Biblioteca Multimediale Marxista
La situazione esterna della RP d'Albania. I rapporti con gli Stati confinanti
e gli angloamericani. L'incidente del canale di Corfù - Alla Corte dell'Aia.
La situazione politica, economica, sociale e di classe in Albania. Stalin mostra
un grande interesse per il nostro paese, per il nostro popolo e per il nostro
Partito, e li stima molto. "Non è logico che un partito al potere
resti nella clandestinità". "Il vostro Partito Comunista si
potrebbe chiamare Partito del Lavoro".
Il 14 luglio 1947 giunsi a Mosca a capo della prima delegazione ufficiale del
Governo della Repubblica Popolare e del Partito Comunista d'Albania per una
visita di amicizia in Unione Sovietica.
L'idea di incontrare il grande Stalin suscitava una gioia indicibile nei miei
compagni e in me, che eravamo stati designati dal Comitato Centrale del Partito
per questa visita a Mosca. Non avevamo mai cessato di sognare giorno e notte,
da quando eravamo stati iniziati alla teoria marxista-leninista, di incontrare
Stalin. E tale desiderio era andato crescendo nel corso della nostra lotta antifascista
di liberazione nazionale. Dopo le insigni figure di Marx, Engels e Lenin, quella
del compagno Stalin ci era estremamente cara e noi nutrivamo nei suoi riguardi
un illimitato rispetto, poiché i suoi insegnamenti ci erano serviti come
guida nella fondazione dei Partito Comunista d'Albania, quale partito di tipo
leninista, ed erano stati per noi fonte di ispirazione durante la Lotta di liberazione
nazionale e restano sempre preziosi ora nella costruzione del socialismo.
Le nostre conversazioni con Stalin e i suoi consigli ci avrebbero fatto da guida
nell'arduo ed immenso lavoro che stavamo facendo per il consolidamento delle
vittorie conseguite .
Proprio per tali motivi la nostra prima visita in Unione Sovietica suscitava
un'indicibile gioia, una soddisfazione enorme non solo tra i comunisti e in
noi stessi, membri della delegazione, ma anche in tutto il popolo albanese,
che l'aspettava con impazienza e che l'approvò con grande entusiasmo.
Stalin e il Governo sovietico, come vedemmo con i nostri occhi e sentimmo nei
nostri cuori, accolsero la nostra delegazione con grande cordialità,
calore e affetto. Durante i dodici giorni del nostro soggiorno a Mosca, incontrammo
Stalin a più riprese ed i colloqui che avemmo con lui, come pure le sue
raccomandazioni ed i suoi consigli sinceri e amichevoli, sono rimasti e rimarranno
per sempre preziosi.
Conserverò del giorno del mio primo incontro con Giuseppe Vissarionovich
Stalin un ricordo indimenticabile. Era il 16 luglio 1947: ci trovavamo a Mosca
da tre giorni. Sin dall'inizio fu una giornata straordinaria. In mattinata ci
recammo al Mausoleo del grande Lenin per inchinarci davanti alla sua salma e
rendere un deferente omaggio al grande e geniale dirigente della rivoluzione,
a quest'uomo il cui nome e la cui opera colossale erano profondamente incisi
nelle nostre menti e nei nostri cuori e che ci avevano illuminati e ci illuminavano
sulla gloriosa via della lotta per la libertà, della rivoluzione e del
socialismo. A nome del popolo albanese, del nostro Partito Comunista e a mio
nome personale deposi in quest'occasione una corona di fiori ai piedi del Mausoleo
dell'immortale Lenin. Poi, dopo aver visitato le tombe dei valorosi combattenti
della Rivoluzione Socialista d'Ottobre, quelle degli insigni militanti del Partito
Bolscevico e dello Stato Sovietico, ai piedi delle mura del Cremlino, ci recammo
al Museo centrale di Vladimir Ilich Lenin. Occorsero più di due ore per
visitare tutte le sale, per guardare da vicino i documenti e gli oggetti che
vi erano esposti e che illustravano in dettaglio la vita e l'insigne opera del
grande Lenin. Prima di uscire, nel Libro delle impressioni scrissi fra l'altro
queste parole: "La causa di Lenin resterà immortale fra le generazioni
future. Il suo ricordo vivrà per sempre nel cuore del popolo albanese".
Quello stesso giorno, ricco di impressioni e di indelebili emozioni, noi fummo
ricevuti dal discepolo e fedele continuatore dell'opera di Lenin, da Giuseppe
Vissarionovich Stalin, che si intrattenne a lungo con noi.
Sin dall'inizio egli creò intorno a noi un'atmosfera così amichevole
che ben presto ci sentimmo liberati da quel senso di naturale emozione che provammo
entrando nel suo studio, una grande sala con un tavolo da riunioni, vicino al
quale c'era un altro tavolo da lavoro. Appena qualche minuto dopo lo scambio
delle prime parole, eravamo così distesi che ci sembrava di conversare
non con il grande Stalin, ma con un vecchio amico con il quale ci eravamo già
intrattenuti parecchie volte. Oltre che essere allora relativamente giovane,
ero il rappresentante di un piccolo partito e di un piccolo popolo. E' per questo
che Stalin, al fine di crearmi un'atmosfera la più calorosa e amichevole
possibile, accompagnava il suo discorso con battute; poi si mise a parlare con
grande amore e profondo rispetto del nostro popolo, delle sue antiche tradizioni
combattenti e dei suo eroismo nella Lotta di liberazione nazionale. Parlava
con calma, in tono pacato e con un calore particolarmente comunicativo.
Il compagno Stalin mi disse fra l'altro che provava una profonda simpatia per
il nostro popolo, questo antichissimo popolo dei Balcani con una lunga storia
fatta di atti di valore.
- Conosco soprattutto l'eroismo di cui il popolo albanese ha dato prova nel
corso della sua Lotta di liberazione nazionale, proseguì, ma tale conoscenza
non è sufficientemente vasta e profonda; perciò vorrei sentirvi
discorrere un po' del vostro paese, del vostro popolo e dei problemi che vi
preoccupano oggi.
