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A cavallo tra il Cinquecento ed il Seicento erano venute a
maturazione alcune questioni teori-che relative all’aristotelismo, che,se
fino ad allora potevano considerarsi sostanzialmente inessen-ziali, divenivano
ora macigno per lo sviluppo ulteriore della scienza, ossia per lo sviluppo ulteriore
della comunità umana.
I punti cardini erano:
1. il concetto-categoria di infinito, per quanto attiene la Metafisica,
2. la categoria degli opposti, per quanto attiene la Logica e la Metafisica.
Secondo la teoria aristoteliana l’infinito in quanto concetto e consequenzialmente
in quanto categoria non poteva esistere e quindi non esisteva e quindi errore.
Questa teoria aveva prodotto già considerevoli danni nello sviluppo della
conoscenza, quando nel XII secolo alcuni matematici giungono al calcolo infinitesimale,
a cui in verità vi era già giunto Archimede nel 250 dc, che dà
notizia che a tale nuova matematica vi era già giunto Eudosso 600 anni
prima di lui, ma questi matematici del XII si impattano pro-prio contro l’autorità
dell’aristotelismo che negava il concetto di infinito. Vi giunge per la
quarta volta, senza sapere dei matematici del 1100 e di Archimede, cinquecento
anni dopo cinquecento anni Bonaventura Cavalieri, ma trovò sbarrata la
strada dall’aristotelismo. Ma di lì a poco Leibinitz e Newton in
un clima culturale diverso poterono d’assalto superare lo sbarramento
aristoteliana: l’istanza del calcolo infinitesimale diveniva nel Settecento
de-cisiva ed ineludibile per gli uomini e così lo sbarramento fu semplicemente
messo da par-te.
Non diversamente la categoria degli opposti che nella teoria aristoteliana non
aveva alcu-na dignità, ponendo con A è A e il non-A non esiste,
che nella teoria viene espresso con “ principio di non contraddizione”.
Il concetto del ‘ nulla’ era assolutamente estraneo a quel-la visione
sostanzialmente primitiva, che non era in grado di reggere le timide complessità
che la categoria “ nulla” comportava. Su tali assunti ed a sostegno
viene formula la logica formale, secondo cui dato un assunto il resto è
già predefinito, consentendo di costruire l’ingenua e primitiva
costruzione logica ascendente e discendente:
Buono?Giusto?Utile?Bello?.. ove se Bello allora Giusto, Utile, Buono, e se…;
Cattivo?Errato?Dannoso?Brutto, ove se Brutto allora Dannoso, Errato, Cattivo.
Una simile struttura di pensiero è decisivamente asfittica e non può
che condurre ad errori ed a danni sul piano della ricerca. Tutta la battaglia
sviluppatasi già a partire dall’XI secolo si impattava su singole
questioni non riuscendo a passare ad una critica più generale e complessiva,
ad una concezione teorica generale più complessiva. Con Tommaso d’Aquino
l’aristotelismo diviene la concezione teorica di fondo del cattolicesimo
e così an-corato agli interessi delle classi feudali in lotta disperata
contro la nuova società borghese, che si faceva. Diveniva così
veramente difficile, giacché la concezione religiosa veniva a costituire
la retrovia – la “ casamatta” gramsciana – più
salda ed inespugnabile contro cui si infrangevano qualsiasi critica e assalto
ed in grado di costituire caposaldo inespugnabile da cui riorganizzare le forze
e far partire possenti controffensive di restaurazione e di con-verso, quindi,
qualsiasi critica all’aristotelismo veniva di fatto a configurarsi come
messa in discussione non tanto dell’autorità di Aristotele –
l’ipse dixit – questo ne era l’aspetto formale, l’aspetto
più immediatamente fenomenologico, meno dell’autorità della
chiesa, che di quel sistema ne era il cemento ideologico, ma appunto del sistema
sociale in sé. Di qui poi la violenza inaudita con cui l’ancient
regime si abbatterà contro i disturbatori dell’ordine sociale,
di cui poi gli stessi oppositori, in generale, non ne avevano coscienza.
Si trattava allora di condurre una critica sistematica e generale in grado di
costituire nuo-vi/altri orizzonti, nuova/altra coscienza e conoscenza.
