Biblioteca Multimediale Marxista


Disamina critica in risposta al

LIBRO BIANCO


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Teoria, Problemi e Metodi

Modena, 02. 10. 2002
Camera del Lavoro
P.zza Cittadella, 36

1. Valore teorico e scientifico del ‘ libro bianco’.
Il libro bianco si poggia su ben precisi assunti teorici che non trovano riscontro alcuno né nella consolidata scienza dell’Economia Politica borghese, né in dati sperimentali. Risultano così esclusi-vamente assunti ideologici.
Il primo assunto che è poi quello cardine è il mercato del lavoro.
Esso viene letto come entità a sé stante e non come risultante del processo produttivo e staccato dal-le condizioni oggettive del mercato più generale, dalla composizione organica del capitale, dalla re-ale situazione finanziaria e produttiva italiana, europea, mondiale, che è univocamente caratterizzata dalla crisi di sovrapproduzione. E sarà proprio l’ostinazione nel non voler riconoscere il carattere di sovrapproduzione della crisi che straccia l’intero sistema capitalistico poi la causa unica e principe di tutta l’inconsistenza del documento in disamina. Ed infatti se introduciamo questo elemento tutta la costruzione crolla.
Operata una tale scissione il mercato del lavoro viene a configurarsi come la bacchetta magica che risolve la crisi e l’attuale situazione sul mercato del lavoro come l’unica responsabile dello stato di cose presenti.
L’attuale situazione a sua volta viene isolata dal contesto più generale e ridotta unicamente alla pre-senza di un monopolio che irrigidisce il mercato del lavoro, sottraendogli dinamicità ed imponen-dogli una tremenda rigidità. Questo monopolio, in netta opposizione ai valori della libertà in genera-le e della libertà del mercato del lavoro in particolare è costituita da una struttura sindacale che at-traverso contratti impone rigide norme e vincoli in contrasto con le libertà individuali ed in opposi-zione a quella necessaria flessibilità, l’unica in grado di consentire alle aziende di potersi modellare sul mercato e rispondere prontamente alle esigenze del mercato stesso.
Anche qui si ignora la più elementare ed oggettiva realtà.
Sul mercato del lavoro esiste un monopolio naturale, che è dato dai possessori dei mezzi di produ-zione, che per leggi oggettive vengono a costituire e ad agire sul mercato come monopolio ed esiste un monopolio soggettivo, costituito dai venditori di forza lavoro, ossia dai lavoratori, che in risposta al monopolio naturale si organizzano quale difesa. Il mercato del lavoro è così costituito da un duo-polio.
Se si sopprime quello soggettivo resta quello naturale, a meno che non si sopprime anche la classe proprietaria dei mezzi di produzione, ossia la borghesia, diversamente si instaura sul mercato del la-voro una dittatura, ossia il dominio assoluto del monopolio naturale. Lasciare alla libera contratta-zione individuale una serie di norme, ecc. è il prevalere unicamente del monopolio naturale.
Di segno opposto vengono costruiti arbitrariamente rapporti di interdipendenza che non esistono come per esempio tra mercato del lavoro e aumento occupazionale.
E’ il caso questo, per esempio, dell’art. 18.
Si sostiene, infatti, che una liberalizzazione nella possibilità di licenziamento consente una maggio-re occupazione, crea nuove possibilità di occupazione. Esiste, quindi, un rapporto diretto tra licen-ziamento di una unità ed aumento dell’occupazione.
Sul piano strettamente teorico e scientifico non esiste un tale rapporto: licenziamento ed aumento dell’occupazione rispondono a criteri diversi e sostanzialmente opposti.
L’aumento di occupazione, le nuove possibilità di occupazione sono determinate dalle leggi del mercato, ossia dal ciclo economico, se cioè si è in fase di espansione o in fase recessiva, se cioè quella merce ha un mercato, se esiste una domanda insoddisfatta tale da richiedere un aumento della produzione. L’aumento della produzione non sempre comporta automaticamente un aumento dell’occupazione, entro certi limiti essa può essere soddisfatta aumentando i ritmi di lavoro.
Per esserci aumento di occupazione, per esserci le nuove possibilità di occupazione occorre che tale domanda insoddisfatta sia di una entità tale, e quanto meno di medio-breve periodo, da far divenire conveniente l’aumento di una unità lavorativa. Se è solo un aspetto contingente, in questo caso non conviene aumentare l’occupazione in quella fabbrica. Nelle condizioni date della sovrapproduzione, infine, tale domanda insoddisfatta deve essere di tale entità da superare la massa delle merci inven-dute nei precedenti cicli produttivi.
Il licenziamento di una singola, o di singole unità lavorative non comporta in nessun caso un au-mento dell’occupazione, ma solamente una sostituzione.
Il licenziamento non per chiusura e contrazione della forza lavoro impiegata, il licenziamento di una singola unità risponde invece a criteri e regole dettati dal codice civile, oltreché da quello penale.
Ma questo comporta unicamente ed esclusivamente la sostituzione di quella unità lavorativa con danni nell’immediato all’impresa ed alla produttività, giacché l’unità sostituita deve essere immessa nel ciclo produttivo e di solito occorrono 5-8giornate lavorative prima che la nuova unità impiegata entri a pieno regime.
Ancora.
Per giustificare tali affermazioni si operano letture arbitrarie di singoli fatti, isolati dal contesto più generale, oppure veri ma in una precedente fase storica.
E’ il caso del rapporto che si tende a costruire tra il livello salariale ed occupazione.
E’ vero che esiste un rapporto tra il livello salariale e quello occupazionale, ma questo rapporto non è assoluto e non è univoco, ossia non si può abbassare indifferentemente il livello salariale.