Presi quindi la parola e descrissi al compagno Stalin la lunga e gloriosa via
percorsa dal nostro popolo nella sua storia, le sue incessanti lotte per la
libertà e l'indipendenza. Mi soffermai particolarmente sul periodo della
nostra Lotta di liberazione nazionale, gli parlai della fondazione del nostro
Partito Comunista, quale partito di tipo leninista, del ruolo decisivo da esso
svolto in quanto unica forza dirigente nella lotta, come pure degli sforzi del
popolo albanese per conquistare la libertà e l'indipendenza della patria,
per rovesciare il vecchio potere feudale-borghese, per instaurare il nuovo potere
popolare; un ruolo che esso continua a svolgere al fine di condurre il paese
con successo verso profonde trasformazioni socialiste. In quest'occasione ringraziai
ancora una volta il compagno Stalin e gli espressi la profonda gratitudine dei
comunisti e dell'intero popolo albanese per il caloroso appoggio che il Partito
Comunista dell'Unione Sovietica, il Governo sovietico e lui stesso avevano dato
al nostro popolo e al nostro Partito sia durante la guerra che dopo la liberazione
della patria.
Proseguendo parlai al compagno Stalin delle profonde trasformazioni politiche,
economiche e sociali che erano state compiute e che erano in corso di realizzazione
passo dopo passo durante i primi anni di potere popolare. "La situazione
interna sul piano politico ed economico in Albania, gli dissi fra l'altro, conosce
miglioramenti evidenti. Questi sono dovuti alla giusta comprensione della necessità
di sormontare le difficoltà e ai grandi sforzi del popolo e del Partito
per superarle con il loro instancabile lavoro. Il nostro popolo è deciso
a procedere sulla sua via ed ha un'incrollabile fiducia nel Partito Comunista,
nel Governo della nostra Repubblica popolare, nelle sue forze costruttive, nei
suoi sinceri amici e, animato di un alto spirito di mobilitazione, di abnegazione
e di entusiasmo, egli assolve ogni giorno i compiti che gli incombono.
Il compagno Stalin si rallegrò dei successi del nostro popolo e del nostro
Partito nella loro opera di costruzione e chiese poi che gli parlassi un po’
più a lungo della situazione delle classi nel nostro paese. Voleva soprattutto
sapere qual'era la situazione della classe operaia e delle nostre masse contadine.
Mi rivolse una serie di domande a proposito di queste due classi della nostra
società; ci scambiammo in merito a queste classi un buon numero di idee
che ci sarebbero state utili in seguito per svolgere un solido lavoro in seno
alla classe operaia e ai contadini poveri e medi, ed anche per definire i nostri
atteggiamenti nei confronti degli elementi agiati nelle città e dei kulak
nelle campagne.
- La schiacciante maggioranza della nostra popolazione, dissi fra l'altro al
compagno Stalin in risposta al e sue domande, è costituita da contadini
poveri e poi da contadini medi. La nostra classe operaia è numericamente
esigua; da noi vi è anche un certo numero di piccoli artigiani, dei cittadini
che si occupano di commercio al minuto e una minoranza di intellettuali. Tutte
queste masse di lavoratori hanno risposto all'appello del nostro Partito Comunista,
si sono mobilitate nella lotta per la liberazione della patria e oggi sono strettamente
legate con il Partito e il potere popolare.
- Vanta la classe operaia albanese delle tradizioni nella lotta di classe? -
chiese il compagno Stalin.
- Prima della liberazione del paese, risposi, questa classe era numericamente
molto esigua; era stata appena creata ed era composta di un certo numero di
operai salariati, di apprendisti o di artigiani sparpagliati in piccole botteghe
e aziende. Un tempo, in alcune città del paese, gli operai scendevano
in scioperi, ma si trattava di movimenti isolati e di scarsa entità,
e ciò sia per il numero esiguo degli operai che per la mancanza di una
loro organizzazione in sindacati. Nonostante ciò, spiegai al compagno
Stalin, il nostro Partito Comunista è stato fondato come un partito della
classe operaia che si ispirava all'ideologia marxista-leninista e che esprimeva
e difendeva gli interessi del proletariato e delle vaste masse lavoratrici,
innanzi tutto quelli delle masse contadine albanesi, che costituivano la maggior
parte della nostra popolazione.
Il compagno Stalin espresse il desiderio di essere informato della situazione
dei contadini poveri e medi nel nostro paese.
Rispondendo alle sue domande, lo misi al corrente della politica seguita del
nostro Partito sin dalla sua fondazione, dell'importante lavoro svolto da esso
sotto tutti gli aspetti per appoggiarsi sulle masse contadine e guadagnarsi
la loro simpatia.
- Abbiamo agito in tal modo, dissi, non solo perché partivamo dal principio
marxista-leninista secondo cui le masse contadine sono le alleate più
vicine e più naturali del proletariato nella rivoluzione, ma, anche per
il fatto che in Albania i contadini costituiscono la stragrande maggioranza
della popolazione; questi si sono caratterizzati nei secoli per le brillanti
tradizioni patriottiche e rivoluzionarie. - Poi riferii al compagno Stalin della
condizione economica di questi contadini prima della liberazione e del loro
livello culturale e tecnico. Pur ponendo l'accento sulle alte qualità
dei nostri contadini, come gente patriota, operosa, strettamente attaccata alla
terra e alla patria, assetata di libertà e di progresso, gli parlai anche
delle sopravvivenze accentuate del passato e del ritardo economico e culturale
delle nostre
masse contadine, nonché della mentalità piccolo borghese coltivata
nella loro coscienza. "Il nostro Partito, sottolineai, ha dovuto lottare
con tutte le sue forze contro questo stato di cose ed abbiamo conseguito dei
successi in tal senso, ma ciò nondimeno siamo consci del fatto che dobbiamo
lavorare di più e con maggior impegno per far prendere coscienza ai contadini
e indurli ad abbracciare la linea del Partito ed applicarla ad ogni passo".
Prendendo la parola, il compagno Stalin disse che all'inizio i contadini, in
genere, temono molto il comunismo, pensano che i comunisti li priveranno della
terra e di tutti i loro beni. "I nemici, proseguì, si adoperano
in tutti i modi per convincere i contadini alle loro idee così che si
allontanino dall'alleanza con la classe operaia, dalla politica del Partito
e dalla via del socialismo. Da qui la grandissima importanza del lavoro accurato
e lungimirante che il Partito Comunista deve compiere con i contadini, come
avete detto voi stesso, affinché questi si leghino in modo indissolubile
al Partito e alla classe operaia".
