Biblioteca Multimediale Marxista
1979
Il 21 dicembre di quest'anno si compiranno 100 anni dal giorno
in cui nacque Giuseppe Stalin, l'uomo cosi caro al proletariato russo e internazionale
e suo eminente dirigente, l'amico fedele del popolo albanese, l'amato amico
dei popoli oppressi del mondo intero che lottano per la libertà, l'indipendenza,
la democrazia e il socialismo.
Tutta la vita di Stalin è stata caratterizzata da un'accanita e incessante
lotta contro il capitalismo russo, contro il capitalismo mondiale, contro l'imperialismo,
contro le correnti antimarxiste e antileniniste che si erano messe al servizio
del capitale e della reazione mondiale. Sotto la guida di Lenin e al suo fianco,
egli fu uno degli ispiratori e dirigenti della Grande Rivoluzione Socialista
d'Ottobre, un indomabile militante del Partito Bolscevico.
Dopo la morte di Lenin, Stalin diresse durante trent'anni la lotta per la vittoria
e la difesa del socialismo in Unione Sovietica. Proprio per questo l'amore,
il rispetto e la fedeltà verso la sua opera e la sua persona occupano
un posto di grande rilievo nei cuori del proletariato mondiale e dei popoli
del mondo. Così si spiega anche l'avversione senza limiti della borghesia
capitalista e della reazione mondiale nei confronti di questo fedele discepolo,
insigne e risoluto compagno d'armi di Vladimir Ilich Lenin.
Con la sua lotta inesorabile e di principio per la difesa, la coerente attuazione
e l'ulteriore sviluppo delle idee di Marx, Engels e Lenin, Stalin è annoverato
tra i grandi classici del marxismo-leninismo. Grazie alla sua lungimiranza e
alle sue insigni capacità, egli seppe orientarsi correttamente anche
nei momenti estremamente difficili, allorché la borghesia e la reazione
facevano di tutto per impedire la vittoria della Grande Rivoluzione Socialista
d'Ottobre.
Enormi erano le difficoltà che stavano di fronte al proletariato russo
per realizzare le sue aspirazioni, poiché il capitalismo dominava in
Russia e nel mondo. Ma ormai il capitalismo aveva creato il proprio affossatore,
il proletariato, la classe più rivoluzionaria, chiamata storicamente
a dirigere la rivoluzione. Questa classe avrebbe assolto in Russia con successo
la missione storica affidatagli attraverso una lotta spietata contro i nemici,
avrebbe conquistato, grazie a questa lotta, i diritti e le libertà a
cui anelava e avrebbe preso nelle sue mani il potere politico. Seguendo infatti
questa via, il proletariato avrebbe poi strappato il potere politico ed economico
alla borghesia capitalista che l'opprimeva e lo sfruttava, per costruire il
mondo nuovo.
Marx ed Engels avevano creato la scienza proletaria della rivoluzione e il socialismo
scientifico. Essi avevano fondato l'Associazione Internazionale dei Lavoratori,
nota con il nome di Prima Internazionale. I principi fondamentali di questa
prima organizzazione internazionale dei lavoratori furono espressi nel suo Manifesto
costitutivo, che indicò al proletariato la via dell'abolizione della
proprietà privata dei mezzi di produzione, sanzionò la creazione
del partito del proletariato per la presa del potere tramite la via rivoluzionaria
e definì la lotta che il proletariato doveva condurre contro il capitalismo
e contro l'opportunismo che si manifestò sotto varie forme "teoriche"
nei vari paesi.
Basandosi sulle opere maggiori di Karl Marx e di Friederich Engels, e difendendole
con rara maestria, Vladimir Ilich Lenin, il geniale continuatore della loro
opera, sviluppò la lotta contro le varie correnti dei revisionisti, degli
opportunisti e degli altri rinnegati. I traditori gettarono via la grande bandiera
della Prima Internazionale e calpestarono in modo del tutto palese la parola
d'ordine del Manifesto del Partito Comunista "Proletari di tutti i paesi,
unitevi!".. Questi rinnegati del marxismo votarono i crediti per la guerra
imperialista, invece dì opporvisi.
Lenin scrisse delle opere di importanza capitale per la difesa e lo sviluppo
del marxismo. Egli arricchì in modo particolare le idee di Marx e di
Engels sull'edificazione della società socialista e comunista. Tenendo
costantemente presente lo sviluppo materialistico della storia come pure le
condizioni del paese e dell'epoca in cui viveva, Lenin condusse una lotta inflessibile
per la creazione e il consolidamento del Partito Bolscevico. Nelle condizioni
create dalla putrefazione dello zarismo e del suo esercito, Vladimir Ilich e
gli altri bolscevichi, grazie ad un'intensa lotta rivoluzionaria sia in Russia
che all'estero, prepararono e scatenarono la Grande Rivoluzione proletaria socialista.
Così fu attuato il geniale piano di Lenin per il trionfo della rivoluzione.
Dopo la conclusione vittoriosa della Grande Rivoluzione, che scosse dalle fondamenta
il vecchio mondo e apri un'epoca nuova nella storia dell’umanità,
l'epoca dell'abolizione dello sfruttamento e dell'oppressione, Lenin proseguì
la lotta per la costruzione del primo Stato socialista. Assieme a Lenin partecipò
alla lotta ed agì col massimo impegno anche il suo devotissimo collaboratore,
Giuseppe Vissarionovich Stalin.
E' facile comprendere che la borghesia non poteva non opporsi alle idee di Marx,
Engels e Lenin, alle loro azioni giuste, risolute e inflessibili in favore della
classe operaia e dei popoli; ed infatti essa puntò le sue diverse armi
contro queste idee, e lo fece senza la minima esitazione, ferocemente, tenacemente
e senza sosta.
Ma la grande forza organizzata e invincibile del proletariato russo, unita a
quella del proletariato mondiale, si oppose alla feroce ostilità organizzata
del capitalismo e della borghesia reazionaria mondiale. Questo confronto era
l'espressione di un'aspra lotta di classe all'interno della Russia e fuori,
lotta che si concretizzò durante tutto quel periodo nelle battaglie contro
le forze degli interventisti e i resti dello zarismo e della reazione russa.
Questi nemici andavano combattuti senza pietà.
Nel corso di questa lotta di classe era necessario temprare il Partito Bolscevico,
edificare lo Stato di dittatura del proletariato, problema questo essenziale
della rivoluzione, e gettare le fondamenta dell'economia socialista. Era necessario
quindi intraprendere delle riforme radicali in tutti i settori della vita, ma
seguendo una via nuova, con uno spirito nuovo ed avendo in vista uno scopo nuovo;
era necessario applicare in modo creativo e nelle concrete condizioni della
Russia zarista la teoria di Marx sul terreno della filosofia, dell'economia
politica e del socialismo scientifico.
Tutti questi obiettivi andavano realizzati sotto la guida del proletariato,
in quanto la classe più avanzata e più rivoluzionaria, e basandosi
sull'alleanza con le masse contadine povere e medie. Dopo la creazione del nuovo
potere, era necessario condurre una grande lotta, una lotta eroica, per migliorare
la vita economica e culturale dei popoli affrancati dal giogo dello zarismo
e dei capitali stranieri dell'Europa. In questa titanica lotta Stalin rimase
incrollabile al fianco di Lenin, battendosi in prima linea.
A misura che il nuovo potere sovietico si consolidava politicamente, che l'industria
si sviluppava in tutti i suoi rami, che cresceva l'agricoltura colcosiana, e
che la nuova cultura socialista fioriva in Unione Sovietica, tanto più
accanita diventava la resistenza dei nemici esterni e della reazione interna.
I nemici poi continuarono ad intensificare la loro lotta particolarmente dopo
la morte di Vladimir Ilich Lenin.
E Stalin fece, davanti alla salma di Lenin, il giuramento di seguire fedelmente
i suoi insegnamenti, di attenersi alle sue raccomandazioni al fine di mantenere
immacolato l'alto titolo di comunista, di salvaguardare e rafforzare l'unità
del Partito Bolscevico, di preservare e cementare senza sosta la dittatura del
proletariato, di consolidare costantemente l'alleanza della classe operaia con
le masse contadine, di restare fedele fino in fondo ai principi dell'internazionalismo
proletario, di difendere il primo Stato socialista dalle insidie dei nemici
interni borghesi e latifondisti e dei nemici esterni imperialisti che puntavano
alla sua distruzione, e di portare fino alla sua completa realizzazione la costruzione
del socialismo in una sesta parte del mondo.
Giuseppe Stalin tenne fede alla propria parola. Alla testa del Partito Bolscevico,
egli seppe dirigere l'edificazione del socialismo in Unione Sovietica e fare
della grande patria del proletariato russo e di tutti i popoli dell'Unione Sovietica
un sostegno poderoso della rivoluzione mondiale. Egli dimostrò di essere
un degno continuatore dell'opera di Marx, Engels e Lenin, e diede prove lampanti
di essere un insigne marxista-leninista, lungimirante e risoluto.
I nemici interni in Unione Sovietica, i trotzkisti, i bukhariniani, gli zinovievisti
ed altri si erano strettamente legati ai capitalisti stranieri, di cui erano
divenuti gli strumenti. Alcuni di loro erano rimasti nelle file del Partito
Bolscevico al fine di impossessarsi della cittadella dall'interno, di disgregare
la giusta linea marxista-leninista di questo partito guidato da Stalin, mentre
altri, pur restando fuori dei ranghi del partito, operavano nelle strutture
dello Stato, ordivano complotti e sabotavano palesamente o sottomano la costruzione
del socialismo. In queste circostanze, Stalin attuò con fermezza una
delle principali raccomandazioni di Lenin - quella di epurare senza esitazione
il partito da qualsiasi elemento opportunista, dagli elementi che si arrendevano
di fronte alla pressione della borghesia e dell'imperialismo e di fronte a qualsiasi
punto di vista estraneo al marxismo-leninismo. La lotta condotta da Stalin a
capo del Partito Bolscevico contro i trotzkisti e i bukhariani, fu il proseguimento
diretto della lotta di Lenin, una lotta profondamente conforme ai principi,
per la salvezza, senza la quale non sarebbe stato possibile né costruire
il socialismo, né difenderlo.
Giuseppe Stalin sapeva che le vittorie potevano essere conseguite e difese solo
a prezzo di sforzi, di sacrifici, a prezzo di sudore versato e con una mano
ferrea. Non manifestò mai un ottimismo non fondato dopo le vittorie conseguite;
nemmeno cadde mai nel pessimismo di fronte alle difficoltà da superare.
Al contrario, Stalin si rivelò una personalità estremamente riflessiva
e ponderata nei giudizi, nelle decisioni e nelle sue azioni. Essendo egli un
grande uomo riuscì a guadagnarsi il cuore del partito e del popolo, a
mobilitare le loro energie, a temprare i militanti nella battaglia e ad elevare
il loro livello politico e ideologico per realizzare una grande opera, che non
aveva precedenti.
I piani quinquennali staliniani per lo sviluppo dell'economia e della cultura
fecero del primo paese socialista al mondo una grande potenza socialista. Attenendosi
all'insegnamento di Lenin sulla preminenza dell'industria pesante nell'industrializzazione
socialista, il Partito Bolscevico, con a capo Stalin, diede al paese una potentissima
industria per la produzione di beni strumentali, una gigantesca industria metalmeccanica,
capace di assicurare un rapido sviluppo all'economia nazionale nel suo complesso
nonché tutti i mezzi necessari a tal fine, come pure in grado di garantire
una difesa insuperabile. L'industria pesante socialista fu edificata, come diceva
Stalin, "con le forze interne, senza crediti né prestiti asserventi
dall'esterno". Stalin aveva chiaramente indicato che lo Stato sovietico,
nella creazione della sua industria pesante, non poteva seguire la via dei paesi
capitalisti, non poteva quindi né ricevere prestiti dall'estero né
depredare gli altri paesi.
In seguito alla collettivizzazione dell'agricoltura, in Unione Sovietica sorse
un'agricoltura socialista moderna, dotata di un potente equipaggiamento meccanico,
prodotto dall'industria pesante socialista, risolvendo così il problema
dei cereali e degli altri principali prodotti agricoli e zootecnici. Fu Stalin
ad elaborare più a fondo il piano di collettivizzazione di Lenin, a dirigerne
l'attuazione in un'aspra lotta contro i nemici del socialismo, contro i kulak
e i traditori bukhariniani, contro le difficoltà e gli innumerevoli ostacoli
derivanti non solo dall'attività ostile, ma anche dalla mancanza di esperienza
dei contadini, come pure dal senso della proprietà privata profondamente
radicato nella loro coscienza.
Quest'ascesa economica e culturale contribuì al consolidamento dello
Stato di dittatura dei proletariato in Unione Sovietica. Stalin, alla guida
del Partito Bolscevico, seppe organizzare e dirigere con grande abilità
lo Stato sovietico, perfezionarne il funzionamento; seppe sviluppare incessantemente
la struttura e la sovrastruttura della società sulla via marxista-leninista,
tenendo conto delle situazioni politiche e dello sviluppo economico interni,
senza trascurare le situazioni esterne, cioè le mire di rapina e gli
abietti intrighi degli Stati borghesi capitalisti che volevano mettere il bastone
tra le ruote all'edificazione del nuovo Stato dei proletari.
Il capitalismo mondiale vide nell'Unione Sovietica il suo più pericoloso
nemico, perciò da un lato si adoperò per isolarla all'esterno,
mentre all'interno incoraggiò e organizzò complotti servendosi
dei rinnegati, delle spie, dei traditori e degli uomini di destra. La dittatura
del proletariato colpì senza pietà questi pericolosi nemici. Tutti
i traditori furono processati pubblicamente. La loro colpevolezza fu allora
dimostrata con prove inoppugnabili e nel modo più convincente. I processi
che si svolsero in Unione Sovietica, in base alla legislazione rivoluzionaria
contro i trotzkisti, i bukhariniani, i Radek, gli Zinoviev, i Kamenev, i Piatakov
e i Tukhacevski, furono oggetto di grande clamore da parte della propaganda
borghese, che alzò ancora più il tono ed eresse a sistema il suo
baccano calunniatore e denigratore contro la giusta lotta del potere sovietico,
del Partito Bolscevico e di Stalin, che difendevano la vita dei loro popoli,
che difendevano il nuovo regime socialista, instaurato con il sudore e il sangue
degli operai e dei contadini, che difendevano la Grande Rivoluzione d'Ottobre
e la purezza del marxismo-leninismo.
I nemici esterni ricorsero ad ogni specie di calunnie in particolare all'indirizzo
di Giuseppe Stalin, il continuatore dell'opera di Marx e di Lenin, il geniale
dirigente dell'Unione Sovietica; essi lo tacciarono di "tiranno",
di "assassino" e di "sanguinario". Tutte queste calunnie
si caratterizzavano in realtà per il loro cinismo. No, Stalin non fu
un tiranno, egli non fu un despota. Era un uomo attaccato ai principi, giusto,
semplice e pieno di sollecitudine per gli uomini, per i quadri, per i suoi collaboratori.
E' per questa ragione che il suo Partito, i popoli dell'Unione delle Repubbliche
Socialiste Sovietiche e tutto il proletariato mondiale lo amavano molto. Così
l'hanno conosciuto i milioni di comunisti e le insigni personalità rivoluzionarie
e progressiste nel mondo. Rievocando la sua figura, Henri Barbusse, nel suo
libro su Stalin, scrive fra l'altro: "Si è messo e resta in contatto
con il popolo operaio, contadino e intellettuale dell'URSS e con i rivoluzionari
del mondo, che amano con tutto il cuore la loro patria - vale a dire molto più
di duecento milioni di persone". E aggiunge: "Quest'uomo nitido e
perspicace era un uomo semplice… Rideva come un bambino… Per molti
versi rassomigliava allo straordinario V.I. Lenin; la stessa profonda conoscenza
della teoria, lo stesso senso della pratica, la stessa risolutezza… E’
in Stalin, più che in ogni altra persona, che si trovano il pensiero
e la parola di Lenin. E’ il Lenin dei nostri giorni".
Tutte le idee e le opere di Stalin, concepite e tradotte nella realtà
viva, sono percorse in modo coerente da un filo rosso, dal pensiero rivoluzionario
marxista-leninista. Nelle opere di questo illustre marxista-leninista non si
può riscontrare alcun errore di principio. Egli soppesava ogni sua azione
tenendo presente gli interessi del proletariato, delle masse lavoratrici, gli
interessi della rivoluzione, del socialismo e del comunismo, gli interessi delle
lotte di liberazione nazionali e antimperialiste. Non si riscontra alcun eclettismo
nelle sue idee teoriche e politiche, alcuna titubanza nelle sue azioni pratiche.
Chi si fondava sull'amicizia sincera di Giuseppe Stalin era sicuro di vedere
il suo popolo avanzare rapidamente verso un futuro luminoso. Chi tergiversava
invece, non poteva sfuggire alla vigilanza e al giudizio acuto di Giuseppe Stalin.
Questo giudizio scaturiva dalle grandi idee della teoria marxista-leninista,
che si erano cristallizzate nella sua mente acuta e nel suo cuore puro. Durante
tutta la vita, egli seppe reggere fermamente ed orientare nella giusta via il
timone del socialismo, e questo anche attraverso le ondate e le bufere scatenate
dai nemici.
Stalin sapeva quando e in quale misura conveniva scendere a compromessi, a condizione
cioè che non recassero danno all'ideologia marxista-leninista, e quando
al contrario fossero utili alla rivoluzione, al socialismo, all'Unione Sovietica
e agli amici dell'Unione Sovietica.
Il proletariato, i partiti marxisti-leninisti, gli autentici comunisti e tutti
gli uomini progressisti del mondo consideravano giuste, sensate e necessarie
le azioni salutarie del Partito Bolscevico e di Stalin in difesa dello Stato
e del nuovo ordinamento economico e sociale socialista. L'opera di Stalin trovava
il consenso del proletariato e dei popoli del mondo, perché questi vedevano
come egli lottava contro l'oppressione e lo sfruttamento, che pesavano gravemente
sulle loro spalle. I popoli sentivano le calunnie diffuse contro Stalin proprio
da quei mostri che organizzavano le torture e i massacri in massa nella società
capitalista, da coloro che erano la causa della fame, della povertà,
della disoccupazione e di tante e tante altre sciagure, ed è per questo
che non credevano a queste calunnie.
I milioni di proletari nel mondo si sollevavano contro questi nemici organizzando
scioperi e potenti manifestazioni di protesta nelle strade delle città
e occupando le fabbriche dei capitalisti. I popoli insorgevano in lotta contro
i colonizzatori per conquistare i diritti e le libertà democratiche.
Queste proteste e questa lotta erano un sostegno internazionale a favore dell'Unione
Sovietica e di Stalin, e questo sostegno contribuì a rafforzare il giovane
Stato dei Soviet, a dare maggior rilievo alla sua già notevole autorità
nel mondo.
Tutti i comunisti che si battevano contro il capitalismo mondiale in tutti i
paesi del globo, furono considerati dalla borghesia e dai rinnegati del marxismo-leninismo
come "agenti" dell'Unione Sovietica e di Stalin. Ma i comunisti erano
persone oneste, non erano agenti di nessuno, erano semplicemente dei fedeli
sostenitori della dottrina di Marx, Engels, Lenin e Stalin. Essi appoggiavano
l'Unione Sovietica, perché vedevano nella sua politica un grande sostegno
al trionfo delle idee comuniste, un esempio luminoso da seguire per condurre
la lotta, la direzione su cui bisognava concentrare gli sforzi per vincere una
battaglia dopo l'altra e sgominare i nemici, per scuotere dalle fondamenta il
potere del capitale e instaurare il nuovo ordinamento sociale socialista.
Mentre il capitalismo mondiale, in quanto vecchio regime in fase di imputridimento,
andava indebolendosi, il socialismo in Unione Sovietica, in quanto ordine nuovo
del futuro, trionfava e diventava un sostegno sempre più potente della
rivoluzione mondiale. In queste circostanze, il capitalismo doveva assolutamente
lanciare nella lotta i messi di cui disponeva per colpire a morte il grande
Stato socialista dei proletari, che indicava al mondo la via per sottrarsi allo
sfruttamento, ed è per questo che i capitalisti prepararono e scatenarono
la Seconda Guerra mondiale.
Essi mobilitarono, sostennero, incoraggiarono gli hitleriani per la "guerra
contro il bolscevismo", contro l'Unione Sovietica e per realizzare il loro
sogno di "spazio vitale" verso l'Est. L'Unione Sovietica avvertì
il pericolo che la minacciava. Stalin teneva gli occhi bene aperti e sapeva
bene che le calunnie di cui era oggetto da parte della borghesia capitalista
internazionale, secondo le quali egli non combatteva il nazismo e il fascismo
in ascesa, non erano altro che una ovvia parola d'ordine che la borghesia e
la quinta colonna hitleriana avevano inventato per trarre in inganno l'opinione
pubblica e realizzare così i loro piani di aggressione contro l'Unione
Sovietica.
Nel 1935 il VII Congresso del Comintern definì a giusta ragione il fascismo
come il più grande nemico dei popoli nelle concrete circostanze del tempo.
Questo Congresso, per iniziativa diretta di Stalin, lanciò la parola
d'ordine della necessità di creare in ogni paese un fronte popolare antifascista
comune per denunciare i piani e l'attività aggressiva e di rapina degli
Stati fascisti e per far insorgere i popoli contro questi piani e attività,
al fine di scongiurare la nuova conflagrazione imperialista che minacciava il
mondo.
Mai e in nessun momento Stalin dimenticò il pericolo che incombeva sull'Unione
Sovietica. Ad ogni istante egli lottò con fermezza e impartì chiarissime
direttive affinché il partito fosse temprato in vista delle lotte future,
affinché i popoli sovietici si fondessero in una ferrea unità
marxista-leninista, affinché l'economia sovietica si consolidasse sulla
via socialista, affinché la difesa dell'Unione Sovietica venisse rafforzata
con mezzi materiali e quadri, e che fosse dotata di una strategia e di tattiche
rivoluzionarie. Stalin sosteneva e dimostrava le sue affermazioni con fatti
tratti dalla vita stessa, egli indicava che gli imperialisti sono dei bellicisti
e che l'imperialismo è portatore di guerre di rapina; perciò egli
consigliava agli uomini di non abbassare mai la guardia e di essere costantemente
preparati contro ogni azione dei nazisti hitleriani, dei fascisti italiani e
dei militaristi giapponesi, come pure delle altre potenze capitaliste mondiali.
Le parole di Stalin erano parole d'oro, una bussola di orientamento per i proletari
e i popoli del mondo.
Stalin avanzò ai governi dei grandi paesi capitalisti dell'Europa occidentale
la proposta di concludere un'alleanza contro il flagello hitleriano, ma questi
governi rigettarono la sua proposta, spingendo le cose al punto di violare perfino
le loro vecchie alleanze con l'Unione Sovietica, sperando così che gli
hitleriani estirpassero il "germe del bolscevismo", cavando le castagne
dal fuoco per conto loro.
Di fronte a questa situazione grave e carica dì pericoli, e nell'impossibilità
di convincere i governanti delle cosiddette democrazie occidentali a concludere
un'alleanza antifascista comune, Stalin ritenne opportuno adoperarsi per ritardare
la guerra contro l'Unione Sovietica, al fine di guadagnare il tempo necessario
per rafforzare maggiormente la sua difesa. Per questo scopo, egli firmò
il patto di non-aggressione con la Germania. Questo patto doveva servire da
modus vivendi per allontanare temporaneamente il pericolo, poiché Stalin
si rendeva conto dei disegni aggressivi degli hitleriani, quindi si era preparato
e continuava a prepararsi contro di loro.
Molti politici e storici borghesi e revisionisti dicono e scrivono che l'aggressione
hitleriana avrebbe trovato l'Unione Sovietica non preparata, e ne riversano
la colpa su Stalin! Ma i fatti smentiscono questa calunnia. Si sa che la Germania
hitleriana, come Stato aggressore, violando vilmente e in modo piratesco il
Patto di non aggressione, approfittò del fattore strategico sorpresa
e della superiorità numerica di forze preponderanti, circa 200 divisioni,
proprie e dei suoi alleati, di cui disponeva, per lanciarle in una "guerra
lampo", che doveva consentirle, secondo i piani di Hitler, di battere l'Unione
Sovietica e di travolgerla in meno di due mesi!
Si sa bene però come andarono le cose in realtà. La "guerra
lampo", vittoriosa su tutto lo scacchiere dell'Europa occidentale, fallì
all'Est. L'Esercito Rosso, disponendo di retrovie solidissime e dell'appoggio
dei popoli sovietici, riuscì, ripiegando, a logorare le forze del nemico
e a inchiodarle sul posto; passando poi alla controffensiva, le sconfisse con
reiterati attacchi costringendo infine la Germania hitleriana alla resa incondizionata.
La storia ha ormai fissato per sempre il ruolo determinante svolto dall'Unione
Sovietica nella sconfitta totale della Germania hitleriana e nell'annientamento
del fascismo in generale durante la Seconda Guerra mondiale.
Come si può spiegare il fallimento della "guerra lampo" di
Hitler contro l'Unione Sovietica, come si può spiegare il grande ruolo
da questa svolta per salvare l'umanità dalla schiavitù fascista,
se l'URSS non si fosse preventivamente e accuratamente preparata per garantire
la propria difesa, se il regime socialista, che dovette sostenere il peso maggiore
della Seconda Guerra mondiale, non fosse stato dotato di una forza e di una
vitalità di ferro? Come si possono dissociare queste vittorie dal ruolo
straordinario che Stalin ebbe tanto nella preparazione del paese per fronteggiare
l'aggressione imperialista, quanto nella distruzione della Germania hitleriana
e nella storica vittoria sul fascismo? Ogni tentativo diabolico dei revisionisti
kruscioviani volto a dissociare Stalin dal Partito e dal popolo sovietici per
quanto riguarda il ruolo decisivo dello Stato socialista in questa vittoria,
si riduce in polvere di fronte alla realtà storica, che nessuna forza
può contestare e offuscare e tanto meno cancellare.
La guerra dei popoli sovietici, diretta da Stalin, condusse alla liberazione
di tutta una serie di paesi e di popoli dalla schiavitù nazista e al1’instaurazione
della democrazia popolare in diversi paesi dell'Europa orientale; diede un potente
impulso alle lotte di liberazione nazionale, antimperialiste e anticolonialiste,
portò allo sfacelo e al crollo del sistema coloniale, nonché alla
creazione nel mondo di un nuovo rapporto di forze a favore del socialismo e
della rivoluzione.
Nel modo più sfacciato Krusciov mosse a Stalin l'accusa dì essere
stato un uomo "chiuso", che non conosceva, a suo dire, la situazione
in Unione Sovietica e le situazioni nel mondo, che non sapeva nemmeno dove fossero
dislocate le unità dell'Esercito Rosso, e di averle dirette servendosi
di un mappamondo scolastico!
