Biblioteca Multimediale Marxista


LA BIOETICA


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1895 - 1995
CENTENARIO DI
FEDERICO ENGELS


LE COSCIENZE DEGLI UOMINI
E LE SFIDE DELLO SVILUPPO
SCIENTIFICO E TECNOLOGICO.





" spostare le cose, gli uomini e le coscienze"
Napoli, 25. novembre. 1995



PREMESSA
Gli sviluppi scientifici e tecnologici, specie nel campo della medicina, pongono problemi e questioni nuovi.. Problemi assolutamente inediti si pongono dinanzi alla coscienza degli uomini, che sono chiamati a pronunciarsi, a decidere.
Questi problemi si articolano essenzialmente attorno a due questioni: questione della democrazia: i livelli, le forme istituzionali, i luoghi del processo decisionale; legittimità del mandato nelle nuove condizioni, prodotte da tali sviluppi scientifici; questione della bioetica: la liceità, moralità, giustezza di tali scoperte, del proseguirli ed applicarli; e quindi il divieto di tutte o parti di queste e consequenziale regolamentazione e normatizzazione.
Le due questioni in realtà sono l'una legata all'altra e molti problemi si pongono a livello della bioetica proprio ed esattamente per la non gestibilità sul piano della democrazia di questi possenti sviluppi; e per converso molte questioni si pongono sul piano della democrazia proprio per la non sufficiente chiarezza di prospettive, sul lungo periodo, di tali sviluppi scientifici e tecnologici.
Affronteremo qui la questione della bioetica, in una successiva, nel corso del 1996, la problematica relativa alla democrazia.
Occorre prima intendersi su quali siano questi sviluppi, liberare il campo da idee, teorie, visioni e concezioni non corrette, scientificamente non valide, che rifiutano di accettare il nuovo e frappongono ostacoli e solo successivamente affrontare il riflesso di questi sviluppi scientifici sul piano della democrazia.

Definizione del campo d'indagine
.
Innanzitutto occorre definire bene il campo d'indagine. Esso si riferisce unicamente ed esclusivamente ad un gruppo ben preciso di problemi, determinati dallo sviluppo scientifico e tecnologico nel campo della medicina e che ruotano tutti attorno al concetto di ' vita' ' morte', ' rapporto vita-morte'. I problemi sono: a. la fecondazione assistita, nelle sue varie forme; b. l'aborto; c. l'eutanasia; d. il trapianto d'organo; e. la manipolazione genetica, ossia l'intervento dell'uomo sulla struttura del DNA. Questo è il centro. Si aggiungono a questi altri temi quali:
a'. la responsabilità verso le generazioni future;
b'. l'ecologia;
c'. il consenso informato.
Per quanto attiene il consenso informato va fatto rientrare entro la più complessa e generale questione della democrazia, configurandosi come una forma specifica della partecipazione al processo decisionale. La responsabilità verso le generazioni future è inerente ad una prudenza e più attenta valutazione sul lungo periodo di effetti, oggi positivi, ma che possono rivelarsi negativi, con effetti collaterali indesiderati. Essa pone, e rimanda, alla necessità di una gestione globale dell'intero processo organico uomo-natura, ossia dell'intero processo di produzione, superando gli attuali limiti, settoriali ed angolazioni ed interessi angusti, individuali, privati. Esso fa tutt'uno con quello dell’ecologia, configurandosi l'ecologia come sezione particolare di questa tematica e che in quanto tale rimanda, confermando e rafforzando, l'esigenza di superare gli attuali angusti confini ed àmbiti nel quale il processo produttivo è costretto a muoversi.
Questa tematica potrà essere in futuro oggetto di specifica attenzione dell'Istituto, ma occorrerà il concorso di una molteplicità di saperi: dalla Fisica, alla Medicina, alla Astrofisica, all'Economia, alla Chimica, ecc. ecc. Il dibattito sulla cosiddetta ' bio-etica' oggi verte essenzialmente sulle questioni indicate ed hanno al centro la problematica vita-morte. I problemi sono: a. la fecondazione assistita, nelle sue varie forme; b. l'aborto; c. l'eutanasia; d. il trapianto d'organo; e. la manipolazione genetica, ossia l'intervento dell'uomo sulla struttura del DNA. Tale gruppo di problema inerisce la Medicina.
La Medicina.
Il dato più immediato è che lo sviluppo della scienza medica mette in crisi l'etica. Indico qui il campo più generale i cui rami specifici sono tra l'altro: la Biologia, la Genetica, la Fisiologia, la Fisiopatologia, la Ginecologia, la Biochimica, la Chirurgia: la micro e macro chirurgia dalla ingegneria genetica al trapianto d'organi e tutti interconnessi dal più generale concetto di ‘ vita’. Il ruolo e la funzione di autentico scardinatore è svolto dalla medicina. E' il suo progredire che scompagina l'intera costruzione, mettendola decisamente alla berlina. Ed è questo un procedere spontaneo, naturaliter, senza alcuna intenzione o volontà di... . Ed i cui artefici principali: scienziati, operatori sono, poi, essi stessi sostenitori convinti di quei princìpi e di quell'etica, che il loro operare mette così implacabilmente alla berlina. La medicina riveste un ruolo chiave, centrale, decisivo nelle grandi scelte dell'umanità. E’ in definitiva il suo procedere che spazza e consente una più ampia concezione. Nel più complessivo rapporto Uomo-Natura la medicina occupa, volendo raffigurarci la cosa militarmente, il centro della prima linea. Vediamo la cosa più da vicino. Del rapporto Uomo-Natura la medicina legge il rapporto vita-morte, si muove dentro questo asse, questa direttrice e modifica questo rapporto. Un uomo esposto alle più strane ‘ bizzarrie’ della ‘ Natura’: dalle malformazioni genetiche a quelle acquisite, dalle modificazioni cliniche per gli agenti esterni, dalle modificazioni cliniche e patologiche di natura violenta è un uomo schiacciato, che esce schiacciato da questo confronto, che è confronto quotidiano degli uomini e che riguarda la loro singola vita, la loro singola esistenza. Se da questa esperienza l'uomo ne esce mortificato, schiacciato, impotente, la sua visione delle cose, l'idea, il concetto che ha di sé e delle sue capacità è mortificata, schiacciata, annichilita. In queste condizioni di sottomissione alle ‘ oscure forze della natura’ non può che misticizzare, ecco che allora una serie di gravi malattie epidemiche vengono lette come castigo del dio, punizione a cui solo la purificazione può porre rimedio per placare l'ira del dio. E questo dio sarà ‘ irato’ o ‘ addolorato’ a seconda delle religioni e dell'epoca storica. Altre malattie invece, la cui estrinsecazione formale è eversiva: la pazzia, l'epilessia, ecc. sono lette come attribuzioni divine o possessioni demoniache. Altre ancora sono viste come punizione, pegno, da pagare per conquistare un qualcos’altro, un qualcosa extra-terreno. Questo stato di totale subalternità alle ‘ forze oscure della natura’ trova poi la sua estrinsecazione teorica, la giustificazione - ed in termini psicologici la sua sublimazione - nella teoretica cristianea dell'essere questa una valle di lacrime, dove i dolori, le sofferenze sono le prove che il dio imporrebbe per verificare la rettitudine morale e la fedeltà al dio. Ma occorre dire che lo stato delle conoscenze scientifiche non consentendo di spiegare e dovendo l'uomo - per sua natura razionale- spiegarsi o darsi spiegazione consentiva simili spiegazioni. Esse trovavano poi il sostegno nelle classi dominanti che attraverso questa teoretica potevano darsi al più brutale sfruttamento ed imporre la loro presenza, che così veniva legittimata.
Un'autentica rivoluzione nel pensiero, che trovò ostacoli enormi, fu la teoria di Ippocrate sui ‘ Mali oscuri’. Non esistono malattie ‘ sacre’ poiché tutte dipendono dalla dieta e dalla alimentazione. L'introduzione di un simile principio scientifico avrà conseguenze nel tempo sul piano morale e religioso. Ovviamente questa teoria aveva molti punti deboli: tutto non è riconducibile alle diete ed alle alimentazioni ed infatti la scienza medica fino al XVII-XVIII secolo si basava su clisteri, salassi e prescrizioni alimentari con decotti e simili; aveva però un grande pregio teorico- che poi è andato perso nella scienza medica capitalistica legata al massimo profitto - quello di considerare l'unitarietà uomo-ambiente. Il progredire, allora, della scienza medica è lo spostare in avanti questo rapporto; è un sottrarsi dell'uomo da questo rapporto per uno più avanzato. Finora la medicina si è attestata sulla linea di combattere e contrastare le malformazioni genetiche e le modificazioni cliniche da agenti esterni e di natura violenta. Una linea sostanzialmente di difesa, giammai di attacco. Con la riproduzione di elementari sostanze organiche in laboratorio, l'uomo ha conquistato nuove vette e costruita una linea più avanzata. Con la riproduzione in laboratorio di proteine l'uomo ha raggiunto l'obiettivo di riprodurre la vita al di fuori del puro accoppiamento sessuale. Si chiude così un'intero ciclo storico dell'umanità - la preistoria dell'uomo - mettendo fine al vecchio rapporto Uomo-Natura, aprendo nuove frontiere. La produzione in laboratorio di proteine, e dell'albumina, ha tracciato le nuove linee della nuova frontiera. L'uomo riproduce scientemente, volontariamente, razionalmente la vita e le condizioni della vita. E' g i à un altro, e più avanzato rapporto. Quel livello, quella frontiera dava, poi, q u e l l a etica, espressione e s a t t a m e n t e di quel livello, di quella frontiera. Consequenzialmente il superamento comporta la caduta serena, tranquilla di quella precedente concezione teorico-astratta della vita. Perché, poi, a ben guardare l'etica non è che la concezione teorico-astratta della vita, dell'essere degli uomini. Sono poi gli interessi delle classi dominanti che fissano violentemente quel livello, perché da quel livello esse sono legittimate e delegittimate dal nuovo livello; perché da quel livello esse si sentono realizzate, costringendo lo sviluppo delle forze produttive entro àmbiti che non superano quel livello di guardia Il concetto di fondo che qui va fissato è questo. Il pensiero umano in una data epoca o fase storica costituisce un tutt'uno, con i livelli scientifici raggiunti, che rimandano al rapporto uomo-natura, ossia che rimandano al come avviene la riproduzione delle condizioni materiali di esistenza degli uomini. Ora la riproduzione delle condizioni materiali di esistenza è non solo le condizioni più immediatamente materiali di esistenza, ma anche di quelle spirituali, perché l'uomo è l'unità materia-spirito, ossia l'attività umana si estrinseca nell'unità materia-spirito, ove i due termini esprimono solamente, unicamente, forme diverse dell'agire umano, letture da angolazioni diverse di un unico processo, del processo del divenire dell'uomo, esprimono unicamente e solamente il " fissare la quiete". Ma siamo - come indica Engels - noi che fissiamo, nella realtà tutto passa costantemente l'uno nell'altro. L'unitarietà del pensiero umano comporta, come fatto tranquillo, il decadere di questa o quella visione, nel momento in cui non si pongono più quelle condizioni che l'avevano determinata. In una realtà in cui la peste mieteva vittime, costituendo un autentico flagello, il livello scientifico, alimentare, igienico è quello e non un altro. Ciascuno è risultato e producente dell'altro: si tratta solo di vedere da quale angolazione si legge il processo del divenire e cosa si fissa: la risultante è q u e l livello generale e complessivo, che rimanda a quei livelli specifici, dove i singoli livelli specifici non sono tutti dello stesso grado, si differenziano in gradi maggiori o minori: la risultante è - diciamo - la ‘ medietà’, la risultante dialettica. Avevamo iniziato questo ragionamento sulla medicina dicendo che il suo procedere scompagina. Ed è uno scompaginare disordinato, che colpisce ora questo ora quell'aspetto, mettendo in crisi ora questo ora quel concetto e lasciando poi lì le cose. Vale qui quanto dice Engels sullo sviluppo delle forze produttive. Questo modo di procedere aumenta l'instabilità del precedente sistema teorico, sottoposto a costante sollecitazioni eversive e destabilizzanti, creando confusione ed alzate di scudo perciò stesso cruente, violente, e perciò stesso scomposte. E questo ‘scomposto’ apre maggiori e più gravi lacerazioni, facendo chiaramente intravedere i più gretti e meschini ed ottusi interessi, neanche di classe, ma di casta, di clan, di conventicole, facendo chiaramente vedere tutta la miseria di un pensiero necessitato, prodotto da un angusto ed asfittico sviluppo delle forze produttive. E questo rende più vulnerabile quel sistema e consente una maggiore comprensione e quindi superamento e l'abbandono. Nei secoli, la nascita e la morte sono sempre rimaste uguali a se stesse, accomunando la sorte dell'uomo a quelle degli altri esseri viventi. La vita era uno spazio di tempo dato ed imprevedibile, incastonato tra un inizio ed una fine, entrambi dominati dal caso e da imprescindibili leggi naturali. L'inizio e la fine della vita hanno subìto una triplice trasformazione. Ciò che appariva continuo ed indivisibile è stato frammentato e disgiunto nel tempo e nello spazio. Innanzitutto si è separato l'atto sessuale dalla fecondazione con l'avvento degli anticoncezionali e dell'inseminazione artificiale. Poi si è dissociata la fecondazione dal vero concepimento con la manipolazione in vitro e gli impianti in utero. La possibilità, infine, di far svolgere alcune fasi fuori dal corpo della donna in laboratorio ha consentito di analizzare e scomporre tutti i passaggi che conducono alla nascita di un nuovo individuo. Contemporaneamente a questo si è sviluppata ed approfondita la conoscenza degli elementi fondamentali non solo della vita, ma dei meccanismi della riproduzione, riuscendo ad isolare il nucleo fondamentale della riproduzione il DNA e scoprirne poi la struttura e poi i singoli elementi che lo compongono, poi come esso si duplica e l'intero meccanismo di duplicazione e falsificazione, poi ancora gli elementi che soprassiedono alle varie fasi del processo di sdoppiamento/duplicazione/trascrizione del DNA; riuscendo infine a riprodurre in laboratorio non solo tutte le fasi, ma a separare ciascuna fase ed intervenire nelle singole fasi innestandosi così sulla sequenza degli elementi del DNA: manipolazione. Sino a pochi anni fa l'attività del respiro, del cuore e del cervello erano ritenuti concomitanti, simultanei, così che il destino dei singoli organi di un organismo appariva indissolubilmente legato a quello dell'insieme. Anche qui ciò che appariva continuo ed indivisibile è stato frammentato e disgiunto nel tempo e nello spazio ed ogni singolo elemento e le fasi di vita e morte di ciascuno sottoposto ad uno studio e scoperti gli aspetti fondanti delle sue funzioni vitali e del suo singolo e specifico processo di vita. Prima si è appreso come ripristinare il battito del cuore o sostituire l'attività respiratoria. Il cervello può mantenere intatte le sue funzioni nonostante il cedimento di organi vitali; oppure, all'inverso, gli altri organi possono continuare una vita vegetativa anche se il cervello, o almeno la sua parte cosciente e pensante è distrutta. Infine con le colture ed i trapianti, i singoli organi tessuti e cellule possono proseguire a vivere fuori dal corpo delle persona cui appartengono. Ed i due grandi archivi biologici, depositari dell'identità e della memoria, il genoma ed il sistema immunitario, non appaiono più inviolabili: essi sono stati decifrati, forzati e teoricamente potrebbero essere messi a soqquadro.


