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Tolentino, 21. Marzo. 1999
Consentite a me di dedicare questa relazione al Prof. Salvatore Notarrigo, recentemente
scomparso, docente di Fisica all’Università degli Studi di Catania.
Egli è stato per noi Istituto un amico prezioso, sapendoci indicare e
per certi versi tracciare nuove linee di indagini proprio nel campo dell’ambiente.
Negli ultimi anni aveva istituito il corso di Fisica dell’ambiente. Autore
di saggi tra cui " Energia ed Ambiente", scritto assieme al Prof.
Giuseppe Amata, di cui siamo debitori.
Quello che qui presentiamo è innanzitutto un estratto della relazione
più complessiva, che lasciamo alla Presidenza del Convegno. Essa comunque
rimanda, rinvia e sottende i lavori dell’Istituto di Studi Comunisti Karl
Marx – Friedrich Engels ed in modo particolare:
Bioetica,
Manipolazione genetica e modi di produzione,
Ecologia socialista, cap. 3 e 4,
Democrazia,
La concezione materialista del mondo dinanzi alle sfide del III Millennio.
La relazione è limitata al campo specifico di questo Convegno, ossia
la Manipolazione genetica, di questa ne tratta le questioni teorico concettuali
e teorico definitorie. Le linee sostanziali sono da ricercare da una parte nelle
categorie teoriche che sono alla base di questa branca della Genetica e dall’altra
in quelle metodologiche e teorico-metodologiche della ricerca scientifica.
Diviene veramente difficile parlare di Bioetica in generale, della Genetica
e della manipolazione genetica. Si sovrappongono qui in maniera confusa, disordinata
idee e concezioni non sufficienti ad affrontare il problema, assieme a timori,
fondati e non: ed entrambi eccitati da interessi di parte fin troppo scoperti
e questo si intreccia, s’innerva su teorie e concezioni ottimistiche ed
acritiche sul progresso scientifico, su di una esaltazione acritica.
Quello che ne otteniamo è un mix possente, che in tutta la sua contraddittorietà
ha una sua forza e coerenza, anzi difficile da afferrare, giacché poi
i singoli passano indifferentemente da un campo, un livello, un piano di discussione
ad un altro in maniera indifferente a seconda se la loro idea primaria sia di
accettazione o diniego. Manca cioè uno spirito critico e scientifico,
che sia in grado di avere una visione corretta dei processi reali e quindi orientarsi,
esprimere giudizi e così partecipare al più generale processo
decisionale, ossia la Democrazia.
Fa da ostacolo a questo nuovo spirito scientifico all’altezza dei tempi
in via immediata tutto il passato pensiero, quella formazione, quel bagaglio
teorico-concettuale, appreso sui banchi di scuola. Fa da ostacolo infine anche
quella concezione del mondo, che ciascuno ha, che quando non è critica
e coerente, ma occasionale e disgregata, si finisce per appartenere simultaneamente
ad una molteplicità di uomini-massa, la propria personalità è
composita in modo bizzarro: si trovano in essa elementi dell’uomo delle
caverne e principi della scienza più moderna e progredita, pregiudizi
di tutte le fasi storiche passate grettamente localistiche ed intuizioni di
una filosofia dell’avvenire proprio del genere umano unificato mondialmente.
E non bisogna credere che gli stessi ricercatori ne siano immuni. In essi il
processo è molto più complesso, contraddittorio, tortuoso. Capita
così che quando uno di questi discute del campo che gli é proprio
parla avendo già un piede nel futuro, ma poi quando passa a trattare
di argomenti estranei al suo precipita nel passato e quando discute del suo
nel migliore dei casi discute con categorie quanto meno obsolete, se non contraddittorie.
E se poi si va a ben scandagliare le cose si vede che poi nella loro stessa
pratica scientifica quella stratificazione culturale, quella concezione generale,
prodotta dalla formazione teorica di base, formatasi sui banchi di scuola, si
fa pesantemente sentire, ne condiziona l’argomentazione e condiziona lo
stesso modo, la stessa pratica metodologica della ricerca scientifica.
In generale questo è un processo assolutamente normale, di tutte le fasi
di transizione da una società ad un’altra, da questo punto di vista
è di eccezionale importanza il lavoro di Cassirer: " L’età
dell’Illuminismo", ove egli dimostra la estrema confusione che esisteva
sul piano teorico, ma delle stesse coscienze, delle stesse innovazioni e ricerche
scientifiche, che si erano andate accumulando dal XVII secolo, che si contrapponevano
l’una alle altre, mancando un più vasto quadro di riferimento generale,
entro cui ciascuna venisse a configurarsi in un tutto organico con il resto.
Questo lavoro fu svolto innanzitutto da Newton con i suoi " Principia mathematica",
ed in specifico con le " Regulae philosophandi" ed assieme a questo
l’ "Encyclopedie" di Diderot-D’Alembert.
La fase di transizione che noi stiamo vivendo è molto di più di
quella del XVIII secolo, essa assume caratteri assolutamente inediti, giacché
pur tra movimenti contraddittori, quella che noi stiamo vivendo è la
più possente fase di transizione che mai l’Uomo abbia attraversato:
essa non ha paragoni né riscontri in tutta la pur millenaria storia dell’Uomo:
questa è la transizione dalla Preistoria alla Storia dell’Uomo.
Se in passato le pur profonde innovazioni si muovevano comunque entro il solco
di tutto il precedente pensiero, queste no! Queste rompono decisamente e totalmente
e radicalmente con tutto il passato, proiettando l’uomo in tutta un’altra
dimensione, in tutto un altro rapporto con la Natura e quindi definisce tutta
un’altra concezione dell’uomo, tutta un’altra visione e coscienza
di sé e del suo rapporto con la Natura. Vivendo una tale fase di profondi
sconvolgimenti, occorre attrezzare gli strumenti teorici e concettuali per questo
nuovo livello a cui l’Uomo è giunto.
Si tratta allora da una parte di abbandonare tutto il passato pensiero, perché
non in grado di farci comprendere l’assolutamente nuovo, ma si tratta
altresì di criticare tutta la precedente concezione, per giungere ad
una nuova concezione in maniera critica ed organica. Quelle stratificazioni
del passato, se agivano da ostacolo anche nelle precedenti fasi, anche quella
del XVII secolo, ponendosi quelle innovazioni comunque dentro un solco, venivano
mediate ed hanno finito per stratificarsi esse stesse, oggi invece agiscono
da pesante ostacolo, macigno insormontabile, se non vengono rimosse, se non
vengono cioè superate criticamente, se non vengono sottoposte ad una
serrata, attenta, precisa, puntuale critica tale da individuare e rimuove le
precedenti stratificazioni consolidate.
E sì perché l’aspetto più potente non è dato
tanto dalle profonde innovazioni scientifiche e tecnologiche, queste ne costituiscono
soltanto l’aspetto tecnico, ma quello che noi stiamo vivendo è
la più possente rivoluzione culturale, concettuale, che mai abbia coinvolto
il genere umano.
A parte il livello qualitativo assolutamente diverso ed inedito, ma mentre nel
passato l’impatto aveva dei tempi lunghi, passando per mediazioni ideologiche,
qui la trasmissione è immediata e quindi l’impatto è senza
precedenti, non riuscendo qui ad agire le mediazioni ideologiche.
Ed è con questa rivoluzione scientifica e tecnologica senza precedenti
ad un tempo con la più grande rivoluzione culturale, che dobbiamo fare
i conti.
Lo sviluppo alto delle forze produttive, che va sotto il nome di rivoluzione
scientifica e tecnologica, degli ultimi trent’anni ha introdotto modifiche
da rendere obsoleto tutto il precedente pensiero e da incenerire tutte le precedenti
categorie di pensiero ed apparati concettuali.
Concetti radicati quali ‘ vita’, ‘ famiglia’, ‘
normalità’, ‘ diversità’, ‘ sviluppo’
sono letteralmente inceneriti; altri quali ‘ ambiente’, ‘
rapporto soggetto-ambiente’, richiedono una profonda rivisitazione, risultando
inefficaci i precedenti livelli definitori; altri infine richiedono di essere
totalmente reimpostati secondo le nuove esigenze e quindi in grado di rispondere
ai problemi nuovi, che per l’azione profonda dell’Uomo nella trasformazione
del rapporto Uomo-Natura, vengono oggi a porsi in modo particolare l’intero
impianto metodologico, apparato concettuale e categoriale della stessa ricerca
scientifica, e la profonda rivisitazione dell’apparato teorico concettuale
della stessa ricerca scientifica, della sua metodologia e delle procedure logiche
e logico-concettuali dell’impostazione, del procedere, della ricerca,
aggregazione dei dati e della metodica dell’analisi dei dati e dei risultati
su cui vengono formulate poi le conclusioni della stessa ricerca scientifica.
La scienza, il procedere dell’Uomo, ci dice con insistenza che quei concetti,
quell’apparato concettuale e categoriale, non corrispondono al nostro
attuale livello di conoscenza scientifica e che occorre modificarli. Se la rivoluzione
galileana prima di essere attinente al campo della Fisica fu anche rivoluzione
culturale, lo fu perché mostrò in maniera inequivocabile che occorreva
modificare il campo di lettura dei processi e che diverse angolazioni davano
diverse letture e quindi spingeva a superare la fissità della metafisica
aristoteliana. Non sono allora i fatti scientifici che devono rientrare dentro
le nostre concezioni e convinzioni, pur profonde e sostanziate da un ricco apparato
teorico concettuale, ma sono queste che devono modificarsi sulla base dei nuovi
dati scientifici e delle nuove conoscenze. Il fatto chiave è che mentre
la rivoluzione galileana si muoveva comunque entro i confini ed àmbiti
di una tradizione di pensiero scientifica e materialista, questa no! Questa
travalica tutti i confini ed àmbiti e ci sfida, ci inchioda ed in questo
sfidare ed inchiodare lacera coscienze, e radicate convinzioni, facendo diventare
inutile qualsiasi precedente distinzione di campi, li attraversa trasversalmente
e pone a tutti le sfide e costringe tutti a farci i conti.