Gli innegabili meriti di Stalin sono stati costretti a riconoscerli perfino
i capifila del capitalismo mondiale come Churchill, Roosevelt, Truman, Eden,
Montgomery, Hopkins ed altri, indipendentemente dal fatto che questi non nascondevano
la loro avversione alla politica e all'ideologia marxista-leninista e alla persona
stessa di Stalin. Ho letto le loro memorie ed ho visto che questi capi del capitalismo
parlano con rispetto di Stalin come statista e stratega militare, lo considerano
un grande uomo "dotato di uno straordinario senso strategico", di
"un ingegno senza pari nella rapida comprensione dei problemi". Churchill
ha detto di Stalin: " ... Rispetto questo grande ed eccellente uomo ...
Assai pochi erano nel mondo coloro che potevano comprendere, in così
pochi minuti, le questioni con le quali ci arrabattavamo da mesi. Egli aveva
afferrato tutto in un lampo".
I kruscioviani hanno cercato di creare l'illusione di essere stati loro e non
Stalin a guidare la Grande Guerra patriottica dell'Unione Sovietica contro il
nazismo! Ma è un fatto notorio che i kruscioviani, in quel periodo, stavano
rannicchiati sotto l'ombra di Stalin, al quale innalzavano inni ipocriti, dicendo:
"Tutte le nostre vittorie e i nostri successi li dobbiamo al !grande Stalin"ecc.,
mentre si preparavano a liquidare queste vittorie. I veri inni, quelli che scaturivano
dai cuori, erano cantati dai gloriosi soldati sovietici, i quali, con il nome
di Stalin sulle labbra, sostenevano tutto il peso delle storiche battaglie.
I comunisti e il popolo albanesi avvertivano profondamente e da vicino (sebbene
fossero molto lontani dall'Unione Sovietica) il grande ruolo di Stalin nei momenti
più gravi che stava attraversando il nostro paese durante l'occupazione
fascista italiana e tedesca, quando si decidevano le sorti della nostra patria,
quando si decideva se rimanere nella schiavitù o vedere la libertà
e la luce. Nei giorni più angosciosi della guerra, Stalin ci fu sempre
vicino. Egli rafforzava le nostre speranze, ci illuminava la prospettiva, temprava
i nostri cuori e la nostra volontà, accresceva la nostra fede nella vittoria.
Spesso le ultime parole dei comunisti, dei patrioti, dei partigiani albanesi
che offrivano la vita sul campo di battaglia, davanti al capestro o al plotone
di esecuzione del nemico, erano "Viva il Partito Comunista!-, "Viva
Stalin!". Più di una volta i proiettili del nemico, trafiggendo
i cuori dei figli e delle figlie del nostro popolo, trapassavano allo stesso
tempo anche le opere di Stalin, che essi custodivano in grembo come un prezioso
tesoro.
Malgrado gli sforzi palesi o dissimulati dei nemici interni ed esterni dell'Unione
Sovietica di sabotare il socialismo dopo la Seconda Guerra mondiale, era la
giusta politica staliniana che dava il tono ai grandi problemi internazionali.
Il paese dei Soviet, devastato dalla guerra e che aveva lasciato 20 milioni
di uomini sui campi di battaglia, fu ricostruito con una rapidità sorprendente.
Questo lavoro di grande impegno fu portato a compimento dal popolo sovietico,
dalla classe operaia e dalle masse contadine colcosiane, sotto la guida del
Partito Bolscevico e del grande Stalin.
Negli anni della Seconda Guerra mondiale il revisionismo fece la sua comparsa
con il tradimento di Browder, ex segretario generale del Partito Comunista degli
Stati Uniti, il quale, assieme ai suoi compari revisionisti, liquidò
il partito e si mise al servizio dell'imperialismo americano. Browder era per
l'abolizione di ogni confine fra la borghesia e il proletariato, fra il capitalismo
e il socialismo, era per la loro fusione in un solo mondo; egli era contro la
rivoluzione e la guerra civile, per la coesistenza pacifica delle classi nella
società. Con questa "linea bianca", con la sua politica di
capitolazione, Browder fu, si può ben dire, il precursore di Tito, il
quale, a causa dei suoi punti di vista e delle sue prese di posizione antimarxiste
e antileniniste, era già in conflitto ideologico e politico con l'Unione
Sovietica durante la guerra, anche se tale conflitto scoppiò alla luce
del sole solo all'indomani di questa guerra. Dopo molteplici e pazienti sforzi
per ricondurre il rinnegato Tito sulla giusta via, Stalin, il Partito Bolscevico
e tutti i veri partiti comunisti del mondo, ormai convinti che egli era incorreggibile,
decisero all'unanimità la sua denuncia e condanna. Apparve infatti chiaramente
che l'operato di Tito giovava alla causa dell'imperialismo mondiale, perciò
egli era sostenuto e appoggiato dall'imperialismo americano e dagli altri Stati
capitalisti. Per meritare i crediti che riceveva dagli imperialisti Tito si
unì al coro della propaganda borghese e, fra tante altre calunnie, insinuo
che Stalin stava preparando un attacco contro la Jugoslavia. Il tempo provò
che si trattava di una menzogna.
Nelle varie conversazioni che io ebbi il grande onore di avere con Stalin, egli
mi disse che mai si era pensato né si poteva pensare ad un attacco dell'Unione
Sovietica contro la Jugoslavia. Noi siamo comunisti, diceva Stalin, e non aggrediremo
mai e poi mai un paese straniero, quindi nemmeno la Jugoslavia; denunceremo
però Tito e i titisti, poiché questo è il nostro compito
di marxisti. Se i popoli della Jugoslavia manterranno al potere Tito o lo rovesceranno,
questa è, diceva, una questione interna che spetta esclusivamente a loro
di sistemare; noi non dobbiamo ingerirci in questa vicenda.
Nelle sue calunnie contro Stalin la banda di Nikita Krusciov fu incoraggiata
e sostenuta dal rinnegato Josip Broz Tito, che si era già espresso apertamente
in tal senso, e più tardi da Mao Tsetung e compari oltre che da altri
revisionisti di ogni risma. In realtà, tutti costoro erano al servizio
del capitalismo per distruggere dall'interno il socialismo in Unione Sovietica,
per impedire la costruzione del socialismo in Jugoslavia e ostacolare l'edificazione
del socialismo in Cina e nel mondo intero, ed è per questo che essi contrastarono
Stalin, in cui vedevano l'uomo forte contro il quale, mentre era vivo, non poterono
mai agire sottobanco.
Questi traditori erano i successori dei rinnegati socialdemocratici, dei revisionisti
e degli opportunisti della II Internazionale, i continuatori, in circostanze
e condizioni differenti, della loro opera ingloriosa. Essi avevano la pretesa
di applicare delle forme di organizzazione di lotta <<adeguate>>
alle situazioni e di elaborare presunte idee nuove per "correggere"
e "completare" il marxismo-leninismo in sintonia con lo "spirito
dei tempi", ecc. Tutta questa marmaglia, nonostante le irrilevanti differenze
formali che manifestava nei suoi giudizi e nei suoi atteggiamenti, perseguiva
lo stesso scopo: combattere il marxismo-leninismo, negare l'ineluttabilità
della rivoluzione proletaria, minare il socialismo, soffocare la lotta di classe
e impedire la distruzione totale della vecchia società capitalista.
Stalin era un vero internazionalista. Non dimenticò mai le peculiarità
dello Stato sovietico in quanto Stato nato dall'unione di parecchie repubbliche,
esse stesse composte di parecchi popoli, di parecchie nazionalità; perciò
egli si impegnò per perfezionare l’organizzazione statale di queste
repubbliche rispettandone la parità di diritti. Grazie alla giusta politica
marxista-leninista seguita circa la questione nazionale, Stalin riuscì
a plasmare e a cementare l'unità combattiva dei vari popoli dell'Unione
delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. A capo del Partito e dello Stato sovietici,
egli diede il suo contributo e fece in modo che la prigione dei popoli, qual'era
la vecchia Russia zarista, si trasformasse in un paese libero, indipendente
e sovrano, dove i popoli e le repubbliche vivessero in armonia, in amicizia,
in unità e parità di diritti. Stalin conosceva le nazioni e la
loro formazione storica, conosceva le peculiarità della cultura e della
psicologia di ogni popolo e trattava i problemi col metodo marxista-leninista.
L'internazionalismo di Stalin si manifestava chiaramente anche nei rapporti
che intercorrevano allora tra i paesi a democrazia popolare, che egli considerava
come Stati liberi, indipendenti, sovrani, come stretti alleati dell'Unione Sovietica.
Mai egli considerò questi Stati come dominati politicamente o economicamente
dall'Unione Sovietica. La politica seguita da Stalin al riguardo era una giusta
politica marxista-leninista.
Nelle mie memorie ho scritto della proposta che feci a Stalin nel 1947 di creare
delle società miste albanesi-sovietiche per lo sfruttamento delle ricchezze
del nostro sottosuolo. Egli mi rispose che essi non costituivano delle società
miste con i paesi fratelli a democrazia popolare, anzi mi spiegò che
ritenevano un errore i pochi passi compiuti in tal senso con alcuni di questi
paesi e vi avevano quindi rinunciato. Ma è nostro dovere, egli aveva
proseguito, fornire ai paesi a democrazia popolare la tecnologia di cui disponiamo
e, nel quadro delle nostre possibilità, anche l'aiuto economico di cui
hanno bisogno; saremo sempre pronti a sostenerli. Ecco come giudicava e agiva
Stalin.
I kruscioviani non seguirono questa via, ma imboccarono invece quella della
collaborazione criminale capitalista, creando con gli ex paesi a democrazia
popolare un' "unità" militare, politica ed economica nel proprio
interesse e a scapito degli altri.
Essi hanno fatto del Patto di Varsavia uno strumento destinato a mantenere sotto
il loro giogo le nuove colonie, seguendo al riguardo forme e metodi pseudosocialisti.
Hanno convertito il COMECON, da organizzazione di reciproca assistenza economica
qual era al tempo di Stalin, in uno strumento di controllo e di sfruttamento
dei paesi aderenti a tale Patto.
La politica di Giuseppe Stalin era quindi diversa da quella dei revisionisti
kruscioviani e altri a proposito di tutti i problemi politici, ideologici ed
economici. La politica di Stalin era una politica di principio ed internazionalista,
mentre la politica dei revisionisti sovietici è una politica capitalistica
tesa ad asservire gli altri popoli che sono caduti o cadono nella loro trappola.
Gli imperialisti, Tito, i kruscioviani e tutti gli altri nemici accusarono Stalin
di aver proceduto all'indomani della Seconda Guerra mondiale, alla spartizione
delle zone di influenza in comune accordo con i vecchi alleati antifascisti,
gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Il tempo ha buttato nella pattumiera queste
come tutte le altre accuse. Dopo la Seconda Guerra mondiale, Stalin con spirito
di giustizia esemplare, ha difeso i popoli, la loro lotta di liberazione nazionale
e i loro diritti nazionali e sociali contro le mire dei suoi vecchi alleati
della guerra antifascista.
I nemici del comunismo, dalla reazione borghese internazionale fino ai kruscioviani
e a tutti gli altri revisionisti, hanno tentato con tutti i mezzi di offuscare
e distorcere tutte le qualità di questo grande marxista-leninista, le
sue idee luminose e le sue giuste azioni, di screditare il primo Stato socialista
creato da Lenin e dallo stesso Stalin.
I kruscioviani, questi nuovi trotzkisti, bukhariniani, zinovievisti e seguaci
di Tukhacevski, instillarono perfidamente degli uomini che avevano fatto la
guerra il sentimento della presunzione e della superiorità; incoraggiarono
i privilegi a favore dell’élite, spalancarono le porte del Partito
e dello Stato al burocratismo e al liberalismo, violarono le autentiche norme
rivoluzionarie e, un po' alla volta, riuscirono a diffondere nel popolo lo spirito
del disfattismo. Diedero ad intendere che tutti i misfatti frutto delle loro
azioni erano dovuti invece all'"atteggiamento brutale e settario, ai metodi
e allo stile di lavoro" di Stalin. Con il diabolico metodo di gettar la
pietra e di nascondere la mano, essi puntavano a ingannare la classe operaia,
le masse contadine colcosiane, gli intellettuali, a mettere in moto tutti gli
elementi dissidenti fino ad allora nascosti. Agli elementi dissidenti, carrieristi
e degenerati dicevano che era venuto per loro la "vera libertà"
e che questa "libertà" era stata portata a loro da Nikita Krusciov
e dal suo gruppo. Questo era un modo per preparare il terreno alla liquidazione
del socialismo in Unione Sovietica, all'abolizione della dittatura del proletariato
e all'instaurazione di uno Stato di "tutto il popolo", che in realtà
non doveva essere altro che uno Stato dittatoriale di tipo fascista, come è
effettivamente oggi.
Queste infamie non tardarono a venire a galla dopo la morte di Stalin, o piuttosto
dopo l'assassinio di Stalin. Dico l'assassinio, poiché lo stesso Mikoian
ci disse che insieme a Krusciov e ai loro complici avevano deciso di ordire
un "pokuchenie", un attentato, per uccidere Stalin, ma che in seguito,
come lui stesso lo ammise, avevano rinunciato a questo piano. E' un fatto notorio
che i kruscioviani aspettavano impazientemente la morte di Stalin. D'altronde
le circostanze della sua morte sono poco chiare.
Sotto questo aspetto anche l'affare dei "camici bianchi", il processo
cioè contro i medici dei Cremlino, i quali, Stalin vivente, erano stati
accusati di aver tentato di uccidere parecchi dirigenti dell'Unione Sovietica,
è un enigma non ancora chiarito. Appena morto Stalin, questi medici furono
riabilitati e l'affare archiviato. Ma perché mai l'affare fu chiuso?!
Fu provata o no l'attività criminale di questi medici all'epoca in cui
furono giudicati? L'affare dei medici fu archiviato perché se fossero
proseguite le indagini, se si fosse rovistato più profondamente, sarebbero
venute a galla molte sporcizie, molti crimini e complotti perpetrati dai revisionisti
mascherati, guidati da Krusciov e Mikoian. In tal modo si sarebbero spiegate
forse le morti improvvise in un periodo di tempo relativamente breve di Gottwald,
Bierut, Foster, Dimitrov, e di qualche altro, che soffrivano di malattie guaribili,
dirigenti che io ricordo nelle memorie inedite "I kruscioviani e noi".
Forse ciò avrebbe chiarito anche la vera causa della morte improvvisa
di Stalin.
Al fine di realizzare i loro vili disegni e i loro piani contro il marxismo-leninismo
e il socialismo, Krusciov e il suo gruppo liquidarono l'uno dopo l'altro, senza
rumore e misteriosamente, un buon numero di principali dirigenti del Comintern.
Così essi accusarono, screditarono e rimossero fra l'altro Rakosi, e
lo deportarono nelle remote steppe della Russia.
Nel rapporto "segreto" presentato al loro XX Congresso, Nikita Krusciov
e i suoi complici coprirono di fango Giuseppe Vissarionovich Stalin e cercarono
di screditarne la figura nel modo più abietto, ricorrendo ai più
cinici metodi trotzkisti. Dopo aver compromesso alcuni quadri della direzione
del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, i kruscioviani li sfruttarono a
fondo poi li cacciarono via, liquidandoli come elementi antipartito. I kruscioviani,
con Krusciov alla testa, che avevano condannato il "culto di Stalin"
al fine di coprire i loro crimini contro l'Unione Sovietica e il socialismo
in seguito commessi, portarono alle stelle il culto del loro capo.
Questi alti dirigenti del partito e dello Stato Sovietico attribuirono a Stalin
la crudeltà, la furberia, la perfidia, la bassezza di carattere che erano
loro proprie, come pure le carcerazioni e gli assassinii da essi stessi compiuti.
Quando Stalin era vivo, erano proprio loro che gli rivolgevano i più
grandi ditirambi per nascondere il loro carrierismo, i loro disegni e le loro
azioni infami. Nel 1949 Krusciov qualificava Stalin: "guida e maestro geniale",
dichiarava che "il nome del compagno Stalin è la bandiera di tutte
le vittorie del popolo sovietico, la bandiera della lotta dei lavoratori del
mondo intero". Mikoian stimava le opere di Stalin come "un nuovo gradino
storico oltre il leninismo". Kossighin, dal canto suo, diceva che "tutte
le nostre vittorie e tutti i nostri successi li dobbiamo al grande Stalin",
ecc., ecc. Dopo la sua morte però cambiarono atteggiamento. Furono i
kruscioviani che soffocarono la voce del partito, che soffocarono la voce della
classe operaia e riempirono i campi di concentramento di patrioti; furono loro
che liberarono dal carcere la feccia del tradimento, i trotzkisti e tutti i
nemici, che il tempo ed i fatti avevano svelato, così come oggi la loro
attività di dissidenti sta dimostrando che sono ostili al socialismo
e svolgono il ruolo di agenti al servizio dei nemici capitalisti stranieri.
Furono i kruscioviani che, in segreto e in modo misterioso, "giudicarono"
e condannarono non solo i rivoluzionari sovietici, ma anche innumerevoli persone
di altri paesi. Nei miei appunti parlo di un incontro con i dirigenti sovietici.
fra cui Krusciov, Mikoian e Molotov. Dovendo allora Mikoian recarsi in Austria,
Molotov. scherzando, gli disse: "Stai attento a non combinare qualche "pasticcio"
in Austria come hai combinato in Ungheria". Presi la palla al balzo per
chiedere a Molotov: "Perché, è stato Mikoian a combinare
il "pasticcio" in Ungheria?". Mi rispose affermativamente, e
proseguì dicendo che se Mikoian dovesse recarvisi di nuovo lo impiccherebbero.
Mikoian, questo cosmopolita antimarxista camuffato rispose: "Se impiccano
me, dovranno impiccare anche Kadar". Ma anche se li avessero impiccati
tutt'e due i loro intrighi e la loro viltà nei confronti di un altro
paese rimarrebbero pur sempre contrari ad ogni morale.
All'inizio Krusciov, Mikoian e Suslov sostennero il complottatore Imre Nagy,
poi lo condannarono e lo mandarono segretamente davanti al plotone di esecuzione
in qualche parte in Romania! In base a quale diritto agirono in questo modo
con un cittadino straniero? Imre Nagy, pur essendo un cospiratore, doveva essere
sottoposto al giudizio del suo Stato e in nessun caso alla legge di un altro
Stato o al giudizio di un tribunale straniero. Stalin non si abbassava mai a
simili pratiche.
No, Stalin non agiva mai così. Ai suoi tempi. i processi contro i traditori
del partito e dello Stato sovietico venivano celebrati pubblicamente. I crimini
perpetrati dai traditori venivano portati a conoscenza del Partito e del popolo
sovietici. In nessuna delle azioni di Stalin si riscontrano pratiche simili
di stampo mafioso, come nel caso dei capifila revisionisti sovietici.
I revisionisti sovietici si sono serviti e si servono di simili metodi anche
nella lotta che essi si fanno fra loro, per il potere, esattamente come nei
paesi capitalisti. Krusciov si impadronì del potere con un putsch, e
con un putsch fu detronizzato da Breznev.
Breznev e compari si sbarazzarono di Krusciov per difendere la politica e l'ideologia
revisionista dal discredito e dalla denuncia di cui erano oggetto a causa dei
suoi comportamenti e delle sue azioni insensate, delle sue stravaganze e dei
suoi gesti poco opportuni. Breznev non rinnegò assolutamente il krusciovismo,
i rapporti e le decisioni del XX e del XXII Congresso, che sono un'incarnazione
di questa corrente. Breznev però si mostrò molto ingrato verso
Krusciov, che in precedenza aveva portato alle stelle, al punto che non gli
trovò, alla sua morte, nemmeno un posticino nelle mura del Cremlino per
deporvi le sue ceneri! D'altro canto, né i popoli sovietici, né
l'opinione pubblica mondiale furono mai informati delle vere ragioni del siluramento
di Krusciov. Ancora oggi la "causa principale" indicata nei documenti
ufficiali revisionisti è "la sua età avanzata e il deterioramento
del suo stato di salute"!!
Stalin non era assolutamente come i nemici del comunismo l'hanno accusato e
l'accusano tutt'ora di essere. Al contrario, egli era molto attaccato ai principi
e giusto. A seconda dei casi, egli sapeva aiutare o combattere coloro che commettevano
degli errori, sapeva sostenere, incoraggiare coloro che servivano fedelmente
il marxismo-leninisano e mettere in luce i loro meriti. E' noto il caso di Rokossovski
e di Zukov. Quando questi incorsero in errore, furono criticati e destituiti
sì, ma non allontanati come incorreggibili; al contrario, essi furono
premurosamente aiutati e, quando si ritenne che questi quadri si erano ravveduti,
Stalin li promosse marescialli; durante la Seconda Guerra mondiale assegnò
a loro incarichi estremamente importanti sui principali fronti della guerra
contro gli invasori hitleriani. Come Stalin poteva agire solo un dirigente che
aveva una chiara concezione della giustizia marxista-leninista nell'apprezzare
il lavoro degli uomini, con i loro meriti e i loro difetti, concezione che applicava
nella pratica.
Dopo la morte di Stalin, il maresciallo Zukov divenne lo strumento di Nikita
Krusciov e del suo gruppo; egli sostenne le azioni traditrici di quest'ultimo
nei confronti dell'Unione Sovietica, del Partito Bolscevico e di Stalin. Alla
fine, dopo aver ben spremuto Zukov come un limone, Krusciov stesso lo gettò
via. Allo stesso modo egli agì con Rokossovski e con molti altri quadri
principali.
Molti comunisti sovietici furono ingannati dalla demagogia del gruppo revisionista
kruscioviano e credettero che dopo la morte di Stalin, l'Unione Sovietica sarebbe
divenuta un paradiso, come strombazzavano allora i traditori revisionisti. Questi
dichiararono pomposamente che il comunismo sarebbe stato instaurato in Unione
Sovietica nel 1980! Ma in realtà che cosa accadde? Accadde precisamente
il contrario, e non poteva essere diversamente. I revisionisti presero il potere
non per far fiorire l'Unione Sovietica ma, come fecero effettivamente, per restaurarvi
il capitalismo, per sottometterla economicamente al capitale mondiale, per concludere
degli accordi segreti o palesi con l'imperialismo americano, per assoggettare,
sotto il manto dei trattati militari ed economici, i popoli dei paesi a democrazia
popolare, per mantenere questi Stati sotto il loro giogo e per crearsi degli
sbocchi e delle zone d'influenza nel mondo. Ecco di che pasta erano fatti i
kruscioviani, che utilizzarono la riuscita edificazione del socialismo in Unione
Sovietica e convogliarono questi successi su una via così nefanda, al
punto di creare una nuova classe della borghesia socialimperialista e fare del
loro paese una potenza imperialista mondiale, che, di concerto con gli Stati
Uniti, avrebbe dominato il mondo. Stalin aveva messo in guardia il partito contro
un simile pericolo. Lo stesso Krusciov ci confidò che Stalin aveva predetto
che essi avrebbero venduto l'Unione Sovietica all'imperialismo. E le cose andarono
proprio così; le sue previsioni si sono avverate.
I popoli del mondo, il proletariato mondiale, gli uomini assennati e di cuore
possono, nelle situazioni venutesi a creare, giudicare da sé della fondatezza
delle opinioni di Stalin. Solo considerandole da un ampio angolo visuale politico,
ideologico, economico e militare, essi possono vedere quanto era giusta la sua
linea marxista-leninista.
Ancora fino a ieri la borghesia e i revisionisti, falsificando con la loro propaganda
la storia, hanno annebbiato la mente degli uomini sull'attività di Stalin,
ma ora che questi hanno imparato a conoscere i kruscioviani, i titisti, i maoisti,
gli "eurocomunisti" e gli altri, ora che hanno visto di che pasta
erano fatti gli hitleriani e chi sono gli imperialisti americani e il capitalismo
mondiale, hanno capito anche perché si batteva Stalin, perché
si battevano i bolscevichi, perché si battono i proletari e i marxisti-leninisti
autentici e, d'altro canto, perché lottano i loro nemici, le correnti
al servizio del capitalismo, perché lottano i revisionisti. Tutti quelli
che credono che il comunismo ha fatto "fiasco" sono e saranno sempre
e immancabilmente delusi. Il tempo conferma ogni giorno di più che la
nostra dottrina vive e rimane onnipotente.
Apprezzando l'opera di Stalin nel suo complesso, ognuno può convincersi
della genialità e dello spirito comunista di questa insigne personalità,
che possedeva una statura tale che il mondo moderno raramente ne ha conosciuto
una simile.
La grande causa di Marx, Engels, Lenin e Stalin, la causa del socialismo e del
comunismo rappresentano il futuro del mondo.
Noi comunisti albanesi abbiamo attuato con successo gli insegnamenti di Stalin
innanzi tutto per avere un Partito forte, un Partito d'acciaio sempre fedele
al marxismo-leninismo e severo con i nemici di classe, ed abbiamo badato a preservare
l'unità di pensiero e di azione nel Partito e a rafforzare l'unità
fra Partito e popolo. Ci siamo ispirati agli insegnamenti di Stalin nell'opera
di costruzione dell'industria socialista, di collettivizzazione dell'agricoltura,
ed abbiamo riscosso grandi successi. Il nostro Partito e il nostro popolo proseguiranno
la lotta per rafforzare incessantemente la stretta alleanza tra la classe operaia
e le masse contadine, sotto la guida della classe operaia. Non ci lasceremo
mai ingannare dalle lusinghe e dalle astuzie dei nemici, interni e esterni,
ma proseguiremo la lotta di classe sia nel paese che fuori, e staremo sempre
in guardia verso le loro azioni malevoli. Se non avessimo dato prova di vigilanza,
se non avessimo applicato fedelmente gli insegnamenti di Marx, Engels, Lenin
e Stalin, l'Albania sarebbe sprofondata nel pantano del revisionismo moderno,
non sarebbe più indipendente e socialista, la dittatura del proletariato
non vi esisterebbe più, e il paese sarebbe stato asservito dalle potenze
imperialiste e revisioniste.
Il nostro Partito e il nostro popolo continueranno a marciare sulla via tracciata
da Karl Marx, da Friederich Engels, da Vladimir Ilich Lenin e da Giuseppe Stalin.
Le generazioni future dell'Albania socialista seguiranno fedelmente la linea
del loro amato Partito.
Gli albanesi, comunisti e patrioti senza partito, rendono omaggio con profondo
rispetto alla memoria del loro glorioso educatore Giuseppe Stalin. In occasione
del centenario della sua nascita, noi ricordiamo con devozione l'uomo che ci
ha prodigato il suo aiuto, che ci ha consentito di decuplicare le forze del
nostro popolo, ormai reso padrone assoluto dei suoi destini dal Partito. L’opera
di liberazione e di edificazione del socialismo nel nostro paese va attribuita
fra l'altro al sostegno internazionalista di Stalin. La sua ricca e preziosissima
esperienza ci è servita da guida nella nostra via e nella nostra azione.
