Biblioteca Multimediale Marxista
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Lavori di riferimento:
“ Bioetica”
“ Democrazia”
“ La concezione materialista del mondo di-nanzi alle sfide del III Millennio”
“ Storia del Movimento Operaio Italiano”
“ Antonio Gramsci”
“ I compiti nel campo della cultura”
“ Analisi delle classi”
“ Pavese”
“ Mao Tstetung”
“ Crisi”
“ Errore”
“ Materiale per il Partito”
“ La Scienza della Politica”
“ Leopardi
C.G.I.L – Camera del Lavoro
Napoli, 29. Ottobre. 1998
Premessa.
Le forze comuniste iniziano ad uscire dal pesante tunnel del novembre ’89,
che vedeva il punto di arrivo di una possente controffensiva scatenata dalle
forze capitaliste contro il Movimento Ope-raio. La controffensiva vincente pescava
indubbiamente anche in limiti, errori, insufficienze e ritar-di. Pesanti gli
anni ’80, ancora di più la prima metà degli anni ’90.
E’ indubbio che questa controf-fensiva ha creato vuoti, acredine, alzate
di scudi, che oggi si fanno pesantemente sentire.
Nonostante tutto questo importanti forze hanno cercato di non farsi schiacciare
dalla quotidianità e sviluppato analisi e bilanci coraggiosi, contribuendo
in maniera considerevole alla tenuta.
Ma molte di questi avvenivano in un più generale clima di ritirata, che
si fa poi sentire, condotti il più delle volte all’interno delle
singole realtà e quindi per se stesse limitate, giacché l’intelligenza
collettiva, che pure il proletariato aveva espresso, risultava spezzettata.
Nonostante tutto questo, tali lavori non riuscivano a divenire più complessiva
coscienza e quindi pratica del Movimento Operaio.
La maggior parte delle forze si è trovata impegnata nella difesa quotidiana
e quindi tutta schiacciata sull’emergenza, assalita da centinaia di problemi
e nell’impossibilità di tenervi testa. In
queste condizioni è venuto meno il momento della riflessione e del bilancio,
della elaborazione teo-rica della teoria e della tattica adeguate ai tempi nuovi
ed alle nuove condizioni in cui si sviluppava la lotta di classe, “ oppressi
dalla quotidianità”, per dirla con Gramsci. Molte volte queste
forze so-no state impegnate in battaglie al solo scopo di tenerle occupate ed
impedire loro proprio ed esatta-mente quel momento di riorganizzazione più
generale. Le si è tenute molte volte volutamente sotto scacco per sfiancarne,
sfibrarne la combattività e rendere impossibile la riorganizzazione teorica
e pratica. Nonostante tutto ciò queste forze hanno retto in maniera egregia
all’assalto e consentito di contenere in maniera considerevole le perdite,
ritardare l’azione e l’avanzata e consentito respiro al-le forze
della trasformazione. Ci vuole coraggio e passione per reggere ad oltre un decennio
di of-fensiva capitalista, ancora di più contrattaccare: organizzare
lotte, movimenti, circoli.
E’ stato questo tessuto diffuso di centinaia di migliaia di lavoratori
e lavoratrici che oggi ci consente di guardare in avanti e voltarci indietro
guardando il tunnel profondo dal quale siamo usciti con suf-ficienza.
Ma oggi tutti noi dobbiamo comprendere che quelle bardature, che pure abbiamo
innalzato, quell’impostazione, quella tattica, quel modo di vedere le
cose, che pure ci hanno consentito di resi-stere devono oggi essere abbandonate,
perché di ostacolo al procedere in avanti.
Lo spirito di indagine, il senso della sfida, il gusto della sfida e del nuovo,
devono tornare a prevale-re. Certo è difficile, ci sono ancora molte
cose che ci trattengono, che ci consigliano prudenza.
Ma dobbiamo procedere: dobbiamo adesso attrezzare gli strumenti per la ripresa,
coniugare cioè le battaglie immediate, che avvengono ancora n condizioni
di difesa, e l’elaborazione degli strumenti per la ripresa.
C’è una massa di problemi che dobbiamo affrontare,
che esprimono i problemi nuovi, a cui dob-biamo dare risposta per poter costruire
le condizioni sufficienti e necessarie della ripresa.
Questa relazione vuole essere una disamina rapida, un porli nei loro punti essenziali,
a larghi tratti.
In parte alcuni di questi temi sono stati già affrontati, ma isolatamente
e non nell’intreccio con gli altri e non dentro la problematica della
teoria e della tattica.
Questa relazione, infine, non vuole, e non può, essere comprensiva di
tutto, vuole porre al cen-tro del dibattito alcuni problemi, ritenuti fondamentali,
e porli in una loro organicità, superando la frammentarietà. Si
procederà per certi aspetti a porli in maniera schematica, a larghi tratti,
rinvian-do a specifici lavori dell’Istituto ed a specifiche sezioni la
trattazione più estesa.
Parte Prima
La Teoria
Questioni dell’Economia.
Si parla con insistenza di “ globalizzazione”, “ mondializzazione”
per indicare il processo di dominio planetario del sistema di produzione capitalistico.
Il termine usato non è corretto, e - come vedremo – porterà
a conclusioni non esatte e conseguen-zialmente a non cogliere i problemi nuovi.
L’uso che viene fatto di questo termine rimanda ad un dominio totale,
assoluto del capitalismo. Giustamente il Prof. Domenico Losurdo aveva messo
in guardia nel febbraio 1992 da un tal uso, fissando in maniera chiara come
questo avrebbe portato un cadere nelle teorie del “ Superimperialismo”
di Kautsky e già criticato da Lenin. Ed in effetti l’idea che si
tende a dare di questa fase dell’imperialismo – ricordiamo qui che
questo termine è usato nel senso leniniano, ossia di fase suprema del
capitalismo – è quello di una onnipresenza e forza a cui niente
e nessuno può sottrarsi e la condizioni quasi disperata della lotta contro
questo gigante che tutto domina e sovrasta. Si finisce così, in via immediata,
per non vedere le contraddizioni del si-stema capitalistico nell’attuale
fase, la lotta feroce che viene scatenata da ciascun imperialista con-tro tutti
gli altri, le contraddizioni tra i vari blocchi e le lotte trasversali che attraversano
gli stessi grandi gruppi monopolistici. Si finisce così per non poter,
poi, spiegare le pesanti crisi che straccia-no il sistema capitalistico nella
fase attuale – ‘ turbolenze’ vengono chiamate! – mercati
finanziari, la guerra dei Balcani, nel centro Africa, in Asia, la crisi russa,
ecc.
Il termine non è corretto giacché il sistema capitalistico è
sistema di produzione e distribuzione della ricchezza sociale a livello mondiale
già dalla metà del 1800, che già Marx ed Engels nel “
Manifesto del Partito Comunista” avevano ben fissato. Marx in “
Lotte di classe in Francia” e “ Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”
aveva ben dimostrato come l’andamento della rivoluzione del 1848 in Francia
era legata agli andamenti dei mercati finanziari e all’andamento della
produzione industriale ed agricola, come le difficoltà inglesi ed i momenti
di ripresa del mercato avevano se-gnato gli zigzag del 1848 in Francia e lo
stesso andamento della situazione in Francia durante il pe-riodo di Luigi Bonaparte.
Marx in una serie di scritti aveva ben dimostrato come la guerra Franco-Austriaca
del 1859-60, che in Italia va sotto il nome di 2a guerra di indipendenza, era
determinata da un immobilizzo aureo delle Banche centrali inglesi e francesi
e la necessità di una loro messa in circolazione; data la inadeguatezza
del tasso del 4%. Sulla base di questo e delle esigenze finanzia-rie dei singoli
belligeranti Marx indica con precisione il periodo entro il quale questa guerra
sarebbe iniziata, sulla base dei tempi di rimessa in circolazione di questa
massa aurea e la solvibilità dei bel-ligeranti. Tra il 1880 ed il 1911
il sistema capitalistico transita alla fase imperialista, che è la fase
dei monopoli e del capitale finanziario, definito in quanto “ simbiosi
tra il capitale bancario ed il ca-pitale industriale”, transita cioè
alla sottomissione delle colonie ed alla rapina delle materie prime, come via
d’uscita alla crisi che attanaglia il sistema di produzione capitalistico.
La struttura dell’Imperialismo ci è quindi già nota non
solo dagli importanti scritti di Lenin e Bu-charin, ma anche da quelli di Hilferding
ed Hobson. La definizione di “ globalizzazione” non ci aiu-ta quindi
a capire quali sono i caratteri ed i contenuti nuovi, specifici, dell’Imperialismo
nell’attuale fase post 2a g.m. ed in specifico a partire dagli anni ’60.Non
ci aiuta cioè a capire in cosa, esatta-mente, precisamente, in cosa l’Imperialismo
nell’attuale fase è diverso da quello degli anni ‘30-40 e
quindi quali sono i tratti nuovi, originali, specifici di questa particolare
fase. Viene poi posto con troppa enfasi l’accento sul nuovo sistema produttivo:
il toyotismo. Anche qui si esasperano tratti e contenuti, come bene ha messo
in evidenza Carla Filosa in un suo studio, finendo anche da questo versante
per sfociare nel “ Superimperialismo”.