Si affollano però turbe di ‘ esperti’, ossia filosofi e teologi
che hanno inteso, e continuano ad intendere, dover far sentire il peso delle
loro conoscenze, finendo solo per confondere di più le acque. Il problema
va invece posto e sollevato secondo tutta un’altra logica ed impostazione:
occorre partire dai dati scientifici a cui si amo giunti, prendere atto di questi
e procedere innanzi.
Il filosofo non può pretendere la sua idea di vita, morte, e la sua idea
del rapporto vita-morte, vita, famiglia, le sue idee di normalità, diversità,
ambiente, rapporto soggetto-ambiente, l’intero impianto metodologico,
apparato concettuale e categoriale della stessa ricerca scientifica entri, partecipi
a quel processo decisionale definitorio. Né può pretendere che
la scienza renda conto alla sua idea dei risultati raggiunti o che tali risultati
si conformino a tale sua idea.
Il filosofo, il teologo possono solo prendere atto che la loro idea è
errata, limitata o parziale e modificarla. Poco o niente serve se quella idea
ha 100 o 1000 e più anni e se esiste una consolidata tradizione di pensiero
ed apparato teorico-concettuale consolidato.
Il filosofo può solo prendere atto dell’inservibilità, totale
o parziale, di quell’apparato e porre mano ad elaborarne uno nuovo, rispondente,
come il precedente, - questo sì! – al nuovo livello di conoscenze
scientifiche raggiunto ed acquisito dall’uomo.
Il voler persistere a voler mantenere un ruolo è solo ingombro.
Viene giustificato tale ingombro in nome di una funzione di ‘garanti’,
di ‘ guardiani’ contro errori, come elemento frenante, di moderazione
che costringendo alla moderazione, a rallentare o segnare il passo, ad una più
attenta riflessione ed un porre in evidenza limiti, carenze, ecc.
Difesa questa a prima vista forte.
In realtà le cose stanno in maniera ben diversa: la loro presenza, il
loro tirare per la giacca, continua ad essere di ingombro, un peso, che rallenta
la marcia spedita in avanti, l’unica in grado di comprendere meglio le
cose ed intelligerne limiti, carenze, il trattenere per la giacca, il costringere
a zigzag, a mediazioni rallenta questo intelligere ed alcune volte può
anche portare su strade false, che possono indurre a concludere errata quella
strada intrapresa, risultando invece errata la mediazione, quello zigzagare.
Occorre comprendere che noi stiamo vivendo una maestosa ed al tempo stesso tempestosa
fase di transizione, la seconda grande transizione, dopo la transizione all’età
del bronzo, per cui è normale, logico che crollino uno dopo l’altro
antiche certezze e limiti ritenuti fino a ieri insuperabili: ed è per
queste fasi di transizioni che occorre attrezzarsi. L’attrezzarsi per
freni e cautele è delle fasi di transizioni di passaggio, ma non per
quelle epocali, che segneranno un nuovo, altro, cammino dell’Uomo.
E’ questa, come si è detto, la fase di transizione epocale: ed
è poi la coscienza di questa grande transizione, che viene meno, proprio
in chi, il filosofo, appunto, ha maggiori e più raffinati strumenti per
intelligere tale sconvolgimento epocale. La tesi sostenuta del ‘ guardiano’
in quanto teorizzazione comporta solo un maggiore ingombro ed elemento di confusione
e turbativo del processo in atto, che da autentica marea montante fa rapida
giustizia di ogni opposizione.
La tesi non ha sostanzialità alcuna sul piano strettamente filosofico,
ossia sul piano strettamente teoretico-speculativo è un grossolano errore.
Quell’idea, quell’apparato concettuale, allorché è
in maniera conclamata superato, nn costituisce più idea o apparato concettuale,
ma degrada a pregiudizio, alchimia, superstizione, mito.
Sul piano strettamente storico filosofico si opera una scissione netta, profonda,
irreversibile proprio ed esattamente con quell’apparato concettuale, che
pur a prima vista si vuole difendere , giacché mentre quello esprimeva,
sul piano teoretico-speculativo, ossia nel suo massimo momento di astrazione,
il livello delle conoscenze sin lì acquisite e conclamate dall’uomo,
quello che ora si difende non è più tale. Riproporlo in ben altro
contesto significa, poi ed in verità, non aver compreso il valore di
quell’apparato concettuale e del perché esso ha mantenuto vitalità
e pregnanza per tanti secoli.
Il compito dei filosofi non è quello di porsi da ingombro, ma di essere
autentici demolitori delle vecchie certezze e di quel vecchio apparato concettuale,
oramai superato e che solo loro in quanto filosofi sono in grado di sottoporre
a critica serrata e superandolo criticamente, aiutare così non solo la
scienza a progredire più speditamente, liberandola dagli impacci del
passato pensiero, a cui gli stessi scienziati e ricercatori si sono formati.
Agendo da autentiche avanguardie del nuovo pensiero che si fa vita, anziché
dare fiato e substanzialità a pregiudizi, miti, e paure degli uomini,
che giustamente essi avvertono non essendo in grado di intelligerne le linee
di fondo, aiutare la nascita e formazione di un’altra e più avanzata
coscienza culturale, di un altro e più avanzato apparato concettuale,
espressione e momento di massima astrazione dei nuovi livelli delle conoscenze
scientifiche. E’ qui allora che viene a saldarsi la grande e feconda unità
tra Filosofia e Scienza, che mano nella mano procedono sulla via di conquiste
sempre più ambite, che fu già del XVI secolo ed i cui capisaldi
furono Giordano Bruno e Galileo Galilei.
Difficile si diceva all’inizio, giacché si tratta di sviluppare
una critica a quell’apparato teorico e teorico-concettuale, il solo che
possa liberare il campo per il superamento critico della precedente, e decisamente
obsoleta, vecchia concezione e di tutto il precedente apparato teorico.
Noi qui analizzeremo alcuni dei concetti base della ‘ Bioetica’
in generale e della Genetica, in riferimento alla Manipolazione genetica in
particolare. Per quanto attiene l’intera disamina inerente il campo della
Medicina ed al suo apparato teorico-concettuale rinviamo al lavoro ‘ Bioetica’.
Sono qui affrontate le categorie vita, morte, individuo, persona e vi è
un’impostazione a larghi tratti della manipolazione genetica, ma poi letta
dall’angolazione della Medicina e quindi della fecondazione assistita,
sono infine affrontati i temi del trapianto d’organi e dell’eutanasia.
Il termine ‘ Bioetica’ è di per se stesso non corretto, foriero
di confusione nella definizione del campo d’indagine ed il cui termine
nasconde, cela, mistifica, i problemi nuovi che lo sviluppo scientifico e tecnologico
pone. Il termine agisce da pesante elemento distorsivo della stessa ricerca
scientifica, volendo legare ad una presunta etica lo stabilimento della fattibilità,
correttezza e validità dello sviluppo scientifico. Si finisce così
per fare di ‘ Etica’ una meta-categoria, una categoria metafisica
avente valore di per sé e non essa stessa una categoria storica, ossia
che si modifica e viene a definirsi sulla base dello sviluppo scientifico, umano
ed intellettuale, dell’uomo.
Che la corrente idealista e quella metafisica in modo specifico impugni questa
categoria può anche essere comprensibile, ma non lo è affatto
da parte dei materialisti.
Il termine nel suo significato etimologico è: Etica della Vita. E che
significa?
Il fatto è che attraverso questa categoria di pensiero, inventata nel
1971
si intende imporre alla scienza ed all’uomo quelle vecchie categorie del
pensiero. E’ quell’intromissione goffa e irrazionale di filosofi
e teologi di voler piegare i fatti alle proprie convinzioni, alle proprie idee
di cui si è detto.
Dato lo sviluppo scientifico e tecnologico che ruolo, funzione e valenza può
avere l’elaborato sin qui avutosi circa l’Etica?
Ha ancora senso volgersi indietro verso Aristotele, Agostino d’Ippona,
Tommaso d’Aquino, Kant, Hume?
Nel lavoro ‘ Bioetica’ abbiamo affrontato ampiamente questo aspetto,
dimostrando tutta l’inconsistenza teorica di rileggere questi antichi
pensatori, attraverso una disamina attenta e puntuale delle loro opere, mostrando
come rispetto ai problemi che si pongono oggi il loro taglio della
Problematica, tutta tagliata sull’unus, sul singolo e del suo rapporto
con la comunità e dei doveri e compiti della comunità nei riguardi
dell’unus, ossia un’angolazione assolutamente angusta, insufficiente,
che era poi l’angolazione alta, ma di quegli esatti periodi storici e
non è in grado di dare risposte di oggi. Infine indicavamo come quello
a cui noi stiamo assistendo è la nascita di una nuova scienza, i cui
contorni non sono ancora ben definiti, anzi confusi e contraddittori, ma che
il termine ‘ Bioetica’ non solo non aiuta la nascita, ma agisce
da ostacolo con le sue categorie di pensiero preconfezionate; allo stesso modo
per le teorie e concezioni idealiste e religiose in modo particolare, anch’esse
decisamente superate e sfidate esse stesse a ridefinire e ridefinirsi rispetto
ai problemi nuovi: Per una disamina specifica di tutto questo rimandiamo al
lavoro dell’Istituto di Studi Comunisti K. Marx – Friedrich Engels,
" Bioetica", presentato al Convegno Scientifico tenutosi in Napoli
il 25. Novembre, 1995 all’Università Federico II, presso la Facoltà
di Medicina, 2°Policlinico.