In questo anno celebrativo, il nostro Partito sta svolgendo una vasta e incessante
attività per far conoscere ancor meglio la vita e l'opera di Giuseppe
Stalin, di questo glorioso e grande marxista-leninista. Tutta l'attività
del nostro Partito dalla sua fondazione ad oggi, è una testimonianza
di amore, di rispetto e di fedeltà verso la dottrina immortale dei nostri
grandi classici, e conseguentemente anche verso le idee di Giuseppe Stalin.
E così sarà da noi di generazione in generazione.
Quale militante del nostro Partito, come uno dei suoi dirigenti, che ha avuto
l'onore di essere inviato molte volte dal Partito ad incontrare il compagno
Stalin e ad intrattenersi con lui sui nostri problemi, sulla nostra situazione
e per sollecitare i suoi consigli e il suo aiuto, ho cercato di scrivere i miei
ricordi relativi a questi incontri, prendendo sin da allora degli appunti, secondo
le impressioni del momento, sull'atteggiamento di Stalin verso il rappresentante
di un piccolo partito e di un piccolo popolo come i nostri. Dando alle stampe
questi ricordi nella loro semplicità, sono mosso dal desiderio di aiutare,
per poco che sia, i nostri comunisti, i nostri lavoratori, la nostra gioventù,
a conoscere la figura di questo uomo grande e immortale.
In questo glorioso anniversario. m'inchino con rispetto e fedeltà davanti
al Partito e al popolo che mi hanno fatto nascere, che mi hanno cresciuto e
temprato, m’inchino davanti al ricordo di Giuseppe Stalin, che mi ha dato
tanti preziosi consigli per assicurare la felicità del mio popolo e che
ha lasciato nel mio cuore ricordi indelebili.
Per noi marxisti-leninisti, per gli innumerevoli simpatizzanti dei nobili ideali
della classe operaia nel mondo, questo centenario deve servire a rafforzare
l'unità combattiva delle nostre file.
Ora, in occasione della celebrazione di questo grande anniversario della nascita
di Stalin, è giunto il momento opportuno per la gente onesta dovunque
nel mondo di riflettere e trovare la giusta via, per dissipare la nebbia che
la borghesia capitalista e quella revisionista hanno creato nelle menti allo
scopo dì affievolire lo slancio rivoluzionario e di appannare le idee
rivoluzionarie delle masse. Il pensiero e l'azione rivoluzionari condurranno
gli uomini di buona volontà, gli uomini giusti, gli uomini dei popolo
sulla via della loro salvezza dal giogo del capitale.
Celebrando la memoria di Stalin e la sua opera nel centenario della sua nascita,
noi marxisti-leninisti non possiamo non rivolgerci ai popoli dell'Unione Sovietica
e dire loro in tutta sincerità e apertamente:
Voi che con il nome di Stalin sulle labbra avete attaccato e vinto i nemici
più pericolosi dell’umanità, che intendete fare, tacere
forse in occasione di questo grande anniversario?.
I revisionisti kruscioviani, che ne hanno dette di tutti i colori contro Stalin,
non potendo lasciare totalmente nell'ombra il suo nome e la sua brillante opera,
scriveranno forse qualche parola sbiadita su di lui. Ma spetta a voi, che avete
fatto la Grande Rivoluzione d'Ottobre, di ricordare con profondo rispetto la
vostra guida illuminata. Voi dovete abbattere il regime dittatoriale fascista,
che si nasconde dietro slogans ingannatori. Voi dovete sapere che coloro che
vi fanno da guida sono fascisti, sciovinisti e imperialisti. Vi stanno preparando
come carne da cannone per una guerra imperialista accanita, per massacrare i
popoli e mettere a fuoco e a sangue i paesi che fondavano grandi speranze sulla
patria di Lenin e Stalin. I popoli del mondo non vogliono vedervi in questo
ruolo. Se continuerete a comportarvi in questo modo, essi non potranno più
rispettarvi, ma vi odieranno.
I popoli del mondo odiano i vostri attuali governanti controrivoluzionari, poiché
le armi atomiche che fabbricano, le sfilate nella Piazza Rossa e le manovre
militari che organizzano sono divenute una minaccia per i popoli e la loro libertà,
allo stesso modo di quelle dell'imperialismo americano e del capitalismo mondiale.
Le armi e l'esercito in Unione Sovietica non sono più in mano dei popoli
sovietici, non servono più alla liberazione del proletariato mondiale,
ma sono invece destinate ad opprimere i popoli sovietici e gli altri popoli.
Voi dovete comprendere e convincervi che da parecchio tempo i nemici vi hanno
allontanato dalla via della rivoluzione. I revisionisti kruscioviani si sforzano
di suscitare in voi il sentimento dell'arroganza e della superiorità
nei confronti degli altri. Pretendono di utilizzare la vostra grande forza per
combattere l'imperialismo americano e il capitalismo mondiale, ma questa è
una pretesa falsa. I vostri governanti sono in contrasto e allo stesso tempo
in alleanza con l'imperialismo americano e il capitalismo mondiale, e ciò
non per gli interessi della rivoluzione, ma perché spinti dalle loro
ambizioni e dalle loro bramosie imperialiste per la spartizione delle sfere
d'influenza e per il dominio dei popoli.
I popoli del mondo si preoccupano di sapere se voi, i figli, i nipoti e i pronipoti
dei gloriosi combattenti che hanno fatto la Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre,
voi, proletari, colcosiani, soldati e intellettuali sovietici, proseguirete
su questa via ostile ai popoli, in cui vi hanno cacciato i vostri oppressori,
oppure, con il nome di Lenin e di Stalin sulle labbra, insorgerete nella lotta
e vi lancerete all'attacco sulla via della rivoluzione. Il mondo desidera e
auspica che voi marciate sulla via della rivoluzione e che procediate sempre
avanti gridando come i vostri padri: "Za Lenin!", "Za Stalin!",
per il vero socialismo e contro l'imperialismo, il socialimperialismo e il revisionismo.
La vostra direzione traditrice non vi dice la verità sulle sofferenze
degli altri popoli, i figli dei quali si fanno uccidere per le strade nelle
manifestazioni contro gli imperialisti e i capitalisti sanguinari. Non vi dice
la vera ragione del perché in Iran il popolo assetato di libertà
e di indipendenza si è sollevato ed ha rovesciato lo scià tiranno,
lo strumento degli imperialisti americani. La cricca revisionista kruscioviana
vi mantiene nell'ignoranza a proposito delle sofferenze dei popoli arabi, dei
popoli del continente americano e di tutti gli altri continenti, poiché
queste sofferenze sono loro cagionate proprio dall'imperialismo e dai vostri
dirigenti traditori. Essi non vi dicono nulla sul modo in cui i popoli dell'Africa
sono oppressi dai vostri uomini e dai loro vassalli, voi siete all'oscuro degli
intrighi che i nuovi zar del Cremlino ordiscono nel mondo, non vi dicono che
gli amici dei kruscioviani, gli amici della vostra direzione, ai quali Nikita
Krusciov ed i suoi seguaci con alla testa Breznev hanno aperto la via del tradimento,
fanno causa comune con i capitalisti a scapito della classe operaia e degli
interessi dei loro popoli. Voi ignorate anche molte cose sulla maniera in cui
la gente onesta soffre e viene schernita nel vostro paese, poiché la
banda che vi opprime mantiene il silenzio a questo proposito.
Voi dovete sapere che i popoli si sono impegnati nella rivoluzione, che si battono
eroicamente, mentre voi, che siete una grande potenza, siete oppressi, dileggiati
e costretti all'inattività.
Una banda di oppressori ha convertito il vostro paese in una potenza socialimperialista.
La rivoluzione, che ci hanno insegnato Marx, Engels, Lenin e Stalin, è
la via della salvezza. Breznev, Kossighin. Ustinov e Yakuboski, così
come i Solgenizin e i Sakharov, sono dei controrivoluzionari e in quanto tali
vanno rovesciati e liquidati.
Voi siete una grande potenza, ma dovete ritrovare la fiducia del proletariato
mondiale, la fiducia dei popoli del mondo, quella grande fiducia che Lenin e
Stalin si erano acquistati con il loro impegno e la loro lotta. Voi dovete senza
indugio riflettere profondamente sul vostro futuro e su quello dell'umanità.
E' suonata per voi l'ora di ridivenire quello che eravate al tempo di Lenin
e Stalin, questi gloriosi militanti della rivoluzione proletaria; non dovete
quindi più sopportare il giogo dei nemici della rivoluzione e dei popoli,
dei nemici della libertà e dell'indipendenza degli Stati. Non dovete
diventare gli strumenti di un imperialismo, che cerca di asservire i popoli,
servendosi a tal fine dei leninismo come di una maschera.
Se voi seguirete la via della rivoluzione e del marxismo-leninismo, se voi stabilirete
stretti legami con il proletariato mondiale, allora l'imperialismo americano
e in generale il capitalismo in fase di imputridimento saranno scossi dalle
fondamenta, il mondo muterà volto, il socialismo vincerà.
A voi popoli sovietici, operai, colcosiani, soldati sovietici, incombono grandi
responsabilità e compiti rilevanti verso l'umanità. Per assolverli
in modo onorevole, voi dovrete scuotere il giogo della barbara cricca che grava
attualmente sul vecchio e glorioso Partito Bolscevico di Lenin e Stalin e su
di voi.
Il partito, da voi, non è più un partito marxista-leninista. Voi
dovete edificare, attraverso la lotta, un nuovo partito di tipo leninista e
staliniano. Dovete rendervi conto che l'Unione Sovietica non costituisce più
un insieme di popoli uniti nella libertà, che vivono in totale armonia
fra loro. E' stato il bolscevismo a creare l'unione fraterna dei popoli dell'Unione
Sovietica. Il revisionismo invece ha fatto il contrario, ha diviso i popoli
del vostro paese, ha stimolato lo sciovinismo in ogni repubblica, attizzando
l'ostilità fra di esse e seminando negli altri popoli l'odio verso il
popolo russo, che aveva fatto loro da guida nella rivoluzione sotto la direzione
di Lenin e di Stalin.
Acconsentirete ad essere scherniti ancora da questa gente? Vorrete permettere
ancora che nel vostro paese sia ulteriormente approfondito, sulla scia dei revisionisti,
il processo di imborghesimento in tutti i campi? Accetterete voi il giogo di
un nuovo capitale, dissimulato sotto il manto del socialismo?
Noi, i comunisti e il popolo albanesi, come pure tutti i comunisti e i popoli
amanti della libertà nel mondo, abbiamo nutrito un grande affetto per
la vera Unione Sovietica socialista dell'epoca di Lenin e di Stalin. Noi procediamo
risolutamente sulla via tracciata da Lenin e Stalin, abbiamo fiducia nelle grandi
forze rivoluzionarie dei popoli sovietici, del proletariato sovietico; perciò
siamo convinti che questa forza gradualmente si manifesterà e che essa,
con la sua lotta e a prezzo di sacrifici, si eleverà all'altezza delle
esigenze dell'epoca e distruggerà dalle fondamenta il socialimperialismo
sovietico.
La rivoluzione e i sacrifici, lungi dall'indebolire il vostro paese, faranno
invece rinascere la vera Unione Sovietica socialista. La dittatura socialimperialista
verrà abbattuta e l'Unione Sovietica moltiplicherà cosi le sue
forze. In questa gloriosa opera voi sarete sostenuti da tutti i popoli del mondo,
dal proletariato mondiale. E' in questo capovolgimento rivoluzionario che si
esprimono con forza le idee del socialismo e del comunismo e non nelle frasi
vuote e nelle azioni malvagie della cricca che vi opprime. Solo così,
procedendo su questa via, i veri comunisti, i marxisti-leninisti ovunque nel
mondo, saranno in grado di vincere l'imperialismo e il capitalismo mondiale.
Essi aiuteranno i popoli del mondo a liberarsi l'uno dopo l'altro, aiuteranno
la grande Cina a ritrovare la via del vero socialismo affinché non diventi
una grande potenza che opprime anch'essa il mondo né un terzo partner
nelle guerre di rapina che stanno preparando l'imperialismo americano, il socialimperialismo
sovietico e la cricca di Hua Guofeng e Deng Xiaoping, attualmente al potere
in Cina.
Noi, comunisti albanesi, da fedeli discepoli di Lenin e Stalin e da soldati
della rivoluzione, vi invitiamo, in questo glorioso anniversario, a riflettere
su questi problemi di grande rilevanza per voi e per il mondo intero, poiché
siamo i vostri fratelli, i vostri compagni nella lotta per la causa della rivoluzione
proletaria e della liberazione dei popoli. Se voi procederete sulla via della
guerra imperialista di rapina, in cui vi conducono i vostri dirigenti rinnegati,
senza dubbio noi continueremo ad essere i nemici dei vostro sistema e delle
vostre azioni controrivoluzionarie. Questo è chiaro come la luce del
giorno. E non può essere diversamente.
Quando siamo convinti di essere nel giusto, noi comunisti albanesi, che siamo
legati al popolo come la carne all'unghia, non ci lasciamo fermare da nessuna
bufera, per quanto violenta sia. E siamo convinti che supereremo le bufere,
come le avrebbero superate il Partito dei bolscevichi e il potere dei Soviet,
come le avrebbero superate Lenin e Stalin, questi grandi condottieri della rivoluzione.
RICORDI
tratti dai miei incontri con
Stalin
IL PRIMO INCONTRO
Luglio 1947
La situazione esterna della RP d'Albania. I rapporti con gli Stati confinanti
e gli angloamericani. L'incidente del canale di Corfù - Alla Corte dell'Aia.
La situazione politica, economica, sociale e di classe in Albania. Stalin mostra
un grande interesse per il nostro paese, per il nostro popolo e per il nostro
Partito, e li stima molto. "Non è logico che un partito al potere
resti nella clandestinità". "Il vostro Partito Comunista si
potrebbe chiamare Partito del Lavoro".
Il 14 luglio 1947 giunsi a Mosca a capo della prima delegazione ufficiale del
Governo della Repubblica Popolare e del Partito Comunista d'Albania per una
visita di amicizia in Unione Sovietica.
L'idea di incontrare il grande Stalin suscitava una gioia indicibile nei miei
compagni e in me, che eravamo stati designati dal Comitato Centrale del Partito
per questa visita a Mosca. Non avevamo mai cessato di sognare giorno e notte,
da quando eravamo stati iniziati alla teoria marxista-leninista, di incontrare
Stalin. E tale desiderio era andato crescendo nel corso della nostra lotta antifascista
di liberazione nazionale. Dopo le insigni figure di Marx, Engels e Lenin, quella
del compagno Stalin ci era estremamente cara e noi nutrivamo nei suoi riguardi
un illimitato rispetto, poiché i suoi insegnamenti ci erano serviti come
guida nella fondazione dei Partito Comunista d'Albania, quale partito di tipo
leninista, ed erano stati per noi fonte di ispirazione durante la Lotta di liberazione
nazionale e restano sempre preziosi ora nella costruzione del socialismo.
Le nostre conversazioni con Stalin e i suoi consigli ci avrebbero fatto da guida
nell'arduo ed immenso lavoro che stavamo facendo per il consolidamento delle
vittorie conseguite .
Proprio per tali motivi la nostra prima visita in Unione Sovietica suscitava
un'indicibile gioia, una soddisfazione enorme non solo tra i comunisti e in
noi stessi, membri della delegazione, ma anche in tutto il popolo albanese,
che l'aspettava con impazienza e che l'approvò con grande entusiasmo.
Stalin e il Governo sovietico, come vedemmo con i nostri occhi e sentimmo nei
nostri cuori, accolsero la nostra delegazione con grande cordialità,
calore e affetto. Durante i dodici giorni del nostro soggiorno a Mosca, incontrammo
Stalin a più riprese ed i colloqui che avemmo con lui, come pure le sue
raccomandazioni ed i suoi consigli sinceri e amichevoli, sono rimasti e rimarranno
per sempre preziosi.
Conserverò del giorno del mio primo incontro con Giuseppe Vissarionovich
Stalin un ricordo indimenticabile. Era il 16 luglio 1947: ci trovavamo a Mosca
da tre giorni. Sin dall'inizio fu una giornata straordinaria. In mattinata ci
recammo al Mausoleo del grande Lenin per inchinarci davanti alla sua salma e
rendere un deferente omaggio al grande e geniale dirigente della rivoluzione,
a quest'uomo il cui nome e la cui opera colossale erano profondamente incisi
nelle nostre menti e nei nostri cuori e che ci avevano illuminati e ci illuminavano
sulla gloriosa via della lotta per la libertà, della rivoluzione e del
socialismo. A nome del popolo albanese, del nostro Partito Comunista e a mio
nome personale deposi in quest'occasione una corona di fiori ai piedi del Mausoleo
dell'immortale Lenin. Poi, dopo aver visitato le tombe dei valorosi combattenti
della Rivoluzione Socialista d'Ottobre, quelle degli insigni militanti del Partito
Bolscevico e dello Stato Sovietico, ai piedi delle mura del Cremlino, ci recammo
al Museo centrale di Vladimir Ilich Lenin. Occorsero più di due ore per
visitare tutte le sale, per guardare da vicino i documenti e gli oggetti che
vi erano esposti e che illustravano in dettaglio la vita e l'insigne opera del
grande Lenin. Prima di uscire, nel Libro delle impressioni scrissi fra l'altro
queste parole: "La causa di Lenin resterà immortale fra le generazioni
future. Il suo ricordo vivrà per sempre nel cuore del popolo albanese".
Quello stesso giorno, ricco di impressioni e di indelebili emozioni, noi fummo
ricevuti dal discepolo e fedele continuatore dell'opera di Lenin, da Giuseppe
Vissarionovich Stalin, che si intrattenne a lungo con noi.
Sin dall'inizio egli creò intorno a noi un'atmosfera così amichevole
che ben presto ci sentimmo liberati da quel senso di naturale emozione che provammo
entrando nel suo studio, una grande sala con un tavolo da riunioni, vicino al
quale c'era un altro tavolo da lavoro. Appena qualche minuto dopo lo scambio
delle prime parole, eravamo così distesi che ci sembrava di conversare
non con il grande Stalin, ma con un vecchio amico con il quale ci eravamo già
intrattenuti parecchie volte. Oltre che essere allora relativamente giovane,
ero il rappresentante di un piccolo partito e di un piccolo popolo. E' per questo
che Stalin, al fine di crearmi un'atmosfera la più calorosa e amichevole
possibile, accompagnava il suo discorso con battute; poi si mise a parlare con
grande amore e profondo rispetto del nostro popolo, delle sue antiche tradizioni
combattenti e dei suo eroismo nella Lotta di liberazione nazionale. Parlava
con calma, in tono pacato e con un calore particolarmente comunicativo.
Il compagno Stalin mi disse fra l'altro che provava una profonda simpatia per
il nostro popolo, questo antichissimo popolo dei Balcani con una lunga storia
fatta di atti di valore.
- Conosco soprattutto l'eroismo di cui il popolo albanese ha dato prova nel
corso della sua Lotta di liberazione nazionale, proseguì, ma tale conoscenza
non è sufficientemente vasta e profonda; perciò vorrei sentirvi
discorrere un po' del vostro paese, del vostro popolo e dei problemi che vi
preoccupano oggi.
Presi quindi la parola e descrissi al compagno Stalin la lunga e gloriosa via
percorsa dal nostro popolo nella sua storia, le sue incessanti lotte per la
libertà e l'indipendenza. Mi soffermai particolarmente sul periodo della
nostra Lotta di liberazione nazionale, gli parlai della fondazione del nostro
Partito Comunista, quale partito di tipo leninista, del ruolo decisivo da esso
svolto in quanto unica forza dirigente nella lotta, come pure degli sforzi del
popolo albanese per conquistare la libertà e l'indipendenza della patria,
per rovesciare il vecchio potere feudale-borghese, per instaurare il nuovo potere
popolare; un ruolo che esso continua a svolgere al fine di condurre il paese
con successo verso profonde trasformazioni socialiste. In quest'occasione ringraziai
ancora una volta il compagno Stalin e gli espressi la profonda gratitudine dei
comunisti e dell'intero popolo albanese per il caloroso appoggio che il Partito
Comunista dell'Unione Sovietica, il Governo sovietico e lui stesso avevano dato
al nostro popolo e al nostro Partito sia durante la guerra che dopo la liberazione
della patria.
Proseguendo parlai al compagno Stalin delle profonde trasformazioni politiche,
economiche e sociali che erano state compiute e che erano in corso di realizzazione
passo dopo passo durante i primi anni di potere popolare. "La situazione
interna sul piano politico ed economico in Albania, gli dissi fra l'altro, conosce
miglioramenti evidenti. Questi sono dovuti alla giusta comprensione della necessità
di sormontare le difficoltà e ai grandi sforzi del popolo e del Partito
per superarle con il loro instancabile lavoro. Il nostro popolo è deciso
a procedere sulla sua via ed ha un'incrollabile fiducia nel Partito Comunista,
nel Governo della nostra Repubblica popolare, nelle sue forze costruttive, nei
suoi sinceri amici e, animato di un alto spirito di mobilitazione, di abnegazione
e di entusiasmo, egli assolve ogni giorno i compiti che gli incombono.
Il compagno Stalin si rallegrò dei successi del nostro popolo e del nostro
Partito nella loro opera di costruzione e chiese poi che gli parlassi un po’
più a lungo della situazione delle classi nel nostro paese. Voleva soprattutto
sapere qual'era la situazione della classe operaia e delle nostre masse contadine.
Mi rivolse una serie di domande a proposito di queste due classi della nostra
società; ci scambiammo in merito a queste classi un buon numero di idee
che ci sarebbero state utili in seguito per svolgere un solido lavoro in seno
alla classe operaia e ai contadini poveri e medi, ed anche per definire i nostri
atteggiamenti nei confronti degli elementi agiati nelle città e dei kulak
nelle campagne.
- La schiacciante maggioranza della nostra popolazione, dissi fra l'altro al
compagno Stalin in risposta al e sue domande, è costituita da contadini
poveri e poi da contadini medi. La nostra classe operaia è numericamente
esigua; da noi vi è anche un certo numero di piccoli artigiani, dei cittadini
che si occupano di commercio al minuto e una minoranza di intellettuali. Tutte
queste masse di lavoratori hanno risposto all'appello del nostro Partito Comunista,
si sono mobilitate nella lotta per la liberazione della patria e oggi sono strettamente
legate con il Partito e il potere popolare.
- Vanta la classe operaia albanese delle tradizioni nella lotta di classe? -
chiese il compagno Stalin.
- Prima della liberazione del paese, risposi, questa classe era numericamente
molto esigua; era stata appena creata ed era composta di un certo numero di
operai salariati, di apprendisti o di artigiani sparpagliati in piccole botteghe
e aziende. Un tempo, in alcune città del paese, gli operai scendevano
in scioperi, ma si trattava di movimenti isolati e di scarsa entità,
e ciò sia per il numero esiguo degli operai che per la mancanza di una
loro organizzazione in sindacati. Nonostante ciò, spiegai al compagno
Stalin, il nostro Partito Comunista è stato fondato come un partito della
classe operaia che si ispirava all'ideologia marxista-leninista e che esprimeva
e difendeva gli interessi del proletariato e delle vaste masse lavoratrici,
innanzi tutto quelli delle masse contadine albanesi, che costituivano la maggior
parte della nostra popolazione.
Il compagno Stalin espresse il desiderio di essere informato della situazione
dei contadini poveri e medi nel nostro paese.
Rispondendo alle sue domande, lo misi al corrente della politica seguita del
nostro Partito sin dalla sua fondazione, dell'importante lavoro svolto da esso
sotto tutti gli aspetti per appoggiarsi sulle masse contadine e guadagnarsi
la loro simpatia.
- Abbiamo agito in tal modo, dissi, non solo perché partivamo dal principio
marxista-leninista secondo cui le masse contadine sono le alleate più
vicine e più naturali del proletariato nella rivoluzione, ma, anche per
il fatto che in Albania i contadini costituiscono la stragrande maggioranza
della popolazione; questi si sono caratterizzati nei secoli per le brillanti
tradizioni patriottiche e rivoluzionarie. - Poi riferii al compagno Stalin della
condizione economica di questi contadini prima della liberazione e del loro
livello culturale e tecnico. Pur ponendo l'accento sulle alte qualità
dei nostri contadini, come gente patriota, operosa, strettamente attaccata alla
terra e alla patria, assetata di libertà e di progresso, gli parlai anche
delle sopravvivenze accentuate del passato e del ritardo economico e culturale
delle nostre
masse contadine, nonché della mentalità piccolo borghese coltivata
nella loro coscienza. "Il nostro Partito, sottolineai, ha dovuto lottare
con tutte le sue forze contro questo stato di cose ed abbiamo conseguito dei
successi in tal senso, ma ciò nondimeno siamo consci del fatto che dobbiamo
lavorare di più e con maggior impegno per far prendere coscienza ai contadini
e indurli ad abbracciare la linea del Partito ed applicarla ad ogni passo".
Prendendo la parola, il compagno Stalin disse che all'inizio i contadini, in
genere, temono molto il comunismo, pensano che i comunisti li priveranno della
terra e di tutti i loro beni. "I nemici, proseguì, si adoperano
in tutti i modi per convincere i contadini alle loro idee così che si
allontanino dall'alleanza con la classe operaia, dalla politica del Partito
e dalla via del socialismo. Da qui la grandissima importanza del lavoro accurato
e lungimirante che il Partito Comunista deve compiere con i contadini, come
avete detto voi stesso, affinché questi si leghino in modo indissolubile
al Partito e alla classe operaia".
Colsi l'occasione e descrissi in linee generali al compagno Stalin la struttura
sociale del nostro Partito, gli spiegai che tale struttura rispondeva in pieno
alla stessa struttura sociale del nostro popolo. "Ecco la ragione perché
attualmente, dissi, i comunisti di estrazione contadina costituiscono la maggioranza
degli iscritti. La politica del nostro Partito in questa direzione consiste
nell'accrescere passo dopo passo, parallelamente alla crescita della classe
operaia, il numero dei suoi membri di condizione operaia".
Apprezzando la giusta politica attuata dal nostro Partito verso le masse in
generale, e in particolare verso le masse contadine, il compagno Stalin ci diede
amichevolmente una serie di consigli utili per il nostro lavoro futuro. Ci suggerì
fra l'altro di dare al nostro Partito Comunista il nome di "Partito del
Lavoro d'Albania", dato che la maggior parte dei suoi membri erano di origine
contadina. "Comunque, egli osservò, questa è un'idea mia,
perché spetta a voi, al vostro Partito, dire l'ultima parola in merito".
Dopo aver ringraziato il compagno Stalin di questo suo prezioso suggerimento,
gli dissi:
- Sottoporremo questa vostra proposta al I Congresso del Partito* *( E' stato
tenuto dall'8 al 22 novembre 1948) che stiamo preparando e sono convinto che
sia la base del Partito che la sua direzione la troveranno saggia e l'approveranno.
- Poi esposi al compagno Stalin il nostro punto di vista sulla totale legalizzazione
del nostro Partito al suo I Congresso in preparazione.