Oltre una certa soglia, che è storicamente e tecnologicamente determinata, tale contrazione si tradu-ce in una contrazione netta della domanda e quindi nella contrazione della produzione ossia nella recessione. E’ questa una consolidata realtà storica data appunto dall’esperienza della crisi del 1929.
E’ questa una consolidata teoria che mostra come la compressione salariale determina una contra-zione della domanda e quindi una ricaduta sui livelli produttivi e quindi determina una recessione.
I più consolidati dati sperimentali dell’attuale crisi e di quella degli Stati Uniti dicono che la contra-zione occupazionale e del salario reale, determinano una depressione del mercato interno è sono queste le principali cause della crisi in questo paese, che si riversa sull’intera economia capitalistica mondiale.
Ancora.
E’ il caso di quando si vede coniugare allargamento della base produttiva e innalzamento della produttività.
Questa legge economica, ossia questo rapporto e leggi economiche consequenziali, è stata vera nel periodo storico 1560-1860, ma poi con i primi sviluppi della Chimica e della Fisica applicata alla produzione ha cessato di avere qualsiasi validità. Ed infatti noi abbiamo che ad un innalzamento della produttività, che è determinato in via prioritaria e quasi assoluta dal progresso scientifico e tecnologico, fa riscontro una contrazione della base produttiva e/o una contrazione dell’orario di la-voro.
L’applicazione, cioè, della Chimica e della Fisica ai processi produttivi hanno determinato un nuo-vo rapporto, e quindi nuove leggi economiche, stabilendo un rapporto inverso tra innalzamento del-la produttiva ed allargamento della base produttiva, lì dove esisteva in precedenza un rapporto pro-porzionale o diretto.
Riproporlo nella fase dello sviluppo della Biologia, Genetica, ecc. e dell’Astrofisica ai processi pro-duttivi diviene unicamente una mera amenità.
Non diversamente quando si vuole costruire artatamente una separazione e distinzione netta tra la-voro cosiddetto autonomo e lavoro dipendente.
Nelle attuali condizioni tecniche della produzione e del processo di concentrazione monopolistico non si pone più alcuna forma di lavoro ‘ autonomo’, risultando essere unicamente forme tecniche diverse in cui si esplicano fasi del processo produttivo, e quindi forme mascherate di lavoro dipen-dente. Si è avuto, cioè, il decadimento del lavoro autonomo sotto quello subordinato, divenendo es-so stesso subordinato e dove alcuni nuovi processi produttivi, rotto il continuum del sistema fordi-sta, si sono autonomizzati, determinando nuovi ed altri rapporti e nessi. Queste forme possono avere e ricevere solo per imprimatur ideologico veste di “ autonomo”. Tanto è vero che si giunge al ridi-colo: una stessa figura lavorativa è “ collaboratore” se esterna, ma è salariale se interna. E dicendo questo abbiamo già abbondantemente ceduto sul terreno delle concessioni teoriche, giacché parlare di lavoro autonomo è una contraddizione in termini, il lavoro in quanto tale non è mai autonomo, è sempre il risultato della cooperazione tra gli uomini e questo sin dalla comparsa dell’uomo sulla Terra. Il lavoro in quanto tale non può, per sua natura, essere svolto da un singolo uomo ma sempre da una comunità uomo, storicamente determinata: la tribù, il villaggio, la Nazione, il Mondo. Le storie alla Robinson Crosue appartengono al mito ed alla letteratura di svago e non alla Scienza.
E’ il caso, infine, della regionalizzazione del mercato del lavoro, ossia l’idea di disegnare l’organizzazione del lavoro avendo a base l’àmbito territoriale regionale.
Nell’attuale fase, cosiddetta ‘ globalizzazione’ termine decisamente improprio ed ideologico, ma qui serva per indicazione generale, è una contraddizione in termini.
I nuovi livelli del processo di concentrazione monopolistico - di cui i processi di integrazione euro-pea ne sono un momento, altri sono in atto – i raggiunti livelli scientifici e tecnologici comportano il superamento degli attuali àmbiti statuali classici – lo Stato-nazione – ed il disegnarsi di nuovi quello confederale da un lato e nuovi ambiti ove il termini ‘ regione’ acquisisce dimensioni territoriali di-versi, ingloba aree geopolitiche e geoeconomiche fino ad ora diverse tra di loro, che trasversalizza-no gli attuali àmbiti regionali classici, dando vita alle regioni transfrontaliere.
L’àmbito regionale, ma anche qui esso si disegnava in confini diversi, ha avuto un senso fino al 1870, ma già con la crisi del sistema manifatturiero del 1880 ha cessato di averlo.
Questo mostra l’assoluta ignoranza dei reali processi in atto e delinea nettamente ed inequivocabil-mente la natura, il carattere e l’intento esclusivamente ideologico del documento in disamina.
L’operazione ideologica diviene pacchiana allorquando si cerca di dare dignità di modernità a tale elaborato e proposte consequenziali.
Si ha così il proliferare di termini nuovi, molte volte in lingua inglese, che fa più ‘ in’ del tipo
“ telelavoro”; “ lavoro a contratto”, “ lavoro a progetto”, “ Agenzia di lavoro”.
Telelavoro? Lavoro a domicilio!
Lavoro a contratto? a progetto? lavoro a cottimo!
Agenzia di Lavoro? Caporalato!
E su questa riforma del mercato del lavoro, l’Agenzia appunto, occorre fermarsi un attimo.
Le agenzie di lavoro costituiscono ad una lettura scientifica la riproposizione di un rapporto di natu-ra feudale, servile.
