono più le condizioni fondamentali perché il quadro attivo di Partito verifichi la correttezza e l’elaborazione del marxismo. In questa realtà quella decisione di riconversione verso il territorio si converte in un elemento negativo, giacché non è strumento per l’egemonia del proletariato, ma strumento e veicolo dell’egemonia della borghesia sul proletariato. Il proletariato italiano non avrà mai una coscienza esatta di questo situazione, nel tempo coglie aspetti anche importanti del proces-so, ma senza mai riuscire ad avere una visione d’insieme. Sente i problemi, le difficoltà, ma man-cando una visone unitaria dei processi questo si risolve non in una lotta per il superamento dei limi-ti, ma in una lotta intestina continua fatta di fuoriuscita di militanti, nascita di formazioni minorita-rie, che esprimevano quel cogliere limitato e parziale dei problemi e non riuscendo ad essere mo-mento più organico di sintesi, non potevano che limitarsi ad essere espressione e testimonianza di quelle difficoltà e non riuscivano mai a divenire momento egemone proprio perché non erano in grado di dare risoluzione a quei problemi, di cui pure ne erano espressione. Una realtà, allora di co-stante indebolimento, di emorragia costante di quadri e militanti e di polemica interna estenuante, la generale crescita degli anni 1968-75, è dovuta alla più generale strategia delle riforme di struttura, che si coniugava con i processi industriali degli anni ‘50 . Cessato quel momento contingente e dentro l’offensiva capitalistica, i 4 punti della contingenza, quella problematica si è aperta come una voragine all’interno, fagocitando quadri, energie e sfociando poi nelle decisioni degli inizi degli anni ’90.
La vita, si diceva, è oramai fuori dalla Sezione, altrove dalla Sezione e non è più in grado di control-lare e ne legge sogli gli aspetti parziali, marginali, limitati.
Avviene qui quel processo di blocco della Democrazia e di crescita su se stessa ove la legittimazio-ne del gruppo dirigente avviene per autocertificazione o per certificazione istituzionale: possibilità di contrattazione, … dall’alto quindi e non più l’alto legittimato dal consenso dei quadri di base e tramite questi dal consenso delle masse popolari, die lavoratori organizzati, influenzati diretti ai vari livelli: sindacato, cooperative, Arci, Uisp, ecc. Quanto avviene a livello della Sezione avviene a tutti i livelli superiori: provinciale e nazionale, in modo e forme diverse, giacché quella trasversalizza-zione territoriale ha attraversato la stessa dimensione provinciale e nazionale. La lettura dall’angolazione della Sezione è più immediata e vivida, non intervenendo fattori distorcenti, misti-ficanti e mistificati che intervengono ai livelli superiori. Questi elementi distorcenti sono il prodotto non di mala fede, ma dalla capacità del quadro dirigente superiore di trovare giustificazioni ed arti-colare una spiegazione teorica, che inquadrando i problemi in un contesto più ampio ne diluisce l’impatto, ritardandolo nel tempo, ma incrementandone la potenzia di esplosione finale. E così le strutture di base: Sezione e provinciale si trovano ad essere fuori asse, decisamente out. Esse non sono più in grado di recepire ed elaborare i dati primari per la verifica-bilancio e per l’elaborazione e quindi avere una teoria, un programma, una strategia ed una tattica adeguata. La teoria iniziava a mostrare tutti i tratti dell’obsolescenza, giacché non veniva costantemente aggiornata ed elaborata alla luce della nuova fase che si andava delineando. Questo determinava un dibattito sterile quanto ozioso sulla validità o meno della teoria marxiana, che si articolava nella distribuzione di contume-lie: di revisionismo da una parte e di estremismo, infantilismo dall’altra. Ma poi né l’una e né l’altra entrava nel merito specifico e questo determinava, dinanzi ad una realtà in forte movimento, un ac-cumularsi di ritardi della teoria, un esacerbarsi dei contrasti, che accelerava quel processo di emor-ragia. A tuttora i campi non sono ancora ben distinti e netti, regna invece la più profonda confusione in merito, per cui alla fine non si capisce, se non per aspetti tattici, di valutazione contingente, quali siano le differenze che vede opposte le varie formazioni.
Noi dobbiamo ben fermare un aspetto di questo ragionamento, che nelle condizioni specifiche del
proletariato, importanza decisiva. Il rapporto cioè tra inadeguatezza delle strutture organizzative-processo della democrazia-verifica ed elaborazione-formazione dei quadri.