Lasciatici alle spalle tali questioni preliminari, possiamo entrare adesso nello
specifico dei problemi inerenti la Genetica in generale e la manipolazione genetica
in modo particolare.
La Genetica.
Anatomia, Fisiologia, Biochimica, Microbiologia, Immunologia e Genetica sono
ora collegate e si esprimono con il comune linguaggio della Chimica; ma il loro
sviluppo e progresso è stato determinato dallo sviluppo della Fisica
ed in particolare della Fisica Quantistica, che hanno consentito di intelligere
l’intero movimento della materia come energia, ossia la materia è
energia in movimento, come passaggio ininterrotto da una forma di energia ad
un’altra; ed a loro volta hanno contribuito allo sviluppo ulteriore della
Fisica e tutte assieme hanno contribuito allo sviluppo dell’Ottica e della
strumentistica, ricevendone da queste incremento al proprio progredire.
L’intero processo naturale ci appare come un unico grande processo del
divenire della materia nelle sue infinite forme ed il divenire altro non essere
che il passare della materia da un livello di organizzazione ad un altro, dato
dal passare della materia da un livello di energia ad un altro.
Attraverso la Genetica siamo stati in grado di scendere in più intimi
particolari della vita e cogliere più profondamente i nessi e le interconnessioni
e spiegarci l’apparente casualità attraverso leggi scientifiche,
così come con la Fisica Quantistica siamo riusciti a scendere in più
minimi particolari della formazione della materia e della composizione della
materia.
Con la scoperta del DNA prima, della sua struttura poi, della formazione dei
singoli elementi e l’individuazione di ruoli e compiti dei singoli elementi
della sua "doppia elica" ed infine con la comprensione dell’esistenza
del ruolo e della loro funzione di particolari elementi che consentono i processi
che avvengono nel DNA e che ne determinano la vita ed il suo essere, noi siamo
stati in grado di spiegare scientificamente anche tutta una serie di caratteristiche
e di patologie degli esseri viventi, proprio grazie all’intellezione del
processo nel suo movimento più generale. Fatto questo siamo stati in
grado sia di riprodurre in laboratori tale processo, ma anche e soprattutto
di scindere i vari momenti del divenire del DNA e riprodurre in laboratorio
tali singoli momenti. Anche qui siamo riusciti a disgiungere ciò che
appariva continuo ed indivisibile e frammentarlo nel tempo e nello spazio. Siamo
cioè in grado di intervenire sul processo di duplicazione del DNA e correggere
una non corretta sequenza di quel frammento del DNA e poi attraverso una metodica,
introdurre questo frammento ed avere che esso si sostituisce a quello errato:
è questo un complesso processo di ingegneria genetica. Siamo anche in
grado di introdurre un particolare elemento, che non è proprio di quel
patrimonio genetico, ma che lo arricchisce per i più disparati fini:
correggere deficienze, proteggerlo da determinati eventi rendendolo più
resistente o abbassando la sua resistenza, per incrementare o decrementare il
suo sviluppo, ecc.
Siamo così in grado di intervenire sul più generale processo riproduttivo
della natura, attraverso l’ibridazione agricola ed animale.
E’ questo un antico procedimento attuato dall’uomo, quando attraverso
un lungo ed accorto processo di accoppiamento di razze diverse di animali si
riusciva ad ottenere quella determinata razza di cani, cavalli, mucche, o maiali,
oppure ad ottenere un tipo di grano più resistente al freddo o ad un
clima particolarmente umido, o un tipo di ulivo o di vite in grado di reggere
un particolare freddo.
Attraverso un tale processo siamo riusciti in laboratorio a riprodurre una serie
di sostanze che in natura non riusciamo ad ottenere nella quantità di
cui abbisogniamo, una parte considerevole della produzione farmacologica e della
produzione nel settore della trasformazione agricola avviene tramite biotecnologie.
Questi risultati raggiunti dall’uomo vanno anch’essi nella più
generale direzione di modificare radicalmente il rapporto Uomo –Natura
ed il rapporto necessitato dell’uomo nei confronti della realtà
esterna, o Natura, contribuendo così decisamente al tramonto di tutta
la vecchia impostazione e decretando il tramonto di tutto il passato pensiero.
Decisive sono le sue applicazioni nella campo della riproduzione animale e vegetale.
Si aprono così davanti all’uomo sconfinate, ‘ illimitate’
possibilità di combinare e ricombinare gli elementi del DNA, acquisendo
un nuovo e sconfinato potere, fino a qualche decennio fa assolutamente sconosciuto
ed impensabile, determinando così la nascita e formazione di nuove/altre
diverse specie animali e vegetali.
Fino ad ora lo sviluppo di queste specie e tutta la vasta gamma di ciascuna
di queste è stata determinata dall’evoluzione naturale, che è
avvenuta in uno stretto ed inscindibile rapporto soggetto/ambiente, struttura/funzione.
Noi siamo riusciti ad individuare gli elementi fondamentali prodotti da questi
rapporti: gli enzimi, appunto. Ma noi siamo andati oltre, siamo riusciti non
solo ad individuare esattamente molti di tali enzimi, ma siamo riusciti ad isolare
i singoli enzimi, riprodurli in laboratorio, clonazione, essendo in grado di
" sparare" questo enzima clonato nella cellula animale o vegetale
che sia, superando la refrattarietà della cellula alla ricezione di DNA
estraneo. Veniamo così a determinare nei fatti una specie simile a quella
nella cui cellula è stato" sparato" il proiettile d’oro
rivestito di DNA, ma diverso nella sostanza, ottenendo così una nuova,
denominata transgenica.
Vi sono enzimi che resistono ad elevate temperature, a condizioni di elevata
salinità, o.. – i cosiddetti enzimi estremofili – quelli
presenti nei batteri che si trovano nei geyser o nelle acque termali, ecc.:
e sono poi questi specifici enzimi, detti estremofili, quelli che rivestono
particolare interesse per la Genetica e per la Manipolazione. Questo rapporto
ambiente-attività enzimatica è stato il prodotto di un processo
evolutivo durato miliardi di anni.
E’ così a nostra disposizione questo enorme patrimonio di varietà
e versatilità di enzimi.
Essi sono a nostra completa disposizione, possiamo utilizzarli, combinandoli
in miliardi di combinazioni nella maniera più disparata, per rendere
una determinata specie resistente al caldo, al freddo, a… Si tratta di
isolare quel particolare enzima deputato a quella funzione, estrarlo dalla cellula
di quella specie naturale, che lo ha prodotto nel lungo processo di evoluzione
come risposta di
quell’organismo alle condizioni ambientali in cui è venuto a trovarsi,
clonarlo e innestarlo – " sparandolo" - in una specie, dotando
quest’ultima di quella caratteristica di cui era sfornita.
Per fare questo abbiamo catalogato la massa degli enzimi, accoppiando a ciascuno
la funzione che gli è propria ed attraverso questa catalogazione li abbiamo
individuati e classificati. La forma tecnica è la denominazione che abbiamo
attribuito a ciascuno di questo. Abbiamo sussunto tutta una serie di caratteristiche
comuni sotto un’unica voce, che li esprimesse tutti, ed in base a questo
abbiamo raggruppato e catalogato i vari tipi di enzimi e successivamente tutti
i vari tipi di enzimi, sotto un’unica voce. Giungiamo così alla
definizione di enzima e come ‘ sotto classi’:
ossidoreduttasi, transferasi, idrolasi, liasi, isomerasi, ligasi.
Questo processo logico va sotto il nome di astrazione.
Esso è regolato dalle leggi della logica formale, impostata da Aristotele
– antico filosofo greco del IV secolo ac – sviluppata da Teofrasto
e successivamente elaborata nel Medioevo.
Il processo della logica formale consiste quindi nella riduzione della diversità
all’unità e nell’isolare ogni singolo elemento, incasellandolo,
da tutto il restante, considerandolo a sé stante.
Ora sin quando la massa da catalogare è limitata e ciascuna sottoclasse
non presenta molte diversificazioni, la logica formale assolve sostanzialmente
bene il suo ruolo ed infatti è stata la logica per circa 2300 anni. La
logica formale ha mostrato tutti i suoi limiti dagli inizi del XIX secolo, ma
poi già dalla metà del XVIII, quando lo sviluppo scientifico ha
determinato la prima grande rottura della concezione del mondo degli uomini,
e si è affermata invece la visione che non esistono nette linee di demarcazione
l’impianto della logica formale ha mostrato inesorabilmente tutti i suoi
limiti; che in natura ogni rigidità è stata sciolta, ogni fissità
scomparsa: tutti i caratteri particolari ritenuti eterni sono divenuti caduchi;
che l’intera natura si muove in perpetuo flusso. Il carattere essenziale
di tutta la natura, dalle parti infime alle massime, dal granellino di sabbia
al sole, dai protisti agli uomini, si risolve in un eterno nascere e trapassare,
in un incessante flusso, in un moto ed in cangiamento senza tregua.
Non vi sono opposizioni inconciliabili, non vi sono linee di separazione e differenze,
noi e
soltanto noi introduciamo nella natura l’immobilità ed il carattere
assoluto di queste opposizioni e differenze.