Già Bernardino Telesio con i suoi “ Commentari” ad Aristotele
sviluppa una critica attenta, puntuale, sistematica e su questa scia Nicolò
Cusano.
Con questo bagaglio alle spalle, Giordano Bruno, che tra gli oppositori era
ben cosciente dell’intero suo operare e delle implicazioni più
generali del suo operare, di qui la Dissimu-lazione come forma della lotta teorica
e politica, patrimonio già noto dalla metà del Cin-quecento e
che costituirà la base di tutta la lotta rivoluzionaria europea del periodo
1550-1650; con questo bagaglio alle spalle,s i diceva, Giordano Bruno fermò
due punti vitali dell’intero sistema teorico aristoteliana l’infinito
ed il principio di non contraddizione.
La nascita della scienza moderna, che avviene con Galilei, non è pensabile
senza il contributo di Giordano Bruno; senza quella feconda unità tra
Scienza e Filosofia, in base alla quale la Filosofia procedendo nella critica
teorica alla precedente concezione, sottopo-nendo a critica sistematica di tutto
il passato pensiero, liberava il cammino della Scienza, consentendole di svilupparsi.
A Galilei erano ben chiare le contraddizioni nelle quali si imbatteva la sua
ricerca, ma non riusciva ad uscire dal quel sistema teorico più complessi-vo
e decisivo fu l’incontro con Giordano Bruno, che facendo da ponte tra
Galilei e Telesio ed argomentando la sua teoria, liberò forze dando a
Galilei quegli strumenti teorici fon-damentali in grado di procedere in avanti,
sostenere lo scontro con i dotti dell’epoca e fondare la scienza moderna.
Lo sviluppo tempestoso della scienza e della tecnica pone
con urgenza il problema di una rivisitazione profonda ed una nuova fondazione
della teoretica categoriale e della teo-retica concettuale,; pone con insistenza
il problema di una nuova e più alta concezione e coscienza scientifica,
ma perché questa possa fondarsi occorre appunto quella rivisitazione
e fondazione.
Le singole scienze sono attraversate da profondi processi che li trasformano
e li pongono in un diverso rapporto di interazione con tutte le altre scienze,
determinando un nuovo configurarsi del sapere degli uomini. Quella rigida divisione
tra le varie scienze propria del XIX e XX secolo è definitivamente incenerita
e si viene appunto configurando un’altra
visione ove ciascuna interagisce e si interdisciplina con tutte le altre.
In questa nuova situazione si affastellano teorie e categorie di pensiero del
passato, che a-giscono da freno, ostacolo, da filtro distorcente per l’intellezione
del nuovo.
Termini inesatti, ed in definitivi ambigui, che fino ad ora hanno comunque retto
e consen-tito di comprendere il reale, oggi mostrano fino in fondo tutta quella
loro ambiguità inizia-le e la loro inefficacia a comprendere ed esprimere
il reale.
Lo sviluppo tumultuoso ed una non sufficiente teoretica generale ha determinato
che il nuovo si è venuto stratificandosi sul vecchio, mai criticamente
superato ed il nuovo acriti-camente stratificato, per cui ci troviamo di fronte
ad una massa di idee, teorie, concetti, ca-tegorie, definitorie contraddittori,
ambigui, assieme a problemi, dubbi, questioni irrisolte o risolte parzialmente
per cui se non ci si libera attraverso un severo processo critico di tutto questo,
essi tendono a tornare alla ribalta ad ogni difficoltà, ad ogni nuova
situazione di transizione, ponendosi da serio intralcio da una parte e costituendo
nel contempo terreno fertile per usi sconci delle nuove scoperte scientifiche.
Si tratta, in altri termini, di fare i conti, e questo volta fino in fondo,
con l’aristotelismo, la metafisica e consequenzialmente con tutto quel
pensiero, che va sotto il nome di Filosofia e liquidarlo definitivamente, quel
pensiero, cioè, che riteneva di poter contenere tutto lo scibile e di
avere le risposte a tutto, che con le sue verità precostituite pretendeva
di stabilire cosa era giusto [ vedi meglio Zdanov ].