A noi sembra che l’attuale fase si caratterizza per un più alto
processo di concentrazione monopoli-stico, con la costituzione di holding, i
cui singoli bilanci sopravanzano i singoli bilanci statali di Francia, Germania,
Usa, Giappone, Italia, con una elevata integrazione di tutti i processi produttivi,
che conduce a quello che noi chiamiamo “ prezzo transfert”. L’intero
processo produttivo dal fi-nanziamento – e questo porta ad un feroce rastrellamento
di capitale sul piano internazionale ed in connessione a questo i cosiddetti
‘ paradisi fiscali’ - dal finanziamento, si diceva, alla ricerca,
alle materie prime, ai processi di trasformazione, al semilavorato, prodotto
finito, distribuzione e com-mercializzazione – società di pubblicità,
grandi catene di distribuzione, ecc. – credito alla distribu-zione avviene
tutto all’interno della holding, senza alcun esborso di denaro, mentre
in passato ciò avveniva attraverso cartelli, trust, sindacati, dove il
capitale finanziario ha ulteriormente sottomesso il capitale industriale, ossia
il momento produttivo del processo di produzione e ne ha eroso spazi con una
pesante impennata del processo parassitario. Di qui allora le pesanti crisi
dei mercati finan-ziari, le lotte feroci che qui si scatenano e l’impatto
su tutte le altre borse in tempi reali dei più pic-coli squilibri. Questo
dei tempi reali, così tanto esaltato, agisce da pesante accelerazione
della crisi. Karl Marx nel secondo volume del Capitale e poi nel terzo, aveva
ben messo in evidenza che i tem-pi in cui venivano trasmesse le indicazioni
di crisi agiva da rallentamento della crisi stessa, che si sarebbe invece accelerata
quando si sarebbero migliorate le trasmissioni. La scienza cioè se per
certi aspetti e nel breve periodo agisce da freno alla caduta tendenziale del
saggio medio generale del profitto, in generale agisce da accelerazione della
crisi, incrementando gli strumenti della conoscen-za e della trasformazione
innalza in maniera esponenziale i momenti di crisi, facendoli ulteriormen-te
interagire ed in tempo reale. Il sistema capitalistico interviene in questa
situazione con un roll back, ossia riportando temporaneamente ed artificialmente
indietro la situazione: spegnendo i com-puter o sospendendo i titoli. Il punto
chiave è cioè – rimandiamo qui ai corsi dell’Istituto
e che invi-tiamo ad una ripresa – che la massa del capitale complessivo
investito, il capitale organico, richiede una massa molto alta per la sua messa
in attività e che lo sviluppo scientifico e tecnologico tende ad incrementare
sempre più una tale forbice, contraendo i margini di profitto e quindi
delle possibilità della riproduzione allargata. La stasi della riproduzione
allargata è la recessione. Di qui il carattere speculativo finanziario
al fine di compensare tale forbice. Ma questo avviene a danno della ricchez-za
sociale prodotta, attraverso una più massiccia e feroce rapina delle
materie prime, il controllo delle fonti di energia, la lotta accanita per il
controllo dei mercati e per l’estensione delle sfere di in-fluenza di
ciascuno a danno di tutti gli altri di qui la lotta furibonda: Balcani, Mar
Rosso, Oceano Indiano, ecc. Questo comporta un ulteriore innalzamento del processo
di concentrazione monopoli-stico, l’integrazione e fusione di grandi gruppi
monopolistici ed una altrettanta feroce espulsione di interi gruppi dal mercato
e loro sottomissione. La situazione è molto addomesticata dal fatto che
quando interi gruppi monopolistici cadono sotto il controllo di altri più
forti, i vincitori tendono a mantenere le denominazioni commerciali, per ovvi
motivi di vendita, per cui sembra che vi siano ancora sul mercato tutta una
serie di società, che invece in realtà non esistono più,
continuando ad esistere unicamente il marchio.
Questo sviluppo forte dei gruppi monopolistici comporta una importante modifica
nel rapporto tra i singoli Stati nazionali ed i gruppi monopolistici, ridefinisce
diversamente l’entità statale ed i confini territoriali di ciascun
Stato nazionale: questo modifica il rapporto Pace-Guerra e quindi gli strumen-ti
tecnici di questo rapporto: ONU, OCSE, Nato, ecc.
Il problema si andava già delineando verso la fine del 1800 ed è
stato tratteggiato da Engels nell’
“ Antiduhring”, ma si definisce ai primi del 1900 ed è ben
fissato da Lenin. Oggi quella contraddi-zione Stato nazionale-gruppi monopolistici
si è ulteriormente sviluppata al punto da modificare quel rapporto e
conseguenzialmente quello Pace-Guerra.
Il rapporto Pace-Guerra nella fase attuale dell’Imperialismo.
Il rapporto tra Stati nazionali – gruppi monopolistici nell’attuale
fase di ulteriore processo di concentrazione monopolistico.
Lenin in “ Imperialismo fase suprema del capitalismo”
e poi in “ Stato e rivoluzione” pone bene il rapporto tra Stato
nazionale e gruppi monopolistici. Dice che questi gruppi e di più le
unioni che essi tendono a stringere tra di loro: cartelli, trust, sindacati
li proietta in una dimensione che va ben oltre i confini nazionali a cui questi
singoli gruppi fanno riferimento o da cui sono partiti.
Lo sviluppo del capitale finanziario - che Lenin definisce ‘ simbiosi
tra il capitale bancario e quello industriale’, ove il capitale bancario
sottomette quello industriale ed erode spazi a quello industriale produttivo
per quello speculativo, di qui il carattere parassitario della fase imperialista
del capitale –è determinato proprio dallo sviluppo di questi gruppi
monopolistici e ne è la condizione per il suo sviluppo ed esistenza e
la sua base è già di per sé sovranazionale.
L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, porta cioè al limite
le contraddizioni già insite nel capitalismo e quindi anche la sua natura
globalizzante, che già Marx-Engels nel “ Manifesto del Partito
Comunista” hanno ben trattato.
Il gruppo Krupp ha sì una base ‘ nazionale’ in Germania,
ma le sue dimensioni sono già oltre lo Stato nazionale tedesco e questo
lo è ancora di più se si considera il cartello di cui i Krupp
fanno parte, che ha una base mondiale o quantomeno inerenti quei territori ove
si estraggono le materie prime che il cartello in oggetto controlla. Se a questo
aggiungiamo il capitale finanziario tedesco più in generale –noi
abbiamo un quadro ancora abbastanza limitato della contraddizione tra la base
nazionale del gruppo monopolistico Krupp, la Germania, e la massa territoriale
a cui essa è interessata.
Premesso questo, veniamo ad ora.
Lo sviluppo del capitale monopolistico a partire dalla crisi di Wall Strett
ha subìto una forte accelerazione i cui momenti importanti sono stati
la 2a guerra mondiale e la rivoluzione scientifica e tecnologica. Un aspetto
di tale accelerazione, molto trascurato ma molto importante, è dato dalla
lotta dell’Imperialismo contro i paesi del socialismo, in cui ha dovuto
centralizzare momenti del comando economico, politico, civile e militare, ove
Nato, BMI, FMI, Trilaterale erano i luoghi di questa centralizzazione del comando.
La realtà che ne è scaturita è quella di un capitale monopoli-stico
altamente concentrato con gruppi monopolistici che hanno visto estendersi la
loro base e cen-tralizzati non solo momenti diversi del ciclo produttivo, in
precedenza dati da cartelli, trust, sindaca-ti, ed in cui sono integrati tra
loro il momento delle materie prime, trasformazione, produzione, di-stribuzione,
ricerca, finanza, ma intere categorie produttive, basta pensare alla Mitsubishi,
Fiat, ecc. Questi gruppi monopolistici, questo era già presente nel periodo
1880-1914, non vanno letti solo in rapporto al più immediato prodotto
che vendono: per es. l’auto per la Fiat, ma essi attraverso le va-rie
compartecipazioni azionarie e società finanziarie sono interessati a
centinaia di altri prodotti, per cui in definitiva quello che la Fiat ricava
dalla produzione dell’auto non costituisce che una minima parte del più
complessivo fatturato e profitto del gruppo Fiat. Vi è cioè non
solo una integrazione verticale ed orizzontale di questi gruppi monopolistici,
ma anche una trasversalizzazione.
Tutto questo processo di ulteriore concentrazione monopolistico, va sotto il
nome ideologico di ‘ globalizzazione’, ‘ mondializzazione’.
Ora in queste nuove condizioni la contraddizione individuata da Lenin - tra
la base nazionale dei singoli gruppi monopolistici e la Stato nazionale di cui
sono la più immediata espressione e che ha costituito la base nazionale
e di forza dei singoli gruppi mono-polistici, ossia l’entità statale
che più immediatamente questi gruppi monopolistici hanno sottomes-so
ai loro interessi ed in nome di questi gli Stati nazionale hanno condotto guerre,
disegnato le pro-prie strategie diplomatiche e sviluppato le proprie linee economiche,
politiche, ecc. – si è ulterior-mente sviluppata ed è su
questa base che noi dobbiamo studiare come oggi vengono a porsi i pro-blemi
e quindi le contraddizioni tra i singoli gruppi monopolistici e i rispettivi
Stati nazionali e dei rispettivi gruppi monopolistici e tutti gli altri Stati
nazionali.
E’ su questa base che noi possiamo comprendere il processo in atto di
ridisegno degli Stati naziona-li, che va sotto il nome di rottura, lacerazione,
disgregazione, smembramento degli Stati nazionali.
Ed è poi questa la base su cui ragionare per comprendere, per es. il
processo di ridisegno costituzio-nale, che va sotto il nome di 2a repubblica
e riscrizione della 2a parte della Costituzione e quindi della Bicamerale, suo
sviluppo e sorte; dello scontro che vede contrapposte le forze che fanno capo
all’Ulivo ed al Polo, della Lega, dei suoi sviluppi, impennate, ecc. ecc.