LA FECONDAZIONE ASSISTITA
Quando inizia la vita? Complesso è il compito di stabilire un ‘ inizio’, a causa di mutamenti di prospettiva prodotti dalle nuove tecnologie riproduttive, che staccano, in fasi separate e distinte ciò che prima appariva inscindibile. Il processo riproduttivo, per secoli occultato nell’intimità, non è più atto privato. In realtà esso era semplicemente occultato in quanto tale processo faceva tutt'uno con la privacy dell'atto sessuale. Questi due elementi finivano così per identificarsi strettamente, proprio per quel continuum, oggi spezzato, disgiunto nello spazio e nel tempo. Lo sviluppo della conoscenza ha consentito da una parte di intelligere parte del processo produttivo a tal punto da poter intervenire, ponendo fine a quell'occulto e dall'altra di separare l'atto sessuale dalla necessità riproduttiva per la conservazione della specie. In tal modo lo stesso atto sessuale viene ad acquisire nuovi contenuti e caratteri, delineandosi come atto di libertà e non più di necessità tra due soggetti e quindi uscire in tutta la sua ‘ vis’ l'elemento della ‘ privacy’: essendosi liberato dalla stretta necessità della riproduzione al fine della riperpetuazione della specie. In passato, invece, esso si identificava strettamente, confondendosi e facendo tutt'uno, con la necessità riproduttiva, finiva così per assumere carattere distorcente e mistificante nella coscienza dei singoli e nella coscienza collettiva e quindi finendo per configurarsi come atto fermo ed inoppugnabile culturale e civile: fino a configurarsi vergogna la sterilità da una parte e la nascita del figlio come consumazione del matrimonio e dove il termine della giurisprudenza canonica ‘ consumo’ la dice lunga sul concetto di donna nelle precedenti società, ove donna era strettamente identificata con ‘ femmina’ e se letti entrambi i termini: ‘ consumo’ e ‘sterilità’ l'uno immagine speculare dell'altro ci dà il segno chiaro ed inequivocabile del livello bestiale non solo del livello di vita degli uomini, ma anche del concetto bestiale che essi stessi avevano di sé. E questo già basterebbe di per sé per investire, come poi investe, gli uomini di nuovi ed inediti problemi, ma le ricerche e la sperimentazione in questo campo procedono con la velocità del fulmine, assolutamente imprevedibili nel tempo: tempi ritenuti fino a ieri accettabili, si rivelano ben presto non esatti e ciò che si riteneva di poter essere in grado di giungere nel giro un decennio, dopo neppure 4-5anni è raggiunto e sufficientemente superato, determinando il superamento dei problemi di cui la comunità era stata investita e che ancora non si era assuefatta a quelli ed iniziava a impostarli, sono travolti dalle nuove conquiste, che tutto scompagina rendendo obsoleti quei problemi, che fino a ieri erano al centro del dibattito, costringendo a nuova formulazione della problematica. E' il caso per esempio del Prof. Arif Bongso, il ricercatore che è già riuscito a far sviluppare l'uovo fecondato per ben cinque giorni in laboratorio, prima di procedere al trasferimento in utero. Bongos non lo dice, ma le sue ricerche sono anche un piccolo passo avanti verso il traguardo di un utero artificiale, dove forse un giorno si potrà portare a termine una intera gravidanza: è la cosiddetta ectogenesi, che potrebbe essere prospettata come soluzione per i casi in cui la madre non può per vari motivi ospitare il nascituro nel suo ventre. E questo mentre gli uomini stanno accingendosi ad affrontare la tematica degli scambi nella fecondazione, ossia il cosiddetto ' utero in prestito'. Questo pone seri problemi non solo per le coscienze, ma anche sul piano del Diritto, giacché determina una pluralità di ruoli, lì dove fino a ieri vi era unicità del ruolo e questo in una situazione già fortemente disarticolata e da temo sottoposta a forti ridimensionamenti, ossia la famiglia. L'aspetto inquietante è lo sdoppiamento della maternità in due compiti: la gestazione e la trasmissione della ereditarietà genetica, che possono essere assunti da persone diverse. Oltre ad una terza figura quella della figura materna in quanto educatrice, che può configurarsi come terza persona, diversa dalle prime due. Quando addirittura non si profila il caso della donna che vuole essere madre, ma non accettare il partner, fatto che va configurandosi con una certa forza. Qui non solo il Diritto Civile è decisamente sfidato e mostra tutti i suoi limiti ed il respiro corto, ma è la famiglia, che mostra tutti i suoi limiti e finisce per mostrare, liberata dai veli mistici e mitici, la sua vera, concreta, materiale origine, poi successivamente sublimata e sottoposta ad un processo di santificazione, ossia di mistificazione. Fin quando il problema della riperpetuazione della specie era un problema vitale per il genere umano, non solo era giusto che nessun spermatozoo andasse perduto e questo, poi a livello ideologico, ossia attraverso le lenti prismatiche e deformanti dell'ideologia, diveniva la lotta all'aborto, al coito interrotto e per immagine speculare la condanna/vergogna della sterilità e la gratificazione sociale della fertilità; e tanto era importante e pressante tale esigenza, che il problema del generare figli maschi, quelli cioè in grado di riperpetuare la specie, diveniva ulteriore segno di gratificazione: il maschio in quanto stallone, che può soddisfare più femmine, mentre la femmina per i nove mesi della gravidanza blocca il processo di produzione della specie. Ma era anche giusta la famiglia, in quanto luogo ed istanza ove tale processo produttivo aveva luogo. Perché la riproduzione sessuale avesse luogo, occorreva che il maschio identificasse fisicamente la femmina e la femmina identificasse fisicamente il maschio, da questa necessità oggettiva l'accoppiamento e data la natura della gravidanza ed i problemi relativi alla crescita-allevamento della specie, non immediatamente identificabile con la prole degli altri esseri animali, la necessità di una più stabile unione di entrambi i coniugi per portare a termine l'intero processo di svezzamento-autonomia della prole: la famiglia è l'atto organizzativo-formale di tale necessità: successivamente proiettato ideologicamente come ‘ famiglia’ con tutti le relative santificazioni, glorificazioni e processi di idealizzazione aventi il fine di nascondere, mistificare il tratto materiale delle origini e scopi e finalità di famiglia. La famiglia è così la conseguenziale di ben precise esigenze ed istanze materiali di riperpetuazione della specie. Da questo punto di vista la ‘ Bibbia’ ben esprime in maniera chiara e diretta questa visione-esigenza, che fino ad oggi, in quella veste idealizzata della religio ha mantenuto una forte carica persuasiva, ma che oggi, nelle nuove condizioni, tirate fuori come elemento di opposizione alla scienza che avanza, finisce per dire tutta la sua origine. Ed in verità nessun altro testo del passato pensiero ci aiuta a capire bene, ed in maniera inequivocabile, l'origine bestiale di ‘ famiglia’ e come il suo perpetuarsi nei secoli dice solo il livello bestiale di vita degli uomini ed il processo di idealizzazione; dice di come gli uomini abbiano proiettato e sublimato questo loro stato bestiale, giacché quella idealizzazione non era che l'accettazione di quello stato necessitato, sublimato, cioè, in quel processo di idealizzazione e santificazione: la sterilità come vergogna, il matrimonio come consumo, l'aborto o il coito interrotto come peccato, la prole numerosa come status-simbol: si veda il numero sconfinato di figli dei patriarchi e la fecondità di alcune mogli di questi oltre i 70-80anni. Da questa angolazione grande ed insostituibile è il contribuito che Woytilia sta dando all'umanità cattolica in particolare, ma poi a tutta l'umanità, che ha creduto a questa o quella religione, allorquando fermando nelle sue riflessioni decisamente questi tratti, questi elementi chiari ed inequivocabili della famiglia e della procreazione aiuta a comprendere cosa effettivamente è stato ‘ famiglia’ ed il livello bestiale di quelle precedenti condizioni in cui i nostri antenati, ma poi fino ai nostri padri sono stati costretti a vivere, dato un insufficiente livello di sviluppo della scienza, incapace di intelligere i processi reali. Certo l’intento di Woytilia è la difesa di quei valori e di quei princìpi, ma avvenendo in mutate condizioni, finisce per aiutare gli uomini a liberarsi da quelle precedenti e stratificate ed ammuffite ed imbalsamate concezioni: facendogli alla fine cogliere tutte le diversità tra ieri ed oggi ed intravedere tutto il domani. Solo attraverso una battaglia ferma, anche se drammatica, che lacera fin nel profondo le coscienze, gli uomini potranno liberarsi delle precedenze idee, oramai divenute credenze, pregiudizi, mitica ed approdare a nuove e più avanzate e più libere concezioni e ad una più alta e profonda dignità umana, l'unica che può costituire solida base di una più alta dignità civile e sociale. Finisce, cioè, per dire più di quello che crede, finisce per dire ciò che non vuole dire: ma finisce per confluire anche lui dentro il maestoso ed al tempo stesso tempestoso processo di transizione che l'umanità sta oggi attraversando: perché la vita vince! E se questo non bastasse scende in campo l’inseminazione-procreazione dopo la morte, attraverso il deposito presso una banca del seme di spermatozoo. Assistiamo così, da versanti diversi: scambi nella procreazione e inseminazione dopo la morte, al tramonto definitivo ed irreversibile del desueto concetto ‘ famiglia’, che viene ora a configurarsi come atto di libertà; atto di libera scelta tra due persone di vivere tutta o parte della loro vita insieme, una volta liberati dalla necessità della riproduzione della specie. Famiglia diviene allora una libera scelta di stare assieme. Questo aspetto è assai poco messo in evidenza, ma che va invece ben focalizzato e data la giusta valenza. Una volta liberata ‘ famiglia’ dalla necessità riproduttiva e quindi dal suo essere materialmente atto bestiale, poi sublimato ed idealizzato, ‘ famiglia’ viene a configurarsi come libera scelta di comunione di vita, sulla base dell'affetto e dell'amore, che può legare in parte o per tutta la vita due soggetti. Fino ad ora proprio ed esattamente questo sentimento umano: amore ed affetto, veniva schiacciato e mortificato proprio ed esattamente da quello stato di necessità, dato dall'insufficiente sviluppo delle forze produttive. Una disamina sia pur veloce del diritto canonico, ove maggiormente è posto alla base l'amore tra i coniugi, mostra tutto il valore mistificante e distorcente che lo stato di necessità: la riperpetuazione della specie, produceva, fino a far leggere l'atto bestiale: accoppiamento fisico al fine della riproduzione come amore. Mostra come si sia potuto venire a formare questo autentico capovolgimento dove l'elemento bestiale veniva innalzato, attraverso un processo ideologico, fino a configurarsi come alto momento spirituale. Si diceva del diritto canonico, giacché proprio nella religione cattolica c'è in maniera maggiore questo richiamo all'amore come base della felicità coniugale. Si diceva del diritto canonico giacché esso che non consente per nessun motivo il divorzio, ossia ‘ separare ciò che dio ha congiunto’, consente l'annullamento del matrimonio, ossia il divorzio, se questo non è consumato, ossia se non è avvenuto l'atto sessuale e se avvenuto ciò non si manifesta concretamente nella fecondazione della donna, e quindi nella nascita del figlio. Ma lo stesso diritto canonico non riconosceva assolutamente, e continua a non riconoscere, validità di annullamento se vi sono motivi di maltrattamenti, di incomprensioni. Il diritto canonico si appella qui alla volontà divina ed alla necessità della umana sopportazione e di considerare quelle disavventure come manifesta volontà del dio di mettere alla prova il soggetto. E se il diritto canonico condanna il tradimento, fa appello alla religione per il perdono. Il diritto canonico, cioè, letto oggi, alla luce degli sviluppi raggiunti dalla scienza e dalla tecnica ci consente di leggere tutto il processo di mistificazione a cui è stato sottoposto il puro, semplice, materiale, animale atto di accoppiamento. La famiglia cessa così di essere questo momento di necessità, per configurarsi come atto di libertà, come atto e momento di libera scelta di due soggetti di vivere parte o tutta della loro vita assieme. E liberata così dalla necessità, essa può finalmente riposare unicamente e solamente sull'atto di amore e di affetto dei due e sciogliersi allorquando la base reale, concreta, materiale della sua esistenza cessa, viene meno. Il diritto civile viene così totalmente devastato, così come viene totalmente devastato l'ordinamento sociale che ha in ‘ famiglia’ la sua cellula base, certa; che ha in ‘ famiglia’ la base della sua stabilità, proprio per il divenire di ‘ famiglia’ elemento instabile e soggetta agli umori dei singoli e quindi assolutamente non gestibile. E crolla infine l'altro elemento decisivo delle società che aveva trovato in ‘ famiglia’ la loro stabile ed indistruttibile fondamenta: la trasmissione della proprietà. Il diritto civile si viene così a trovare sottoposto a sollecitazioni forti, insistenti e quotidiane fino a porlo in uno stato di fibrillazione parossistica.



TRAPIANTO
Come ben si vede tutto viene scompaginato, tutto viene rimesso in discussione e tutto, quello che fino a ieri, quello che i nostri padri e noi stessi - a partire dai quarantenni - ritenevamo incrollabile e certo, viene messo in discussione e reso insostenibile. Viviamo veramente una grande fase di transizione, la più grande che l'uomo abbia fino ad oggi vissuto. Ed è umano che questa fase di transizione, dalla preistoria alla Storia degli uomini, venga vissuta con grande partecipazione, con passione. Essa sconvolge le coscienze, attraversa tutti e costringe tutti a schierarsi, ma poi l'incedere maestoso costringe tutti a rivedere le proprie posizioni e ad adeguarsi al nuovo che avanza. E' senz’altro un processo drammatico, che squarcia antiche certezze, ma squarcia i cuori e le menti e che può giungere anche a momenti di tensione: non è questo un normale nuovo che avanza è il totalmente altro che s'impone. Abbiamo visto come sia vita che morte vengano decisamente ridefinite e come quello che ieri era verità, fino a 20-30anni fa, oggi sia decaduto a pregiudizio, mitica. Ma abbiamo anche visto come ‘ famiglia’ sia decisamente tramontata, eppure anch'essa, assieme a vita e morte, aveva costituito la centralità del modo degli uomini di essere e definirsi rispetto alla realtà esterna e tra di loro, ossia aveva costituito l'essenza delle loro coscienze. Crolla cioè la visione di passiva accettazione della vita, della morte, della necessità della riproduzione della specie e consequenzialmente delle strutture e degli strumenti che fino a ieri ci eravamo dati in supporto e prodotto di quella nostra passiva accettazione. E questo potrebbe già bastare di per sé per scompaginare l'intera struttura mentale e le coscienze degli uomini. Ma l'uomo quando avanza, avanza con la rapidità del fulmine e in questa fase di transizione l'uomo ha deciso di avanzare con una rapidità superiore al fulmine e nel procedere scompagina tutto, sviluppando un'azione totale, a tutto campo. E così dopo aver rimesso in discussione e ridefinito diversamente vita, morte, famiglia, procede anche sul terreno della ridefinizione di durata della vita. E questo dal duplice punto di vista: sia del prolungamento della vita, che del suo abbreviamento. Ci riferiamo qui ai due problemi: trapianto ed eutanasia, che vengono sempre letti come separati tra di loro, essi invece sono l'uno immagine speculare dell'altro e prodotti entrambi delle nuove vette raggiunte dall'uomo nel campo della rianimatologi. Nei secoli passati si spiava l'esalazione dell'ultimo respiro, magari controllando che uno specchio, posto davanti alla bocca del morente, non venisse appannato. In fondo il respiro è la metafora più antica, la più profondamente radicata nella coscienza dei popoli, di ciò che via via si è chiamato anima, spirito, soffio vitale ( non a caso questi termini sono di fatto tutti sinonimi, riferibili ad un movimento di aria [ ‘ pneuma’] ). Quello che era considerato un continuum: arresto cardiaco ed arresto respiratorio si è rivelato nel tempo e nello spazio, a partire dagli anni '50, non più vero. Può esserci arresto cardiaco e non quello dell'atto respiratorio, come può esserci arresto dell'atto respiratorio ( per una paralisi dei nervi, comune in casi di poliomielite, in un trauma cranico, ecc. ) e non di quello cardiaco, per cui con strumenti appropriati è possibile far ripartire o mantenere in funzione uno dei due e consentire successivamente la ripresa definitiva del soggetto. Abbiamo imparato non solo la centralità del cervello, ma anche le sue parti e le funzioni di queste ed a distinguere quelle fondamentali da quelle minori, per cui oggi siamo in grado di stabilire che quando determinate parti sono lese in maniera irreversibile è irreversibile la morte. Quando si parla di cervello, si fa riferimento schematicamente a due aree principali; gli emisferi rivestiti dalla corteccia e la parte basale ed inferiore, rappresentata soprattutto dal tronco cerebrale. La corteccia controlla i movimenti spontanei, elabora le percezioni, codifica il linguaggio ed è sede di tutte le attività cognitive e dei contenuti della coscienza. La parte inferiore del cervello ha funzioni meno nobili, ma altrettanto essenziali. Innanzitutto attiva la corteccia stessa, generando la capacità di essere coscienti; poi comanda e coordina molti riflessi e molte funzioni fondamentali dell'organismo, dalla respirazione alla regolazione della temperatura, della pressione, del ciclo sono-veglia, dello scambio dei liquidi, e così via. Perciò i criteri per accertare la morte cerebrale includono in generale segni di assenza irreversibile sia dell'attività corticale ( coma e silenzio elettrico rilevato con l'elettroencefalogramma), sia del tronco cerebrale ( cessazione del respiro spontaneo e mancanza dei riflessi dei nervi della testa, per esempio la costrizione dell'iride alla luce o la totale chiusura delle palpebre allo sfioramento dell'occhio). Abbiamo così imparato a distinguere le due parti principali del cervello, quella che presiede al pensiero e quella che presiede alle funzioni vitali ed abbiamo imparato la differenza di funzioni e di importanza di queste due, per cui oggi possiamo affermare che se sono lese irreparabilmente quelle che presiedono al pensiero, ma non quelle delle funzioni vitali, avremo un soggetto in vita solo per quello che attiene il livello vegetativo, ma se è lesa questa parte, ma non quelle che presiede il pensiero, poiché questa dipende da quella, allora possiamo dichiarare scientificamente irreversibile la morte, anche se il soggetto dà segni di intellezione. Merito di queste importanti conquiste è della rianimatologia, dell'esperienza di migliaia di rianimatori che per decenni nella lotta contro la morte, per sottrarre a morte pazienti, hanno sperimentato tecniche, accumulato esperienze e condotto studi, ricerche, sperimentazioni, giungendo poi alla concettualizzazione teorica di questo lavoro immane esprimentesi in queste conquiste, che ci consentono oggi non solo di giungere ad una più corretta e certa definizione di morte, ma ad acquisire una ben diversa concezione non solo del corpo umano, dei suoi organi e funzioni e del rapporto spazio-tempo di questi e dell'intero organismo, ma ance a giungere ad una diversa prospettiva della vita e della morte. Si pone così il problema non solo di una diversa prospettiva della morte e conseguenzialmente di ‘ vita’, ma anche di una nuova definizione di morte sul piano strettamente giuridico, per poter stabilire il momento della morte. Questo problema si intreccia e fa tutt'uno con un altro. Nei secoli passati eravamo convinti che la morte del soggetto comportasse ipso facto la morte di tutti gli organi che lo compongono. Oggi, invece, non solo siamo in grado di mantenere in vita artificialmente per un tot periodo il corpo, ma abbiamo imparato la possibilità di mantenere in vita, di mantenere e preservare la funzionalità per un tot periodo, fuori dal corpo: abbiamo imparato che esiste un rapporto temporale tra la morte dell'organismo e la morte di un suo organo. Sono queste nuove conoscenze che ci hanno consentito di giungere alla scienza dei trapianti. E nel corso della pratica di questa nuova scienza non solo abbiamo migliorato le tecniche, ma sulla base dei problemi nuovi che ci venivano posti proprio dal trapianto, abbiamo approfondito la nostra conoscenza sul sistema immunitario ed imparato ad intervenire su di esso, ma per fare questo abbiamo approfondito tutta la nostra conoscenza sull'intero sistema e sui suoi elementi fondamentali di inibizione e di stimolo, ecc. Ma proprio il trapianto ci ha posto altri problemi, ha posto in maniera ferma ed indilazionabile di giungere ad una definizione scientifica, e conseguenzialmente giuridica, di morte. Questo perché per poter attuare il trapianto, occorre in maniera preliminare attuare l'espianto, che può avvenire solo quando è intervenuta la morte come dato irreversibile contro ogni ragionevole dubbio. Problema certamente non solo decisivo per il piano operativo del trapianto, ma anche per l'intera scienza medica, che deve avere una esatta definizione per poter sulla base di questa formulare la diagnosi di morte e questo indipendentemente dal trapianto.






EUTANASIA
L'altro aspetto, come si diceva, è l'e u t a n a s i a
Problema questo decisamente difficile, che presenta una sua complessità, per il presentarsi ed intrecciarsi di una serie di fattori e interessi contrastanti.