Colsi l'occasione e descrissi in linee generali al compagno Stalin la struttura
sociale del nostro Partito, gli spiegai che tale struttura rispondeva in pieno
alla stessa struttura sociale del nostro popolo. "Ecco la ragione perché
attualmente, dissi, i comunisti di estrazione contadina costituiscono la maggioranza
degli iscritti. La politica del nostro Partito in questa direzione consiste
nell'accrescere passo dopo passo, parallelamente alla crescita della classe
operaia, il numero dei suoi membri di condizione operaia".
Apprezzando la giusta politica attuata dal nostro Partito verso le masse in
generale, e in particolare verso le masse contadine, il compagno Stalin ci diede
amichevolmente una serie di consigli utili per il nostro lavoro futuro. Ci suggerì
fra l'altro di dare al nostro Partito Comunista il nome di "Partito del
Lavoro d'Albania", dato che la maggior parte dei suoi membri erano di origine
contadina. "Comunque, egli osservò, questa è un'idea mia,
perché spetta a voi, al vostro Partito, dire l'ultima parola in merito".
Dopo aver ringraziato il compagno Stalin di questo suo prezioso suggerimento,
gli dissi:
- Sottoporremo questa vostra proposta al I Congresso del Partito* *( E' stato
tenuto dall'8 al 22 novembre 1948) che stiamo preparando e sono convinto che
sia la base del Partito che la sua direzione la troveranno saggia e l'approveranno.
- Poi esposi al compagno Stalin il nostro punto di vista sulla totale legalizzazione
del nostro Partito al suo I Congresso in preparazione.
- In realtà, gli dissi fra l'altro, il nostro Partito Comunista è
stato e resta l'unica forza dirigente di tutta la vita del paese; dal punto
di vista formale però esso si trova ancora in una situazione di semiclandestinità.
Non ci sembra affatto giusto prolungare questa situazione*.*( L11° Plenum
del CC del PCA, tenutosi dal 13 al 24 settembre 1948 e il I Congresso del PCA
decisero la totale e immediata legalizzazione del PCA. Il mantenimento del Partito
fino allora in uno stato di semiclandestinità fu ritenuto sia dal plenum
che dal Congresso un errore dovuto alle pressioni e all'influenza della direzione
trotzkista jugoslava; la quale, per scopi ben definiti, considerando il Fronte
come la principale forza dirigente del paese, cercava di far fondere il Partito
Comunista nel Fronte, di sottovalutare e di negare quindi il Partito comunista
stesso ed il suo ruolo dirigente sia nel Fronte che in tutta la vita del paese.)
- Giusto, giustissimo, rispose il compagno Stalin. Non è logico che un
partito al potere resti nella clandestinità, o lo si consideri illegale.
Passando ad altre questioni, relative alle nostre forze armate, spiegai al compagno
Stalin che il nostro esercito, uscito dalla lotta, era composto nella sua stragrande
maggioranza di contadini poveri, di giovani operai e di intellettuali delle
città.
I quadri dell'esercito, gli ufficiali che comandano, sono usciti anch'essi dalla
lotta ed è in guerra che hanno acquisito l'esperienza del comando.
Gli parlai inoltre degli istruttori sovietici che si trovavano da noi da qualche
tempo e gli chiesi di inviarcene ancora degli altri. "Siccome ci manca
la dovuta esperienza in materia, dissi, il livello del nostro lavoro politico
nell'esercito non è all'altezza richiesta, quindi la pregherei di prendere
in considerazione la questione e di aiutarci ad elevare il livello di questo
lavoro. Da noi ci sono anche degli istruttori jugoslavi, aggiunsi, e non posso
dire che sono sprovvisti di esperienza, ma, a dire il vero, la loro esperienza
è limitata. Anch'essi sono usciti da una grande lotta di liberazione
nazionale, ma malgrado ciò non sono all'altezza degli ufficiali sovietici".
Dopo avergli parlato del morale elevato del nostro esercito, della disciplina
e di una serie di altri problemi, domandai al compagno Stalin di designare un
compagno sovietico con il quale poter discutere più a lungo e in modo
più dettagliato dei problemi del nostro esercito e delle sue necessità
future.
Accennai poi al problema del rafforzamento del nostro litorale.
- In modo particolare dobbiamo rafforzare l'isola di Sazan, la fascia costiera
di Vlora e di Durrës, poiché si tratta di posizioni molto delicate.
E' proprio da qui che il nemico ci ha attaccato due volte. E forse di là
dovremo sostenere un attacco eventuale da parte degli angloamericani e degli
italiani.
- Per quanto riguarda il rafforzamento del vostro litorale, disse fra l'altro
il compagno Stalin, condivido la vostra opinione. Noi, da parte nostra, vi aiuteremo,
ma dovranno essere gli albanesi e non i sovietici ad utilizzare le armi e gli
altri mezzi di difesa che vi forniremo. Siccome il meccanismo di alcuni di questi
mezzi è complicato, dovreste inviare i vostri uomini qui da noi ad impararne
l'uso.
Circa la richiesta di invio di istruttori politici presso il nostro esercito,
il compagno Stalin mi spiegò che essi non potevano più continuare
a farlo perché, per compiere un lavoro utile, questi istruttori innanzi
tutto dovevano conoscere bene la lingua albanese, la situazione interna e la
vita del popolo albanese. "Perciò sarebbe meglio, egli disse, che
foste voi ad inviare i vostri uomini in Unione Sovietica per acquisire la nostra
esperienza in materia e poi applicarla nelle strutture dell’esercito popolare
albanese".
Poi il compagno Stalin volle essere informato delle attività della reazione
interna in Albania e del nostro atteggiamento nei suoi confronti.
- La reazione interna. risposi. l'abbiamo colpita e continueremo a colpirla
duramente. Abbiamo ottenuto dei successi nella lotta volta a smascherarla e
a schiacciarla. Quanto alla liquidazione fisica dei nemici, questa è
stata realizzata sia nel corso degli scontri diretti fra le nostre forze e le
bande armate dei criminali, sia eseguendo le sentenze emesse dai tribunali popolari
alla fine dei processi contro i traditori ed i stretti collaboratori degli occupanti.
Nonostante i successi conseguiti in questa direzione, non possiamo dire che
la reazione interna se ne stia con le braccia conserte. Non è certo in
grado di organizzarsi per colpirci pericolosamente, nondimeno continua la sua
propaganda contro di noi.