Il processo in atto cioè non è altro che il consequenziale ridisegno
delle basi territoriali fondamenta-li dei singoli grandi gruppi monopolistici,
o holding
Quello che noi chiamiamo e definiamo Stato nazionale, entità nazionale
non è una categoria eterna , ma è soltanto la forma di organizzazione
statuale ed organizzativa-territoriale di specifici capitali, che hanno disegnato
sulla base del loro complessivo raggio d’azione un territorio, definito
naziona-le, che è venuto costituendo lo Stato nazionale: Italia, Francia,
Inghilterra, Stati Uniti. E’ cioè la forma organizzativa-statuale
della borghesia, della formazione borghese, dell’ambito territoriale ed
organizzativo che le forze di produzione capitalistiche si sono date nel loro
più complessivo proces-so di formazione e sviluppo il cui equilibrio
fondamentale e disegno territoriale è esso stesso il ri-sultato di guerre
durate 250 anni e conclusesi con la “ Guerra dei Trent’Anni”
( 1619-1648 ).
In senso strettamente marxista il termine “ processo di unità nazionale,
ecc.”, non è corretto ed il marxismo usa invece, ed assai più
correttamente, il termine: “ processo di formazione del mercato unico
nazionale” francese, inglese, italiano….
Il fenomeno è, cioè, il prodotto ed il risultato di un ben determinato
sviluppo delle forze pro-duttive, di una particolare fase di sviluppo dell’umanità:
la società borghese.
Poste così le cose, appare evidente che venendosi a modificare la dimensione
del capitale monopo-listico, viene a modificarsi la sua base territoriale-statuale
e quindi si assiste ad un ridisegno delle unità nazionali che possono
divenire nuove unità nazionali, diverse da quelle che noi siamo abituati
a considerare e che conosciamo. Ad un diverso grado di sviluppo dei rapporti
di produzione viene alla fine a configurarsi anche una diversa base territoriale.
E’ il processo di produzione, capitalisti-co, nel nostro caso, che determina
le coscienze e quindi alla lunga l’intera sovrastruttura e quindi anche
la coscienza del processo che viviamo ed in questa coscienza vi è anche
la cosiddetta entità nazionale- che materialmente, concretamente è
fatta di usi, costumi, mentalità, cultura, ecc. - la vi-sione, la concezione
di Stato e tutta la nostra dimensione temporale e spaziale dei processi, che
nella società capitalistica partono dalla base statuale-organizzativa-territoriale
dell’entità nazionale, nella società schiavista era la ‘
pòlis’ o città-Stato e nella società feudale era
il contado.
Il processo reale è attraversato da una duplice azione: quella della
ulteriore centralizzazione da una parte e dalla decentralizzazione e ridisegno
regionale : l’unione europea da una parte e le re-gioni transfrontaliere
dall’altra. E dove il secondo elemento della contraddizione è il
prodotto degli interessi di parte, settoriali, ossia degli interessi del capitalista,
ossia espressione degli attuali rap-porti di produzione ed il primo elemento
è invece espressione dello sviluppo delle forze produttive e della direzione
tendenziale che tali forze produttive tendono a dare ai processi in atto. Noi
cioè stiamo leggendo la lotta rapporti di produzione e forze produttive,
lo scontro dei rapporti di produ-zione esistenti che stritolano, soffocano,
limitano lo sviluppo delle forze produttive, dal lato dell’organizzazione
territoriale-statuale.
Questo ridisegno territoriale avviene in una situazione di acuto scontro interimperialistico,
dentro il più complessivo ridisegno delle sfere di influenza in cui i
gruppi monopolistici tendono a dividersi il mondo. All’interno di questo
dobbiamo leggere tutto il ridisegno geopolitico dei Balcani, URSS compresa,
le lotte tra Stati in Africa e gli stessi ‘ bollettini di guerra’
delle Borse sono parte di que-sto ridisegno.
Il processo in atto mostra, così, un Imperialismo decisamente debole,
diviso, che aggrava il suo stato di debolezza , mostra il livello acuto della
lotta che vede opposte le forze produttive, che ten-dono a svilupparsi in una
dimensione sovranazionale, in una dimensione planetaria ed i rapporti di produzione
capitalistici che richiedono una ben esatta ed individuata base territoriale,
una ben preci-sa entità statuale territoriale-organizzativa.
In sintesi:
noi abbiamo bisogno di comprendere come si pone oggi il rapporto Stato nazionale-
gruppi monopolistici, alla luce dell’attuale livello di sviluppo del processo
di concentrazione del capitale.
Questo rapporto ci porta a quello strettamene conseguenziale: Pace-Guerra, ossia
come viene a configurarsi la guerra imperialista, che noi dobbiamo ben comprendere,
non astrattamente, ideolo-gicamente, ma concretamente, per comprendere linee
tendenziali di sviluppo e di azione dell’Imperialismo in generale e dei
singoli paesi imperialisti e dei singoli grandi gruppi monopoli-stici, le loro
strategie e tattiche odierne e future.
Venendosi a modificare il rapporto Stato nazionale - gruppi monopolistici e
venendosi a configurare un più alto livello di concentrazione monopolistico,
comunemente chiamato ‘ capitale transnaziona-le’ come si modifica
il rapporto Pace-Guerra?
La modifica dei rapporti suddetti comporta, come abbiamo visto indirettamente,
una modifica dello Stato, del suo ruolo di strumento della dittatura di classe
della borghesia, una subordinazione mag-giore dello Stato al grande capitale
finanziario non solo ‘ nazionale’, ma di quello presente in quello
Stato, con tutte le interrelazioni con gli altri Stati nazionali ove prevale
quel tipo di presenza di capi-tale finanziario, con quelle alleanze, quei trust,
quei cartelli. Si intrecciano, si infittiscono i rapporti tra gli Stati nazionali,
venendosi così a configurare un’entità territoriale statuale
diversa.
Questo, come si è visto, comporta una complessità di problemi,
contraddizioni, lacerazioni nel campo Imperialista, nei singoli Paesi imperialisti
ed all’interno dei grandi gruppi monopolistici; comportando una modifica
dei blocchi sociali , nella più complessiva fase di restringimento della
base sociale che regge il dominio imperialista .
Il rapporto Pace-Guerra è un rapporto importante nello sviluppo ed esistenza
della società capitali-stica, nel modo di produzione capitalistico in
particolare e nell’esistenza e sviluppo dei sistemi di
produzione basati sulla proprietà privata.
La Guerra.
In tutte le società basate sulla proprietà privata la guerra è
un elemento centrale, vitale, per l’esistenza e lo sviluppo di queste.
E’ funzionale al sistema. La guerra è la manifestazione di una
si-tuazione di crisi acuta, che attraversa questa viene superata determinando
un ridisegno di equilibri del sistema o il suo superamento. In tutta la fase
di esistenza di una società la guerra costituisce la valvola di sfogo,
la camera di compensazione. Gli stessi elementi avanzati non hanno una visione
corretta della guerra e questo li porta a non comprendere una serie di fondamentali
rapporti che re-golano le società basate sulla proprietà privata.
Non leggono la categoria “ guerra” e quindi non rie-scono a leggere,
per esempio, il rapporto tra politica e guerra, al di là della definizione
classica che tutti conosciamo. Questo è stato, per esempio, il tragico
errore che ha commesso il terrorismo in Ita-lia, ma che Gramsci aveva pur bene
fissato nei “ Quaderni” parlando di: “ egemonia”, “
bonaparti-smo”, “ casematte”.
La Scienza della Politica e la Scienza Militare sono intimamente connesse: i
metodi della Scienza Politica sono determinati dalle risorse della Scienza Militare;
ed i metodi della Scienza Militare so-no determinati da quelli della Politica.
Esiste cioè un rapporto strettissimo tra i due campi e quindi una costante
mutuazione di principi e metodi dell’uno verso l’altro e viceversa;
al modificarsi del livello dell’uno si registra una modifica dell’altro.
La Scienza dell’organizzazione in Politica tiene conto ed è predeterminata
dalle possibilità che la Scienza Militare offre nel raggiungere un determinato
obiettivo e questo sia al livello esterno ma anche interno. Gli obiettivi che
la strategia militare pone sono predeterminati dalle possibilità che
la Scienza della Politica offre.
Ora se lo sviluppo del processo di concentrazione monopolistica è al
grado di cui abbiamo detto e le sue linee di sviluppo sono nella direzione di
un ulteriore sviluppo in quella direzione, il problema del rapporto Pace-Guerra
richiede di essere riesaminato alla luce della realtà che abbiamo dinanzi.
La mia convinzione è che i vari stati imperialisti possono farsi le guerre
locali per interposta perso-na, come sta avvenendo, ma essi non possono, per
l’intrecciarsi trasversale dei domini territoriali del grandi gruppi monopolistici,
farsi la guerra tra di loro.
In passato il gruppo Pirelli, Fiat, Ansaldo avevano sostanzialmente una base
ben individuata:
gli investimenti e gli interessi gravitavano verso una ben determinata orbita,
anche se vi era una componente anche in orbite diverse e posizionate sostanzialmente
nel campo avverso.