La società borghese ha costituito un rivoluzionamento nei rapporti tra gli uomini ed ha liberato l’uomo dal rapporto servile impostando un rapporto di libertà. Sul mercato si presentano due sog-getti liberi: il proletario ed il borghese. Il proletario è libero da un punto giuridico formale – Marx chiama questo fictio iuris – di non lavorare, salvo poi a morire di fame, ma non vi è un vincolo ser-vile con il borghese ed il suo rapporto non è per tutta la vita ma solo per le ore di lavoro stabilite che egli vende al borghese e vende tale disponibilità ogni giorno e non una volta per tutte.
Il rapporto borghese elimina rapporti servili ed instaura un rapporto di libertà.
Si transita così dal suddito al citoyen, dal suddito al cittadino.
Bene nel momento in cui si insedia l’Agenzia del Lavoro tale rapporto cessa.
Nel momento in cui il lavoratore deve un miliardesimo di centesimo all’Agenzia è già il rapporto feudale. L’interposizione di un terzium non datur nel mercato del lavoro, non è nel rapporto giuridi-co borghese, ma feudale. Se poi si mette che il lavoratore si impegna in un rapporto di obbedienza con tale agenzia e che alcune forme di lavoro sono a chiamata, ossia il lavoratore sta a casa ma di-chiara la sua disponibilità all’occorrenza di andare per un’ora o una giornata o un mese, o … a lavo-rare per quella fabbrica, ma non può contrarre impegni con altre fabbriche, perché ha ceduto la di-sponibilità formale della sua vendita della forza lavoro questo è già rapporto servile. Questo è il rapporto feudale di servaggio!
Qui non c’è più il citoyen ma c’è tutto il suddito.
E allora in questo quadro di restaurazione deve essere modificato lo stesso rapporto con il sindacato ed il sindacato subire modifiche profonde, che comportano a caduta modifiche nella stessa natura del Partito politico. L’argomento merita una trattazione a parte, noi qui la bypassiamo, una traccia è allegata in appendice, ma sarà tema specifico sia di Napoli in settembre che del Convegno sul lavo-ro dell’ottobre 2003.
E questo mette fine a tutta la prosopopea circa le riforme e l’anima riformista ed innovatrice del Governo e della Confindustria, delineando nettamente ed inequivocabilmente la natura ed il caratte-re di tali modifiche: Contro Riforma, nell’accezione piena e classica del termine, Restaurazione.

Detto questo non significa esserci liberati dai problemi che vi sono, a cui il ‘ libro bianco’ cer-ca di dare una risposta ideologica. Si tratta invece di raccogliere a tutto campo le sfide dei tempi e rilanciare, sfidando l’avversario sulla progettualità e sul terreno dell’egemonia, intesa in senso gramsciano, ossia nella capacità di elaborare una più alta progettualità, capace di comprendere il re-ale e prospettarne soluzioni migliori.
E’ indubbio che lo sviluppo possente delle forze produttive, o sviluppo scientifico e tecno-logico, ha comportato modifiche profonde tali da far tramontare l’idea che avevamo di classe o-peraia, di processo produttivo, organizzazione del lavoro, ecc.
I problemi che ci stanno dinanzi sono allora la comprensione di questa nuova realtà, che chiede una lettura a tutto campo.
E’ evidente che non abbiamo più la grande concentrazione operaia, la Fiat con i suoi 140.mila operai.
Abbiamo, invece, la scomposizione del processo produttivo e la dislocazione di varie fasi sul ter-ritorio, che può essere quella più immediatamente vicina o dislocata su un àmbito territoriale più vasto: cittadino, provinciale, regionale, nazionale, europeo, mondiale.
E all’interno di una stessa fabbrica vari momenti del processo produttivo sono scorporati dalla centralizzazione e affidati a varie società in appalto, molte volte prestanomi.
Lo sviluppo scientifico e tecnologico ha comportato modifiche nel processo produttivo, che han-no determinato a cascata modifiche sul piano dell’organizzazione del lavoro e consequenzial-mente su quello politico, sociale, culturale, istituzionale. E’ quindi modificata la composizione delle classi con una ristratificazione e nuova gerarchizzazione sociale e del comando del capitale sul lavoro.
Sul piano del processo produttivo si è avuto:
lo sviluppo delle forze produttive ha consentito di rompere quel continuum, nel quale il sistema fordista aveva cementato il processo produttivo, per potenziare la produzione di massa, e quindi di separare le varie fasi, autonomizzandole.
In passato il problema era quello di abbattere, o quanto meno contrarre i tempi morti, ossia i tempi tra le varie fasi del processo produttivo, i tempi del trasporto del semilavorato da una sta-zione produttiva all’altra, di qui poi il sistema fordista della catena di montaggio, le pedane scor-revoli, le macchine in grado di trasportare una massa maggiore di semilavorati o di materie prime del processo lavorativo da un posto ad un altro.
Oggi invece si separa quanto prima si tendeva a concentrare.
Questo è stato possibile sia perché è stato modificato il rapporto spazio-tempo, per cui si è in grado di trasportare una massa maggiore di merci in minore tempo per uno spazio maggiore e sia per un forte innalzamento della produttività del lavoro, in grado di compensare i tempi che tale scomposizione delle fasi del processo lavorativo comunque comporta.
La società, cioè, è più ricca, lo sviluppo della scienza e della tecnica hanno consentito, e consen-tono ancora di più in linea tendenziale, una conoscenza alta della Natura tale da accrescere la ric-chezza della società mondialmente intesa.
Lo sviluppo spontaneo delle nuove figure professionali sta ad indicare, in maniera ancora indi-stinta e confusa, il configurarsi di una nuova ed altra organizzazione del lavoro di un nuovo ed altro modo di produzione. Si tratta allora di studiare con attenzione questo sviluppo spontaneo per comprendere quali sono le linee di tendenze in atto e verso cosa sta transitando l’attuale so-cietà, l’attuale sistema di produzione e quale società a grandi linee tende a delineare.
