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L’esperienza sindacale della Germania, ossia dell’ex Repubblica
Federale Tedesca, RFT , ruota attorno alla problematica della cogestione, cardine
della strategia post-bellica del sindacato della RFT, una strategia che lo stesso
sindacato definisce come “ cooperazione conflittuale” tra le forze
so-ciali.
L’attenzione per il sindacato tedesco non è cresciuta solo in Italia.
L’attenzione per questa esperienza sta senz’altro nei processi di
unificazione delle economie europee e negli stessi sforzi già a partire
dalla metà degli anni Settanta dell’allora Commissione Economica
Europea ed oggi Unione Europea e Commissione Europea di creare le necessarie
basi giuridiche, che portò già negli anni settanta al “
Libro Verde” sulla tema della “ cogestione dei lavoratori e la strut-tura
delle società per azioni nella Cee”.
E’ proseguita, poi, negli anni Ottanta e Novanta producendo tutta una
consistente dottrina, un corpus consistente del Diritto del Lavoro europeo e
tutta la legislazione circa i modi, le forme, i tempi, ecc. dell’informazione
e consultazione dei lavoratori per la loro partecipazione all’impresa.
Già dietro al “ Libro verde” si manifesta l’intenzione
di trovare un’unica formula giuridica ed orga-nizzativa per le società
operanti nei Paesi europei e questa formula era orientata alla struttura delle
società per azioni tedesche che prevedeva lo sdoppiamento degli organi
di direzione in Organo di Controllo ( Consiglio di Sorveglianza ) ed un Organo
Direttivo. Nell’Organo di Controllo di que-ste società dovrebbero
entrare a far parte i rappresentanti del capitale assieme a quelli dei lavoratori,
attraverso una procedura elettiva per quanto attiene i lavoratori.
Anche in Francia si è proceduto negli anni Settanta all’introduzione
di forme di cogestione, ossia alla costituzione di Consigli d’Impresa.
In Italia questa formula si è tentata di farla passare attraverso l’acquisizione
di azioni da parte del per-sonale di società che si privatizzavano ed
al cui personale veniva riservata una quota di azioni: Tele-com, Enel, ecc.
L’origine dell’idea della cogestione e del suo
concetto di base, ossia della “ democra-zia industriale” è
assai antica. Vanno fatte risalire al lontano 1919.
E’ importante seguire l’intera evoluzione teorica per comprenderne
limiti e potenzialità e come poi quelle potenzialità si sono tradotte
allorquando nel 1952 vengono istituti tali Co-mitati di Impresa con le successive
modifiche. Questo consentirà di comprendere bene il clima teorico e di
classe entro cui matura e si alimenta la teoria della cogestione e della democrazia
economica, o industriale, che dir si voglia.
L’intero dibattito teorico è frutto delle teorie della socialdemocrazia
tedesca ( SPD ) e della IIa In-ternazionale più in generale. Nasce come
risposta teorica della socialdemocrazia alla Rivoluzione d’Ottobre del
1917 ed ai movimenti rivoluzionari che dall’Ottobre presero corpo, primo
fra tutti la Rivoluzione in Germania del gennaio 1919, chiusasi con la sconfitta
del processo rivoluzionario e l’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht,
non diversamente dagli altri movimenti rivolu-zionari sviluppatisi in Ungheria,
Italia.
La teoria della cogestione porta queste stimmate di classe e si sviluppa su
queste stimmate e porta sullo sfondo la rivoluzione in Germania del gennaio
1919 e ben nette le figure di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht.
Se queste sono le stimmate e questo lo sfondo, non implica che il progetto possa
avere avuto un se-guito interessante ed essere portatore di stimoli ed innovazioni.
Si tratta allora di indagare l’intero corso di questa teoria e far scaturire
il giudizio dai fatti, ossia dall’esperienza di oltre 80anni.
Dinanzi all’Europa ed al mondo tutto in fiamme: movimenti
si sviluppano in Asia ed Africa oltre che attraversare per intero l’Europa
scatenati dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, il problema che stava
dinanzi alla IIa Internazionale ed all’SPD era quello di trovare una strategia
in grado di portare al socialismo che non sia quella bolscevica, ma che non
sia più neanche quella perseguita sino ad al-lora dalla socialdemocrazia
internazionale. Una strategia che fosse stata in grado di affermare la de-mocrazia
politica raggiunta con la rivoluzione del 1918, che portò alla caduta
del Kaiser ed alla nasci-ta della Repubblica di Weimar ed estenderla sul piano
della democrazia economica.
La base teorica di tale impostazione poggiava sull’analisi dell’imperialismo
di Hilferding ma più che altro sull’analisi di Kautsky sull’imperialismo.
Si riteneva, cioè, che il capitalismo avesse raggiunto un nuovo stadio,
lo stadio del “ capitalismo organizzato”.
Con questo concetto si voleva indicare un terzo grado della socialità
operato dal sistema capitalisti-co, che veniva dopo quello della socializzazione
del lavoro, attraverso la divisione del lavoro e della grande fabbrica come
luogo della produzione e la seconda socializzazione, la socializzazione del
capitale, che aveva messo il capitale sociale alla base della grande impresa
capitalista ( società per azioni ), superando la dipendenza dal capitale
“ individuale” del singolo capitalista.
Noi stiamo qui esponendo la teoria così come viene formulata dalla socialdemocrazia,
al fi-ne di restituirla nella sua integrità.
La terza fase, quella della socializzazione dell’impresa capitalistica,
attraverso la sua subordina-zione ad un quadro di riferimento sopranazionale
e perciò sociale. E’ questa la fase che la socialde-mocrazia individua
e su cui articola e dipana il suo elaborato.
Con il raggiungimento di questa terza fase, di questo terzo grado di socializzazione
del sistema capi-talistico, caratterizzata dall’organizzazione monopolistica
dell’industria e della reciproca combina-zione di questa con il capitale
finanziario si poteva considerare superata la libera concorrenza e l’anarchia
del mercato.
Il capitalismo stesso era arrivato a darsi un’organizzazione simile al
principio socialista della produ-zione pianificata e con ciò aveva essa
stessa liquidato l’obiezione principale contro il socialismo. con-temporaneamente
la “ teoria del crollo” che tanto aveva influenzato il movimento
operaio era stata smentita dalla storia. Il capitalismo era riuscito a superare
le sue laceranti contraddizioni, ma non per questo aveva cessato di esercitare
il suo dispotismo che, anzi, si era allargato dalla fabbrica a tutta la società.
E’ questa la teoria che prenderà poi il nome di “ superimperialismo”,
ossia uno stadio in cui il capita-lismo ha superato le sue contraddizioni e
si presenta sul piano mondiale come dominatore.
Con la rivoluzione del novembre 1918 e l’instaurazione della Repubblica
di Weimar ( 6. feb-braio. 1919 ) si era assistito ad un’espansione della
democrazia politica che – con la concessione del suffragio universale
– rafforzò i lavoratori e con ciò la loro rivendicazione
di un completamento della democrazia in senso sociale ed economico. Questi sviluppi
stavano alla base della convinzione porta-ta avanti dall’SPD e dall’Adgb,
l’organizzazione sindacale a direzione SPD, “ che oramai si era
rile-vato che la struttura stessa del capitalismo è cambiabile, e che
questo, prima di venir spezzato, può essere piegato.”.