Una guerra comportava la perdita, o la messa in discussione, di investimenti
ed interessi che gravi-tavano nel campo avverso, ma la scelta avveniva sulla
base che la vittoria della guerra avrebbe comportato una compensazione degli
interessi che venivano persi, di qui il marciare deciso dello Stato verso una
ben determinata direzione. Il gruppo Pirelli aveva anche interessi in Usa, in
Inghil-terra e Francia, ma sostanzialmente i suoi interessi erano legati al
campo che gravita attorno all’asse germanico e così i gruppi francesi,
inglesi, Usa che avevano interessi, investimenti in territori che gravitavano
nel campo dell’Asse.
Ora, per lo sviluppo trasversale, possiamo noi dire la stessa cosa?
Gli interessi Fiat, Pirelli, Dunlop, Krupp, Ford, Mitshubishi, della Comit,
Deutsche Bank, Manat-than Bank, First National Bank, ecc. ecc. attraversano
trasversalmente tutto il pianeta ed è difficile stabilirne i confini
– in questo senso è corretto usare il termine ‘ globalizzazione’,
giacché evidenzia il limite a cui il capitalismo giunge ed il suo transitare
già verso forme superiori del sistema di pro-duzione, ma il termine oggi
ha tutt’altra valenza e significato – e certamente non descrive
confini e trasversalità che passano per gli attuali assetti organizzativi
statuali-territoriali.
Il capitale finanziario presente in Italia, per esempio, ha interessi in aree
diverse e gravita in aree di-verse, ma questo gravitare non è in termini
assoluti bensì in termini percentuali ed il cui rapporto percentuale
tra queste diverse aree non è netto: 70 a 30 per esempio, ma si muove
su margini ben più stretti, che inficiano la compensazione, che poteva
aver luogo fino alla 2a guerra mondiale.
Gruppi che hanno un rapporto percentuale che oscilla tra il 5-10% difficilmente
si schiereranno da una parte o dall’altra. Essi tenderanno a condurre
una battaglia per spostare i rapporti di forza all’interno dei singoli
Stati, ad operare il ridisegno di ben precise arre territoriali di quella unità
sta-tale: regioni transfrontaliere, la Lega in Italia, ecc.; ad influenzare
e controllare forze politiche go-vernative e dell’opposizione, apparati
dello Stato, ecc. Determinando così un innalzamento forte delle lacerazioni
e contraddizioni all’interno di ciascun Stato nazionale. E questo Stato
Nazionale attraversato così in tutta la sua globalità da questo
processo trasversale è in condizioni assai precarie per poter stabilire
una direzione unica e risoluta del suo operare come in passato.
Perché questo possa verificarsi occorre che una parte del capitale finanziario
presente in Italia, per es., liquidi con la forza tutta un’ala facente
capo ad un’altra area e con essa tutti i suoi addentellati in Italia come
in tutti gli altri Stati nazionali, al fine di assicurarsi una direzione unica
di un proces-so bellico. Ma questo per lo sviluppo raggiunto dal capitale monopolistico,
di cui si è detto, deter-mina una lacerazione profonda, che indebolisce
tutti e che determina una situazione di opposizione e rancore profondo che ne
inficia quella direzione che lo sforzo bellico richiede: una qualunque dif-ficoltà
in una campagna avrebbe ripercussioni dirompenti in quello Stato nazionale,
ove le forze sconfitte - che sono forze della classe dirigente! – ne trarrebbero
alimento per ribaltare gli equilibri militarmente imposti dalla fazione del
capitale finanziario vincente in quello Stato nazionale.
E questo con ripercussioni sui più complessivi equilibri mondiali.
Sul piano puramente militare questo clima comporta una strategia e tattica militare
molto prudente e tartufiana, che delinea una situazione di non guerra, di un
temporeggiare, ecc.
Gli unici sbocchi potrebbero essere quelli di un blocco europeo contro quello
nippo-statunitense, ma è il blocco europeo che non garantisce una stabilità
strategica, tale da sfociare in un’alleanza milita-re: da questo punto
di vista ritorna di grande importanza lo scritto di Lenin “ Sulla parola
d’ordine degli Stati Uniti d’Europa”.
La trasversalità comporta che il settore della ricerca, in modo particolare
quella spaziale ed informa-tica, è altamente concentrato e vi sono alcuni
grandi gruppi monopolistici che detengono il monopo-lio della ricerca e quindi
dei brevetti. Questo comporta che una guerra avverrebbe con un sostanzia-le
equilibrio militare sul piano tecnologico. Quello che in questo caso ci deve
far riflettere è che se l’imperialismo è giunto ad una unificazione
dei comandi militari: Somalia, Golfo, Bosnia, ecc. im-plica un sostanziale allineamento
in questo settore non solo tecnologico e scientifico ma anche della più
generale scienza militare: comando, formazione dei quadri, organizzazione militare,
teoria e tat-tica delle varie unità: divisioni, corpo d’armata,
ecc. e delle varie armi: fanteria, truppe corazzate, marina, aviazione, spaziale.
Il che fa ben intendere che questi gruppi monopolistici legati alla ricer-ca
hanno venduto a tutti i loro brevetti e ricevuto commesse da tutti. Ora il punto
da fissare è che l’unificazione dei comandi militari non ha riguardato
un ben preciso blocco ma il campo imperiali-sta a livello mondiale. Se noi consideriamo
che Fiat, Rolls, General Motor, ecc. concorrono tutti a vari livelli nella progettazione
e costruzione di missili satellitari, che motori Rolls, Fiat, General, ecc.
sono in dotazione a motori di tutto il mondo, ci rendiamo ben conto del problema.
E’ vero che la Fiat ha avuto il compito di costruire unicamente un pezzo
e che il quadro complessi-vo è in mano agli Usa, ma due più due
fa quattro: è facile per uno scienziato italiano ricavarsi dal pezzo
che alla Fiat è stato commissionato il quadro più generale di
tutto il motore, se a questo pezzo si uniscono quelli degli altri Stati e società
che gravitano nello stesso blocco bellico.
Se noi aggiungiamo a tutto questo una globalizzazione dei metodi scientifici
negli altri campi del sapere, che determina un livellamento più complessivo
dei processi della conoscenza e se noi con-sideriamo l’alta concentrazione
della intellighenzia abbiamo un quadro sufficientemente realistico.
Se le cose stanno come io penso l’imperialismo si trova in una condizione
di grave instabilità stra-tegica: se non può ricorrere alla guerra
generale, ma deve condurre una guerra nei singoli Stati na-zionali per spostare
equilibri, come detto più sopra, l’imperialismo è inchiodato
dal suo stesso svi-luppo ad una crisi strategica non potendo più agire
qui i suoi strumenti principali.
Lo Stato nazionale è lacerato tra nuovi confini ed internazionalizzazione,
che porta al superamento dello Stato nazionale; la Guerra può avere un
utilizzo parziale e contingente, con tutto questo che la guerra comporta in
quanto valvola di sfogo e camera di compensazione del sistema.
In questo quadro l’ONU viene a configurarsi diversamente e quindi diverso
deve essere l’atteggiamento, ossia la tattica.
L’ONU non è un’organizzazione astorica, ha anch’esso
una storia la cui nascita corrisponde ad una determinata fase dello sviluppo
del capitalismo, che ne determina la sua evoluzione. Fa la sua apparizione all’indomani
della 1a g.m. come “ Società delle Nazioni”, ma a quel livello
di sviluppo delle forze produttive e del processo di concentrazione monopolistico
è inadeguato; è cioè inade-guato a quella forma di centralizzazione
ed organizzazione del capitale monopolistico. In quanto ta-le non poteva che
fallire. L’ONU, cioè, esprime due momenti opposti e contraddittori,
da una parte la maggiore centralizzazione richiesta dallo sviluppo delle forze
produttive e quindi centralizzazio-ne e pianificazione del processo produttivo
e questo è il suo lato progressivo, in quanto espressione dello sviluppo
delle forze produttive; dall’altro centralizzazione del comando e dell’organizzazione
capitalistica, la risposta cioè dei rapporti di produzione capitalistici
in lotta contro lo sviluppo delle forze produttive, e questo è il suo
lato regressivo, di freno ed ostacolo allo sviluppo ulteriore della Storia dell’umanità.
E lo è dal duplice punto di vista, giacché tale opposizione deve
rispondere a due ordini di problemi: a) momento di mediazione e sintesi delle
spinte contraddittorie, ossia della lotta interimperialistica; b) momento di
lotta contro il proletariato ed il Socialismo.
Sono i rapporti di forza reali che si vengono a stabilire di fase in fase che
stabiliscono, poi, il carat-tere dominante dell’ONU in ciascuna fase.
Successivamente all’indomani della 2a g.m., dopo la fase di assestamento
della crisi di Wall Strett, del 1929, e quindi di un più elevato sviluppo
del processo di contrazione monopolistico, sancito dal-la 2a g.m. e dal suo
esito: sconfitta dell’asse Berlino-Tokyo-Roma e ridimensionamento delle
forze pur vincenti anglo-francesi e rafforzamento forte e presa della direzione
dell’intero campo imperia-lista degli Usa sancito da una serie di accordi:
Bretton Woods, Nato, ecc. e di strumenti di questa nuova fase dell’Imperialismo:
FMI, BMI, ecc. viene a definirsi l’ONU nella forma che noi tutti co-nosciamo.
Esso è allora sia questo più alto livello di concentrazione monopolistico
e sanzione del predominio ed egemonismo Usa e sia momento di mediazione e lotta
contro il campo Socialista u-scito dalla 2a g.m.. Gli anni ‘60-’70
vedono un ulteriore innalzamento del processo di concentrazio-ne e lo sviluppo
di organismi sovranazionali quali la Trilaterale, che predeterminano e scavalcano
la funzione stessa dell’ONU, il cui punto di arrivo sono stati i nuovi
strumenti della fine degli anni ’80 quali il G7. E lo stesso G7 ha potuto
avere un ruolo, giacché rimanda e sottende l’esistenza di quelle
grandi holding di cui si è detto, costituendone momento di mediazione.