Sul piano teorico generale il problema dell'eutanasia riguarda in prima istanza quella della vita e della morte, ed in seconda istanza quello del dolore; ma in realtà il problema di fondo a cui rimanda è quello della qualità della vita umana, del concetto di esistenza umana e quindi come e quali sono gli elementi fondamentali in base al quale si può parlare di vita umana, oltre la quale cessando la vita umana, venendo meno l'esistenza umana, è possibile procedere all'eutanasia.
Problema decisamente complesso come si vede, dove si affastellano questioni diverse, che presentandosi così tutte assieme, non solo scoraggiano, ma diviene difficile vederne il capo d'inizio da cui far partire un ragionamento sereno ed una riflessione pacata e giungere così a conclusioni serene. Il dibattito infatti non si riesce a fissare su alcune tematiche, ma vede un fluire costante da un piano ad un altro ed alla fine non solo se ne sa meno di prima, ma la confusione è maggiore, per cui risulta che era meglio lasciare il piano di discussione al livello precedente.
A noi sembra che in tutta questa intricata vicenda occorre tener ben saldo l'orientamento, ossia partire dai dati scientifici sin qui acquisiti e da qui partire per iniziare ad articolare un ragionamento, dipanando l'intricata matassa.
Noi possiamo scientificamente stabilire che oltre un certo limite di lesione cerebrale, può esserci solo una vita vegetativa, che può prolungarsi anche per anni. Noi siamo oggi in grado di stabilire con sufficiente correttezza la gravità devastante di una patologia, la sua evoluzione ed i tempi di essa. In base a ciò noi possiamo iniziare a formulare un prima ipotesi, quella cioè che quando gli elementi scientifici in nostro possesso ci consentono di stabilire il grado irreversibile di evoluzione di una patologia mortale ed il suo stadio finale possiamo iniziare a porci nella prospettiva di una eutanasia. Diversamente facendo acconsentiamo unicamente che il soggetto si consumi, che la patologia giunga alle sue più devastanti conseguenze, senza per questo poter intervenire. A questo livello della problematica le opposizioni pur esistendo, in definitiva sono minime, perché anche chi si oppone, poi non si oppone alla critica dell'accanimento terapeutico.
S'innestano qui interessi contrastanti, quelli delle società finanziarie, che gestiscono fondi assicurativi e pensionistici, sui quali ricadono, poi, le spese sanitarie del perdurare dello stato comatoso, dello stato devastante della patologia. Calcoli condotti dicono chiaramente che la spesa sanitaria che viene sostenute per un soggetto si aggirano attorno all'80% nell'ultimo periodo, ma molto meno nello stadio iniziale della patologia ed il cui costo cresce in maniera esponenziale con il procedere della patologia, innalzandosi fortemente negli ultimi mesi e giorni, proprio per la massa di spesa che occorre sostenere per farmaci, indagini diagnostiche e strumentistica sempre più sofisticati, che innalzano tremendamente il costo che le società finanziarie sono tenute a sostenere fin che morte non sopravvenga. Da questo punto di vista la denuncia che Woytilia avanza, ha una sua ragion d'essere: ma proprio perché ce l'ha essa è di una gravità spaventosa, che finisce per pesare quale pesante condanna, e senza appello, proprio ed esattamente per Woytilia, giacché invece di ventilare la minaccia, avrebbe il dovere quanto meno morale di denunciare ed inchiodare le società finanziaria, che spinte da simili nobili ideali, alimentano campagne di stampa in favore dell'eutanasia. Esse agiscono in termini puramente finanziari: investono una massa di denaro, incoraggiare, stimolare, alimentare tali campagne, sostenendo spese, per ottenere forti risparmi in futuro. Una situazione del genere pone un serio problema, perché se occorre certamente non trovarsi in compagnia di simili avventurieri del dolore e della morte, non ci si può neanche trovare sul versante opposto, ossia sul versante di una concezione teorica della vita vegetativa fatta divenire comunque vita, perché il dolore è la via che avvicina al dio woytiliano. Il metodo corretto è allora quello di abbandonare entrambe le strade ed intraprendere un'altra, l'unica percorribile e scientificamente valida. Entrambe hanno un tratto comune: partono entrambe da una loro concezione della vita e delle cose e vogliono imporla agli uomini ed è proprio l'uomo che da entrambi viene dimenticato. Noi, invece, dobbiamo partire dall'uomo: è questo l'asse principale, la bussola del nostro orientamento. Quest'uomo è visto dagli attuali sostenitori dell'eutanasia dal lato del paziente ammalato, delle sue sofferenze, ecc. E questa è senz'altro un’angolazione giusta, ma unilaterale giacché non legge anche l'altro versante di questo uomo-ammalato, il suo essere il risultato ed il prodotto di una serie di interrelazioni personali: affettive, umane, personali per cui se per il singolo, in stato comatoso, può essere anche giusto procedere all'eutanasia, dall'altro versante, dal lato delle relazioni interpersonali non lo è, giacché quegli affetti, quel vissuto chiedono di voler ancora in vita, anche se a quel livello: ed anche quelli sono uomini, ed anche quella volontà va rispettata. Un altro elemento che va preso in considerazione sono le condizioni in cui il malato viene a trovarsi allorquando colpito da una simile patologia: il malato ed i suoi più stretti cari, quasi sempre la famiglia. Essi vengono a trovarsi in una situazione di disperata solitudine, il dramma cioè si chiude dietro la porta di casa e questo non solo e non tanto in termini di costi, ma innanzitutto di strazio umano, che si abbatte su quella famiglia, di senso profondo di sbandamento, di sconforto, del tutto essere inutile ed in cui il procedere della patologia vede il procedere dell'assottigliamento delle persone che restano accanto, restringendosi il cerchio poi alla moglie o marito ed i ai figli. In questa condizione di disperata solitudine l'ammalato sente tutto il peso della sua inutilità e tutto il suo essere solo di peso e tutto il peso di una pietas e caritas, che alla fine lo avviliscono. Egli stesso cessa di essere uomo, per divenire essere-in-attesa-di-morte: dramma umano di una profondità enorme, lacerante, potente, che alla fine sfibra, abbatte e da cui, poi, tutti quelli che ne vengono coinvolti ne escono distrutti. E sono poi queste condizioni che l'ammalato avverte, che costituiscono un elemento, o possono con sufficiente elemento probatorio costituirlo, che gli fa desiderare il porre fine alla sua vita: non tanto per sé, quanto per porre fine alle sofferenze di chi gli sta accanto, vista ormai l'impossibilità per lui di vivere. Da questa angolazione la richiesta di eutanasia suona pesante ed inappellabile condanna ad una società disumana, che lascia quest'uomo solo, solo nella sua disperata solitudine. Ma quest'uomo ha lavorato, ha prodotto, nel suo ha contribuito con il suo lavoro, la sua intelligenza, la sua creatività alla crescita della società nella quale è vissuto e che ora non più produttivo, oramai peso, viene scaricato. Suona pesante condanna a tutto il falso umanesimo, retorico e goffo umanesimo, della società attuale, incapace di leggere l'uomo nel suo essere e divenire società, e lo legge solo in termini produttivi, in termini cioè di avere da lui e quanto non può più avere scaricare tutto, lasciandolo solo con la sua famiglia: la teoria del limone, in sostanza. Sono questi elementi umani, che nella trattazione dell'eutanasia non possono essere nascosti o velati o mitigati, ma ben fermati e che devono costituire anche questi elementi che concorrono alla corretta risolutoria della problematica.
Altro elemento che concorre, e che poi è il più spinoso, è quello non di una grave patologia che colpisce un soggetto, quanto quello verificantesi sempre più spesso e che è dato dallo sviluppo scientifico e tecnologico. Accade sempre più di frequente in neonatologia ed in traumatologia, che per il livello di conoscenze tecniche e scientifiche oramai acquisite, il soggetto può essere sottoposto ad una serie di interventi chirurgici e terapeutici, protraentesi nel tempo, che consentono la ripresa del soggetto, ma il cui risultato finale conduce il soggetto ad una vita semi-vegetativa: sotto costante controllo farmacologico e con una mobilità decisamente ridotta se non nulla ed il cui periodo di esistenza non si prolunga che per un certo numeri di anni, intervenendo nel tempo una serie di conseguenze, date da quello stato di poca o nulla mobilità, da quel carico farmacologico, da quegli interventi chirurgici. In questi casi si è spesso posto il problema, ed esistono a riguardo sentenze, se non sia il caso di fermarsi, non intervenire, configurandosi tutto questo massiccio intervento, dato poi il risultato finale, conosciuto nei suoi tratti essenziali in anticipo - proprio per il livello delle conoscenze raggiunto - configurandosi si diceva, questo massiccio intervento come ' accanimento terapeutico', forma particolare, ma accanimento terapeutico, proprio ed esattamente per il risultato a cui si giunge e per le sofferenze a cui il soggetto viene sottoposto.
E' infine indubbio che l'eutanasia costituisce un riconoscimento dell'insufficienza delle conoscenze dell'uomo in questo dato momento e configurarsi, l'eutanasia, un sottoscrivere una sconfitta, sia pure in quel caso. Ma è anche vero che essa costituisce una conquista dell'uomo, esprimendo, cioè, un momento di controllo, di gestione e di intervento razionale anche sull'ultimo atto; costituisce, cioè, la non resa dell'uomo dinanzi alla morte ed il suo intervento anche in questo ultimo momento.
Il problema di porre fine anticipatamente alla morte è sempre stato un problema che gli uomini si sono posti e che ha costituito argomento di trattazione in Etica sin dall'antichità, ma che poi per il prevalere di una concezione teologica: l'essere l'uomo proprietà del dio e quindi non sua possibilità di intervenire, perché ciò sarebbe equivalso a farsi dio, sarebbe equivalso a intervenire in ciò che non è dell'uomo ma del dio, che attraverso il suo piano provvidenziale ha così predisposto il corso delle cose. Il problema si diceva è stato ampiamente trattato nell'antichità sia in Seneca, che in Cicerone, che in altri pensatori latini e greci. Mentre presso i pensatori greci la morte, anche se non ricercata, era invocata come momento di liberazione dell'anima dalla gabbia del corpo, che una volta così liberatasi poteva liberamente esprimere tutta la sua potenzialità: caso classico di ' para-eutanasia' è quello di Socrate. Presso i pensatori latini il problema dell'eutanasia era di natura o esclusivamente bellico: darsi la morte per mano dell'amico o dello schiavo fedele, per non cadere prigioniero-schiavo da parte del console; o veniva configurandosi quando per la vecchiaia si perdeva l’autonomia e le facoltà intellettive, per cui giunto a questo stadio il darsi la morte era configurato, come attesta Seneca in una lettera a Lucilio.
Se in linea generale noi non siamo contrari all'eutanasia come concetto, su questo argomento sospendiamo il giudizio per il configurarsi sociale del problema: la disperata solitudine. Riteniamo che occorre continuare ad approfondire la tematica, mantenendo il ricorso all'eutanasia in quei casi di vita vegetativa irreversibile, essendo questo un dato ormai decisamente acclarato ed in grado di essere conclamato scientificamente.
Per tutto il resto manteniamo la sospensiva del giudizio per il peso decisamente preponderante che viene ad avere la disperata solitudine in cui questo factum viene vissuto e viene a congifurarsi, non sapendo e non riuscendo ad intelligere le dimensioni che una tale problematica potrebbe venire ad avere ed essere in una società diversa da questa ove alla ricerca del profitto e dell'unus, venga a sostituirsi la socialità tra i produttori. Non sappiamo che tipo di sviluppo può prendere la ricerca stessa, una volta liberata dagli interessi delle grandi società finanziarie. La sospensiva del giudizio è per la componente del carattere sociale che questa tematica viene ad avere, in funzione e peso e pregnanza diversa da tutte le altre.









MANIPOLAZIONE GENETICA
Anatomia, Fisiologia, Biochimica, Microbiologia, Immunologia e Genetica sono ora collegate e si esprimono con il comune linguaggio della Chimica; ma il loro sviluppo e progresso è stato determinato dallo sviluppo della Fisica ed in particolare dalla Fisica Quantistica, che hanno consentito di intelligere l’intero movimento della materia come energia, ossia la materia è energia in movimento, come passaggio ininterrotto da una forma di energia ad un’altra; ed a loro volta hanno contribuito allo sviluppo ulteriore della Fisica e tutte assieme hanno contribuito allo sviluppo dell’ottica e della strumentistica, ricevendone da queste incremento al proprio progredire. L’intero processo naturale ci appare così come un unico grande processo del divenire della materia nelle sue infinite forme ed il divenire altro non essere che il passare della materia da un livello di organizzazione ad un’altra, dato dal passare della materia da una forma di energia ad un’altra. Attraverso la Genetica siamo stati in grado in grado scendere in più intimi particolari della vita e cogliere più profondamente i nessi e le interconnessioni e spiegarci l’apparente causalità attraverso leggi scientifiche, così come con la Fisica Quantistica siamo riusciti a scendere in più minimi particolari della formazione della materia e della composizione della materia. Con la scoperta del DNA prima, della sua struttura poi, della formazione dei singoli elementi e l’individuazione di ruoli e compiti dei singoli elementi della sua " doppia elica " ed infine con la comprensione dell’esistenza e del ruolo e della loro funzione di particolari elementi che consentono i processi che avvengono nel DNA e che ne determinano la vita ed il suo essere, noi siamo stati in grado di spiegare scientificamente anche tutta una serie di patologie caratteristiche degli esseri viventi, proprio grazie all’intellezione del processo nel suo movimento più generale. La stessa lotta all’AIDS, nonostante che questa malattia continui a non essere posta sotto il controllo dell’uomo, passi da giganti nel giro di meno di un decennio sono stati compiuti proprio ed esattamente grazie alle conoscenze acquisite nel campo del DNA. Fatto questo siamo stati in grado sia di riprodurre in laboratorio tale processo, ma anche e soprattutto di scindere i vari momenti del divenire del DNA e riprodurre in laboratorio tali singoli momenti. Anche qui siamo riusciti a disgiungere ciò che appariva continuo ed indivisibile e frammentarlo nel tempo e nello spazio. Siamo cioè in grado di intervenire sul processo di duplicazione del DNA e correggere una non corretta sequenza di basi, avendo in precedenza in laboratorio riprodotta l’esatta sequenza di quel frammento di DNA e poi attraverso un processo della biotecnologia, introdurre questo frammento ed avere che esso si sostituisce a quello errato: è questo un complesso processo di ingegneria genetica. Siamo così in grado di precedere con sufficiente correttezza una serie di patologie a cui i soggetti possono andare incontro: " progetto genoma " . Ma siamo anche in grado di intervenire sul più generale processo riproduttivo della natura, attraverso l’ibridazione agricola ed animale. E’ questo un antico procedimento attuato dall’uomo, quando attraverso un lungo ed accorto processo di accoppiamento di razze diverse di animali si riusciva ad ottenere quella determinata razza di cani, o cavalli o mucche, o maiali, oppure ad ottenere un tipo di grano più resistente al freddo o ad un clima particolarmente umido, o un tipo di vite o ulivo ed in grado di reggere un particolare freddo. Attraverso un tale processo riusciamo in laboratorio a riprodurre una serie di sostanze che in natura non riusciamo ad ottenere nella quantità di cui abbisogniamo, una parte considerevole della produzione farmacologia e della produzione nel settore della trasformazione agricola avviene tramite biotecnologie. Questi risultati raggiunti dall’uomo vanno anch’essi nella più generale direzione di modificare radicalmente il rapporto vita-morte ed il rapporto necessitato dell’uomo nei confronti della realtà esterna, o Natura, contribuendo così decisamente al tramonto di tutta la vecchia impostazione e decretando il tramonto di tutto il passato pensiero. Decisive sono le sue applicazione nel campo della riproduzione. In opposizione a tali risultati si sollevano due ordini di problemi: 1. quello che in questo modo si può predeterminare il tipo i figlio che si vuole, predeterminare l’intelligenza, il carattere, le inclinazioni, configurandosi così il pericolo di una razza di eletti. In sostegno di ciò si portano i progetti di eugenetica del nazismo. Ora quelli del nazismo erano solo utopie, per quanto attiene il campo scientifico, dato il livello di sviluppo delle conoscenze negli anni 1933-1945.: la struttura ad elica del DNA è del 1944! Ma questa di poter predeterminare i caratteri genetici del singolo è sul piano scientifico completamente assurdo, intervenendo qui sul piano del singolo processo riproduttivo la legge della Fisica Quantistica, che va sotto il nome di " Principio di Heisenberg", secondo la quale ai livelli subatomici non è possibile prevedere l’andamento, il corso e l’evoluzione di ogni singolo elemento, se non in termini probabilistici.
2. quello che una modificazione genetica sul piano animale e vegetale può comportare sul lungo periodo conseguenze sul piano nutrizionale e sul più generale equilibrio naturale.
Questa problematica è seria.