L’analisi continua sostenendo, come consequenziale da quanto in precedenza
sostenuto, che il crescente potere del capitalismo organizzato, ossia del capitalismo
nella terzo grado del suo sviluppo: socializzazione dell’impresa capitalistica,
aveva comportato un aumento delle possibilità di questo capitalismo di
influenzare lo Stato, ma nello stesso tempo lo Stato veniva ad acquisire una
importanza mai prima raggiunta nell’intervento sul mercato del lavoro
( dove si accollava l’assistenza ai disoccu-pati ed altre misure sociali
) e nella contrattazione collettiva ( come istanza di conciliazione nel caso
di interessi non mediabili tra le forze sociali ) ed il regolamento legislativo
dei rapporti nelle aziende.. Questo costituiva la conferma del carattere non
privatistico ma pubblico dei rapporti economici e la possibilità per
l’SPD di rafforzarsi progressivamente e consequenzialmente rafforzare
i suoi poteri di controllo sull’economia. Ma questo non sarebbe stato
di per sé sufficiente data la forza delle organiz-zazioni capitalistiche.
La strategia socialista di piegare il capitalismo prima di spezzarlo, richiedeva
vari livelli di azioni e tappe intermedie.
La Costituzione della Repubblica di Weimar offriva alcune potenzialità
nel senso di una estensione della democrazia nel campo economico, che avrebbero
dovuto essere sviluppate e rese operanti attra-verso l’azione politica
a livello istituzionale.
L’azione dell’SPD puntava essenzialmente sugli articoli 156 e 165
della Costituzione.
L’articolo 156 conferiva ampi poteri di espropriazione per pubblico interesse
allo Stato e questo co-stituiva allargamento del settore pubblico dell’economia.
Tra le poche conquiste della rivoluzione di novembre vi era stata la costituzione
dei Consigli nazionali del carbone e della potassa , nei quali, ac-canto ai
padroni delle imprese di questi due settori, sedettero rappresentanti dei consumatori
, del po-tere pubblico e dei lavoratori. Questa formula di cogestione viene
introdotta nel 1919 per aggirare la richiesta di socializzazione, venne assunta
dall’SPD come modello anche per altri settori.
L’altro articolo, il 165, prevedeva la costituzione di una struttura molto
articolata di Consigli del La-voro e dell’economia settoriali e territoriali
con poteri consultivi e propositivi nel campo della politi-ca sociale ed economica.
Durante gli anni della Repubblica di Weimar non si arrivò mai alla realizza-zione
di questa gerarchia. Fu costituito soltanto il Consiglio Nazionale dell’economia
e del lavoro e senza soddisfare minimamente le aspettative che l’SPD vi
aveva riposto.
Un altro elemento su cui puntava la strategia dell’SPD era la legge del
1920 sui Consigli aziendali, residuo anche questo della strategia consiliare
della Repubblica Consiliare della Rivoluzione del feb-braio 1919, guidata da
Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che consentiva l’immissione di uno o
due rappresentanti dei lavoratori in questi organi di controllo delle grandi
società.
Molti punti della Costituzione e più ingenerale la tattica della borghesia
dopo il febbraio 1919 erano dati dalla necessità di assorbire la rivoluzione
del febbraio 1919 e della Repubblica Consiliare, abbat-tuta nel sangue, e di
attuare “ riforme” al fine di assorbire la spinta rivoluzionaria
della classe operaia tedesca. Politiche non dissimili vengono attuate in Francia
ed in Inghilterra.
L’organizzazione sindacale a direzione socialdemocratica, l’Adgb,
nel congresso del 1925 fece sua la strategia della democratizzazione dell’economia
e nominò una commissione per l’elaborazione di un progetto complessivo
a questo proposito. Questa commissione lavoro per tre anni e nel 1928 presentò
il suo progetto al congresso dell’Adgb. Il progetto sindacale prevedeva
l’estensione della democrazia economia attraverso la creazione o moltiplicazione
di tre principali forme di imprese:
l’impresa pubblica gestita da un ente di autogoverno economico ( simile
al modello esistente nei set-tori del carbone e della potassa ),
le cooperative di produzione e di vendita,
le imprese di proprietà dei sindacati ed autogestite dalle organizzazioni
operaie.
Oltre agli obiettivi legati alla realizzazione della Costituzione qui elencati,
il sindacato socialdemo-cratico pensava di poter contribuire alla democratizzazione
dell’economia attraverso il richiesto pas-saggio degli enti di previdenza
sociali e degli uffici di collocamento alla gestione sindacale e la coge-stione
paritetica delle Camere dell’industria, del Commercio, dell’artigianato
e dell’agricoltura. Un grande peso veniva, infine, attribuito, alla democratizzazione
della scuola e delle istituzioni culturali.
ma dopo le enunciazioni, il progetto rimaneva del tutto carente circa le iniziative
di lotte e le tappe in-termedie necessarie per la realizzazione di tali obiettivi,
finendo così per accontentarsi di quanto già la legislazione del
1919 e del 1920 aveva stabilito. E tutto finì per essere affidato all’azione
parlamen-tare e governativa dell’SPD.
La situazione economica e politica della Repubblica di Weimar già dal
1928 era deteriorata e ben pre-sto sarebbe tramontata con l’ascesa del
nazismo e con Weimar i progetti dell’SPD.
Tutto viene così rinviato a tempi migliori ed il discorso ripreso dopo
la 2a guerra mondiale ma in condizioni del tutto diverse, in una Germania divisa
tra le quattro potenze vincitrici: U.R.S.S. , Fran-cia, Inghilterra ed Usa.
Con la Conferenza di Potsdam sul piano politico si attua la de-nazificazione
e la rinascita di libere i-stituzioni democratiche, favorendo le forze di provata
fede antinazista.
Nella maggior parte delle fabbriche si erano ricostituiti i Comitati sindacali
nei quali spesso lavorava-no fianco a fianco socialdemocratici e comunisti.
I consigli sindacali cercavano di riorganizzare la produzione nonostante le
estreme difficoltà esistenti a causa del danneggiamento degli impianti
e le misure di smantellamento delle fabbriche per far fronte al risarcimento
dei danni di guerra, dai quali venne esclusa di fatto l’U.R.S.S. La scarsità
di materie prime e di energia e la disastrosa situazione alimentare ed abitativa,
la mancanza di un quadro economico e politico definito costituivano difficol-tà
enormi, alle quali la classe operaia tedesca sotto la guida dei Comitati sindacali
cercavano di far fronte con grande coraggio ed illimitati sacrifici. In questa
fase la borghesia tedesca è quasi del tutto assente: la maggior parte
era fuggita o nascosta, pronta a tornare quando si fossero calmate le acque.
Questa situazione spingeva alla ricostituzione del sindacato a livello territoriali,
che si scontrò con l’opposizione delle amministrazioni militari:
francese, inglese e statunitense. Nella zona sovietica si arrivò, ben
presto, alla costituzione di una centrale sindacale a livello di tutta la zona,
con difficoltà maggiori ciò si ebbe anche nella zona francese.
Le zone controllate dagli inglesi e dagli statunitensi videro l’opposizione
netta ed era la parte più in-dustrializzata del Paese e dove il Partito
Comunista aveva le sue roccaforti: nella zona della Ruhr, come confermeranno
le prime elezioni per le rappresentanze sindacali con una forte affermazione
comunista.
Riparte, allora, dal 1946 il discorso iniziato nel 1919 ed interrotto nel periodo
1933-1945.
Ancora una volta l’idea di base era da una parte di seguire ed indicare
una via diversa da quella bol-scevica e dall’altra l’analisi sull’imperialismo.
L’analisi non viene affatto arricchita, il nazismo ed il fascismo vengono
liquidati come escrescenze, come schegge impazzite e questo consente di riposizionarsi
sulle vecchie analisi del periodo 1904-1913. L’ulteriore processo di concentrazione
monopolistico viene letto come elemento di ulteriore convalida di quella strada,
essendosi innalzato quel livello di socializzazione dell’impresa.