- In realtà, gli dissi fra l'altro, il nostro Partito Comunista è
stato e resta l'unica forza dirigente di tutta la vita del paese; dal punto
di vista formale però esso si trova ancora in una situazione di semiclandestinità.
Non ci sembra affatto giusto prolungare questa situazione*.*( L11° Plenum
del CC del PCA, tenutosi dal 13 al 24 settembre 1948 e il I Congresso del PCA
decisero la totale e immediata legalizzazione del PCA. Il mantenimento del Partito
fino allora in uno stato di semiclandestinità fu ritenuto sia dal plenum
che dal Congresso un errore dovuto alle pressioni e all'influenza della direzione
trotzkista jugoslava; la quale, per scopi ben definiti, considerando il Fronte
come la principale forza dirigente del paese, cercava di far fondere il Partito
Comunista nel Fronte, di sottovalutare e di negare quindi il Partito comunista
stesso ed il suo ruolo dirigente sia nel Fronte che in tutta la vita del paese.)
- Giusto, giustissimo, rispose il compagno Stalin. Non è logico che un
partito al potere resti nella clandestinità, o lo si consideri illegale.
Passando ad altre questioni, relative alle nostre forze armate, spiegai al compagno
Stalin che il nostro esercito, uscito dalla lotta, era composto nella sua stragrande
maggioranza di contadini poveri, di giovani operai e di intellettuali delle
città.
I quadri dell'esercito, gli ufficiali che comandano, sono usciti anch'essi dalla
lotta ed è in guerra che hanno acquisito l'esperienza del comando.
Gli parlai inoltre degli istruttori sovietici che si trovavano da noi da qualche
tempo e gli chiesi di inviarcene ancora degli altri. "Siccome ci manca
la dovuta esperienza in materia, dissi, il livello del nostro lavoro politico
nell'esercito non è all'altezza richiesta, quindi la pregherei di prendere
in considerazione la questione e di aiutarci ad elevare il livello di questo
lavoro. Da noi ci sono anche degli istruttori jugoslavi, aggiunsi, e non posso
dire che sono sprovvisti di esperienza, ma, a dire il vero, la loro esperienza
è limitata. Anch'essi sono usciti da una grande lotta di liberazione
nazionale, ma malgrado ciò non sono all'altezza degli ufficiali sovietici".
Dopo avergli parlato del morale elevato del nostro esercito, della disciplina
e di una serie di altri problemi, domandai al compagno Stalin di designare un
compagno sovietico con il quale poter discutere più a lungo e in modo
più dettagliato dei problemi del nostro esercito e delle sue necessità
future.
Accennai poi al problema del rafforzamento del nostro litorale.
- In modo particolare dobbiamo rafforzare l'isola di Sazan, la fascia costiera
di Vlora e di Durrës, poiché si tratta di posizioni molto delicate.
E' proprio da qui che il nemico ci ha attaccato due volte. E forse di là
dovremo sostenere un attacco eventuale da parte degli angloamericani e degli
italiani.
- Per quanto riguarda il rafforzamento del vostro litorale, disse fra l'altro
il compagno Stalin, condivido la vostra opinione. Noi, da parte nostra, vi aiuteremo,
ma dovranno essere gli albanesi e non i sovietici ad utilizzare le armi e gli
altri mezzi di difesa che vi forniremo. Siccome il meccanismo di alcuni di questi
mezzi è complicato, dovreste inviare i vostri uomini qui da noi ad impararne
l'uso.
Circa la richiesta di invio di istruttori politici presso il nostro esercito,
il compagno Stalin mi spiegò che essi non potevano più continuare
a farlo perché, per compiere un lavoro utile, questi istruttori innanzi
tutto dovevano conoscere bene la lingua albanese, la situazione interna e la
vita del popolo albanese. "Perciò sarebbe meglio, egli disse, che
foste voi ad inviare i vostri uomini in Unione Sovietica per acquisire la nostra
esperienza in materia e poi applicarla nelle strutture dell’esercito popolare
albanese".
Poi il compagno Stalin volle essere informato delle attività della reazione
interna in Albania e del nostro atteggiamento nei suoi confronti.
- La reazione interna. risposi. l'abbiamo colpita e continueremo a colpirla
duramente. Abbiamo ottenuto dei successi nella lotta volta a smascherarla e
a schiacciarla. Quanto alla liquidazione fisica dei nemici, questa è
stata realizzata sia nel corso degli scontri diretti fra le nostre forze e le
bande armate dei criminali, sia eseguendo le sentenze emesse dai tribunali popolari
alla fine dei processi contro i traditori ed i stretti collaboratori degli occupanti.
Nonostante i successi conseguiti in questa direzione, non possiamo dire che
la reazione interna se ne stia con le braccia conserte. Non è certo in
grado di organizzarsi per colpirci pericolosamente, nondimeno continua la sua
propaganda contro di noi.
"Il nemico esterno appoggia il nemico interno al fine di realizzare i propri
obiettivi. La reazione esterna si sforza di aiutare, di incoraggiare e di organizzare
i nemici interni tramite i suoi agenti introdotti nel paese per via terra e
dal cielo. Di fronte ai tentativi del nemico, abbiamo maggiormente acuito la
vigilanza delle masse lavoratrici. Il popolo ha catturato questi agenti e li
ha deferiti alla giustizia. I processi celebrati e le condanne pronunciate pubblicamente
hanno prodotto un notevole effetto educativo fra la popolazione, hanno rafforzato
la sua fiducia nella forza e nello spirito di giustizia del nostro potere popolare,
e il suo rispetto verso di esso. Allo stesso tempo questi processi hanno smascherato
e demoralizzato le forze reazionarie interne ed esterne".
Proseguendo questo colloquio con il compagno Stalin, trattammo a lungo i problemi
della situazione internazionale e in particolare i rapporti del nostro Stato
con i paesi vicini. Anzitutto feci un'esposizione della situazione alle nostre
frontiere, gli parlai dei rapporti che intrattenevamo con la Repubblica Federativa
Popolare di Jugoslavia, soffermandomi però in modo particolare sui nostri
rapporti con la Grecia al fine di spiegargli la situazione alla nostra frontiera
meridionale. Sottolineai che i monarco-fascisti greci, non essendo riusciti
a realizzare il loro sogno della "megale idea" ("grande idea")
- quella cioè di annettersi l'Albania meridionale, continuavano le loro
innumerevoli provocazioni alle nostre frontiere. "Il loro obiettivo, dissi
al compagno Stalin, è di provocare un conflitto alle nostre frontiere
e di creare, ancor prima che la guerra sia conclusa, una situazione tesa nei
rapporti fra la Grecia e noi". Gli spiegai che dal canto nostro ci sforzavamo,
nei limiti del possibile, di evitare le provocazioni dei monarco-fascisti greci,
di non rispondere alle loro provocazioni. Solo quando, ogni tanto, colmano la
misura e uccidono i nostri uomini, noi prendiamo delle contromisure e rispondiamo
al fuoco per far capire a questa gente che l'Albania e i suoi confini sono inviolabili.
Se intendono intraprendere delle azioni pericolose contro l'indipendenza dell'Albania,
ebbene sappiano che noi siamo capaci di difendere la nostra patria.
"Nei loro disegni e nei loro tentativi di riversare sull'Albania la responsabilità
della guerra civile che è scoppiata in Grecia, di screditare il nostro
potere popolare nelle riunioni del Consiglio di Sicurezza e delle altre conferenze
internazionali, i monarco-fascisti sono incoraggiati e sostenuti dalle potenze
imperialiste". Dopo aver lungamente spiegato queste situazioni a Stalin,
lo informai nelle linee generali dei nostri atteggiamenti alla commissione d'inchiesta
e alle sottocommissioni appositamente istituite per esaminare i rapporti tesi
fra l'Albania e la Grecia.
Riferii al compagno Stalin tutto quello che sapevamo sulla situazione dei democratici
greci, poi gli parlai anche del nostro sostegno alla loro giusta lotta. Non
mancai di esprimergli apertamente la nostra posizione su una serie di punti
di vista dei compagni del Partito comunista di Grecia, che ci sembravano errati.
Ugualmente gli espressi il mio parere sulle prospettive della lotta dei democratici
greci.
Sebbene il compagno Stalin fosse stato sicuramente informato dai compagni Molotov,
Viscinski ed altri degli atteggiamenti brutali e infami degli imperialisti americani
e inglesi verso l'Albania* *( Cfr. Enver Hoxha: -I1 pericolo angloamericano
in Albania(Memorie). Edizioni -8 Nëntori-, Tirana 1982, in italiano.),
non esitai a tornare sull'argomento, ponendo l'accento sulle loro posizioni
ostili ed anche brutali e subdole verso di noi alla Conferenza di Parigi. Al
tempo stesso gli feci notare che la situazione nei nostri rapporti con gli angloamericani
non era cambiata in nulla, che noi consideravamo sempre minaccioso il loro atteggiamento.
Non contenti di continuare una propaganda molto ostile contro l'Albania in campo
internazionale, gli angloamericani intraprendevano attraverso l'Italia e la
Grecia delle provocazioni per via terra e dal cielo, con l'aiuto di elementi
sovversivi albanesi, zoghisti, ballisti e fascisti in emigrazione e che avevano
raccolto, organizzato e addestrato nei campi di raccolta creati a tal fine in
Italia e altrove.
Accennai inoltre al problema del cosiddetto incidente di Corfù, che gli
imperialisti inglesi avevano portato davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU,
ed anche all'esame della Corte internazionale di giustizia dell'Aia. <<L’incidente
di Corfù, aggiunsi, è stato inventato di sana pianta dagli inglesi
a scopo di provocazione contro il nostro paese e per trovare un pretesto per
un eventuale intervento militare nella città di Saranda. Non siamo stati
noi a posare le mine nel mar Ionio. Quanto a quelle che sono scoppiate, o sono
state collocate dai tedeschi sin dal tempo della guerra, oppure sono stati gli
inglesi a farlo intenzionalmente affinché scoppiassero nel momento in
cui alcune delle loro navi avrebbero attraversato le nostre acque territoriali
al largo di Saranda. Non c'era nessuna ragione che queste navi passassero lungo
la nostra costa, tanto più che non ci avevano preavvisati.
Dopo lo scoppio delle mine, gli inglesi pretesero di aver subito dei danni materiali
e delle perdite umane. Cercavano quindi di gonfiare l'incidente. Non sappiamo
se gli inglesi abbiano veramente subito i danni di cui parlano, noi non ci crediamo.
Ma anche se le loro affermazioni fossero vere, noi non possiamo assolutamente
essere ritenuti responsabili dell'accaduto.
"Stiamo difendendo il nostro buon diritto presso la Corte internazionale
di giustizia dell'Aia; questo tribunale però è manipolato dagli
imperialisti angloamericani, che inventano le più svariate accuse per
coprire le loro provocazioni e costringerci ad indennizzare gli inglesi".
Parlai inoltre al compagno Stalin della Conferenza di Mosca*,*( Dal 10 marzo
al 24 aprile 1947 si riunì a Mosca la Conferenza dei ministri degli esteri
dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti, di Gran Bretagna e di Francia. Questa
Conferenza discusse questioni concernenti il Trattato di Pace con la Germania.
I rappresentanti dell'Unione Sovietica, Molotov e Viscinski, sostennero a questa
conferenza il diritto dell'Albania di partecipare alla Conferenza di Pace con
la Germania. Questa posizione fu ugualmente sostenuta dal rappresentante francese.
ma i rappresentanti della Gran Bretagna e degli Stati Uniti si opposero.) gli
esposi, con l'appoggio di argomenti, il nostro punto di vista sulla dottrina
Truman a proposito della Grecia e sulle ingerenze degli angloamericani negli
affari interni della Repubblica Popolare d'Albania; al tempo stesso gli spiegai
la nostra posizione nei confronti del piano Marshall, sottolineando che non
avremo accettato "aiuti" nel quadro di questo piano infame.
Discussi con il compagno Stalin anche il problema dell'estradizione dei criminali
di guerra, che erano fuggiti dal nostro paese. Noi chiedevamo, a buon diritto,
ai governi dei paesi che davano asilo a questi criminali, di consegnarceli affinché
rendessero conto al popolo dei loro crimini, benché fossimo convinti
che non avrebbero accondisceso mai a tale richiesta, poiché questi criminali
costituivano dei contingenti degli angloamericani e del fascismo in generale.
Illustrai inoltre al compagno Stalin il punto di vista del nostro Partito sui
rapporti del nostro paese con l'Italia. "Questo paese, dissi, ci ha attaccato
a due riprese. Ci ha messo a ferro e a fuoco, ma noi siamo marxisti, internazionalisti
e, in quanto tali, desideriamo intrattenere dei rapporti di amicizia con il
popolo italiano. L'attuale governo italiano, sottolineai, mantiene degli atteggiamenti
reazionari verso di noi; le sue mire verso il nostro paese non differiscono
da quelle dei precedenti governi italiani. Essendo sotto l'influenza degli angloamericani,
questo governo vorrebbe vedere l'Albania, in un modo o nell'altro, assoggettata
ai suoi interessi, cosa che non accadrà mai. E' a tal fine, proseguii,
che gli angloamericani, di concerto con il governo di Roma mantengono e addestrano
nel territorio italiano dei contingenti di fuorusciti, che vengono paracadutati
poi come agenti sovversivi in Albania. Pur cercando di gettare la pietra e nascondere
la mano, essi moltiplicano le loro attività ostili contro il nostro paese,
ma non ci è difficile indovinare quali sono le loro mire. Noi desideriamo
stabilire relazioni diplomatiche con questo paese, ma i governi italiani hanno
una concezione negativa del problema".
Dopo avermi ascoltato con la massima attenzione, Stalin disse che gli americani
e gli inglesi; indipendentemente dalle difficoltà e dagli ostacoli che
ci creavano, non potevano attaccarci nelle condizioni esistenti. "Di fronte
al vostro Atteggiamento risoluto, disse, non oseranno sbarcare sul vostro territorio,
quindi non c'è motivo di preoccuparsi; tuttavia dovete difendere la vostra
patria, prendere tutte le misure per rafforzare il vostro esercito e i vostri
confini, poiché esiste il pericolo di guerra da parte degli imperialisti.
-I monarco-fascisti greci, aggiunse, stimolati e incoraggiati dagli imperialisti
americani e inglesi, continueranno le loro provocazioni per crearvi degli ostacoli
e non lasciarvi in pace. Gli attuali governanti di Atene hanno in seno il germe
del male, poiché la guerra civile che si è scatenata nel loro
paese, è diretta contro di essi e contro i loro padroni inglesi e americani.
"Per quel che riguarda l'Italia, disse il compagno Stalin, le cose stanno
proprio come voi pensate. Gli angloamericani cercheranno di installarvi delle
basi, di organizzare la reazione e di rafforzare il governo De Gasperi. Dovete
stare molto attenti a questo riguardo e informarvi di quello che combinano là
i fuorusciti albanesi. Finché non saranno conclusi i trattati, la situazione
non può essere considerata normalizzata. A mio parere, per il momento
non dovete allacciare rapporti con questo paese, perciò non affrettatevi".
- Anche noi la pensiamo così, dissi al compagno Stalin, non dobbiamo
affrettare il passo nell'evoluzione dei nostri rapporti con l'Italia; perciò
intendiamo prendere, in genere, delle misure per rafforzare i nostri confini.
"Abbiamo avanzato agli jugoslavi, proseguii. la proposta di stabilire dei
contatti e cooperare per la difesa delle nostre frontiere contro un eventuale
attacco greco o italiano, ma essi non hanno risposto alla nostra proposta, e
ciò con il pretesto di voler discutere con noi la questione dopo averla
studiata. La collaborazione da noi proposta consiste nello scambio di informazioni
con gli jugoslavi sui pericoli che possono minacciarci ad opera dei nemici esterni,
affinché dentro le proprie frontiere e con il proprio esercito ognuno
possa prendere le adeguate misure atte a fronteggiare qualsiasi evenienza".
Inoltre lo informai che avevamo schierato due delle nostre divisioni lungo le
nostre frontiere meridionali.
D'altra parte, durante la conversazione sottolineai il fatto che alcuni aerei
jugoslavi erano atterrati all'aeroporto di Tirana contrariamente alle regole
conosciute in vigore nei rapporti fra gli Stati. "Di tanto in tanto, dissi,
i compagni jugoslavi si lasciano andare, senza avvisarci, ad azioni riprovevoli
di questo genere. Non è giusto che gli aerei jugoslavi sorvolino il territorio
albanese senza informare il nostro Governo. Abbiamo fatto rilevare queste violazioni
ai compagni jugoslavi, e questi hanno ammesso di aver sbagliato. Amicizia a
parte, non possiamo permettere loro di violare la nostra integrità territoriale.
Noi siamo degli Stati indipendenti è ciascuno di noi, senza pregiudicare
i nostri rapporti di amicizia, deve difendere la sua sovranità e i suoi
diritti, rispettando al tempo stesso la sovranità e i diritti dell'altro.
- Non è forse contento il vostro popolo dei rapporti che intrattenete
con la Jugoslavia? - mi chiese a quel punto il compagno Stalin. - E' un'ottima
cosa per voi avere un vicino come la Jugoslavia amica, poiché l'Albania
è un paese piccolo e, in quanto tale, ha bisogno di essere potentemente
appoggiato dai suoi amici.
Gli risposi che rispondeva a verità il fatto che ogni paese, piccolo
o grande, ha bisogno di amici e di alleati, e che noi consideravamo la Jugoslavia
un paese amico.
Discutemmo con il compagno Stalin e il compagno Molotov, fin nei minimi particolari,
dei problemi della ricostruzione del paese distrutto dalla guerra e dei problemi
della costruzione della nuova Albania. Tracciai loro un quadro della situazione
della nostra economia, delle prime trasformazioni socialiste in questo settore
e delle grandi prospettive che si schiudevano al paese, dei successi conseguiti,
dei grandi problemi e delle difficoltà che ci stavano di fronte.
Esprimendo la sua soddisfazione per i successi da noi ottenuti, Stalin mi faceva
ogni tanto le più svariate domande. Volle essere informato in particolare
della situazione della nostra agricoltura, delle condizioni climatiche del paese,
delle colture agricole tradizionali del nostro popolo, e così via.
- Quali sono i cereali che voi coltivate di più? - mi chiese.
- Innanzi tutto il mais, poi il grano, la segala...
- Il mais non teme la siccità?
- E' vero che la siccità ci provoca spesso dei gravi danni, risposi,
ma a causa dell'arretratezza della nostra agricoltura e dei nostri grandi bisogni
in cereali panificabili, il nostro contadino si è abituato a cavare qualcosa
di più dal mais che dal grano. Stiamo prendendo intanto delle misure
per creare una rete di canali di drenaggio e d'irrigazione, per prosciugare
le zone paludose e gli acquitrini del paese.
Stalin ascoltava le mie risposte, mi rivolgeva delle domande minuziose e spesso
interveniva nel discorso per darci consigli molto preziosi. Mi ricordo che nel
corso dei colloqui avuti con lui, mi chiese su quali basi era stata attuata
la Riforma agraria, qual'era la percentuale delle terre distribuite ai contadini
poveri e medi, se le istituzioni religiose erano state toccate da questa riforma,
e così via.
Parlando dell'aiuto che lo Stato a democrazia popolare dà alle masse
contadine e dei legami della classe operaia con queste, Stalin ci rivolse delle
domande circa i trattori; voleva sapere se avevamo in Albania delle stazioni
di macchine e di trattori e come le avevamo organizzate. Sentita la mia risposta,
si mise a svolgere tale questione e ci diede una serie di consigli utili.
- Voi, disse fra l'altro, dovete creare delle stazioni di macchine e di trattori,
rafforzarle e fare in modo che queste lavorino con i loro mezzi come si deve
non solo le terre delle cooperative e dei contadini, ma anche quelle dello Stato.
I trattoristi debbono essere posti al servizio delle masse contadine, conoscere
l'agricoltura, le colture, le terre, e tradurre in concreto le loro conoscenze
al fine di accrescere in ogni modo la produzione. Ciò è molto
importante, altrimenti si registreranno effetti negativi ovunque. Quando abbiamo
messo su le nostre prime stazioni di macchine e di trattori, proseguì,
i trattori lavoravano spesso la terra dei contadini, ciò nonostante la
produzione non cresceva. E ciò per il fatto che un buon trattorista deve
sapere non solo guidare il suo mezzo, ma anche essere un buon coltivatore che
sa in quale momento e in quale maniera va lavorata la terra.
"I trattoristi, prosegui Stalin, quali elementi della classe operaia, sono
in continuo, quotidiano e diretto contatto con i contadini. Debbono quindi impegnarsi
con tutta coscienza per temprare l'alleanza della loro classe con le masse contadine
lavoratrici".
L'attenzione con la quale Stalin seguiva le nostre spiegazioni sulla nuova economia
albanese e sulle vie del suo sviluppo, produssero una profonda impressione in
noi. Rilevai fra l'altro in lui, sia nel corso della discussione su questi problemi
che durante gli altri colloqui, un tratto meraviglioso: non si esprimeva mai
con un tono di comando, né cercava di imporre il suo pensiero. Egli parlava,
dava dei consigli, ed anche dei suggerimenti, accompagnandoli però sempre
con queste parole: "Questo è il mio parere personale", "questo
è il nostro parere. Quanto a voi, compagni, vedrete come stanno le cose
e deciderete sul da fare voi stessi a seconda della vostra situazione concreta,
in funzione delle vostre condizioni". Mostrava interesse per tutti i problemi.Mentre
parlavo della situazione dei trasporti e delle grandi difficoltà a cui
andavamo incontro in questo settore, Stalin mi chiese:
- Non so se in Albania costruite dei battelli?
- No.
- Avete o no dei pini?
- Sì, delle foreste intere.
- Allora, disse, voi possedete una buona base per costruire dei battelli per
il trasporto marittimo.
Poi mi domandò come si presentava in Albania la rete ferroviaria, che
moneta era in corso da noi, quali erano le nostre risorse minerarie; egli volle
sapere se le nostre miniere erano state sfruttate dagli italiani, e così
via.
Risposi a tutte le sue domande e Stalin concludendo la discussione, disse:
- Attualmente l'economia albanese è un'economia arretrata. Voi state
compiendo il primo passo in tutti i settori. Perciò compagni, parallelamente
alla vostra lotta e ai vostri sforzi, anche noi, dal canto nostro, vi aiuteremo
per quanto ci sarà possibile a raddrizzare la vostra economia e a rafforzare
il vostro esercito. Abbiamo esaminato le vostre richieste di aiuto, disse il
compagno Stalin, ed abbiamo concordato di soddisfarle tutte. Vi aiuteremo ad
equipaggiare la vostra industria e la vostra agricoltura con i mezzi necessari,
a rafforzare il vostro esercito, a sviluppare l'insegnamento e la cultura. Vi
forniremo a credito altre fabbriche e macchine che pagherete quando ne avrete
la possibilità. Quanto agli armamenti, vi saranno consegnati gratuitamente
e non avrete quindi niente da sborsare. Noi sappiamo bene che i vostri bisogni
sono di gran lunga maggiori, ma per il momento è tutto quello che siamo
in grado di fare, poiché noi stessi siamo ancora poveri a causa delle
distruzioni causateci dalla guerra.
"Nello stesso tempo, proseguì il compagno Stalin, noi vi aiuteremo
inviando nel vostro paese degli specialisti che contribuiranno ad accelerare
lo sviluppo dell'economia e della cultura albanesi. Per quanto riguarda il petrolio,
penso di inviarvi degli specialisti dell'Azerbaigian che sono dei maestri in
materia. Dal canto suo, l'Albania deve inviare in Unione Sovietica figli di
operai e di contadini affinché proseguano i loro studi e si istruiscano
per promuovere il progresso del loro paese".
Durante il nostro soggiorno a Mosca, dopo ogni incontro e colloquio con il compagno
Stalin, noi vedevamo sempre più da vicino in questo illustre rivoluzionario,
in questo grande marxista, l'uomo semplice, cordiale, savio, il vero uomo. Egli
amava il popolo sovietico con tutta la sua anima, gli consacrava tutte le sue
forze e le sue energie, il suo cuore batteva solo per lui. E questi tratti si
manifestavano in ogni colloquio, in ciascuna delle sue attività, dalle
più importanti fino alle più comuni.
Alcuni giorni dopo il nostro arrivo a Mosca, presenziai in compagnia di Stalin
e di altri dirigenti del Partito e dello Stato sovietici ad una manifestazione
ginnico-sportiva a livello nazionale che si svolse allo Stadio centrale di Mosca.
Con quanta passione egli segui la manifestazione! Per più di due ore
tenne gli occhi inchiodati sugli esercizi degli atleti e, malgrado la pioggia
che si mise a cadere verso la fine della manifestazione e le preghiere di Molotov
affinché lasciasse lo stadio, egli continuò a seguire con attenzione
fino alla fine lo spettacolo, a scherzare e a salutare con la mano. Mi ricordo
che per ultimo nel programma c'era un cross-country di massa. La corsa volgeva
al termine, gli atleti dovevano fare più volte il giro dello stadio,
quando ai piedi della tribuna centrale passò un atleta rimasto in coda.
Lungo e magro, egli avanzava a stento, le sue mani penzolavano avanti e indietro;
malgrado tutto, egli si accaniva a correre, grondante di pioggia. Stalin lo
guardava da lontano con un sorriso in cui traspariva la compassione e il calore
del padre:
"Millij mooj"*, *(In russo: "Mio caro") egli fece fra sé,
torna a casa, vai a riposarti e rimetterti un po'. Verrai un'altra volta! Ci
saranno altri cross ... ".
Il rispetto di Stalin e il suo grande amore per il nostro popolo, l'interesse
che manifestava per la storia e le usanze del popolo albanese, non si cancelleranno
mai dalla mia memoria. In uno dei nostri incontri di quei giorni, nel corso
della cena che Stalin offrì in onore della nostra delegazione, avemmo
insieme una discussione molto interessante sull'origine del popolo albanese
e la sua lingua.
- Quali sono le origini e la lingua del vostro popolo? - egli mi chiese fra
l'altro. Ha esso qualche legame con i Baschi? Non credo che il popolo albanese
sia venuto dalla lontana Asia, non è nemmeno di origine turca, poiché
gli albanesi sono più antichi dei Turchi. Forse il vostro popolo ha delle
origini comuni con gli Etruschi rimasti sulle vostre montagne, poiché
una parte di essi si insediarono in Italia dove furono assimilati dai Romani
ed altri andarono nella penisola iberica.
Dissi al compagno Stalin che il popolo albanese era di origine molto antica
e che l'albanese era una lingua indoeuropea. "Esistono numerose teorie
a tale proposito, ma la verità è che noi siamo di origine illirica.
Il nostro popolo discende quindi dagli Illiri. Esiste pure una tesi secondo
cui il popolo albanese è il popolo più antico dei Balcani e che
l'origine preomerica degli albanesi risale ai Pelasgi.