In generale, ed indicandole qui sommariamente, possiamo individuare
innanzitutto le categorie di “ vita”, “ causa”, che
ineriscono sia la Biologia, la Genetica, la Medicina e sia la Fisica, in modo
più specifico la Fisica quantistica, ordine-disordine; ed alcuni, nuovi,
si impongono: lavoro.
Tutte le scienze naturali continuano ad essere attraversate in maniera non chiara,
quasi ambigua, da un vitalismo ed energismo. Esso non è più il
vecchio vitalismo, in base al qua-le esisteuna energia vitale indefinita che
regola i processi: questa è stata definitivamente abbandonata allorquando
abbiamo scoperto che l’intero processo dei viventi è il risultato
di un ben preciso processo chimico-fisico, determinato da un esatto campo elettromagneti-co.
Ma non avendo criticamente superato queste categorie di pensiero, il nuovo si
è acriti-camente stratificato su di queste, ed esse tornano a fare costantemente
capolino.
E così assistiamo ad una terminologia, che nella forma, è impropria
allorquando si parla di vita e di non vita, di esseri viventi indicando con
questi il regno animale e qualche volta quello vegetale per distinguerlo da
quello minerale. In astrofisica assistiamo all’uso di vita per distinguere
quella fase ove non erano ancora apparse forme organizzate del regno a-nimale
e vegetale. Eppure sulla base dei più tranquilli dati sperimentali incontestati
‘ pie-tra’ è vita in quanto la pietra come un organismo animale
o vegetale è un flusso di energia una massa di atomi, molecole, movimento
‘ caotico’ – diciamo per ora così – di elettroni
che ruotano a velocità pari a quella della luce attorno al nucleo; una
montagna è vita, av-vengono al suo interno processi chimico-fisici che
ne determinano l’invecchiamento ed il movimento. Questo ha comportato
che nella spedizione della Nasa su Marte, avendo a ba-se questa concezione vitalistica
di ‘ vita’ si è attrezzato il…. di strumenti in grado
di capta-re la vita su quel pianeta sulla base del concetto di vita che abbiamo
qui sulla Terra, an-dando poi incontri non solo ad eclatanti fallimenti, ma
cadendo per certi aspetti nel ridico-lo. Se invece si fosse assunto per vita
la definitoria di movimento, ossia che la materia è energia in movimento
e che quindi tutto è vita, si sarebbe optato per la seconda soluzione
all’esame e che invece venne respinta. Questo mostra come i concetti e
le definitorie del vi-talismo non solo continuano ad esistere ed a mantenere
la loro forza, ma che continuano ad esistere in maniera ambigua, indiretta.
Il punto è che la nostra tradizione di pensiero, il nostro primo istinto
è proprio ed esattamente quello di intendere vita, vivente innanzitutto
la vita degli uomini ed in subordine quella animale e poi quella vegetale, ma
escludiamo del tutto dal nostro ordine di idea il concetto chela pietra, il
tavolo sia vita. Eppure i più e-lementari e tranquilli dati sperimentali
indicano che la materia è una e si organizza in infi-nite forme e che
a diversi livelli di organizzazione della materia vi sono livelli diversi di
vita e quindi diversi livelli definitori di vita e che ciascun livello ha leggi
sue proprie che identificano esattamente, intercettano esattamente, quel concetto
di vita, quella definitoria di vita e non un altra. Cacciato dalla porta principale
il vitalismo permane subdolamente nella nostra abitudine di pensiero. Viene
così ad articolarsi una contraddizione stridente tra la nostra abitudine
di pensiero ed il livello di conoscenza raggiunto; tra il livello di co-noscenza
e la concezione scientifica dominante che abbiamo e quello che più immediata-mente
ci indirizza è poi non il livello di conoscenza ma la concezione scientifica
dominan-te, l’abitudine, la tradizione di pensiero. Questo perché
il nuovo livello di conoscenza non ha ancora trovato un momento di sintesi e
strutturato in una nuova e più alta concezione scientifica di pensiero
tale da costituire il nuovo patrimonio ed il nuovo costume di pen-siero.
Il problema di cosa sia vita diviene centrale nella Biologia e nella Genetica
e negli sviluppi possenti che queste oggi hanno.