Viene così portata avanti dalla ricostituita SPD la linea di realizzare
attraverso la nazionalizzazione dell’industria pesante e della chimica,
delle banche e del settore energetico e la loro gestione da parte di enti pubblici
in cui fossero rappresentati i sindacati e l’introduzione di una pianificazione
economi-ca democratica, attraverso l’istituzione di Consiglio di Gestione
da creare a tutti i livelli partendo dal-le fabbriche, in realtà si trattava
di ripristinare i Consigli aziendali, organi di controllo delle grandi società,
istituti con la legge del 1920.
Sul piano dell’organizzazione in sostanza veniva riproposta la struttura
dell’Adgb: articolato al suo interno per sindacati di categoria ( che
avrebbero dovuto abbracciare i grandi settori dell’economia ).
rimase in sospeso il rapporto tra le federazioni di categoria e la Confederazione
come centro.
E’ questa una scelta assai debole, che contraddice alla pur dichiarata
volontà di co-struire un sindacato unico per tutti i lavoratori. Inoltre
in quelle condizioni il problema di dare una particolare forza e visibilità
ai lavoratori ed alla sua organizzazione sindacale era decisivo nei confronti
sia delle forze militari di occupazione e sia alla classe lavoratrice, proprio
per i compiti che le stavano di fronte in assenza di una borghesia fuggita e
per le difficili condizioni del Paese. Tutto questo richiedeva una centralità
della Confederazione, una politica complessiva a livello della Confederazione
entro cui dovevano iscriversi le scelte delle varie categorie ed invece veniva
data una risposta bassa.
La scelta negava la linea della nazionalizzazione e della pianificazione economica.
In tali condizioni l’organizzazione sindacale non sarebbe stata in grado
in alcun modo di perseguire quell’obiettivo e meno che mai di gestirlo.
Ancora una volta, invece, si perpetuava quel vizio della IIa Internazionale
che l’aveva ca-ratterizzato a partire dagli anni 1910, ossia alle solenne
dichiarazioni e piani immaginifici, corrispondeva poi la pochezza delle scelte,
che non conseguivano le dichiarazioni ed i piani che pur si diceva di voler
perseguire.
Infine. Costituendo la riedizione della vecchia Adgb si mostrava di non aver
colto uno dei momenti centrali di debolezza del movimento sindacale di fronte
all’assalto nazista.
Le proposte dei sindacalisti non hanno però alcuna possibilità
di attuazione: le decisioni sui problemi collegati alla ricostruzione economica,
i Consigli di Gestione, ecc., rimangono in questa prima fase nelle mani dei
governi militari, che tutt’al più concedono qualche parere consultivo
alle forze politi-che e sindacali. Il governo militare britannico andò
ben oltre, seguito a ruoto da quello statunitense, intervenne in maniera pesante
nel processo di ricostituzione del sindacato, vincolando con la direttiva dell’aprile
1946, Industrial relations directive ) alla stretta osservanza di tre fasi:
la prima prevedeva l’organizzazione territoriale del sindacato non oltre
il livello di una singola pro-vincia, mentre la seconda fase, caratterizzata
dal permesso di riscuotere contributi, affittare sedi e fare propaganda per
il sindacato era vincolata all’autorizzazione delle autorità militare;
questo limite permane anche nella terza fase, quella che avrebbe permesso la
fondazione di una cen-trale sindacale per tutta la zone di occupazione britannica
e statunitense.
Con questa interferenza anglo-statunitense, nelle due principali zone industriali
tedesche poste sotto il loro governo militare, il processo di ricostruzione
sindacale subì un arresto. Alle forze sindacali fu fatto capire in maniere
esplicita di non essere loro libere di darsi una struttura organizzativa per
la quale la maggioranza si era decisa e cioè la confederazione forte.
L’autorizzazione per il passaggio alla seconda fase venne data solo dopo
un massiccio intervento di quadri sindacali della organizza-zione sindacale
inglese, le Trade Unions, TUC e dell’AFL statunitense allo scopo di far
passare la li-nea della superiorità del principio organizzativo vigente
nei paesi anglosassoni, ossia negli Usa ed in Gran Bretagna, che rafforza molto
i sindacati di categoria rispetto all’organizzazione centrale, conce-pita,
la Confederazione, semplicemente come lega senza potere contrattuale e senza
autonomia finan-ziaria. La terza fase, ossia la fase della costituzione della
Lega dei Sindacati ( DGB ), viene autoriz-zata solo nell’aprile 1947 per
la sola zona britannica, mentre nella zona statunitense non si arrivò
che alla prima fase, ossia al livello della provincia.
A favore di un più accelerato processo di ricostruzione del sindacato
a livello nazionale – e cioè oltre anche lo stesso livello delle
quattro zone occupate – intervenne la Federazione Sindacale Mondiale.
La F.S.M. organizzerà varie conferenze delle organizzazioni sindacali
esistenti nelle diverse zone d’occupazione per favorire la nascita di
quella centrale sindacale nazionale che non si riuscirà mai più
a costituire per gli sviluppi successivi.
Prima che si arrivasse all’attuazione di un sindacato a livello delle
singole zone occupate intervenne un fatto nuovo: la Gran Bretagna cede in sostanza
la sua zona di controllo militare agli Usa, che ven-gono così a costituire
un’unica zona. Sul piano sindacale questo significa che anche quanto si
era rag-giunto nell’aprile 1947 nella zona britannica, si torna indietro,
ossia alla situazione esistente nella zo-na sotto il controllo militare statunitense.
Ma una tale unificazione costituiva un grave colpo, un colpo irreversibile,
di blocco di qualsiasi pro-cesso di unificazione della Germania.
La creazione e decisione di trattare in seguito questa zona come unità
economica a parte costituiva non solo una grave violazione degli accordi di
Potsdam, contro la quale L’Unione Sovietica protestò, ma costituiva
anche il preludio della definitiva divisione della Germania in due blocchi.
Sul piano del riordinamento economico e sociale della grande zona che era passata
sotto il controllo Usa pesò enormemente il quadro interno degli Usa dove
con l’amministrazione Truman, succeduto a Roosevelt, si era fatta strada
un orientamento diametralmente opposto sia verso la Germania che ver-so l’U.R.S.S.
L’interesse statunitense è oramai quello di creare in Germania
un ordinamento econo-mico capitalistico, basato sulla proprietà privata
dei mezzi di produzione, un ordinamento politico ed economico da integrare saldamente
nel blocco occidentale e di attuare questo disegno attraverso la divisione della
Germania in due blocchi.
Sul piano politico interno le prime elezioni regionali vedono il prevalere in
cinque Lander l’SPD con un totale del 35% dei voti, determinando così
un governo nei Lander di grande coalizione.
Nel 1947 si svolgono le elezioni del Consiglio dell’economia con sede
a Francoforte, che costituisce la prima forma del Parlamento tedesco ed accanto
a questo viene creato il Consiglio esecutivo, pre-cursore della seconda camera
formata da un rappresentante per ognuna delle regioni e delegati in que-sto
organismo dai rispettivi governi regionali.
Nel Consiglio dell’Economia l’SPD ottiene 20 seggi, il partito democristiano
20 seggi, i liberali 4 ed il Partito Comunista 3. L’approvazione della
Costituzione in Germania e le elezioni politiche nel 1949 chiudono questa prima
fase della vita della RFT. Il parlamento vedrà la maggioranza alle forze
borghesi, il cui partito più forte sarà con il 31% il CDU; all’SPD
andrà il 29% ed al Partito Comunista il 5%.