"La teoria dei Pelasgi, gli spiegai in seguito, è stata per un certo
tempo sostenuta da numerosi scienziati, in particolare dagli studiosi tedeschi.
Alcuni dei nostri studiosi, conosciuti come specialisti di Omero, sono giunti
alla stessa conclusione, e ciò basandosi su alcune parole impiegate nell'Iliade
e nell'Odissea e che ritroviamo anche nell'odierna lingua del popolo albanese,
come per esempio il vocabolo "gur" (pietra), ossia kamienj in russo.
Omero mette questa parola davanti al suo equivalente in greco, il che ci dà
"guri-petra". Basandosi su alcuni vocaboli come questo, tenendo conto
anche dell'Oracolo di Dodona, dell'etimologia delle parole nonché della
spiegazione filologica delle loro trasformazioni, questi scienziati sono giunti
alla conclusione che noi discendiamo dai Pelasgi, che hanno preceduto i Greci
nella penisola dei Balcani.
"Comunque sia, non ho mai inteso dire che gli Albanesi e i Baschi abbiano
un'origine comune, risposi al compagno Stalin. Può darsi che esista anche
quest'altra teoria cui avete accennato or ora e secondo la quale una parte degli
Etruschi sarebbe rimasta in Albania, un'altra si sarebbe separata da essi per
andare ad insediarsi in Italia, e che il resto infine si sarebbe trasferito
di là nella penisola iberica, in Spagna. Anche questa teoria ha forse
i suoi sostenitori, ma per quanto mi riguarda non ne sono al corrente".
A un certo punto Stalin mi disse:
- C'è da noi, nel Caucaso, una regione che si chiama Albania; ha forse
essa qualche rapporto con il vostro paese?
- Questo lo ignoravo, risposi; sta di fatto però che molti albanesi sono
stati costretti nel corso dei secoli, a causa della feroce occupazione ottomana,
degli attacchi e delle feroci crociate dei sultani e dei pascià ottomani,
ad abbandonare la loro patria per insediarsi in terra straniera, dove hanno
costituito interi villaggi. E' quel che è successo con le migliaia di
albanesi che hanno stabilito la loro dimora nell'Italia meridionale sin dal
sec. XV, in seguito alla morte del nostro Eroe nazionale, Skanderbeg; attualmente
zone intere di questo paese sono abitate dagli arbëresh d'Italia, i quali,
pur vivendo da quattro a cinque secoli in terra straniera, continuano a conservare
la loro lingua e gli antichi costumi dei loro avi. Allo stesso modo molti arbëresh
si sono stabiliti in Grecia, dove zone intere sono popolate da albanesi; altri
sono andati a stabilirsi in Turchia, in Romania, in Bulgaria, in America e altrove.
Ma per quanto riguarda la regione del Caucaso che si chiama "Albania",
gli dissi, non ne so nulla di concreto.
Stalin mi fece allora delle domande su una serie di parole albanesi. Voleva
sapere quali erano i termini impiegati per designare gli strumenti di lavoro,
gli articoli casalinghi e così via. Gli diedi la risposta in albanese
mentre lui, dopo avermi ascoltato con attenzione, ripeteva questi vocaboli,
li confrontava con i loro equivalenti nella lingua degli Albani del Caucaso.
Ogni tanto sollecitava il parere di Molotov e di Mikoian sull'argomento. Si
giunse alla conclusione che non esisteva alcuna similitudine nella radice delle
parole confrontate.
Allora Stalin premette un bottone e subito dopo entrò il generale addetto
alla sua persona; era alto di statura, estremamente premuroso e ci testimoniava
molta benevolenza e simpatia.
- Il compagno Enver Hoxha ed io stiamo cercando di risolvere un problema, ma
senza successo, disse Stalin al generale sorridendo. Entrate in contatto, vi
prego, con il professore... (e fece il nome di un illustre linguista e storico
sovietico, di cui non ricordo ora il nome) e chiedetegli da parte mia se c'è
qualche legame tra gli Albani del Caucaso e quelli di Albania.
Il generale uscì, mentre Stalin prese un’arancia, me la mostrò
e disse:
- In russo si chiama "apjelsin". E in albanese?
- " Portokall", risposi.
Egli confrontò di nuovo i due termini articolandoli, poi alzò
le spalle. Erano trascorsi appena dieci minuti quando il generale rientrò.
- Ho appena ricevuto la risposta del professore, disse. Egli afferma che non
vi è alcun dato che confermi l'esistenza di legami tra gli Albani del
Caucaso e quelli di Albania. Ma ha aggiunto che in Ucraina, nella zona di Odessa,
ci sono alcuni villaggi (sette circa) abitati da albanesi. Il professore dispone
di dati esaurienti sull'argomento.
Raccomandai subito al nostro ambasciatore a Mosca di fare in modo che alcuni
dei nostri studenti, che frequentavano la facoltà di storia in Unione
Sovietica, facessero il periodo di pratica in questi villaggi allo scopo di
chiarire come e quando questi albanesi si erano stabiliti ad Odessa, se conservavano
la lingua e le usanze dei loro avi, ecc.
Stalin, come sempre molto attento, ci ascoltò e mi disse:
- Molto bene, è un'ottima idea. Vadano pure i vostri studenti a fare
il loro tirocinio in questa regione, e insieme a loro anche alcuni dei nostri.
- Le scienze albanologiche, aggiunsi nel corso di questa conversazione per nulla
protocollare con il compagno Stalin, nel passato non erano abbastanza sviluppate
e di esse si sono occupate principalmente degli studiosi stranieri. Da qui la
molteplicità delle teorie sulle origini del nostro popolo, della nostra
lingua e cosi via. Comunque sia, una cosa è certa, tutte queste teorie
concordano su un punto - che il popolo albanese e la sua lingua sono di antichissima
origine. Il compito di pronunciarsi con certezza su questi problemi spetta ai
nostri specialisti che il Partito e il nostro Stato prepareranno con cura, creando
ad essi tutte le condizioni necessarie per il loro lavoro.
- L'Albania, disse Stalin, deve procedere poggiando sulle proprie gambe, perché
ne ha tutte le possibilità.
- Sì, noi progrediremo ad ogni costo, risposi.
- Dal canto nostro, aggiunse con benevolenza il compagno Stalin, aiuteremo con
tutto il cuore il popolo albanese, perché gli albanesi sono degli uomini
meravigliosi.
La cena offerta dal compagno Stalin in onore della nostra delegazione si svolse
in un clima molto caloroso, cordiale, intimo. Il primo brindisi egli lo fece
al nostro popolo, al progresso e allo sviluppo del nostro paese, al Partito
Comunista d'Albania. Poi alzò il bicchiere e brindò alla mia salute,
alla salute di Hysni* *( Il compagno Hysni Kapo, allora viceministro degli Esteri
della RP d'Albania, era membro della nostra delegazione che andò a Mosca
nel luglio 1947.) e di tutti gli altri membri della delegazione albanese. Mi
ricordo che poco dopo, avendogli parlato della strenua resistenza che il nostro
popolo aveva opposto, per secoli interi, alle invasioni straniere, il compagno
Stalin lo definì un popolo eroico e fece un altro brindisi alla sua salute.
Mentre discorreva liberamente con me, ogni tanto si rivolgeva agli altri ospiti,
scherzando con loro e formulando auguri. Era parco nel mangiare, ma teneva sempre
davanti a sé un bicchiere di vino rosso e brindava sorridente ogni volta
che si beveva alla salute di qualcuno.
Dopo cena il compagno Stalin ci invitò ad andare al cinema del Cremlino
dove, oltre al cinegiornale, vedemmo un lungo metraggio sovietico intitolato
"Il trattorista". Prendemmo posto tutt'e due sullo stesso canapè:
rimasi colpito dall'attenzione con la quale Stalin seguiva questa nuova produzione
della cinematografia sovietica. Alzava spesso la sua voce calda e ci commentava
alcune sequenze delle vicende del film. Quello che gli piacque di più,
era il modo in cui il protagonista, un trattorista di avanguardia, per guadagnarsi
la fiducia dei compagni e degli agricoltori, non cessava di impegnarsi per familiarizzare
con le usanze, il comportamento, le idee e le aspirazioni della gente della
pianura. Lavorando e vivendo in mezzo ai contadini, questo trattorista finì
per divenire un quadro dirigente onorato e rispettato. Ad un certo momento Stalin
disse:
- Per poter dirigere, innanzi tutto bisogna conosce le masse, e per conoscerle
bisogna avvicinarsi e vivere in mezzo ad esse.
Era mezzanotte passata quando ci alzammo per andar via. All'ultimo momento,
Stalin ci invitò ad alzare i bicchieri e per la terza volta fece un brindisi
"alla felicità dell'eroico popolo albanese".
Poi ci salutò tutti e, stringendomi la mano, disse:
- Trasmettete i miei cordiali saluti all'eroico popolo albanese, gli auguro
molti successi.
La nostra delegazione, molto soddisfatta degli incontri e dei colloqui avuti
con il compagno Stalin, lasciò Mosca il 26 luglio 1947 per far ritorno
in Albania.
IL SECONDO INCONTRO
Marzo-aprile 1949
Il nostro atteggiamento verso la direzione jugoslava già durante la guerra.
Il I Congresso del PC d'Albania. Politica del terrore in Kosova. A proposito
delle divisioni jugoslave che dovevano essere inviate in Albania. I titisti
miravano a rovesciare la situazione in Albania. Sulla guerra del popolo fratello
greco. I punti di vista errati della direzione del PC di Grecia. Gli inglesi
condizionano il riconoscimento dell'Albania alla creazione di basi militari
nei nostri porti. La via dello sviluppo economico e culturale dell'Albania.
Sulla situazione delle nostre masse contadine. Sulla storia, la cultura, la
lingua e le usanze del popolo albanese.
Il 21 marzo 1949 ritornai a Mosca a capo di una delegazione ufficiale del Governo
della Repubblica Popolare d'Albania e vi restai fino all'11 aprile dello stesso
anno.
All'aeroporto di Mosca erano convenuti per accoglierci Mikoian, Viscinski ed
altri, come pure tutti i rappresentanti diplomatici dei paesi a democrazia popolare.
Il primo incontro ufficiale lo avemmo con Viscinski l'indomani stesso del nostro
arrivo, mentre il 23 marzo, alle 22.05, fui ricevuto dal compagno Stalin al
Cremlino, in presenza di Viscinski e di Chouvakin, l'ambasciatore dell'URSS
in Albania. Ero accompagnato da Spiro Koleka e Milial Prifti, allora nostro
ambasciatore a Mosca.
Il compagno Stalin ci ricevette con grande cordialità nel suo studio.
Dopo averci salutati singolarmente, egli si fermò davanti a me e mi disse:
- Vi trovo dimagrito. Siete stato forse ammalato? Oppure siete stanco?
- Al contrario sono felicissimo di incontrarvi di nuovo, risposi, e una volta
seduti, gli dissi che volevo sottoporgli alcune questioni.
- Volentieri, sono a vostra disposizione, mi disse con calore, affinché
io potessi parlargli di tutto ciò che ritenevo opportuno.
Allora esposi al compagno Stalin una serie di questioni. Gli parlai in linee
generali della situazione del nostro Partito e del nostro paese, delle ultime
vicende, degli errori rilevati, come pure del nostro atteggiamento riguardo
alla questione jugoslava. Poi gli spiegai che l'influenza della direzione trotzkista
jugoslava sulla direzione del nostro Partito e l'eccessiva fiducia di alcuni
nostri dirigenti nella direzione traditrice jugoslava, erano all'origine dei
gravi errori riscontrati, specie nella linea organizzativa del Partito, come
aveva rilevato 1'11° Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista
d'Albania, i cui lavori si erano svolti tenendo conto delle Lettere del Comitato
Centrale del Partito Comunista bolscevico dell'Unione Sovietica, indirizzate
al Comitato Centrale del Partito Comunista di Jugoslavia, e della Risoluzione
dell'Ufficio Informativo "Sulla situazione nel Partito Comunista di Jugoslavia"
- Il Comitato Centrale del nostro Partito, dissi al compagno Stalin, ha pienamente
approvato la Risoluzione dell'Ufficio Informativo e, con un comunicato speciale,
noi abbiamo condannato la linea di tradimento antialbanese e antisovietica della
direzione trotzkista jugoslava. La direzione del nostro Partito, sottolineai,
ha fronteggiato da anni l'attività ostile e cospiratrice dei titisti*,
*( Cfr. Enver Hoxha: -I titisti- (Appunti storici). Edizioni -8 Nëntori-,
Tirana 1983, in italiano.) l'arroganza e gli intrighi degli inviati di Tito
Vukmanovic Tempo e Dusan Mugosa. Alla vigilia della liberazione dell'Albania,
gli dissi fra l'altro, Tito, per poter realizzare i suoi disegni antimarxisti
ostili all'Albania, inviò da noi una delegazione del Comitato Centrale
del Partito Comunista di Jugoslavia, guidata dal suo inviato speciale, Velimir
Stojnic. Questi e i suoi collaboratori segreti, i traditori Sejfulla Maleshova,
Koçi Xoxe, Pandi Kristo, ecc., prepararono nel retroscena la sciagurata
e pericolosa piattaforma di Berat, che costituiva un grave complotto contro
la giusta linea che il nostro Partito aveva seguito durante tutto il periodo
della lotta, contro l'indipendenza del nostro Partito e del nostro paese, contro
la persona del Segretario generale del Partito, e così via. La parte
sana della direzione del nostro Partito, benché ignara del complotto
ordito a Berat, si oppose con forza alle accuse mosse contro di essa e contro
la linea seguita durante la Lotta. Più tardi, io stesso, convinto del
fatto che a Berat erano stati commessi dei gravi errori di natura antimarxista,
sottoposi, fra l'altro, al nostro Ufficio Politico le tesi sulla revisione del
plenum di Berat, ma, a causa della febbrile attività sovversiva della
direzione jugoslava e dei suoi agenti nelle nostre file, queste tesi furono
respinte. L'evolversi degli eventi, le Lettere del Comitato Centrale del vostro
Partito e la Risoluzione dell'Ufficio Informativo, proseguii, ci resero completamente
chiara la situazione; l'attività ostile della direzione jugoslava, con
alla testa Tito, venne scoperta e smascherata, i cospiratori nelle file del
nostro Partito furono severamente denunciati all'11° plenum del CC del Partito.
Il I Congresso del PC d'Albania approvò e rese più incisiva la
svolta avvenuta all'11° plenum del Comitato Centrale. Questo Congresso giudicò
giusta la linea politica seguita dal Partito sin dalla sua fondazione; quanto
alle deviazioni particolari, manifestatesi dopo la Liberazione, soprattutto
nella linea organizzativa del Partito, le considerò come risultato dell'intervento
jugoslavo e dell'attività trotzkista e traditrice di Koçi Xoxe,
Pandi Kristo e Kristo Themelko.
- Koçi Xoxe e Pandi Kristo, rilevai, erano tutti e due dei pericolosi
agenti dei trotzkisti jugoslavi in seno alla direzione del nostro Partito; orientati,
appoggiati e sostenuti dai titisti jugoslavi, essi fecero di tutto pur di usurpare
le posizioni-chiave nel nostro Partito e nel nostro Stato di democrazia popolare.
Essi svolgevano la loro attività di tradimento al servizio della politica
nazional-sciovinistica e colonialistica della direzione trotzkista jugoslava
nei confronti della Repubblica Popolare d'Albania. Kristo Themelko, essendo
uno di quelli che si erano maggiormente lasciati influenzare dalla direzione
trotzkista jugoslava, applicava senza riserve le direttive di quest'ultima nel
settore dell'esercito. Ma quando il tradimento della direzione jugoslava fu
completamente scoperto, egli confessò le sue colpe e fece la sua autocritica
davanti al Partito.
Stalin, che mi seguiva attentamente, mi chiese:
- Chi sono questi? Degli Slavi, degli Albanesi o che altro?
- Kristo Themelko, risposi, è di origine macedone; quanto a Koçi
Xoxe, è di origine albanese, ma i suoi genitori sono vissuti in Macedonia.
Gli parlai poi dell'estrema importanza che avevano avuto per il nostro Partito
le Lettere che il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione
Sovietica aveva indirizzato alla direzione jugoslava e la Risoluzione dell'Ufficio
Informativo. "Alla luce di questi documenti, che ci pervennero in quei
momenti così delicati per il nostro Partito e per il nostro popolo, dissi
al compagno Stalin, il Comitato Centrale del nostro Partito si è reso
ben conto del carattere che aveva e degli obiettivi che perseguiva l'intervento
jugoslavo in Albania".. Dopo avergli esposto per sommi capi le molteplici
misure radicali prese dal nostro Partito per porre termine a queste attività
feroci, sovversive, antimarxiste e antialbanesi, dissi a Stalin che, indipendentemente
dal fatto che già nel periodo della guerra eravamo stati oggetto di questi
malintenzionati intrighi e che ci eravamo opposti ad essi, eravamo ben consci
della nostra responsabilità per non esserci mostrati più attenti.
A questo punto intervenne il compagno Stalin:
- Le nostre lettere indirizzate alla direzione jugoslava, disse, non comprendono
tutto, poiché un buon numero di questioni sono emerse più tardi.
Non sapevamo che gli jugoslavi. con il <<pretesto>> di difendere
il vostro paese dall'attacco dei fascisti greci, avessero chiesto di introdurre
delle unità del loro esercito nella RP d'Albania. Essi agivano nella
massima segretezza. In effetti perseguivano disegni molto ostili, poiché
miravano a rovesciare la situazione in Albania. L'informazione che ci avete
fornito in proposito, ci è stata molto utile; altrimenti saremmo rimasti
all'oscuro della questione delle divisioni che gli jugoslavi intendevano dislocare
nel vostro territorio. Essi lasciavano intendere che volevano intraprendere
quest'azione con il presunto consenso dell'Unione Sovietica! Quanto al fatto
che, come avete detto, avreste dovuto dar prova dì maggior vigilanza,
la verità è che, nei rapporti con la Jugoslavia, c'è stata
una mancanza di vigilanza non solo da parte vostra ma anche di altri.
Proseguendo il nostro colloquio dissi al compagno Stalin che i momenti difficili
creati dai titisti e dai monarcofascisti, che sono agli ordini degli imperialisti
americani e inglesi nelle loro attività contro il nostro paese, sono
stati felicemente superati grazie alla giusta linea del Partito, al patriottismo
del nostro popolo e all'aiuto del PC dell'Unione Sovietica. "Questa è
stata per noi una grande prova da cui abbiamo imparato molto per correggere
i nostri difetti, per consolidare le vittorie conseguite e lottare per portarle
ancora più avanti. Il nostro esercito ha assolto i suoi compiti con coraggio
ed elevato patriottismo".
"Durante il difficile periodo che abbiamo attraversato, aggiunsi, le masse
hanno dato prova di grande patriottismo. La loro fiducia nel Partito, nella
sua giusta linea e nell'Unione Sovietica è rimasta incrollabile. L'azione
del nemico non è durata a lungo. Abbiamo neutralizzato l'attività
ostile degli uomini al servizio della direzione trotzkista jugoslava. Nei confronti
di coloro che, in un modo o nell'altro, erano stati coinvolti nell'attività
antialbanese della direzione trotzkista jugoslava, abbiamo osservato e osserviamo
atteggiamenti differenziati. Alcuni di questi hanno fatto la loro autocritica,
poiché si erano lasciati forviare in buona fede; quanto agli altri, quelli
che si erano gravemente compromessi, stanno ora rendendo conto dei loro misfatti
davanti ai tribunali del popolo".
- Difendete la patria e il Partito, ci disse il compagno Stalin. Il nemico va
smascherato e con argomenti inoppugnabili, affinché il popolo si renda
ben conto di tutto ciò che ha combinato e si convinca della sua azione
perniciosa. Un nemico così smascherato agli occhi del popolo, anche se
non viene fucilato, è moralmente e politicamente liquidato, poiché
senza l'appoggio del popolo è impotente.
- Il processo attualmente in corso a Tirana, dissi al compagno Stalin, è
pubblico e il dibattimento viene riportato dalla stampa.
Quanto a quelli che sono profondamente coscienti dei loro errori e che hanno
fatto un’autocritica sincera e convincente, li abbiamo trattati con sollecitudine
ed indulgenza, creando loro la possibilità di rimediare agli errori e
alle colpe commessi con il loro impegno e la loro fedeltà verso il Partito
e il popolo. Abbiamo perfino pensato di inviare uno di questi a studiare in
Unione Sovietica, e citai il suo nome. Come, come?, fece Stalin, fissando gli
occhi su di me. Avete chiesto che venga da noi a proseguire gli studi? Avete
ancora politicamente fiducia in lui?
Sì, risposi, perché non ha cessato di approfondire la sua autocritica
e nutriamo buone speranze che finirà per correggersi.
- Ma egli desidera venire da noi?
- Lo ha chiesto lui stesso.
In quel momento intervenne Chouvakin, che fornì alcune spiegazioni a
sostegno del mio pensiero.
Va bene allora, dal momento che voi stesso, compagno Enver, lo ritenete opportuno,
venga pure...
Proseguendo la mia esposizione, dissi al compagno Stalin che durante tutto questo
periodo gli americani, attraverso l'Italia, avevano paracadutato dei gruppi
di agenti sovversivi nelle zone meridionali e settentrionali dell'Albania. Alcuni
di questi agenti erano stati uccisi, gli altri catturati. Nella previsione di
eventuali complicazioni alle nostre frontiere meridionali e per poter disporre
delle forze occorrenti a tal fine, dovemmo innanzi tutto, ed è quel che
abbiamo fatto, ripulire il settentrione del paese da gruppi di banditi politici
e comuni che operavano all'interno delle nostre frontiere sotto la guida degli
agenti inviati da Rankovic. Queste bande, al servizio degli jugoslavi, hanno
compiuto una serie di attentati. Le nostre operazioni di rastrellamento si sono
concluse con successo. Abbiamo liquidato alcune di queste bande, le altre sono
passate in territorio jugoslavo dove si trovano ancora oggi.
- Continuano ancora a paracadutare degli agenti sovversivi? - mi domandò
Stalin.
- Penso che non abbiano rinunciato ai loro propositi. La politica di Tito e
di Rankovic volta ad attirare degli albanesi nel loro territorio per organizzarli
in gruppi di sabotatori e di spie, è fallita; ed ora sono rarissimi i
casi di passaggi clandestini del confine. Il nostro Governo ha preso delle misure
nel campo economico, mentre il lavoro politico e organizzativo del Partito è
andato consolidandosi. Gli imperialisti preparano all'estero dei gruppi di agenti
sovversivi; i monarco-fascisti ed anche i titisti agiscono allo stesso modo.
Ma nemmeno gli italiani rimangono indietro. Attualmente i nostri piani consistono
nello sgominare i resti delle bande che gironzolano sulle nostre montagne e
che, grazie a noi, sono ormai alle strette; consistono nel distruggere le loro
basi che si trovano soprattutto presso i kulak. La maggior parte di questi gruppi
reazionari è stata colpita nelle città dagli organi della Sicurezza
di Stato, i quali hanno conseguito notevoli successi in tal senso. Il nostro
Partito ha sistemato la situazione al ministero degli Interni, vecchio nido
dei titisti, e gli organi della Sicurezza di Stato sono divenuti un'arma potente
e cara al nostro Partito e al nostro popolo. Il Partito ha fissato il compito
di consolidare ogni giorno di più le nostre posizioni, per poter fronteggiare
e sgominare gli eventuali tentativi e attacchi dei nostri numerosi nemici.
"Il nostro Partito si rafforza sempre più, spiegai poi al compagno
Stalin, gli iscritti al nostro giovane partito si distinguono per il loro grande
coraggio e la loro ferma volontà. Il livello ideologico e culturale degli
iscritti è poco elevato, ma si rileva in tutti una grande volontà
di istruirsi. Ci adoperiamo per migliorare questa situazione. Si osservano ancora
manchevolezze nel nostro lavoro di Partito; ma grazie ai tenaci sforzi compiuti,
con fiducia nel futuro e mettendo a frutto l'esperienza del Partito bolscevico,
noi porremo rimedio a questi difetti".
Continuando la nostra conversazione, feci al compagno Stalin un'esposizione
generale della situazione economica in Albania, dei risultati conseguiti e dell'intensa
lotta che il nostro Partito e il nostro popolo avevano condotto e stavano conducendo
per fronteggiare le difficoltà create alla nostra economia dall'attività
ostile dei trotzkisti jugoslavi e dei loro agenti. "Il nostro popolo, gli
dissi, è un popolo schietto e laborioso. Sotto la direzione del Partito,
ha mobilitato le sue forze per superare l'arretratezza ereditata dal passato,
per sormontare le difficoltà create e assolvere i compiti fissati dal
I Congresso del Partito".
Gli dissi che il I Congresso del Partito, unitamente all'orientamento per l'industrializzazione
socialista, aveva impartito anche la direttiva di consolidare il settore socialista
dell'agricoltura incrementando il numero delle aziende agricole statali e procedendo
alla collettivizzazione graduale, sotto forma di cooperative agricole, alle
quali lo Stato avrebbe assicurato il suo appoggio politico ed economico e in
materia di organizzazione.
- Avete istituito molte cooperative del genere? Quali criteri vengono seguiti
in questo campo? - mi chiese il compagno Stalin.
Gli spiegai a questo proposito che il I Congresso aveva impartito l'orientamento
secondo cui la collettivizzazione dell'agricoltura doveva seguire un processo
graduale, essere realizzata con ponderatezza e basarsi sul libero consenso.
- Su questa via non ci affretteremo né segneremo il passo.
- A mio avviso, disse il compagno Stalin, non dovrete affrettarvi nella collettivizzazione
dell'agricoltura. Il vostro è un paese montagnoso e con un rilievo che
varia da una regione all'altra. Anche noi, nelle nostre zone montane, simili
alle vostre, i colcos li abbiamo creati molto tardi.
Gli parlai poi del lavoro che era stato compiuto da noi per il rafforzamento
dell'alleanza della classe operaia con le masse contadine lavoratrici, dell'aiuto
che lo Stato prestava ai contadini individuali, dell'incremento della produzione
agricola e della politica di ammasso dei prodotti animali e vegetali.
- Ciò è importantissimo, osservò il compagno Stalin, e
fate bene a prestare loro tutta la vostra sollecitudine. Se i contadini albanesi
hanno bisogno di trattori o di altre macchine agricole, di bestie da lavoro,
di sementi e di altre cose, non fate mancare loro il vostro aiuto. Eseguite
anche delle opere di bonifica come canali, ecc. e vedrete cosa sono capaci di
fare le masse contadine. E' bene, a mio avviso, che il contadino assolva in
natura allo Stato i suoi obblighi derivanti dagli aiuti ricevuti.
"Lo Stato, proseguì il compagno Stalin, deve creare delle stazioni
di macchine e di trattori. Non dovete cedere i trattori alle cooperative, poiché
lo Stato deve aiutare anche i contadini individuali per l'aratura delle loro
terre se ne esprimano il desiderio. In tal modo i contadini poveri avvertiranno
poco a poco i vantaggi della collettivizzazione."