Il primo dato è una conferma dell’ulteriore liberazione di una parte del tempo da dedicare al la-voro, ma anche la sottrazione dell’uomo e della sua vita dai ritmi che quel continuum imponeva e sui quali veniva disegnata l’intera vita degli uomini. I ritmi di quel continuum scandivano, cioè, la vita degli uomini, su quei ritmi veniva disegnata l’intera vita degli uomini. L’attuale livello dello sviluppo scientifico e tecnologico, che è ancora nella sua più timida ed iniziale fase, indica chiaramente la possibilità reale di una nuova organizzazione del lavoro e quindi di nuove ed altre figure lavorative in grado di poter disegnare, questa volta per la prima volta in tutta la storia dell’Uomo – i ritmi del processo produttivo sulle istanze dell’uomo, attuando, così, un autentico capovolgimento nel rapporto Uomo- processo produttivo, Uomo – Lavoro.
Lo sviluppo delle forze produttive, o sviluppo scientifico e tecnologico, hanno determinato una liberazione dell’uomo dal lavoro, avendo determinato un forte innalzamento della produtti-vità del lavoro.
D’Antona ha correttamente individuato tale processo quando scrive che la società è più ricca e non più povera. La produttività cresce e con essa la ricchezza soprattutto la quantità dei beni a disposizione e quindi il lavoro si contrae, ossia “ il lavoro se ne va”.
Tutto questo però non si traduce in un vantaggio per la comunità-uomo, ma nelle attuali condi-zioni in maledizione, giacché si traduce in una perdita secca di sicurezza sociale, in un maggiore impoverimento materiale e spirituale.
Questa classe dirigente cioè si dimostra incapace di far godere i vantaggi della scienza e della tecnica all’intera società, per cui agisce come un possente filtro distorcente ove tutto si trasforma in maledizione per gli uomini. La logica del profitto individuale, la ricerca del profitto individua-le, il conseguimento del profitto medio sono poi la causa vera di tale distorsione.
Il punto decisivo da tener fermo è che lo sviluppo scientifico ha comportato l’abbattimento e comunque la contrazione – e tende vieppiù in tale direzione –, delle condizioni oggettive che de-terminano l’esistenza e la validità della legge del valore-lavoro, secondo la quale la merce viene scambiata in base al tempo di lavoro socialmente necessario. Ogni passo in avanti nell’innalzamento della produttività del lavoro era un passo sulla via del superamento di tale leg-ge economica, che ha costituito la legge fondamentale per l’esistenza delle società basate sulla proprietà privata.
La contrazione della legge del valore-lavoro comporta una contrazione di fatto del profitto, che è la base della riproduzione allargata in una società capitalistica. I singoli capitalisti, i gruppi mo-nopolistici compensano tale contrazione di profitto attraverso una intensificazione dello sfrutta-mento ed una subordinazione della forza lavoro – il libro bianco per intenderci – attraverso uno scaricare sulla comunità i costi di gestione: sgravi degli oneri sociali, sgravi fiscali, processi di privatizzazione, facilitazioni nell’acquisto di materie prime e nella vendita di prodotti, ecc. de-terminando un forte innalzamento del debito pubblico, che prontamente viene scaricato con la contrazione delle spese sociali: previdenza, sanità, scuola, ecc. ed un aumento dei costi dei servi-zi e dei prezzi in generale. Compensano tale contrazione con un uso scellerato della natura che comporta la distruzione non solo delle condizioni naturali per la riproduzione, ma la distruzione delle condizioni future, tanto da far parlare di “ diritti delle generazioni future”. E’ qui tutto il pe-sante inquinamento atmosferico, ma anche la distruzione di specie animali e vegetali di cui un aspetto è la manipolazione genetica in campo vegetale ed animale, ed è anche la sofisticazione ed adulterazione alimentare non solo umana ma anche animale e vegetale, di qui i casi di ‘ mucca pazza’ oltre alla pesante intossicazione di vegetali tramite sostanze chimiche, ecc.
La fase che noi stiamo vivendo è la fase iniziale della transizione ad un’altra società: da una società basata su tale legge del valore-lavoro, che ha poi determinato la nascita, la formazione ed il declino delle varie società basate sulla proprietà privata, ad una società liberata da tale necessi-tà: la società dei produttori: un’altra società.
Il carattere di transizione dell’attuale fase non deve mai essere smarrito o attenuato, altrimenti si fi-nisce per guardare i processi dal buco della serratura.
Ancora
Lo sviluppo scientifico e tecnologico, la rottura di quel continuum, avendo comportato una modi-fica dei processi produttivi e dell’organizzazione del lavoro, hanno comportato la modifica nella composizione e configurazione della classe operaia, oltreché di tutte le altre classi.
Le difficoltà della Sinistra nascono poi da qui.
Quella Fiat con i suoi 140mila operai non c’è più e non ci sono più molte altre fabbriche, come quelle dell’Italsider di Napoli, o…con una riduzione netta di operai, classicamente intesi, ed il pullulare di figure lavorative non classiche.
La fabbrica di questo accendino una volta era costituita da una massa di 3000operai, voi vedete che oggi quella stessa fabbrica non è composta che da 100-150operai intenti solo ad alcune fasi del processo lavorativo.
Voi siete abituati a considerare la classe operaia di una fabbrica come quella che materialmente è concentrata in un determinato opificio e questa poi ha determinato tutta l’attuale organizzazione dei lavoratori in Partito e Sindacato e quindi tutta la nostra esperienza, l’arco intero della nostra visione delle cose è ancora tutta dentro quella Fiat di 140mila operai.
Questa vostra visione non c’è più.
E’ scomparsa la classe operaia?
E’ solamente scomparsa la vostra visione di classe operaia, la vostra visione di organizzazione del lavoro e dei processi produttivi.