Si apre così la seconda fase della RFT che vede da subito un feroce rastrellamento
di capitali attraver-so la riforma monetaria che cancellò tutti i risparmi
ed i depositi bancari, ma non i beni immobili, la fine del blocco dei prezzi.
La ricostruzione viene cioè scaricata sui lavoratori attraverso il manteni-mento
di bassi salari e la liberazione dei prezzi.
Nel frattempo nell’ottobre 1949 si ha il primo congresso
della Lega dei Sindacti tedeschi, DGB,.
Vengono costituiti 16 sindacati di categoria. La DGB nasce come centrale sindacale
sulla scia del sindacato anglo-sassone.
Il programma poneva al centro:
1.la realizzazione della piena occupazione
2. la cogestione esercita dai lavoratori organizzati a tutti i livelli dell’economia,
3. la socializzazione delle industrie chiave ed in particolare della chimica,
delle miniere di carbone, della siderurgia, del settore energetico, delle principali
comunicazioni e degli istituti di credito e la loro costituzione in “
proprietà comune” gestita dagli enti di autogestione economica
da costituire;
4. la realizzazione della giustizia sociale attraverso la compartecipazione
dei lavoratori al reddito pro-dotto,
5. l’istituzione di enti di previdenza sociale autogestite dalle organizzazioni
dei lavoratori,
6. una programmazione economica centrale volta a realizzare questi obiettivi.
Ma poi a questo programma non seguirono le indicazioni dei mezzi di lotta necessari
per la sua rea-lizzazione: si confermava così quel carattere tipico della
IIa Internazionale che a forti proclami ed alte dichiarazioni di principio e
di intenti non seguivano le forme ed i mezzi per la realizzazione di questi
e tutta l’azione finiva, così, per essere schiacciata sul quotidiano,
il “particulare”.
La struttura che la DGB si era data era di per sé incompatibile con il
programma adottato dal Con-gresso, giacché richiedeva una centralizzazione
dell’organizzazione sindacale a livello confederale e non la sua “
diluizione” nei sindacati di categoria, ossia il modello anglo-sassone
di cui si è detto.
L’azione del capitale monopolistico tedesco, che intanto si era andato
ricostituendo con il ritorno dai rifugi ove si erano rintanati i grandi capitalisti
che avevano portato la Germani all’avventura della IIa guerra mondiale,
ed il sostegno pieno, diretto ed esplicito del capitalismo internazionale, tendente
a fare della RFT un bastione contro il proletariato, prima linea della cortina
di ferro, fu quella di attuare misure che cancellavano i residui dei successi
ottenuti nella fase precedente. Presto il governo ed i partiti conservatori
aboliscono il diritto alla cogestione paritetica nel settore siderurgico.
Dinanzi ad un ferma opposizione sindacale le forze capitalistiche ed il governo
approvano in Parla-mento nel 1951 una legge che estendeva anche alle miniere
i diritti di cogestione.
Ma questo costituiva unicamente fumo negli occhi che preparava lo statuto d’azienda.
Lo statuto d’azienda.
La rappresentanza sindacale in fabbrica non viene neanche concepita come organo
sindacale e non vengono riconosciuti i diritti di cogestione chiesti dal sindacato
e cioè la pariteticità negli organi di gestione. Assegna unicamente
un terzo dei posti nei consigli di sorveglianza e nelle società anonime
con più di 500dipendenti e nessuna rappresentanza negli organi direttivi
dell’impresa.
Lo statuto d’azienda introduce poi vari limiti all’azione della
rappresentanza dei lavoratori obbli-gandola alla collaborazione e sottoponendola
all’obbligo del silenzio ( e quindi alla non informazione ai lavoratori
direttamente interessati ) e della pace aziendale negando all’organismo
di fabbrica il di-ritto di sciopero come mezzo per raggiungere determinati obiettivi
aziendali. Viene vietato lo sciope-ro per motivi politici e posto a complicate
misure restrittive il diritto di sciopero in generale.
Lo Statuto aziendale limitava l’azione rivendicativa del sindacato alla
trattativa sovra-azienale, ri-servando la contrattazione aziendale, poi, alla
Commissione interna e quindi ad un organo non sinda-cale e fortemente sottoposto
a vincoli giuridici, quali il divieto di organizzare scioperi aziendali o al-tre
misure di lotta oltre ad atteggiamenti e misure ricattatorie e/o paternalistici.
La stessa trattativa sindacale viene stretta in una serie di procedure formali,
che ne limitano l’azione e la libertà di sciopero: esse prevedono
prima la fase dell’arbitrato, successivamente la consultazione degli iscritti
e solo dopo se maggioritaria la consultazione l’indizione dello sciopero,
con diritto da parte del padronato di citare in giudizio per danni il sindacato
se in tutto o in parte questa procedura non viene eseguita.
Unitamente a questa azione legislazione vi era l’attività del Tribunale
federale del Lavoro che con una serie di sentenze riduceva ulteriormente le
condizioni legali di attività sindacale. E’ il caso della sentenza
che riconosceva il diritto di serrata – e che costituirà poi un
pilastro della giurisprudenza del lavoro dell’Unione Europea – motivata
con la teoria della “ parità delle armi”.
Lo sciopero dei metalmeccanici dello Schleswig-Holstein nel 1956-57 con la sua
durata di 114 giorni: fu lo sciopero più lungo in tutta la storia della
RFT costituì la base per una gravissima sentenza che mise la pietra tombale
sulla libertà di sciopero e la libertà sindacale nella RFT.
L’associazione del padronato citò in causa il sindacato metalmeccanico
per il mancato rispetto della scadenza che secondo l’accordo stabilito
sarebbe dovuta passare tra il fallimento della trattativa e l’avvio della
consultazione degli iscritti sullo sciopero. Il tribunale non solo condannò
il sindacato metalmeccanico al risarcimento dei danni subiti dall’industria,
giacché lo sciopero si profilava così, secondo tale pedissequa
interpretazione di parte come sciopero non autorizzato, che costituisce di per
sé motivo di licenziamento oltre che condanna al pagamento dei danni
subiti dall’azienda.
La sentenza si basava sulla norma giuridica che definisce “ misura di
lotta” già l’atto della convoca-zione della consultazione
dello sciopero. La filosofia che ispira la norma, ma poi l’intero diritto
del lavoro in Germania, è quella dell’obbligo da parte del sindacato
e dei lavoratori di mantenere la “ pa-ce aziendale” E tale “
filosofia” si sostanzia con la partizione dei lavoratori alla cogestione,
ossia la presenza dei lavoratori negli organi di vigilanza dell’impresa,
di cui si è detto.
Dinanzi ad un innalzamento dello scontro di classe, dopo la “ pace sociale”
degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta, viene dato il via
ad una revisione degli statuti aziendali e della legge sulla cogestione, che
vengono alla fine approvati nel 1972 quello sugli statuti aziendali e nel 1976
per la cogestione. Il testo di legge risulta totalmente annacquato: attraverso
eccezioni e questioni sollevate dalla CDU, il partito democristiano tedesco,
ne viene totalmente snaturato qualsiasi pur timido accen-no di miglioramento.
Alla fine il testo di legge licenziato è peggiore di quello del 1951.
La nuova legge non garantisce più la piena pariteticità della
rappresentanza dei lavoratori che invece era il punto qualificante della legge
del 1951, ma impone la rappresentanza a parte dei quadri direttivi nella quota
di rappresentanza dei lavoratori. In concreto se il Consiglio di sorveglianza
doveva essere costituito da 10 rappresentanti dei lavoratori e 10 del padronato,
adesso 9 sono dei lavoratori, uno e dei quadri direttivi e 10 del padronato
e dei 9 lavoratori 3 sono operai, 3 sono impiegati e 3 sono di nomina sindacale.