Quello che impropriamente viene chiamato ‘ globalizzazione’ ha cioè
svuotato l’ONU dalla funzione di mediazione per ridurlo nella sostanza
in questa fase a strumento dell’imperialismo nella lotta contro i popoli
che cercano di opporsi o sottrarsi a tale dominio.
L’ONU in tutta la fase degli anni ‘50-70 ha assolto ad un ruolo
progressivo, per la presenza di un forte campo socialista, pur se diviso al
suo interno e per le lotte dei popoli d’Asia, d’Africa ed Ame-rica
Latina. In queste condizioni esso ha visto la presenza delle nazioni e dei popoli
delle ex colo-nie, che spingevano per un nuovo ordine internazionale, con la
stasi delle lotte ed i fatti del nov. 1989 la direzione dell’ONU è
saldamente tornata nelle mani dell’Imperialismo, prima delle forze espressione
dell’unità raggiunta al loro interno, ma oggi con il procedere
delle contraddizioni e dei limiti del sistema capitalistico esso diviene la
sede della lotta interimperialista e quando questa non riesce a trovare una
forma di mediazione viene semplicemente messo a tacere ed al suo posto entra-re
a decidere le armi. Quando si analizza l’ONU occorre considerare la complessità
delle forze che vi sono presenti e di come esse tendono a muoversi rispetto
all’imperialismo in generale e di come le lotte interimperialistiche modificano
il rapporto di subalternità dei paesi ex coloniali e del più complessivo
rapporto di forza all’interno del campo imperialista con la nascita di
nuovi blocchi e campi.
Il dato qui da fermare è proprio questo: che vedendo la globalizzazione,
come momento totale di dominio del capitale, non si vedono le modifiche che
intervengono all’interno dell’ONU e questo comporta che ci si continua
a rapportare ad esso allo stesso modo come ci si rapportava negli anni ‘60-70,
senza tener presente proprio ed esattamente quel processo di concentrazione
monopolistico che ha portato prima alla Trilaterale e poi al G7 e quindi all’esautoramento
dell’ONU in assenza di una lotta dei popoli delle ex colonie ed in presenza
di un rafforzamento del neocolonialismo e delle nuove forze di neocolonialismo,
che vengono a stabilirsi per lo sviluppo della scienza e della tecni-ca in modo
specifico nel campo della genetica, della spaziale e delle telecomunicazioni
satellitari.
Ancora.
Sono queste modifiche nell’assetto del capitale monopolistico e quindi
del rapporto Stato na-zionale-gruppi monopolistici che determinano una parte
non secondaria delle stesse modifiche co-stituzionali: l’avvio, il fallimento
e lo stop and go di tale modifica.
Questione della ricerca scientifica.
Gli sviluppi della scienza e della tecnica agiscono da freno alla caduta del
saggio medio gene-rale del profitto questo in generale. Gli attuali sviluppi
comportano però modifiche profonde nell’organizzazione capitalistica
della produzione sia nei rapporti tra i gruppi monopolistici e le co-lonie,
sia nella ristratificazione delle classi, sia negli sviluppi stessi del processo
di concentrazione monopolistica, con tutte le implicazioni che ciò ha
comportato e comporta e che abbiamo sin qui tracciato a larghi tratti. Il dato
nuovo è che oggi la maggior parte della ricerca, fatta eccezione per
la ricerca di base, che viene sviluppata dai singoli Stati al servizio dei grandi
gruppi monopolistici, è oggi concentrata in queste grandi holding e quindi
con un processo di finanziamento autocno, inter-no cioè alle holding
che attraverso società finanziarie rastrellano capitali per tutto il
processo pro-duttivo e quindi anche per la ricerca ed il cui settore della ricerca,
all’interno della holding, ha un suo stesso processo di autofinanziamento
attraverso il possesso di brevetti e quindi di royalties.
I punti forti da fermare di questa ricerca scientifica sono:
a. Informatica?Telematica?Telecomunicazioni;
b. Genetica;
c. Astrofisa?Spaziale.
Il primo punto è sotto gli occhi di tutti, ma esso ha una implicazione
ed un impatto forti sulla società civile, la sua coscienza ed i livelli
di Democrazia, che tratteremo in seguito .
La Genetica.
La possibilità di intervenire sul DNA con modifiche genetiche comporta
che viene modificato il rapporto tra i paesi imperialisti e le colonie produttrici
di determinati beni, giacché essi possono im-porre i prezzi che vogliono,
giacché quella determinata merce possono ottenerla non più obbligato-riamente
in quel paese a quelle condizioni climatiche ma anche in altre con diverse condizioni
in-tervenendo proprio ed esattamente sul DNA, ottenendo così una modifica
genetica.
Il controllo di intere catene di DNA consente un monopolio totale non solo nella
produzione di quel determinato bene, ma anche in tutti i suoi derivati: la soia
manipolata comporta non solo il monopo-lio nella produzione di questa soia,
ma anche di tutti i fertilizzanti, anticrittogamici e quindi la fuo-riuscita
di gruppi monopolistici dominanti in questo settore o poi declassati con l’ingresso
della soia manipolata. Ma lo stesso si può dire del pomodoro e di tutti
gli altri beni ottenibili per manipolazio-ne genetica. Un discorso simile avviene
nel campo della riproduzione con il controllo ed il monopo-lio di semi per la
fecondazione ove due-tre società ne detengono il monopolio assoluto e
dell’intera specie animale.
La Medicina subisce una forte impennata nel campo della produttività
del settore chimico-farmaceutico, che già – per le specifiche condizioni
di mercato – agisce in una situazione di fatto di monopolio e quindi con
un saggio di profitto tra i più alti.
Le più recenti invenzioni farmacologiche scalzano le più consolidate
strategie terapeutiche, deter-minando l’obsolescenza di macchinari e farmaci
in precedenza usati, impone una nuova domanda e quindi una commissione forte
dei nuovi prodotti. La stessa strumentistica subisce la stessa sorte: decadono
macchinari per obsolescenza tecnologica per nuovi. Tutto questo determina un
forte in-nalzamento dei profitto. È questo un caso concreto di come l’innovazione
scientifica e tecnologica agisce da freno alla caduta del saggio medio generale
del profitto rilanciando in alto il saggio di profitto e quindi il processo
della riproduzione allargata, frenando la crisi recessiva, ma dando una forte
impennata a quella forbice tra capitale investito e massa di capitale necessario
per la messa in opera del capitale investito, di cui si è detto.
La Spaziale interagisce strettamente con il settore delle telecomunicazioni ed entrambi con il rap-porto Pace-Guerra, introducendo modifiche nella conduzione della guerra e quindi nella teoria, nella strategia e nella tattica militare con la caduta a cascata sul piano della teoria e della tattica della Scienza della Politica.
L’Astrofisica si integra con la spaziale più generale, ossia con l’esplorazione nella Galassia. An-che questo settore interviene nel processo della concentrazione monopolistica, determinando una lotta feroce tra i vari gruppi monopolistici e tra i vari Stati. La recente notizia di masse d’acqua tro-vate su Marte apre uno spiraglio sui veri intendimenti della ricerca spaziale, ossia sulla ricerca di nuove fonti di materie prime a più basso costo. Tutto questo comporta sia un nuovo e più alto im-mobilizzo di capitali, ma anche nei settori delle telecomunicazioni, Medicina, Genetica un forte in-nalzamento del profitto, che consente investimenti nei settori a più alta redditività, innestando così un ulteriore processo di concentrazione monopolistica che aggrava i rapporti che tale processo ina-sprisce. Rapporto Stato nazionale- gruppi monopolistici, Pace-Guerra, colonie, forbice, ecc.
Parte Seconda
La Tattica
Questione del Partito
e
Questione del Sindacato.
Il Partito, il Sindacato e le altre forme di organizzazione
del Movimento Operaio non possono essere pensate e disegnate al di fuori di
tutta una analisi sulla fase e sul grado di organizzazione del capitale e sul
grado di comando che il capitale esercita sul lavoro.
Le forme principali di organizzazione del Movimento Operaio, invece, sono ancora
quelle scaturite dalla precedente fase. Sostanzialmente sono ancora quelle scaturite
all’inizio del secolo, sia quelle scaturite dalla II Internazionale e
sia quelle uscenti dalla III Internazionale.
Le forme di organizzazione anch’esse non sono atemporali,
hanno anch’esse una loro storia, una loro evoluzione. Alcune forme vengono
superate, altre modificate, altre ancora integrate e ridi-segnate. Esse costituiscono,
nel campo del proletariato, la risposta sul piano organizzativo che il proletariato
dà alla disposizione delle forze in campo da parte della borghesia.
Esse sono, cioè, lo strumento tecnico attraverso cui la classe si organizza
e dispone le sue forze in campo in contrapposizione alla disposizione delle
forze in campo della borghesia.
