Biblioteca Multimediale Marxista
  La situazione esterna della RP d'Albania. I rapporti con gli Stati confinanti 
  e gli angloamericani. L'incidente del canale di Corfù - Alla Corte dell'Aia. 
  La situazione politica, economica, sociale e di classe in Albania. Stalin mostra 
  un grande interesse per il nostro paese, per il nostro popolo e per il nostro 
  Partito, e li stima molto. "Non è logico che un partito al potere 
  resti nella clandestinità". "Il vostro Partito Comunista si 
  potrebbe chiamare Partito del Lavoro".
  
  Il 14 luglio 1947 giunsi a Mosca a capo della prima delegazione ufficiale del 
  Governo della Repubblica Popolare e del Partito Comunista d'Albania per una 
  visita di amicizia in Unione Sovietica.
  L'idea di incontrare il grande Stalin suscitava una gioia indicibile nei miei 
  compagni e in me, che eravamo stati designati dal Comitato Centrale del Partito 
  per questa visita a Mosca. Non avevamo mai cessato di sognare giorno e notte, 
  da quando eravamo stati iniziati alla teoria marxista-leninista, di incontrare 
  Stalin. E tale desiderio era andato crescendo nel corso della nostra lotta antifascista 
  di liberazione nazionale. Dopo le insigni figure di Marx, Engels e Lenin, quella 
  del compagno Stalin ci era estremamente cara e noi nutrivamo nei suoi riguardi 
  un illimitato rispetto, poiché i suoi insegnamenti ci erano serviti come 
  guida nella fondazione dei Partito Comunista d'Albania, quale partito di tipo 
  leninista, ed erano stati per noi fonte di ispirazione durante la Lotta di liberazione 
  nazionale e restano sempre preziosi ora nella costruzione del socialismo.
  Le nostre conversazioni con Stalin e i suoi consigli ci avrebbero fatto da guida 
  nell'arduo ed immenso lavoro che stavamo facendo per il consolidamento delle 
  vittorie conseguite .
  Proprio per tali motivi la nostra prima visita in Unione Sovietica suscitava 
  un'indicibile gioia, una soddisfazione enorme non solo tra i comunisti e in 
  noi stessi, membri della delegazione, ma anche in tutto il popolo albanese, 
  che l'aspettava con impazienza e che l'approvò con grande entusiasmo.
  Stalin e il Governo sovietico, come vedemmo con i nostri occhi e sentimmo nei 
  nostri cuori, accolsero la nostra delegazione con grande cordialità, 
  calore e affetto. Durante i dodici giorni del nostro soggiorno a Mosca, incontrammo 
  Stalin a più riprese ed i colloqui che avemmo con lui, come pure le sue 
  raccomandazioni ed i suoi consigli sinceri e amichevoli, sono rimasti e rimarranno 
  per sempre preziosi.
  Conserverò del giorno del mio primo incontro con Giuseppe Vissarionovich 
  Stalin un ricordo indimenticabile. Era il 16 luglio 1947: ci trovavamo a Mosca 
  da tre giorni. Sin dall'inizio fu una giornata straordinaria. In mattinata ci 
  recammo al Mausoleo del grande Lenin per inchinarci davanti alla sua salma e 
  rendere un deferente omaggio al grande e geniale dirigente della rivoluzione, 
  a quest'uomo il cui nome e la cui opera colossale erano profondamente incisi 
  nelle nostre menti e nei nostri cuori e che ci avevano illuminati e ci illuminavano 
  sulla gloriosa via della lotta per la libertà, della rivoluzione e del 
  socialismo. A nome del popolo albanese, del nostro Partito Comunista e a mio 
  nome personale deposi in quest'occasione una corona di fiori ai piedi del Mausoleo 
  dell'immortale Lenin. Poi, dopo aver visitato le tombe dei valorosi combattenti 
  della Rivoluzione Socialista d'Ottobre, quelle degli insigni militanti del Partito 
  Bolscevico e dello Stato Sovietico, ai piedi delle mura del Cremlino, ci recammo 
  al Museo centrale di Vladimir Ilich Lenin. Occorsero più di due ore per 
  visitare tutte le sale, per guardare da vicino i documenti e gli oggetti che 
  vi erano esposti e che illustravano in dettaglio la vita e l'insigne opera del 
  grande Lenin. Prima di uscire, nel Libro delle impressioni scrissi fra l'altro 
  queste parole: "La causa di Lenin resterà immortale fra le generazioni 
  future. Il suo ricordo vivrà per sempre nel cuore del popolo albanese".
  Quello stesso giorno, ricco di impressioni e di indelebili emozioni, noi fummo 
  ricevuti dal discepolo e fedele continuatore dell'opera di Lenin, da Giuseppe 
  Vissarionovich Stalin, che si intrattenne a lungo con noi.
  Sin dall'inizio egli creò intorno a noi un'atmosfera così amichevole 
  che ben presto ci sentimmo liberati da quel senso di naturale emozione che provammo 
  entrando nel suo studio, una grande sala con un tavolo da riunioni, vicino al 
  quale c'era un altro tavolo da lavoro. Appena qualche minuto dopo lo scambio 
  delle prime parole, eravamo così distesi che ci sembrava di conversare 
  non con il grande Stalin, ma con un vecchio amico con il quale ci eravamo già 
  intrattenuti parecchie volte. Oltre che essere allora relativamente giovane, 
  ero il rappresentante di un piccolo partito e di un piccolo popolo. E' per questo 
  che Stalin, al fine di crearmi un'atmosfera la più calorosa e amichevole 
  possibile, accompagnava il suo discorso con battute; poi si mise a parlare con 
  grande amore e profondo rispetto del nostro popolo, delle sue antiche tradizioni 
  combattenti e dei suo eroismo nella Lotta di liberazione nazionale. Parlava 
  con calma, in tono pacato e con un calore particolarmente comunicativo.
  Il compagno Stalin mi disse fra l'altro che provava una profonda simpatia per 
  il nostro popolo, questo antichissimo popolo dei Balcani con una lunga storia 
  fatta di atti di valore.
  - Conosco soprattutto l'eroismo di cui il popolo albanese ha dato prova nel 
  corso della sua Lotta di liberazione nazionale, proseguì, ma tale conoscenza 
  non è sufficientemente vasta e profonda; perciò vorrei sentirvi 
  discorrere un po' del vostro paese, del vostro popolo e dei problemi che vi 
  preoccupano oggi.