"Quanto alle eccedenze di prodotti agricoli, disse il compagno Stalin,
gli agricoltori debbono disporne a loro piacimento, poiché se si agisse
in modo diverso, i contadini non collaborerebbero più con il governo.
Se le masse contadine non vedono concretamente l'aiuto dello Stato, non sono
disposte ad aiutarlo".
Poi Stalin mi disse che non conosceva la storia e i tratti della borghesia del
nostro paese e mi domandò: - C'era nel vostro paese una borghesia mercantile?
- Sì, una borghesia mercantile in via di formazione, gli risposi, ma
non ha più nulla in mano.
- L'avete espropriata completamente?
Per rispondere alla sua domanda, spiegai al compagno Stalin la politica seguita
dal nostro Partito sin dal tempo della Lotta nei confronti delle classi ricche;
una politica differenziata in relazione all'atteggiamento dei vari elementi
di queste classi verso l'occupante; comunque sia, la maggior parte di questi
erano divenuti collaboratori del fascismo, avevano macchiato le loro mani con
il sangue del popolo, erano fuggiti con l'occupante, o quando non avevano potuto
farlo, erano stati catturati dal popolo e deferiti alla giustizia. Quanto agli
elementi che appartenevano principalmente alla media e piccola borghesia patriota
e che si erano legati al popolo ed avevano combattuto al suo fianco contro l'occupante
straniero, il Partito li sostenne ed ebbe cura di essi ed indicò loro
la vera via per contribuire allo sviluppo del paese e al rafforzamento dell'indipendenza
della patria. "Tuttavia, aggiunsi, in questi ultimi anni, a causa dell'attività
ostile di Koçi Xoxe e compari, sono stati adottati atteggiamenti ingiusti
e misure rigorose verso una parte di questi elementi e verso alcuni intellettuali
patrioti, ma il Partito ha duramente denunciato questi errori e non permetterà
il loro ripetersi".
Prendendo la parola, il compagno Stalin sottolineò che su questo problema
come su qualsiasi altro, tutto dipendeva dalle condizioni concrete e della situazione
di ogni singolo paese. "Comunque sia, spiegò il compagno Stalin,
durante la prima tappa della rivoluzione bisogna seguire verso la borghesia
patriota che desidera veramente l'indipendenza del paese, a mio avviso, una
politica che, in quella tappa, permetta a questa di aiutare la nostra causa
con i mezzi e le risorse di cui dispone".
"Lenin c'insegna, prosegui, che durante la prima tappa della rivoluzione,
là dove questa rivoluzione riveste un carattere antimperialista, i comunisti
possono mettere a frutto l'aiuto della borghesia patriota. Evidentemente, ciò
va fatto tenendo conto delle condizioni concrete, dell'atteggiamento stesso
della borghesia verso i problemi più acuti che conosce il paese, e così
via".
"Nei paesi a democrazia popolare, per esempio, la grande borghesia si era
compromessa con gli occupanti tedeschi e li aveva aiutati. Quando l'esercito
sovietico liberò questi paesi, la borghesia venduta prese la strada dell'emigrazione".
Si fermò un momento a pensare prima di proseguire:
- L'esercito sovietico, se non sbaglio, non è venuto in vostro aiuto
in Albania; e l'esercito jugoslavo? E' venuto o no ad aiutarvi durante la vostra
Lotta di liberazione nazionale?
- No, gli risposi. Al contrario, è stato il nostro Esercito di liberazione
nazionale ad inviare due delle sue divisioni per aiutare i popoli della Jugoslavia*
*(Dopo la liberazione dell'Albania per decisione del CC dei PCA e per ordine
del Comandante Supremo, compagno Enver Hoxha, la 5 e 6 divisione dell'ELNA continuarono
ad incalzare le truppe hitleriane in Jugoslavia. I combattenti albanesi assieme
a quelli jugoslavi liberarono nel dicembre 1944 e nel gennaio febbraio 1945
il Montenegro, il Sangiac e la parte meridionale della Bosnia. Nei combattimenti
per la liberazione dei popoli di Jugoslavia diedero la loro vita oltre 600 partigiani
albanesi) a liberarsi dall'occupante.
Proseguendo, il compagno Stalin pose l'accento sul fatto che ogni partito comunista
e Stato socialista dovevano mostrarsi molto attenti nei loro rapporti con gli
intellettuali. E' necessario svolgere con loro un lavoro intenso, attento e
avveduto, affinché gli intellettuali onesti e patrioti si avvicinino
sempre più al potere popolare.
Rievocando alcuni tratti particolari della rivoluzione russa, il compagno Stalin
disse: "La Russia, in quel tempo, non era sotto il giogo di alcuna potenza
straniera imperialista, e così noi ci sollevammo solo contro gli sfruttatori
dell'interno, mentre la borghesia nazionale russa, sfruttatrice qual’era,
non aderì alla rivoluzione. Da noi allora un'aspra lotta era in corso
da anni, e la borghesia russa per opporvisi chiese l'aiuto e l'intervento degli
imperialisti.
"E' ovvio dunque che c'è una differenza fra la rivoluzione russa
e la lotta condotta nei paesi vittime degli aggressori imperialisti".
"Se vi dico questo, proseguì Stalin, è per mostrarvi quanto
sia importante tener presente le condizioni concrete di ogni singolo paese,
poiché tali condizioni variano da un paese all'altro. Ed è proprio
per questo che nessuno deve copiare la nostra esperienza o quella degli altri,
ma deve solo studiarla e trarne profitto, applicandola adeguatamente alle condizioni
concrete del suo paese".
Il nostro colloquio con Stalin durava da parecchio. Il tempo era passato senza
che ce ne fossimo accorti. Riprendendo la parola, mi misi a parlare dei problemi
che poneva il nostro piano per il rafforzamento della difesa e lo sviluppo dell'economia
e della cultura nella RP d'Albania.
- Il vostro capo di Stato Maggiore, mi disse il compagno Stalin, mi ha avanzato
alcune richieste per il vostro esercito. Noi abbiamo dato l'ordine che siano
soddisfatte tutte. Avete ricevuto gli equipaggiamenti richiesti?
- Per il momento non sappiamo nulla, gli risposi.
Stalin chiamò allora un generale e l'incaricò di raccogliere delle
informazioni precise a questo proposito. Poco dopo squillò il telefono.
Stalin alzò il ricevitore e dopo un po' ci comunicò che gli equipaggiamenti
erano stati già spediti.
- E le rotaie le avete ricevute? La vostra strada ferrata* *(Si tratta della
ferrovia Tirana-Durres inaugurata il 23 febbraio 1949.) è stata terminata?
- mi chiese.
- Si, le abbiamo ricevute e la strada ferrata è stata inaugurata, dissi,
e continuai ad esporgli in linee generali i principali obiettivi del piano per
lo sviluppo economico e culturale del paese e per il potenziamento della sua
difesa. In quell'occasione gli presentai anche le nostre richieste di aiuto
dall'Unione Sovietica.
Come sempre il compagno Stalin accolse con benevolenza queste domande di aiuto
e ci parlò molto apertamente:
- Compagni, ci disse, noi siamo un grande paese, ma voi sapete che non abbiamo
ancora eliminato tutte le gravi conseguenze della guerra. Comunque sia, noi
vi aiuteremo oggi e nel futuro, forse non quanto si dovrebbe, ma nei limiti
delle nostre possibilità. Ci rendiamo perfettamente conto delle vostre
necessità di creare e sviluppare il settore dell'industria socialista,
perciò siamo pronti a soddisfare tutte le domande che ci avete appena
avanzate, comprese quelle riguardanti l'agricoltura.
Poi sorridendo, aggiunse!
- E gli albanesi dal canto loro lavoreranno?
Indovinai perché mi aveva rivolto questa domanda. Era dovuta alla malintenzionata
informazione del mercante armeno Mikoian, il quale, durante un incontro che
avevo avuto con lui, non solo si era espresso in un linguaggio molto diverso
da quello di Stalin, ma aveva usato anche termini duri nelle sue osservazioni
riguardanti la realizzazione dei nostri piani, sostenendo che il nostro popolo
non lavorava, e via dicendo. Intendeva così ridurre i ritmi e il volume
degli aiuti sovietici. Mikoian tenne sempre un atteggiamento simile nei nostri
riguardi. Ma Stalin ci concesse tutti gli aiuti richiestigli.
- Vi invieremo anche gli specialisti richiesti, prosegui, e questi impegneranno
tutte le loro energie per venirvi in aiuto, non resteranno però per sempre
in Albania. Perciò, compagni, dovrete formare i vostri quadri, i vostri
specialisti, affinché sostituiscano i nostri. Questo è un problema
importante. Per quanto numerosi siano gli specialisti che verranno da voi, avrete
sempre bisogno dei vostri quadri. Da qui, compagni, egli ci consigliò,
la necessità di creare la vostra Università, che sarà un
grande centro di formazione dei quadri futuri.
- Abbiamo creato i nostri primi istituti, dissi al compagno Stalin, e funzionano
assai bene, ma siamo ancora ai primi passi. Manchiamo non solo di esperienza
e di testi, ma anche dei quadri necessari per istituire la nostra Università.
- L'importante è di cominciare, ci disse, e poi, a poco a poco, tutto
verrà perfezionato. Dal canto nostro, vi aiuteremo sia con letteratura
specializzata sia con esperti affinché possiate aumentare il numero dei
vostri istituti superiori, che costituiranno le fondamenta della vostra futura
Università.
"Gli specialisti sovietici, ci disse poi Stalin, dovranno essere retribuiti
dal vostro Governo nella stessa misura degli specialisti albanesi. Non riservate
loro alcun trattamento di favore rispetto ai vostri specialisti".
- Gli specialisti sovietici vengono da un paese lontano, gli risposi, e non
possiamo trattarli alla stessa stregua dei nostri.
Il compagno Stalin intervenne subito:
- No, no, disse, anche se verranno dall'Azerbaigian o da qualsiasi altra regione
dell'Unione Sovietica; noi abbiamo le nostre regole in materia di trattamento
degli specialisti che vengono inviati ad aiutare i popoli fratelli. Hanno il
dovere di lavorare con il massimo impegno, da rivoluzionari internazionalisti,
di lavorare per il bene dell'Albania allo stesso modo in cui lavorano per il
bene dell'Unione Sovietica. Il Governo sovietico si fa carico dell'obbligo di
corrispondere a loro un supplemento ragionevole oltre al trattamento regolare.
Dopo aver ringraziato il compagno Stalin, io sollevai il problema delle équipes
di cui avevamo bisogno per avviare studi geologici, idroenergetici, nel campo
della costruzione di strade ferrate, e per una serie di problemi riguardanti
lo sviluppo a lungo termine della nostra industria. Avendo risposto positivamente
alle questioni che gli avevo esposto, mi chiese fra l'altro: "Avete dei
fiumi di grossa portata per la costruzione di centrali idroelettriche? Ci sono
in Albania grandi riserve di carbone?".
Risposi a queste domande e poi gli domandai se potevamo inviare in Unione Sovietica
un certo numero di quadri affinché si specializzassero in alcuni settori
dove i nostri bisogni erano più impellenti. "Se ciò non è
possibile, aggiunsi, allora inviateci alcuni specialisti sovietici per istruire
i nostri quadri".
Allora il compagno Stalin mi disse:
- Su questo punto direi che sarebbe meglio che fossimo noi ad inviare degli
specialisti in Albania, poiché se i vostri uomini vengono in Unione Sovietica,
sarebbe necessario un periodo più lungo per la loro formazione, dato
che dovrebbero imparare il russo, e cosi via.
Il compagno Stalin ci consigliò di rivolgerci al ministero degli Esteri
dell'Unione Sovietica e poi aggiunse:
- Dal canto nostro abbiamo incaricato il compagno Viscinski di condurre i negoziati,
ed è quindi a lui che dovrete rivolgere le vostre richieste.
Dissi al compagno Stalin che queste erano, in linee generali, le questioni che
volevo discutere con lui sulla situazione interna in Albania; nel contempo espressi
il desiderio di esporgli brevemente le posizioni politiche dell'Albania sulla
situazione internazionale. Egli consultò l'orologio e mi chiese:
- Vi bastano venti minuti?
- Qualche cosa di più, compagno Stalin, se possibile, risposi.
Dopo aver accennato alla situazione tesa nelle nostre relazioni con la Jugoslavia,
all'attività ostile dei traditori jugoslavi, delle bande criminali da
loro organizzate ed introdotte in territorio albanese per svolgervi attività
sovversive e di sabotaggio contro il nostro paese, informai il compagno Stalin
della politica di efferato terrore seguita dalla cricca di Tito verso gli albanesi
in Kosova, in Macedonia e nel Montenegro.
- Sono molti gli albanesi che vivono in Jugoslavia? - mi domandò Stalin.
- Di che religione sono?
- Più di un milione, risposi (a questo numero Viscinski manifestò
il suo stupore; a quanto pare, ignorava che vi fossero tanti albanesi in Jugoslavia)
e poi prosegui: - Quasi tutti sono di religione musulmana.
- Come mai non sono stati assimilati dagli Slavi e quali sono i rapporti che
intercorrono fra gli albanesi residenti in Jugoslavia e quelli dell'Albania?
- domandò di nuovo Stalin.
- Gli albanesi che vivono in Jugoslavia, risposi, si sono distinti in tutti
i tempi per il loro ardente patriottismo, per vigorosi legami con la madrepatria
e i loro compatrioti. Si sono sempre opposti con forza ai febbrili tentativi
espansionistici e di assimilazione dei reazionari granserbi e granslavi ed hanno
conservato con ardore la loro identità albanese sotto ogni punto di vista.
"Attualmente la cricca di Tito segue in Kosova e nelle regioni abitate
da albanesi nel Montenegro e in Macedonia la stessa linea e gli stessi metodi
usati nel passato dai loro simili, il re Alessandro ed altri. Per la cricca
di Belgrado, la Kosova è un punto molto debole ed è per questo
che vi esercita un feroce terrore, procedendo a trasferimenti massicci di popolazione,
ad arresti e a condanne ai lavori forzati, ad arruolamenti forzati nell'esercito
e all'espropriazione delle proprietà di un gran numero di persone. La
popolazione albanese che vive nella Jugoslavia titista viene perseguitata in
modo particolare, perché gli attuali dirigenti jugoslavi conoscono bene
i suoi sentimenti patriottici e rivoluzionari e sanno bene che per questa popolazione
il problema nazionale è stato e resta sempre una piaga aperta che chiede
di essere guarita. Inoltre la Kosova e le altre regioni jugoslave abitate da
albanesi sono state trasformate dai titisti in importanti centri di raccolta
di traditori albanesi, di banditi, di spie che vengono istruiti e preparati
dagli uomini dell' UDB contro il nostro paese per compiervi atti terroristici,
di sovvertimento e di sabotaggio e per intraprendervi delle incursioni armate.
La cricca di Belgrado ha messo in moto i vecchi agenti serbi, inglesi e americani,
ed anche agenti italiani e tedeschi, allo scopo di mobilitare la reazione albanese
in Kosova ed organizzare con essa e gli altri criminali albanesi delle bande
che saranno inviate nel nostro paese per provocare dei torbidi.
Poi parlai brevemente al compagno Stalin della lotta del popolo greco contro
i monarco-fascisti e contro gli angloamericani, del nostro sostegno politico
a questa giusta lotta del popolo fratello greco; tra l'altro, rilevai che l'Esercito
Democratico Greco si teneva lontano dal popolo.
- Come, come avete detto?! - fece il compagno Stalin, sorpreso da queste mie
parole.
Gli fornii allora delle spiegazioni esaurienti su questo problema come pure
sui punti di vista errati di Niko Zakariadis e compagni circa il ruolo del partito
e del commissario nell'esercito, nel governo, ecc.
- A nostro avviso, proseguii, la direzione del Partito Comunista di Grecia ha
sbagliato di grosso, fin dal tempo della guerra contro gli hitleriani, a proposito
del problema del rafforzamento e della crescita del Partito nelle campagne e
nelle città, e questi errori sono riapparsi anche durante la lotta contro
la reazione interna e l'intervento angloamericano.
- "Valutando erroneamente che la città avrebbe svolto un ruolo determinante
nella vittoria sugli hitleriani e sulla reazione interna, durante la lotta antifascista
la direzione di Siantos* *( Ex segretario generale del Partito Comunista di
Grecia, opportunista ed elemento capitolazionista di fronte alla reazione angloamericana.)
diede l'ordine che il proletariato greco restasse nelle città. Di conseguenza
la parte più rivoluzionaria del popolo greco rimase esposta ai feroci
colpi degli hitleriani locali, mentre l'Esercito Partigiano di Liberazione Nazionale
Greco fu privato del proletariato che doveva fungere da motore e da guida della
rivoluzione popolare greca". Proseguendo rilevai che nonostante il grande
terrore che gli hitleriani e la reazione interna avevano esercitato contro il
proletariato e gli elementi rivoluzionari delle città e nonostante i
duri colpi ricevuti, questi elementi continuarono in generale a rimanere nelle
città, dove furono massacrati, torturati, catturati e internati nelle
isole, invece di darsi in massa alla macchia, e questo a causa della direttiva
impartita dal Partito Comunista di Grecia. E' vero che anche le città
furono allora teatro di importanti fatti d'arme, di sabotaggi e attentati, ma
queste azioni, nel quadro generale della lotta del popolo greco, svolsero un
ruolo secondario.
"Queste debolezze, rilevai poi, furono riscontrate anche nelle campagne,
dove il partito aveva scarsamente esteso la sua azione e dove l'organizzazione
delle cellule e delle sue varie istanze era debole e disordinata, dove le organizzazioni
del partito venivano spesso confuse con le organizzazioni dell'EAM, dove regnavano
l'opportunismo sia nell'organizzazione che nella linea politica dei consigli
di liberazione nazionale delle campagne, dove esisteva la dualità di
potere e la coesistenza con le organizzazioni reazionarie zerviste, ecc. nelle
zone liberate e altrove. Abbiamo fatto osservare ai compagni greci che l'aver
posto il comando dell'Esercito di Liberazione Nazionale agli ordini del Comando
delle forze alleate del Mediterraneo, le conversazioni e gli accordi di carattere
opportunistico e capitolazionista con Zervas e il governo reazionario greco
in esilio, il predominio nell'Esercito di Liberazione Nazionale Greco di elementi
contadini e di vecchi ufficiali di carriera e così via, erano degli errori
assai gravi che avrebbero portato alla disfatta dell'eroica lotta del popolo
greco. Gli accordi di Varkiza furono la conclusione logica di tutti questi atti
e punti di vista errati, e portarono alla capitolazione davanti alla reazione
inglese e alla reazione interna."
"Ma anche dopo l'intesa capitolazionista di Varkiza il periodo di "legalità".
del Partito Comunista di Grecia, dissi al compagno Stalin, la direzione di questo
partito, a nostro avviso, non ha analizzato nella misura necessaria e nel debito
modo la sua attività per correggere completamente i suoi precedenti errori.
Il consolidamento del Partito nelle città e nelle campagne, i saldi legami
con le vaste masse del popolo dovevano essere la maggiore preoccupazione della
direzione del Partito Comunista di Grecia, perché proprio in questo consistevano
nel passato i suoi errori più gravi. Ma esso non agì in tal senso,
perché non fece una giusta valutazione della nuova situazione venutasi
a creare dopo la disfatta del fascismo, sottovalutò il nemico interno
e la reazione angloamericana, non fu in grado di prevedere come si doveva il
grave pericolo che rappresentavano queste forze della reazione. Essa riponeva
grandi speranze nell'azione "legale" e nel parlamentarismo. Di conseguenza
il partito venne a trovarsi disarmato di fronte al nemico, finì per perdere
i saldi legami con il popolo; la rivoluzione popolare greca attraversò
una grave crisi; si lasciò intendere al popolo che la rivoluzione avrebbe
trionfato attraverso la via parlamentare e le elezioni, e cosi il partito, esposto
ai colpi della reazione, venne a trovarsi disorientato, sorpreso, sconcertato.
Il popolo greco si è eroicamente battuto contro gli hitleriani per conquistare
la libertà, ma la vittoria gli sfuggì di mano a causa degli errori
della direzione del Partito Comunista di Grecia. Tutti questi errori ebbero
gravi conseguenze sull'evoluzione degli eventi, specie quando svanite tutte
le illusioni di vittoria attraverso la via legale, il partito si decise a riprendere
la lotta passando alla clandestinità."
E' un fatto, dissi al compagno Stalin, che prima di passare alla clandestinità,
il partito raggruppò parte delle forze partigiane, mettendole alla macchia
per riprendere la lotta. Questo era un fatto molto positivo. Ma è proprio
qui, a nostro giudizio, che si riaffacciarono i punti di vista errati dei compagni
dirigenti greci in materia di tattica e di strategia, in materia di organizzazione
del partito nelle città, nelle campagne e nei ranghi dell'esercito, e
innanzi tutto per quanto riguarda i legami con le masse e il suo ruolo guida.
"I compagni della direzione del Partito Comunista di Grecia sottovalutarono
le forze del nemico, credettero di potersi impossessare facilmente del potere
e liberare senza fatica la Grecia dagli angloamericani e dai monarco-fascisti.
Imbevuti di questa concezione errata, non si prepararono ad una lotta lunga
e difficile, sottovalutarono la lotta partigiana e definirono "esercito
regolare" quelle forze partigiane che erano riusciti a racimolare. E' su
questo "esercito regolare" che essi fondarono tutte le speranze di
vittoria, trascurando in tal modo il fattore principale - il popolo - e il principio
marxista-leninista secondo cui "l'esercito e il popolo formano un tutto
unico". I compagni dirigenti greci non fecero una giusta valutazione della
situazione di quel tempo in Grecia. Come risultato della disfatta, lo slancio
rivoluzionario delle masse si attenuò; era quindi necessario rianimare
questo slancio riorganizzando fortemente il partito nelle campagne e nelle città,
correggendo alla radice i vecchi errori ed estendendo la lotta partigiana in
tutto il paese.
"Il monarco-fascismo, proseguii esponendo la mia opinione, temeva due cose:
il popolo, il suo grande nemico, e la lotta partigiana. Entrambi questi fattori
furono trascurati dalla direzione del Partito Comunista di Grecia e il nemico
seppe approfittare di questo errore. Il nemico temeva la lotta partigiana che,
ingrossandosi di giorno in giorno, avrebbe attirato a sé passo dopo passo
le masse popolari della città e della campagna ed avrebbe assunto grosse
proporzioni fino all'insurrezione generale armata e alla presa del potere. Se
il nemico riuscì ad evitare tale pericolo ciò è dovuto
alla tattica errata della direzione greca, la quale pensava e pensa tutt'ora
di opporre al nemico il grosso delle sue forze in una guerra di posizione basata
sulla difesa passiva. Era proprio questo che il nemico desiderava: inchiodare
le principali forze dell'Esercito Democratico Greco in alcuni punti per poterle
poi sconfiggere e annientare con la sua superiorità in uomini e armi.
"Approfittando di questo grave errore della direzione del Partito Comunista
di Grecia, i monarco-fascisti allontanarono il popolo dall'Esercito Democratico
Greco, privarono il Partito Comunista di Grecia della sua base madre. Con il
terrore e i massacri, essi cacciarono via gli abitanti da tutte le zone in cui
si erano insediate le forze più numerose e più attive dell'Esercito
Democratico Greco non per attaccare il nemico, ma per difendersi. Questa tattica
noi la consideriamo un errore fatale. Anche da noi, dissi al compagno Stalin,
durante la Lotta di liberazione nazionale, il fascismo uccise e massacrò
la popolazione, mise a fuoco regioni intere, ma il popolo non si lasciò
per questo trascinare nei campi recintati da filo spinato, si diede invece alla
macchia, si batté, fece ritorno nelle sue capanne e vi rimase fermamente
deciso, perché il nostro Partito gli diceva di combattere e di resistere.
Il nostro Esercito di liberazione nazionale non si separò mai dal popolo,
perché il Partito stesso aveva le sue solide basi nel popolo. Noi pensiamo
che proprio perché il Partito Comunista di Grecia non aveva solide basi
nel popolo, il nemico riuscì a isolare i partigiani greci sulle brulle
montagne. Ecco perché vi dissi che la direzione del Partito Comunista
di Grecia privò sè stessa e l'Esercito Democratico dalla sua base
madre, il popolo".
Infine menzionai al compagno Stalin le minacce di cui era oggetto l'Albania
ad opera dei nemici esterni.
Egli mi aveva ascoltato attentamente ed espresse quindi il suo parere sulle
questioni da me sollevate:
- Per quanto riguarda la lotta del popolo greco, disse tra l'altro, noi l'abbiamo
sempre considerata una lotta giusta, l'abbiamo appoggiata e sostenuta di tutto
cuore. Ogni guerra popolare viene condotta non solo dai comunisti, ma dal popolo
ed è importante che i comunisti vi siano alla testa. Tsaldaris si trova
in cattive acque e cerca di salvare il suo regime con l'aiuto degli angloamericani.
"Per quanto riguarda gli schiamazzi dei nemici esterni sullo smembramento
dell'Albania, questi vengono sollevati solo per intimidirvi, poiché,
a mio avviso, attualmente non avete nulla da temere in tal senso, e questo non
per la "benevolenza" dei nemici, ma per una serie di ragioni. Innanzi
tutto l'Albania è un paese libero e indipendente, il popolo si è
impossessato del potere e certamente saprà difendere la sua indipendenza
cosi come ha saputo conquistarla. In secondo luogo i nemici esterni hanno delle
divergenze fra loro sul problema albanese. Nessuno di questi nemici vuole vedere
l'Albania appartenere solo all'uno o all'altro. Se per esempio la Grecia mira
ad avere l'Albania tutta per sé, questo non conviene all'Italia e alla
Jugoslavia, le quali si oppongono, e viceversa. D'altro canto, rilevò
il compagno Stalin, l'indipendenza dell'Albania è stata riconosciuta
e confermata dalla dichiarazione dei tre grandi Unione Sovietica, Inghilterra
e Stati Uniti d'America. Questa dichiarazione può anche essere violata,
ma non tanto facilmente. Comunque sia, l'indipendenza dell'Albania è
garantita".
Il compagno Stalin ripeté più volte che se il Governo albanese
seguirà una politica ponderata, accorta, lungimirante, allora i suoi
affari procederanno bene.
Continuando il compagno Stalin mi diede il seguente consiglio:
- Voi dovete considerare anche la possibilità di stabilire relazioni
con l'Italia, perché è un paese vicino al vostro, prendendo però
prima tutte le precauzioni per difendervi dall'attività dei fascisti
italiani.
Parlando dell'importanza che aveva il riconoscimento del nostro paese in campo
internazionale, mi chiese:
- Vi sono altri Stati che bussano alle vostre porte per allacciare con voi relazioni
diplomatiche? Quali sono i vostri rapporti con i francesi?
- Con la Francia, spiegai, intratteniamo già relazioni diplomatiche.