Tutti i fenomeni della natura sono movimento, il loro differenziarsi è
dovuto soltanto al fatto che noi, uomini, percepiamo questo movimento in forme
diverse.
Se troviamo nella natura opposizioni e differenze, noi e soltanto noi, introduciamo
nella natura l’immobilità ed il carattere assoluto di queste opposizioni
e differenze. Tutti i fenomeni della natura sono movimento ed il loro differenziarsi
è dovuto soltanto al fatto che noi uomini, percepiamo questo movimento
in forme diverse.
Successivamente agli inizi del XX secolo la nuova fisica di Maxwell e Poincaré
incenerisce la concezione che avevamo della materia, tant’è che
in alcuni ambienti filosofici e naturalisti si giunge a parlare di ‘ scomparsa
della materia’: questo quando la materia viene intelletta come energia
in movimento.
Questo ha comportato che lo stesso, pur giusto e corretto, processo di astrazione
venisse riconsiderato e ricondotto a momento dello studio e dell’analisi
e non assolutizzato. Andava cioè in un primo momento isolato l’elemento
di studio ed attuato il processo di astrazione, ma successivamente andavano
reintegrati i legami, i nessi che in precedenza erano stati recissi. Lo stesso
processo di astrazione necessitava quindi di una rivisitazione e di una nuova
definitoria, venendosi a configurare non più nella logica formale, divenuta
strumento tecnico della catalogazione e primo momento della logica, ma in una
nuova e più ricca logica, che assumeva il movimento della materia in
infinite forme come suo asse principale e base fondamentale di tutto il suo
apparato teorico concettuale e teorico-metodologico. Lo sviluppo successivo
della conoscenza ha innalzato sempre più l’inefficacia della logica
formale ed i limiti di un processo di astrazione configurantesi ancora dentro
la logica formale.
Nell’analisi e nello studio scientifici dei processi ci si attiene ancora
alla precedente metodologia logica, che fissa, isola, incasella, facendo perdere
di vista il più generale e complessivo movimento e divenire della materia:
eterno fluire da un livello di organizzazione all’altro e quindi del suo
eterno passaggio da un livello di energia ad un altro. Si finisce così
di correre il rischio da una parte di assolutizzare i risultati – che
a quel livello mantengono una loro validità, ma ne acquisiscono uno diverso
ad un livello diverso e quindi principi, leggi, metodi validi a quel livello
non lo sono più ad un diverso livello, richiedendo un altro e diverso
processo di astrazione e quindi di generalizzazione – e si corre il rischio
dall’altro di non leggere correttamente i processi e consequenzialmente
di tirare conclusioni ed esprimere leggi quanto meno non corrette, che portano
poi a risultati contraddittori, effimeri, se non in qualche dannosi.
La situazione, cioè, che viene a crearsi è che quella teoria ha
tutto un apparato concettuale e dimostrativo interno assolutamente corretto,
ove i passaggi logici sono strettamente consequenziali, ma quella teoria non
corrisponde ai processi reali, per cui viene ad impattarsi con il mondo oggettivo.
E’ questa una classica situazione di conflitto tra la consequenzialità
interna di una teoria e la sua consequenzialità esterna, per cui i risultati
non corrispondono o vi corrispondono in maniera deficitaria.
Occorre infine considerare un problema teorico assai poco considerato –
e quando lo è stato, è stato letto dalle sue angolazioni meno
importanti e secondarie, comportando così una disquisizione sterile,
che puntualmente finiva nell’epistemologia e nella semantica – quello
che le nuove teorie scientifiche, le nuove invenzioni e scoperte, si trovano
nelle condizioni di dover essere espresse con un apparato linguistico: parole,
termini, costruzioni e regole sintattiche, ecc. assolutamente inadeguato, proprio
per la natura diversi di entrambi. Il linguaggio è sempre una stratificazione
e quindi è un post, la ricerca è sempre il nuovo e quindi è
un ante. Il dover piegare parole, termini, definizioni di un già dato
apparato linguistico per definire, spiegare, il nuovo, comporta a volte l’uso
di termini impropri, che spesso possono portare ad equivoci o a sviluppare linee
consequenziali non corrette.
Capita, infine, che si utilizzano termini noti ma in tutta un’altra accezione,
con tutto un altro e diverso significato, valenza e spessore. Questa problematica
si esaspera quanto più lo sviluppo scientifico si innalza ed il suo progredire
è tumultuoso, per cui diviene assolutamente impossibile adeguare l’apparato
linguistico, che non riesce a tenere il passo.
E’ questo il caso del termine einsteniano ‘ relatività’
nella Fisica relativistica, di ‘ indeterminatezza’ nella Fisica
Quantistica, che non stanno assolutamente ad indicare il " come a ciascuno
pare", ma hanno in Fisica una esatta e precisa configurazione teorica e
definitoria.
Situazione non dissimile è nella Scienza Medica ove i termini ‘
vita’, ‘ morte’, ‘ trapasso’, ‘ funzione’,
‘ vitalità’, ‘ organo’ non corrispondono oggi
assolutamente ai livelli definitori classici, ma assumono concettualizzazione
definitoria in generale ben diversa e differente a seconda dei singoli casi
e delle singole branche. Ed è poi su tale gap linguistico-definitorio
concettuale, che viene poi ad articolarsi un autentico caos, ove ciascuno usa
il livello definitorio-concettuale che crede e riesce così! anche a dare
sostanzialità logica al suo ragionamento e basi alle sue conclusioni
dandogli così anche veste di credibilità.
Situazione non dissimile capita al termine ‘ Bioetica’, dei cui
limiti ed intenti ideologici si è detto, ma essa vuole esprimere ed individuare
una nuova Scienza, prospettando già da adesso pur nella confusione ed
assoluta inefficacia del termine un’organizzazione dei saperi diversa
dalla interdisciplinarietà e dalla multidisciplinarietà che integri
varie scienze: Fisica, Chimica, Biologia, Zoologia, Medicina, Botanica tutte
interconnesse tra di loro da un unico ceppo quello del rapporto di tali scienze
con la vita dell’uomo. Essa cioè ci sta dicendo che per lo sviluppo
delle conoscenze a cui l’uomo è giunto la precedente organizzazione
dei saperi è insufficiente e che ne occorre un’altra, che sia in
grado di farci leggere il movimento complessivo di quel particolare settore,
di quel particolare rapporto. Della nascita di questa nuova scienza si è
detto in " Bioetica" e lì rimandiamo.
Situazione non dissimile infine si verifica nella Genetica ed in specifico nella
Manipolazione genetica, ove si finisce per usare termini teorico-concettuali
e categoriali non corretti, che conduce ad una formulazione della problematica
e dei lavori che conduce a conclusioni quantomeno parziali, insufficienti, insoddisfacenti,
che conducono a conclusioni teoriche e generalizzazioni concettuali non corrette
ed volte totalmente discutibili.
Ancora.
I ricercatori nel loro lavoro si trovano a dover operare con categorie di pensiero
quantomeno insufficienti, se nn, per la maggior parte dei casi, assolutamente
obsoleti se non addirittura stantii.
E questo delle categorie è campo esclusivo della filosofia ed in specifico
e meglio alla Logica.
Ma in questo campo, nella situazione attuale, non è stato compiuto alcun
serio lavoro, disperdendo quello che faticosamente si era pur riusciti a costruire,
di ripulitura, ridefinizione, risistematizzazione ed elaborazione in grado di
adeguare quelle categorie al nuove, quale risposta al nuovo dello sviluppo scientifico
e tecnologico, mettendo così a disposizione dei ricercatori nuove categorie
con cui operare più agevolmente, come se i problemi, le tematiche, le
angolazioni di lettura siano ancora quelle degli inizi del XX secolo. Le responsabilità
a riguardo dei filosofi materialisti sono gravi e lo sono ancor di più
per l’accumularsi di tale ritardo ed il loro attardarsi a fare il verso
a vecchie categorie, al vecchio pensiero, in un’operazione senza alcuna
speranza di riuscita, quella di raschiare il fondo del barile, con l’unica
scoperta, alla quale poi ed in verità sono già giunti da tempo,
che a raschiare il fondo del barile ci si ritrova il barile stesso! Si verifica,
così, nei migliori dei casi, che i ricercatori stretti dalla necessità
di formulare sul piano della generalizzazione le loro teorie e per difenderle
dal vecchio che gli si oppone, ricorrono a tali vecchie categorie, per l’occorrenza
sottoposte a fine operazione di maquillage, ma poi, ed in verità di autentico
restauro, ma finiscono per accontentarsi della prima cosa che capita loro sotto
mano e che le loro reminiscenze scolastiche, apprese nei licei – il che
è già tutto dire! – indica loro.
Finiscono così per arrampicarsi sugli specchi come è il caso della
Bioetica ove si assiste alla guerra del disseppellimento di mummie: Aristotele,
Kant e Hume contro Agostino e d’Aquino!
Ma senza una nuova riconcettualizzazione i ricercatori rimarranno impotenti
nelle loro deduzioni e generalizzazioni dei loro stessi lavori scientifici,
oltre che sul piano della generalizzazione più complessiva, ossia della
Logica.
Si tratta di mettere mano a questo immane lavoro ed è qui che viene a
saldarsi quella rinnovata e feconda unità tra Filosofia e Scienza, che
mano nella mano procedono sulla via di conquiste sempre più ambite, che
fu già del XVII secolo ed i cui capisaldi furono Giordano Bruno e Galileo
Galilei, di cui come Istituto siamo fermi sostenitori.