“ Il Capitale” di Marx indica ancora il metodo da seguire per l’analisi.
MarxEngels parte dalla merce, ne segue il cammino e ne svela così l’arcano.
Prendiamo, allora, la merce accendino, scomponiamola, seguendo a ritroso il suo cammino.
Vedremo allora che il petrolio e poi la raffinazione si attuano in Arabia Saudita, la trasformazio-ne in plastica in …, i pezzi in ferro in…, i meccanismi in…., l’assemblaggio in… – diciamo U-ganda, Corea del Sud, Argentina - ed infine, mettiamo, l’assemblaggio, il marchio e l’imballo a …, ove vi sono i 100-150operai. Prima l’intero processo di produzione avveniva a… con una massa di 7 00-1000operai.
Questo implica, allora, che la classe operaia di questo accendino non è data dai 100-150operai di …, che voi materialmente vedete entrare ed uscire dai cancelli di quella fabbrica, ma è data, in-vece!, dalla somma degli operai, tecnici, amministrativi impiegati in Uganda, Corea del Sud, Ar-gentina, più quella di ... .
Questo significa che vi è stata una forte penetrazione capitalistica nelle campagne dei paesi d’Asia, Africa, America Latina e quindi l’innalzamento del processo di proletarizzazione e con-seguente espulsione di masse enormi di contadini, artigiani, lavoratori, questi sì!, autonomi legati ai vecchi processi produttivi, al mercato locale e tutt’al più regionale, ecc. Voi ne vivete solo l’onda lunga, l’ultimo epilogo di questa immane tragedia di tanti popoli, di questo feroce, brutale e sanguinario processo di proletarizzazione ed immiserimento con le navi di immigrati che sbar-cano lungo le coste italiane e le varie leggi di regolamentazione, ultima la Bossi-Fini. Abbiamo così una modifica sostanziale delle classi in questi paesi in modo particolare sia la scomparsa di una borghesia nazionale progressista, democratica e sia lo sviluppo di una classe operaia, ma do-ve i processi di produzione ed i livelli dell’organizzazione del lavoro avvengono con macchinari e tecniche molte volte obsolete. Abbiamo così un’altra organizzazione mondiale del lavoro e quindi una complessificazione nella composizione della classe operaia mondiale attraversata da diversi gradi dei processi produttivi e da diversi gradi di applicazione dell’innovazione scientifi-ca e tecnologica, che concorrono poi tutti nella produzione delle singole merci, per quella disarti-colazione e diffusione dei processi produttivi sul territorio, di cui si è detto e che richiede nuovi ed altri momenti di unificazione.
Nella produzione dell’accendino, per stare la nostro esempio, concorrono diversi modi di produ-zione: da quelli precapitalistici a quelli fordisti a quelli tecnologicamente avanzati con tratti di lavoro servile e con mezzi di produzione diversi ove si va da quelli tecnologici a quelli obsoleti degli anni Cinquanta. Questo comporta una complessità di problemi, tra i quali i diversi livelli retributivi per la identica figura lavorativa, dati dalla diversità dei mezzi di produzione e dei mo-di di produzione che si stratificano e sovrappongono: livelli diversi di operai, tecnici, ammini-strativi, capi linea e produzione, direttori che presentano non pochi problemi ed a cui si contrap-pongono una sostanziale unità dei livelli più alti: manager, ricercatori e scienziati, ecc.
Si rispecchia e centralizza così in una unica merce, nell’accendino nel nostro caso, l’intera legge dello sviluppo ineguale del capitalismo, che comporta lo sviluppo ineguale di aree e zone, con-centrando nel singolo accendino, nella produzione di ogni singolo accendino, l’intera massa delle contraddizioni della società capitalista e che richiede, nel campo del proletariato, di una direzio-ne che non può essere la piatta omologazione ma non può, al tempo stesso, essere la codifica di tale sviluppo ineguale.
Questa estrema complessità noi la ritroveremo, poi, all’interno delle nuove aree geografiche, og-gi si dice geopolitiche, disegnate sulla base degli àmbiti territoriali ed è da noi analizzata, ed a cui rimandiamo, “ Lo sviluppo scientifico e tecnologico ed i problemi nuovi della Scienza della Politica”.
Questo ordine di problema si innalza per il rapido processo di proletarizzazione, che vede una costante modifica delle classi e della loro composizione: ed anche qui si pongono, esponenzian-dosi, i problemi della doppia velocità. Si va, così, dal continuo spostamento in avanti del rappor-to lavoro manuale-lavoro intellettuali e precarizzazione costante del lavoro intellettuale ad alta e media tecnologizzazione e conoscenza scientifica e tecnica, al processo di proletarizzazione della piccola borghesia tecnologizzata dei paesi imperialisti e dai processi di inurbamento e proletariz-zazione dei paesi coloniali di strati contadini, borghesia nazionale e ceti intellettuali legati a tali realtà.
Ancora.
La modifica delle classi in questi paesi si è caratterizzata da una parte con la sostanziale scom-parsa di una borghesia nazionale democratica e progressista, che aveva costituito la base fonda-mentale dell’intera tattica del movimento sindacale mondiale, che si sostanziava in un sostegno a questa nella sua lotta ed opposizione al controllo, alla rapina ed allo sfruttamento degli stati im-perialisti e dall’altra dallo sviluppo di una classe operaia e di un diffuso strato di lavoratori.
Questo pone il problema di comprendere come si ponga oggi n questi paesi il problema della transizione e come si ponga la coniugazione dei tempi diversi della transizione nei paesi capitali-sti ed in questi paesi, ossia i problemi della doppia velocità.
E questo è un aspetto.