In realtà l’esperienza degli ultimi cento anni e più ci ha dimostrato ed amaramente insegnato di non adularci troppo per le nostre vittorie umane sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria . Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza. le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, imprevisti, che possono finire per annullare a loro volta le prime conseguenze. Ad ogni passo ci viene ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo come carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo; tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi ed impiegarle nel modo più appropriato. Ed in effetti comprendiamo ogni giorno più esattamente le sue leggi e conosciamo ogni giorno di più quali sono gli effetti immediati e quelli remoti del nostro intervento nel corso abituale della natura. In particolare dopo i poderosi progressi compiuti dalla scienza in questo secolo, siamo sempre più in condizione di conoscere e quindi di imparare a dominare anche gli effetti naturali più remoti, perlomeno per quello che riguarda le nostre abituali attività produttive. Ma quanto più ciò accade, tanto più gli uomini non solo sentiranno, ma anche sapranno, di formare un’unità con la natura, e tanto più insostenibile si farà il concetto, assurdo ed innaturale, tra anima e corpo, che è penetrato in Europa dopo il crollo del mondo dell’antichità classica e che ha raggiunto il suo massimo sviluppo nel cristianesimo. Come ben si vede il livello raggiunto oggi dall'uomo consente di modificare radicalmente le nostre concezioni di vita, morte, del rapporto vita-morte e di famiglia. Strappando l'uomo dalla stretta necessità, liberandolo sempre più dal suo tratto necessitato, ossia dal suo tratto bestiale consente non solo di comprendere tutti i limiti della precedente concezione, ma consente anche di intendere appieno come tutta quella teorizzazione, altro non era che la teorizzazione, una sublimazione, di uno stato di inferiorità dell'uomo nei confronti della realtà esterna; il suo subirla e poi giustificare attraverso un processo ideologico questa subordinazione, fino a trasfigurarla in una teoretica, ossia in ideologia, ossia in una falsa coscienza dei problemi e dello status reale dell'uomo. Giungiamo così ad una nuova e più alta concezione di vita, morte e del rapporto vita-morte e di famiglia, ma ecco che all'improvviso ci si prospetta quanto dietro c'era a tale vecchia nostra concezione. Prepotentemente, allorquando stiamo ridefinendo questi concetti, convinti che il più è fatto, ci si fa innanzi quanto stava dietro a quella concezione, la sostanzialità che quella teorizzazione presupponeva e che legittimava quella concezione. Ci scoppia così tra le mani la questione individuo-persona. Comprendiamo che dobbiamo fare i conti con questa. Ma questa concettualizzazione è la quintessenza della problematica, giacché riunisce in un sol fascio questioni attinenti le scienze naturali e la filosofia. Ci troviamo così a dover reimpostare tutto un ragionamento, che ci costringe a rivedere e ridefinire quei nuovi concetti, a cui pur faticosamente eravamo giunti, mentre nel contempo siamo costretti a fare un bilancio di tutta la precedente concezione. Non ci resta allora che rimetterci in cammino e sviluppare un più alto ragionamento, accettando la sfida che la realtà ci impone, che lo sviluppo scientifico e tecnologico ci pone.. La problematica teorica " individuo - persona" è, il perno attorno al quale ruota tutto il dibattito sui temi della bioetica, giacché coinvolge la fecondazione assistita, a vari livelli e le sue varie forme, l'aborto, il trapianto, l'eutanasia, la manipolazione genetica. L'idea di opporre individuo a persona è tutt'altro che nuovo in filosofia, mentre quello che è nuovo è il fatto che oggi, specie per effetto degli sviluppi scientifici applicati all'inizio ed alla fine della vita, esistono alcuni stati intermedi nei quali sembra potersi ricondurre nella realtà clinica, e non più solo nelle distinzioni filosofiche, la condizione di individui che sono dotati di vita biologica, ma non della qualità morale della persona. Nel diritto vigente i termini ' persona' e ‘ individuo’ vengono usati in modo indifferenziato, spesso come equivalente di ‘ uomo’; per cui non si può trarre dalle leggi vigenti una coerenza che non vi è mai stata. L’opposizione ‘ individuo’ e ‘ persona’ è tutta legata alle questioni sollevate dall'embriologia ed in particolare dall'aborto e successivamente dalla inseminazione: embrione, pre-embrione, feto; e dalla rianimatologia per quanto attiene il trapianto e l'eutanasia, ma anche dalla manipolazione genetica. Il problema diviene allora quando si può sopprimere un embrione o pre-embrione o feto o uomo senza aver soppresso una vita, ossia la persona-uomo? E fino a che punto si può intervenire nell'azione di trapianto per continuare ad avere quell'unicità dell'essere. E fino a che punto l'intervento sul DNA non modifica l'unicità di quell'essere e fino a che punto non viene a violarsi la ' privacy' del soggetto una volta che tramite il progetto genoma si è in grado di stabilire la sua struttura ereditaria sia nel senso di chi ha trasmesso quelle caratteristiche genetiche e quindi potenziali malformazioni-patologie, ma anche quali di queste possono essere trasmesse e quindi fino a che punto quel soggetto può attuare la procreazione con i rischi potenziali di trasmettere tali, diciamo così, tare ereditarie, ma che è poi possibile intervenire e modificare proprio tramite l'intervento sulla struttura del DNA. Di qui la necessità di stabilire quando inizia e quando finisce la vita e quando e come può esserci ‘ persona’. La questione viene a porsi perché la scienza è riuscita a scomporre quel continuum e fermare l'attenzione, lo studio e l'analisi sui singoli stadi. Questo ha consentito di intelligere il processo reale della vita: dal DNA alla nascita e prima lo studio del Carbonio, ecc. in Chimica, in Fisica quantistica. Ha consentito cioè di leggere i vari momenti di quel continuum; ed è questo che consente a questo o a quello di privilegiare questo o quel momento, isolandolo e separandolo dagli altri, fino a farlo divenire momento principale e fondante da cui far discendere le conseguenziali definitorie di vita e quindi persona! I risultati già acquisiti e consolidati hanno ampiamente confermato e stabilito che il concetto di ‘ vita’ è innanzitutto il prodotto ed il risultato di ben precisi organi materiali e di ben precise strutture organizzative della materia. La materia ha infiniti livelli organizzativi, organizzati in strutture, il passaggio da un livello inferiore ad uno superiore non costituisce assolutamente la somma delle funzioni precedenti, ma ci dà ben altra cosa, non deducibile dal precedente livello. In altri termini possiamo dire con la Curtis: " Anche se ogni nuovo livello è formato da componenti di quello precedente, l'organizzazione di tali componenti dà, come risultato di proprietà nuove, differenti da quelle del livello precedente e non prevedibili in base ad esso." Questo significa che ‘ vita’ è la struttura del Carbonio come dell'ameba, ma anche del DNA, così della clorofilla, come dell'uomo. Ma vita è quella di un tessuto animale o di un organo animale. Ed in effetti la medicina interviene per ristabilire le condizioni ottimali perché quel tessuto, quell'organo, ecc. possa riprendere la sua funzione, ossia vivere: si pensi all'ustione ed alla chirurgia plastica; si pensi alle cure epatiche, spleniche, pneumologiche, cardiache o alla traumatologia, ecc. Esse lavorano per consentire la vita di quel tessuto, di quel parenchima affinché la più complessiva vita dell'organismo migliori. La farmacologia interviene su processi più mirati, interviene al livello chimico: favorendo o inibendo, mettendo in circolazione per via ematica o tessutale componenti chimici al fine di aiutare a correggere, ecc. la vita di quel singolo organo; funzione a cui in generale provvede l'organismo stesso, ma che ora non vi provvede in tutto o in parte. Il termine ‘ vita’ come si vede è tremendamente debole, tremendamente generico, che consente qualsiasi manipolazione. Fino a quando le conoscenze umane si limitavano a leggere unicamente il continuum non si poneva alcun problema. Ora occorre ridefinire ‘ v i t a ’. Essa così cessa di essere ‘ soffio vitale’, avendo da tempo perso la sua stretta identificazione con ‘ anima’, essendo ormai decaduto tale concetto. Viene così a definirsi rispetto a ‘funzioni vitali ‘, date esattamente, espressione e prodotto, dei vari livelli organizzativi della materia. Ecco che allora ‘ vita’ riferito ad una pianta è una cosa, riferito alla ameba ne è un'altra; riferita alla cellula un'altra ancora; riferito all'animale un'altra. E nello stesso regno animale occorre distinguere diversi livelli organizzativi della materia, che danno poi le diverse specie ed in cui in ciascuno esiste un ben preciso concetto e livello definitorio di vita, che non può essere mutuato in un altro. Ora è concettualizzazione teorica acquisita che esistono infiniti livelli organizzativi della materia, ma anche che essi procedono dal semplice al complesso, dall'unico al molteplice; e dove il livello superiore incorpora, contiene, funzioni di quello superiore, esistendo anche qui un continuum, giacché ciascun livello costituisce una forma di esistere della materia e tutte le infinite forme di essere della materia, giacché ‘ materia’ in quanto tale è un termine astratto, essa esiste proprio ed in quanto ed esattamente tramite una particolare forma, ossia un particolare grado di organizzazione di essa, esprimentesi nel tempo e nello spazio. E', infine, concettualizzazione teorica consolidata essere l'uomo la forma suprema di tali livelli di organizzazione della materia ed in quanto tale contenere in sé tutte le concettualizzazioni teoriche di ‘ vita’ dei livelli inferiori. Gli antichi, per le insufficienti concezioni scientifiche rispetto a noi, avendo identificato ‘ vita’ con ‘ soffio vitale’ e quindi vita con ‘ anima ‘ distinguevano tre tipi di anima: vegetativa, concupiscibile, razionale, che stavano ad indicare appunto proprio ed esattamente le varie forme di vita. Essi ritenevano che nell'uomo prima s'insediasse l'anima vegetativa, poi quella concupiscibile ed infine quella razionale. Sulla base di questo livello di conoscenze scientifiche la stessa patristica e più in generale la Teologia distingueva tre fasi nella vita dell'uomo, in base alla periodizzazione di insediamento delle tre anime e questo fino alla fine degli anni '40: quando sotto l'incalzare travolgente dello sviluppo scientifico, per arroccarsi in difesa dell'antico pensiero, introduceva modifiche nella sua stessa tradizione di pensiero, che riteneva che in principio s'insediava nel grembo materno l’anima vegetativa, poi quella concupiscibile ed infine la razionale, per difendere tout court l'insediamento ex abrupto della razionale, per poter difendere il concetto di vita ab ovo, sin dal primo istante della fecondazione dell'ovulo da parte dello spermatozoo. Difesa questa che mostra, proprio per il repentino abbandono e liquidazione di tutto il suo precedente e consolidato patrimonio teorico e teorico-concettuale, il contenuto ideologico di tale difesa, in cui non vi è più nulla di credo, ma di difesa dogmatica di una più generale concezione della vita, ormai decisamente tramontata e la cui difesa richiede appunto l'abbandono di tutte le precedenti impostazioni ed il concentramento di tutte le forze sul punto vitale, nevralgico onde impedire lo sfondamento al centro, l'accerchiamento e lo sbaragliamento fino alla resa incondizionata; scelta questa che può ritardare tale resa, ma non impedirla: è solo una questione di tempo. Ma poi, ed in verità, quella tripartizione dell'anima e sua periodizzazione di insediamento determinava la concettualizzazione di uomo. In altri termini il concetto ‘ uomo’ veniva ad identificarsi strettamente con l'insediamento dell'anima razionale. Gli antichi facevano scaturire i diritti del singolo nella comunità non dall'insediamento dell'anima razionale, bensì da un certo grado, un quantum, di capacità razionale e raziocinante. Correttamente distinguevano il ‘ dunamein’ da ‘ in actu’ ossia la capacità potenziale da quella effettiva di essere esercitata. Concezione come si vede decisamente semplicistica ed infantile, ma corretta allorquando venne formulata tra il VII ed il V secolo prima dell'era volgare e per tutto il periodo in cui ha avuto concreta attuazione, ossia fino al XVIII secolo dell’era volgare, giacché esprimeva il livello di conoscenza scientifica dell'epoca. Gli antichi facevano, inoltre, dipendere lo status di persona non solo dall'anima razionale la capacità raziocinante ma anche dalle capacità belliche del singolo, giacché il livello di vita era decisamente bestiale e portare offesa o essere in grado di recare difesa era decisivo per la sopravvivenza fisica, materiale, della comunità di cui si faceva parte. Gli antichi, infine, legavano questi due elementi in un rapporto tale che l'atto bellico era determinante, tale che lo status di schiavo o di asservimento ( clientes ) comportava ipso facto il decadimento dallo status persona a quello di ‘ oggetto’. E per conciliare questo decadimento sorse tutta una disputa filosofica se lo schiavo ha un'anima, nel senso di anima razionale e se e come un uomo che pur doveva averne una continuava ad averla o meno una volta divenuto schiavo o se continuando ad averla, una volta divenuto schiavo, ma vivendo in situazione di cattività, di asservimento, l’anima non degradasse con il corpo, finendo così per invilupparsi; e se i figli dello schiavo avessero o meno una tale anima. Polemiche e dotte disquisizioni queste in vigore fino al XIX secolo: all'epoca della guerra di secessione americana negli stati del Sud inerente gli schiavi, ove il dibattito era se un nero avesse un'anima, riservando tale prerogativa alla razza bianca; ma che si sono avute fino agli inizi degli anni '30 del nostro secolo nei riguardi delle popolazioni sottoposte al dominio coloniale. Tematica, infine, non troppo nascostamente sviluppata nei riguardi anche degli operai nel secolo precedente, quando le condizioni di vita e di asservimento del lavoratore al capitale, assumevano nella forma caratteri di totale asservimento ed abbrutimento. Lo stesso diritto civile, penale, costituzionale, amministrativo non riconosce se non dopo una certa età la responsabilità e la pienezza degli atti, ponendo il soggetto prima di quella età-soglia in una condizione di tutela; età-soglia che nel corso di questo secolo si è più volte spostata dai 21 ai 18anni, oggi si parla di portarla a 16, ma già oggi all'età di 16anni possono essere compiuti atti e concesso un certo grado di responsabilità civile, penale, amministrativa: in alcuni Stati la patente a 16anni; restando il limite per quanto attiene il diritto costituzionale ossia i diritti-doveri del cittadino. Voi vedete bene allora come il concetto di ‘ persona ’ e consequenzialmente di ‘vita ’ va formulata su base scientifica, ossia per quanto attiene l'uomo essa non può essere formulata sul piano vegetativo, anche se questa è una forma di vita dell'uomo, forma parziale di vita; ma non è quella, data, prodotta ed espressione, dall'insieme dialettico del livello di organizzazione della materia a quel determinato livello che si estrinseca nella forma ‘ uomo ’. L'uomo è cioè un esatto, preciso, concreto livello di organizzazione della materia. In quanto tale la definizione di ‘ vita ‘, ‘ morte’, ‘ uomo’ viene ricavata precisamente, da quel livello di organizzazione della materia, stante un determinato livello di conoscenze scientifiche, ossia ad un livello dato dello sviluppo scientifico e tecnologico. Cosiderarne altri, prendendo forme inferiori, nella forma ‘ Uomo’ incorporate, è teoricamente non corretto, giacché significa leggere, prendere in considerazione un aspetto e non il tutto; prendere cioè in considerazione e parlare e discutere non di ‘ uomo’ bensì di un’altro livello di organizzazione della materia ove quel livello è decisivo e caratterizzante. Considerare allora il pre-embrione o feto come uomo significa non comprendere che stiamo scambiando e confondendo livelli diversi di organizzazione della materia, oltre a confondere il dunamein, ossia il potenziale, con l'in actu, ossia quello che è. Errore non solo grossolano, ma che liquida, senza alcun giustificato motivo, acquisizione scientifica già degli antichi. Andrebbe prima dimostrato non valida quell'acquisizione teorica già degli antichi e solo successivamente procedere. L'uomo, ossia questo determinato livello di organizzazione della materia, si caratterizza non per la vita vegetativa e nemmeno per quella razionale, ma per la sintesi di queste forme, che è la vita umana. E' concettualizzazione teorica acclarata che qualsiasi azione spirituale è sempre il prodotto di ben precisi organi materiali, senza i quali non c'è azione spirituale. E' ormai chiaro come lo sviluppo scientifico e tecnologico, ossia lo sviluppo delle forze produttive, da una parte fa giustizia di tutte le precedenti concezioni e visioni e teorie, dall'altra ci sfida ad una nuova formulazione teorica, ad un nuovo sistema concettuale. E quanto più questa vecchia concezione era radicata, profonda ed in definitiva antica come l'uomo, tanto più difficile, complessa diviene la corretta risoluzione. Siamo cioè presi, ci troviamo cioè presi, tra un fuoco incrociato. Il primo, il più immediato istinto, l'atto più immediatamente naturale è volgerci indietro e cercare nel passato pensiero punti di appoggio, punti di riferimento, sia pure un vago orientamento. Ecco allora tutta la disperata ricerca del raschiare il barile del passato pensiero; ecco allora la pur generosa ricerca di rileggere ora questo o quell'autore e cercare in questo o quello le soluzioni, che invece spettano solamente a noi dare. Ecco allora l'impostarsi del dibattito tutto attorno all'etica, ribattezza per l'occasione ‘ bioetica’.