Per quanto attiene il campo della Genetica e della Manipolazione genetica in
particolare si tratta di ben comprendere quali sono i grandi assi categoriali
sui quali e con i quali ci si trova a lavorare, definirli con esattezza. Vedremo
come una non esatta comprensione di questi assi categoriali, l’uso di
vecchie formulazioni ed apparati concettuali e definitori, porti a formulazioni
e conclusioni molte volte non soddisfacenti ed a non cogliere i problemi nuovi
e le profonde innovazioni, che quegli stessi studi, che i ricercatori conducono,
richiedono con insistenza ed in maniera perentoria.
In via preliminare, perché da questo poi discendono quegli assi categoriali,
occorre delimitare il campo di indagine ed individuare quali rapporti investe
e quindi cosa va a modificare.
La manipolazione genetica – noi stiamo fermando questa branca della Genetica
– interviene nel rapporto Uomo-Natura, giacché interviene nel modificare
la composizione della Natura, allorquando introduce nell’ambiente esterno
( o Natura ) nuova/altra specie animale o vegetale e quindi interviene alterando/modificando
il più complessivo equilibrio, innestando così un processo a catena
in tutti i singoli elementi che compongono l’ambiente esterno ( o Natura
) a modificarsi per riequilibrarsi.
Una modifica genetica tendente ad ottenere una mucca ad alta produttività
di latte, che sostituisce le vacche delle singole aree geografico-alimentari,
comporta modifiche nella stessa fertilizzazione della terra: non viene più
prodotto quel foraggio che prima veniva prodotto per la mucca autoctona e non
vengono più brucate quelle erbe, ecc., che la natura di quel luogo spontaneamente
produce, come risultato di quelle esatte condizioni ambientali. Questo determina
modifiche delle stesse precipitazioni atmosferiche, modificando il grado di
umidità, di composizione degli elementi di quel determinato ambiente.
Questo ci costringe a prendere atto definitivamente che noi formiamo una unità
con la natura e che le conseguenze del nostro operare si estendono sul medio
e lungo periodo, oltreché sul breve. Ad ogni passo ci viene così
ricordato, e costretti ad agire di conseguenza, che noi non dominiamo la natura
come un conquistatore domina un popolo straniero, che non la dominiamo come
chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo come carne, sangue
e cervello e viviamo nel suo grembo.
Tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità che ci eleva
al di sopra delle altre creature di conoscere le sue leggi ed impiegarle nel
modo appropriato, per gli effetti immediati a medio e lungo periodo, che vengono
a determinarsi per il nostro intervento nel corso abituale della natura, che
impariamo sempre di più a conoscere e riconoscere. Ma restiamo, nella
fase attuale, ancora allo stadio di operare per conoscere poi gli effetti specie
quelli del medio e di più del lungo periodo, permanendo la metodica di
prendere in esame soltanto i risultati più vicini, i campi interrelazionati
più immediati. Rimaniamo così, ancora, impotenti a dominare e
regolare anche questi effetti. Ma per realizzare questo occorre un’autentica
rivoluzione culturale nel metodo, nelle categorie concettuali e nell’intero
apparato teorico-concettuale, mettendo a disposizione dei ricercatori questo
nuovo apparato. Questa nuova visione del rapporto Uomo-Natura, prodotta dagli
attuali livelli dello sviluppo scientifico e tecnologico e quindi della conoscenza
e della coscienze che gli uomini hanno di sé e del loro rapporto con
la Natura, determina l’incenerimento di tutta la vecchia teorica dell’antropocentrismo.
E con la teoretica dell’antropocentrismo viene spazzato via l’intero
edificio teorico che nel corso dei millennio gli uomini avevano pezzo per pezzo
elaborato, sia l’umanesimo classico che l’umanesimo religioso, che
le più disparate teorie sull’uomo. Finendo così per restare
tutta questa produzione un contenitore vuoto, che sta a dire più quello
che l’uomo era, del suo rapporto di necessità e di assoggettamento
alle ‘ furie’, alla ‘ casualità’ di Natura.
E così da questo scheletro penzolano, oramai scarniti, i concetti di
" natura matrigna", " anima",
" lotta", " dominio", " lotta per la vita", ecc.
che fanno bella mostra proprio ed esattamente delle paure, dei timori dell’Uomo,
che proiettava in mitiche figure retoriche e categorie di pensiero mistificanti
e distorcenti. E quello scheletro non è ora più in grado di sostanziare
quelle società, che nel corso dei secoli si sono succedute e di cui ne
aveva costituito la coscienza e la giustificazione e legittimazione: tutto è
precipitato di colpo al rango dell’alchimia, del mito, della fanfaluche.
In sintesi.
La manipolazione genetica con il suo progredire interviene nel rapporto Uomo-Natura
e sul
piano teorico più complessivo mostra tutta la inadeguatezza, inconsistenza
di tutta la passata teoretica, che caratterizzano le società sin qui
avutesi, spingendo per una nuova, liquidando tout court il vecchio antropocentrismo.
Definito il campo di indagine, possiamo dedurci i grandi assi categoriali su
cui opera la Manipolazione genetica: diversità - omologazione, di cui
esiste una scarsa coscienza, se non totale assenza, perdurando invece categorie
ed apparato concettuale decisamente antiquati, e questo finisce poi per condurre
ad analisi e conclusioni quanto meno non soddisfacenti se non a volte non corretti.
Si intrecciano, cioè, qui sia la problematica linguistica sia quel ritardo
nel campo della filosofia di cui si è detto. Questo determina infine
la non comprensione e l’annebbiamento dei compiti nuovi che quegli studi
e ricerche invece pongono con insistenza.
Vediamo la cosa più da vicino.
E’ formulazione e quindi terminologia comune quella di parlare di "
condizioni più disparate", " condizioni ambientali estremamente
difficili in cui vengono a trovarsi alcuni enzimi", fino a giungere a parlare
di " organismi estremofili", di " enzimi più resistenti",
a " operare degli enzimi in condizioni lontane da quelle naturali".
In realtà le cose non stanno come vengono formulate e la formulazione
finisce per presentare un processo non reale, che non corrisponde poi neppure
agli studi che gli stessi ricercatori fanno e che poi espongono in tal modo.
La forma espositiva, infine, del comportamento degli enzimi è quanto
meno imperfetta, che conduce ad errori e cela i problemi nuovi che la ricerca
pone; evidenziando infine come si continuano ad utilizzare vecchie ed inefficaci
categorie ed apparati concettuali e linguistici, che finiscono per non portare
chiarezza e lasciare varchi ad interpretazioni mistiche, scientiste, da show.
Si intrecciano e si sovrappongono qui sia problemi del linguaggio e sia quello
teorico-concettuali dell’utilizzo di vecchie ed obsolete categorie di
pensiero.
Quando si descrive il processo degli enzimi all’interno di una cellula
si parla di " reazioni diverse e regolate in modo da non interagire una
con l’altra".
L’esposizione del processo è cattiva, sembra che si stia per assistere
ad un miracolo, ad una sapiente regia, a.. Così si finisce diritto nelle
braccia del fideismo, al " Regista" e se non a lui ad un suo surrogato:
il determinismo meccanicistico, il teleologismo e se si ha voglia " de
lo pane antico" si finisce alle " meraviglia della natura", che
a tutto ha provveduto. In queste condizioni i termini di " sapienza",
" intelligenza" si sprecano.
L’errore consiste nel leggere il "post festum", ossia ciascun
singolo processo nella sua manifestazione ultima e nell’istante ‘
t’.
E questo già alla metà del XIX secolo conduce diritto alla metafisica,
che diviene ‘ miracolo della natura’. Con l’ulteriore sviluppo
delle conoscenze ove si giunge a leggere la struttura molecolare e subatomica
della materia, quella visione si trasforma in ostacolo, macigno, alla lettura
della realtà e quindi determina un processo di distorsione, ed in quanto
tale mistificante. Questo si intreccia, si innerva sulla precedente struttura
non solo categoriale ma anche linguistica, per cui vengono utilizzati vecchi
termini per nuovi concetti, che da una parte non rendono appieno il nuovo, ma
anzi lo omologano, finendo per creare più ostacoli ed impacci che chiarificazioni
e snellimento.
L’esperienza ci ha infatti insegnato che perfezionando i semplici strumenti
di indagine, e questo è stato legato agli sviluppi dell’Ottica,
si modifica profondamente la nostra visione della struttura della materia e
quindi viene a modificarsi il nostro concetto di vita, di complessità,
di ordine, disordine.
Così letto e fissato il processo all’istante ‘t’ non
riusciamo ad intelligere il momento chiave del processo, ossia l’equilibrio,
il solo che ci può introdurre al concetto fondamentale della materia
che è una e diviene in infinite forme e di cui noi leggiamo unicamente
i singoli momenti e dei singoli momenti singole ed assai parziali e limitate
ed anguste angolazioni di lettura, che per comodità fissiamo nei suoi
momenti di ‘ quiete’, ossia i momenti che si ripetano con una certa
sequenza ed ordine – sequenza ed ordine che noi leggiamo con gli strumenti
tecnici ed il livello di conoscenza di quel momento – strumenti tecnici
e livelli di conoscenza sono due aspetti della stessa medaglia, ad un determinato
livello delle conoscenze in un settore corrisponde nella sua sostanza quell’apparato
di strumenti tecnici e concettuali e categoriali; e quel determinato livello
in definitiva non è dissimile dal più generale livello in tutti
gli altri settori e quindi della conoscenza nel suo complesso di quel determinato
periodo.