"Il nemico esterno appoggia il nemico interno al fine di realizzare i propri
obiettivi. La reazione esterna si sforza di aiutare, di incoraggiare e di organizzare
i nemici interni tramite i suoi agenti introdotti nel paese per via terra e
dal cielo. Di fronte ai tentativi del nemico, abbiamo maggiormente acuito la
vigilanza delle masse lavoratrici. Il popolo ha catturato questi agenti e li
ha deferiti alla giustizia. I processi celebrati e le condanne pronunciate pubblicamente
hanno prodotto un notevole effetto educativo fra la popolazione, hanno rafforzato
la sua fiducia nella forza e nello spirito di giustizia del nostro potere popolare,
e il suo rispetto verso di esso. Allo stesso tempo questi processi hanno smascherato
e demoralizzato le forze reazionarie interne ed esterne".
Proseguendo questo colloquio con il compagno Stalin, trattammo a lungo i problemi
della situazione internazionale e in particolare i rapporti del nostro Stato
con i paesi vicini. Anzitutto feci un'esposizione della situazione alle nostre
frontiere, gli parlai dei rapporti che intrattenevamo con la Repubblica Federativa
Popolare di Jugoslavia, soffermandomi però in modo particolare sui nostri
rapporti con la Grecia al fine di spiegargli la situazione alla nostra frontiera
meridionale. Sottolineai che i monarco-fascisti greci, non essendo riusciti
a realizzare il loro sogno della "megale idea" ("grande idea")
- quella cioè di annettersi l'Albania meridionale, continuavano le loro
innumerevoli provocazioni alle nostre frontiere. "Il loro obiettivo, dissi
al compagno Stalin, è di provocare un conflitto alle nostre frontiere
e di creare, ancor prima che la guerra sia conclusa, una situazione tesa nei
rapporti fra la Grecia e noi". Gli spiegai che dal canto nostro ci sforzavamo,
nei limiti del possibile, di evitare le provocazioni dei monarco-fascisti greci,
di non rispondere alle loro provocazioni. Solo quando, ogni tanto, colmano la
misura e uccidono i nostri uomini, noi prendiamo delle contromisure e rispondiamo
al fuoco per far capire a questa gente che l'Albania e i suoi confini sono inviolabili.
Se intendono intraprendere delle azioni pericolose contro l'indipendenza dell'Albania,
ebbene sappiano che noi siamo capaci di difendere la nostra patria.
"Nei loro disegni e nei loro tentativi di riversare sull'Albania la responsabilità
della guerra civile che è scoppiata in Grecia, di screditare il nostro
potere popolare nelle riunioni del Consiglio di Sicurezza e delle altre conferenze
internazionali, i monarco-fascisti sono incoraggiati e sostenuti dalle potenze
imperialiste". Dopo aver lungamente spiegato queste situazioni a Stalin,
lo informai nelle linee generali dei nostri atteggiamenti alla commissione d'inchiesta
e alle sottocommissioni appositamente istituite per esaminare i rapporti tesi
fra l'Albania e la Grecia.
Riferii al compagno Stalin tutto quello che sapevamo sulla situazione dei democratici
greci, poi gli parlai anche del nostro sostegno alla loro giusta lotta. Non
mancai di esprimergli apertamente la nostra posizione su una serie di punti
di vista dei compagni del Partito comunista di Grecia, che ci sembravano errati.
Ugualmente gli espressi il mio parere sulle prospettive della lotta dei democratici
greci.
Sebbene il compagno Stalin fosse stato sicuramente informato dai compagni Molotov,
Viscinski ed altri degli atteggiamenti brutali e infami degli imperialisti americani
e inglesi verso l'Albania* *( Cfr. Enver Hoxha: -I1 pericolo angloamericano
in Albania(Memorie). Edizioni -8 Nëntori-, Tirana 1982, in italiano.),
non esitai a tornare sull'argomento, ponendo l'accento sulle loro posizioni
ostili ed anche brutali e subdole verso di noi alla Conferenza di Parigi. Al
tempo stesso gli feci notare che la situazione nei nostri rapporti con gli angloamericani
non era cambiata in nulla, che noi consideravamo sempre minaccioso il loro atteggiamento.
Non contenti di continuare una propaganda molto ostile contro l'Albania in campo
internazionale, gli angloamericani intraprendevano attraverso l'Italia e la
Grecia delle provocazioni per via terra e dal cielo, con l'aiuto di elementi
sovversivi albanesi, zoghisti, ballisti e fascisti in emigrazione e che avevano
raccolto, organizzato e addestrato nei campi di raccolta creati a tal fine in
Italia e altrove.
Accennai inoltre al problema del cosiddetto incidente di Corfù, che gli
imperialisti inglesi avevano portato davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU,
ed anche all'esame della Corte internazionale di giustizia dell'Aia. <<L’incidente
di Corfù, aggiunsi, è stato inventato di sana pianta dagli inglesi
a scopo di provocazione contro il nostro paese e per trovare un pretesto per
un eventuale intervento militare nella città di Saranda. Non siamo stati
noi a posare le mine nel mar Ionio. Quanto a quelle che sono scoppiate, o sono
state collocate dai tedeschi sin dal tempo della guerra, oppure sono stati gli
inglesi a farlo intenzionalmente affinché scoppiassero nel momento in
cui alcune delle loro navi avrebbero attraversato le nostre acque territoriali
al largo di Saranda. Non c'era nessuna ragione che queste navi passassero lungo
la nostra costa, tanto più che non ci avevano preavvisati.
Dopo lo scoppio delle mine, gli inglesi pretesero di aver subito dei danni materiali
e delle perdite umane. Cercavano quindi di gonfiare l'incidente. Non sappiamo
se gli inglesi abbiano veramente subito i danni di cui parlano, noi non ci crediamo.
Ma anche se le loro affermazioni fossero vere, noi non possiamo assolutamente
essere ritenuti responsabili dell'accaduto.
"Stiamo difendendo il nostro buon diritto presso la Corte internazionale
di giustizia dell'Aia; questo tribunale però è manipolato dagli
imperialisti angloamericani, che inventano le più svariate accuse per
coprire le loro provocazioni e costringerci ad indennizzare gli inglesi".
Parlai inoltre al compagno Stalin della Conferenza di Mosca*,*( Dal 10 marzo
al 24 aprile 1947 si riunì a Mosca la Conferenza dei ministri degli esteri
dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti, di Gran Bretagna e di Francia. Questa
Conferenza discusse questioni concernenti il Trattato di Pace con la Germania.