Ora dato lo sviluppo scientifico e tecnologico che ruolo, funzione e valenza può avere l'elaborato sin qui avutosi circa l'Etica? Ha ancora senso volgersi indietro verso Aristotele, Agostino d'Ippona, Tommaso d'Aquino, Kant? La ‘ convinzione’ teorica, che è poi la più naturale e pacifica conclusione da quanto sin qui abbiamo detto, è che lo sviluppo scientifico e tecnologico ha determinato profonde modifiche nel rapporto Uomo-Natura, nel rapporto di trasformazione della realtà oggettiva. L'azione di trasformazione a cui l'uomo è giunto ha superato lo strato superficiale ed inizia a scendere in profondità, cogliendo e modificando nessi ed interconnessioni finora rimasti al di fuori della portata dell'azione di trasformazione dell'uomo. Questo determina ipso facto il superamento di tutte le precedenti cognizioni teoriche. Esse si rivelano - al di là di qualsiasi giudizio di parte - assolutamente incapaci di contenere il nuovo e le nuove problematiche. Si rivelano in sostanza un contenitore infinitamente piccolo, ove non ci stanno le problematiche nuove, poste dallo sviluppo scientifico e tecnologico. La convinzione di fondo è che l'uomo a partire dai primi anni '50, quando la genetica ha fatto un grande salto di qualità con le scoperte inerenti il DNA, è entrato in una nuova fase: determinando ipso facto l'obsolescenza di tutte le precedenti teorie. Consequenzialmente sul piano dell'etica ne ha decretato quanto meno l'assoluta obsolescenza. In una: la mia convinzione è che questo progresso scientifico e tecnologico abbia decretato la morte dell'etica in quanto ramo della filosofia e dato inizio alla fondazione di una nuova scienza, i cui contorni ed àmbiti non sono assolutamente chiari, lasciano però intravedere tutta una nuova, un’altra organizzazione dei saperi in quanto ramo specifico e peculiare del pensiero umano, che viene così ad arricchirsi di una nuova ramificazione. In quanto tale essa non può quindi chiedere al passato pensiero la sua legittimazione, meno che mai rivolgersi ad esso. Essa deve, invece, chiedere alla scienza la sua legittimazione, ossia è dallo sviluppo ulteriore della scienza, attraverso un processo di sintesi ed astrazione teorica dei risultati scientifici ricavare le leggi ed i principi teorici su cui fondarsi e divenire scienza. E' indubbio che la fase attuale per questa nuova scienza è una fase gestionale, in cui i contorni non sono chiari, si presentano sfumati, contraddittori ed in stridente contrasto con i principi etici e sociali più radicati, più immediati della coscienza degli uomini, ed a cui essa non sa opporre nulla, se non il suo dover essere, il suo divenire. Questo processo, proprio perché lo sviluppo scientifico e tecnologico pone nuovi problemi, non avviene nelle calme acque di una ricerca asettica, ma nella tempesta di dover dare risposte contro chi ha già risposte confezionate ed in una situazione in cui l'incedere maestoso ed impetuoso dello sviluppo scientifico acutizza e drammatizza quelle risposte ed impone qui ora e sùbito risposte. Tutto ciò non può che avvantaggiare chi risposte le ha già, chi può da un armamentario vasto, articolato, ricco di una secolare tradizione di pensiero tirare fuori ora questo ora quel ragionamento, quel risultato, ed appellarsi ad una ricerca ricca, vasta policroma e polifona; tirare fuori ora questo ora quello sviluppo ed integrazione del passato pensiero e trovare, poi, nella coscienza comune, e non solo comune, degli uomini non solo e non tanto consensi quanto verifiche ed argomentazioni e fatti tratti dalla storia secolare degli uomini. La situazione per la nuova scienza da questa angolazione si presenta veramente disperata: ma si tratta di cogliere la complessità e potenza al tempo stesso di quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi e di cui gli uomini, che pur la contrastano sul piano della coscienza attuale, ne sono gli artefici unici. Ciononostante resta disperata, proprio ed esattamente per quella vastità profonda e totale di cui essa è portatrice. Da un'altra angolazione la cosa si presenta in modo totalmente capovolta: l'insufficienza stridente, e vieppiù ed in maniera esponenziale, delle risposte che il passato pensiero fornisce e la loro totale impossibilità a costituire un aggancio valido per l'operare degli uomini, giacché poi la verifica sul terreno dell'operabilità, della pratica, è immediata o quasi, si evidenziano sùbito. Ma qui intervengono quei limiti di questa nuova scienza per il suo essere in fase gestionale. E così il risultato è un equilibrio, decisamente instabile, tra il dibattito teorico e le concezioni teoriche che guidano il dibattito e la ricerca scientifica stessa e le scelte operative, che vanno invece in direzione del superamento-accantonamento di quel dibattito, di quel vecchio ed angusto pensiero. Ciononostante è indubbio che quel vecchio pensiero - che è poi oltre che conoscenza stratificatasi nella coscienza degli uomini è anche pensiero comune più immediato, più immediatamente vero, buon senso, senso comune - incide nella ricerca, agisce da ostacolo, è macigno al libero indagare, all'ardire dell'ipotizzare: agisce da freno fino a deviare, imbrigliare, livelli della ricerca. Un altro elemento che agisce in questa direzione è che i ricercatori si occupano - proprio per l'altezza e vastità che la ricerca ha raggiunto e vieppiù tende a raggiungere - di singoli settori, e di quei settori singole parti, singoli aspetti per cui si trovano poi schiacciati, perché non competenti in materia, sul più generale problema gnoseologico e teoretico-speculativo. La visione che ne avrei ricavato sarebbe quella di una realtà in forte stato gestionale con tutte le convulsioni, le contraddizioni, le incongruenze e passi indietro che una situazione di svolta profonda e radicale sempre comporta: l'attardarsi è dato dalla non chiarezza della nascita di una nuova scienza, di cui non sono ancora chiari né i confini né gli àmbiti. La chiarezza in questo campo, la chiarezza che i vecchi parametri sono decisamente superati ed inutilizzabili, perché contenitori infinitamente piccoli, comporterebbe il procedere ardito e lo sforzo di meglio intelligere cosa ci dicono le nostre ricerche scientifiche, cosa ci dicono i risultati a cui pur siamo giunti e quali altri e nuovi e più alti parametri e principi teorici si parano dinanzi. Il tirare da questa o quella parte questi vecchi contenitori nel tentativo di farci entrati a tutti i costi il nuovo, comporta solo la lacerazione e la conseguente inservibilità, divenuti ancora più inservibili dopo simili trattamenti. Questo sta a dimostrare proprio ed esattamente la necessità di abbandonarli e porli accanto alla rocca da filare, risultando vani tutti i tentativi di recupero. Dal vecchio pensiero dell'Etica non può venire nulla, occorre fondare una nuova scienza. La fondazione della nuova scienza può venire solo dall'ulteriore ed ancora più profondo e potente sviluppo della scienza e della tecnica: da qui deve trarre i suoi principi fondanti e fondare la sua teoretica. E' indubbio che essa non è più la vecchia etica del singolo e della valutazione della giustezza o eticità del comportamento del singolo, ed è indubbio che i suoi àmbiti non possono essere quel limite angusto ed asfittico dell’ "unus". Essa si intreccia e fa tutt'uno con la politica in quanto scienza e con la teoretica della democrazia, ove i termini e concetti ‘ politica’ e ‘ demo- crazia’ non stanno assolutamente nel senso attuale, ma che rimandano ad una complessità nuova ove il singolo nella comunità-uomo decide e decidendo stabilisce e ridefinisce i concetti di giusto-errato, consono-non consono, morale-nonmorale-immorale. Ma questo non può più stabilirlo in maniera metafisica, come ha proceduto sin qui: un'elaborazione teorica che pretende di imporre alla realtà i suoi canoni di giudizio, ma che deve invece trarre dalla scienza i suoi principi fondanti e le teoretiche su cui fondarsi e svilupparsi. Campo come si vede decisamente originale, potente. Ma poi se si va a vedere la vita concreta degli uomini, il loro agire, questo, anche se non in maniera organica e cosciente, avviene già. Ma avviene come ‘factum’ e non come coscienza critico-propositiva.
Si tratta allora di * sottoporre a critica tutta la precedente teoretica cogliendone i tratti essenziali e mostrarne l'assoluta incapacità e possibilità di costituire risposta o abbozzo di risposta o canovaccio, o... ai problemi che la scienza e la tecnica pone oggi;
** cogliere - come primo momento per l'inizio del dibattito e per aprire e dare nuove coordinate al dibattito, sottraendolo dalle secche ed ovvietà entro cui sin qui si è mosso - uno, alcuni momenti di questo processo fondazionale di una nuova scienza.
In sintesi
Lo sviluppo scientifico e tecnologico decreta la fine della vecchia etica e indica la nascita di una nuova scienza, in quanto articolazione e complessificazione del sapere degli uomini.
Nella misura in cui si sviluppano le nozioni scientifiche della natura e della società, si diramano dalla filosofia, l'una dopo l'altra, le varie scienze positive. Di conseguenza il campo della filosofia si è andato così sempre più restringendo a favore dello sviluppo delle scienze positive e tale processo non è ancora concluso. Questo processo di liberazione delle scienze naturali e sociali dall'egida della filosofia ha rappresentato e rappresenta un processo progressivo sia per le scienze naturali e sociali e sia per la stessa filosofia.
Compito allora della filosofia progressiva è quella di favorire ed accelerare questo processo, in opposizione così netta e decisa con quelle forze della filosofia che si oppongono a tale processo ed il cui ruolo è sempre stato quello di imprigionare le scienze positive. Impongono alla viva conoscenza umana conclusioni al di sopra della scienza, conclusioni dettate non dalla vita reale, ma dalle esigenze di un sistema. In queste condizioni la filosofia si trasforma in un museo in cui si trovano ammassati i fatti, le deduzioni, le ipotesi più eterogenee ed anche semplicemente le fantasticherie.
Qui allora la nuova unità della filosofia con la scienza ed il superamento delle diaspore che vedono diviso il sapere umano. L'uno con l'altro in lotta aperta con tutto il vecchio precedente ed angusto sistema di pensiero: l'uno sostenendo l'altro e dove l'uno si fa altro.
E' indubbio che tutti i problemi inerenti la bioetica vertono tutti attorno ai progressi compiuti dalla Medicina. E le risposte che si cerca di articolare sul piano etico sono la risultante dei problemi che essi pongono alla coscienza degli uomini, e che tramite l'etica, si cerca di determinare un orientamento teorico più generale in grado di dare un indirizzo unitario ed organico, in grado di consentire la determinazione degli indirizzi da prendere nei campi della giurisprudenza e dell'economia. Fissiamo qui, per ora, come nel passato le scoperte scientifiche non hanno mai determinato come loro riflesso la centralità dell'etica. Anche le rivoluzionarie teorie scientifiche di Galilei, Newton, Leibnitz e Cartesio nel campo della Fisica e della Matematica non determinarono alcun riflesso nel campo della morale. Esse furono condannate sulla base delle convinzioni teoriche dell'epoca, che si identificavano con il pensiero religioso, che riteneva di avere nella ' Bibbia' già tutta la verità e che quelle scoperte, invece, contestavano clamorosamente. Possiamo dire che da questo punto di vista, anche quelle scoperte ebbero anch'esse risvolti di natura etica, ma lo fu in modo del tutto marginale, che non ebbero peso alcuno in quella battaglia epocale tra due concezioni. Si tratterà nel corso di questo contributo di chiarire anche il perché di tale novità, di tale coinvolgimento così immediato e diretto dell'etica. E' indubbio che i progressi scientifici e tecnologici che sono oggi all'attenzione e che sollevano problemi nuovi sono quelli inerenti la Medicina. Da questa pur rapida sintesi degli sviluppi recenti della scienza e della tecnica nel campo medico appare evidente come gli uomini siano investiti da problemi nuovi, che richiedono una nuova concettualizzazione di termini ed una nuovo apparato concettuale-definitorio, essendo definitivamente tramontati i vecchi. E questo riguarda tutti i campi delle scienze sociali e principalmente la filosofia, il diritto, e la democrazia a cui gli sviluppi delle scienze naturali richiede tale nuova concettualizzazione. E’ su questa base reale, materiale, concreta che è venuta articolandosi tutta la problematica della cosiddetta bio-etica, a cui sostanzialmente hanno dato fiato i filosofi, siano essi teologi o filosofi comuni.
Il termine ‘ bioetica’ di per sé è decisamente debole, oltreché portatore più di confusione che di chiarezza. Esso però esprime bene gli intenti di chi lo ha coniato e chi lo utilizza. Esprime cioè la visione di fondo che tale nuovo livello raggiunto dalla scienza e dalla tecnica debba essere inquadrato dentro i confini e gli àmbiti dell'etica, giacché tale sviluppo deve essere posto sotto il controllo di quelle teorie e concezioni che gli uomini hanno, posti cioè sotto il controllo del giudizio di valore circa la giustezza e moralità o meno di tali ricerche, sperimentazioni e pratiche cliniche. Ma è questa una contraddizione in termini: se tali problemi sono nuovi, e se tali problemi modificano totalmente la precedente concezione, come possono i giudizi di valore precedenti, prodotti da quella precedente visione, avere una qualche validità! Torna qui il problema che avevamo fissato all'inizio, ossia del perché gli sviluppi scientifici odierni hanno sùbito come riscontro immediato quello sul campo dell'etica, cosa che in passato non era mai avvenuto, se non in maniera molto mediata ed in definitiva non significativa. In realtà si può giungere all'etica solo se si leggono questi sviluppi scientifici dal lato più immediatamente superficiale, esasperando questo tratto fino a farlo divenire centrale. Si legge cioè la potenza devastatrice nei confronti di tutte le precedenti convinzioni dal lato della sua forza di influire sulle coscienze degli uomini, proprio per la vasta portata di queste. E tale sconvolgere da un punto di vista più superficiale, più immediatamente palpabile è il senso comune, il senso morale degli uomini. Ma è veramente un prendere lucciole per lanterne, uno scambiare l'aspetto più fenomenico di un processo, più superficialmente fenomenico di un processo per la sua sostanzialità. Ma tant’è che tutti sono presi dalla smania di parlare di questa bio-etica e così invece di affrontare i problemi nuovi che sono dinanzi agli uomini, che richiedono di essere risolti, e che poi nella pratica quotidiana gli uomini affrontano e risolvono, facendosi beffa di tutte le disquisizioni teoriche di etica, bio-etica, ma partendo dai dati scientifici acquisiti formula i suoi orientamenti, come è il caso dell'aborto, della legislazione sui trapianti o la recente legislazione francese. Esiste concretamente un problema di nuova concettualizzazione, in grado di consentire una nuova sintesi dei saperi e giungere ad una formulazione teorica organica unitaria. Problema questo, anche se i livelli e la qualità erano decisamente inferiore per potenza di problematica e altezza delle risposte da dare, che gli uomini si sono trovati sempre dinanzi ad ogni passaggio tra una società ed un'altra. La più importante che abbiamo affrontato è stato quando agli inizi del 1700 dinanzi agli sviluppi scientifici e tecnologici: Galilei, Newton, Cartesio, Leibnitz e quanti altri nei vari campi della scienza si poneva il problema di una nuova sintesi e di un nuovo quadro referente unitario e dove fu la metodologia newtoniana a svolgere il ruolo di metodologia fondante. Esiste, si diceva, un tale problema di nuova concettualizzazione ed indipendentemente se si chiama bio-etica o quant'altro: va affrontato. In generale si tende a rileggere e ripresentare in chiave più o meno moderna tutto il passato pensiero con particolare riguardo all’Etica. Si va così dalla rilettura e riproposizione di Aristotele, o di Hume, o di Kant e quanto altro del passato pensiero. E’ questo un comodo modo per sfuggire dai problemi e trovare facili vie. E’ tempo di fare giustizia di tutto questo, affinché liberatici dal peso di questo passato pensiero si possa affrontare i problemi nuovi che stanno dinanzi agli uomini e si possa così ristabilire quell'unità fondamentale e preziosa tra scienze naturali e filosofia, superando nel contempo la frattura e contrapposizione. Occorre dire con franchezza che tutto il passato pensiero non ci è di utilità alcuna, e che raschiare il fondo del barile, se ha potuto avere un senso nel passato, oggi non ha ne ha nessuno. Il tipo di problematica che abbiamo di fronte: vita-morte-fecodazione-assistita-eutanasia-trapianti non erano assolutamente nell'ordine di idee - e non potevano esserlo - di tutto il passato pensiero. Leggervi allora una modernità di questo o quello è solo una forzatura, tanto vale, e si fa molto prima anziché attribuire a questo o a quel pensatore del passato questo o quella posizione dire la posizione e prendersene la paternità. I testi a cui si fa costante richiamo sono: Aristotele Grande Etica, Etica a Nicomao, Etica Eudemia; Hume Trattato sulle sensazioni umane; Kant Fondazione della metafisica dei costumi, Metafisica dei Costumi, Critica della ragion pratica.
Vogliamo brevemente passare in rassegna questi autori e questi testi e fare così giustizia una volta per tutte di tutto un discutere inutile ed ozioso.
Prima però vogliamo fermare l'attenzione sull'etica più in generale, perché già da qui si presentano incomprensioni, imprecisioni, affermazioni arbitrarie che si coniugano con il più comune senso di etica-morale.

CHE COS'E' L' E T I C A?
E' assieme alla Logica, all'Estetica, ecc. un ramo della filosofia. Essa si occupa della morale, dei giudizi morali, delle azioni degli uomini, riguarda giudizi di merito e comportamentali. La prima e più elementare sistematizzazione di queste regole comportamentali e di giudizi di valori etici dal punto di vista filosofico si ha con le " massime dei Sette Sapienti" del VII-VI. Il primo trattato di Etica si avrà con Prodico, ove in generale viene trattato della Virtù e della Corruzione, della lodevolezza di una vita fatta di lavoro, di sacrificio, di abnegazione, onestà, lealtà in opposizione ad una vita condotta nel lusso, nel piacere e nell'ozio. Qui le due categorie principali sono costituite da ' Virtù' e ' Corruzione', ove ai due termini si associano: Lavoro - Sacrificio, Ozio - Piaceri. L'impianto organico, nei suoi tratti fondamentali, che si lega ad una profonda riforma morale e religiosa e che introduce per la prima volta la distinzione tra una vita teoretica ed una vita pratica, è costituito dal movimento pitagorico. Esso lega in un tutt'uno società civile, regole morali, pensiero filosofico e teorico più complessivo, religione e metempscicosi: ossia la trasmigrazione dell'anima da un corpo all'altro in base al tipo di vita che viene condotto: se un uomo in vita avrà condotto una vita buona alla sua morte la sua anima trasmigrerà nel corpo di un altro uomo, se cattiva degraderà fino all'animale ed alla vita vegetale, incarnandosi in una pianta. Tema questo assai caro a Platone che lo svilupperà ed integrerà, dentro una ben più complessa teoria. Le due categorie di ‘ Virtù ’ e ‘ Corruzione ‘ costituiscono le due prime categorie etiche . Successivamente esse si arricchiscono di altre quali ‘ buono’, ‘ giusto’, ‘ coraggioso’; ma in realtà possiamo dire che in tutta la fase della società schiavista queste saranno e costituiranno le categorie fondanti. Ciò a cui assisteremo sarà un capovolgimento di giudizio: se in Prodico ‘ ozio’ è elemento negativo, nel processo di rafforzamento e consolidamento della proprietà privata, ‘ ozio’ diverrà ‘ otium’, fino a configurarsi con Platone e poi con Aristotele come elemento positivo, fondante, status simbol decisivo, condizione unica per l'intellettuale. In effetti la classe proprietaria proietta i s u o i valori: non-lavoro, lavoro appropriato, letto come ‘ o t i u m’. E sarà ' sofòs' con Platone, che liberatosi dalle pene ed affanni della vita e scissosi dalla sua materialità, liberamente potrà dedicarsi alla ricerca della verità - è qui che viene integrato l'elaborato del movimento pitagoreo - fino a configurarsi come ‘ ascesi ’. Sara, invece, ‘ otium ’ in Aristotele dove le operazioni manuali sono disprezzate ed in massimo grado quelle che hanno a che fare con il procacciare denaro. Anche se poi Aristotele non disdegnerà il vile denaro e gli darà un valore come mezzo per raggiungere la felicità, il mezzo tramite il quale liberarsi dagli affanni della vita terrena e poter vivere una vita di ' otium'. ‘ Otium ‘ viene, cioè, a configurarsi come vita di studi e di ricerca. E sarà questa la concezione della società schiavista e poi della nobiltà feudale. E sarà tutta una battaglia condotta dal protestantesimo ( Lutero ) e da una parte dell'umanesimo italiano ed europeo, che riproporrà al centro la positività di ‘ denaro ’. Con Aristotele, inoltre, avremo l'arricchimento di altre categorie, quali ‘ valoroso’, ‘coraggioso‘, ‘ fedele/fedeltà ‘ la cui forte caratterizzazione militare di questi valori etici evidenzia la natura bellica della società schiavista. La società feudale, tutta schiacciata sulla visione teologica e cristianea, arricchirà questa struttura con altre categorie: ‘ divino’, ‘ sacro ’ e giudizi inerenti: ‘ sacrificio’ e ‘ povertà ’, ‘ dolore’. Mutuerà entro queste categorie quelle della schiavista, rileggendole dentro queste e dandole valenza diversa. L'Etica della società borghese, pur articolandosi attraverso queste categorie ( della schiavista e della feudale ) mutuandole anch'essa, ne introdurrà altre, espressione della modifica del rapporto dominato-dominante, che il sistema di produzione capitalistico per sua natura comporta. Viene scisso, formalmente, il giudizio morale da quello religioso ed introdotta la tematica dell'essere e dover essere. I tratti che qui vanno fissati sono:
1. natura tutta individuale di queste leggi e regole comportamentali;
2. proiezioni della classe dominante, di come essa si leggeva, o sue ‘ lusinghe’;
3. proiezione dei valori della classe dominante per la più complessiva costruzione del suo consenso/dominio.