Lo sviluppo delle conoscenze richiede sempre più una lettura a tutto
campo, non bastando più la lettura dei campi e settori più immediati,
non bastando più la semplice interrelazione disciplinare e poi la multidisciplinarietà,
richiede una nuova e diversa organizzazione ed organigrammarsi diverso dei saperi:
gli unici in grado di intelligere il nuovo in una sua maggiore capacità
di leggere il movimento complessivo della materia ed i nessi e le interdipendenze
che l’operare dell’uomo mette in movimento.
Ma la lettura della " quiete" agisce da freno a questo passaggio superiore,
questo limite viene poi fissato dalle classi e dagli interessi delle varie classi
in lotta, incementando così la ricerca. In sostegno di questa ‘
fissità, ossia di leggere la " quiete" viene tutto il vecchio
apparato concettuale e quindi tutta la precedente tradizione di pensiero e categoriale,
che fino a quel momento aveva agito da sviluppo ed accelerazione di quella concezione
scientifica specifica e della più generale conoscenza e coscienza scientifica
e consequenzialmente della più generale concezione del mondo. E così
tra questi vari momenti si innesta un processo a catena distorsivo, ove ciascuno
substanzia ed è substanziato da tutti gli altri, venendosi così
a configurare un sistema teorico chiuso, che trova nell’esistente la sua
legittimazione teorica ed è poi dentro questo esatto, preciso, concreto,
materiale, che devono essere iscritte le nuove ricerche scientifiche e le nuove
conoscenze.
Sintetizziamo.
Il punto da fermare qui è allora la lettura isolata del processo, che
porta a visini e concezioni fideistiche o panteistiche. Si continua cioè
ad utilizzare la vecchia e non più soddisfacente categoria dell’istante
‘ t’ o quella del " post festum", anziché quella
di " equilibrio", che poi ci consente di attribuire alle leggi scientifiche
che formuliamo la loro giusta valenza e quindi la validità, ma anche
i suoi limiti. Diversamente, utilizzando la vecchia ed insufficiente categoria,
finiamo per aprire le porte alle teorie della non validità generale delle
leggi scientifiche, il loro essere solo formule tecniche ed alle teorie della
falsificabilità popperiana ed alla scuola di Carnap, andandoci a cacciare
nel ginepraio del determinismo meccanicistico e della scolastica disquisizione
ordine-caso-causa-disordine.
Quando si discute delle attività enzimatiche si arriva a formulare il
concetto di condizioni normali o naturali e condizioni difficili, lontane da
quelle naturali, giungendo fino alla definizione di " organismi estremofili".
Anche qui vi è una lettura unilaterale del processo. Si leggono cioè
gli enzimi, il loro numero sterminato, le loro funzioni, la versatilità,
specificità; si riesce persino a leggere il processo evolutivo durato
miliardi di anni, ma non si legge l’ambiente, ossia il rapporto tra il
soggetto e l’ambiente. Il soggetto risponde agli stimoli dell’ambiente
ed in base a questo sviluppa nuove caratteristiche e funzioni o sviluppa varianti
di quelli già in suo possesso - potenzialità.
Quello che qui è soggetto, lì è ambiente e quello che qui
è ‘ ambiente’ lì è soggetto: ciascuno è
anche l’altro. Ciascuno è causa ed effetto a seconda da dove viene
letto il processo e quale momento viene fermato, allo stesso modo ciascuno è
‘ soggetto’ o ‘ ambiente’ a seconda da dove si ‘
taglia’ il processo e si dà ‘ principio’ all’analisi,
lo studio.
La realtà è una e diviene in infinite forme, siamo noi che fissiamo,
fermiamo – attraverso l’angolazione di lettura scelta, privilegiata
che sia – un determinato momento. Ora se noi ci limitiamo al solo fermare,
senza assolutizzare, il procedimento è corretto, giacché è
attraverso questo ‘ isolare’, processo di astrazione, che l’uomo
è in grado di apprendere, capire la realtà ed avere un rapporto
positivo con essa. Il processo di astrazione è la teorizzazione e concettualizzazione
proprio ed esattamente – sul piano della speculazione teorica –
di questo isolare. Ma poi ci si deve ricordare di aver isolato ed occorre ricongiungere
ciò che uomo ha disgiunto. Se invece assolutizziamo quell’isolare
allora scadiamo nella metafisica. Nel caso in esame il non leggere il rapporto
soggetto-ambiente porta poi a parlare di ‘ capacità’ dell’enzima:
di qui si arriva diritto nel peggiore dei casi alla Fede, di norma a ‘
intelligenza’ e così finiamo per proiettare immagini mitiche e
mistiche di processi naturali il cui elemento fondamentale di comprensione è
semplicemente l’equilibrio.
Parlare di condizioni difficili per enzimi sottoposti a condizioni di temperatura
che possono superare i 100° Celsius, ecc. parlare di condizioni letali contro
i quali i batteri hanno sviluppato enzimi resistenti non è corretto.
Si usa qui la vecchia categoria della metafisica aristoteliana di non-contraddizione
e di identità, per non voler accedere alla nuova categoria unità/diversità.
Per i batteri che vivono in geyser quelle sono le condizioni assolutamente normali,
diventano difficili e poi critiche fino a diventare mortali in condizioni diverse;
e quelli delle cure termali le condizioni ‘ difficili’ sono quelle
a temperatura attorno ai 50-60°. Certo se predefiniamo ‘ difficile’
e
‘ facile’, allora… Ma la scienza ci ha insegnato da tempo
alla relatività dei concetti, dei termini e quindi alla terminologia
e concetti definitori per una determinata scienza e della scienza stessa per
ciascuna determinata branca, termini, definizioni ed apparati concettuali e
definitori non mutuabili in altre scienze ed in altre branche della stessa scienza.
Ancora una volta è proprio quella scissione tra soggetto-ambiente che
ci conduce su strade tortuose e contraddittorie.
Ancora.
Quando si discute di questi organismi estremofili si parla di enzimi ‘
più resistenti’, prodotti da organismi estremofili, che si difendono
da eventi letali quali le alte pressioni a cui sono sottoposti, ad alte temperature,
elevate concentrazioni saline, ecc. si continua ad usare la vecchia categoria
aristoteliana del principio di non-contraddizione, che è l’asse
categoriale della riduzione della diversità all’unità, alla
normalità; la vecchia categoria della normalità in quanto non-contraddizione
e quindi la vecchia struttura della logica formale e quindi il vecchio livello
del processo di astrazione e la catalogazione della logica formale che fissa,
incementa, incasella facendo perdere di vista il movimento e le interrelazioni
ed i rapporti di interdipendenza relazionale, il fluire costante della materia
ed il suo divenire costantemente altro.
Anche qui la formulazione non è corretta.
Non è che gli enzimi del Mar Morto o delle sorgenti termali si difendono
da.., meno che mai quelli sono eventi letali per loro; essi si sono sviluppati
in quell’ambiente e quindi sono funzionali a quell’ambiente; il
rapporto soggetto-ambiente ha determinato come sintesi dialettica proprio ed
esattamente quel tipo di enzima: Ora se noi assumiamo la categoria normale quale
termine di paragone e facciamo divenire questa la medietà degli enzimi,
allora e solo allora possiamo usare il termine ‘ si difendono da’.
Ma questo significa proprio ed esattamente ridurre la diversità alla
sua medietà, igitur sussumere la diversità sotto la " normalità".
La realtà è che quell’enzima è quella realtà
e quella realtà è quell’enzima: entrambi sono interdipendenti
e si condizionano reciprocamente, perché proprio quel tipo di enzima
dà quelle caratteristiche a quelle cure termali, a quella salinità:
gli enzimi rispettivamente di queste realtà caratterizzano esattamente,
individuano precisamente, intercettano esclusivamente quella realtà.
Non è quindi corretto parlare di " normale".
Questo errore porta poi ad una mutuazione del concetto normale alla più
generale ricerca sulla manipolazione genetica.
Sussunto sotto il termine ‘ normale’ la medietà ed individuato
come ‘ più resistente’, ‘ meno resistente’ ciò
che da questo parametro arbitrariamente assunto, allora si cerca di intervenire
per dotare quell’enzima di quel ‘ più’ o di quel ‘
meno’ tale da omologarlo all’ambiente dove deve vivere.
Torna qui in tutta la sua importanza metodologica l’avvertimento di Parmenide,
filosofo del V secolo ac:
" [..]. Perciò saranno tutte soltanto parole quando i mortali hanno
stabilito, convinti che fosse vero nascere e perire, essere e non essere, cambiamento
di luogo e mutazione del brillante colore.
[..]. Perché i mortali furono del parere di nominare due forme una delle
quali non dovevano- .. ;
ne contrapposero gli aspetti e vi applicarono note
reciprocamente distinte: da un lato il fuoco etereo
(..) ed inoltre anche l’altro lo posero per sé
con caratteristiche opposte, la notte senza luce di aspetto denso e pesante…
Ma dal momento che tutto è denominato luce e tenebra
e queste secondo le loro attitudini sono applicate a questo ed a quello,
tutto è pieno insieme di luce e tenebra invisibile,
per l’una e l’altra, perché né con l’una né
con l’altra c’è il nulla."
La mutuazione dei concetti da un capo all’altro da un punto di vista della
teoretica metodologica non è corretta, giacché nel caso naturale
dell’organismo detto ‘ estremofilo’ quello è il rapporto
soggetto-ambiente, nel secondo caso, quello transgenico, viene catapultato in
quell’ambiente quel soggetto, che quell’ambiente non ha prodotto.