Anche la più elementare lotta sindacale è sempre una disposizione
in campo di forze, di quelle im-mediatamente visibili che si contrappongono
nella lotta sindacale, ma, e soprattutto, di quelle dell’uno e dell’altro
campo, non immediatamente visibili, che a quelle visibili sono legate, intercon-nesse
e che subiscono le conseguenze dalla risoluzione in una senso o in un altro
di quella pur ele-mentare vertenza. Esse quindi tenderanno a far sentire il
loro peso ed entrano in campo e predeter-minano il risultato finale, che sarà
dato dal complessivo rapporto di forza, visibile ed invisibile. In-fatti la
più elementare lotta sindacale è sempre la risultante, la combinazione,
di queste forze, del lo-ro intersecarsi, annullarsi. Ecco perché già
all’epoca di Lenin, inizi del secolo, la più elementare lot-ta
sindacale richiedeva un’organizzazione a monte, una linea ed una strategia
e tattica, e quindi una forma organizzativa più complessiva e generale
che è il Partito, che dirige la complessità della lotta in tutte
le sue più complesse e multiforme manifestazioni. Ecco perché
la più elementare lotta sin-dacale non può mai essere il risultato
di un evento spontaneo o espressione di una risposta emotiva, reazione ad un
evento, ma richiede sempre un’organizzazione, un piano, una visione strategica
complessiva un centro di direzione.
Le questioni organizzative, infatti, non sono mai questioni tecniche, ma sempre
politiche e teoriche, rimandando ad una visione teorica, ad una ben precisa
analisi, ad una strategia e tattica che si ha mente, in base alle quali si formulano
poi i criteri ispiratori dell’organizzazione. E questi non sono astratti,
ma sono sempre il risultato dell’esperienza, del grado di maturità
politica, culturale, sociale.
La chiarezza di tutto questo, allora, presuppone e rimanda non solo ad una corretta
teoria in grado di comprendere scientificamente la realtà che si sta
vivendo e che si intende trasformare, ma anche un’analisi ed un programma
e quindi una strategia ed una tattica, scaturiti dal programma, giacché
sono queste due che consentono di raggiungere i punti posti dal programma. Un
determinato pro-gramma richiede una specifica strategia, che può articolarsi
se la tattica è corretta e questa può at-tuarsi se le forme organizzative
sono funzionali all’obiettivo da raggiungere che la strategia ha po-sto
alla tattica, sulla base del programma, scaturito dall’analisi, condotta
sulla base di una teoria.
Conseguenzialmente la stessa formazione di quadri è determinata non solo
dall’analisi e dal pro-gramma, ma anche dalle forme organizzative, giacché
è in queste e tramite queste che avviene la formazione dei quadri ed
è per rispondere a quelle forme organizzative, a quel modo in cui le
forze sono organizzate e disposte in campo, che si formano i quadri di quelle
masse che in quelle forme sono organizzate. Ed è poi attraverso queste
che avviene la trasformazione della realtà e quindi la conoscenza del
reale e quindi l’ulteriore elaborazione, correzione del tiro, bilancio,
ecc. ecc.
Le forme di organizzazione sono cioè gli strumenti cardini della stessa
vita democratica di questi organismi, giacché una errate disposizione
delle forze delle errate o non corrette, ossia non corri-spondenti ai nuovi
compiti, forme di organizzazione comporta una non corretta lettura e filtraggio
della realtà e conseguenzialmente linea politica, formazione dei quadri,
verifica, bilancio.
Antonio Gramsci chiamava queste “ antenne”.
Il Partito dal periodo di Marx ed Engels, I e II Internazionale, a quello dell’epoca
dell’Imperialismo, III Internazionale, ha subito modifiche profonde, che
sono passate dopo un forte ed alto, ed a volte lacerante, dibattito, dal partito
strutturato sul territorio: circoli e sezioni territoriali a Partito strutturato
sul luogo di lavoro. E così lo stesso Sindacato.
Questa modifica è il risultato delle modifiche nel processo produttivo,
che passava dall’artigiano, dall’operaio specializzato nell’esecuzione
di un intera fase del processo produttivo, all’operaio ma-novalanza e
l’operaio specializzato finito, ossia il modello fordista o catena di
montaggio. Una simi-le struttura del processo produttivo richiedeva società
per azioni di grandi dimensioni in grado di poter attuare grandi investimenti
sia nei macchinari ma anche nelle forniture di materie prime, semi-lavorati,
ecc., di qui la struttura imperialista con il controllo delle materie prime,
trust, cartelli, sin-dacati e coalizioni di capitali bancari in grado di sostenere
l’innovazione e l’ammodernamento tec-nologici e quindi il capitale
finanziario in quanto simbiosi; in una: l’imperialismo dell’epoca
1910-1960.
Antonio Gramsci ha ben illustrato in “ Americanismo e fordismo”
le caratteristiche del fordi-smo e le modifiche che esso introduce e richiede
nella società: civile, economica, culturale, istitu-zionale una volta
introdotto.
A questa nuova forma dell’organizzazione capitalistica il partito leninista:
la cellula sul luogo di la-voro ed il decadimento della struttura territoriale
a forma secondaria e conseguenzialmente un sin-dacato organizzato esso stesso
non più territorialmente ma dentro le grandi concentrazioni operaie,
la struttura in federazione e confederazione con una struttura territoriale
della Camera del Lavoro, che sia momento di centralizzazione e sintesi e direzione
generale dei vari momenti, che è poi la struttura che tutti noi conosciamo.
Antonio Gramsci nel suo intervento alla Commissione Politica del III Congresso,
Lione 1926, ha ben illustrato queste caratteristiche nuove e la necessità
del partito leninista.
Con la fine della 2a g.m. e dentro la strategia generale del Movimento Comunista
Internaziona-le in Italia si ha il partito di massa togliattiano, con una sostanziale
riconversione della struttura sul territorio. “ Un campanile, una sezione”
era la parola d’ordine che ben sintetizzava tale modifica, ossia la necessità
di organizzare gli strati di masse popolari, oltre la classe operaia classicamente
in-tesa, e legata a tutta la strategia togliattiana delle “ riforme di
struttura” e quindi dell’egemonia su strati e classi, chiamati “
ceti medi”, che era possibile trovare sul territorio e contrastare qui
l’egemonia della classe dominante.
Ora è evidente da tutta l’analisi fatta nella
prima parte che l’organizzazione capitalistica ha su-bìto una trasversalizzazione,
ossia interi settori si sono integrati in un’unica holding e che per lo
svi-luppo scientifico e tecnologico è aumentata l’integrazione
e la interdipendenza dei vari settori. Inol-tre alcuni settori scarsamente penetrati
dal capitale, penso qui a tutta la Funzione Pubblica e più in generale
ai servizi, sono oggi attraversati dalla partecipazione azionaria. Lo sviluppo
scientifico e tecnologico, che nella precedente fase aveva comportato la concentrazione
di grandi masse operaie, oggi consente lo sviluppo di realtà industriali
di entità minori ed una loro integrazione sul territorio;
consente lo spezzettamento del processo industriale e la dislocazione in aree
diverse del processo produttivo. Questo comporta che interi settori del territorio
sono venuti integrandosi tra di loro fino a costituire un unico ‘ land’.
Nelle realtà territoriali questo ha comportato che la divisione organiz-zativa
ed amministrativa delle città in quartieri e sezioni è stata travolta
e si è assistito ad una tra-sversalizzazione e ridisegno dei confini
reali di intere aree delle città e la formazione di grandi ag-glomerati
urbani quali la metropoli, che richiede di essere diversamente definita a seconda
delle specifiche realtà. Ma esistono anche le comunità montane,
i consigli di quartiere, gli accorpamenti territoriali delle Usl, che integrano
più realtà, costituendole come un tutto organico. E questo pro-cesso
di integrazione e trasversalizzazione del territorio investe anche provincie
e regioni d’Italia, disegnando nella realtà economica, politica,
civile nuove ed altre territorialità. Ma questo processo, visto in Italia
ed in Europa, investe anche realtà extra italiane, che vedono il ridisegno
di nuove re-gioni, cosiddette ‘ transfrontaliere’ e di nuovi ed
altri corpus territoriali.
Da una parte quindi si ha che accanto al fordismo è venuto a svilupparsi
il toyotismo, dall’altra il territorio ha visto modifiche importanti nella
sua organizzazione economica, amministrativa e con-seguenzialmente culturale
e civile. Rimandiamo qui ancora all’importante scritto di Gramsci “
A-mericanismo e fordismo”, questo testo è di fondamentale importanza
metodologica per comprende-re come una modifica nel campo dell’organizzazione
capitalistica comporta tutta una serie di modi-fiche nella società e
nella teoria e nella tattica dei comunisti.
Alla luce di quanto qui detto appare evidente l’assoluta insufficienza
delle attuali forme orga-nizzative e della inefficacia della loro struttura
organizzativa. Esse risultano cioè inefficaci nell’attuale organizzazione
capitalistica. Risultano decisamente fuori asse e quindi assolutamente non in
grado né di contrastare i piani ed i progetti economici, politici ed
egemonici della classe do-minante né di sviluppare un’azione strategica
o comunque un’azione di largo respiro. Assolutamen-te out è qualsiasi
ipotesi o progetto di trasformazione, superamento, fuoriuscita, ecc. per cui
in que-sto àmbito vi può essere, fatta salva la buona fede di
tutti, solamente populismo, dichiarazioni di principio e … .
A partire dalla metà degli anni ’70 con l’introduzione delle
Regioni la sezione diviene non solo ob-soleta, ma permanendo a tale livello
il processo di centralizzazione ed organizzazione di base, di-viene dispersivo,
inefficace. Non è più in grado di cogliere i processi nel loro
reale divenire e quindi intervenire efficacemente. La vita cioè inizia
a svolgersi al di fuori ed oltre la realtà delle sezioni. Di qui il deperimento
di questa forma, il suo essere tagliata fuori comporta che essa stessa non è
più in grado di cogliere i processi nuovi e quindi la politica che stabilisce
di portare avanti è quanto meno fuori asse e quindi inefficace. Di qui
il suo distaccarsi dai reali centri decisionali e vivere una vita ‘ burocratica’,
ossia una vita per se stessa, che si autolegittima ed autogenera.