Questa produzione teorica e regole e norme comportamentali non sono ricavate dalla realtà, ma imposte alla viva vita in nome delle esigenze di un sistema. Esse però si fondano sull'albero della vita, hanno cioè, comunque, una base materiale, una base concreta, reale, che poi dalla logica e visione e mentalità della proprietà privata vengono coartate, mistificate e fatte entrare nella cruna dell'ago proprietario. Questa base materiale è la natura sociale dell'uomo, del suo essere un animale politico.
Lo sviluppo scientifico e tecnologico - come abbiamo visto - hanno decisamente superato l'àmbito del singolo e rese obsolete quelle regole e norme e richiedono tutta una nuova produzione teorica, scientificamente fondata, che superi i luoghi comuni, le vecchie credenze, le regole e norme astrattamente definite e ricavate invece dalla vita degli uomini.
In tutta la storia del pensiero, esso stesso dialettico, noi assistiamo come a partire dalla filosofia si sono nel tempo separate e costituitesi come scienze a sé gli attuali campi del sapere umano.
Un processo analogo è in atto per quanto attiene l'Etica.
ETICA
Nel processo di separazione delle varie discipline dall'égida della filosofia si attua la scomposizione delle tematiche: una parte viene diversamente definita alla luce dello sviluppo delle scienze naturali e sociali; 'altra decade nel misticismo, nell'irrazionalismo, nella mitica, ridotta cioè a fantasticherie.
Il processo nella fase iniziale si caratterizza per il permanere di tratti idealistici e metafisici, mantiene ancora caratteri e contenuti della vecchia tradizione.
" La prima critica ad ogni scienza è necessariamente prigioniera dei presupposti della scienza che vuole combattere. "
L’animistica sarà un ramo della filosofia, che costituirà parte sostanziosa della teologia e più in generale della corrente idealistica. Essa comprendeva in maniera acritica tutto quello che riguardava, poteva riguardare o avrebbe dovuto riguardare l'anima, e quindi: - i sentimenti,
- le affezioni più in generale,
- lo spirito vitale,
- caratteri degli individui.
Successivamente lo sviluppo delle scienze naturali e sociali ha consentito la comprensione e spiegazione di tutta una serie di fenomeni, la cui non intelligibilità consentiva non solo fantasticherie ma anche di collegare tra di loro in rapporti strettamente consequenziali fatta diversi, ma che per il più superficiale aspetto, per il dato più immediatamente vero - e questo era il livello superficiale di lettura dei legami e dei nessi - consentiva un associazione di tipo consequenziale.
In una prima fase si avrà la psicanalisi di Freud e Jung, che inizia spiegare in termini meno astratti ed idealistici una serie di fenomeni, per l'innanzi campo dell'animistica, sottraendola ad essa. La sociologia cercava di spiegare una serie di comportamenti sociali dell'uomo. Entrambi sono legati ai primi sviluppi della neurologia. Successivamente una serie di campi attinenti alla Psicanalisi vengono a costituire oggetto della Psichiatria, quelli legati a fatti neurologici. Ulteriori sviluppi nel campo della neurologia e della neurofisiologia consentirà di sottrarre la psicanalisi dall'àmbito mistico e mitico - ed in definitiva irrazionale - nel quale si trovava per fondarsi definitivamente come scienza. Gli studi ed i risultati conseguiti nella neurologia e nella neurofisiologia pavloviana consentirà di superare il soggettivismo freudiano e junghiano.
Alla fine di questo processo abbiamo la fondazione di alcune scienze: Psicanalisi, Psichiatria, Sociologia, Neurologia, Neurofisiologia ciascuna con àmbiti sostanzialmente definiti/definibili in stretta interconnessione tra di loro.
Alla fine di questo processo l’animistica si è scomposta-scissa.
Le tematiche: sentimenti, affezioni in generale, spirito vitale, carattere degli individui sono scientificamente impostati e razionalmente posti. Essi procedono oramai lungo le loro direttrici di sviluppo. E questo era il nucleo logico-razionale. Resta il concetto di ‘ anima ’ oramai sostanzialmente svuotato, contenitore vuoto, che sta più a dire cosa è stato che quello che é. Resta cioè un factum spirituale, idealistico, ma senza più alcun riferimento tecnico, naturale, materiale.
Il fieri , il divenire, dell’ e t i c a è, ovviamente, assolutamente imprevedibile. Quello che possiamo qui delineare, con tutti i distinguo, sono solo alcune linee più generali, partendo dallo sviluppo scientifico.
Il dato più immediato è che lo sviluppo della scienza medica mette in crisi l'etica. Indico qui il campo più generale i cui rami specifici sono tra l'altro: la Biologia, la Genetica, la Fisiologia, la Fisiopatologia, la Ginecologia, la Biochimica, la Chirurgia: la micro e macro chirurgia dalla ingegneria genetica al trapianto d'organi e tutti interconnessi dal più generale concetto di ‘ vita’.
L'altro elemento, così tagliando alla grossa, è il tratto sociale dell'etica. In esso vanno distinti:
- i giudizi;
- norme e regole comportamentali, che poi danno questo o quel giudizio etico;
- valori, a cui ispirarsi che le norme e regole comportamentali diranno a quali valori si fa capo ed in derivata seconda il giudizio.
Nel tratto ‘ sociale’ vi sono le più generali norme di un qualsiasi sodalizio.
Vi sono anche i modelli, i ‘ miti’, gli ‘ status simbol’ delle classi dominanti, che si sono sin qui succedute e che si sono stratificate nella comune coscienza e nell'espressione teorica: l'etica, appunto. Ed in quanto modelli e ‘ miti’ e ‘ status simbol’ essi costituiscono sia le catene spirituali che opprimono le coscienze della classe dominata, ma costituiscono anche le catene che tengono in schiavitù la stessa classe dominante. Attraverso l'etica - ma più in generale attraverso la sua produzione teorica: letteratura, arte, etica, estetica, la concezione teorica più generale - la classe dominante proietta le sue illusioni di essere, la sua autoalienazione e su questa costruisce il suo consenso-dominio.
Aristotele
‘ Etica a Nicomao ‘ è il testo maggiormente citato e preso in forte considerazione nel dibattito concernente l'Etica contemporanea e la bioetica., anche perché poi quanto viene detto negli altri scritti di Etica è già tutto in ' Etica a Nicomao'.
In realtà esso non c'entra nulla e non può dare indicazione alcuna, nè può essere considerato in alcun modo un testo, un canovaccio, uno spunto da cui partire. Non solo e non tanto, ma questo lo vedremo poi, perché un testo del IVsecolo, ma per il contenuto in sè del trattato aristoteliano. I temi che qui vengono trattati sono decisamente out dal dibattito che oggi investe la bioetica.
Pone alla base di tutto, e quindi del perseguimento di virtù, la felicità. La virtù è una medietà e dipende dall'anima, anima che viene distinta in razionale ed irrazionale e le virtù distinte in dianoetiche ed etiche ed esse dipendono dall'anima irrazionale. L'anima irrazionale è distinta in due: vegetativa e concupiscibile, le virtù dipendono dall'anima concupiscibile e sono poste sotto la direzione della parte razionale. La virtù è allora medietà tra le diverse passioni, raggruppabili attorno a piacere e dolore, giacché gli uomini ricercano il piacere e rifuggono il dolore e da come ricercano il piacere come si deve e quando si deve e da come rifuggono il dolore come si deve e quando si deve che si ha la virtù, proprio ed esattamente in quanto medietà tra questi estremi.
Aristotele costruisce così questo schema:
PAURA - ARDIMENTO----* CORAGGIO
____INTEMPERANZA
PIACERE - DOLORE -----* MODERAZIONE
___PRODIGALITA'
-----INOPPORTUNA SPRECONERIA
DARE - AVERE ------* GENEROSITA' RICCHEZZE-------* MAGNIFICENZA
[ per quanto attiene averi/denaro] ----AVARIZIA ------VOLGARITA’
La differenza tra ' magnificenza' e ' generosità' è nella quantità degli averi, della ricchezza posseduta.
-----SUPERBIA
ONORE - DISONORE-----* MAGANIMITA'
------PICCINERIA
_____AMBIZIONE
NELL'ASPIRARE ALL'ONORE----* ?
-----INDIFFERENZA
----IRACONDIA
IRA - ? ------* MANSUETUDINE
----FLEMMA
-----MILLANTERIA
VERITA' - ? -------* VERITIERO
------IRONIA
-------BUFFONERIA
PIACEVOLE - ? --------* FACEZIA
-------ROZZEZZA
----COMPLIMENTOSO, ADULATORE
PIACEVOLE COME SI DEVE - ?---*AMABILE
----SCONTROSO
----PAVIDO
VERGOGNA - PUDORE -------*VERECONDIA
---IMPUDENTE
____INVIDIOSO
INVIDIA - MALEVOLENZA----* LO SDEGNO
----?.
Le virtù etiche sono allora: Coraggio, generosità, magnificenza, magnanimità, mansuetudine, amabilità, franchezza, facezia, verecondia.
Accenna poi al giusto mezzo per ottenere virtù, del proponimento e dei fini per raggiungerne il proponimento e della deliberazione.
Accenna poi a: l’arte, la saggezza, la sapienza, la scienza politica e la saggezza e la buona deliberazione in merito alla scienza politica ed alla saggezza.
Altro tema che viene affrontato, capitolo 8-9, è l'amicizia, quando deve esserci, tra chi e quando tra essere inferiori e superiori.
Per quanto attiene ai piaceri si sofferma su quelli del tatto e del gusto, ed ovviamente la storia va a parare sul cibo e sul sesso e per converso sull'incontinenza, l'effeminatezza, ecc. ecc.
Gli unici tratti sociali, ossia politici sono contenuti nel capitolo 5 ed alle pagine 208-219 [ libro VIII, par. 9-14].
Neanche questi brevi accenni possono rivestire importanza alcuna.
Nel libro 5° vi è una generica trattazione della legge, del giusto e dell'ingiusto, dell'equo e dell'iniquo, ove è legge che definisce quando e quanto è giusto-ingiusto, equo-iniquo.
I paragrafi 9-14 del libro 8°, posta l'amicizia come comunanza, tratta delle varie forme di governo, che sono poi quelle trattate nella Politica: sue forme e sue degenerazioni, dove anche qui si riafferma il concetto della medietà.
Il punto di arrivo di tutta la trattazione aristoteliana è esposta nel libro 10 che tratta della felicità. Qui dopo aver fatto un'esposizione dei precedenti concetti e teorie di ‘ felicità’ - paragrafi 1-3, definisce la felicità vera e perfetta quella intellettuale della contemplazione, perché autosufficiente e non abbisognevole di alcunché, secondo il ben noto schema della logica aristotelica che ciò che di niente ha bisogno è il più perfetto ed a rafforzare tale sua teoria porta ad esempio il dio, che di nulla ha bisogno e che contempla. Nella vita materiale una tale possibilità è legata al possedimenti di ben precisi beni materiali che sottraggono il soggetto alle angustie della vita.
Vi è qui la riproposizione della scissione tra il ‘ bios teoretikòs’ e ‘ bios practikòs’ di pitagorea memoria e poi ampiamente sviluppata da Socrate e poi da Platone. Ma il ‘ sofòs’ platoneo è qualcosa di ben più sostanzioso del ‘ sofòs’ aristoteliano.
Il concetto che va infine fissato è che ‘ piacere’ è un bene in sé definito ab aeterno, hic et nunc et saemper.
In chiusura vanno fissati due punti, che la dicono lunga sull'impianto di Aristotele e sui limiti storici, ovviamente, del suo elaborato e che sconfessa qualsiasi tentativo di recupero o rilettura.
1. La legge e la coercizione del legislatore hanno una funzione centrale per rendere gli uomini buoni e virtuosi, giacché gli uomini in generale sono guidati da ‘ passione’.
2. La famiglia: figli e moglie in quanto proprietà del capofamiglia e costituendo questa quello che Aristotele chiama ‘ diritto patronale e paterno’:
" Il diritto padronale e quello paterno non sono poi la stessa cosa.. Infatti non esiste proprio ingiustizia verso le cose che sono assolutamente in nostro possesso, le proprietà ed i figli, ma sino a quando non siano di una certa età ed indipendenti sono come una parte di noi stessi.[...]. Perciò vi è un giusto civile piuttosto verso la moglie che verso i figli e le proprietà, questi ultimi rapporti infatti costituiscono la giustizia domestica, ed essa è altro da quella civile." [ pag.125]
Ovviamente non abbiamo sollevato qui né la posizione sugli schiavi, né quella gerarchico-schaivista tipica della visione aristoteliana, che da sole basterebbero a liquidare Aristotele e qualsiasi sua validità moderna.
Ora si vede bene che tutto ciò non ha assolutamente nulla a che vedere con le problematiche moderne.
Possiamo tranquillamente collocare questo Aristotele accanto alla rocca da filare e consegnarlo agli storici: con lui non procediamo avanti di un passo.
Se noi storicizziamo ci rendiamo conto che le cose vanno ancora peggio: l'ideale base di Aristotele è l'autosufficienza, la possibilità per il proprietario di schiavi, e questo era poi lo status-simbol della società schiavista, ma poi anche della feudale, di non dover dipendere da nessuno. Bene è espresso questo ideale da Petronio nel suo ‘ Satyricon’, allorquando vantandosi della sua ricchezza Trimalcione dichiara che egli può avere il vino della Grecia dai suoi possedimenti in Grecia e quanto dalla Sicilia dai suoi possedimenti lì e di non dover così dipendere da nessuno ed a tutto poter provvedere per sé e per la massa di schiavi e clientes a lui sottomessi e di poter dividere tutto ciò con gli amici, che invitava nel Triclivio.
Come ben si vede gli orizzonti e le istanze sono molte diverse.
Un’annotazione storica, infine, ben caratterizza l’epoca di Aristotele:
Occorre sapere che Aristotele è stato il precettore di Alessandro Magno, il grande condottiero macedone che a soli 33anni aveva riportato vittorie e conquistato territorio alla Macedonia fino al regno dei Parti, ossia ai confini con l’India. Sottomise cioè tutta l’Europa orientale dell’epoca, che va sotto il nome di Asia minore. Bene: Alessandro Magno muore a 33anni, e questo comporta il fermo di tutta l’espansione militare della Macedonia, per una ferita, riportata in battaglia, al ... piede destro!

HUME
Il testo che viene posto alla base dell’attenzione è " Trattato sulla natura umana", in particolare il Libro III " Sulla Morale".
L'attenzione di Hume si ferma sulla passione, la volontà e la ragione, ove la ragione non ha alcun effetto; e non ne ha né sulla passione né sull'azione che le passioni determinano.
" La ragione è del tutto inerte e non può mai produrre né impedire un'azione o un'affezione". ( pag. 484 )
Hume ha torto quando dice che la ragione non inferisce nelle azioni promuovendole o impedendole, essa non inferisce circa le pressioni, ma non circa le passioni, per cui la conclusione che la morale non inerisce la ragione non è conseguenzialmente corretta.
Ora il punto che a noi qui interessa è altro.
La morale che qui delinea Hume non è la morale del XX secolo, i problemi che abbiamo dinanzi sono ben altri. Essi, cioè, non si riducono più al giudizio, ossia approvarli o disapprovarli. E' questa una visione limitata, angusta. Certamente è anche un riprovare o approvare, ma questo riguarda unicamente la sfera personale ed interpersonale non la società civile e cosa fare conseguenzialmente, quale legislazione, quale strutture mezzi e formazione attrezzare per... .
E’ limitativo il campo d'azione allorquando lo si identifica con passione e volizione.
I problemi della bioetica non ci stanno dentro questi confini ed infatti il dibattito non verte affatto sulle passioni o le volizioni. Si prende atto, infatti, che gli sviluppi scientifici e tecnologici hanno comportato sconvolgimenti, determinando, scatenando passioni, schieramenti ed azioni conseguenziali. Ora tali azioni rientrano nel campo della politica, ossia dell'organizzazione civile e sociale degli uomini per incidere nelle scelte dello Stato. Le azioni che la bioetica cerca di stabilire tendono a concretizzarsi in una deontologia, in una legislazione che regoli, vieti, favorisca quelle azioni.
Come ben si vede è tutt'altra cosa.
Ancora.
L'orizzonte di Hume è il singolo, qui invece l'orizzonte è la comunità-uomo; possiamo dire che l'orizzonte di Hume, ma poi di tutta l'etica classicamente intesa è lo ‘ zoòn’, mentre l'orizzonte attuale è il ‘ politikòn’: ossia l’elemento sociale dell’uomo e non più il suo tratto animale, o tutt’al più il singolo, l’unus, appunto.
Siamo qui rimandati al Libro II, parte III, sezione 3
In questo rimando si tratta del rapporto ragione-passione, ossia di cosa influenzi la volontà.
Sia nel III che nel II libro, ossia al rimando, vi è un errore teorico filosofico di fondo. Innanzitutto si fa di ‘ ragione’ un'entità astratta, fatta una tale operazione è addomesticata agli usi che si vuole.
Hume scinde momenti diversi ed interdipendenti della conoscenza e dell'azione e li costruisce separatamente, fatto questo, sviluppa tutto il discorso se volontà o pensiero e se ragione, o se...
Ancora.