L’altro è che i vari settori una volta distinti, oggi si intersecano, si scompongono/disarticolano per ricomporsi/riaggregarsi dando vita a nuovi settori merceologici non intelligibili con la prece-dente visione e quindi assimilabili alle precedenti categoria a noi note.
L’altro ancora è quello che si è modificato il rapporto lavoro manuale e lavoro intellettuale e questo ha comportato una presenza maggiore che in passato, la differenza è per esempio abissale rispetto all’epoca di Marx ed Engels, di figure tecniche ed a media ed alta conoscenza scientifica: tecnici, ricercatori, scienziati ma la stessa figura media operaia ha un livello tecnico sostanzial-mente alto.
Il problema è allora di avere una teoria in grado di unificare questi vari momenti e risolvere le tensioni a cui la stessa organizzazione sindacale e le organizzazioni politiche sono sottoposte, che ne determina squilibri, tensioni, incongruenze, e risolvere tali tensioni in un quadro unitario ove la diversità è momento di ricchezza. Le tensioni e spinte che attraversano l’organizzazione sindacale sono indice di queste difficoltà e dicono tutto circa la necessità di ripensare questa forma di organizzazione, entro un quadro di un più generale ripensamento e ridefinizione delle altre forme di organizzazione: partiti, ecc. , affinché possano assolvere ai nuovi compiti ed alle nuove complessità, in una parola alla modernità.
L’intera problematica nuova che esiste nei paesi d’Asia, Africa ed America Latina, di cui si è ac-cennato, nasce dallo sviluppo ed applicazione della Genetica.
Si tratta di fermare un attimo qui l’attenzione su questo tema per comprendere, in specifico, co-me lo sviluppo scientifico determini modifiche ampia ed a volte anche profonde, fino a modifica-re radicalmente la precedente situazione e la necessità per noi di seguirle e comprenderne tutta la portata.
Lo sviluppo della genetica ha consentito di sottrarre la produzione agricola dalle condizioni del clima e del tempo e quindi anche del luogo.
Questo significa che i produttori di fragole devono accettare le condizioni che vengono loro im-poste, giacché quel prodotto può oggi aversi in Svezia, in paesi freddi, grazie alla manipolazione genetica, che consente di trasferire nella fragola l’enzima che rende la fragola resistente al fred-do, e così per tutte le altre produzioni agricole. Questo ha comportato che il rapporto Imperiali-smo-colonie si è modificato a favore dell’Imperialismo, che può condurre una maggiore politica di sfruttamento e di rapina e attraverso un sovrapprofitto mantenere strati privilegiati di piccola borghesia in grado di assolvere ad una funzione di cuscinetto tra le classi, attenuare lo scontro di classe nelle cittadelle dell’Imperialismo e garantire un grado di consenso. Questo determina la necessità di una modifica nella tattica per quanto attiene le Tesi Coloniali, essendo divenute ob-solete le precedenti.
Le nuove Tesi Coloniali si devono coniugare con le nuove caratteristiche del proletariato di que-sti paesi e le modifiche delle classi che la pesante penetrazione capitalistica ha determinato e de-termina, venendo così a configurarsi come un elemento della più complessiva questione operaia e della tattica.
Esiste, poi, anche un altro aspetto importante, un’altra importante modifica che la Genetica ha determinato, la modifica delle Tesi sulla Questione Agraria di Marx, Engels e Lenin e questo de-terminerà a cascata ulteriori modifiche nella teoria e quindi nella tattica ed anche nel Programma.
La teoria agraria di Marx, Engels e Lenin avevano al centro la teoria secondo la quale la legge del valore-lavoro non si applica nel campo agrario, valendo qui la legge delle rendita differenzia-le. Vigevano qui, e continuano a valere in parte, i limiti propri della produzione agricola deter-minati dai tempi delle varie fasi della produzione: i tempi della semina, della fioritura e della ma-turazione dei prodotti oltre a quelli del clima e del tempo e quindi anche del luogo, oltre ai limiti naturali di produzione propri di ciascun appezzamento di terreno, che determinava poi la legge della rendita differenziale.
Questo determinava i tempi diversi della crisi agraria e della crisi industriale, ove nella prima i tempi erano più lunghi di quelli che si avevano nell’industria.
Tutto questo è stato profondamente modificato dalla genetica e dai processi industriali, che con-sentono oltre a sottrarre tale produzione dai limiti del clima e del luogo, anche da quello dei tem-pi, ‘ industrializzando’ così la stessa agricoltura. Con lo sviluppo della Genetica nell’agricoltura, infine, tale differenza dei tempi si è modificata, determinando una modifica nei caratteri della crisi nei due rami della produzione e inchiodando il sistema di produzione capitalistico ad una crisi sistemica, ove le due crisi si coniugano .
Noi abbiamo allora diversità e tempi e velocità diverse della crisi nelle varie aree, a seconda del grado di sviluppo della Genetica nei processi di produzione agricola, che però si ricompongono sul piano planetario proprio per quella struttura mondiale che il capitalismo ha raggiunto, e che fa parlare, in maniera non esatta, di globalizzazione. La ricomposizione avviene a livello delle singole holdings internazionali, che sono attraversate da tutte queste diverse aree ed il cui profit-to è la risultante di questi diversi modi di estorsione del plusvalore e di realizzazione del profitto.
Il quadro, allora, che si viene profilando è quello di una disarticolazione complessiva dell’intero schieramento delle forze della trasformazione e dalla obsolescenza della teoria, della tattica e del programma in nostro possesso, che pure ci hanno guidato fino ad ora.
Questo ci porta alla necessità di dover reimpostare un’altra questione chiave quella della centrali-tà operaia: la comprensione di quali siano, o quale è, le figure, la figura, chiave attorno alla quale riorganizzare e ritessere le fila dell’unità della classe soggetto principale della trasformazione.