Il proletariato vive una condizione subalterna. E’ classe egemone e dirigente di un processo ma nella società capitalista vive una condizione subalterna: questo aspetto contraddittorio va sempre te-nuto ben presente, anche quando si discute delle forme di organizzazione, giacché esse devono af-frontare e risolvere positivamente questa contraddizione.
Il proletariato inoltre vive una doppia realtà: di salariato e di soggetto politico.
Nel rapporto lavoro salariato e capitale è un salariato ed in questa condizione di subalternità assolu-ta al capitale esso non riesce ad esprimersi come soggettività politica;
nel rapporto forze produttive e rapporti di produzione il proletariato si staglia come classe antagoni-sta alla borghesia e quindi come classe egemone e dirigente, e quindi soggetto politico forte.
E lo può nella misura in cui si alza al di sopra delle sue più immediate condizioni di vita e si legge nel più complessivo processo di produzione e distribuzione della ricchezza sociale e quindi del più complessivo processo del lavoro in quanto ricambio organico Uomo-Natura.
Riprendendo invece il nostro ragionamento.
Il proletariato in quanto classe subalterna, e quindi i suoi elementi di avanguardia e gli elementi a-vanzati, sono in grado di cogliere la complessità della realtà, non guardando la società politica e le sue manifestazioni ideologiche: partiti, lotta politica borghese, ecc. ma prestando la massima atten-zione proprio ed esattamente ai luoghi di lavoro, dove essi sono, giacché – e qui continuiamo a ri-mandare a Gramsci “ Americanismo e fordismo” e intervento del 1926 – qualsiasi modifica, lotta, legislazione, ecc. che poi si avrà nella società politica, civile, culturale, istituzionale essa deve esse-re preceduta da innovazioni, modifiche del processo produttivo ed è nel processo produttivo che la classe operaia trova la sua organizzazione.
La fase successiva è quella di avere strumenti in grado, partendo dalla centralità del processo pro-duttivo, di saper operare la sintesi tra i momenti certamente contraddittori ed essere così in grado di leggere non la realtà attuale ma le linee di sviluppo tendenziali. Il proletariato possiede una teoria in grado di operare la sintesi ed un metodo: la dialettica materialista, di leggere i processi nel loro svi-luppo tendenziale. Il proletariato infine possiede una teoria ed un metodo che gli consente l’unitarietà del processo produttivo in tutte le su manifestazioni: tecniche, produttive, scientifiche, sovrastrutturali: leggi, ideologia, arte, cultura, ecc.
Ma il punto è quello di costruire antenne sensibili in grado di leggere l’unità e la diversità, condi-zione ineliminabile per una corretta comprensione degli sviluppi tendenziali, quindi i momenti suc-cessivi dell’organizzazione devono sempre avere la centralità del processo produttivo ma essere in grado di recepire l’unità – ossia la conferma dell’analisi sino a quel momento sviluppata - e sia la diversità - ossia gli elementi che inficiano, contraddicono in tutto o in parte l’analisi, la teoria e la tattica. Questi elementi destabilizzanti del sistema sono i più importanti, giacché sono i soli in grado di consentirci di leggere ulteriormente lo sviluppo tendenziale. Ora se le antenne sensibili cessano di essere antenne e trasmettono dati non corretti è l’intero sistema che viene ad essere inficiato e conseguenzialemte tutte le funzioni che tale sistema comporta, implica ed assolve. Il problema della raccolta-trasmissione-elaborazione è data dalla forma organizzativa che si dà a queste antenne sen-sibili, ma poiché la realtà è in costante movimento e noi leggiamo gli elementi di sviluppo tenden-ziale il problema della trasmissione è decisivo. Esistono quindi due ordini di problemi: le forme or-ganizzative che diamo a queste antenne sensibili e come consentiamo ai dati di viaggiare in questo sistema. Il sistema attraverso cui i dati viaggiano è chiamato: centralismo democratico.
Il centralismo democratico non è assolutamente quello che oggi si intende, e che viene for-malizzato in alcuni statuti: rapporto minoranza-maggioranza, ecc. ecc. Il centralismo democratico è invece quel sistema che consente a tutti i dati di viaggiare e di giungere al centro. V. I. Lenin ha con insistenza ribadito ripetutamente che tutti i giudizi, i commenti, le proposte che vengono avanzate da operai e lavoratori devono essere vagliati dalle istanze di base e comunque poi trasmesse, tutte, all’organismo superiore e questo li deve vagliare, elaborarli e comunque trasmetterli al centro.