  Presi quindi la parola e descrissi al compagno Stalin la lunga e gloriosa via 
  percorsa dal nostro popolo nella sua storia, le sue incessanti lotte per la 
  libertà e l'indipendenza. Mi soffermai particolarmente sul periodo della 
  nostra Lotta di liberazione nazionale, gli parlai della fondazione del nostro 
  Partito Comunista, quale partito di tipo leninista, del ruolo decisivo da esso 
  svolto in quanto unica forza dirigente nella lotta, come pure degli sforzi del 
  popolo albanese per conquistare la libertà e l'indipendenza della patria, 
  per rovesciare il vecchio potere feudale-borghese, per instaurare il nuovo potere 
  popolare; un ruolo che esso continua a svolgere al fine di condurre il paese 
  con successo verso profonde trasformazioni socialiste. In quest'occasione ringraziai 
  ancora una volta il compagno Stalin e gli espressi la profonda gratitudine dei 
  comunisti e dell'intero popolo albanese per il caloroso appoggio che il Partito 
  Comunista dell'Unione Sovietica, il Governo sovietico e lui stesso avevano dato 
  al nostro popolo e al nostro Partito sia durante la guerra che dopo la liberazione 
  della patria.
  Proseguendo parlai al compagno Stalin delle profonde trasformazioni politiche, 
  economiche e sociali che erano state compiute e che erano in corso di realizzazione 
  passo dopo passo durante i primi anni di potere popolare. "La situazione 
  interna sul piano politico ed economico in Albania, gli dissi fra l'altro, conosce 
  miglioramenti evidenti. Questi sono dovuti alla giusta comprensione della necessità 
  di sormontare le difficoltà e ai grandi sforzi del popolo e del Partito 
  per superarle con il loro instancabile lavoro. Il nostro popolo è deciso 
  a procedere sulla sua via ed ha un'incrollabile fiducia nel Partito Comunista, 
  nel Governo della nostra Repubblica popolare, nelle sue forze costruttive, nei 
  suoi sinceri amici e, animato di un alto spirito di mobilitazione, di abnegazione 
  e di entusiasmo, egli assolve ogni giorno i compiti che gli incombono.
  Il compagno Stalin si rallegrò dei successi del nostro popolo e del nostro 
  Partito nella loro opera di costruzione e chiese poi che gli parlassi un po’ 
  più a lungo della situazione delle classi nel nostro paese. Voleva soprattutto 
  sapere qual'era la situazione della classe operaia e delle nostre masse contadine. 
  Mi rivolse una serie di domande a proposito di queste due classi della nostra 
  società; ci scambiammo in merito a queste classi un buon numero di idee 
  che ci sarebbero state utili in seguito per svolgere un solido lavoro in seno 
  alla classe operaia e ai contadini poveri e medi, ed anche per definire i nostri 
  atteggiamenti nei confronti degli elementi agiati nelle città e dei kulak 
  nelle campagne.
  - La schiacciante maggioranza della nostra popolazione, dissi fra l'altro al 
  compagno Stalin in risposta al e sue domande, è costituita da contadini 
  poveri e poi da contadini medi. La nostra classe operaia è numericamente 
  esigua; da noi vi è anche un certo numero di piccoli artigiani, dei cittadini 
  che si occupano di commercio al minuto e una minoranza di intellettuali. Tutte 
  queste masse di lavoratori hanno risposto all'appello del nostro Partito Comunista, 
  si sono mobilitate nella lotta per la liberazione della patria e oggi sono strettamente 
  legate con il Partito e il potere popolare.
  - Vanta la classe operaia albanese delle tradizioni nella lotta di classe? - 
  chiese il compagno Stalin.
  - Prima della liberazione del paese, risposi, questa classe era numericamente 
  molto esigua; era stata appena creata ed era composta di un certo numero di 
  operai salariati, di apprendisti o di artigiani sparpagliati in piccole botteghe 
  e aziende. Un tempo, in alcune città del paese, gli operai scendevano 
  in scioperi, ma si trattava di movimenti isolati e di scarsa entità, 
  e ciò sia per il numero esiguo degli operai che per la mancanza di una 
  loro organizzazione in sindacati. Nonostante ciò, spiegai al compagno 
  Stalin, il nostro Partito Comunista è stato fondato come un partito della 
  classe operaia che si ispirava all'ideologia marxista-leninista e che esprimeva 
  e difendeva gli interessi del proletariato e delle vaste masse lavoratrici, 
  innanzi tutto quelli delle masse contadine albanesi, che costituivano la maggior 
  parte della nostra popolazione.
  Il compagno Stalin espresse il desiderio di essere informato della situazione 
  dei contadini poveri e medi nel nostro paese.
  Rispondendo alle sue domande, lo misi al corrente della politica seguita del 
  nostro Partito sin dalla sua fondazione, dell'importante lavoro svolto da esso 
  sotto tutti gli aspetti per appoggiarsi sulle masse contadine e guadagnarsi 
  la loro simpatia.
  - Abbiamo agito in tal modo, dissi, non solo perché partivamo dal principio 
  marxista-leninista secondo cui le masse contadine sono le alleate più 
  vicine e più naturali del proletariato nella rivoluzione, ma, anche per 
  il fatto che in Albania i contadini costituiscono la stragrande maggioranza 
  della popolazione; questi si sono caratterizzati nei secoli per le brillanti 
  tradizioni patriottiche e rivoluzionarie. - Poi riferii al compagno Stalin della 
  condizione economica di questi contadini prima della liberazione e del loro 
  livello culturale e tecnico. Pur ponendo l'accento sulle alte qualità 
  dei nostri contadini, come gente patriota, operosa, strettamente attaccata alla 
  terra e alla patria, assetata di libertà e di progresso, gli parlai anche 
  delle sopravvivenze accentuate del passato e del ritardo economico e culturale 
  delle nostre
  masse contadine, nonché della mentalità piccolo borghese coltivata 
  nella loro coscienza. "Il nostro Partito, sottolineai, ha dovuto lottare 
  con tutte le sue forze contro questo stato di cose ed abbiamo conseguito dei 
  successi in tal senso, ma ciò nondimeno siamo consci del fatto che dobbiamo 
  lavorare di più e con maggior impegno per far prendere coscienza ai contadini 
  e indurli ad abbracciare la linea del Partito ed applicarla ad ogni passo".
  Prendendo la parola, il compagno Stalin disse che all'inizio i contadini, in 
  genere, temono molto il comunismo, pensano che i comunisti li priveranno della 
  terra e di tutti i loro beni. "I nemici, proseguì, si adoperano 
  in tutti i modi per convincere i contadini alle loro idee così che si 
  allontanino dall'alleanza con la classe operaia, dalla politica del Partito 
  e dalla via del socialismo. Da qui la grandissima importanza del lavoro accurato 
  e lungimirante che il Partito Comunista deve compiere con i contadini, come 
  avete detto voi stesso, affinché questi si leghino in modo indissolubile 
  al Partito e alla classe operaia".