Nella prima fase dell’organizzazione sindacale, l’Ottocento, noi avevamo la figura, diciamo così, dell’operaio-artigiano, ossia dell’operaio che faceva per intero una parte del processo lavorativo.
Questo successivamente è stato scomposto in molti momenti con l’organizzazione fordista del lavoro, ossia con la catena di montaggio, dando vita all’operaio della catena di montaggio, l’operaio-massa.
In questa prima fase vengono, allora, formulati i problemi relativi alle forme di organizzazione della tattica: il Partito, il Sindacato, ecc. attorno a questa figura dell’operaio-artigiano.
Queste figure nelle condizioni tecniche date della produzione costituivano oggettivamente il no-do cruciale, il nodo di svincolo o strategico dell’intero processo produttivo. Questo consentiva oggettivamente di assolvere al ruolo di centro dell’intera classe.
Successivamente avendo compreso, ed in anticipo, le modifiche che le innovazioni tecniche e scientifiche comportavano, vengono introdotte modifiche e in risposta all’organizzazione for-dista del lavoro si individua nell’operaio-massa, l’operaio di linea, la figura centrale, il nodo di svincolo dell’intero processo produttivo e su questa basa concepisce il nuovo partito.
L’Istituto di Studi Comunisti Karl Marx – Friedrich Engels ha avviato da alcuni anni una ri-cerca ed un dibattito al suo interno al fine di individuare come si pone oggi tale problematica.
E questo diciamo è il primo grande blocco di questioni.
E già a questo livello la Sinistra ed il Movimento Operaio e Sindacale tutto marcano ritardi ed incomprensioni e questo impedisce loro di avere un programma per la trasformazione in grado di guidare questa transizione, che si presenta in modo assolutamente inedito. Questo li pone in una condizione di sudditanza ideologica rispetto alla classe borghese, per cui ne subiscono l’offensiva, l’iniziativa ed i temi culturali, teorici e le interpretazioni ideologiche dei dati scienti-fici.
Nascono poi da qui le difficoltà e le divisioni, le incomprensioni e contrapposizioni, ove ciascu-no raschia il fondo del proprio barile, cercando nel passato risposte che non vi possono in alcun modo essere, giacché è la teoria che deve essere profondamente rivisitata alla luce dei progressi scientifici e tecnologici e riallineata a questi e non questi fatti entrare per forza entro quegli àm-biti oramai divenuti angusti, asfittici e non più in grado di contenerli.
Di qui poi i limiti nella lettura dei processi reali, ossia i ritardi di cui si diceva.
E sono poi tali ritardi che spingono alla quotidianità senza un progetto per la trasformazione ed al piegarsi alla quotidianità, come unico elemento di resistenza all’offensiva capitalistica. Nascono anche da qui le attuali differenti valutazioni sul percorso da seguire circa il libro bianco e le ri-sposte da attrezzare.
Indubbiamente la situazione oggettiva si presenta complessa, tremendamente confusa e contrad-dittoria, ove livelli di problematiche diverse si accavallano e sovrappongono in maniera disordi-nata, caotica, rendendone difficile la lettura. Ma questo è proprio delle fasi di transizione in gene-rale, che qui si esponenziano fortemente per il carattere inedito di questa transizione.
Ed è proprio qui il senso alto della sfida e la prova del fuoco se le forze della trasformazione so-no all’altezza di prendere la direzione della società e traghettarla verso la società dei produttori.

Esiste qui una complessità che va ben disaggregata.
Vediamone qui alcuni e più immediati aspetti.
Innanzitutto l’organizzazione deve essere in grado di espandersi, distendersi, per essere in grado di abbracciare tutti questi vari momenti del processo produttivo, una volta concentrati in un solo luogo materiale ed ora distribuiti su un vasto àmbito territoriale, giacché tali singoli momenti del processo produttivo sono distinti sul piano del processo lavorativo, ma sono unifica-ti sotto la direzione di grandi holdings internazionali, di qui la necessità di un’organizzazione comune nella battaglia comune contro la stessa impresa capitalistica, organizzatasi in holding. In concreto tutta la questione della Fiat pone la necessità di un rapporto Torino-Detroit o si crea una tale saldatura tra questi due tronconi di una stessa classe operaia metalmeccanica di una stessa impresa o la battaglia ha assai poche speranze.
E già questo pone una massa di problemi i n e d i t i, assolutamente inediti, sul piano della teoria, del programma e della tattica.
E questo non è che l’aspetto più immediato ed in definitiva anche il più semplice.
Un altro problema è dato dal processo europeo in atto, che richiede il superamento dell’attuale organizzazione della classe operaia e la necessità di una sua transizione ad un livello europeo sia sindacale che politico. Ed anche questo costituisce una massa di problemi di natura teorica, pratica ed organizzativa, data dalle diversità delle esperienze, dei vissuti e dei percorsi dei singoli movimenti operai: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, greco molti diversi tra di loro, per esperienza politica, per livelli e gradi organizzazione, ecc. ma che richiedono un processo di unificazione, che è complessità e non omologazione o livellamento.
Il punto è allora guidare la transizione, q u e s t a transizione.
Ed è qui che la Sinistra marca tutta la sua assenza.
Si tratta innanzitutto di ben fermare, ma studi attenti sui caratteri nuovi della crisi devono essere compiuti, in grado di sottoporre ad un’analisi scrupolosa, microscopica, la categoria crisi e quin-di il suo tratto univoco: crisi di sovrapproduzione, determinata dallo sviluppo alto delle forze produttive.