In questa situazione allora il Partito comincia a non avere più polso della situazione, i suoi le-gami si affievoliscono, non esiste più un’osmosi tra struttura di base e lavoratori. Di qui la crisi del-le Sezioni, la caduta della partecipazione, la caduta della formazione dei quadri di base da immette-re nel tessuto del Partito e così vitalizzarlo costantemente, arrichendolo del legame con le nuove re-altà di cui quei quadri sono espressione e prodotto. E’ dagli inizi degli anni ’70 che le Sezioni ini-ziano a soffrire di questa strozzatura di qui un dibattito forte sulla Democrazia, sulle Sezioni che non contano, ecc. e dall’altra la risposta spontanea dei coordinamenti di Sezione, ma quella scelta è troppo disorganica e troppo fuori da un più generale ridisegno del Partito da qui la totale insuffi-cienza ed inadeguatezza, che non poteva che accrescere quella strozzatura. E tutto questo mentre il processo di concentrazione monopolistico in quegli anni subiva una forte impennata e quindi aggra-vava ed esponenziava i problemi.
In generale possiamo dire che esisteva una organizzazione e dislocazione delle forze in campo non più corrispondenti, come per il passato, a quello che il capitale andava dispiegando ed organizzando altri centri del comando e dell’organizzazione capitalistica.
Le forze comuniste intuiscono queste difficoltà e verso la prima metà degli anni’80, 1982-84 , apro-no un dibattito di grande portata che aveva alla base proprio un importante documento della Com-missione centrale del Pci, che disegnava a larghi tratti la necessità di una nuova ed altra organizza-zione ed una rifondazione della forma di organizzazione del Partito. Il documento di Gavino Angius mentre prendeva in debita considerazione le nuove realtà produttive territoriali e le modifiche inter-venute, tra cui la Metropoli, poneva con forza un ritorno all’organizzazione sul luogo di lavoro ed anche qui prendendo in debita considerazione le nuove realtà lavorative del terziario avanzato e del pubblico impiego nel loro nuovo rapporto con il territorio.
La relazione poneva la necessità da una parte di potenziare la presenza del Partito sui luoghi di la-voro, rafforzando ed estendendo le cellule sui luoghi di lavoro e la loro trasformazione in Sezioni dei luoghi di lavoro e dall’altra di operare una nuova riconversione dal territorio ai luoghi di lavoro e di studio, riproponendo così la centralità del lavoro nell’organizzazione del Partito comunista. L’unica, diceva Angius, che poteva consentire al Partito di seguire e capire ed intervenire sui più complessivi meccanismi di trasformazione della società. La relazione si muove va cioè in piena sin-tonia con l’elaborato gramsciano.
Il dibattito non giunge ad una conclusione, anche se gli inizi sono stati interessanti e di alto profilo con interventi qualificanti sull’Unità, Rinascita, Critica Marxista, giacché si dovette far fronte all’attacco scatenato dalle forze del capitale contro il Movimento Operaio e le sue forme di organiz-zazione con l’attacco ai quattro punti di contingenza. Successivamente non venne ripreso.
Questa relazione costituisce un buon documento da riprendere e sostanzialmente da integrare con studi ed analisi recenti. Nelle condizioni attuali costituisce un buon canovaccio, un buon impianto entro cui articolare la ricerca, il dibattito e l’elaborazione.
Situazione non dissimile al Partito esiste nel Sindacato, dove continua a permanere una struttu-ra degli anni ’50, che non tiene conto del processo di integrazione e trasversalizzazione del capitale.
Questo ha comportato una debolezza del movimento sindacale nella sua lotta, giacché nelle più e-lementari lotte sindacali gli schieramenti in campo non erano quelli che visibilmente si vedevano, ma ve ne erano di ben più sostanziosi, che facevano sentire il loro peso ed a cui noi non contrappo-nevano uno schieramento tale da fargli da contrappeso. Nel campo della Sanità i rapporti di forza non attengono solo quelli tra governo, cliniche private e lavoratori della sanità: entrano in gioco le holding, e per certi aspetti lobbies, della ricerca scientifica, della strumentistica, delle finanze inte-ressate che una massa di capitali vada nella direzione dell’acquisto di determinati ritrovati, anziché ai lavoratori, nelle varie forme in cui questi flussi vanno ai lavoratori. L’Aran viene a configurarsi come un centro di forza, di mediazione e centralizzazione di queste forze economiche.