  Colsi l'occasione e descrissi in linee generali al compagno Stalin la struttura 
  sociale del nostro Partito, gli spiegai che tale struttura rispondeva in pieno 
  alla stessa struttura sociale del nostro popolo. "Ecco la ragione perché 
  attualmente, dissi, i comunisti di estrazione contadina costituiscono la maggioranza 
  degli iscritti. La politica del nostro Partito in questa direzione consiste 
  nell'accrescere passo dopo passo, parallelamente alla crescita della classe 
  operaia, il numero dei suoi membri di condizione operaia".
  Apprezzando la giusta politica attuata dal nostro Partito verso le masse in 
  generale, e in particolare verso le masse contadine, il compagno Stalin ci diede 
  amichevolmente una serie di consigli utili per il nostro lavoro futuro. Ci suggerì 
  fra l'altro di dare al nostro Partito Comunista il nome di "Partito del 
  Lavoro d'Albania", dato che la maggior parte dei suoi membri erano di origine 
  contadina. "Comunque, egli osservò, questa è un'idea mia, 
  perché spetta a voi, al vostro Partito, dire l'ultima parola in merito".
  Dopo aver ringraziato il compagno Stalin di questo suo prezioso suggerimento, 
  gli dissi:
  - Sottoporremo questa vostra proposta al I Congresso del Partito* *( E' stato 
  tenuto dall'8 al 22 novembre 1948) che stiamo preparando e sono convinto che 
  sia la base del Partito che la sua direzione la troveranno saggia e l'approveranno. 
  - Poi esposi al compagno Stalin il nostro punto di vista sulla totale legalizzazione 
  del nostro Partito al suo I Congresso in preparazione.
  - In realtà, gli dissi fra l'altro, il nostro Partito Comunista è 
  stato e resta l'unica forza dirigente di tutta la vita del paese; dal punto 
  di vista formale però esso si trova ancora in una situazione di semiclandestinità. 
  Non ci sembra affatto giusto prolungare questa situazione*.*( L11° Plenum 
  del CC del PCA, tenutosi dal 13 al 24 settembre 1948 e il I Congresso del PCA 
  decisero la totale e immediata legalizzazione del PCA. Il mantenimento del Partito 
  fino allora in uno stato di semiclandestinità fu ritenuto sia dal plenum 
  che dal Congresso un errore dovuto alle pressioni e all'influenza della direzione 
  trotzkista jugoslava; la quale, per scopi ben definiti, considerando il Fronte 
  come la principale forza dirigente del paese, cercava di far fondere il Partito 
  Comunista nel Fronte, di sottovalutare e di negare quindi il Partito comunista 
  stesso ed il suo ruolo dirigente sia nel Fronte che in tutta la vita del paese.)
  - Giusto, giustissimo, rispose il compagno Stalin. Non è logico che un 
  partito al potere resti nella clandestinità, o lo si consideri illegale.
  Passando ad altre questioni, relative alle nostre forze armate, spiegai al compagno 
  Stalin che il nostro esercito, uscito dalla lotta, era composto nella sua stragrande 
  maggioranza di contadini poveri, di giovani operai e di intellettuali delle 
  città.
  I quadri dell'esercito, gli ufficiali che comandano, sono usciti anch'essi dalla 
  lotta ed è in guerra che hanno acquisito l'esperienza del comando.
  Gli parlai inoltre degli istruttori sovietici che si trovavano da noi da qualche 
  tempo e gli chiesi di inviarcene ancora degli altri. "Siccome ci manca 
  la dovuta esperienza in materia, dissi, il livello del nostro lavoro politico 
  nell'esercito non è all'altezza richiesta, quindi la pregherei di prendere 
  in considerazione la questione e di aiutarci ad elevare il livello di questo 
  lavoro. Da noi ci sono anche degli istruttori jugoslavi, aggiunsi, e non posso 
  dire che sono sprovvisti di esperienza, ma, a dire il vero, la loro esperienza 
  è limitata. Anch'essi sono usciti da una grande lotta di liberazione 
  nazionale, ma malgrado ciò non sono all'altezza degli ufficiali sovietici".
  Dopo avergli parlato del morale elevato del nostro esercito, della disciplina 
  e di una serie di altri problemi, domandai al compagno Stalin di designare un 
  compagno sovietico con il quale poter discutere più a lungo e in modo 
  più dettagliato dei problemi del nostro esercito e delle sue necessità 
  future.
  Accennai poi al problema del rafforzamento del nostro litorale.
  - In modo particolare dobbiamo rafforzare l'isola di Sazan, la fascia costiera 
  di Vlora e di Durrës, poiché si tratta di posizioni molto delicate. 
  E' proprio da qui che il nemico ci ha attaccato due volte. E forse di là 
  dovremo sostenere un attacco eventuale da parte degli angloamericani e degli 
  italiani.
  - Per quanto riguarda il rafforzamento del vostro litorale, disse fra l'altro 
  il compagno Stalin, condivido la vostra opinione. Noi, da parte nostra, vi aiuteremo, 
  ma dovranno essere gli albanesi e non i sovietici ad utilizzare le armi e gli 
  altri mezzi di difesa che vi forniremo. Siccome il meccanismo di alcuni di questi 
  mezzi è complicato, dovreste inviare i vostri uomini qui da noi ad impararne 
  l'uso.
  Circa la richiesta di invio di istruttori politici presso il nostro esercito, 
  il compagno Stalin mi spiegò che essi non potevano più continuare 
  a farlo perché, per compiere un lavoro utile, questi istruttori innanzi 
  tutto dovevano conoscere bene la lingua albanese, la situazione interna e la 
  vita del popolo albanese. "Perciò sarebbe meglio, egli disse, che 
  foste voi ad inviare i vostri uomini in Unione Sovietica per acquisire la nostra 
  esperienza in materia e poi applicarla nelle strutture dell’esercito popolare 
  albanese".
  Poi il compagno Stalin volle essere informato delle attività della reazione 
  interna in Albania e del nostro atteggiamento nei suoi confronti.
  - La reazione interna. risposi. l'abbiamo colpita e continueremo a colpirla 
  duramente. Abbiamo ottenuto dei successi nella lotta volta a smascherarla e 
  a schiacciarla. Quanto alla liquidazione fisica dei nemici, questa è 
  stata realizzata sia nel corso degli scontri diretti fra le nostre forze e le 
  bande armate dei criminali, sia eseguendo le sentenze emesse dai tribunali popolari 
  alla fine dei processi contro i traditori ed i stretti collaboratori degli occupanti. 
  Nonostante i successi conseguiti in questa direzione, non possiamo dire che 
  la reazione interna se ne stia con le braccia conserte. Non è certo in 
  grado di organizzarsi per colpirci pericolosamente, nondimeno continua la sua 
  propaganda contro di noi.