I rappresentanti dell'Unione Sovietica, Molotov e Viscinski, sostennero a questa
conferenza il diritto dell'Albania di partecipare alla Conferenza di Pace con
la Germania. Questa posizione fu ugualmente sostenuta dal rappresentante francese.
ma i rappresentanti della Gran Bretagna e degli Stati Uniti si opposero.) gli
esposi, con l'appoggio di argomenti, il nostro punto di vista sulla dottrina
Truman a proposito della Grecia e sulle ingerenze degli angloamericani negli
affari interni della Repubblica Popolare d'Albania; al tempo stesso gli spiegai
la nostra posizione nei confronti del piano Marshall, sottolineando che non
avremo accettato "aiuti" nel quadro di questo piano infame.
Discussi con il compagno Stalin anche il problema dell'estradizione dei criminali
di guerra, che erano fuggiti dal nostro paese. Noi chiedevamo, a buon diritto,
ai governi dei paesi che davano asilo a questi criminali, di consegnarceli affinché
rendessero conto al popolo dei loro crimini, benché fossimo convinti
che non avrebbero accondisceso mai a tale richiesta, poiché questi criminali
costituivano dei contingenti degli angloamericani e del fascismo in generale.
Illustrai inoltre al compagno Stalin il punto di vista del nostro Partito sui
rapporti del nostro paese con l'Italia. "Questo paese, dissi, ci ha attaccato
a due riprese. Ci ha messo a ferro e a fuoco, ma noi siamo marxisti, internazionalisti
e, in quanto tali, desideriamo intrattenere dei rapporti di amicizia con il
popolo italiano. L'attuale governo italiano, sottolineai, mantiene degli atteggiamenti
reazionari verso di noi; le sue mire verso il nostro paese non differiscono
da quelle dei precedenti governi italiani. Essendo sotto l'influenza degli angloamericani,
questo governo vorrebbe vedere l'Albania, in un modo o nell'altro, assoggettata
ai suoi interessi, cosa che non accadrà mai. E' a tal fine, proseguii,
che gli angloamericani, di concerto con il governo di Roma mantengono e addestrano
nel territorio italiano dei contingenti di fuorusciti, che vengono paracadutati
poi come agenti sovversivi in Albania. Pur cercando di gettare la pietra e nascondere
la mano, essi moltiplicano le loro attività ostili contro il nostro paese,
ma non ci è difficile indovinare quali sono le loro mire. Noi desideriamo
stabilire relazioni diplomatiche con questo paese, ma i governi italiani hanno
una concezione negativa del problema".
Dopo avermi ascoltato con la massima attenzione, Stalin disse che gli americani
e gli inglesi; indipendentemente dalle difficoltà e dagli ostacoli che
ci creavano, non potevano attaccarci nelle condizioni esistenti. "Di fronte
al vostro Atteggiamento risoluto, disse, non oseranno sbarcare sul vostro territorio,
quindi non c'è motivo di preoccuparsi; tuttavia dovete difendere la vostra
patria, prendere tutte le misure per rafforzare il vostro esercito e i vostri
confini, poiché esiste il pericolo di guerra da parte degli imperialisti.
-I monarco-fascisti greci, aggiunse, stimolati e incoraggiati dagli imperialisti
americani e inglesi, continueranno le loro provocazioni per crearvi degli ostacoli
e non lasciarvi in pace. Gli attuali governanti di Atene hanno in seno il germe
del male, poiché la guerra civile che si è scatenata nel loro
paese, è diretta contro di essi e contro i loro padroni inglesi e americani.
"Per quel che riguarda l'Italia, disse il compagno Stalin, le cose stanno
proprio come voi pensate. Gli angloamericani cercheranno di installarvi delle
basi, di organizzare la reazione e di rafforzare il governo De Gasperi. Dovete
stare molto attenti a questo riguardo e informarvi di quello che combinano là
i fuorusciti albanesi. Finché non saranno conclusi i trattati, la situazione
non può essere considerata normalizzata. A mio parere, per il momento
non dovete allacciare rapporti con questo paese, perciò non affrettatevi".
- Anche noi la pensiamo così, dissi al compagno Stalin, non dobbiamo
affrettare il passo nell'evoluzione dei nostri rapporti con l'Italia; perciò
intendiamo prendere, in genere, delle misure per rafforzare i nostri confini.
"Abbiamo avanzato agli jugoslavi, proseguii. la proposta di stabilire dei
contatti e cooperare per la difesa delle nostre frontiere contro un eventuale
attacco greco o italiano, ma essi non hanno risposto alla nostra proposta, e
ciò con il pretesto di voler discutere con noi la questione dopo averla
studiata. La collaborazione da noi proposta consiste nello scambio di informazioni
con gli jugoslavi sui pericoli che possono minacciarci ad opera dei nemici esterni,
affinché dentro le proprie frontiere e con il proprio esercito ognuno
possa prendere le adeguate misure atte a fronteggiare qualsiasi evenienza".
Inoltre lo informai che avevamo schierato due delle nostre divisioni lungo le
nostre frontiere meridionali.
D'altra parte, durante la conversazione sottolineai il fatto che alcuni aerei
jugoslavi erano atterrati all'aeroporto di Tirana contrariamente alle regole
conosciute in vigore nei rapporti fra gli Stati. "Di tanto in tanto, dissi,
i compagni jugoslavi si lasciano andare, senza avvisarci, ad azioni riprovevoli
di questo genere. Non è giusto che gli aerei jugoslavi sorvolino il territorio
albanese senza informare il nostro Governo. Abbiamo fatto rilevare queste violazioni
ai compagni jugoslavi, e questi hanno ammesso di aver sbagliato. Amicizia a
parte, non possiamo permettere loro di violare la nostra integrità territoriale.
Noi siamo degli Stati indipendenti è ciascuno di noi, senza pregiudicare
i nostri rapporti di amicizia, deve difendere la sua sovranità e i suoi
diritti, rispettando al tempo stesso la sovranità e i diritti dell'altro.
- Non è forse contento il vostro popolo dei rapporti che intrattenete
con la Jugoslavia? - mi chiese a quel punto il compagno Stalin. - E' un'ottima
cosa per voi avere un vicino come la Jugoslavia amica, poiché l'Albania
è un paese piccolo e, in quanto tale, ha bisogno di essere potentemente
appoggiato dai suoi amici.