Ovviamente solo i 6 ( 3 operai e 3 impiegati ) sono a eletti per votazione.
Inoltre se nella prima riunione non si raggiunge il quorum dei 2/3 per l’elezione
del Presidente, si procede ad una elezione di secondo grado in cui il padronato
si elegge il Presidente ed i lavoratori il vice-presidente. In caso di parità
nella votazione il voto del Presidente vale 2 voti, ma questo non vale per il
vice-presidente.
Si ha così che il Presidente del Consiglio di Sorveglianza è già
deciso, ed unicamente, dal padronato, i lavoratori devono decidere se votarlo
e quindi raggiungere i 2/3 oppure vederselo votare lo stesso dal padronato.
Inoltre il Direttore del Lavoro, rappresentante dei lavoratori nel consiglio
direttivo d’azienda, che in precedenza non poteva essere eletto contro
la maggioranza dei voti dei rappresentanti dei lavoratori, adesso ha bisogno
solo della maggioranza relativa e la maggioranza relativa si ottiene con 9 a
favore del padronato, 10 contro da parte dei rappresentanti dei lavoratori,
giacché il voto del Presidente in questo caso vale 2 e si ottiene così
la votazione di 10 ad 11 e questo nel caso che il rappresentante per i quadri
direttivi voti contro.
La legge non estende la cogestione, ma ne limita l’applicazione alle società
a capitale sociale ( società per azione, società a responsabilità
ed a poche altre forme societarie ) e che abbiamo almeno 2000 di-pendenti. Dalla
legge sono escluse comunque imprese di proprietà delle chiese, della
stampa e le case editrici.
“ In sostanza in Germania non sono più di 500 le società
sottoposte alla legge generale sulla codeter-minazione, fra le quali 303 società
per azioni e 200 a responsabilità limitata”.
Dopo questa panoramica vediamo in concreto come si articola
l’intera struttura della rappresen-tanza dei lavoratori nelle aziende
tedesche.
In Germania il sistema di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle
imprese è il più istitu-zionalizzato. Sono previste dall’ordinamento
giuridico due forme di rappresentanza dei lavoratori all’interno dell’azienda.
La prima è costituita dal Consiglio dell’unità produttiva,
istituito in tutti gli stabilimenti che occu-pano almeno 5, cinque, dipendenti.
La seconda è costituita nelle imprese organizzate in forma societaria,
consiste nella partecipazione dei lavoratori ai Consigli di sorveglianza delle
società.
E’ questa la cosiddetta “ partecipazione interna” o “
organica”, o “ istituzionale”.
Esiste poi una terza forma di rappresentanza dei lavoratori ed è quella
sindacale.
Essa si esprime nei fiduciari del sindacato, che nell’àmbito dell’azienda
rappresentano tutti i lavora-tori iscritti a quel sindacato.
Il sistema di rappresentanza dei lavoratori è quindi triplice:
le due forme di rappresentanza dei lavoratori:
esterna, operante a livello di unità operativa,
interna, o “ organica” operante a livello societario;
e la rappresentanza sindacale, che in Germania è totalmente sprovvista
di una regolamentazione le-gislativa.
Diversamente da quella sindacale, le due forme della partecipazione sono ampiamente
regolamentate dalla legge.
La rappresentanza sindacale.
Non è regolamentata da alcuna legge dello Stato né è prevista
da alcuna disposizione legislativa.
La diffusione dei funzionari del Sindacato all’interno dell’unità
produttiva è, infatti, il frutto esclusi-vo di una prassi, consolidatasi
soprattutto negli anni ’50 e ’60.
Un tale sviluppo non ha modificato l’assenza dell’organizzazione
sindacale sul luogo di lavoro, as-senza cioè di una organizzazione sindacale
di impresa. L’organizzazione sindacale inizia da fuori i cancelli dell’impresa.
La carenza di un’apposita disciplina legislativa viene supplita dalla
contrattazione collettiva, che re-gola funzioni e prerogative dei diritti di
detti fiduciari del sindacato.
Essi, eletti dagli iscritti al sindacato di quel luogo di lavoro, sono del tutto
sprovvisti di potere contrat-tuale: il sistema delle relazioni industriali tedesche
prevede la contrattazione collettiva a partire da quella regionale, dai Lander,
e settoriale.
La contrattazione aziendale è totalmente assente e quando si dovesse
verificare viene affidata alle strutture regionali dell’organizzazione
sindacale.
In alcun modo il funzionario sindacale può intervenire su qualsiasi vertenza
o problema che sorge su luogo di lavoro, non costituisce mai ed in alcun modo
parte trattante né riconosciuto dal padrone, al-tra è la struttura
demandata a tutta la problematica sindacale aziendale. Il loro ruolo è
unicamente quello di raccordo tra l’organizzazione sindacale territoriale,
Lander di categoria, e gli iscritti
I funzionari sindacali non hanno alcuna agilità sindacale sui luoghi
di lavoro e durante le ore di ser-vizio. Essi non possono far circolare giornali
sindacali, comunicai sindacali, fare tesseramento.
Non possono in alcun modo utilizzare e per nessun motivo i locali dell’azienda
per attività sindacale, nemmeno per le elezioni dei fiduciari. Tutto
deve avvenire fuori dai cancelli, nelle sedi sindacali po-ste sul territorio.
Non esiste infatti l’organizzazione sindacale sui luoghi di lavoro, ma
unicamente una massa di tesserati, che non hanno alcuna identità giuridica.
L’organizzazione sindacale è, cioè, de jure e de facto posta
fuori del luogo di lavoro.
La classe lavoratrice tedesca non ha sul luogo di lavoro una sua struttura organizzativa
e ne è vietata, impedita, la costituzione e qualsiasi forma di esistenza
legale, persino l’elezione dei fiduciari e l’utilizzo di locali
dell’azienda.
Questa assenza per la struttura più complessiva della rappresenta dei
lavoratori sui luoghi di lavoro, come vedremo, costituirà una grave assenza,
che consente una politica corporativa del padrone, giac-ché viene a mancare
il momento di sintesi, ossia di ricomposizione unitaria, delle infinite diversità
che attraversano ogni più piccolo luogo di lavoro: dalla diversità
salariale alla diversità di differenti opportunità e differenti
situazioni per livello, reparto, anzianità, qualifiche, mansionario,
ecc. ecc.
Veniamo adesso alle funzioni e ruoli e compiti del Consiglio dell’unità
produttiva.
Se il Consiglio risulta composto da un erto numero di membri viene costituita
una Commissione In-terna, con un ruolo di coordinamento
Se una società ha più stabilimenti o filiali viene costituito
un coordinamento tra i vari singoli Consigli dell’Unità produttiva
( Consigli ), chiamato Consiglio Generale interno, la cui composizione non avviene
per elezione diretta, ma è data alla nomina di due membri da parte di
ciascun Consiglio.
In sostanza essi assolvono in parte al ruolo che svolgono le organizzazioni
sindacali aziendali.
Stipula accordi e più in generale assolve ai compiti di controllo dell’applicazione
della legge, sigla accordi aziendali, porta avanti richieste dei lavoratori.
Sono loro che in sostanza danno vita a forme di accordi,che possono prefigurare
un accordo aziendale.
La legge disciplina quali sono le materie che padrone e Consiglio devono prendere
assieme, “ code-cidere”, stabilendo così su tali materie
quello che la legislazione tedesca chiama “ compromesso di interesse”.
In mancanza uno dei due, padrone o Consiglio, possono ricorrere al Presidente
del Lavoro della Regione, Land, o in caso di non raggiunto accordo ad un collegio
arbitrale.