  "Il nemico esterno appoggia il nemico interno al fine di realizzare i propri 
  obiettivi. La reazione esterna si sforza di aiutare, di incoraggiare e di organizzare 
  i nemici interni tramite i suoi agenti introdotti nel paese per via terra e 
  dal cielo. Di fronte ai tentativi del nemico, abbiamo maggiormente acuito la 
  vigilanza delle masse lavoratrici. Il popolo ha catturato questi agenti e li 
  ha deferiti alla giustizia. I processi celebrati e le condanne pronunciate pubblicamente 
  hanno prodotto un notevole effetto educativo fra la popolazione, hanno rafforzato 
  la sua fiducia nella forza e nello spirito di giustizia del nostro potere popolare, 
  e il suo rispetto verso di esso. Allo stesso tempo questi processi hanno smascherato 
  e demoralizzato le forze reazionarie interne ed esterne".
  Proseguendo questo colloquio con il compagno Stalin, trattammo a lungo i problemi 
  della situazione internazionale e in particolare i rapporti del nostro Stato 
  con i paesi vicini. Anzitutto feci un'esposizione della situazione alle nostre 
  frontiere, gli parlai dei rapporti che intrattenevamo con la Repubblica Federativa 
  Popolare di Jugoslavia, soffermandomi però in modo particolare sui nostri 
  rapporti con la Grecia al fine di spiegargli la situazione alla nostra frontiera 
  meridionale. Sottolineai che i monarco-fascisti greci, non essendo riusciti 
  a realizzare il loro sogno della "megale idea" ("grande idea") 
  - quella cioè di annettersi l'Albania meridionale, continuavano le loro 
  innumerevoli provocazioni alle nostre frontiere. "Il loro obiettivo, dissi 
  al compagno Stalin, è di provocare un conflitto alle nostre frontiere 
  e di creare, ancor prima che la guerra sia conclusa, una situazione tesa nei 
  rapporti fra la Grecia e noi". Gli spiegai che dal canto nostro ci sforzavamo, 
  nei limiti del possibile, di evitare le provocazioni dei monarco-fascisti greci, 
  di non rispondere alle loro provocazioni. Solo quando, ogni tanto, colmano la 
  misura e uccidono i nostri uomini, noi prendiamo delle contromisure e rispondiamo 
  al fuoco per far capire a questa gente che l'Albania e i suoi confini sono inviolabili. 
  Se intendono intraprendere delle azioni pericolose contro l'indipendenza dell'Albania, 
  ebbene sappiano che noi siamo capaci di difendere la nostra patria.
  "Nei loro disegni e nei loro tentativi di riversare sull'Albania la responsabilità 
  della guerra civile che è scoppiata in Grecia, di screditare il nostro 
  potere popolare nelle riunioni del Consiglio di Sicurezza e delle altre conferenze 
  internazionali, i monarco-fascisti sono incoraggiati e sostenuti dalle potenze 
  imperialiste". Dopo aver lungamente spiegato queste situazioni a Stalin, 
  lo informai nelle linee generali dei nostri atteggiamenti alla commissione d'inchiesta 
  e alle sottocommissioni appositamente istituite per esaminare i rapporti tesi 
  fra l'Albania e la Grecia.
  Riferii al compagno Stalin tutto quello che sapevamo sulla situazione dei democratici 
  greci, poi gli parlai anche del nostro sostegno alla loro giusta lotta. Non 
  mancai di esprimergli apertamente la nostra posizione su una serie di punti 
  di vista dei compagni del Partito comunista di Grecia, che ci sembravano errati. 
  Ugualmente gli espressi il mio parere sulle prospettive della lotta dei democratici 
  greci.
  Sebbene il compagno Stalin fosse stato sicuramente informato dai compagni Molotov, 
  Viscinski ed altri degli atteggiamenti brutali e infami degli imperialisti americani 
  e inglesi verso l'Albania* *( Cfr. Enver Hoxha: -I1 pericolo angloamericano 
  in Albania(Memorie). Edizioni -8 Nëntori-, Tirana 1982, in italiano.), 
  non esitai a tornare sull'argomento, ponendo l'accento sulle loro posizioni 
  ostili ed anche brutali e subdole verso di noi alla Conferenza di Parigi. Al 
  tempo stesso gli feci notare che la situazione nei nostri rapporti con gli angloamericani 
  non era cambiata in nulla, che noi consideravamo sempre minaccioso il loro atteggiamento. 
  Non contenti di continuare una propaganda molto ostile contro l'Albania in campo 
  internazionale, gli angloamericani intraprendevano attraverso l'Italia e la 
  Grecia delle provocazioni per via terra e dal cielo, con l'aiuto di elementi 
  sovversivi albanesi, zoghisti, ballisti e fascisti in emigrazione e che avevano 
  raccolto, organizzato e addestrato nei campi di raccolta creati a tal fine in 
  Italia e altrove.
  Accennai inoltre al problema del cosiddetto incidente di Corfù, che gli 
  imperialisti inglesi avevano portato davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, 
  ed anche all'esame della Corte internazionale di giustizia dell'Aia. <<L’incidente 
  di Corfù, aggiunsi, è stato inventato di sana pianta dagli inglesi 
  a scopo di provocazione contro il nostro paese e per trovare un pretesto per 
  un eventuale intervento militare nella città di Saranda. Non siamo stati 
  noi a posare le mine nel mar Ionio. Quanto a quelle che sono scoppiate, o sono 
  state collocate dai tedeschi sin dal tempo della guerra, oppure sono stati gli 
  inglesi a farlo intenzionalmente affinché scoppiassero nel momento in 
  cui alcune delle loro navi avrebbero attraversato le nostre acque territoriali 
  al largo di Saranda. Non c'era nessuna ragione che queste navi passassero lungo 
  la nostra costa, tanto più che non ci avevano preavvisati.
  Dopo lo scoppio delle mine, gli inglesi pretesero di aver subito dei danni materiali 
  e delle perdite umane. Cercavano quindi di gonfiare l'incidente. Non sappiamo 
  se gli inglesi abbiano veramente subito i danni di cui parlano, noi non ci crediamo. 
  Ma anche se le loro affermazioni fossero vere, noi non possiamo assolutamente 
  essere ritenuti responsabili dell'accaduto.
  "Stiamo difendendo il nostro buon diritto presso la Corte internazionale 
  di giustizia dell'Aia; questo tribunale però è manipolato dagli 
  imperialisti angloamericani, che inventano le più svariate accuse per 
  coprire le loro provocazioni e costringerci ad indennizzare gli inglesi".
  Parlai inoltre al compagno Stalin della Conferenza di Mosca*,*( Dal 10 marzo 
  al 24 aprile 1947 si riunì a Mosca la Conferenza dei ministri degli esteri 
  dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti, di Gran Bretagna e di Francia. Questa 
  Conferenza discusse questioni concernenti il Trattato di Pace con la Germania. 
