Biblioteca Multimediale Marxista
istcom@libero.it
http://digilander.libero.it/istcom
ARTICOLO 18
I vuoti di memoria della Confindustria.
ovvero:
La tesi della Confindustria, e consequenzialmente dei suoi
teorici, è quella che una liberalizza-zione della possibilità
di licenziamento consente una maggiore occupazione, crea nuove possibilità
di occupazione. Esiste, quindi, un rapporto diretto tra licenziamento di una
unità ed aumento dell’occupazione.
Sul piano strettamente teorico e scientifico non esiste un tale rapporto: licenziamento
ed aumento dell’occupazione rispondono a criteri diversi e sostanzialmente
opposti.
L’aumento di occupazione, le nuove possibilità di occupazione sono
determinate dalle leggi del mercato, ossia dal ciclo economico, se cioè
si è in fase di espansione o in fase recessiva, se cioè quella
merce ha un mercato, se esiste una domanda insoddisfatta tale da richiedere
un aumento della produzione. L’aumento della produzione non sempre comporta
automaticamente un aumento dell’occupazione, entro certi limiti essa può
essere soddisfatta aumentando i ritmi di lavoro.
Per esserci aumento di occupazione, per esserci le nuove possibilità
di occupazione occorre che tale domanda insoddisfatta sia di una entità
tale, e quanto meno di medio-breve periodo, da far divenire conveniente l’aumento
di una unità lavorativa. Se è solo un aspetto contingente, in
questo caso non conviene aumentare l’occupazione in quella fabbrica. Nelle
condizioni date, infine, tale domanda insoddisfatta deve essere di tale entità
da superare la massa delle merci invendute nei precedenti ci-cli produttivi.
Il licenziamento di una singola, o di singole unità lavorative non comporta
in nessun caso un au-mento dell’occupazione, ma solamente una sostituzione.
Il licenziamento non per chiusura e contrazione della forza lavoro impiegata,
il licenziamento di una singola unità risponde invece a criteri e regole
dettati dal codice civile, oltreché da quello penale:
scarso rendimento, ecc. Ma questo comporta unicamente ed esclusivamente la sostituzione
di quella unità lavorativa con danni nell’immediato all’impresa
ed alla produttività, giacché l’unità sostituita
deve essere immessa nel ciclo produttivo e di solito occorrono 5-8giornate lavorative
prima che la nuova unità impiegata entri a pieno regime.
La Confindustria quindi mente sapendo di mentire.
Gli intellettuali che si fanno paladini di tali teorie mentono sapendo di mentire.
Ma il problema non è quello del mentire ed il sapere di mentire.
La verità è che la Confindustria ci riprova.
La regolamentazione dei licenziamenti individuali, imposta proprio per impedire
i licenziamenti individuali e limitare l’arroganza e lo strapotere padronale,
imposta sotto il possente movimento di lotta che saliva dalle fabbriche, risale
all’accordo del 7. agosto. 1947.
Con tale accordo venivano istituite le Commissioni Interne ed affidata alle
Commissioni Interne la complessa materia dei licenziamenti individuali e collettivi.
All’indomani della rottura dell’unità sindacale, 1948, e
dentro il più generale attacco al movimento operaio scatenato dalla borghesia,
la Confindustria decise di disdettare l’accordo del 7. agosto. 1947. Tale
assalto borghese venne preceduto da una massiccia, violenta, prolungata, premeditata,
programmata azione di repressione, che combinava tre elementi: la scissione
in campo sindacale, la repressione in fabbrica, la repressione statale.
Dal 1948 ai primi mesi del 1950 ci furono
62 operai uccisi, 3.126 operai feriti, di quelli che furono costretti a ricorrete
alle cure ospedaliere,
92. 169 arrestati, 19. 306 condannati a 8.441anni di carcere;
licenziati per rappresaglia 674 membri delle Commissioni Interne, 1.128 attivisti
della C.G.I.L.