Produrre per esempio un enzima che rende la vite resistente al freddo per piantare
tale vite in un ambiente freddo, significa catapultare quell’enzima in
un ambiente che non è il suo, ed è tale solo per l’aspetto
più fenomenico del problema:
situazione fredda? enzima resistente al freddo ? igitur manipolazione con enzima
resistente al freddo. Ma la vite ha un suo ciclo biologico che richiede altre
condizioni altre condizioni climatiche, tant’è che nel corso dei
millenni in quelle zone ove noi piantiamo la vite non vi era stata in precedenza,
che è cosa ben diversa dall’enzima delle cure del termali o del
Mar Morto, ove invece vi è stata la formazione e sviluppo di quel tipo
di enzima.
La debolezza teorica sta appunto nell’aver costruito una categoria ‘
normale’ e poi essere andati a diversificare gli altri oggetti, gli enzimi
in questo caso, sulla base di quella categoria che abbiamo definito normale
e sulla base se si allontano per eccesso o per difetto siamo andati a costruire
la catalogazione ‘ debole’ e ‘ forte’.
Ma questo non vuol dire, neppure, non lavorare in direzione della manipolazione
della vite, altrimenti si commette l’errore opposto quello di non comprendere
che l’uomo a differenza di tutti gli altri animali vive proprio ed esattamente
attuando un ricambio organico tra sé e la Natura, giacché per
la sua complessità fisiologica non può utilizzare i prodotti che
direttamente e spontaneamente la natura offre – come per tutti gli altri
animali – ma deve trasformarli e renderli per sé utili. Questo
ricambio organico, connaturale alla natura propria dell’uomo, viene non
correttamente indicata come ‘ pressione antropica’ e tale formulazione
è poi foriera di incomprensione e nn corrette analisi e foriera di approcci
di metodologici e concettuali non sufficienti alla comprensione della tematica.
Viene così a delinearsi la contraddizione sia della non correttezza della
mutuazione dei concetti e categorie da un piano all’altro, che non giustificano
di per sé la manipolazione e sia quella che l’impianto base non
consente neppure la negazione della manipolazione. Il problema ruota, per la
corretta soluzione, tutta attorno alla sperimentazione scientifica: essa sola
è in grado di stabilire l’esatto e corretto rapporto di discendenza
logica ed operativa.
Ed infatti poi se si va a ben vedere tutta la stessa discussione non verte sul
fatto se fare o non fare, ma sugli effetti, sulle conseguenze, ossia sulla sperimentazione
scientifica se sufficiente o non sufficiente a giustificare quell’operazione
genetica. Il problema non è di facile soluzione.
La validità della sperimentazione scientifica non è un dato a
sé stante, né un dato astorico. E’ il prodotto ed il risultato,
ed è dato esattamente, dal livello delle conoscenze dell’uomo e
dal grado di intervento dell’uomo sull’ambiente a lui esterno. Più
l’intervento dell’uomo è profondo, più scende nel
profondo della realtà e più rapporti di interdipendenza relazionali
mette in movimento e quindi gli effetti della sua azione si snodano su di un
arco di tempo più lungo. Fin quando l’uomo riusciva con l’aratro
di ferro trainato dal cavallo a dissodare la terra di alcuni centimetri, la
produttività della terra era minore rispetto a quella dell’aratro
trainato da un trattore, giacché riesce ad interagire ed a far interagire
una molteplicità di rapporti interrelazionali. Non dissimile cosa l’agire
dell’uomo più complessivamente inteso.
In passato gli effetti di questo agire si sono dispiegati per centinaia di secoli,
oggi invece un intervento di manipolazione ha effetti molto più immediati
e molto più profondi, tanto è vero che questo ha determinato il
problema che va sotto il nome di " generazione futura" e dei diritti
delle generazioni future, che verrebbero lese da un’azione di un certo
tipo dell’uomo presente e dei doveri degli uomini del presente di preservare
le condizioni fondamentali di vivibilità del pianeta. Quindi come si
vede la profondità dell’intervento dell’agire dell’uomo
di oggi non solo pone problemi del tutto nuovi, quello delle ‘ generazioni
future’, ma sposta completamente l’asse del problema dal singolo
settore o area geografica all’intero pianeta.
La profondità dell’agire dell’uomo di oggi, con l’attuale
livello delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, pone quindi due ordini
di problemi alla sperimentazione scientifica: uno è quello dell’impatto
a medio termine, e l’altro, ed in misura assai maggiore, quello dell’impatto
a lungo termine.
Ora il problema è questo: una volta che ci si è incamminati sulla
problematica dell’impatto sul medio e lungo periodo, qualsiasi sperimentazione
scientifica è inadeguata, giacché sul lungo periodo possono aversi
effetti devastanti non calcolabili oggi sulla base dei risultati della sperimentazione
scientifica. Questa base insufficientemente definitoria consente entrambe le
scappatoie: sia rinviare sine die, giacché se sappiamo a 30 anni non
possiamo sapere a 31 anni, ma consente anche quella di dichiararci soddisfatti
dei risultati che la sperimentazione oggi ci offre. E così il dibattito
si trascina stancamente su falsi binari e su sterili contrapposizioni, che poi
finiscono per costituire avvallo e giustificazione per i poteri forti: comunque
definiti e definentesi: una qualsiasi società è dominata da poteri
più o meno forti: anche qui è il concetto di ‘ potere forte’
ruolo e funzione che viene a modificarsi a seconda di quale tipo di società.
In questo modo viene a consolidarsi come pratica e quindi con ‘ forza
del consuetudinario’ una pratica non democratica, giacché i dati
che vengono forniti alla comunità-uomo non sono sufficienti, giacché
non rispondono al problema degli effetti del medio e lungo periodo sulla cui
base essa viene a formarsi un’opinione e quindi a decidere – a questo
livello dell’analisi sono indifferenti i livelli e le forme della democrazia
e quindi delle decisioni.
Voi vedete bene come le tematiche si intrecciano maledettamente e richiedono
una soluzione in grado di risolvere nel migliore dei modi il problema nella
sua complessità e per quanto possibile al livello migliore della totalità.
Il problema quindi ruota, si è detto, attorno alla sperimentazione scientifica.
E’ su questo che dobbiamo fermare la nostra attenzione.
Ora l’impianto metodologico, le categorie concettuali e gli assi su cui
avviene la sperimentazione e quindi la ricerca e raccolta ed esposizione dei
dati ed i criteri metodologici e teorico-concettuali delle conclusioni sono
ancora quelli del precedente livello di trasformazione; essi non sono stati
adeguati alla nuova realtà. Questa si muove ancora al livello di considerare
i settori interrelazionali più immediati e più vicini nel rapporto
causa-effetto.
In generale un prodotto passa attraverso una serie di sperimentazioni graduali
per verificare se i risultati che si ottengono sono quelli che il programma
di ricerca si era prefisso: nel lungo processo di verifica si constata la progressione
o l’arresto della ricerca e quindi della sperimentazione. La scala ascensionale
costituisce anche una esigenza oggettiva, non solo ‘ tecnica’ sperimentale:
è attraverso questa che la nostra stessa conoscenza si arricchisce, impariamo
nuove strade, scopriamo nuovi rapporti ed è su questa base che noi apportiamo
modifiche, correzione del tiro, ecc. La sperimentazione ci dirà, in caso
positivo, che quel prodotto ha una validità, che non ci ha dato effetti
sostanzialmente negativi – la cui percentuale costituisce gli effetti
collaterali o indesiderati – ma limitatamente a quel singolo oggetto in
esame e per i campi più strettamente vicini, ma non certo delle sue interrelazioni
con tutto il resto della realtà oggettiva, ove quell’oggetto della
ricerca viene poi immesso. Ed infatti tutto il dibattito che si svolge proprio
ed esattamente non tanto del singolo oggetto di ricerca e dei suoi campi più
vicini, ma del suo impatto con il restante mondo oggettivo ed è poi questa
che si dispiega sul medio e lungo periodo. La ricerca e la sperimentazione quindi
isola l’oggetto della ricerca dal più complessivo rapporto che
lo unisce alla realtà oggettiva e ne fa un tutt’uno, ed è
proprio qui che esso va poi ad impattarsi, finendo per porre il problema delle
" generazioni future".
I limiti metodologici della ricerca vengono così con forza in evidenza:
il carattere cioè limitato e ristretto dell’angolazione che si
assume, i campi più immediatamente vicini, appunto, e sulla cui base
si ottengono i risultati della ricerca e sulla cui base si formulano le conclusioni
e la sua validità e non invece il medio e lungo periodo. Ed è
a questo nuovo tipo di problematica che la ricerca e la sperimentazione deve
rispondere ed attrezzare risposte e per fare questo rivedere e revisionare profondamente
la sua metodologia ed impianto teorico-concettuale e consequenzialmente la raccolta
dei dati, il processo stesso di evoluzione del programma di ricerca e poi di
sperimentazione. E’ il nuovo livello delle conoscenze dell’uomo,
determinato proprio dal lavoro degli stessi ricercatori, che richiede una nuova
impostazione in grado di rispondere ai nuovi problemi, risultando decisamente
obsoleta la precedente per il modo nuovo in cui viene a porsi il processo di
trasformazione del rapporto Uomo-Natura, per il modo nuovo di come viene a porsi
l’agire dell’uomo nell’intervento con l’esterno, che
è più profondo, più ricco e che non ha paragone alcuno
con tutto il precedente intervento dell’uomo. Non ha paragone alcuno con
tutto il precedente intervento dell’uomo, ma si pone assolutamente fuori
dagli àmbiti e confini entro cui la ricerca e l’azione dell’uomo
si è sin qui mossa e sviluppata. Giustamente Childe ha fatto notare che
tutto lo sviluppo scientifico dell’uomo – e questo lo possiamo fermare
alla seconda metà del XIX secolo e poi decisamente dai primi del XX –
è già tutto dentro il solco dell’età del bronzo e
della civiltà assiro-babilonese. A partire dalla metà del XX secolo
l’uomo straripa abbondantemente oltre questo solco, tracciandone un altro
e ben più profondo, ricco e possente.