  I rappresentanti dell'Unione Sovietica, Molotov e Viscinski, sostennero a questa 
  conferenza il diritto dell'Albania di partecipare alla Conferenza di Pace con 
  la Germania. Questa posizione fu ugualmente sostenuta dal rappresentante francese. 
  ma i rappresentanti della Gran Bretagna e degli Stati Uniti si opposero.) gli 
  esposi, con l'appoggio di argomenti, il nostro punto di vista sulla dottrina 
  Truman a proposito della Grecia e sulle ingerenze degli angloamericani negli 
  affari interni della Repubblica Popolare d'Albania; al tempo stesso gli spiegai 
  la nostra posizione nei confronti del piano Marshall, sottolineando che non 
  avremo accettato "aiuti" nel quadro di questo piano infame.
  Discussi con il compagno Stalin anche il problema dell'estradizione dei criminali 
  di guerra, che erano fuggiti dal nostro paese. Noi chiedevamo, a buon diritto, 
  ai governi dei paesi che davano asilo a questi criminali, di consegnarceli affinché 
  rendessero conto al popolo dei loro crimini, benché fossimo convinti 
  che non avrebbero accondisceso mai a tale richiesta, poiché questi criminali 
  costituivano dei contingenti degli angloamericani e del fascismo in generale.
  Illustrai inoltre al compagno Stalin il punto di vista del nostro Partito sui 
  rapporti del nostro paese con l'Italia. "Questo paese, dissi, ci ha attaccato 
  a due riprese. Ci ha messo a ferro e a fuoco, ma noi siamo marxisti, internazionalisti 
  e, in quanto tali, desideriamo intrattenere dei rapporti di amicizia con il 
  popolo italiano. L'attuale governo italiano, sottolineai, mantiene degli atteggiamenti 
  reazionari verso di noi; le sue mire verso il nostro paese non differiscono 
  da quelle dei precedenti governi italiani. Essendo sotto l'influenza degli angloamericani, 
  questo governo vorrebbe vedere l'Albania, in un modo o nell'altro, assoggettata 
  ai suoi interessi, cosa che non accadrà mai. E' a tal fine, proseguii, 
  che gli angloamericani, di concerto con il governo di Roma mantengono e addestrano 
  nel territorio italiano dei contingenti di fuorusciti, che vengono paracadutati 
  poi come agenti sovversivi in Albania. Pur cercando di gettare la pietra e nascondere 
  la mano, essi moltiplicano le loro attività ostili contro il nostro paese, 
  ma non ci è difficile indovinare quali sono le loro mire. Noi desideriamo 
  stabilire relazioni diplomatiche con questo paese, ma i governi italiani hanno 
  una concezione negativa del problema".
  Dopo avermi ascoltato con la massima attenzione, Stalin disse che gli americani 
  e gli inglesi; indipendentemente dalle difficoltà e dagli ostacoli che 
  ci creavano, non potevano attaccarci nelle condizioni esistenti. "Di fronte 
  al vostro Atteggiamento risoluto, disse, non oseranno sbarcare sul vostro territorio, 
  quindi non c'è motivo di preoccuparsi; tuttavia dovete difendere la vostra 
  patria, prendere tutte le misure per rafforzare il vostro esercito e i vostri 
  confini, poiché esiste il pericolo di guerra da parte degli imperialisti.
  -I monarco-fascisti greci, aggiunse, stimolati e incoraggiati dagli imperialisti 
  americani e inglesi, continueranno le loro provocazioni per crearvi degli ostacoli 
  e non lasciarvi in pace. Gli attuali governanti di Atene hanno in seno il germe 
  del male, poiché la guerra civile che si è scatenata nel loro 
  paese, è diretta contro di essi e contro i loro padroni inglesi e americani.
  "Per quel che riguarda l'Italia, disse il compagno Stalin, le cose stanno 
  proprio come voi pensate. Gli angloamericani cercheranno di installarvi delle 
  basi, di organizzare la reazione e di rafforzare il governo De Gasperi. Dovete 
  stare molto attenti a questo riguardo e informarvi di quello che combinano là 
  i fuorusciti albanesi. Finché non saranno conclusi i trattati, la situazione 
  non può essere considerata normalizzata. A mio parere, per il momento 
  non dovete allacciare rapporti con questo paese, perciò non affrettatevi".
  - Anche noi la pensiamo così, dissi al compagno Stalin, non dobbiamo 
  affrettare il passo nell'evoluzione dei nostri rapporti con l'Italia; perciò 
  intendiamo prendere, in genere, delle misure per rafforzare i nostri confini.
  "Abbiamo avanzato agli jugoslavi, proseguii. la proposta di stabilire dei 
  contatti e cooperare per la difesa delle nostre frontiere contro un eventuale 
  attacco greco o italiano, ma essi non hanno risposto alla nostra proposta, e 
  ciò con il pretesto di voler discutere con noi la questione dopo averla 
  studiata. La collaborazione da noi proposta consiste nello scambio di informazioni 
  con gli jugoslavi sui pericoli che possono minacciarci ad opera dei nemici esterni, 
  affinché dentro le proprie frontiere e con il proprio esercito ognuno 
  possa prendere le adeguate misure atte a fronteggiare qualsiasi evenienza". 
  Inoltre lo informai che avevamo schierato due delle nostre divisioni lungo le 
  nostre frontiere meridionali.
  D'altra parte, durante la conversazione sottolineai il fatto che alcuni aerei 
  jugoslavi erano atterrati all'aeroporto di Tirana contrariamente alle regole 
  conosciute in vigore nei rapporti fra gli Stati. "Di tanto in tanto, dissi, 
  i compagni jugoslavi si lasciano andare, senza avvisarci, ad azioni riprovevoli 
  di questo genere. Non è giusto che gli aerei jugoslavi sorvolino il territorio 
  albanese senza informare il nostro Governo. Abbiamo fatto rilevare queste violazioni 
  ai compagni jugoslavi, e questi hanno ammesso di aver sbagliato. Amicizia a 
  parte, non possiamo permettere loro di violare la nostra integrità territoriale. 
  Noi siamo degli Stati indipendenti è ciascuno di noi, senza pregiudicare 
  i nostri rapporti di amicizia, deve difendere la sua sovranità e i suoi 
  diritti, rispettando al tempo stesso la sovranità e i diritti dell'altro.
  - Non è forse contento il vostro popolo dei rapporti che intrattenete 
  con la Jugoslavia? - mi chiese a quel punto il compagno Stalin. - E' un'ottima 
  cosa per voi avere un vicino come la Jugoslavia amica, poiché l'Albania 
  è un paese piccolo e, in quanto tale, ha bisogno di essere potentemente 
  appoggiato dai suoi amici.