Lo sviluppo scientifico e tecnologico ha comportato proprio ed esattamente l’esistenza di quell’abbondanza di merci, che viene distrutta a causa dei rapporti di produzione capitalistici e quindi evidenzia come l’umanità sia stata sottratta dalla sottoproduzione, che caratterizza tutta la storia umana fino al XIX secolo, quando bastava un cattivo raccolto per scatenare le peggiori epi-demie conseguenti alla fame, alla miseria, alla sottonutrizione, ecc.; di come la società abbia oramai raggiunto un livello di produzione di ricchezza sociale tale da poter destinare, anziché distruggere, al miglioramento delle condizioni di vita, della qualità della vita e di progresso della società umana. Il livello di unificazione e dell’intero pianeta consentono una gestione, una direzione, attraverso la pianificazione, il loro governo e sviluppo a livello planetario e non più regionale. Ha comportato, infine, la possibilità della contrazione delle ore di lavoro, libera cioè lavoro, liberando gli uomini dalla necessità del lavoro come costrizione, per stare ai termini di D’Antona.
“ Guidare la transizione, questa transizione” si diceva questo il centro di tutto.
E’ evidente come parte sostanziale di un ragionamento ruoti attorno alla distribuzione del cari-co di lavoro tra tutti i membri della società, quale contributo di ciascuno alla riproduzione delle condizioni materiali di esistenza, ove il tempo di lavoro diviene, a differenza del passato, l’entità flessibile, di qui la flessibilità dei modi di impiego, mentre la soluzione antagonista è quella di man-tenere rigido, come per il passato in assenza dell’attuale sviluppo scientifico e tecnologico, il tem-po di lavoro e fluttuante, variabile, la massa impiegata e flessibili i metodi e le forme di impiego.
Le due impostazioni conducono a due soluzioni ‘ salariali’ opposte.
La prima porta alla parità ‘ salariale’ per lo stesso tipo di livello sindacale,
la secondo al ‘ salario’ corrisposto per le effettive ore di lavoro giornaliere svolte.
La prima, cioè, sgancia il salario dalle ore di lavoro, dichiarandolo funzione della ricchezza sociale prodotta.
La seconda mantiene il salario funzione delle ore di lavoro svolto, come avvenuto per il passato, mantenendosi ancorata al tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione di una merce e quindi dello stesso salario, l’unico in grado di garantirle ‘ il profittarello’, che per lo sviluppo scien-tifico e tecnologico non si pone più nei termini ottocenteschi e dei primi del Novecento del XX se-colo e che a partire dagli anni Settanta si è decisamente contratto, determinando poi quel “ liberare lavoro”, “ la produttività cresce e con essa la ricchezza e soprattutto la quantità dei beni a disposi-zione”,“ la crescita senza occupazione che non spinge verso il sottosviluppo e la povertà di massa” che ne costituisce poi il tratto saliente, la manifestazione netta della nuova realtà e dei nuovi livelli di vita.
Viene così a delinearsi una netta e grave e scissura.
Da una parte si configurano le reali condizioni in cui viene a trovarsi la produzione dei beni,
dall’altra, invece, si manifesta il mantenimento dei vecchi princìpi e delle vecchie leggi dell’economia che regolavano il ricambio organico uomo- natura, che regolavano la riproduzione delle condizioni materiali di esistenza degli uomini, superate dal tempo, superate dallo sviluppo scientifico e tecnologico, ossia dai nuovi livelli della conoscenza umana.
Il problema di sviluppare, innanzitutto, una concezione ampia, poderosa, poliedrica in grado di in-telligere tali problematiche è decisivo.
Questa transizione, assolutamente inedita, richiede che vengano attrezzati nuovi ed inediti strumen-ti, teorie, categorie tale da configurare tutta un’altra Scienza della Politica.
Essa deve essere in grado di combinare:
i passaggi tattici dell’oggi: le forme dell’organizzazione del lavoro, la forma dell’economia e della produzione, della politica, dei nuovi livelli istituzionali: europei e trasnazionali e quindi ruoli e fun-zioni degli organismi politici ed economici ed istituzionali internazionali: WTO, FMI, Banca Mon-diale, ONU e le forme di organizzazione della classe: Partito, Sindacato, ecc.;
con la transizione di medio periodo: il superamento di quelle posizioni di forza e vincoli e privilegi e posizioni di rendita che ostacolano il progresso;
con la transizione generale: il superamento della proprietà privata per la società dei produttori.
Opera decisamente immane che per la vastità richiede assolutamente non solo e soprattutto tutta l’intelligenza collettiva della classe, ma anche la più ampia unità di tutte le forze, che di volta in volta, passaggio tattico per passaggio tattico possono essere, e devono essere, raccolte al fine di po-ter attuare la concentrazione massima dei saperi e delle intelligenze ; ed avendo cura a non lacerare per non pregiudicare i passaggi tattici successivi.
Il punto da tener ben fermo è che sino ad ora mai nessuna forza del cambiamento si è trovata dinanzi a simili immani problemi, la cui caratterizzazione forte è data dalla doppia transizione: dalla società capitalista e dalla proprietà privata tout court. Sino ad ora le forze del cambiamento, e quindi l’esperienza storica a cui attingiamo, ha conosciuto la direzione di una transizione da una società all’altra dentro la continuità della proprietà privata e quindi hanno elaborato una Scienza della Poli-tica per tale altezza dei compiti, che si rivela per ciò stesso assolutamente inadeguata, insufficiente, inefficace ed in definitiva miserrima per le sfide dei tempi. Questo richiede consequenzialmente tut-ta un’altra Scienza della Politica e quindi tutta un’altra concezione, e teoria, e metodi, e livelli e forme di organizzazione politiche, sociali, istituzionali e quindi nuovi ed altri livelli della democra-zia, e quindi forme di lotta e di organizzazione e nuove teorie della tattica e della strategia in grado di rispondere ai problemi della doppia transizione, a quei problemi del combinare i passaggi tattici immediati con la transizione di medio periodo con la transizione generale.