Questo processo con il tempo si aggrava e la politica della Sezione e quindi
il processo di formazio-ne delle idee, della formazione dei quadri, di verifica
e di bilancio è fuori asse. La Sezione diviene così il megafono
delle idee e teorie delle varie classi e non più del proletariato, giacché
non sussi-stono più le condizioni fondamentali perché il quadro
attivo di Partito verifichi la correttezza e l’elaborazione del marxismo.
In questa realtà quella decisione di riconversione verso il territorio
si converte in un elemento negativo, giacché non è strumento per
l’egemonia del proletariato, ma strumento e veicolo dell’egemonia
della borghesia sul proletariato. Il proletariato italiano non avrà mai
una coscienza esatta di questo situazione, nel tempo coglie aspetti anche importanti
del proces-so, ma senza mai riuscire ad avere una visione d’insieme. Sente
i problemi, le difficoltà, ma man-cando una visone unitaria dei processi
questo si risolve non in una lotta per il superamento dei limi-ti, ma in una
lotta intestina continua fatta di fuoriuscita di militanti, nascita di formazioni
minorita-rie, che esprimevano quel cogliere limitato e parziale dei problemi
e non riuscendo ad essere mo-mento più organico di sintesi, non potevano
che limitarsi ad essere espressione e testimonianza di quelle difficoltà
e non riuscivano mai a divenire momento egemone proprio perché non erano
in grado di dare risoluzione a quei problemi, di cui pure ne erano espressione.
Una realtà, allora di co-stante indebolimento, di emorragia costante
di quadri e militanti e di polemica interna estenuante, la generale crescita
degli anni 1968-75, è dovuta alla più generale strategia delle
riforme di struttura, che si coniugava con i processi industriali degli anni
‘50 . Cessato quel momento contingente e dentro l’offensiva capitalistica,
i 4 punti della contingenza, quella problematica si è aperta come una
voragine all’interno, fagocitando quadri, energie e sfociando poi nelle
decisioni degli inizi degli anni ’90.
La vita, si diceva, è oramai fuori dalla Sezione, altrove dalla Sezione
e non è più in grado di control-lare e ne legge sogli gli aspetti
parziali, marginali, limitati.
Avviene qui quel processo di blocco della Democrazia e di crescita su se stessa
ove la legittimazio-ne del gruppo dirigente avviene per autocertificazione o
per certificazione istituzionale: possibilità di contrattazione, …
dall’alto quindi e non più l’alto legittimato dal consenso
dei quadri di base e tramite questi dal consenso delle masse popolari, die lavoratori
organizzati, influenzati diretti ai vari livelli: sindacato, cooperative, Arci,
Uisp, ecc. Quanto avviene a livello della Sezione avviene a tutti i livelli
superiori: provinciale e nazionale, in modo e forme diverse, giacché
quella trasversalizza-zione territoriale ha attraversato la stessa dimensione
provinciale e nazionale. La lettura dall’angolazione della Sezione è
più immediata e vivida, non intervenendo fattori distorcenti, misti-ficanti
e mistificati che intervengono ai livelli superiori. Questi elementi distorcenti
sono il prodotto non di mala fede, ma dalla capacità del quadro dirigente
superiore di trovare giustificazioni ed arti-colare una spiegazione teorica,
che inquadrando i problemi in un contesto più ampio ne diluisce l’impatto,
ritardandolo nel tempo, ma incrementandone la potenzia di esplosione finale.
E così le strutture di base: Sezione e provinciale si trovano ad essere
fuori asse, decisamente out. Esse non sono più in grado di recepire ed
elaborare i dati primari per la verifica-bilancio e per l’elaborazione
e quindi avere una teoria, un programma, una strategia ed una tattica adeguata.
La teoria iniziava a mostrare tutti i tratti dell’obsolescenza, giacché
non veniva costantemente aggiornata ed elaborata alla luce della nuova fase
che si andava delineando. Questo determinava un dibattito sterile quanto ozioso
sulla validità o meno della teoria marxiana, che si articolava nella
distribuzione di contume-lie: di revisionismo da una parte e di estremismo,
infantilismo dall’altra. Ma poi né l’una e né l’altra
entrava nel merito specifico e questo determinava, dinanzi ad una realtà
in forte movimento, un ac-cumularsi di ritardi della teoria, un esacerbarsi
dei contrasti, che accelerava quel processo di emor-ragia. A tuttora i campi
non sono ancora ben distinti e netti, regna invece la più profonda confusione
in merito, per cui alla fine non si capisce, se non per aspetti tattici, di
valutazione contingente, quali siano le differenze che vede opposte le varie
formazioni.
Noi dobbiamo ben fermare un aspetto di questo ragionamento, che nelle condizioni
specifiche del
proletariato, importanza decisiva. Il rapporto cioè tra inadeguatezza
delle strutture organizzative-processo della democrazia-verifica ed elaborazione-formazione
dei quadri.
Il proletariato vive una condizione subalterna. E’ classe egemone e dirigente
di un processo ma nella società capitalista vive una condizione subalterna:
questo aspetto contraddittorio va sempre te-nuto ben presente, anche quando
si discute delle forme di organizzazione, giacché esse devono af-frontare
e risolvere positivamente questa contraddizione.
Il proletariato inoltre vive una doppia realtà: di salariato e di soggetto
politico.
Nel rapporto lavoro salariato e capitale è un salariato ed in questa
condizione di subalternità assolu-ta al capitale esso non riesce ad esprimersi
come soggettività politica;
nel rapporto forze produttive e rapporti di produzione il proletariato si staglia
come classe antagoni-sta alla borghesia e quindi come classe egemone e dirigente,
e quindi soggetto politico forte.
E lo può nella misura in cui si alza al di sopra delle sue più
immediate condizioni di vita e si legge nel più complessivo processo
di produzione e distribuzione della ricchezza sociale e quindi del più
complessivo processo del lavoro in quanto ricambio organico Uomo-Natura.
Riprendendo invece il nostro ragionamento.
Il proletariato in quanto classe subalterna, e quindi i suoi elementi di avanguardia
e gli elementi a-vanzati, sono in grado di cogliere la complessità della
realtà, non guardando la società politica e le sue manifestazioni
ideologiche: partiti, lotta politica borghese, ecc. ma prestando la massima
atten-zione proprio ed esattamente ai luoghi di lavoro, dove essi sono, giacché
– e qui continuiamo a ri-mandare a Gramsci “ Americanismo e fordismo”
e intervento del 1926 – qualsiasi modifica, lotta, legislazione, ecc.
che poi si avrà nella società politica, civile, culturale, istituzionale
essa deve esse-re preceduta da innovazioni, modifiche del processo produttivo
ed è nel processo produttivo che la classe operaia trova la sua organizzazione.
La fase successiva è quella di avere strumenti in grado, partendo dalla
centralità del processo pro-duttivo, di saper operare la sintesi tra
i momenti certamente contraddittori ed essere così in grado di leggere
non la realtà attuale ma le linee di sviluppo tendenziali. Il proletariato
possiede una teoria in grado di operare la sintesi ed un metodo: la dialettica
materialista, di leggere i processi nel loro svi-luppo tendenziale. Il proletariato
infine possiede una teoria ed un metodo che gli consente l’unitarietà
del processo produttivo in tutte le su manifestazioni: tecniche, produttive,
scientifiche, sovrastrutturali: leggi, ideologia, arte, cultura, ecc.
Ma il punto è quello di costruire antenne sensibili in grado di leggere
l’unità e la diversità, condi-zione ineliminabile per una
corretta comprensione degli sviluppi tendenziali, quindi i momenti suc-cessivi
dell’organizzazione devono sempre avere la centralità del processo
produttivo ma essere in grado di recepire l’unità – ossia
la conferma dell’analisi sino a quel momento sviluppata - e sia la diversità
- ossia gli elementi che inficiano, contraddicono in tutto o in parte l’analisi,
la teoria e la tattica. Questi elementi destabilizzanti del sistema sono i più
importanti, giacché sono i soli in grado di consentirci di leggere ulteriormente
lo sviluppo tendenziale. Ora se le antenne sensibili cessano di essere antenne
e trasmettono dati non corretti è l’intero sistema che viene ad
essere inficiato e conseguenzialemte tutte le funzioni che tale sistema comporta,
implica ed assolve. Il problema della raccolta-trasmissione-elaborazione è
data dalla forma organizzativa che si dà a queste antenne sen-sibili,
ma poiché la realtà è in costante movimento e noi leggiamo
gli elementi di sviluppo tenden-ziale il problema della trasmissione è
decisivo. Esistono quindi due ordini di problemi: le forme or-ganizzative che
diamo a queste antenne sensibili e come consentiamo ai dati di viaggiare in
questo sistema. Il sistema attraverso cui i dati viaggiano è chiamato:
centralismo democratico.
Il centralismo democratico non è assolutamente quello che oggi si intende,
e che viene for-malizzato in alcuni statuti: rapporto minoranza-maggioranza,
ecc. ecc. Il centralismo democratico è invece quel sistema che consente
a tutti i dati di viaggiare e di giungere al centro. V. I. Lenin ha con insistenza
ribadito ripetutamente che tutti i giudizi, i commenti, le proposte che vengono
avanzate da operai e lavoratori devono essere vagliati dalle istanze di base
e comunque poi trasmesse, tutte, all’organismo superiore e questo li deve
vagliare, elaborarli e comunque trasmetterli al centro.