Il collegio arbitrale non ha alcun potere reale ed i suoi deliberati non hanno
forza vincolante, il pa-drone nonostante deliberazione avversa è libero
di applicarla o meno.
Si potrebbe ravvisare qui una similarità con le strutture italiane delle
Rappresentanze Sindacali Unita-rie, RSU, o Consiglio dei Delegati o Commissione
Interna. Ma non è così.
L’intera struttura si regge una dichiarazione di principio, su un obbligo
ferreo, ossia sul principio di lealtà verso l’azienda, sul principio
della collaborazione, giacché tale struttura non è esterna, auto-noma,
indipendente dall’azienda, come le RSU, per esempio, è struttura
dell’azienda.
E’, infatti, una struttura che ha il ruolo di gestione dell’impresa
e questa la identifica de jure e de facto come struttura dell’impresa,
interna all’impresa e non controparte del padrone.
La legislazione la identifica quale struttura dell’azienda. I membri di
tale Consiglio sono tenuto al si-lenzio, anche in presenza di notizia riguardanti
la chiusura o licenziamenti o strategie aziendali che possono danneggiare i
lavoratori, o…
Veniamo adesso alla composizione del Consiglio, ossia di questa prima forma
di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.
esiste in merito un’attenta e dettagliata legislazione.
viene costituito nelle imprese che hanno almeno cinque dipendenti.
Si costituisce per iniziativa o di lavoratori o dell’organizzazione sindacale
esistente nel luogo di lavoro.
Il numero dei rappresentanti da eleggere varia da 1 a 31 fino alle fabbriche
di 9000 dipendenti, per l’azienda con più di 9000 dipendenti scattano
due delegati ogni 3000 dipendenti.
Scatta adesso una differenziazione nella composizione. La legislazione prevede
la presenza di quella che viene chiama nel diritto tedesco “ rappresentanza
di interessi”, o “ principio della rappresentan-za proporzionale
dei gruppi”.
Abbiamo così la rappresentanza per singoli reparti e stabilimenti, per
sesso, per categoria in base al loro rapporto numerico, per giovani, per impiegati,
per tecnici, per gruppi, ecc.
E qui per “ gruppo” si intende un gruppo costituito da almeno cinque
lavoratori che si identificano in base a comuni interessi.
A parte, infine, abbiamo una struttura parallela che è il Comitato dei
funzionari dell’azienda.
Abbiamo così che la legge spinge alla divisone corporativa ed all’organizzazione
corporativa dei lavora-tori, avendo così una composizione frammentata
del Consiglio.
La legge, cioè, persegue la linea ideologica della frantumazione e rottura
della rappresentatività ope-raia, dell’unità dei lavoratori.
La cosa si profila in tutta la sua gravità, se noi introduciamo qui quell’assenza
dell’organizzazione sin-dacale sul luogo di lavoro, l’unica in grado
di svolgere un ruolo di sintesi e di ricomposizione unitaria del-la ricca e
complessa realtà del mondo del lavoro; ancora di più se introduciamo
qui l’assenza di qualsiasi agibilità sindacale sul luogo di lavoro
e nelle ore di lavoro; e se, infine, introduciamo qui l’essere il Con-siglio
organo interno all’azienda, organo dell’azienda.
Giustamente, a tal proposito, il Sindacato ne ha denunciato la chiara volontà
di frammentazione della rappresentanza di interessi dei lavoratori.
Torniamo alla composizione del Consiglio.
Il Sindacato, presente sul luogo di lavoro, può candidare suoi uomini,
sostenere, cioè, particolari candi-dature, ma questo non come sindacato,
bensì come singolo individuo su cui vengono, poi, a converge-re voti
degli iscritti di quel sindacato. Ma l’eletto non ha alcun obbligo verso
quel sindacato, giacché egli deve la fedeltà all’azienda
ed al principio della codecisione, le cui materie sono disciplinate da una ricca
e particolareggiata legislazione.
L’eletto, a differenza del funzionario sindacale, gode della massima agibilità
anche durante le ore di la-voro all’interno dell’azienda.
In sostanza.
Il Consiglio eletto dai lavoratori presenta una forte frammentazione ed una
forte caratterizzazione cogestionaria per obbligo di fedeltà e di silenzio.
In questa proiezione esso si configura come controparte dei lavoratori, pur
essendo stato eletto dai lavo-ratori e nei migliori casi “ camera di compensazione”
della conflittualità, ma sempre in veste di “ contro-parte”.
Questo organismo subisce adesso un ulteriore ridimensionamento dalla seconda
forma della rap-presentanza dei lavoratori all’impresa, che ne limita
drasticamente gli àmbiti d’azione:
il Consiglio di Sorveglianza.
La legislazione tedesca per le società a carattere societario, prevede
due organismi:
l’Organo di Direzione,
l’Organo di Sorveglianza.
All’Organo di Direzione compete la direzione sociale dell’impresa,
corrisponde al nostro Consiglio di Amministrazione d’impresa.
I lavoratori tramite loro rappresentanti partecipano all’Organo di Sorveglianza.
C’è da dire qui che tutto il fascino e l’attenzione per la
legislazione tedesca sul lavoro è tutta qui, in questa partecipazione
dei lavoratori su base elettiva all’Organo di Sorveglianza.
Costituisce nella forma giuridica lo strumento tramite il quale viene esercitato
il diritto all’informazione.
Costituisce, cioè:
“ non ma vera e propria compartecipazione alla gestione, ma una di vera
modalità di esercizio di diritti ed informazione e controllo già
attribuiti alle rappresentanza dei lavoratori tramite i Consigli” .
Questo è quello che viene chiamato “ codecisione”, che tanto
clamore ed interesse ha suscitato e su-scita e che fa poi parlare di “
modello tedesco”, che la legislazione dell’Unione Europea ha poi
posto a base del Diritto del Lavoro nell’U.E.: vedi tutta la legislazione
dell’UE sui Comitati Aziendali EU-ropei ( CAE ), la strumentazione giuridica
all’informazione, la legislazione circa la presenza dei lavo-ratori nei
comitati aziendali, ecc..
Già così tale struttura costituisce un involucro vuoto, per la
totale assenza di reali poteri e campi ed àmbiti di attinenza.
Già così questa struttura appare diluita, stemperata: concessione
formale, referente inchino al mondo del lavoro, per poi svuotarlo di qualsiasi
pur minima valenza, ma ottenendo in cambio la subalternità ideologica,
cioè la corresponsabilità nelle scelte del capitale monopolistico
tedesco, senza alcuna pos-sibilità pur minima di incidervi. La struttura
costituisce solo una parvenza di “ democrazia industria-le” e si
configura come “ cinghia di trasmissione” del consenso capitalistico.
Adesso sia pure che tutto ciò avvenga con un reale ruolo di incidenza
dei lavoratori in tali due Consi-gli: dell’unità produttiva e di
Sorveglianza.
Il tema “ lavoro” viene schiacciato esclusivamente sulla dimensione
economicistica, staccato cioè da tutte le sue componenti: politica industriale,
politica estera, politica finanziaria e di programmazione dello Stato, ecc.
ecc. ecc. ecc., che agiscono nella realtà , ma al lavoratore viene presentato
unicamen-te l’aspetto ultimo, finale, su cui poi viene chiamato a “
decidere”, che avvalla tutto il resto, ma non sa tutto il resto.
Tornando adesso alla struttura reale del Consiglio di Sorveglianza.
Essa subisce ulteriori e pesanti limitazioni e mortificazioni.