Il concetto di vitalismo porta immediatamente ad identificare il vivente con
vita intelligen-te e questo alla stretta identificazione con la parte più
alta dell’attività cerebrale : il pensie-ro. Ma poi tale attività
nella definitoria subisce una pesante restrizione, fino a non distin-guere i
due momenti: attività riflessa e processo intellettivo; ulteriormente
il processo intelletti-vo è formalizzato in una serie di test –
i Q.I. [ Quoziente di Intelligenza ] – che assommano disparati momenti:
intuito, colpo d’occhio, prontezza di riflesso, capacità logiche
elementari: tutte cose queste che non sono ancora processo intellettivo superiore,
ma costituiscono le forme di transizione dal riflesso condizionato al processo
intellettivo superiore. L e evidenti diffi-coltà che tale impostazione
comporta, spinge, poi, i ricercatori a porre il problema di defi-nire cosa sia
intelligenza.
La risposta che essi tentano di dare è insufficiente per l’angolazione
che si dà al problema.
Si cerca, cioè, di darne una risposta quantitativistica, ossia tutta
dentro il processo di tra-smissione dell’impulso nervoso al sistema nervoso
centrale superiore, confondendo il momento quantitativo ed il modo come si produce
un evento-fenomeno e l’evento feno-meno stesso. In generale non sono assolutamente
identificabili giacché il prodotto, il risul-tato, ossia l’evento-fenomeno
è altro dalla forma o modo di divenire di questo. In specifico per il
processo intellettivo nella fase di sintesi interagiscono tutta una serie di
fattori, fe-nomeni, facta, assolutamente non riconducibili al processo neurofisiologico.
Correttamente Helena Curtis evidenzia:
“ Anche se ogni nuovo livello di organizzazione della materia è
formato dai componenti di quello precedente, l’organizzazione di tali
componenti dà, come risultato, proprietà nuove, differenti da
quelle del livello precedente e non prevedibili in base ad esso.”
Dalla parte opposta, quasi in maniera speculare, vi sono teorie che tendono
ad una esalta-zione mistica del pensiero ed a parlare di libere creazioni, che
sul piano scientifico, ed in specifico sul piano della Storia delle scienze,
porta poi ad un leggere gli stessi sviluppi del-le singole scienze e delle teorie
scientifiche come libere creazioni dell’intelletto, staccate dai problemi
specifici, concreti a cui quelle leggi, quelle teorie e quelle singole scienze
cercano di dare risposte.
“ ……….”
E’ questa insufficiente angolazione di lettura, che conduce poi alla stretta
identificazione tra patrimonio ereditario e intelligenza, facendo discendere
meccanicisticamente il quo-ziente di intelligenza dal patrimonio genetico. Tout
court la cosa potrebbe essere liquidata facendo semplicemente notare che tali
teorie non sono dissimili da quelle avanzate alla fi-ne del XIX secolo da Lombroso.
Ma questo non è assolutamente sufficiente, giacché il ri-sultato
che otterremmo sarebbe quello, nella migliore delle ipotesi, di accantonarle,
ricac-ciare indietro, ma non superare criticamente, le quali – come ben
si vede anche qui – tor-nano poi sempre a far capolino ogniqualvolta si
pongono problemi nuovi, che proprio in quanto tali tendono a mettere in discussione
quanto consolidato e quindi a creare spazi per il riemergere di vecchie teorie,
mai criticamente superate e sempre acriticamente strati-ficatesi, che finiscono
per innervarsi, intrecciarsi sul ben più solido tronco del patrimonio
teorico, che in un modo o in un altro ne fornisce alimento, finendo così
per diventare diffi-cile il separare, il distinguere.
Sul piano teorico metodologico, ossia al fondo, si ripresenta la concezione
meccanici-stica che sostanzialmente è forzatamente predeterministica:
dato A-B allora C.
Questo impianto può andare anche bene fin quando si limita a non varcare
la soglia di ca-sa o per il commercio al minuto.
Fin quando il livello di conoscenza dell’uomo, ossia il livello di trasformazione
del rappor-to uomo-natura si manteneva a livelli superficiali e la massa dei
dati da gestire era limitata
a quel livello di trasformazione, questo metodo andava anche bene. Anche se
poi, a ben vedere, la pratica quotidiana degli uomini vi apportava spontaneamente
- e per ciò stesso non critico-cosciente – correzioni di rotta.