Hume commette l'errore teorico di scindere la conoscenza dall'azione e parla di un'azione astratta, di un desiderio e pressione e volontà astratti, in definitiva il suo è un uomo astratto. L'Uomo è il lavoro e la conoscenza è data dall'azione.
La conoscenza è data dai tre grandi movimenti:
lotta per la produzione,
lotta per la sperimentazione scientifica,
lotta di classe.
Adesso tutto questo può essere tranquillamente respinto e non accettato, perché le coordinate qui sono quelle marxiane, ciò nondimeno tutta la costruzione di Hume non vale un bel niente, la sua è una costruzione artificiosa, artefatta, intellettualistica, ‘ fantasticherie ’.
La scienza moderna: la neurofisiologia, la psicanalisi pavloviana e tutta la scuola plavoviana hanno ben dimostrato quali siano i reali nessi tra il sistema nervoso centrale, il cervello, le sensazioni e come e cosa determina le passioni, quando esse da calme diventano violente, che esse sono regolate da enzimi, e che e che... .
Cade così tutto Hume e la sua teoria ridotta così dalla scienza ad astruserie. Poste così le cose diviene letteralmente impossibile dedurre validità dal discorso humiano. Se non è imputabile a Hume quanto scrive per quanto riguarda i risultati scientifici del XIX e XX secolo lo è per chi di Hume ne vuole fare bandiera.
Altro elemento di riflessioni di Hume è piacere-dolore, anch'essi sottratti alla ragione, se non in funzione indotta.
" Poiché la ragione da sola non può mai produrre un'azione o suscitare una volizione, ne inferisco che la stessa facoltà è ugualmente incapace di ostacolare una volizione o di contendere la preferenza a qualche passione o emozione." " La ragione è, e deve solo essere, schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire ed obbedire ad esse. [..] e poiché i giudizi del nostro intelletto sono i soli a possere questo riferimento, ne deriva che le passioni possono essere contrarie alla ragione solo nella misura in cui siano accompagnate da un giudizio o da una opinione."
" La ragione è completamente inattiva e non può mai essere l'origine di un principio così attivo come la coscienza ossia il senso morale."
Inoltre nella costruzione del suo sistema teorico Hume commette un grossolano errore, egli accomuna la categoria ‘ errore’ a negativo, attraverso una semplicistica consequenzialità: errore allora cattivo. Una pur minima esperienza ci insegna che vi sono due tipi di errori: uno è l'errore in quanto tale, l'altro è quello che poi si rivelerà errore, ma in quel momento a quel determinato stadio delle conoscenze quella è la conoscenza, che poi successivamente, sulla base della successiva esperienza, apprendiamo che la realtà è diversa da come noi ce l'eravamo prefigurata, questo è tutt'altro, è esperienza, sulla cui base costruire i successivi momenti della conoscenza, che saranno anch'essi costellati da errori, aggiustamenti del tiro, modifica totale o parziale di precedenti idee, teorie, ecc. Esiste, infine, l’errore in quanto momento dell’apprendimento. Hume invece rivela qui una visione semplicistica, come se l'uomo non avesse proceduto, e questo anche nel XVIII secolo, attraverso errori. Se dinanzi alle problematiche attuali accettassimo questa visione e concezione di ‘ errore’ noi dovremmo o abbandonare subito qualsiasi ricerca e sperimentazione o ritenere Newton e lo stesso Einstein errati, liquidare, cioè, tutto il precedente cammino dell'uomo come errore il che non ci porterebbe molto lontano.
Il clima culturale, gli àmbiti e confini intellettuali e teorici di Hume e della società inglese, perché Hume era inglese e Kant era un tedesco!, stanno tutti nell'esempio di immoralità compiuto da un vicino che si intrattiene dinanzi alla finestra in rapporti intimi con la moglie e che Hume bolla come atto ‘ lascivo’: dimenticandosi che l’altro vicino che resta alla finestra a guardare commette anch'egli - stando nelle tematiche humiane - atto immorale, giacché dalla sua finestra continua a guardare quanto accade nella casa del vicino! Ora secondo la moderna giurisprudenza il vicino commette un reato di violazione di privacy, mentre l’altro non commette reato alcuno, reato può esservi solo se è dichiaratamente sfacciata la volontà di porre in mostra quanto sta facendo. Ma! il concetto di ‘ privacy’ è totalmente estraneo alla mentalità, alla cultura, ed alla concezione del XVIII secolo, più che mai all’ambiente bigotto e puritano della società nobiliare britannica!
Ma questo esempio al di là del contenuto specifico ci dice molte cose:
1. ci dice innanzitutto che lungo queste coordinate non si va lontano,
2. ci dice del clima puritano della società nobiliare inglese del XVIII secolo;
3. ci dice che una tale impostazione non ci è di alcuna utilità, non essendo queste le coordinate sulle quali ci dobbiamo muovere per intelligere il nuovo ed accettare e risolvere, nel tempo, le sfide che ci vengono poste.
La genericità del termine e la condanna morale senza appello lascia chiaramente intravedere la visione puritana di Hume. A parte il fatto che oggi farebbe sorridere una tale impostazione, essa dice chiaramente la totale inadeguatezza di tale orizzonte teorico e teorico-culturale.
Dopo piacere-dolore, altro elemento su cui ferma la sua attenzione Hume è lussuria- lascività.
Ancora.
Hume costruisce poi un rapporto tra immoralità e giudizio, determinato da errore e verità sul dato acquisito.
Ora il dato falso non muta il giudizio morale allo stesso modo il dato veritiero: Hume cerca avance con la moglie del vicino.
Quello che prima è chiamato ‘lascivo’, diviene ‘ lussuria’.
Siamo in pieno puritanesimo britannico.
Vale bene qui quanto Engels in ‘ Antiduhring’ sulla morale.
Anche qui si rivela tutta la non adeguatezza dell'elaborato humiano per il XX secolo: il concetto di sesso, rapporto sessuale, di coppia, ecc. della famiglia mostra tutta l'angustia di questi àmbiti culturali, prima che teorici di Hume.
Non si va lontano con Hume!
La nota 5 di Hume, pagg. 487-489, è un accumulo di cose non vere.
Ora a noi non interessa entrare nel merito della polemica, quanto quella di mostrare l'arretratezza della visione di Hume e quindi l'improponibilità di essere utilizzato per i moderni problemi, che lo sviluppo scientifico e tecnologico pongono.
Parla, per esempio, di " oggetti inanimati che agiscono senza libertà e scelta".
Ora noi sappiamo che non esistono oggetti inanimati e sappiamo che i gravi sono retti da leggi ed il concetto di ‘ scelta’ va diversamente inteso e lo dovrà essere inteso nel senso della ‘casualità ’.( pag. 488)
La questione non è affatto di lana caprina, ma è centrale proprio ed esattamente nella problematica moderna, se accettiamo il concetto di ‘oggetti inanimati’ non riusciremo a discutere di ovuli, embrioni, pre-embrioni, feti, confine vita-morte, DNA. Se poi introduciamo il secondo concetto ‘ non avere una libertà e scelta ‘ diviene impossibile discutere del pre-embrione, della fisica quantistica, del principio di indeterminazione di Heisenberg, ecc. ecc.
Gli àmbiti entro cui si muove sono:
buono-cattivo, vizio-virtù.
piacere-dolore, coraggio-viltà, ecc.
sono, ancora, le vecchie categorie etiche.
Ancora.
L'orizzonte culturale di Hume è quello che il sentimento morale, che non a caso Hume chiama coscienza, è una percezione della mente, in quanto connaturata alla costituzione umana.
Ora, al di là di qualsiasi giudizio su Hume, è evidente che le coordinate sulle quali si muove la ricerca teorica moderna non sono assolutamente queste, ma sono l'esatto contrario, sono il capovolgimento più totale.
La razionalità, la scienza sono alla base di tutto un ragionamento, dal quale si inerisce se e se..
Alcune categorie sono totalmente fuori gioco:
vizio-virtù,
coraggio-viltà;
altre invece pur se si sono mantenute:
buono - cattivo,
piacere - dolore
acquisiscono tutt'altra valenza, significato per cui sono tutt'altra cosa da quelli humiani. Essi hanno al centro tutt'altra concezione della vita e prima ancora dell'uomo. Rimandano cioè ad un rapporto interrelazionale: uomo-società-vita/morte-piacere-dolore che non è dell'epoca humiana e neppure della prima metà del XIX secolo. Sono, cioè, i risultati scientifici, ossia il progredire dell'uomo, in alcuni campi, all'epoca di Hume totalmente inesistenti: biologia, biochimica, biofisica, microbiologia, immunologia, fisica subatomica, ecc., medicina e chirurgia con tutte le loro branche afferenti.
Tutto questo degrada al rango di irrazionale, mistico, mitica, alchimia tutto il precedente pensiero.
La riflessione humiana doveva rispondere ad altre esigenze, sostanzialmente ancora a quelle dell'etica aristoteliana. Tali riflessioni, ragionamenti non implicano alcun valore/obbligo giuridico e/o morale erga omnes, proprio per il carattere unus di quelle riflessioni e di quelle esigenze, che al contrario la riflessione moderna per il carattere ‘ politikòn‘ hanno tutt'altra valenza.
Nascono, ripeto, e sono imposte dallo sviluppo scientifico ed in quanto tale ad esse devono rispondere e su questo terreno deve muoversi di qui il suo fondarsi come scienza e staccarsi dall’ègida della filosofia, da qui cioè il processo fondazionale di questa nuova scienza.
" con il termine piacere intendiamo sensazioni che sono molto diverse l'una dall'altra, ...
E' vero che questi sentimenti che sorgono dall'interesse e dalla morale sono soggetti ad essere confusi e si scambiano naturalmente l'uno con l'altro. [...] una voce musicale non sia che una voce che naturalmente fa sorgere un particolare tipo di piacere, pur tuttavia è difficile che un uomo riesca ad avvertire che la voce di un nemico è gradevole o ad ammettere che è musicale. Ma una persona dall'udito sensibile, che abbia padronanza di se stessa, riuscirà a separare questi sentimenti ed a lodare ciò che lo merita. ( pag. 499)
" Orgoglio e umiltà, amore e odio...." ( pag. 500 )
Anche qui: orgoglio, umiltà, amore e odio sono queste le vecchie e " classiche" categorie dell'etica, ma che non hanno nulla a che vedere con i concetti con i quali oggi facciamo i conti.
Il concetto base oggi è ‘ p r i v a c y ‘. Esso include anche ‘ orgoglio’ del soggetto ma è tutt'altra cosa del significato etico-cristianeo, giacché poi questa è categoria della teologia morale giudaico-cristianea, il concetto greco ‘ h y b r i s ‘ di cui Sofocle, Eschilo è tutt'altra cosa.
Lo stesso per ‘umiltà ’ è tutto cristianeo, che non trova corrispettivo nella cultura greco-latina. Anche i termini ‘ amore’ e ‘ odio’ ed il costituirsi in opposizione è tutto della tradizione cristianea e cortigiano-feudale.
Dalla trattazione humiana, inoltre, non sappiamo nulla da quali princìpi nascono o si generano la ragione, la volontà, e così per il dolore ed il piacere. ( pag. 500-503 )
Né sappiamo quali sono i pochi princìpi più generali, giacché non è possibile, a differenze delle scienze naturali, giungere ad alcuni princìpi: siamo così arrivati al capolinea humiano: l’agnosticismo, il nullismo nella conoscenza per quanto attiene questo campo. Gli sviluppi scientifici tra il 1870 ed il 1935 diranno e con precisione scientifica quali siano tali leggi, ecc.: la teoria pavloviana in modo particolare.
Postosi il problema, pag. 503, di quale sia il motivo che spinge gli uomini ad un’azione virtuosa, giunge alla conclusione che non esiste una legge, e che ciò è il prodotto dell’educazione e delle convenzioni sociali.
Ora a noi non interessa assolutamente entrare nel merito di tale discettazione, conta per noi qui fissare tutto l'essere out di questa impostazione, la sua totale insolvibilità rispetto ai problemi che stanno oggi di fronte.
Il punto finale a cui giunge è che gli uomini sono indotti dall’educazione e dalle convenzioni sociali perché costretti a vivere in comunità - e questo era già acquisizione di Aristotele di 2100anni prima! - e giungono ala comunità per la necessità dell'atto sessuale, e attraverso la famiglia ed attraverso un insieme di famiglie e loro rapporti interrelazionali si giunge alla costituzione della società.
Neanche qui niente di nuovo, è la vecchia storia della famiglia cellula della società, a cui il più semplice senso comune era già giunto ed assai prima di Aristotele e questo almeno 4500anni prima di Hume! Ma così facendo Hume fissa in maniera irreversibile tutto il tratto bestiale di famiglia, di cui si è detto e dinanzi a cui la fecondazione assistita crolla miseramente, giacché secondo la teoria di Hume la comunità uomo, la società civile dovrebbe alla fine dissolversi venendo meno il nucleo fondatore, la cellula, di tale società.
Fermiamo qui la nostra analisi del ‘Trattato sulle sensazioni’, essa prosegue con altri argomenti: la proprietà, il rapporto proprietà-convenzione-giustizia, ecc. ecc.
Da questa rapida sintesi appare come tutto quanto scritto sulle passioni: dolore, piacere, passioni ed affezioni in generale e che cosa le determina. La scienza dell'uomo del XX secolo ha ampiamente risposto. L'angolazione di lettura è tutta individuale, personalistica, che riguarda esclusivamente il singolo soggetto e non riguarda la società verso il singolo, la società verso i suoi membri, che è poi, invece, come si è detto, il tratto peculiare, decisivo che caratterizza in maniera inequivocabile la nuova, diciamo così, etica e che determina poi tutto il processo fondazionale di questa nuova scienza.
Possiamo così riporre Hume assieme ed accanto ad Aristotele, confermandoci entrambi non solo le tematiche e problematiche ed orizzonti totalmente inediti che investono oggi gli uomini, ma che effettivamente la nuova epoca che si sta aprendo dinanzi agli uomini è un'epoca decisamente nuova, come si è detto, che non ha niente in comune con il passato, con tutto il passato, tant’è che il passato pensiero non ci è di nessuna utilità, venendosi a modificare radicalmente le coordinate di pensiero di riflessione e di ragionamento e quindi le coordinate di azione e di intellezione e trasformazione del reale da parte degli uomini. E sono poi questi uomini non le singole comunità sparse in villaggi o appena agglomerati nei primi centri industriali del 1700, ma è una comunità-uomo che si è ormai già configurata ed agisce come comunità-uomo mondiale intesa.

KANT
I testi kantiani che vengono di volta in volta tirati in ballo sono molteplici, sostanzialmente l'impianto teorico dell'etica kantiana è in " Fondazione della Metafisica dei costumi". Il testo successivo " Metafisica dei costumi" rimanda e presuppone " Fondazione". " Critica della ragion pratica", presuppone e rimanda a " Fondazione".
Noi quindi fermeremo la nostra attenzione su " Fondazione della Metafisica dei costumi".
E' lo stesso Kant, che nella sua Prefazione, indica questo suo lavoro come base.
Scrive: " [...] giudico opportuno far precedere a parte [ alla Metafisica dei Costumi ] questa elaborazione del fondamento, per non dover in seguito associare a dottrine più comprensibili quella sottigliezza che in tal ricerca è inevitabile.
La presente fondazione, cionondimeno, altro non è che la ricerca e determinazione del principio supremo della moralità: ciò che di per sé costituisce, nel suo intento, un lavoro a sé, da isolarsi da ogni altra ricerca di morale."
In generale possiamo dire che per Kant l'essenza dell'azione etica è quando è libera da vincoli, legami inclinazioni, necessità di vario tipo ed a vario livello. Fa discendere da questa asserzione assiomatica la distinzione tra scienze empiriche e scienze non empiriche e conseguenzialmente mondo sensibile e mondo intellegibile, ove l'uomo è parte dell'uno e dell'altro, di qui scaturiscono, poi, le contraddizioni insolubili del sistema kantiano tra un in sé inconoscibile e l'esistenza della conoscenza e sulle certezze a cui si può giungere nell'intelligere il mondo sensibile.
Il mondo intellegibile e razionale non debbono, per Kant, trarre alcunché dalla pratica e dall'esperienza, ma autofondarsi, ossia esse costituiscono l'in sé che è un a-priori.
Da tutto questo Kant fa discendere la contrapposizone tra l'essere del mondo sensibile ed il dover essere del mondo razionale.
Un'azione etica è tale allora se libera da vincoli, legami, condizionamenti, inclinazioni, per cui un'azione anche se lodevole e buona ma spinta, determinata dalla necessità, da vincoli, ecc. non può considerarsi azione etica; all'inverso, invece, un'azione errata, nociva, ma libera da condizionamenti è azione etica.
L'azione etica inoltre è quella che non ha limiti di applicazioni, ossia è valida sempre e comunque erga omnes, se non possiede tale caratteristica tale azione, tale comportamento, non costituisce azione etica e conseguenzialmente non è catalogabile come comportamento etico e non costituisce legge etica.
Infine Kant introduce il concetto di ‘ Imperativo’, che nella sua costruzione è una categoria chiave.
L'azione degli uomini può avvenire sostanzialmente o per costrizione: vincoli, legami, condizionamenti, in una parola necessitata ed allora essa avviene sulla base di un imperativo ipotetico, giacché vi è la costrizione e non la libertà, oppure può avvenire libera da condizionamenti ed avere valore generale ed incondizionato e questo è l'imperativo categorico. Solo la legge morale comanda in maniera categorica, per cui l'imperativo categorico si configura come imperativo morale. E' in effetti la stessa formulazione della precedenza configurazione di azione, solo che qui ad azione etica, si sostituisce un termine più altisonante: imperativo.
In effetti in Kant niente di nuovo, di quanto nella filosofia più arretrata: fallacità dei sensi e dell’esperienza, esistenza di una razionalità e di leggi scisse dall’esperienza e che sono date a priori; il filosofo, o l'etico, o il raziocinante è tale se si libera dalle costrizioni quotidiane, che agiscono da impedimento al raggiungimento della comprensione di quell’in sé sé a-priori. Teoria questa niente affatto nuova, era già stata formula da Platone 2100anni prima di Kant e che qui Kant ripropone, anche se in una veste più ‘ soft’, ma si vede subito di chi è figlia.