La struttura non è affatto unica, essa si articoli in tre modelli, diversi
l’uno dall’altro ed interes-sa settori diversi e dimensioni aziendali
per numero di dipendenti diversi.
Il primo modello interessa secondo i dati al 1990 non più di ventidue
( 22 ) società.
E’ questo il modello di “ codecisione paritetica”, o “
qualificata” e riguarda il settore carboside-rurgico. Il modello si caratterizza
come codecisione forte, giacché prevede una presenza paritaria di lavoratori
ed azionisti in seno all’Organo di Vigilanza della società.
L’àmbito di applicazione è limitato alle società
per azioni, in accomandita, a responsabilità limitata e consorzi minerari
con più di mille ( 1.000 ) dipendenti.
Il Consiglio è composto da undici ( 11 ) membri : 5 lavoratori ( 2 su
proposta sindacale e 3 su propo-sta dei Consigli dell’unità produttiva
) e cinque da parte degli azionisti. Essi eleggono l’undicesimo membro
che sarà il Presidente. Se alla prima votazione non si raggiunge il quorum
dei 2/3, allora il Presidente viene eletto in seconda votazione dai cinque azionisti.
La legge istitutiva del 1956 subisce modifiche nel 1967, nel 1971, nel 1981
e nel 1990.
Le modifiche riguardano l’estensione alle società madri dei gruppi
il cui fatturato supera una deter-minata soglia, il campo di applicazione viene
contratto, così da interessare le società che hanno alme-no 2000
dipendenti, dai 1000 della prima formulazione del 1956.
Nella realtà delle cose questo settore già a partire dal trattato
di Roma dei primi anni Cinquanta e dal-la costituzione della Ceca, Commissione
Europea per il carbone e l’acciaio, era sotto la legislazione europea
e degli organi di direzione della Ceca , che delimitavano e predeterminavano
fortemente in-dirizzi, scelte, ecc. ecc.
Di qui la magnanimità del capitale monopolistico tedesco.
Il secondo modello, che interessa circa 1500 aziende, viene
denominata a “ cogestione minore” o “ semplice”. Costituisce
cioè il modello debole, o codecisione debole.
I lavoratori partecipano nella misura di un terzo, 1/3.
Ne sono interessate le società che hanno tra i 500 ed i 1000 dipendenti
nel settore carbo-siderurgico
e tra i 500 ed i 2000 addetti in tutti gli altri settori.
Qui la scena cambia.
Il sindacato non ha alcun potere di designazione, neanche di semplice proposta.
Le candidature sono presentate o dai lavoratori o dai Consigli dell’unità
produttiva e la votazione av-viene per elezioni generali e segrete.
Il terzo modello, regolato dalla legge del 1976 – sull’onda
del forte innalzamento delle lotte operaie in Germania ed in Europa oltre che
nel mondo- interessa non più di 500 società. di cui 300 sono SpA
e 203 Srl, società a responsabilità limitata.
Interessa imprese organizzate in forma societaria e che hanno più di
2000 dipendenti.
Costituisce il modello di codecisione medio.
In sostanza di fronte all’innalzamento delle lotte operaie vi è
una estensione di diritti, prontamente ri-dimensionati dal restringimento del
campo di interesse: 2000 dipendenti, oltre che da una legislazione sollecita
a restringerne àmbiti e valenza.
Il Consiglio di Sorveglianza è costituito su base paritetica.
La rappresentanza dei lavoratori può essere di 6, 8 o 10 di cui 2, 2
e 3 di estrazione e designazione sindacale. Si ha cioè che se sono 6
i membri della rappresentanza dei lavoratori: 2 sono di nomina sindacale, tale
da avere 2 sindacali e 4 dei lavoratori; se sono 8 i membri: 2 sindacali e 6
dei lavorato-ri; se, infine, sono 10 si ha che 3 sono di nomina sindacale e
7 di nomina dei lavoratori.
Inoltre se nella prima riunione non si raggiunge il quorum dei 2/3 per l’elezione
del Presidente, si procede ad una elezione di secondo grado in cui il padronato
si elegge il Presidente ed i lavoratori il vice-presidente. In caso di parità
nella votazione il voto del Presidente diviene determinante.
Si ha così che il Presidente del Consiglio di Sorveglianza è già
deciso, ed unicamente, dal padronato, i lavoratori devono decidere se votarlo
e quindi raggiungere i 2/3 oppure vederselo votare lo stesso dal padronato.
Inoltre il Direttore del Lavoro, rappresentante dei lavoratori nel consiglio
direttivo d’azienda, che in precedenza non poteva essere eletto contro
la maggioranza dei voti dei rappresentanti dei lavoratori, adesso ha bisogno
solo della maggioranza relativa e la maggioranza relativa si ottiene con 9 a
favore del padronato, 10 contro da parte dei rappresentanti dei lavoratori,
giacché il voto del Presidente in questo caso vale 2 e si ottiene così
la votazione di 10 ad 11 e questo nel caso che il rappresentante per i quadri
direttivi voti contro.
Inoltre in questo modello, assente negli altri due, scatta il principio della
rappresentanza proporziona-le dei gruppi di minoranza, che si è visto
nei Consigli dell’unità produttiva.
Si ripresenta così quella frammentazione del mondo del lavoro di cui
si è detto.
La “ sensibilità” padronale si configura qui strumento di
divisione e di “ addomesticamento” di un organismo già di
per sé pletorico se non retorico.
“ Sensibilità” che la legge non ha affatto per la rappresentanza
degli azionisti.
Il sistema di votazione prevede la formula diretta per le società fino
a 8000 dipendenti, mentre per le società con più di 8000 dipendenti
prevede la formula indiretta, ossia vengono eletti prima i delegati, o “
grandi elettori”, che riuniti nominano i membri della rappresenta dei
lavoratori.
La legislazione lascia però a ciascuna singola realtà di adottare
l’uno o l’altro sistema, in mancanza di accordi preventivi, vale
quanto la leggi stabilisce.
In Sintesi.
Il modello tedesco, la cogestione, si è rivelato unicamente come espediente
della classe capitali-stica contro il movimento dei lavoratori.
Essa ha visto la luce ed i suoi sviluppi sono stati contrassegnati in maniera
decisiva dall’andamento della lotta di classe del proletariato tedesco
ed europeo contro la classe capitalistica ed il sistema ba-sato sulla proprietà
privata.
“ La cronologia è l’occhio della Storia”, soleva insegnare
Carlo Cattaneo.
Nasce, infatti nel 1920 all’indomani della Rivoluzione in Germania del
febbraio 1919 diretta da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, poi assassinati brutalmente.
Sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre e dell’ondata rivoluzionaria
che sconvolge l’intera Europa ( Italia con i Consigli: biennio rosso 1919-20,
Gramsci, ecc. , Repubblica dei Soviet in Ungheria con Bela Kun, ecc. ) ed il
mondo intero, la classe capitalistica cerca di porvi un argine con la repressione
violenta e sanguinaria e con una politica di concessione in Francia, Germania,
Inghilterra nel periodo 1919-1924/26. Dentro questo quadro nasce il modello
di cogestione tedesco, ma avrà poca rilevanza. Verrà sostituito
dalle corporazioni naziste.
Rinasce all’indomani del 1945 in una fase di acuta lotta di classe che
attraversava l’Europa ed il mondo sull’onda della lotta di resistenza
contro il nazismo e sull’onda dell’avanzata dell’Armata sull’esercito
nazista. Nasce dopo i pesanti condizionamenti anglo-statunitensi, di cui si
è detto e vede la luce nel 1951 ed in maniera molto limitata e molto
condizionata.