Gli risposi che rispondeva a verità il fatto che ogni paese, piccolo
o grande, ha bisogno di amici e di alleati, e che noi consideravamo la Jugoslavia
un paese amico.
Discutemmo con il compagno Stalin e il compagno Molotov, fin nei minimi particolari,
dei problemi della ricostruzione del paese distrutto dalla guerra e dei problemi
della costruzione della nuova Albania. Tracciai loro un quadro della situazione
della nostra economia, delle prime trasformazioni socialiste in questo settore
e delle grandi prospettive che si schiudevano al paese, dei successi conseguiti,
dei grandi problemi e delle difficoltà che ci stavano di fronte.
Esprimendo la sua soddisfazione per i successi da noi ottenuti, Stalin mi faceva
ogni tanto le più svariate domande. Volle essere informato in particolare
della situazione della nostra agricoltura, delle condizioni climatiche del paese,
delle colture agricole tradizionali del nostro popolo, e così via.
- Quali sono i cereali che voi coltivate di più? - mi chiese.
- Innanzi tutto il mais, poi il grano, la segala...
- Il mais non teme la siccità?
- E' vero che la siccità ci provoca spesso dei gravi danni, risposi,
ma a causa dell'arretratezza della nostra agricoltura e dei nostri grandi bisogni
in cereali panificabili, il nostro contadino si è abituato a cavare qualcosa
di più dal mais che dal grano. Stiamo prendendo intanto delle misure
per creare una rete di canali di drenaggio e d'irrigazione, per prosciugare
le zone paludose e gli acquitrini del paese.
Stalin ascoltava le mie risposte, mi rivolgeva delle domande minuziose e spesso
interveniva nel discorso per darci consigli molto preziosi. Mi ricordo che nel
corso dei colloqui avuti con lui, mi chiese su quali basi era stata attuata
la Riforma agraria, qual'era la percentuale delle terre distribuite ai contadini
poveri e medi, se le istituzioni religiose erano state toccate da questa riforma,
e così via.
Parlando dell'aiuto che lo Stato a democrazia popolare dà alle masse
contadine e dei legami della classe operaia con queste, Stalin ci rivolse delle
domande circa i trattori; voleva sapere se avevamo in Albania delle stazioni
di macchine e di trattori e come le avevamo organizzate. Sentita la mia risposta,
si mise a svolgere tale questione e ci diede una serie di consigli utili.
- Voi, disse fra l'altro, dovete creare delle stazioni di macchine e di trattori,
rafforzarle e fare in modo che queste lavorino con i loro mezzi come si deve
non solo le terre delle cooperative e dei contadini, ma anche quelle dello Stato.
I trattoristi debbono essere posti al servizio delle masse contadine, conoscere
l'agricoltura, le colture, le terre, e tradurre in concreto le loro conoscenze
al fine di accrescere in ogni modo la produzione. Ciò è molto
importante, altrimenti si registreranno effetti negativi ovunque. Quando abbiamo
messo su le nostre prime stazioni di macchine e di trattori, proseguì,
i trattori lavoravano spesso la terra dei contadini, ciò nonostante la
produzione non cresceva. E ciò per il fatto che un buon trattorista deve
sapere non solo guidare il suo mezzo, ma anche essere un buon coltivatore che
sa in quale momento e in quale maniera va lavorata la terra. I trattoristi,
prosegui Stalin, quali elementi della classe operaia, sono in continuo, quotidiano
e diretto contatto con i contadini. Debbono quindi impegnarsi con tutta coscienza
per temprare l'alleanza della loro classe con le masse contadine lavoratrici".L'attenzione
con la quale Stalin seguiva le nostre spiegazioni sulla nuova economia albanese
e sulle vie del suo sviluppo, produssero una profonda impressione in noi. Rilevai
fra l'altro in lui, sia nel corso della discussione su questi problemi che durante
gli altri colloqui, un tratto meraviglioso: non si esprimeva mai con un tono
di comando, né cercava di imporre il suo pensiero. Egli parlava, dava
dei consigli, ed anche dei suggerimenti, accompagnandoli però sempre
con queste parole: "Questo è il mio parere personale", "questo
è il nostro parere. Quanto a voi, compagni, vedrete come stanno le cose
e deciderete sul da fare voi stessi a seconda della vostra situazione concreta,
in funzione delle vostre condizioni". Mostrava interesse per tutti i problemi.Mentre
parlavo della situazione dei trasporti e delle grandi difficoltà a cui
andavamo incontro in questo settore, Stalin mi chiese:
- Non so se in Albania costruite dei battelli?
- No.
- Avete o no dei pini?
- Sì, delle foreste intere.
- Allora, disse, voi possedete una buona base per costruire dei battelli per
il trasporto marittimo.
Poi mi domandò come si presentava in Albania la rete ferroviaria, che
moneta era in corso da noi, quali erano le nostre risorse minerarie; egli volle
sapere se le nostre miniere erano state sfruttate dagli italiani, e così
via.
Risposi a tutte le sue domande e Stalin concludendo la discussione, disse:
- Attualmente l'economia albanese è un'economia arretrata. Voi state
compiendo il primo passo in tutti i settori. Perciò compagni, parallelamente
alla vostra lotta e ai vostri sforzi, anche noi, dal canto nostro, vi aiuteremo
per quanto ci sarà possibile a raddrizzare la vostra economia e a rafforzare
il vostro esercito. Abbiamo esaminato le vostre richieste di aiuto, disse il
compagno Stalin, ed abbiamo concordato di soddisfarle tutte. Vi aiuteremo ad
equipaggiare la vostra industria e la vostra agricoltura con i mezzi necessari,
a rafforzare il vostro esercito, a sviluppare l'insegnamento e la cultura. Vi
forniremo a credito altre fabbriche e macchine che pagherete quando ne avrete
la possibilità. Quanto agli armamenti, vi saranno consegnati gratuitamente
e non avrete quindi niente da sborsare. Noi sappiamo bene che i vostri bisogni
sono di gran lunga maggiori, ma per il momento è tutto quello che siamo
in grado di fare, poiché noi stessi siamo ancora poveri a causa delle
distruzioni causateci dalla guerra.