Ma in definitiva non è neanche questo quello che interessa: l’angolazione, il taglio che qui Kant propone è la scissione tra la concettualizzazione teorica, sia essa una legge o un pensiero, e la pratica degli uomini. L'esistenza di un corpus di leggi apriori, non ben definite né definibili, che dovrebbero costituire la guida per la ricerca e più in generale l'agire degli uomini.
Ora richiamando alla nostra mente i problemi che abbiamo dinanzi ci rendiamo ben conto come una tale impostazione, una tale proposta metodologica, al di là delle questioni specifiche, non riveste per noi alcuna importanza. Non ci è di nessun aiuto o contribuito. E' evidente, anche alla prima e sommaria riflessione, come il taglio e le problematiche siano totalmente diverse e che le moderne non ci stanno in Kant e questo a conferma della profonda fase di transizione e l'emergere di una nuova società, con tutti altri valori e ben altro apparato concettuale e teorico.
Diviene allora sintomatico quanto Kant scrive circa la definizione di azione etica: essa si ricorderà deve essere libera da vincoli e che un'azione anche se lodevole ma dettata da qualche motivo sia pure l'aiutare qualcuno non è etica; lo è invece quella che è libera anche se negativa, dannosa, pericolosa.
Quanto Kant scrive, e che ora riportiamo, può ben costituire l'epitaffio funebre sull'etica kantiana. Essa la dice tutta sui livelli scientifici dell'epoca, la dice tutta sugli orizzonti culturali, materiali, scientifici dell'epoca di Kant e da quali basi reali, concrete, materiali, partiva poi la riflessione kantiana, anche se poi Kant ha impiegato tutta la sua vita per dimostrare che non esiste alcun legame tra le condizioni materiali ed il pensiero di un'epoca.
Ecco la perla kantiana: " l'uomo per esempio affetto da gotta che sceglie di gustare ciò che gli piace, e di soffrire ciò che gli tocca, perché non si sente disposto a sacrificare il godimento dell'attimo presente all'aspettativa, forse infondata di una felicità futura.".
Provate ora ad applicare un tale concetto etico alla pratica scientifica ed ai problemi che ci sono dinanzi, ma non tanto l'esempio in sé quanto il metodo di pensiero che esso presuppone, il livello culturale e scientifico che esso presuppone: ove tali confini culturali costruiscono una contrapposizione tra fine-felicità-azione scissa dalla salute. Nella concezione moderna al soggetto è lasciata la libertà di agire, ossia di gustare quanto gli aggrada, ma a nessuno verrebbe in mente di chiamare etica una tale azione e tale da contenere principio generale etico valido per tutti.
Kant, infatti, così continua:
" Ma anche in questo caso, in cui la generale inclinazione alla felicità non determina il suo volere, e la felicità, almeno ai suoi occhi - del gottoso - non prevale necessariamente, rimane tuttavia ( in questo come in tutti gli altri casi ) una legge, quella di promuovere la propria felicità, non per inclinazione, ma per dover; ed ecco che il suo comportamento raggiunge un genuino valore morale."
L'altro punto da fissare, che fissa inesorabilmente tutta la limitatezza e pochezza teorica è proprio quella teoria della libertà dalla necessità.
Anche qui niente di nuovo: sono questi termini ed argomenti della più trita e ritrita filosofia già a partire da Platone ed il cui centro, che Kant qui ripropone è una materialità che agisce da freno al libero agire dello spirito ed all'intellezione del mondo dello spirito.
E' questa di Kant una visione ‘ soft’ della teoria socratica del ‘ sofòs’-saggio, ma si vede bene di chi è figlia e cosa poi in definitiva viene Kant a riproporre dopo 2100anni dalla sua formulazione.
Kant come Hume e Kant e Hume come Aristotele, come ben si vede esprimono tutto il mondo necessitato in cui l'uomo è stato costretto a vivere per l'insufficiente sviluppo delle forze produttive, di un uomo schiacciato, annichilito da ‘ Natura’ e che ora con le recenti conquiste della scienza e della tecnica si è liberato di quel livello ed avanza verso più alti livelli di trasformazione ed intervento sulla Natura, giungendo a porre dinanzi alle coscienze problemi nuovi, come abbiamo indicato in precedenza.
Il deismo.
In generale le teorie religiose partono tutte da un assunto che la vita degli uomini appartiene al dio e che gli uomini sono strumento di questo dio. Esse assistono ad un forte processo di arretramento e ridimensionamento delle loro teorie, Lo sviluppo scientifico e tecnologico in maniera irresistibile ridimensiona i loro campi di attinenza, riducendoli alla gestione del rapporto vita-morte. Ma i recenti risultati li scacciano anche da lì.
Esse avvertono tutta la pesantezza dell'attacco concentrico ed avvolgente che li travolge e cercano disperatamente di porvi riparo.
Cercano di attrezzare nuove risposte ed attestarsi su nuovi campi e terreni; ma anche questi nuovi terreni ed àmbiti su cui iniziano a disporsi sono tremendamente deboli ed una breve disamina fa subito vedere tutta la intrinseca debolezza loro e l'incapacità di attrezzare risposte alte.
La Convention di Chicago è la più eclatante ed inoppugnabile prova della debolezza e della disperazione Nel settembre 1993 si è tenuta a Chicago una Convention di tutte le religioni del mondo che ha elaborato una Dichiarazione, non a caso intitolata ‘ Per un'etica mondiale’.
Hanno sottoscritto il documento rappresentanti delle seguenti religioni: Bahai, Brahama Kumaris, Buddismo - Mahayana, Theravada, Vajrayana, Zen-, Cristianesimo - anglicani, cattolico-romani, Ortodossi, Protestanti-, Ebraismo, Gianismo, Induismo, Mussulmani, Neo-pagani, Sikh, Taoisti, Teosofi, Zoroastriani, religioni indigene - Akuapim, Yoruba, Indigeni americani.
Nella Dichiarazione ‘ Per un'etica mondiale ‘ è detto:
" Noi siamo uomini e donne che si riconoscono nei precetti e nelle pratiche delle religioni del mondo. Noi affermiamo che tra le religioni c'è già un consenso che può costituire il fondamento di un'etica mondiale : un consenso di fondo minimo circa valori vincolanti, norme irrevocabili e comportamenti morali fondamentali.
[...]
Noi però, in quanto persone religiose e orientate spiritualmente, che fondano la loro vita su una Realtà ultima, dalla quale, nella preghiera o nella meditazione, nella parola o nel silenzio, attingono, con fiducia, energia spirituale e speranza, siamo tenuti in maniera del tutto particolare a lavorare per il bene dell'intera umanità a preoccuparci del pianeta terra. Noi .. abbiamo fiducia che l'antichissima sapienza delle nostre religioni sia in grado di indicarci delle vie anche per il futuro."
Questo attestarsi su una posizione dell'essere depositari di una sapienza antichissima è già di per sé il dichiarare la propria impotenza; è un potente autolimitarsi il campo; un ridefinirsi parte, in opposizione al precedente autoimporsi tutto.
Ora anche ammessa una tale antichissima sapienza, essa, la cui teorizzazione trova la sua massima espressione nelle concezioni filosofiche, non è assolutamente in grado di intelligere i problemi nuovi, proprio per il modificarsi del rapporto vita-morte, per lo spostarsi di tale confine e per la capacità dell'uomo di intervenire in questo rapporto, ritenuto fino a ieri determinato dal caso.
In sintesi.
Il problema della definizione concettuale di vita, morte, individuo, persona e del rapporto vita-morte costituisce il centro di tutta la riflessione etica e della bioetica.
Si affollano così turbe di ‘ esperti’, ossia filosofi e teologi che hanno inteso, e continuando ad intendere, dover far sentire il peso delle loro conoscenze, finendo solo per confondere di più le acque.
Il problema va invece posto e sollevato secondo tutt'altra logica ed impostazione: occorre partire dai dati scientifici a cui siamo giunti, prendere atto di questi e procedere innanzi.
Il filosofo non può pretendere che la sua idea di vita, morte, e la sua idea del rapporto vita-morte entri, partecipi a quel processo decisionale definitorio. Né può pretendere che la scienza renda conto alla sua idea dei risultati raggiunti o che tali risultati si conformino a tale sua idea.
Il filosofo, il teologo possono solo prendere atto che la loro idea è errata, limitata o parziale e modificarla. Poco o niente serve se quella idea ha 100 o 1000 e più anni e se esiste una consolidata tradizione di pensiero e apparato teorico-concettuale consolidato.
Il filosofo può solo pendere atto dell'inservibilità, totale o parziale, di quell'apparato e porre mano ad elaborarne uno nuovo, rispondente, come il precedente - questo sì! - al nuovo livello di conoscenze scientifiche raggiunto ed acquisito dall'uomo.
Il voler persistere a mantenere un ruolo è solo ingombro.
Viene giustificato tale ingombro in nome di una funzione di ‘ garanti’, di ‘ guardiani’ contro errori, come elemento frenante, di moderazione che costringendo alla moderazione, a rallentare o segnare il passo, ad una più attenta riflessione ed un porre in evidenza limiti, carenze, ecc.
Difesa questa a prima vista decisamente forte.
In realtà le cose stanno in maniera ben diversa: la loro presenza, il loro tirare per la giacca, continua ad essere di ingombro, un peso, che rallenta la marcia spedita in avanti, l'unica in grado di comprendere meglio le cose e intelligerne limiti, errori, carenze, il trattenere per la giacca, il costringere a zig-zag, a mediazioni rallenta questo intelligere ed alcune volte può anche portare su strade false, che possono indurre a concludere errata quella strada intrapresa, risultando invece errata la mediazione, quello zigzagare. Occorre comprendere che noi stiamo vivendo una maestosa ed al tempo stesso tempestosa fase di transizione, la seconda grande transizione, dopo la transizione all'età del bronzo, per cui è normale, logico che crollino uno dopo l'altro antiche certezze, e limiti ritenuti fino a ieri insuperabili: ed è per questa fase di transizione che occorre attrezzarsi. L'attrezzarsi per freni e cautele è delle fasi di transizione di passaggio, ma non per quelle epocali, che segneranno un nuovo altro cammino dell'Uomo.
Con l'età del bronzo l'uomo transita dalla fase bestiale-primordiale a quella civile; con la fase attuale l'uomo sta transitando dalla sua preistoria alla Storia, da un rapporto subordinato e necessitato nei riguardi della natura ad un rapporto di profonda conoscenza e quindi di Libertà. E’ questa la fase di transizione epocale dal regno della Necessità al regno della Libertà: ed è poi la coscienza di questa grande transizione che viene mano, proprio in chi, il filosofo, appunto, ha maggiori e più affinati strumenti per intelligere tale sconvolgimento epocale. La tesi sostenuta del ‘ guardiano’ in quanto teorizzazione comporta solo un maggiore ingombro ed elemento di confusione e turbativo del processo in atto, che da autentica marea montante fa rapida giustizia di ogni opposizione.
La tesi non ha sostanzialità alcuna sul piano strettamente filosofico, ossia sul piano strettamente teoretico-speculativo è un grossolano errore.
Quell'idea, quell'apparato concettuale, allorché è in maniera conclamata superato non costituisce più idea o apparato concettuale, ma degrada a pregiudizio, alchimia, superstizione, mito.
Sul piano strettamente storico filosofico si opera una scissione netta, profonda irreversibile proprio ed esattamente con quell'apparato concettuale che pur a prima vista si vuole difendere - giacché mentre quello esprimeva, su piano teoretico-speculativo, ossia nel suo massimo momento di astrazione, il livello delle conoscenze sin lì acquisite e conclamate dell'uomo, quello che ora si difende non è più tale. Riproporlo in ben altro contesto significa, poi ed in verità, non aver compreso il valore di quell'apparato concettuale e del perché esso ha mantenuto vitalità e pregnanza per tanti secoli.
Per quanto attiene il teologo il problema è decisamente più complesso: la Teologia, ma più in generale il deismo è sfidato: il concetto di Dio ha subìto un processo analogo a quello di ‘ anima’, nel corso dei secoli è venuto a perdere i dati che lo sostanziavano, giacché la conoscenza dell'uomo è riuscita a comprendere quanto prima veniva affidato a compito ed esclusività del Dio.
Dapprima egli non è stato più quello che ha creato il mondo, perché il mondo ha un lungo processo di formazione e definitivamente con Newton il suo ruolo per quanto attiene il creato è stato fissato a motore primo, a primo impulso, che imprime movimento alla materia, che meccanicamente procede poi all'infinito. E' questo un dio assente, un dio ininfluente su tutto il processo naturale. Il rapporto uomo-dio, i cui termini teorici erano stati saldamente impostati nel XII secolo da Tommaso d'Aquino, tra i più grandi geni di tutti i tempi, si limitano da qui ad un uomo che scruta la natura e la conosce ed in questo processo impara a conoscere dio, fino ad arrivare alla formulazione " Poca scienza allontana da Dio, molta scienza lo avvicina2, dove si vede che il ruolo attivo è già decisamente nelle mani dell'uomo ed il secondo termine, in precedenza attivo, qui diviene elemento passivo, che aspetta che l'uomo imparando a conoscere la natura lo scopre. E' già un ruolo ridimensionato.
Resta a questo Dio il soprassiedere alla vita, alla morte, al dolore in quanto sofferenza fisica e psicologica, ma dove l'elemento centrale è quello della sofferenza fisica per malattie di vario genere. E qui il suo ruolo è ancora forte, attivo: ultima spiaggia dinanzi alle insufficienze dell'uomo il miracolo, la preghiera.
I progressi della Scienza e della Tecnica iniziano prima ad insidiarlo, fino a scacciarlo definitivamente: il processo della vita e della morte non dipende più dal dio, ciò che gli uomini avevano attribuito a questa meta-entità, si è rivelato un processo naturale e ciò che appariva legato al caso, si è rivelato unicamente un apparente casualità, che sottintendeva ben precisi nessi di causa ed effetto e ben precisi rapporti di interdipendenza relazionale della materia e delle sue forme di esistenza attraverso forme di organizzazione a diversi livelli. L'uomo si è sottratto dal caso nel rapporto uomo-morte: padroneggia questo rapporto è in grado di intervenire e farlo agire nelle condizioni e nei tempi che egli ritiene utile per sé.
L'uomo così si fa Dio.
Ma poi è questo un Dio ben misero, che mostra tutti i limiti della concezione deistica. E mostra come gli uomini abbiano proiettato su tale meta-entità: Dio, ciò che essi non erano; le loro paure e le loro massime aspirazioni. Impossibilitati a spiegarsi il perché di fenomeni naturali hanno ricercato in questa meta-entità le loro sicurezze, le spiegazioni per le loro certezze.
E questo dio che soprassiede alla vita ed alla morte è, poi, in definitiva un Dio-Moire ( le Moire, secondo la mitologia greca erano quelle tre dee che soprassiedevano alla nascita, alla vita ed alla morte: uno prendeva il filo, uno lo tesseva e l'altra lo tagliava).
Lo stesso deismo, spodestato da questo ultimo angolo, è così sfidato, incenerendosi il precedente concetto di dio, che alla fine ha mostrato e fino in fondo tutta la sua pochezza e tutto lo stato necessitato dell'uomo, che ha mostrato fino in fondo la sua reale, concreta, materiale origine. essere risposta a processi che l'uomo non riusciva a controllare né a capire e che gli si presentavano legati in un continuum e dettati solo dalla cieca fatalità, dal caso: la vita, la morte.
Il deismo, costretto prima o poi ad abbandonare il dio-Moire, è sfidato ad attrezzare ben altre risposte ed una ben più profonda concettualizzazione e ben più alta elaborazione teorico-speculativa: dovrà allora mostrare sul campo le sue capacità teoretiche, più che affidarsi all’essere depositario di antica sapienza.
La difesa chiusa , a muso duro, delle varie religioni è la difesa di un vecchio concetto spiritualistico, oggi decisamente obsoleto, che il deismo odierno si ostina a voler difendere, ‘ a muso duro’ appunto, ma che per lo sviluppo maestose e tempestoso della Scienza, non trova più alcun spazio, spodestato dall'incedere forte dell'uomo, che è intervenuto in quel rapporto vita-morte, in quello spazio che il deismo si era ritagliato, sicuro di non esserne scacciato.
Disperato, se pur generoso ma più intelligente, il tentativo di forzare decisamente la mano alle più recenti scoperte scientifiche nel campo della fisica e della Chimica, circa la materia in quanto energia.
Secondo le poi non tanto recenti scoperte nel campo della fisica, sono ormai acquisizioni elementari conclamate, la materia è energia in movimento ed i diversi livelli di organizzazione della materia, che transitano l'uno nell'altro non sono altro che diverse forme dell'energia ed i diversi livelli organizzativi altro non sono che diversi livelli energetici della materia. Questo tentativo forza appunto la mano e legge ‘ energia’ in quanto spirito e operata questa stretta quanto indebita identificazione, parte lancia in resta per riproporre lo spiritualismo e così il vecchio concetto di dio, attestandolo però su non ben chiare posizioni. Segno senz'altro di debolezza e di un cedere su tutta la linea, ma segno altresì che il deismo non riesce a cogliere il nuovo che lo travolge, finendo per attardarsi sul vecchio, anziché scendere sul nuovo terreno e tentare la via di rifondarsi.
Se questo è lo stato della situazione nel campo del deismo, ben altro è il compito dei filosofi
Non è quello di porsi da ingombro, ma di essere autentici demolitori delle vecchie certezze e di quel vecchio apparato concettuale, oramai superato e che solo loro in quanto filosofi sono in grado di sottoporre a critica serrata e superandolo criticamente aiutare così non solo la scienza a progredire più speditamente, liberandola dagli impacci del passato pensiero, a cui gli stessi scienziati e ricercatori si sono formati. Agendo da autentiche avanguardie del nuovo pensiero che si fa vita, anziché dare fiato e substanzialità a pregiudizi, miti e paure degli uomini, che giustamente essi avvertono non essendo in grado di intelligerne le linee di fondo, aiutare la nascita e formazione di un'altra e più avanzata coscienza culturale, di un altro e più avanzato apparato concettuale, espressione e momento di massima astrazione dei nuovi livelli delle conoscenze scientifiche.
E' qui allora che viene a saldarsi la grande e feconda unità tra Filosofia e Scienza, che mano nella mano procedono sulla via di conquiste sempre più ambite, che fu già del XVII secolo ed i cui capisaldi furono Giordano Bruno e Galileo Galilei.