  Gli risposi che rispondeva a verità il fatto che ogni paese, piccolo 
  o grande, ha bisogno di amici e di alleati, e che noi consideravamo la Jugoslavia 
  un paese amico.
  Discutemmo con il compagno Stalin e il compagno Molotov, fin nei minimi particolari, 
  dei problemi della ricostruzione del paese distrutto dalla guerra e dei problemi 
  della costruzione della nuova Albania. Tracciai loro un quadro della situazione 
  della nostra economia, delle prime trasformazioni socialiste in questo settore 
  e delle grandi prospettive che si schiudevano al paese, dei successi conseguiti, 
  dei grandi problemi e delle difficoltà che ci stavano di fronte.
  Esprimendo la sua soddisfazione per i successi da noi ottenuti, Stalin mi faceva 
  ogni tanto le più svariate domande. Volle essere informato in particolare 
  della situazione della nostra agricoltura, delle condizioni climatiche del paese, 
  delle colture agricole tradizionali del nostro popolo, e così via.
  - Quali sono i cereali che voi coltivate di più? - mi chiese.
  - Innanzi tutto il mais, poi il grano, la segala...
  - Il mais non teme la siccità?
  - E' vero che la siccità ci provoca spesso dei gravi danni, risposi, 
  ma a causa dell'arretratezza della nostra agricoltura e dei nostri grandi bisogni 
  in cereali panificabili, il nostro contadino si è abituato a cavare qualcosa 
  di più dal mais che dal grano. Stiamo prendendo intanto delle misure 
  per creare una rete di canali di drenaggio e d'irrigazione, per prosciugare 
  le zone paludose e gli acquitrini del paese.
  Stalin ascoltava le mie risposte, mi rivolgeva delle domande minuziose e spesso 
  interveniva nel discorso per darci consigli molto preziosi. Mi ricordo che nel 
  corso dei colloqui avuti con lui, mi chiese su quali basi era stata attuata 
  la Riforma agraria, qual'era la percentuale delle terre distribuite ai contadini 
  poveri e medi, se le istituzioni religiose erano state toccate da questa riforma, 
  e così via.
  Parlando dell'aiuto che lo Stato a democrazia popolare dà alle masse 
  contadine e dei legami della classe operaia con queste, Stalin ci rivolse delle 
  domande circa i trattori; voleva sapere se avevamo in Albania delle stazioni 
  di macchine e di trattori e come le avevamo organizzate. Sentita la mia risposta, 
  si mise a svolgere tale questione e ci diede una serie di consigli utili.
  - Voi, disse fra l'altro, dovete creare delle stazioni di macchine e di trattori, 
  rafforzarle e fare in modo che queste lavorino con i loro mezzi come si deve 
  non solo le terre delle cooperative e dei contadini, ma anche quelle dello Stato. 
  I trattoristi debbono essere posti al servizio delle masse contadine, conoscere 
  l'agricoltura, le colture, le terre, e tradurre in concreto le loro conoscenze 
  al fine di accrescere in ogni modo la produzione. Ciò è molto 
  importante, altrimenti si registreranno effetti negativi ovunque. Quando abbiamo 
  messo su le nostre prime stazioni di macchine e di trattori, proseguì, 
  i trattori lavoravano spesso la terra dei contadini, ciò nonostante la 
  produzione non cresceva. E ciò per il fatto che un buon trattorista deve 
  sapere non solo guidare il suo mezzo, ma anche essere un buon coltivatore che 
  sa in quale momento e in quale maniera va lavorata la terra. I trattoristi, 
  prosegui Stalin, quali elementi della classe operaia, sono in continuo, quotidiano 
  e diretto contatto con i contadini. Debbono quindi impegnarsi con tutta coscienza 
  per temprare l'alleanza della loro classe con le masse contadine lavoratrici".L'attenzione 
  con la quale Stalin seguiva le nostre spiegazioni sulla nuova economia albanese 
  e sulle vie del suo sviluppo, produssero una profonda impressione in noi. Rilevai 
  fra l'altro in lui, sia nel corso della discussione su questi problemi che durante 
  gli altri colloqui, un tratto meraviglioso: non si esprimeva mai con un tono 
  di comando, né cercava di imporre il suo pensiero. Egli parlava, dava 
  dei consigli, ed anche dei suggerimenti, accompagnandoli però sempre 
  con queste parole: "Questo è il mio parere personale", "questo 
  è il nostro parere. Quanto a voi, compagni, vedrete come stanno le cose 
  e deciderete sul da fare voi stessi a seconda della vostra situazione concreta, 
  in funzione delle vostre condizioni". Mostrava interesse per tutti i problemi.Mentre 
  parlavo della situazione dei trasporti e delle grandi difficoltà a cui 
  andavamo incontro in questo settore, Stalin mi chiese:
  - Non so se in Albania costruite dei battelli?
  - No.
  - Avete o no dei pini?
  - Sì, delle foreste intere.
  - Allora, disse, voi possedete una buona base per costruire dei battelli per 
  il trasporto marittimo.
  Poi mi domandò come si presentava in Albania la rete ferroviaria, che 
  moneta era in corso da noi, quali erano le nostre risorse minerarie; egli volle 
  sapere se le nostre miniere erano state sfruttate dagli italiani, e così 
  via.
  Risposi a tutte le sue domande e Stalin concludendo la discussione, disse:
  - Attualmente l'economia albanese è un'economia arretrata. Voi state 
  compiendo il primo passo in tutti i settori. Perciò compagni, parallelamente 
  alla vostra lotta e ai vostri sforzi, anche noi, dal canto nostro, vi aiuteremo 
  per quanto ci sarà possibile a raddrizzare la vostra economia e a rafforzare 
  il vostro esercito. Abbiamo esaminato le vostre richieste di aiuto, disse il 
  compagno Stalin, ed abbiamo concordato di soddisfarle tutte. Vi aiuteremo ad 
  equipaggiare la vostra industria e la vostra agricoltura con i mezzi necessari, 
  a rafforzare il vostro esercito, a sviluppare l'insegnamento e la cultura. Vi 
  forniremo a credito altre fabbriche e macchine che pagherete quando ne avrete 
  la possibilità. Quanto agli armamenti, vi saranno consegnati gratuitamente 
  e non avrete quindi niente da sborsare. Noi sappiamo bene che i vostri bisogni 
  sono di gran lunga maggiori, ma per il momento è tutto quello che siamo 
  in grado di fare, poiché noi stessi siamo ancora poveri a causa delle 
  distruzioni causateci dalla guerra.