Dopo questo possente ‘ fuoco di sbarramento’ la Confindustria ritenne
di essere oramai in grado di procedere alla formalizzazione dei nuovi rapporti
di forza, che credeva essere riuscita ad imporre, e quindi procede a disdettare
l’accordo del 7. agosto. 1947.
Il motivo che determinò la Confindustria a disdire nel 1950 l’accordo
sta nel fatto che in esso erano, appunto, regolamentati i licenziamenti individuali
e collettivi.
La Confindustria all’atto della disdetta dichiarò che riteneva
ancora applicabile l’accordo Buozzi-Mazzini del 1943, che la lasciavano
completamente libera di procedere come meglio le pareva.
Possente ed immediata fu la risposta dell’intera classe operaia, che convinse
immediatamente la Confindustria di aver sbagliato calcoli, che le fece toccare
con mano come tutto il possente assalto dispiegato non era in realtà
servito granché nello spezzare, sfiancare il movimento operaio e sinda-cale
italiano. Dinanzi alla possente controffensiva operaia deve attuare una precipitosa
ritirata.
Gli accordi del 18. ottobre e 20. dicembre 1950 stabilivano una nuova e più
avanzata disciplina per i licenziamenti individuali e collettivi, affermando
nel caso dei licenziamenti individuali il principio della giusta causa.
Da allora l’accordo del dicembre 1950 costituisce una bruciante mortificazione
della borghesia italiana, che ritorna ricorrente ad agitarle il sonno e che
da oltre cinquant’anni alimenta i suoi più reconditi sogni.
Aveva pensato che la sconfitta elettorale dell’aprile 1948 ed il sostegno
attivo dell’imperialismo americano potevano ben costituire base rassicurante
per reimporre la sua dittatura in fabbrica e spazzare via la democrazia in fabbrica,
perché poi il punto vero di tale attacco era, ed è, esattamente
questo: spazzare via la democrazia dalla fabbrica.
La classe operaia e l’intero popolo lavoratore aveva ben assimilato la
lezione del fascismo, ossia che se in fabbrica regna la dittatura del padrone,
se in fabbrica la democrazia è uccisa, la democra-zia non può
sopravvivere nel Paese. Essa nasce nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro e
si alimenta di questa e da questa si propaga a tutta la società civile.
L’aveva ben assimilata e seppe dare la dura, immediata, possente risposta,
tale da imporre alla Con-findustria una disordinata e confusa ritirata ed una
bruciante ed umiliante sconfitta.
La Confindustria questa volta si è sentita ben più sicura del
1950, la vittoria elettorale del centro de-stra, ha eccitato i suoi sogni, la
presenza diretta, fisica di uno dei suoi al governo le ha fatto perdere qualsiasi
prudenza e senso della realtà ed ha ritenuto di poter attuare la rivincita.
Attuare la rivincita per imporre in fabbrica la sua dittatura, per spazzare
via la democrazia dalla fabbrica, fare piazza pulita con assemblee, incontri
ed imporre un capovolgimento radicale delle relazioni industriali. La libertà
di licenziamento è la libertà di mettere fuori chiunque non si
adatti a tutti i ritmi e carichi di lavoro, a tutta la flessibilità dell’orario
di lavoro: straordinario e orario fles-sibile – ma questo è l’esatto
opposto del creare nuove possibilità di occupazione: ma voi provate a
dirlo ai dotti e sapienti docenti ed accademici di economia politica!!. Libertà
di licenziamento in re-altà è la libertà del supersfruttamento,
dello sfruttamento bestiale, in grado di sopperire all’assenza di ammodernamento
degli impianti e dei processi produttivi: la vecchia storia della borghesia
italia-na: mentecatta ed accattona, altro che nuove possibilità di occupazione.
Ma la libertà di licenziamento è anche la libertà di licenziare
quanti sono attivi sul piano sindacale e politico in fabbrica, quanti non si
dimostrano duttili alle esigenze della produzione in sede elettorale La libertà
di licenziamento è la libertà di spazzare via dalla fabbrica qualsiasi
istanza di democrazia.
La CONFINDUSTRIA CI RIPROVA INSOMMA!!