Il vizio di fondo di tale impostazione sta esatta-mente nella rigida ed ossificata
definizione di A e di B, ossia A è preso isolatamente da tut-to un contesto,
senza comprendere – ma allora noi vedevamo solo A – che A è
la risultan-te, l’integrata, di tutta una serie di fenomeni-eventi e così
B; e dove, inoltre, i singoli eventi che danno A, nel loro singolo processo
evolutivo sono condizionati da tutta una serie infi-nita di elementi, per cui
la loro evoluzione non è teleologicamente determinata; essi hanno un
range di variabili, che sostanzialmente conduce ad un fenomeno genericamente
identi-ficato-identificabile in A, lo stesso dicasi di B. Consequenzialmente
C è una risultante vera, allorquando leggiamo il processo già
divenuto, ossia post festum, ma non predeterministi-camente dato se letto nel
suo divenire: e di certo il C che concretamente avremo sarà uno ed irripetibile,
sostanzialmente riconducibile a C, ma questo è un processo di astrazione,
che in quanto tale ha già perso tutti gli specifici contenuti particolari
e letto nei suoi tratti comuni e così astrattizzato.
I nostri più elementari dati sperimentali ci informano costantemente
di questa complessi-tà, che non essendo in grado di gestire, siamo indotti
a formulare falsi problemi: determisni-smo, caos, particolare-generale, ordine-disordine,
causa, tempo, spazio, infinito, legge scientifica.
Non siamo in grado di gestire, perché, poi – e le difficoltà
a cui andiamo incontro è lì ben a testimoniarlo – per quella
tradizione di pensiero, quella concezione e coscienza scientifiche che abbiamo
ereditato. Nell’esempio specifico il limite teorico, metodologico, e concettuale
sta nell’ostinarsi a voler continuare ad utilizzare la logica formale
aristoteliana consequen-zialmente con tutto il suo apparato teorico generale
che lo sostanzia. E lo sostanzia l’apparato teorico categoriale e teorico
concettuale arisoteliano che presuppone:
a. l’esistenza di una causa prima e di un moto primo;
b. il principio di non contraddizione;
c. la negazione della trasformazione ed il divenire solo in termini di cangiamento;
d. il concetto di causa prima, finale, ecc.;
e. il concetto che ciò che è primo non abbisogna di alcunché
è puro ed incontaminato;
ecc.
A, come si vede, è predefinito entro queste gabbie, dove è A che
può fare partire il movi-mento, che in quanto tale è non-B, non
postula alcun legame di A con B e C è la risultante meccanicistica, deterministica.
Noi all’epoca vedevamo A-B che dava C, ma non eravamo in grado assolutamente
di vedere a,b che determina A e x,y che costituivano la base co-mune di A-B-C
e k,l,m i tratti comuni di A-B nel determinare C.
Nel momento in cui si individua A, esso viene fossilizzato, isolato da tutto
il resto e così letto: ossia nel momento in ci si individua A, A è
già il simulacro di sé stesso ed in questo veste viene letto ed
in questa veste viene costruito il rapporto con B che determina C: ma allo stesso
modo di A anche B, per lo stesso motivo di A, diviene il simulacro di sé
stesso. Tutto cioè viene ossificato, mummificato, impietrito, fermato
nella sua staticità ed elevato a principio assouto di verità proprio
ed esattamente in quanto pietrificato, ossia in quanto simulacro di se stesso,
Ma noi, ripeto, all’epoca non eravamo concretamente in grado di individuare
qualcosa di diverso e questa era la ben misera massa di dati che eravamo in
grado non di gestire, ma di avere, vedere e conoscere.
Un livello di conoscenza primitivo, cioè, a quel livello di trasformazione
del rapporto uo-mo-natura, quel processo di teorizzazione aristoteliana era
decisamente poderoso, ma di-viene insufficiente allorquando noi conosciamo a
e b, x ed y, k,l ed m.
E’ questo impianto metodologico che poi ci porta a DNA?geni?Q.I. ………..LAVORO.