Subisce modifiche varie, ma l’unica “ impennata” in senso
positivo la riceve con la legge del 1976, anche questo dentro il più
generale avanzamento del movimento operaio in Europa e nel Mondo: è il
periodo 1968-1976, ma subito, smorzati i toni e tendenze, viene ridimensionata
con le modifiche del 1981 e poi del 1990. Ma anche nella versione del 1976 la
base reale di esistenza è ristretta e non esce dalla pura esistenza formale
e non coinvolge più di 3-4milioni di lavoratori tedeschi.
E’ strutturato in chiara ed inequivocabile opposizione all’organizzazione
sindacale sul luogo di lavoro e la cui vita avviene nel più generale
clima antisindacale,che caratterizza l’intera vita della Repubbli-ca Federale
Tedesca: alcuna legislazione per l’organizzazione sindacale sui luoghi
di lavoro, nessuna agibilità sindacale e meno che mai alcun utilizzo
di locali dell’azienda neppure per l’elezione dei fun-zionari sindacali,
ecc. ecc. L’organizzazione sindacale sul luogo di lavoro de jure e de
facto è posta fuori dall’azienda, fuori dai cancelli.
Su questa base viene ad intrecciarsi, ed ad intersecarsi,
la teoria, la strategia e la tattica del Partito Socialdemocratico Tedesco (
SPD ).
I due momenti – istanze capitalistiche e istanze della Socialdemocrazia
– vanno tenuti ben distinti, hanno percorsi diversi e sono animati da
istanze diverse.
Già a partire dal 1910-1911 viene a svilupparsi in seno alla Socialdemocrazia,
e meglio in seno alla IIa Internazionale, ossia dell’organizzazione mondiale
dei lavoratori, un dibattito sulla via da seguire, che darà vita a due
strade diverse: quella della Rivoluzione d’Ottobre di Lenin e l’altra
dell’SPD.
L’idea strategica che l’SPD voleva perseguire era quella di sviluppare
ed affermare il ruolo di direzione della classe operaia tedesca, di mettere
in movimento l’ascesa del proletariato quale classe egemone e dirigente
in grado di conquistare il potere politico; idea strategica delineata sul piano
teorico da Karl Kautsky, La via al Potere, del 1909, che costituisce asse centrale
di tutto l’elaborato futuro della Socialdemocrazia e da cui
Qui lo scritto di Karl Kautsky, La via al potere del 1909 è decisivo.
Occorre qui tenere ben fermo che il movimento operaio e socialdemocratico tedesco
aveva costi-tuito a partire dal 1870 e fino al 1905-1907 ( Rivoluzione russa
del 1905 ) il centro del proletariato mondiale e quindi il cuore ed il motore
della IIa Internazionale, per la centralità che la Germania ve-niva ad
avere nel sistema capitalistico mondiale, come avevano ben indicato Marx ed
Engels.
Questo centro tenderà a spostarsi verso la Russia a partire dai primi
anni Ottanta, come Karl Marx aveva indicato in sua lettera. Qui Marx indicava
una tendenza, invitando i quadri allo studio di questa tendenza: da qui poi
l’ira di Marx quando l’intelligente di turno ritenne di darvi una
pubblicità, in un momento per giunta inopportuno.
La sponda d’approdo del dibattito kautskiano, diciamo così, è
appunto la tattica dei Consigli della “ cogestione”, usiamo qui
un termine non corretto, ma è per rendere il concetto, ovviamente non
era questo il termine dell’SPD ed il cui scopo di tali Consigli era tutt’altro
nella tattica dell’SPD, che proponeva appunto il conseguimento del Programma
del Partito della Socialdemocrazia Tedesca.
Ma la cosa avviene per iniziativa del capitale monopolistico tedesco come si
è visto, ma l’idea era stata sviluppata dall’SPD e dall’ASDG,
il sindacato a direzione socialdemocratica, e dentro la più ge-nerale
discesa della centralità dell’SPD e della Germania, essendosi spostato
il centro, come aveva in-tuito Marx, dalla Germania alla Russia, già
a partire dalla Rivoluzione del 1905.
La Germina usciva sconfitta dalla 1° guerra mondiale e l’SPD era debole
e dovette accettare di gioca-re sul terreno imposto dalle scelte del capitale
monopolistico tedesco, non riuscendo a condizionarlo, ma subendone l’iniziativa
e quindi in maniera subalterna.
Non diversamente nella 2° guerra mondiale, ove intervenne in maniera pesante,
come si è visto, non solo l’imperialismo inglese e soprattutto
quello statunitense, piano Marshall, ecc. ma l’intera struttura sindacale
della TUC britannica e dell’AFL statunitense.
Il Bilancio.
Il bilancio di questa forma di coinvolgimento della classe operaia nella gestione
delle imprese, prenden-do qui l’impianto, la teoria, la strategia e la
tattica dell’SPD e della Socialdemocrazia della IIa Internazionale, si
rivela insufficiente.
I risultati ottenuti si presentano innanzitutto inferiori ai vantaggi tattici
e strategici che il capitalismo ha conse-guito e consegue.
Passi in avanti nella direzione indicati da Kautsky, La via al Potere, e dai
deliberati di Congressi dell’SPD e della IIa Internazionale non ne sono
stati fatti.
La via, la tattica, si è rivelata non corretta, non avendo consentito
il conseguimento degli obiettivi posti dalla strategia. come indicato dal Programma.
La classe operaia non ha arricchito la sua esperienza di classe egemone e dirigente,
non è progredita la sua capacità di classe di governo e non sono
state fatte sostanziali esperienze e passi in avanti in tale direzione.
Ci sembra, invece, che l’impianto e l’idea-strategica abbiano conseguito
migliori risultati in termini di cre-scita organizzativa, politica, egemonia
e capacità di direzione nell’esperienza della socialdemocrazia
svede-se, che approderà al progetto Meidner, che pur si dipana da quell’impianto
dell’SPD e della IIa Interna-zionale.
Vedremo meglio, in una prossimo monografia, quando tratteremo l’esperienza
del movimento operaio e sindacale svedese.
Ci sembra, inoltre, che maggiore consistenza sia data dal
Movimento Operaio e Sindacale Italiano, che ha sviluppato altre varianti a quell’impianto
base, in condizioni diverse ed in altro àmbito di teoria, di stra-tegia
e di tattica.
Non solo mostra una visione strategia e globale, ma una visione nazionale del
Sindacato, in modo specifico e preponderante la CGIL – e qui ad essa sempre
faremo riferimento – con una tattica intelligente a partire dal Piano
per il Lavoro del 1948-54, ma ha elaborato una ricca esperienza ed organizzazione
sindacale che combina il livello dell’organizzazione sindacale sui luoghi
di lavori, che costituisce qui struttura base, cellula, dell’organizzazione
sindacale con i tutti i livelli superiori: categoriale, territoriale, confederale,
complessità che le consentirà una forte dinamicità all’elaborato
ed al dibattito.
Si caratterizza anche per una pratica multidimensionale nella elaborazione e
nel concorrere alle linea di politica economica, sociale, civile e culturale
con un rapporto fertile, anche se spesso conflittuale e sofferto, con le or-ganizzazioni
politiche della sinistra. Ed infine si caratterizza per una pratica di democrazia
operaia con il suo culmine negli anni 1968-1976: stagione dei Consigli.
Il centro di discrimine, qui, il nodo strategico, che fa poi per intero la differenza,
sta nella centralità dell’organizzazione sindacale sul luogo di
lavoro.
Questa esperienza si coniuga con l’ancor più importante esperienza
delle Cooperative in italia.
Ma anche questa sarà oggetto di una specifica monografia, nel contesto
di un ragionamento più com-plessivo sull’esperienza del movimento
operaio europeo.