"Nello stesso tempo, proseguì il compagno Stalin, noi vi aiuteremo
inviando nel vostro paese degli specialisti che contribuiranno ad accelerare
lo sviluppo dell'economia e della cultura albanesi. Per quanto riguarda il petrolio,
penso di inviarvi degli specialisti dell'Azerbaigian che sono dei maestri in
materia. Dal canto suo, l'Albania deve inviare in Unione Sovietica figli di
operai e di contadini affinché proseguano i loro studi e si istruiscano
per promuovere il progresso del loro paese".
Durante il nostro soggiorno a Mosca, dopo ogni incontro e colloquio con il compagno
Stalin, noi vedevamo sempre più da vicino in questo illustre rivoluzionario,
in questo grande marxista, l'uomo semplice, cordiale, savio, il vero uomo. Egli
amava il popolo sovietico con tutta la sua anima, gli consacrava tutte le sue
forze e le sue energie, il suo cuore batteva solo per lui. E questi tratti si
manifestavano in ogni colloquio, in ciascuna delle sue attività, dalle
più importanti fino alle più comuni.
Alcuni giorni dopo il nostro arrivo a Mosca, presenziai in compagnia di Stalin
e di altri dirigenti del Partito e dello Stato sovietici ad una manifestazione
ginnico-sportiva a livello nazionale che si svolse allo Stadio centrale di Mosca.
Con quanta passione egli segui la manifestazione! Per più di due ore
tenne gli occhi inchiodati sugli esercizi degli atleti e, malgrado la pioggia
che si mise a cadere verso la fine della manifestazione e le preghiere di Molotov
affinché lasciasse lo stadio, egli continuò a seguire con attenzione
fino alla fine lo spettacolo, a scherzare e a salutare con la mano. Mi ricordo
che per ultimo nel programma c'era un cross-country di massa. La corsa volgeva
al termine, gli atleti dovevano fare più volte il giro dello stadio,
quando ai piedi della tribuna centrale passò un atleta rimasto in coda.
Lungo e magro, egli avanzava a stento, le sue mani penzolavano avanti e indietro;
malgrado tutto, egli si accaniva a correre, grondante di pioggia. Stalin lo
guardava da lontano con un sorriso in cui traspariva la compassione e il calore
del padre:
"Millij mooj"*, *(In russo: "Mio caro") egli fece fra sé,
torna a casa, vai a riposarti e rimetterti un po'. Verrai un'altra volta! Ci
saranno altri cross ... ".
Il rispetto di Stalin e il suo grande amore per il nostro popolo, l'interesse
che manifestava per la storia e le usanze del popolo albanese, non si cancelleranno
mai dalla mia memoria. In uno dei nostri incontri di quei giorni, nel corso
della cena che Stalin offrì in onore della nostra delegazione, avemmo
insieme una discussione molto interessante sull'origine del popolo albanese
e la sua lingua.
- Quali sono le origini e la lingua del vostro popolo? - egli mi chiese fra
l'altro. Ha esso qualche legame con i Baschi? Non credo che il popolo albanese
sia venuto dalla lontana Asia, non è nemmeno di origine turca, poiché
gli albanesi sono più antichi dei Turchi. Forse il vostro popolo ha delle
origini comuni con gli Etruschi rimasti sulle vostre montagne, poiché
una parte di essi si insediarono in Italia dove furono assimilati dai Romani
ed altri andarono nella penisola iberica.
Dissi al compagno Stalin che il popolo albanese era di origine molto antica
e che l'albanese era una lingua indoeuropea. "Esistono numerose teorie
a tale proposito, ma la verità è che noi siamo di origine illirica.
Il nostro popolo discende quindi dagli Illiri. Esiste pure una tesi secondo
cui il popolo albanese è il popolo più antico dei Balcani e che
l'origine preomerica degli albanesi risale ai Pelasgi.
"La teoria dei Pelasgi, gli spiegai in seguito, è stata per un certo
tempo sostenuta da numerosi scienziati, in particolare dagli studiosi tedeschi.
Alcuni dei nostri studiosi, conosciuti come specialisti di Omero, sono giunti
alla stessa conclusione, e ciò basandosi su alcune parole impiegate nell'Iliade
e nell'Odissea e che ritroviamo anche nell'odierna lingua del popolo albanese,
come per esempio il vocabolo "gur" (pietra), ossia kamienj in russo.
Omero mette questa parola davanti al suo equivalente in greco, il che ci dà
"guri-petra". Basandosi su alcuni vocaboli come questo, tenendo conto
anche dell'Oracolo di Dodona, dell'etimologia delle parole nonché della
spiegazione filologica delle loro trasformazioni, questi scienziati sono giunti
alla conclusione che noi discendiamo dai Pelasgi, che hanno preceduto i Greci
nella penisola dei Balcani.
"Comunque sia, non ho mai inteso dire che gli Albanesi e i Baschi abbiano
un'origine comune, risposi al compagno Stalin. Può darsi che esista anche
quest'altra teoria cui avete accennato or ora e secondo la quale una parte degli
Etruschi sarebbe rimasta in Albania, un'altra si sarebbe separata da essi per
andare ad insediarsi in Italia, e che il resto infine si sarebbe trasferito
di là nella penisola iberica, in Spagna. Anche questa teoria ha forse
i suoi sostenitori, ma per quanto mi riguarda non ne sono al corrente".
A un certo punto Stalin mi disse:
- C'è da noi, nel Caucaso, una regione che si chiama Albania; ha forse
essa qualche rapporto con il vostro paese?
- Questo lo ignoravo, risposi; sta di fatto però che molti albanesi sono
stati costretti nel corso dei secoli, a causa della feroce occupazione ottomana,
degli attacchi e delle feroci crociate dei sultani e dei pascià ottomani,
ad abbandonare la loro patria per insediarsi in terra straniera, dove hanno
costituito interi villaggi. E' quel che è successo con le migliaia di
albanesi che hanno stabilito la loro dimora nell'Italia meridionale sin dal
sec. XV, in seguito alla morte del nostro Eroe nazionale, Skanderbeg; attualmente
zone intere di questo paese sono abitate dagli arbëresh d'Italia, i quali,
pur vivendo da quattro a cinque secoli in terra straniera, continuano a conservare
la loro lingua e gli antichi costumi dei loro avi. Allo stesso modo molti arbëresh
si sono stabiliti in Grecia, dove zone intere sono popolate da albanesi; altri
sono andati a stabilirsi in Turchia, in Romania, in Bulgaria, in America e altrove.
Ma per quanto riguarda la regione del Caucaso che si chiama "Albania",
gli dissi, non ne so nulla di concreto.