  "Nello stesso tempo, proseguì il compagno Stalin, noi vi aiuteremo 
  inviando nel vostro paese degli specialisti che contribuiranno ad accelerare 
  lo sviluppo dell'economia e della cultura albanesi. Per quanto riguarda il petrolio, 
  penso di inviarvi degli specialisti dell'Azerbaigian che sono dei maestri in 
  materia. Dal canto suo, l'Albania deve inviare in Unione Sovietica figli di 
  operai e di contadini affinché proseguano i loro studi e si istruiscano 
  per promuovere il progresso del loro paese".
  Durante il nostro soggiorno a Mosca, dopo ogni incontro e colloquio con il compagno 
  Stalin, noi vedevamo sempre più da vicino in questo illustre rivoluzionario, 
  in questo grande marxista, l'uomo semplice, cordiale, savio, il vero uomo. Egli 
  amava il popolo sovietico con tutta la sua anima, gli consacrava tutte le sue 
  forze e le sue energie, il suo cuore batteva solo per lui. E questi tratti si 
  manifestavano in ogni colloquio, in ciascuna delle sue attività, dalle 
  più importanti fino alle più comuni.
  Alcuni giorni dopo il nostro arrivo a Mosca, presenziai in compagnia di Stalin 
  e di altri dirigenti del Partito e dello Stato sovietici ad una manifestazione 
  ginnico-sportiva a livello nazionale che si svolse allo Stadio centrale di Mosca. 
  Con quanta passione egli segui la manifestazione! Per più di due ore 
  tenne gli occhi inchiodati sugli esercizi degli atleti e, malgrado la pioggia 
  che si mise a cadere verso la fine della manifestazione e le preghiere di Molotov 
  affinché lasciasse lo stadio, egli continuò a seguire con attenzione 
  fino alla fine lo spettacolo, a scherzare e a salutare con la mano. Mi ricordo 
  che per ultimo nel programma c'era un cross-country di massa. La corsa volgeva 
  al termine, gli atleti dovevano fare più volte il giro dello stadio, 
  quando ai piedi della tribuna centrale passò un atleta rimasto in coda. 
  Lungo e magro, egli avanzava a stento, le sue mani penzolavano avanti e indietro; 
  malgrado tutto, egli si accaniva a correre, grondante di pioggia. Stalin lo 
  guardava da lontano con un sorriso in cui traspariva la compassione e il calore 
  del padre:
  "Millij mooj"*, *(In russo: "Mio caro") egli fece fra sé, 
  torna a casa, vai a riposarti e rimetterti un po'. Verrai un'altra volta! Ci 
  saranno altri cross ... ".
  Il rispetto di Stalin e il suo grande amore per il nostro popolo, l'interesse 
  che manifestava per la storia e le usanze del popolo albanese, non si cancelleranno 
  mai dalla mia memoria. In uno dei nostri incontri di quei giorni, nel corso 
  della cena che Stalin offrì in onore della nostra delegazione, avemmo 
  insieme una discussione molto interessante sull'origine del popolo albanese 
  e la sua lingua.
  - Quali sono le origini e la lingua del vostro popolo? - egli mi chiese fra 
  l'altro. Ha esso qualche legame con i Baschi? Non credo che il popolo albanese 
  sia venuto dalla lontana Asia, non è nemmeno di origine turca, poiché 
  gli albanesi sono più antichi dei Turchi. Forse il vostro popolo ha delle 
  origini comuni con gli Etruschi rimasti sulle vostre montagne, poiché 
  una parte di essi si insediarono in Italia dove furono assimilati dai Romani 
  ed altri andarono nella penisola iberica.
  Dissi al compagno Stalin che il popolo albanese era di origine molto antica 
  e che l'albanese era una lingua indoeuropea. "Esistono numerose teorie 
  a tale proposito, ma la verità è che noi siamo di origine illirica. 
  Il nostro popolo discende quindi dagli Illiri. Esiste pure una tesi secondo 
  cui il popolo albanese è il popolo più antico dei Balcani e che 
  l'origine preomerica degli albanesi risale ai Pelasgi.
  "La teoria dei Pelasgi, gli spiegai in seguito, è stata per un certo 
  tempo sostenuta da numerosi scienziati, in particolare dagli studiosi tedeschi. 
  Alcuni dei nostri studiosi, conosciuti come specialisti di Omero, sono giunti 
  alla stessa conclusione, e ciò basandosi su alcune parole impiegate nell'Iliade 
  e nell'Odissea e che ritroviamo anche nell'odierna lingua del popolo albanese, 
  come per esempio il vocabolo "gur" (pietra), ossia kamienj in russo. 
  Omero mette questa parola davanti al suo equivalente in greco, il che ci dà 
  "guri-petra". Basandosi su alcuni vocaboli come questo, tenendo conto 
  anche dell'Oracolo di Dodona, dell'etimologia delle parole nonché della 
  spiegazione filologica delle loro trasformazioni, questi scienziati sono giunti 
  alla conclusione che noi discendiamo dai Pelasgi, che hanno preceduto i Greci 
  nella penisola dei Balcani.
  "Comunque sia, non ho mai inteso dire che gli Albanesi e i Baschi abbiano 
  un'origine comune, risposi al compagno Stalin. Può darsi che esista anche 
  quest'altra teoria cui avete accennato or ora e secondo la quale una parte degli 
  Etruschi sarebbe rimasta in Albania, un'altra si sarebbe separata da essi per 
  andare ad insediarsi in Italia, e che il resto infine si sarebbe trasferito 
  di là nella penisola iberica, in Spagna. Anche questa teoria ha forse 
  i suoi sostenitori, ma per quanto mi riguarda non ne sono al corrente".
  A un certo punto Stalin mi disse:
  - C'è da noi, nel Caucaso, una regione che si chiama Albania; ha forse 
  essa qualche rapporto con il vostro paese?
  - Questo lo ignoravo, risposi; sta di fatto però che molti albanesi sono 
  stati costretti nel corso dei secoli, a causa della feroce occupazione ottomana, 
  degli attacchi e delle feroci crociate dei sultani e dei pascià ottomani, 
  ad abbandonare la loro patria per insediarsi in terra straniera, dove hanno 
  costituito interi villaggi. E' quel che è successo con le migliaia di 
  albanesi che hanno stabilito la loro dimora nell'Italia meridionale sin dal 
  sec. XV, in seguito alla morte del nostro Eroe nazionale, Skanderbeg; attualmente 
  zone intere di questo paese sono abitate dagli arbëresh d'Italia, i quali, 
  pur vivendo da quattro a cinque secoli in terra straniera, continuano a conservare 
  la loro lingua e gli antichi costumi dei loro avi. Allo stesso modo molti arbëresh 
  si sono stabiliti in Grecia, dove zone intere sono popolate da albanesi; altri 
  sono andati a stabilirsi in Turchia, in Romania, in Bulgaria, in America e altrove. 
  Ma per quanto riguarda la regione del Caucaso che si chiama "Albania", 
  gli dissi, non ne so nulla di concreto.