Nel campo dell’Università le forze in campo non sono più soltanto quelle dei docenti e del persona-le non docente ed il governo, ma entrano, in maniera non diretta, le forze legate alla ricerca scienti-fica, le società finanziarie, la strumentistica, ecc. In tutte entrano in gioco le società legate alle commissioni a vari titoli e vari livelli. Queste forze se non sono minacciate di subire un attacco, o di essere creati problemi al loro interno dal movimento sindacale, interverranno pesantemente nelle trattative, se in campo non scendono, o si minaccia di far scendere i lavoratori dei settori che in ma-niera invisibile entrano in gioco, le condizioni di lotta, i rapporti di forza sono decisamente a nostro sfavore. Il problema allora di avere un quadro più generale ed esatto dell’intero teatro è centrale, e questo non può essere certamente risolto chiamando in campo, quando il caso questo o quell’altro settore in sostegno, giacché ci si ridurrebbe ad una politica sindacale solidaristica che torva il tempo che trova. Si tratta invece di pensare ad una struttura del Sindacato in grado di coprire la trasversali-tà. Sino ad ora abbiamo adottato la doppia struttura per federazione e per Camera di Lavoro, questa rispetto alla nuova situazione è decisamente arretrata, nel senso che non ci consente di leggere la to-talità del teatro di intervento, per i nuovi processi di concentrazione monopolistica.
Questo ha determinato che abbiamo accumulato ritardi e molte volte sconfitte, che secondo la vi-sione e concezione delle cose che avevano non trovavano spiegazione alcuna. Secondo quella visio-ne i rapporti di forza erano a nostro favore e si poteva tirare di più, l’accordo a quel livello, risultava agli occhi di molti elementi avanzati un cedimento. E gli stessi che lo firmavano si rendevano conto che oltre non si riusciva a spostare, ma non riuscivano essi stessi a spiegarsi il perché, il dato imme-diato che vivevano era un muro che non si riusciva a scalfire forze che non si riuscivano a spostare.
Un esempio classico qui a Napoli è stata la lotta più che decennale per la difesa dell’Italsider, tutti gli accordi strappati per quote aggiuntive acciaio dalla Comunità Europea, la variante Italsider, era-no tutti palliativi che rimandavano il problema. Ed era evidente a tutti che erano accordi evanescen-ti, che sfibravano la combattività e tendevano a diluirla nel tempo. Il punto qui non stava assoluta-mente nel rapporto di forza tra i metalmeccanici e la controparte governativa ed europea. In campo c’erano ben altre forze, quelle legate allo sviluppo e potenziamento del silicio, giacché con lo svi-luppo delle fibre ottiche non erano più utili tubi d’acciaio di una certa dimensione, ma ne bastavano di dimensione molto più ridotte e di resistenza diversa, di qui il superamento di quel tipo di acciaio e quindi il taglio delle quote. Noi eravamo protesi tutto sul settore siderurgico, mentre in campo vi erano altre forze, che noi non vedevamo, ma che hanno fatto sentire e bene la loro presenza ed alla fine facevano, ed hanno fatto, la differenza. E’, poi, questa situazione che determinava un clima di sospetto ed alimentava il dibattito deviante del ‘ tradimento’ , del ‘ venduto’ della ‘ democrazia’: il clima di frustrazione determinava il cercare altrove le cause. Ed anche lì non si spiegava poi come mai tutti tradivano e nessuno si opponeva. Spiegazione facile senz’altro ma che lacerava e creava problemi maggiori alla comprensione delle cause reali, che determinavano quella situazione di arre-tramento. Quella situazione veniva poi ampiamente sfruttata ed amplificata dalla borghesia al fine di far passare la teoria della “ lotta non paga”, della “ sterilizzazione della lotta”, che poi tanto han-no pesato dentro la più complessiva strategia di attacco scatenato a partire dalla fine degli anni ’70.
La situazione era allora un Partito ed un Sindacato che non solo non era all’altezza dei tempi, ma che accumulava paurosi ritardi. Recuperare questi ritardi significa aprire un dibattito forte, scientifi-co, su quale Partito e quale Sindacato oggi, nelle attuali condizioni e nella fase in cui si riaprono le condizioni della ripresa del Movimento Operaio per la trasformazione. I problemi del Partito e del Sindacato vanno risolti in combinata, giacché l’uno poi determina e condiziona l’altro. Il problema di una struttura flessibile in grado di piegarsi alla realtà produttiva multiforme, accentrata e decen-trata, in grado di combinare la più immediata realtà produttiva e la nuova trasversalità del territorio, in grado di agire come una fisarmonica, ossia di estendersi sulla base delle reali necessità dello schieramento delle forze in campo e di restringersi, senza per questo perdere in organizzazione e flessibilità e mobilità: la fisarmonica appunto da bene il senso e l’immagine di cosa ci occorre ora.