Essa ha la sua rappresentanza a Tirana e noi la nostra a Parigi.
- E con gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna?
- Non intratteniamo relazioni diplomatiche con questi paesi, risposi. Fin dal
1945, gli Stati Uniti hanno posto come condizione per il ripristino delle relazioni
il riconoscimento da parte nostra di tutti gli accordi da loro conclusi con
il governo antipopolare di Zog. Questi accordi non possiamo considerarli legittimi,
poiché hanno un carattere di asservimento, inoltre il Congresso di Përmet*
*( Il I Congresso Antifascista di Liberazione Nazionale svolse i suoi lavori
dal 24 al 28 maggio 1944 nella città libera di Përmet e gettò
le fondamenta del nuovo Stato albanese di democrazia Popolare. Questo congresso
decise fra l'altro di "annullare tutti gli accordi politici ed economici
che il governo di Zogu aveva concluso con gli Stati stranieri e che erano contrari
agli interessi del popolo albanese".) lo ha vietato in modo esplicito.
Gli inglesi, dal canto loro, vogliono prima installare delle basi militari nei
nostri porti e poi riconoscerci. E' da tempo che essi fanno di tutto per realizzare
queste loro mire.
"Al tempo in cui noi avevamo sgominato le forze naziste e liberato quasi
tutto il paese, gli inglesi ci chiesero con insistenza tramite alcune loro missioni
militari inviate presso di noi sotto la veste di alleati nella guerra antifascista,
di annientare insieme con un loro commando, da "alleati" quali eravamo,
una guarnigione tedesca che si era trincerata a Saranda, un nostro porto nel
Sud. Noi acconsentimmo a condizione che, una volta conclusasi l'operazione,
essi andassero da dove erano venuti, dal mare. L'operazione fu condotta a termine,
ma gli inglesi volevano non solo restare, ma penetrare anche in profondità
all'interno del paese.
"Allora lo Stato Maggiore Generale dell'Esercito di liberazione nazionale
notificò loro l'ultimatum di allontanarsi immediatamente, perché
in caso contrario sarebbero stati buttati in mare a viva forza. E così
gli inglesi furono costretti a risalire sulle loro navi e a far ritorno in Grecia.
Intanto però essi non hanno rinunciato alle loro mire".
- Agite a seconda degli interessi del vostro paese, disse Stalin e poi prosegui:
- Quanto alla richiesta degli inglesi di installare delle basi nei vostri porti,
non dovete assolutamente accettarla. Sorvegliate bene i vostri porti.
- Non li cederemo mai e a nessuno! - risposi. Qualunque cosa succeda, preferiamo
morire piuttosto che abbandonarli.
- Difendeteli senza morire, disse il compagno Stalin sorridendo. - Qui ci vuole
diplomazia.
Dopo di che si alzò, ci salutò uno per uno ed uscì dalla
stanza.
C'incontrammo di nuovo qualche giorno dopo ad un pranzo offerto al Cremlino
in onore della nostra delegazione. Ci sedemmo a tavola tutti attorno al compagno
Stalin. Anche durante questo pranzo, come in tutti gli altri incontri con lui,
rimanemmo colpiti ed emozionati nel vedere il grande affetto di Stalin per il
nostro paese e il nostro popolo, il suo interesse per sapere il più possibile
sulla storia, la cultura, la lingua, le usanze del nostro popolo.
Diede il via alla conversazione con delle domande su alcune parole albanesi:
- Voglio ascoltare, disse, come suonano in albanese le parole "popolo",
"uomo", "pane", "regalo", "donna", "maschio",
"terra"!
Cominciai a pronunciare in albanese queste parole mentre lui mi seguiva molto
attentamente. Ricordo che per una di queste parole venne a crearsi un momento
di ilarità. Mi aveva chiesto come si dice in albanese la parola russa
"dar"*.*(In russo: regalo)
- "Peshqesh"!, risposi subito.
- Ah, no! - disse. "Peshqesh" non è una parola albanese, ma
turca, e si mise a ridere. Aveva un riso molto franco, sincero, un riso che
scaturiva dal cuore.
Dopo avermi ascoltato mentre pronunciavo queste parole albanesi, il compagno
Stalin mi disse:
- La vostra lingua è molto antica, è stata tramandata da una generazione
all'altra attraverso la tradizione orale. Questo è un altro fatto che
conferma la resistenza del vostro popolo, la sua grande forza che gli ha permesso
di non essere assimilato nonostante le bufere a cui ha dovuto far fronte.
E a questo proposito mi domandò:
- Qual'è la composizione nazionale del popolo albanese? Vi sono minoranze
etniche serbe e croate in Albania?
- La stragrande maggioranza del nostro popolo, risposi, è composta di
albanesi; esiste anche una minoranza etnica greca (all'incirca 28 mila persone)
e un numero irrilevante di macedoni (cinque piccoli villaggi in tutto), ma non
vi sono né serbi né croati.
- Quante religioni vi sono in Albania? domandò poi il compagno Stalin,
- e qual'è la lingua parlata?
- In Albania, risposi, vi sono tre religioni: musulmana, ortodossa e cattolica.
La popolazione che professa queste tre confessioni religiose appartiene alla
stessa nazione albanese, quindi anche la lingua usata è solo l'albanese,
ad eccezione della minoranza etnica greca che parla la sua lingua madre.
Mentre io parlavo, Stalin tirava fuori di volta in volta la sua pipa e la caricava.
Osservai che non usava qualche tabacco speciale, ma delle sigarette "Kazbek"
alle quali toglieva la cartina e poi con il loro tabacco riempiva la sua pipa.
Dopo aver ascoltato la mia risposta, disse:
- Voi siete un popolo assai diverso dagli altri, così come i persiani
e gli arabi che hanno la stessa religione dei turchi. I vostri antenati esistevano
prima dei romani e dei turchi. La religione non ha nulla a che vedere con la
nazionalità e la cittadinanza.
Mentre continuavamo a discorrere, mi chiese ancora:
- Voi, compagno Enver, mangiate la carne di maiale?
- Sì! risposi.
- La religione musulmana lo vieta ai suoi fedeli. E' una vecchia usanza che
ha fatto il suo tempo. Comunque sia, prosegui, la questione delle credenze religiose
va considerata con molta cautela, bisogna agire con grande circospezione, poiché
non si possono offendere i sentimenti religiosi di un popolo . Questi sentimenti
sono stati coltivati da secoli negli uomini; bisogna quindi agire con grande
cautela, tanto più che l'atteggiamento adottato in materia influisce
sulla compattezza e l'unità del popolo.
Il pranzo trascorse in un'atmosfera calorosa e molto amichevole. Il compagno
Stalin, dopo avere brindato in onore dell'esercito albanese e dell'esercito
sovietico, tornò di nuovo sulla questione della lotta del popolo greco.
Parlava con profonda simpatia del popolo greco, coraggioso e amante della libertà,
dei suoi atti di eroismo, dei sacrifici affrontati e del sangue versato nella
sua giusta lotta.
- Noi come voi, come tutti i rivoluzionari e i popoli, disse tra l'altro il
compagno Stalin, siamo per la giusta lotta del popolo greco, per le sue rivendicazioni
di libertà e democrazia. Il nostro appoggio e il nostro sostegno ideologico
e politico non verranno a mancargli mai. Voi in particolare, che confinate con
la Grecia, proseguì, dovrete dar prova di prudenza e di vigilanza per
affrontare qualsiasi provocazione dei monarco-fascisti contro il vostro paese.
Durante il pranzo si fecero molti brindisi alla salute di tutti i compagni presenti.
Si brindò anche alla salute di Omer Nishani*.*( Allora presidente del
Presidium dell'Assemblea Popolare della RP d'Albania.)
Molotov, alzando ogni tanto il bicchiere, mi incitava a bere, ma vedendo che
io non appagavo il suo desiderio, mi chiese:
- Perché bevete così poco?! Ieri sera avete bevuto di più!
- Ah, ieri sera era diverso, risposi sorridendo.
In quel momento Molotov si rivolse al compagno Stalin:
- Ieri sera, disse, eravamo a cena con il compagno Enver da Viscinski. Qui Enver
Hoxha venne a sapere che ieri, il 31 marzo, era diventato padre di un maschietto.
Per festeggiare l'avvenimento bevemmo un pò di più.
- Le mie felicitazioni! - disse Stalin alzando verso di me il bicchiere. - Beviamo
alla salute del piccolo e della vostra sposa!
Ringraziai il compagno Stalin, augurandogli lunga vita e buona salute, per il
bene del Partito bolscevico e dello Stato sovietico, per il bene della rivoluzione
e del marxismo-leninismo.
Passammo diverse ore in questo ambiente così caloroso, cordiale e familiare.
Sia a me che ai miei compagni rimasero indelebili nella memoria il comportamento
e i tratti del glorioso Stalin, di quest'uomo il cui nome e la cui opera incutevano
terrore ai nemici imperialisti, fascisti, trotzkisti, nonché ai reazionari
di ogni colore, mentre suscitavano, gioia ed entusiasmo fra i comunisti, i proletari,
i popoli ed accrescevano la loro fiducia nel futuro.
Durante tutta la serata egli fu di ottimo umore, gaio, sorridente mentre seguiva
con grande attenzione le nostre libere conversazioni, facendo in modo che tutti
i presenti si sentissero a loro agio. Verso le 23 Stalin ci propose:
- Andiamo a prendere un caffè?
Ci alzammo tutti e passammo nella sala attigua. Mentre ci veniva servito il
caffè, ad un tavolino vicino due compagni sovietici incitavano allegramente
Xhafer Spahiu a bere ancora. Questi mentre si schermiva cercava di giustificarsi
in qualche modo. Stalin, attento, se ne accorse e disse scherzando ai compagni
sovietici:
- Ah, no! Questo non è giusto! Voi non siete in condizioni di parità
con l'ospite. Siete in due contro uno!
Noi tutti ridemmo, poi continuammo a discorrere e a scherzare come in famiglia.
Dopo un po' Stalin si alzò di nuovo:
- Ora compagni disse, vi invito ad andare al cinema.
Stalin ci condusse cosi al cinema del Cremlino, dove scelse di persona i films
per la nostra delegazione. Erano alcuni cinegiornali a colori che mostravano
vari panorami di diverse regioni dell'Unione Sovietica e la pellicola "La
sposa lontana".
Così si concluse la nostra seconda visita a Stalin.
ILTERZO INCONTRO
Novembre 1949
Un incontro di cinque ore a Sukhumi. Conversazione a quattr'occhi con il compagno
Stalin. Ancora una volta sul problema greco. Sulla situazione in Jugoslavia
dopo il tradimento di Tito. Il problema della Kosova e delle altre regioni jugoslave
abitate da albanesi. "Attaccare l'Albania non è cosa facile".
"Se l'Albania è forte all'interno, non corre alcun pericolo dall'esterno".
Una serata indimenticabile. Di nuovo sullo sviluppo economico e culturale dell'Albania.
L'atteggiamento nei confronti della religione e del clero. "Il Vaticano
è un centro reazionario, uno strumento al servizio del capitale e della
reazione mondiale".
Nel novembre del 1949 mi recai per la terza volta a Mosca. Durante il viaggio
feci una breve sosta a Budapest dove incontrai Rakosi, che mi accolse molto
cordialmente e chiese di essere informato sulla situazione economica dell'Albania,
sull'attività ostile dei titisti e sulla lotta delle forze democratiche
greche. Ebbe così inizio una conversazione amichevole, nella quale procedemmo
ad uno scambio di vedute e, se ben ricordo, mi mise al corrente della situazione
in Ungheria.
Prima di arrivare a Mosca, feci una piccola sosta anche a Kiev. Qui mi fecero
un'accoglienza molto calorosa.
A Mosca erano venuti a ricevermi Lavrentiev, il maresciallo Sokolovski, Orlov
ed altre autorità militari e civili. Poi m'incontrai con Malenkov, con
il quale ebbi una prima e breve conversazione.
Malenkov mi disse di consegnarli, se potevo e desideravo, una lista delle questioni
che intendevo trattare durante le conversazioni affinché potesse trasmetterle
più facilmente al compagno Stalin.
- Poi, mi disse, aspetteremo la risposta del compagno Stalin per sapere se voi,
compagno Enver, dovrete recarvi a conversare con lui di persona nella città
di Sukhumi, dove si trova attualmente per un periodo di riposo, oppure se dovrete
intrattenervi con qualche altro compagno della direzione sovietica che designerà
Giuseppe Vissarionovich.
Quella sera stessa preparai la lista delle questioni che intendevo discutere
e la consegnai a Malenkov.
Stalin, dopo esserne stato informato, mandò a dire che mi aspettava a
Sukhumi per le conversazioni. E così avvenne.
Incontrai il compagno Stalin nel giardino della casa in cui trascorreva il periodo
di riposo; un giardino incantevole, pieno di alberi e di aiuole coperte di fiori
variopinti ai lati dei viali e dei sentieri. Lo scorsi da lontano mentre camminava
lentamente, come al solito, leggermente curvo e con le mani intrecciate dietro
la schiena.
Mi accolse, come sempre, con molta cordialità e si mostrò molto
affabile. Sembrava stare molto bene di salute.
- Passo tutto il giorno all'aperto, mi disse, rientro in casa solo per i pasti.
Felice di rivederlo e di trovarlo in così buona salute, gli feci i miei
auguri:
- Possiate vivere altri cent'anni, compagno Stalin!
- Cento? - disse con un sorriso socchiudendo leggermente le palpebre. - Sono
pochi. In Georgia abbiamo dei vecchi di 145 anni che sono ancora arzilli.
- Ho detto altri cento, compagno Stalin, replicai, questo è un augurio
del nostro popolo, altri cento oltre alla vostra età!
- Tak kharasho!*, *(Così va bene) disse in tono scherzoso. Cosi va bene,
sono d'accordo. - Ridemmo.
Questo colloquio, che avvenne solo fra il compagno Stalin ed io (oltre al nostro
interprete Sterjo Gjokoreci), si svolse all'aperto, sulla veranda. Erano le
nove di sera con l'ora di Mosca. Stalin portava in testa un berretto, aveva
avvolta al collo una sciarpa color marrone e indossava un vestito dello stesso
colore.
Prima di sedermi, in atto di rispetto mi tolsi il cappello e lo posi sull' attaccapanni,
ma egli mi disse:
- Tenetevi pure il cappello.
Protestai, ma egli insisté affermando che potevo buscarmi un raffreddore
a causa dell'aria umida e diede ordine all'ufficiale addetto alla sua persona
di riportarmelo.
Durante questo indimenticabile incontro discutemmo con il compagno Stalin una
serie di problemi.
Tra l'altro gli esposi i nostri punti di vista sulle posizioni errate dei compagni
dirigenti del Partito Comunista di Grecia e sulle accuse che essi ci avevano
mosso ingiustamente. Gli dissi che il Comitato Centrale del nostro Partito aveva
intrattenuto sempre rapporti stretti con il Comitato Centrale del Partito Comunista
di Grecia, che il nostro Partito e il nostro popolo avevano sempre sostenuto
la giusta ed eroica lotta del popolo greco per la libertà e la democrazia
e contro l'intervento straniero angloamericano. Precisamente questi particolari
legami con i compagni greci ci consentirono di rilevare, specie durante il 1949,
gli errori della direzione del Partito Comunista per questo ponemmo loro in
evidenza a più riprese in modo aperto e amichevole, in un sano spirito
internazionalista, i nostri punti di vista su questi errori. Esprimemmo ancora
una volta le nostre opinioni dopo i rovesci subiti dalle forze democratiche
greche a Vitsi e a Gramoz. Ma i compagni dirigenti del Partito Comunista di
Grecia nemmeno questa volta giudicarono giuste le nostre osservazioni amichevoli;
anzi, ritenendosi offesi, giunsero al punto di tacciare, con una lettera del
loro Ufficio Politico indirizzata al nostro Ufficio Politico, di "trotzkisti"
e di "titisti" i nostri compagni dirigenti per quanto riguarda il
nostro giudizio sulla linea seguita dai dirigenti greci durante la lotta.
- Il nostro Ufficio Politico, dissi al compagno Stalin, dopo aver analizzata
la lettera del Comitato Centrale del Partito Comunista di Grecia firmata da
Niko Zakariadis, giunse alla conclusione che il gruppo di Zakariadis con i suoi
punti di vista e il suo atteggiamento errati non solo aveva gravemente danneggiato
la nuova linea che il Partito Comunista di Grecia aveva adottato dopo la fine
della guerra antihitleriana, ma cercava ora di far ricadere sugli altri la responsabilità
per le disfatte subite e i sabotaggi da esso stesso compiuti a questa linea.
- Quando avete conosciuto Zakariadis? mi chiese Stalin.
Dopo avergli risposto, egli mi disse:
- Il compagno Zakariadis non ha detto nulla di male ai nostri compagni sul conto
di voi albanesi, e così dicendo dispiegò una lettera che l'Ufficio
Politico del Partito Comunista di Grecia aveva indirizzato all'Ufficio Politico
del PLA e la percorse con lo sguardo. Poi rivolgendo gli occhi verso di me,
soggiunse:
- Non vedo qui le accuse di cui parlate voi, leggo soltanto che essi vi rimproverano
di averli ostacolati in alcune questioni di ordine tecnico.
- All'inizio, risposi, queste accuse ci vennero mosse oralmente e poi per scritto
in una delle loro ultime lettere. La copia di questa lettera e della nostra
risposta l'abbiamo fatta pervenire anche a voi tramite l'ambasciatore Chouvakin.
Non avendo letto queste lettere, Stalin chiese le loro date e poi ordinò
che fossero cercate. Gliele portarono qualche momento dopo. Le lesse e poi mi
disse:
- Stavo passando un periodo di riposo e quindi non ho letto questi documenti.
Ho invece letto tutte le altre vostre lettere.
- I greci, soggiunse dopo qualche istante, hanno chiesto di discutere e di intendersi
con voi.
- Per quanto riguarda le osservazioni e le critiche da noi mosse ai compagni
greci, dissi al compagno Stalin, siamo partiti sempre da intenzioni sincere
e amichevoli, considerando ciò come un dovere internazionalista, a prescindere
dal fatto che le nostre opinioni siano a loro gradite o no. Ci siamo sforzati
sempre di risolvere amichevolmente e in un sano spirito comunista queste questioni
con i compagni greci, mentre loro non solo non hanno dato prova dello stesso
spirito di comprensione, ma vogliono ora anche accusarci e far ricadere la responsabilità
delle loro disfatte sugli altri. Simili punti di vista e atteggiamenti sono
inaccettabili per noi e quando si tratta degli affari del nostro Partito, del
nostro popolo e della nostra patria, il compagno Zakariadis deve tener presente
e non dimenticare che solo noi siamo responsabili del nostro operato davanti
al Partito e al popolo albanesi, così come lo è lui davanti al
suo partito e al suo popolo.
Dopo avermi attentamente ascoltato, il compagno Stalin mi domandò:
- Vi sono ancora in Albania dei democratici greci ai quali avete dato provvisoriamente
asilo? In quale maniera intendete agire con loro in seguito?
Rispondendo a queste domande, illustrai dettagliatamente al compagno Stalin
le nostre posizioni. Gli dissi fra l'altro che gli imperialisti, i monarco-fascisti
e la reazione, per scopi ben determinati, ci hanno da tempo arbitrariamente
accusati di essere noi "i responsabili di tutto quello che succede in Grecia",
sostenendo la falsa pretesa che noi ci immischiamo negli affari interni della
Grecia, e così via. Tutto il mondo è però testimone che
noi non ci siamo mai ingeriti né ci ingeriremo mai negli affari interni
della Grecia.
Per quanto riguarda il sostegno che abbiamo dato e diamo alla lotta del popolo
greco, aggiunsi, questo lo consideriamo un legittimo diritto e un dovere di
ogni popolo verso la giusta lotta di un popolo fratello. Dato che siamo confinanti
con la Grecia, molti uomini, donne e bambini greci innocenti, mutilati, terrorizzati
e incalzati dai monarco-fascisti, hanno attraversato la nostra frontiera e trovato
riparo da noi. Verso tutti costoro abbiamo tenuto un atteggiamento molto giusto
e pieno di sollecitudine: li abbiamo aiutati, ospitati e raccolti in diversi
luoghi lontani dal confine greco.
Proseguendo la mia esposizione su questo problema, dissi al compagno Stalin
che l'afflusso di questi rifugiati ci aveva creato numerose e grosse difficoltà;
abbiamo quindi avuto cura, oltre all'adempimento del dovere umanitario, di evitare
che la presenza dei rifugiati democratici greci sul nostro territorio contribuisse
a rinfocolare ancor più la psicosi antialbanese dei governanti greci.
E' questo uno dei principali motivi per cui abbiamo accolto con soddisfazione
la richiesta del compagno Zakariadis e degli stessi rifugiati greci di lasciare
l'Albania e trovare asilo in altri paesi. Attualmente, dopo gli atteggiamenti
non giusti nei nostri confronti dei compagni dirigenti del Partito Comunista
di Grecia e dopo le pesanti accuse che ci vengono mosse, il nostro Ufficio Politico
ritiene che la partenza di quell'esiguo numero di rifugiati rimasti ancora nel
nostro paese s'impone con maggiore urgenza. Gli dissi che non solo i combattenti
democratici, ma gli stessi dirigenti greci che hanno recentemente trovato asilo
in Albania, devono lasciare il nostro paese.
Proseguendo nell'esporre i nostri punti di vista sul problema greco, parlai
al compagno Stalin anche di altri errori dei compagni greci, come la sottovalutazione
da parte loro della lotta partigiana, di lunga durata ed estesa t tutto il paese,
e la loro fiducia solo nella "lotta frontale" con un "esercito
regolare"; la soppressione, da parte loro, della funzione del commissario
politico nelle unità partigiane, e così via. "Sotto la pressione
dei punti dì vista errati e piccolo borghesi degli ufficiali superiori
di carriera, i quali non volevano e non sopportavano al loro fianco degli uomini
fidati del Partito, spiegai al compagno Stalin, il ruolo del commissario nel
comando dell'Esercito Democratico Greco finì per appannarsi e passare
in secondo piano, ed essere persino completamente eliminato. Questi ed altri
errori del genere ci fanno ritenere che nella direzione del Partito Comunista
di Grecia regnano la confusione, l’opportunismo, la falsa modestia mentre
il ruolo guida del Partito viene lasciato nell'ombra",
Dopo aver attentamente ascoltato la mia esposizione, il compagno Stalin mi disse
fra l'altro:
- Come voi anche noi abbiamo accolto la richiesta di Zakariadis per la partenza
dei democratici greci dall'Albania e ci siamo interessati affinché raggiungessero
i luoghi da loro scelti. Questo lo abbiamo fatto per motivi umanitari. Aiutare
tutta questa gente costituiva anche per noi un grosso compito, ma essi dovevano
pur andare in qualche posto, perché non potevano rimanere in un paese
confinante con la Grecia.
"L'atteggiamento da voi tenuto verso i combattenti greci che avevano varcato
il vostro confine, aggiunse il compagno Stalin, mi sembra giusto. Quanto alle
loro armi che sono rimaste in Albania, penso che dovrete tenerle voi albanesi,
perché le meritate.
- Sembra che i dirigenti del Partito Comunista di Grecia, proseguì, non
abbiano tenuto conto come si deve delle situazioni. hanno sottovalutato le forze
del nemico credendo di avere a che f are solo con Tsaldaris e non anche con
gli inglesi e gli americani. Per quanto riguarda l'ultimo ripiegamento dei compagni
greci, alcuni pensano che non avrebbero dovuto farlo, ma, a mio avviso, considerando
l'andamento degli eventi, i combattenti greci dovevano senz'altro ritirarsi,
altrimenti sarebbe stato per loro lo sterminio.
"Sulle altre questioni i compagni greci hanno torto. Essi non potevano
condurre una guerra frontale con un esercito regolare, perché non disponevano
né di un esercito capace di condurre una guerra del genere né
di un territorio abbastanza esteso indispensabile a tal fine. Sopravvalutando
le forze e le possibilità di cui disponevano, essi hanno fatto tutto
alla luce del sole, consentendo al nemico di scoprire tutte le loro posizioni
e il loro arsenale.
"Comunque sia, a mio avviso, voi dovreste spiegarvi con i compagni greci.
Questo è il mio parere. Ritengo inoltre infondate le loro accuse, secondo
cui voi albanesi avreste tenuto nei loro confronti degli atteggiamenti "trotzkisti",
"titisti"".
Quella sera stessa Stalin mi chiese dove e quando ritenevamo opportuno riunirci
con i dirigenti greci per chiarire le divergenze di principio che erano sorte
fra i nostri due partiti.
- Noi siamo pronti a riunirci quando lo riterrete opportuno, risposi, forse
anche il prossimo gennaio e direi a Mosca.
Proseguendo la conversazione con il compagno Stalin parlammo della grave situazione
venutasi a creare nel Partito Comunista di Jugoslavia dopo il tradimento di
Tito, della politica antimarxista, nazionalista e sciovinista che seguiva la
cricca titista contro l'Albania e gli altri paesi a democrazia popolare. In
modo particolare accennai alle condizioni in cui versava la popolazione albanese
in Kosova e nelle altre regioni della Jugoslavia.
- La linea del Partito Comunista di Jugoslavia verso la Kosova e le altre regioni
abitate da popolazioni albanesi in Jugoslavia, dissi al compagno Stalin, dall'inizio
della Lotta Antifascista e fino alla Liberazione e ancora di più dopo
la Liberazione, si basava e si basa su posizioni scioviniste e nazionaliste.
Se il Partito Comunista di Jugoslavia si fosse mantenuto su sane posizioni marxiste-leniniste,
avrebbe dovuto dare, già durante la Lotta Antifascista di Liberazione
Nazionale, una particolare importanza alla questione della popolazione albanese
in Jugoslavia, poiché si tratta di una minoranza etnica numerosa che
vive lungo le sue frontiere con l'Albania. Secondo un nostro punto di vista
che risale ai primi anni della Lotta, la questione del futuro della Kosova e
delle altre regioni albanesi in Jugoslavia non andava sollevata durante la guerra,
perché gli albanesi della Kosova e delle altre regioni albanesi dovevano
battersi contro il fascismo nell'ambito della Jugoslavia, in attesa che il loro
problema venisse risolto dai due partiti fratelli, dai regimi democratici popolari
che si sarebbero instaurati in Albania e in Jugoslavia, dalla stessa popolazione
di quelle regioni.
"L'essenziale era che gli albanesi della Kosova e delle altre regioni della
Jugoslavia fossero sicuri e convinti che, combattendo il fascismo al fianco
dei popoli della Jugoslavia, dopo la vittoria sarebbero stati liberi e avrebbero
avuto tutte le possibilità di decidere del loro futuro, di decidere dunque
se unirsi all'Albania o restare nell'ambito della Jugoslavia come un'entità
avente uno statuto particolare.