  Stalin mi fece allora delle domande su una serie di parole albanesi. Voleva 
  sapere quali erano i termini impiegati per designare gli strumenti di lavoro, 
  gli articoli casalinghi e così via. Gli diedi la risposta in albanese 
  mentre lui, dopo avermi ascoltato con attenzione, ripeteva questi vocaboli, 
  li confrontava con i loro equivalenti nella lingua degli Albani del Caucaso. 
  Ogni tanto sollecitava il parere di Molotov e di Mikoian sull'argomento. Si 
  giunse alla conclusione che non esisteva alcuna similitudine nella radice delle 
  parole confrontate.
  Allora Stalin premette un bottone e subito dopo entrò il generale addetto 
  alla sua persona; era alto di statura, estremamente premuroso e ci testimoniava 
  molta benevolenza e simpatia.
  - Il compagno Enver Hoxha ed io stiamo cercando di risolvere un problema, ma 
  senza successo, disse Stalin al generale sorridendo. Entrate in contatto, vi 
  prego, con il professore... (e fece il nome di un illustre linguista e storico 
  sovietico, di cui non ricordo ora il nome) e chiedetegli da parte mia se c'è 
  qualche legame tra gli Albani del Caucaso e quelli di Albania.
  Il generale uscì, mentre Stalin prese un’arancia, me la mostrò 
  e disse:
  - In russo si chiama "apjelsin". E in albanese?
  - " Portokall", risposi.
  Egli confrontò di nuovo i due termini articolandoli, poi alzò 
  le spalle. Erano trascorsi appena dieci minuti quando il generale rientrò.
  - Ho appena ricevuto la risposta del professore, disse. Egli afferma che non 
  vi è alcun dato che confermi l'esistenza di legami tra gli Albani del 
  Caucaso e quelli di Albania. Ma ha aggiunto che in Ucraina, nella zona di Odessa, 
  ci sono alcuni villaggi (sette circa) abitati da albanesi. Il professore dispone 
  di dati esaurienti sull'argomento.
  Raccomandai subito al nostro ambasciatore a Mosca di fare in modo che alcuni 
  dei nostri studenti, che frequentavano la facoltà di storia in Unione 
  Sovietica, facessero il periodo di pratica in questi villaggi allo scopo di 
  chiarire come e quando questi albanesi si erano stabiliti ad Odessa, se conservavano 
  la lingua e le usanze dei loro avi, ecc.
  Stalin, come sempre molto attento, ci ascoltò e mi disse:
  - Molto bene, è un'ottima idea. Vadano pure i vostri studenti a fare 
  il loro tirocinio in questa regione, e insieme a loro anche alcuni dei nostri.
  - Le scienze albanologiche, aggiunsi nel corso di questa conversazione per nulla 
  protocollare con il compagno Stalin, nel passato non erano abbastanza sviluppate 
  e di esse si sono occupate principalmente degli studiosi stranieri. Da qui la 
  molteplicità delle teorie sulle origini del nostro popolo, della nostra 
  lingua e cosi via. Comunque sia, una cosa è certa, tutte queste teorie 
  concordano su un punto - che il popolo albanese e la sua lingua sono di antichissima 
  origine. Il compito di pronunciarsi con certezza su questi problemi spetta ai 
  nostri specialisti che il Partito e il nostro Stato prepareranno con cura, creando 
  ad essi tutte le condizioni necessarie per il loro lavoro.
  - L'Albania, disse Stalin, deve procedere poggiando sulle proprie gambe, perché 
  ne ha tutte le possibilità.
  - Sì, noi progrediremo ad ogni costo, risposi.
  - Dal canto nostro, aggiunse con benevolenza il compagno Stalin, aiuteremo con 
  tutto il cuore il popolo albanese, perché gli albanesi sono degli uomini 
  meravigliosi.
  La cena offerta dal compagno Stalin in onore della nostra delegazione si svolse 
  in un clima molto caloroso, cordiale, intimo. Il primo brindisi egli lo fece 
  al nostro popolo, al progresso e allo sviluppo del nostro paese, al Partito 
  Comunista d'Albania. Poi alzò il bicchiere e brindò alla mia salute, 
  alla salute di Hysni* *( Il compagno Hysni Kapo, allora viceministro degli Esteri 
  della RP d'Albania, era membro della nostra delegazione che andò a Mosca 
  nel luglio 1947.) e di tutti gli altri membri della delegazione albanese. Mi 
  ricordo che poco dopo, avendogli parlato della strenua resistenza che il nostro 
  popolo aveva opposto, per secoli interi, alle invasioni straniere, il compagno 
  Stalin lo definì un popolo eroico e fece un altro brindisi alla sua salute. 
  Mentre discorreva liberamente con me, ogni tanto si rivolgeva agli altri ospiti, 
  scherzando con loro e formulando auguri. Era parco nel mangiare, ma teneva sempre 
  davanti a sé un bicchiere di vino rosso e brindava sorridente ogni volta 
  che si beveva alla salute di qualcuno.
  Dopo cena il compagno Stalin ci invitò ad andare al cinema del Cremlino 
  dove, oltre al cinegiornale, vedemmo un lungo metraggio sovietico intitolato 
  "Il trattorista". Prendemmo posto tutt'e due sullo stesso canapè: 
  rimasi colpito dall'attenzione con la quale Stalin seguiva questa nuova produzione 
  della cinematografia sovietica. Alzava spesso la sua voce calda e ci commentava 
  alcune sequenze delle vicende del film. Quello che gli piacque di più, 
  era il modo in cui il protagonista, un trattorista di avanguardia, per guadagnarsi 
  la fiducia dei compagni e degli agricoltori, non cessava di impegnarsi per familiarizzare 
  con le usanze, il comportamento, le idee e le aspirazioni della gente della 
  pianura. Lavorando e vivendo in mezzo ai contadini, questo trattorista finì 
  per divenire un quadro dirigente onorato e rispettato. Ad un certo momento Stalin 
  disse:
  - Per poter dirigere, innanzi tutto bisogna conosce le masse, e per conoscerle 
  bisogna avvicinarsi e vivere in mezzo ad esse.
  Era mezzanotte passata quando ci alzammo per andar via. All'ultimo momento, 
  Stalin ci invitò ad alzare i bicchieri e per la terza volta fece un brindisi 
  "alla felicità dell'eroico popolo albanese".
  Poi ci salutò tutti e, stringendomi la mano, disse:
  - Trasmettete i miei cordiali saluti all'eroico popolo albanese, gli auguro 
  molti successi.
  La nostra delegazione, molto soddisfatta degli incontri e dei colloqui avuti 
  con il compagno Stalin, lasciò Mosca il 26 luglio 1947 per far ritorno 
  in Albania.