Stalin mi fece allora delle domande su una serie di parole albanesi. Voleva
sapere quali erano i termini impiegati per designare gli strumenti di lavoro,
gli articoli casalinghi e così via. Gli diedi la risposta in albanese
mentre lui, dopo avermi ascoltato con attenzione, ripeteva questi vocaboli,
li confrontava con i loro equivalenti nella lingua degli Albani del Caucaso.
Ogni tanto sollecitava il parere di Molotov e di Mikoian sull'argomento. Si
giunse alla conclusione che non esisteva alcuna similitudine nella radice delle
parole confrontate.
Allora Stalin premette un bottone e subito dopo entrò il generale addetto
alla sua persona; era alto di statura, estremamente premuroso e ci testimoniava
molta benevolenza e simpatia.
- Il compagno Enver Hoxha ed io stiamo cercando di risolvere un problema, ma
senza successo, disse Stalin al generale sorridendo. Entrate in contatto, vi
prego, con il professore... (e fece il nome di un illustre linguista e storico
sovietico, di cui non ricordo ora il nome) e chiedetegli da parte mia se c'è
qualche legame tra gli Albani del Caucaso e quelli di Albania.
Il generale uscì, mentre Stalin prese un’arancia, me la mostrò
e disse:
- In russo si chiama "apjelsin". E in albanese?
- " Portokall", risposi.
Egli confrontò di nuovo i due termini articolandoli, poi alzò
le spalle. Erano trascorsi appena dieci minuti quando il generale rientrò.
- Ho appena ricevuto la risposta del professore, disse. Egli afferma che non
vi è alcun dato che confermi l'esistenza di legami tra gli Albani del
Caucaso e quelli di Albania. Ma ha aggiunto che in Ucraina, nella zona di Odessa,
ci sono alcuni villaggi (sette circa) abitati da albanesi. Il professore dispone
di dati esaurienti sull'argomento.
Raccomandai subito al nostro ambasciatore a Mosca di fare in modo che alcuni
dei nostri studenti, che frequentavano la facoltà di storia in Unione
Sovietica, facessero il periodo di pratica in questi villaggi allo scopo di
chiarire come e quando questi albanesi si erano stabiliti ad Odessa, se conservavano
la lingua e le usanze dei loro avi, ecc.
Stalin, come sempre molto attento, ci ascoltò e mi disse:
- Molto bene, è un'ottima idea. Vadano pure i vostri studenti a fare
il loro tirocinio in questa regione, e insieme a loro anche alcuni dei nostri.
- Le scienze albanologiche, aggiunsi nel corso di questa conversazione per nulla
protocollare con il compagno Stalin, nel passato non erano abbastanza sviluppate
e di esse si sono occupate principalmente degli studiosi stranieri. Da qui la
molteplicità delle teorie sulle origini del nostro popolo, della nostra
lingua e cosi via. Comunque sia, una cosa è certa, tutte queste teorie
concordano su un punto - che il popolo albanese e la sua lingua sono di antichissima
origine. Il compito di pronunciarsi con certezza su questi problemi spetta ai
nostri specialisti che il Partito e il nostro Stato prepareranno con cura, creando
ad essi tutte le condizioni necessarie per il loro lavoro.
- L'Albania, disse Stalin, deve procedere poggiando sulle proprie gambe, perché
ne ha tutte le possibilità.
- Sì, noi progrediremo ad ogni costo, risposi.
- Dal canto nostro, aggiunse con benevolenza il compagno Stalin, aiuteremo con
tutto il cuore il popolo albanese, perché gli albanesi sono degli uomini
meravigliosi.
La cena offerta dal compagno Stalin in onore della nostra delegazione si svolse
in un clima molto caloroso, cordiale, intimo. Il primo brindisi egli lo fece
al nostro popolo, al progresso e allo sviluppo del nostro paese, al Partito
Comunista d'Albania. Poi alzò il bicchiere e brindò alla mia salute,
alla salute di Hysni* *( Il compagno Hysni Kapo, allora viceministro degli Esteri
della RP d'Albania, era membro della nostra delegazione che andò a Mosca
nel luglio 1947.) e di tutti gli altri membri della delegazione albanese. Mi
ricordo che poco dopo, avendogli parlato della strenua resistenza che il nostro
popolo aveva opposto, per secoli interi, alle invasioni straniere, il compagno
Stalin lo definì un popolo eroico e fece un altro brindisi alla sua salute.
Mentre discorreva liberamente con me, ogni tanto si rivolgeva agli altri ospiti,
scherzando con loro e formulando auguri. Era parco nel mangiare, ma teneva sempre
davanti a sé un bicchiere di vino rosso e brindava sorridente ogni volta
che si beveva alla salute di qualcuno.
Dopo cena il compagno Stalin ci invitò ad andare al cinema del Cremlino
dove, oltre al cinegiornale, vedemmo un lungo metraggio sovietico intitolato
"Il trattorista". Prendemmo posto tutt'e due sullo stesso canapè:
rimasi colpito dall'attenzione con la quale Stalin seguiva questa nuova produzione
della cinematografia sovietica. Alzava spesso la sua voce calda e ci commentava
alcune sequenze delle vicende del film. Quello che gli piacque di più,
era il modo in cui il protagonista, un trattorista di avanguardia, per guadagnarsi
la fiducia dei compagni e degli agricoltori, non cessava di impegnarsi per familiarizzare
con le usanze, il comportamento, le idee e le aspirazioni della gente della
pianura. Lavorando e vivendo in mezzo ai contadini, questo trattorista finì
per divenire un quadro dirigente onorato e rispettato. Ad un certo momento Stalin
disse:
- Per poter dirigere, innanzi tutto bisogna conosce le masse, e per conoscerle
bisogna avvicinarsi e vivere in mezzo ad esse.
Era mezzanotte passata quando ci alzammo per andar via. All'ultimo momento,
Stalin ci invitò ad alzare i bicchieri e per la terza volta fece un brindisi
"alla felicità dell'eroico popolo albanese".
Poi ci salutò tutti e, stringendomi la mano, disse:
- Trasmettete i miei cordiali saluti all'eroico popolo albanese, gli auguro
molti successi.
La nostra delegazione, molto soddisfatta degli incontri e dei colloqui avuti
con il compagno Stalin, lasciò Mosca il 26 luglio 1947 per far ritorno
in Albania.