In questa situazione allora il Partito comincia a non avere
più polso della situazione, i suoi le-gami si affievoliscono, non esiste
più un’osmosi tra struttura di base e lavoratori. Di qui la crisi
del-le Sezioni, la caduta della partecipazione, la caduta della formazione dei
quadri di base da immette-re nel tessuto del Partito e così vitalizzarlo
costantemente, arrichendolo del legame con le nuove re-altà di cui quei
quadri sono espressione e prodotto. E’ dagli inizi degli anni ’70
che le Sezioni ini-ziano a soffrire di questa strozzatura di qui un dibattito
forte sulla Democrazia, sulle Sezioni che non contano, ecc. e dall’altra
la risposta spontanea dei coordinamenti di Sezione, ma quella scelta è
troppo disorganica e troppo fuori da un più generale ridisegno del Partito
da qui la totale insuffi-cienza ed inadeguatezza, che non poteva che accrescere
quella strozzatura. E tutto questo mentre il processo di concentrazione monopolistico
in quegli anni subiva una forte impennata e quindi aggra-vava ed esponenziava
i problemi.
In generale possiamo dire che esisteva una organizzazione e dislocazione delle
forze in campo non più corrispondenti, come per il passato, a quello
che il capitale andava dispiegando ed organizzando altri centri del comando
e dell’organizzazione capitalistica.
Le forze comuniste intuiscono queste difficoltà e verso la prima metà
degli anni’80, 1982-84 , apro-no un dibattito di grande portata che aveva
alla base proprio un importante documento della Com-missione centrale del Pci,
che disegnava a larghi tratti la necessità di una nuova ed altra organizza-zione
ed una rifondazione della forma di organizzazione del Partito. Il documento
di Gavino Angius mentre prendeva in debita considerazione le nuove realtà
produttive territoriali e le modifiche inter-venute, tra cui la Metropoli, poneva
con forza un ritorno all’organizzazione sul luogo di lavoro ed anche qui
prendendo in debita considerazione le nuove realtà lavorative del terziario
avanzato e del pubblico impiego nel loro nuovo rapporto con il territorio.
La relazione poneva la necessità da una parte di potenziare la presenza
del Partito sui luoghi di la-voro, rafforzando ed estendendo le cellule sui
luoghi di lavoro e la loro trasformazione in Sezioni dei luoghi di lavoro e
dall’altra di operare una nuova riconversione dal territorio ai luoghi
di lavoro e di studio, riproponendo così la centralità del lavoro
nell’organizzazione del Partito comunista. L’unica, diceva Angius,
che poteva consentire al Partito di seguire e capire ed intervenire sui più
complessivi meccanismi di trasformazione della società. La relazione
si muove va cioè in piena sin-tonia con l’elaborato gramsciano.
Il dibattito non giunge ad una conclusione, anche se gli inizi sono stati interessanti
e di alto profilo con interventi qualificanti sull’Unità, Rinascita,
Critica Marxista, giacché si dovette far fronte all’attacco scatenato
dalle forze del capitale contro il Movimento Operaio e le sue forme di organiz-zazione
con l’attacco ai quattro punti di contingenza. Successivamente non venne
ripreso.
Questa relazione costituisce un buon documento da riprendere e sostanzialmente
da integrare con studi ed analisi recenti. Nelle condizioni attuali costituisce
un buon canovaccio, un buon impianto entro cui articolare la ricerca, il dibattito
e l’elaborazione.
Situazione non dissimile al Partito esiste nel Sindacato, dove continua a permanere
una struttu-ra degli anni ’50, che non tiene conto del processo di integrazione
e trasversalizzazione del capitale.
Questo ha comportato una debolezza del movimento sindacale nella sua lotta,
giacché nelle più e-lementari lotte sindacali gli schieramenti
in campo non erano quelli che visibilmente si vedevano, ma ve ne erano di ben
più sostanziosi, che facevano sentire il loro peso ed a cui noi non contrappo-nevano
uno schieramento tale da fargli da contrappeso. Nel campo della Sanità
i rapporti di forza non attengono solo quelli tra governo, cliniche private
e lavoratori della sanità: entrano in gioco le holding, e per certi aspetti
lobbies, della ricerca scientifica, della strumentistica, delle finanze inte-ressate
che una massa di capitali vada nella direzione dell’acquisto di determinati
ritrovati, anziché ai lavoratori, nelle varie forme in cui questi flussi
vanno ai lavoratori. L’Aran viene a configurarsi come un centro di forza,
di mediazione e centralizzazione di queste forze economiche.
Nel campo dell’Università le forze in campo non sono più
soltanto quelle dei docenti e del persona-le non docente ed il governo, ma entrano,
in maniera non diretta, le forze legate alla ricerca scienti-fica, le società
finanziarie, la strumentistica, ecc. In tutte entrano in gioco le società
legate alle commissioni a vari titoli e vari livelli. Queste forze se non sono
minacciate di subire un attacco, o di essere creati problemi al loro interno
dal movimento sindacale, interverranno pesantemente nelle trattative, se in
campo non scendono, o si minaccia di far scendere i lavoratori dei settori che
in ma-niera invisibile entrano in gioco, le condizioni di lotta, i rapporti
di forza sono decisamente a nostro sfavore. Il problema allora di avere un quadro
più generale ed esatto dell’intero teatro è centrale, e
questo non può essere certamente risolto chiamando in campo, quando il
caso questo o quell’altro settore in sostegno, giacché ci si ridurrebbe
ad una politica sindacale solidaristica che torva il tempo che trova. Si tratta
invece di pensare ad una struttura del Sindacato in grado di coprire la trasversali-tà.
Sino ad ora abbiamo adottato la doppia struttura per federazione e per Camera
di Lavoro, questa rispetto alla nuova situazione è decisamente arretrata,
nel senso che non ci consente di leggere la to-talità del teatro di intervento,
per i nuovi processi di concentrazione monopolistica.
Questo ha determinato che abbiamo accumulato ritardi e molte volte sconfitte,
che secondo la vi-sione e concezione delle cose che avevano non trovavano spiegazione
alcuna. Secondo quella visio-ne i rapporti di forza erano a nostro favore e
si poteva tirare di più, l’accordo a quel livello, risultava agli
occhi di molti elementi avanzati un cedimento. E gli stessi che lo firmavano
si rendevano conto che oltre non si riusciva a spostare, ma non riuscivano essi
stessi a spiegarsi il perché, il dato imme-diato che vivevano era un
muro che non si riusciva a scalfire forze che non si riuscivano a spostare.
Un esempio classico qui a Napoli è stata la lotta più che decennale
per la difesa dell’Italsider, tutti gli accordi strappati per quote aggiuntive
acciaio dalla Comunità Europea, la variante Italsider, era-no tutti palliativi
che rimandavano il problema. Ed era evidente a tutti che erano accordi evanescen-ti,
che sfibravano la combattività e tendevano a diluirla nel tempo. Il punto
qui non stava assoluta-mente nel rapporto di forza tra i metalmeccanici e la
controparte governativa ed europea. In campo c’erano ben altre forze,
quelle legate allo sviluppo e potenziamento del silicio, giacché con
lo svi-luppo delle fibre ottiche non erano più utili tubi d’acciaio
di una certa dimensione, ma ne bastavano di dimensione molto più ridotte
e di resistenza diversa, di qui il superamento di quel tipo di acciaio e quindi
il taglio delle quote. Noi eravamo protesi tutto sul settore siderurgico, mentre
in campo vi erano altre forze, che noi non vedevamo, ma che hanno fatto sentire
e bene la loro presenza ed alla fine facevano, ed hanno fatto, la differenza.
E’, poi, questa situazione che determinava un clima di sospetto ed alimentava
il dibattito deviante del ‘ tradimento’ , del ‘ venduto’
della ‘ democrazia’: il clima di frustrazione determinava il cercare
altrove le cause. Ed anche lì non si spiegava poi come mai tutti tradivano
e nessuno si opponeva. Spiegazione facile senz’altro ma che lacerava e
creava problemi maggiori alla comprensione delle cause reali, che determinavano
quella situazione di arre-tramento. Quella situazione veniva poi ampiamente
sfruttata ed amplificata dalla borghesia al fine di far passare la teoria della
“ lotta non paga”, della “ sterilizzazione della lotta”,
che poi tanto han-no pesato dentro la più complessiva strategia di attacco
scatenato a partire dalla fine degli anni ’70.
La situazione era allora un Partito ed un Sindacato che non solo non era all’altezza
dei tempi, ma che accumulava paurosi ritardi. Recuperare questi ritardi significa
aprire un dibattito forte, scientifi-co, su quale Partito e quale Sindacato
oggi, nelle attuali condizioni e nella fase in cui si riaprono le condizioni
della ripresa del Movimento Operaio per la trasformazione. I problemi del Partito
e del Sindacato vanno risolti in combinata, giacché l’uno poi determina
e condiziona l’altro. Il problema di una struttura flessibile in grado
di piegarsi alla realtà produttiva multiforme, accentrata e decen-trata,
in grado di combinare la più immediata realtà produttiva e la
nuova trasversalità del territorio, in grado di agire come una fisarmonica,
ossia di estendersi sulla base delle reali necessità dello schieramento
delle forze in campo e di restringersi, senza per questo perdere in organizzazione
e flessibilità e mobilità: la fisarmonica appunto da bene il senso
e l’immagine di cosa ci occorre ora.