E quella metodologia, quell’apparato metodologico-concettuale è
ancora i " Principia Mathematica" e " Regulae philosophandi"
di Newton, arricchito, elaborato in modo specifico con tutta la cosiddetta ‘
Logica matematica’: Russell, Whitehead, Peano e la scuola di Vienna: Carnap,
ecc. Se sforzi poderosi sono stati fatti in questo campo, essi però risultano
non adeguati ai nuovi compiti, giacché non escono dai confini della lettura
‘ isolata’ dei processi, difettano cioè di una concezione
teorico generale della totalità. Questi studi alla fine si sono arenati,
proprio perché nn riuscivano a stare al passo con gli sviluppi poderosi
e tempestosi degli ultimi decenni ed in definitiva non abbandonavano l’impianto
della logica formale aristotelica: l’ultimo grande è stato Geymonat.
Ma tutto questo ci dice che abbiamo bisogno di un nuovo " Principia Mathematica",
ossia di una nuova metodologia e concezione generale che abbracci incondizionatamente
la visione della totalità; la concezione che la materia è una
e diviene in infinite forme e che siamo noi che fermiamo ora questo ora quel
momento di quel divenire. Di una nuova metodologia, inoltre, che abbandoni definitivamente
la concezione antropocentrica e le consequenziali teorizzazioni umanistiche
e retorico-umanistiche, che trovano nel crocianesimo la loro sistematizzazione
al più alto livello, che successivamente alla 2a guerra mondiale si è
intrecciato e fatto tutt’uno con la scuola di Vienna, venendone a costituire
la retrovia salda e bunkerizzata, la casamatta decisiva e snodo centrale di
tutta la teoretica del passato pensiero.
La contraddizione diviene sempre più acuta, giacché se da una
parte abbiamo bisogno di restringere sempre più il campo della ricerca
su parti sempre più infinitesimali del processo, e di procedere nell’isolare
i singoli momenti dei singoli fenomeni, perché per il livello raggiunto
dalle nostre conoscenze abbiamo bisogno di procedere nell’indagare i processi
reali dei fenomeni, e quello più generale lo abbiamo a sufficienza indagato,
vi ritorneremo o solo quando saremo stati in grado di accumulare una sufficiente
conoscenza di questi processi infinitesimali in grado di procedere ad una nuova
e più alta sistematizzazione teorica generale; dall’altra abbiamo
bisogno di riconnettere quello che abbiamo isolato dal contesto più generale.
E questo non ci è possibile se non elaboriamo una nuova metodica di cui
si è detto, che è poi conditio sine qua non per operare la ricomposizione
al livello generale poc’anzi detto. Come ben si vede tutto ci conduce
costantemente a quel punto decisivo di snodo: una nuova metodica.
Gli uomini nel loro procedere vi si avvicinano: essi sono passati prima ad una
nuova ed altra formulazione delle singole scienze, successivamente ad un organarsi
diverso delle singole scienze in un corpus scientifico – e fin qui siamo
ai " Principia Mathematica" di Newton. Successivamente essi sono giunti
all’interdisciplinarietà della ricerca, per giungere ora alla multidisciplinarietà,
ma questo pur loro procedere in avanti non li ha fatto in sostanza procedere
di un passo, giacché essi adeguavano solamente l’organizzazione
dei saperi sulla base dello scomporsi dei saperi stessi: gli specialismi, di
cui si è detto, per cui alla fine il problema rimaneva al punto da cui
pur si era partiti, con le modifiche successive che si erano introdotte e di
grande importanza e supportate da poderosi e generosi sforzi.
Noi, per tornare al problema della sperimentazione scientifica, abbiamo quindi
bisogno non solo di leggere l’interrelazione dell’oggetto della
ricerca con l’ambiente ove esso verrà poi ad essere immesso ed
operare, ma abbiamo anche bisogno di leggere le linee tendenziali di sviluppo,
perché, poi, sono esattamente queste linee tendenziali che ci consentiranno
di stabilire la validità di quel prodotto della ricerca e risolvere così
il problema determinato dal nuovo livello si azione dell’uomo nell’opera
di trasformazione del rapporto Uomo-Natura. Se non si introduce questo nuovo
elemento – la lettura tendenziale – e si resta ancorati al precedente
impianto i dati stessi della ricerca: raccolta, organizzazione, sistematizzazione
dei dati e consequenziali deduzioni saranno inadeguati, per la lettura parziale
del processo. Compito questo decisamente immane, giacché allo stato attuale
diviene difficile individuare non solo i dati da fermare in grado di darci la
tendenzialità dell’oggetto della ricerca e la tendenzialità
della sua immissione nell’ambiente ove opererà. L’estremizzazione
di questo concetto – che è estranea a tale trattazione –
sarebbe quella di volere una risposta sicura, ossia di un qual cosa in grado
di bypassare tout court l’applicazione in corpore vili, ossia l’applicazione
e quindi la verifica nel reale: per questo qualcosa, occorre rivolgersi alle
verità eterne ed alla metafisica, giacché solo una concezione
metafisica può pensare di poter trovare una tale meta entità.
Lavoro di gran lena attende, ma alcune linee sono nel corso del XX secolo state
confusamente individuate, parzialmente tracciate: si tratta di farne un bilancio
e ricomporre-ripensare in maniera unitaria i contributi decisivi, per quanto
attiene l’Italia – ma poi la loro proiezione è decisamente
internazionale – Geymonat, Della Volpe, Lucio Lombardo Radice, Laura Conti.
Lavoro immane si diceva, ma questo è il risultato naturale proprio ed
esattamente del procedere tempestoso dell’uomo, di cui proprio ed esattamente
i ricercatori ne sono tra i principali artefici. Ma in questo lavoro occorre
abbandonare tutto il passato pensiero, giacché quello che va colto è
che nella frammentarietà, contraddittorietà, confusione e con
larghi tratti mistificati e mistificanti, e quindi ideologici, quello a cui
noi stiamo assistendo – e più che assistendo, stiamo operando in
tal senso – è il nuovo che si, che diviene nelle forme e nei tratti
possibili stretto tra i mille vincoli dell’ancient regime, della vecchia
società entro la quale è costretto a muoversi e ad affermarsi
e nelle condizioni non di una direzione cosciente, ma spontanea, e quindi caotica,
a tratti, discontinuamente a scatti: ma è il nuovo che nasce, che si
fa e facendosi determinerà nuove e più alte concezioni ed altri
apparati teorico-concettuali e teorico-definitori con nuovi ed altri valori
e nuovi ed altri valori e parametri fondanti: che saranno la concezione della
nuova società che avanza, la coscienza che essa avrà di se stessa
e del suo nuovo rapportarsi al reale e quindi del nuovo/altro modo di attuazione
del processo di trasformazione .del rapporto Uomo-Natura.
Gli uomini possono resistervi sul piano della coscienza soggettiva – noi
facciamo qui astrazione dagli interessi materiali di quelle classi che trovano
nell’ancient regime la loro legittimazione – aggrapparsi al passato
pensiero, al pur poderoso e ricco patrimonio di questo, ma poi nella pratica
quotidiana si fanno portatori essi stessi di frammenti di quel nuovo che avanza
e sono poi essi stessi gli elementi materiali che fanno avanzare quel nuovo,
perché nel loro agire quotidiano lo fanno, opponendosi però sul
piano della coscienza. Il dato centrale da cogliere è che quello a cui
noi stiamo assistendo, e con il nostro operare quotidiano, spontaneo, naturale
stiamo costruendo, è la fase iniziale della più grande fase di
transizione mai verificatasi nella Storia, che non trova alcuna similarietà
generica con tutte le precedenti fasi di transizione verificatesi, giacché
costituisce la più totale e radicale rottura con tutto il passato agire
dell’uomo, con tutto il passato modo di operare il processo di trasformazione
del rapporto Uomo-Natura, e quindi la più radicale rottura con tutto
il passato pensiero e consequenzialmente con tutte le precedenti concezioni
generali di come l’uomo leggeva se stesso ed il suo rapporto con la Natura
e quindi la loro coscienza. Noi stiamo cioè assistendo, e con il nostro
operare quotidiano, spontaneo, naturale, stiamo costruendo gli inizi della transizione
dell’Uomo dalla Preistoria alla Storia. I processi della transizione sono
sempre confusi, contraddittori, laceranti, questo in modo particolare per la
rottura che opera con tutto il passato, tempestosi, burrascosi, fatti di ‘
salti nel buio’ – letti così per la rottura con il precedente
patrimonio teorico e di coscienza – e di tunnel interminabili, ove è
difficile intravederne la fine e dove sbocca e questo può in alcuni momenti
particolare dare la sensazione dell’impossibilità del suo sbocco,
ed a volte, e più spesso, del non conveniente e non auspicabile ed in
questi momenti, attimi paragonati con più complessivo processo storico,
ma in quegli attimi interminabili, il ritorno di idee e teorie del passato,
che quasi dalla terra risorgono con la forza delle certezze, del " sapore
dello pane antico", ma alla fine saranno solo attimi, che staranno alle
spalle degli uomini e saranno stati funzionali al superamento critico e quindi
coscienza del nuovo, ed avranno anche loro svolto il ruolo nel più generale
processo di affermazione del nuovo.
Crolla così il vecchio antropocentrismo, per affacciarsi l’uomo
sociale o umanità sociale.