"Una politica in tal senso giusta e conforme ai principi avrebbe mobilitato
la popolazione della Kosova e delle altre regioni abitate da albanesi in Jugoslavia,
malgrado la feroce reazione e la propaganda demagogica del fascismo, a impegnare
tutte le proprie forze nella grande lotta antifascista. Fin dall’inizio
della guerra, noi esprimemmo ai dirigenti jugoslavi la nostra opinione secondo
cui essi dovevano mobilitare la popolazione albanese facendo leva sullo spirito
patriottico, permettere a questa di portare insieme alla bandiera jugoslava
anche quella albanese, prendere in considerazione una più massiccia partecipazione
degli elementi albanesi al nuovo potere che si sarebbe creato nel corso della
lotta, incoraggiare e sviluppare negli albanesi sia il nobile sentimento dell'affetto
per l'Albania, la loro patria, che il sentimento di fratellanza nel quadro della
giusta lotta dei popoli della Jugoslavia, stabilire e rafforzare una strettissima
collaborazione fra i distaccamenti albanesi della Kosova e la Lotta di Liberazione
Nazionale del nostro paese, pur essendo diretti questi distaccamenti albanesi
della Kosova e delle altre regioni dallo Stato Maggiore generale dell’Esercito
di Liberazione Nazionale di Jugoslavia, ecc. Ma, aggiunsi, come dimostrò
la realtà, alla direzione jugoslava non andavano a genio queste giuste
e indispensabili richieste e quindi non solo essa faceva delle dichiarazioni
di principio molto vaghe, ma per bocca di Tito accusò di "deviazione
nazionalista" sia noi che quei compagni jugoslavi che consideravano fondate
le nostre richieste.
"La politica sciovinistica e nazionalistica seguita dalla direzione jugoslava
in Kosova e nelle altre regioni abitate da albanesi, andò intensificandosi
sempre più all'indomani della guerra, indipendentemente dalla demagogia
praticata e da alcuni monchi provvedimenti adottati in un primo tempo dalla
cricca Tito-Rankovic, come ad esempio l'apertura di qualche scuola albanese,
ecc.
"Comunque sia, all'indomani della guerra noi consideravamo ancora il Partito
Comunista di Jugoslavia come un partito fratello e speravamo che la questione
della Kosova e delle altre regioni albanesi trovasse una giusta soluzione appena
venuto il momento opportuno.
"Noi ritenemmo giunto questo momento in occasione della firma del trattato*
*( Il Trattato di amicizia. di cooperazione e di reciproca assistenza fra la
Repubblica Popolare d'Albania e la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia
firmato nel luglio del 1946.) con la Jugoslavia e, a quel tempo, io sollevai
il Problema presso Tito. Tito mi chiese che cosa pensavo della questione della
Kosova. "La Kosova e le altre regioni abitate da popolazioni albanesi in
Jugoslavia, gli risposi, sono terre albanesi che le grandi potenze hanno ingiustamente
strappate all'Albania; esse appartengono all'Albania e debbono esserle restituite.
Ora che i nostri due paesi sono socialisti, esistono le condizioni per una giusta
soluzione del problema". Tito disse: "Sono d'accordo, questo è
anche il nostro desiderio; ma per il momento non possiamo fare nulla, perché
i Serbi non lo comprenderebbero". "Se non lo comprendono oggi, replicai,
dovranno comprenderlo domani".
Il compagno Stalin mi domandò allora quando avevo conosciuto Tito e gli
altri dirigenti jugoslavi. Gli dissi di averli conosciuti alla fine della guerra,
durante la mia prima visita a Belgrado nel 1946, e proseguì:
- Il problema della Kosova e della popolazione albanese che vive in altre regioni
della Jugoslavia e il futuro di questo problema restano un affare sul quale
deve decidere lo stesso popolo della Kosova e delle altre regioni. Dal canto
nostro, senza ingerirci assolutamente negli affari interni della Jugoslavia,
non cesseremo mai di sostenere i diritti dei nostri fratelli di sangue che vivono
in Jugoslavia e alzeremo la voce contro il terrore e la politica di sterminio
che segue contro di loro la cricca di Tito-Rankovich.* *( Cfr. Enver Hoxha.
"I titisti" (Appunti storici). Edizioni -8 Nëntori-, Tirana 1983,
pp. 3-10 dell'edizione italiana; Enver Hoxha, -Opere scelte-, vol. IV. Edizioni
-8 Nëntori-, Tirana 1982, pp. 81-99 dell'ediz. francese.)
Infine dissi al compagno Stalin che noi gli avevamo inviato una lettera sull'argomento.
- Ho letto la vostra lettera, rispose il compagno Stalin. Sono d'accordo con
voi, spetta al popolo stesso della Kosova di decidere e sarà esso che
deciderà del suo futuro.
"Tito, proseguì il compagno Stalin, oltre che seguire una politica
antimarxista verso la Kosova, ha cercato di annettersi anche l'Albania. Ciò
apparve chiaro quando Tito tentò di dislocare le sue divisioni in Albania.
Noi ci opponemmo a quest'azione. Sia noi che voi sappiamo che le unità
dell'esercito jugoslavo dovevano essere trasferite in Albania per aiutare Koçi
Xoxe a liquidare l'Albania libera e il Governo albanese".
- Tito, osservai io, approfittando del fatto che in quel periodo la Grecia faceva
continuamente delle provocazioni alle nostre frontiere, inventò la tesi
che noi saremmo stati attaccati "su vasta scala dalla Grecia", che
"l'attacco era imminente" e che ciò "costituiva un pericolo
per l'Albania", e così via. Dopo di che Tito, in combutta con il
traditore Koçi Xoxe e i suoi complici, con i quali si era legato in segreto,
ci propose di inviare le sue forze militari in Albania, precisamente nella zona
di Korça e poi anche in quella di Gjirokastra, per "difenderci dall'attacco
greco". Ci siamo opposti energicamente a questa proposta, mettendovi subito
al corrente del fatto. Eravamo convinti che sotto il pretesto dell'invio di
divisioni jugoslave "in nostro soccorso", egli puntava ad occupare
l'Albania, ed è in questo senso che anche voi, nella vostra risposta,
avete interpretato la cosa.
Con un sorriso in cui trasparivano allo stesso tempo irritazione e una profonda
ironia, Stalin disse:
- Ed ora Tito accusa noi, sovietici, di ingerirci negli affari interni della
Jugoslavia, di aver voluto, a suo dire, attaccare la Jugoslavia! No, questo
noi non l’abbiamo mai voluto, né possiamo immaginare di fare una
cosa simile, perché siamo dei marxisti-leninisti, siamo un paese socialista
e non possiamo agire come pensa ed agisce Tito.
"Penso che anche nel futuro, da marxisti-leninisti quali siamo, dovremo
denunciare gli atti e i punti di vista antimarxisti di Tito e della direzione
jugoslava, ma tengo a ribadirlo un'altra volta, non dovremo assolutamente ingerirci
nei loro affari interni. Ciò non sarebbe marxista. Sta ai comunisti jugoslavi
e al popolo jugoslavo decidere in merito, sta a loro risolvere i problemi attuali
e a lungo termine del loro paese. E' in questo quadro che va considerato anche
il problema di Kosova e delle altre regioni della Jugoslavia abitate da albanesi.
Non dobbiamo dare alcun pretesto al nemico titista e permettergli di accusarci
che cerchiamo di distruggere la Federazione jugoslava. Questo aspetto del problema
è delicato e va trattato con molta cautela, poiché Tito affermando:
"Ecco, cercano di smembrare la Jugoslavia", non solo vuole raggruppare
la reazione, ma anche sensibilizzare gli elementi patriottici.
"Per quanto riguarda la posizione dell'Albania, proseguì il compagno
Stalin, dal punto di vista internazionale essa è stata definita dalla
conferenza dei ministri degli esteri degli Stati Uniti d'America, della Gran
Bretagna e dell'Unione Sovietica. Voi conoscete le dichiarazioni di Hull, Eden
e Molotov al riguardo. Si fa un gran rumore su un eventuale attacco della Jugoslavia,
della Grecia, ecc. contro l'Albania, ma ciò non è una cosa facile
né per loro né per qualsiasi altro nemico. E il compagno Stalin
mi chiese:
- I greci proseguono le provocazioni alle vostre frontiere?
- Dopo le buone lezioni che abbiamo dato loro specie nella scorsa estate, risposi,
hanno sospeso per il momento i loro attacchi armati, comunque noi non allentiamo
la vigilanza e stiamo sempre all'erta.
- Tsaldaris, riprese il compagno Stalin, ha dei grossi grattacapi nel paese;
ora non ha tempo di organizzare delle provocazioni, perché i monarco-fascísti
stanno litigando fra loro. A mio giudizio, nemmeno gli angloamericani potranno
attaccarvi dall'esterno, ma tenteranno di nuocervi dall'interno, organizzando
rivolte e movimenti sovversivi, inviando agenti e attentatori per uccidere i
dirigenti albanesi, e così via. I nemici tenteranno di provocare torbidi
e conflitti all'interno del paese, ma se l'Albania sarà forte all'interno,
non correrà alcun rischio dall'esterno. Questo è l'essenziale.
Se l'Albania seguirà una politica saggia e conforme ai principi, non
avrà assolutamente nulla da temere.
"Quanto ai documenti dei tre ministri degli esteri, disse il compagno Stalin,
li dovrete tenere presenti e ogni tanto, al momento opportuno, ricordarli agli
"amici".
"Dovete però rafforzare continuamente la vostra situazione interna
in tutti i campi, consolidarla costantemente. Questo è l'essenziale,
insisté e mi domandò:
- Dispone il vostro ministero degli Interni di forze per colpire le bande controrivoluzionarie
e le attività della reazione interna?
- Sì, risposi. Queste forze, di cui fanno parte i figli del popolo, hanno
svolto un lavoro encomiabile in modo particolare nei primi anni dopo la Liberazione
per ripulire il paese dalle bande di criminali, dai nemici che si nascondevano
sulle montagne e dagli agenti sovversivi inviati da fuori. In stretta collaborazione
con il popolo, le nostre forze militari stanno assolvendo sempre meglio i loro
compiti mentre il Partito e il potere hanno avuto ed hanno cura di prepararle
ed equipaggiarle nel miglior modo possibile.
- Queste forze mantenetele continuamente sul piede dì guerra per poter
saldare i conti sia con i gruppi controrivoluzionari che con i banditi che potranno
eventualmente agire, mi consigliò il compagno Stalin a proposito della
situazione in Albania e mi domandò:
- Tito ha denunciato il Trattato di amicizia e di reciproca assistenza con l'Albania?
- Si, risposi. Il modo in cui Tito ha denunciato il trattato è veramente
titista. Il 2 novembre di quest'anno i dirigenti jugoslavi ci indirizzarono
una nota ufficiale costellata di denuncie e di vili accuse con la quale ci intimavano,
sotto forma di ultimatum, di rinunciare alla nostra via e di imboccare come
loro la strada del tradimento. E poi, improvvisamente, senza aspettare la nostra
risposta alla prima nota, il 12 novembre ci inviarono una seconda nota con cui
denunciavano il trattato.
Comunque sia, noi abbiamo risposto sia all'una che all'altra di queste note
come meritavano e continuiamo a vivere magnificamente anche senza il loro trattato
di amicizia".
Tutto l'incontro si svolse in un'atmosfera calorosa, lieta , molto intima. Dopo
la conversazione a quattr'occhi con il compagno Stalin, entrammo a casa per
la cena. Prima di entrare nella sala da pranzo bisognava passare per un'anticamera,
dove si lasciavano i soprabiti e i cappelli. Nella sala da pranzo c'era una
tavola lunga, le pareti erano rivestite per metà in legno e qua e là
c'erano delle piccole credenze con sopra i piatti e le bevande. Con noi sedevano
a tavola anche due generali sovietici, il primo era addetto alla persona di
Stalin e l'altro mi accompagnava durante la mia visita. Stalin conversava familiarmente,
ci rivolgeva delle domande, parlava in tono scherzoso con noi e i due generali.
Una volta seduti lanciò qualche motto scherzoso anche a proposito delle
vivande. Il modo in cui si svolse la cena fu molto originale. Non c'era alcun
capocameriere per il servizio. Una ragazza portava le pietanze in grandi piatti
coperti perché non si raffreddassero; posava i piatti sulla tavola e
se ne andava. Stalin si alzava, prendeva lui stesso il piatto e, in piedi, tagliava
i pollastri, poi si metteva a sedere e continuava a parlare in tono scherzoso.
- Allora, mangiamo, disse rivolgendosi a me. Aspettate forse che vengano i camerieri
a servirci? Ecco dove sono i piatti, scopriteli e servitevi se non volete restare
senza mangiare.
Rise di nuovo con quel suo riso franco e comunicativo che ti riempiva il cuore
di gioia. Ogni tanto alzava il suo bicchiere e faceva un brindisi. A un dato
momento, il generale di scorta, vedendo Stalin riempire il suo bicchiere da
un'altra bottiglia, fece per impedirglielo e lo consigliò di non mescolare
le bevande. Evidentemente egli aveva il dovere di aver cura di Stalin. Stalin
rise e disse che non era la fine del mondo. Ma quando il generale si ostinò
a impedirglielo, Stalin replicò in un tono fra il serio e il faceto:
- Cerca di non infastidirci, sei diventato proprio come Tito! - e mi guardò
negli occhi ridendo. Ridemmo tutti.
Verso la fine della cena, mi mostrò un frutto e mi chiese: L'avete mai
assaggiato? - No, risposi, è la prima volta che lo vedo, come si mangia?
Mi disse il suo nome; era un frutto d'India o tropicale. Poi lo prese, lo sbucciò,
e me l'offrì.
- Assaggiatelo, mi disse, ho le mani pulite. Ed io mi ricordai della bella usanza
della nostra gente del popolo che, conversando con l'ospite, sbuccia una mela
e gliela offre.
In questo indimenticabile incontro con il compagno Stalin, sia durante la conversazione
sulla veranda, sia durante la cena, discorremmo con spirito profondamente amichevole
anche dei problemi inerenti allo sviluppo economico e socio-culturale del nostro
paese.
Come in tutti i nostri precedenti incontri Stalin, dopo essersi interessato
nel dettaglio della nostra situazione economica, dello sviluppo in generale
della nuova Albania, mi diede una serie di preziosi consigli che sono stati
e sono sempre utili al nostro lavoro.
Lo misi al corrente nelle linee generali dell'andamento dei nostri affari, gli
parlai dei successi conseguiti nella realizzazione dei piani, della grande mobilitazione
del popolo, ma anche di una serie di difficoltà e di manchevolezze di
cui eravamo consci e che cercavamo di combattere e superare.
- Oltre alle manchevolezze nel nostro lavoro, dissi al compagno Stalin, il sabotaggio
sistematico della nostra economia ad opera degli jugoslavi ci ha creato gravissime
difficoltà per la realizzazione dei piani nel settore dell'industria
e in altri settori. Attualmente stiamo compiendo grossi sforzi in tutte le direzioni
per eliminare le conseguenze di quest'opera nefanda, dedicando particolare cura
al settore dell'industria socialista, il quale, benché ai suoi primi
passi, apre grandi prospettive al paese. Unitamente alle nuove opere in via
di costruzione, anche le nostre risorse minerarie costituiscono in tal senso
un vasto campo di sfruttamento. Il nostro sottosuolo è ricco di minerali
non sfruttati. Il gruppo di scienziati e di geologi che il Governo sovietico
invierà quest'anno da noi, ci fornirà altri dati sul luogo in
cui si trovano queste ricchezze e sulla loro rilevanza. D'altro canto, abbiamo
già cominciato a sfruttare dei giacimenti di cromo e di rame, alcuni
campi petroliferi, ecc. Secondo i dati forniti dagli specialisti, vi sarebbero
ingenti quantità di petrolio, di rame e di cromo, senza parlare del bitume
naturale. Grazie alla nostra lotta e ai nostri sforzi, alla mobilitazione di
tutte le nostre forze e di tutti i mezzi di cui disponiamo nonché ai
crediti che ci ha concesso il Governo sovietico, abbiamo migliorato lo sfruttamento
di questi preziosi prodotti. Sappiamo bene però che occorrono grossi
investimenti per promuovere al massimo la loro estrazione. Per il momento è
impossibile farlo con le forze e i mezzi di cui disponiamo. Abbiamo utilizzato,
proseguii, la maggior parte dei crediti che ci hanno concesso l'Unione Sovietica
e le democrazie popolari per migliorare fino ad un certo punto lo sfruttamento
dei giacimenti esistenti. Nelle attuali condizioni non siamo in grado di sfruttare
come si deve le ricchezze già scoperte del nostro sottosuolo, come il
cromo, il rame e il petrolio, ed anche quelle che verranno scoperte, né
sviluppare rapidamente gli altri rami dell'industria.
"Il nostro Ufficio Politico ha esaminato questo problema di grande rilevanza
per il futuro del popolo albanese ed è giunto alla conclusione che per
il momento non abbiamo i mezzi e le possibilità interne per portare a
buon fine da soli i compiti che ci si prospettano. A questo proposito vorremmo
sapere se ritenete opportuno la creazione di società miste albanesi-sovietiche
per l'industria del petrolio, del rame e del cromo. Noi potremmo sottoporre
il problema anche al Consiglio di Reciproca Assistenza Economica, ma prima di
farlo, vorremmo conoscere il vostro parere al riguardo".
Stalin, dopo aver espresso la sua soddisfazione per i nostri successi nello
sviluppo economico del paese, mi disse che non era d'accordo con la creazione
di società miste albanesi-sovietiche e mi spiegò che, anche se
qualche tentativo era stato precedentemente fatto in tal senso con qualche paese
a democrazia popolare, in seguito era stato considerato sbagliato e abbandonato.
E poi aggiunse:
- Noi continueremo ad aiutarvi e vi daremo quindi gli specialisti e ogni altra
cosa di cui avrete bisogno in misura maggiore di quanto abbiamo fatto finora.
Praticamente, ora siamo in grado di darvi di più, il nostro piano quinquennale
in corso procede in modo soddisfacente.
Ringraziai il compagno Stalin per gli aiuti che ci erano stati concessi e che
ci sarebbero concessi.
- Mi ringrazierete quando li riceverete, disse con un sorriso e poi mi chiese:
- Come funzionano i vostri treni, a gasolio o a carbone?
- In prevalenza a carbone, risposi, ma i nuovi tipi di locomotive che abbiamo
ricevuto funzionano a gasolio.
- Raffinate il vostro petrolio? A che punto siete con la raffineria?
- Stiamo costruendo la nuova raffineria, le attrezzature sono sovietiche, risposi.
il prossimo anno procederemo al montaggio dei macchinari.
- Avete del carbone? - mi chiese poi Stalin.
- Sì, ne abbiamo, dissi, e i dati geologici indicano che le prospettive
in questo ramo sono buone.
- Dovrete lavorare per scoprirne ed estrarne il più possibile, mi consigliò
il compagno Stalin. E' un prodotto molto necessario per lo sviluppo dell'industria
e dell'economia in genere, prestategli quindi tutta la vostra attenzione se
non volete andare incontro a difficoltà.
Come in tutti gli altri incontri, il compagno Stalin mostrò molto interesse
per la situazione delle nostre masse contadine, per lo sviluppo dell'agricoltura,
per la politica del nostro Partito in questo importante campo. Mi chiese delle
informazioni sulla situazione dei cereali in generale e delle sementi che venivano
impiegate da noi per i cereali da pane.
Risposi che di anno in anno avevamo cercato di accrescere la produzione cerealicola,
un problema questo di grande rilevanza e di vitale importanza per il nostro
paese, e che avevamo conseguito una serie di successi in questo campo, ma che
dovevamo fare ancora di più per assicurare il pane al popolo.
- Il vostro Governo, mi disse tra l'altro il compagno Stalin, deve impegnarsi
a fondo per lo sviluppo dell'agricoltura e aiutare le masse contadine affinché
i coltivatori vedano costantemente come il Governo s'interessa di loro e del
costante miglioramento della loro vita. Poi mi chiese:
- Avete un clima favorevole all'agricoltura, non è vero?
- Sì, risposi, abbiamo un buon clima.
- Si, si, lo so, affermò, da voi cresce ogni specie di pianta. L'importante
è di scegliere ciò che si semina. Voi, mi consigliò, dovete
scegliere delle sementi di qualità e noi siamo pronti ad aiutarvi. Per
il futuro dovrete preparare molti agronomi, perché l'Albania è
un paese agricolo e l'agricoltura non può andare avanti senza impegno
e profonde cognizioni scientifiche. Inviate qui da noi, aggiunse, un agronomo
a scegliere le sementi.
Poi mi domandò:
- E con il cotone come vanno le cose? Sono interessati i vostri contadini a
coltivarlo?
Dissi al compagno Stalin che non avevamo ereditato nessuna tradizione dal passato
per quanto riguarda questa pianta industriale, ma che stavamo estendendo di
anno in anno le superfici coltivate a cotone. Ciò è indispensabile,
continuai, perché, oltre al resto, il complesso tessile in via di costruzione
funzionerà con il nostro cotone.
- Dovete spingere i vostri contadini a produrre più cotone, mi consigliò
il compagno Stalin, acquistandolo a prezzi più alti. Finché l'ideologia
socialista non sarà radicata nella loro coscienza, essi non si impegneranno
facilmente se non vedranno il loro tornaconto.
Proseguendo la conversazione, egli mi domandò:
- Avete dei terreni incolti, non dissodati?
- Sì, ne abbiamo, risposi, sulle colline e sulle montagne, ma anche nelle
zone di pianura. In modo particolare le paludi e gli acquitrini sono stati una
grave piaga per la nostra agricoltura ed anche per la salute del popolo.
Aggiunsi che dopo l'instaurazione del potere popolare si era fatto e si stava
facendo un grande lavoro per il prosciugamento delle paludi e degli acquitrini,
che una serie di successi era stata conseguita in tal senso, ma che i nostri
piani in questo settore erano assai più consistenti e che li avremmo
realizzati passo dopo passo.
- I contadini, osservò il compagno Stalin, non devono lasciare incolto
nemmeno un palmo dì terra. Bisogna convincerli ad estendere la superficie
arata.
- Per evitare gli effetti dannosi delle paludi e combattere la malaria, mi consigliò
Stalin, piantate degli eucalipti. E' un albero che presenta molti vantaggi e
che da noi cresce in molte zone. Ha la virtù di tener lontane le zanzare
e poi cresce rapidamente e assorbe l'acqua degli acquitrini".
Durante la cena il compagno Stalin mi domandò ancora:
- Quali sono le impressioni dei vostri Contadini che hanno visitato l'Unione
Sovietica?
Risposi che erano tornati in Albania con impressioni eccellenti, indelebili.
Nelle conversazioni con i compagni e parenti, nelle riunioni e negli incontri
avuti con il popolo essi parlano con un senso di profonda ammirazione di tutto
quello che hanno visto in Unione Sovietica, dei vostri successi in tutti i settori
e in modo particolare dello sviluppo dell'agricoltura sovietica. Gli raccontai,
tra l'altro, come uno dei nostri contadini che aveva visitato l'Unione Sovietica,
mostrava un campione di mais georgiano.
Il compagno Stalin ne fu molto contento e l'indomani venni a sapere che aveva
raccontato il fatto anche ad alcuni compagni sovietici che erano venuti a farmi
visita. Stalin aveva personalmente raccomandato a loro di portarmi alcuni sacchetti
di mais georgiano da usare come semente. Lo stesso giorno, sempre su sua raccomandazione,
ci portarono anche dei semi di eucalipto.
Durante quest'incontro il compagno Stalin, come sempre, parlava con calma e
in modo posato, domandava e ascoltava con molta attenzione, esprimeva pareri,
dava consigli, ma sempre in uno spirito profondamente amichevole.
- Non esistono ricette sul modo di comportarsi in questa o quella occasione,
di come va risolto questo o quel problema, ripeteva spesso, a seconda delle
questioni che io sollevavo.
Durante la conversazione parlai a Stalin dell'atteggiamento del clero in Albania,
specie di quello cattolico, della nostra posizione nei suoi riguardi e chiesi
come giudicava il nostro comportamento.
- Il Vaticano, mi disse tra l'altro il compagno Stalin, è un centro reazionario,
uno strumento al servizio del capitale e della reazione mondiale; sono essi
che sostengono quest'organizzazione internazionale di sovversione e di spionaggio.
Il fatto è che molti preti cattolici e missionari del Vaticano sono delle
spie matricolate di livello mondiale. Per mezzo loro l'imperialismo ha tentato
e tenta di raggiungere i suoi scopi. - Poi mi raccontò ciò che
gli era accaduto una volta a Yalta con Roosevelt, alla presenza del rappresentante
della chiesa cattolica americana.
Parlando con Roosevelt, Churchill ed altri dei problemi della guerra antihitleriana,
essi gli avevano detto: "Non attaccate più il Papa. Perché
vi accanite contro di lui?!".
"Non ho nulla contro di lui", aveva risposto Stalin.
"Allora facciamo del Papa un nostro alleato, avevano detto loro, che entri
pure lui nella coalizione dei grandi alleati".
"D'accordo, aveva detto Stalin, ma l'alleanza antifascista è un'alleanza
che ha per scopo la distruzione del fascismo e del nazismo. Come sapete, signori,
questa guerra viene fatta con soldati, cannoni, mitragliatrici, carri armati
e aerei. Venga a direi il Papa, o diteci voi dove sono l'esercito, i cannoni,
le mitragliatrici, i carri armati, ecc. di cui dispone il Papa per la guerra
e allora diventi pure nostro alleato. Di alleati che dispongono solo di parole
e di incenso, non sappiamo che farcene".
Dopo di che non fecero più cenno alla questione del Papa e del Vaticano.
- Vi sono stati in Albania dei preti cattolici che hanno tradito il popolo?
- mi chiese poi il compagno Stalin.
- Si, risposi. Anzi le gerarchie della chiesa cattolica fecero fin dall'inizio
causa comune con gli invasori nazifascisti stranieri, mettendosi corpo ed anima
al loro servizio e adoperandosi in tutti i modi per distruggere la nostra Lotta
di Liberazione Nazionale, e perpetuare così la dominazione straniera.
- Come avete agito nei loro confronti?
- Dopo la vittoria, dissi, sono stati arrestati e processati: hanno ricevuto
la condanna che si meritavano.
- Avete fatto bene, disse, e mi domandò
- Ma di quelli che hanno tenuto un buon atteggiamento ne avete avuti?
- Si, risposi, soprattutto preti ortodossi e musulmani.
- Qual'è stato il vostro atteggiamento nei loro confronti?
- Li abbiamo tenuti vicini. Già nella sua Prima Risoluzione il nostro
Partito fece appello a tutte le masse, ed anche ai prelati, affinché
in nome della causa nazionale si unissero nella grande causa per la libertà
e l'indipendenza. Molti di loro si schierarono al nostro fianco e parteciparono
alla lotta dando un prezioso contributo alla liberazione della patria. Dopo
la Liberazione essi abbracciarono la politica del nostro Partito e si misero
a lavorare per la ricostruzione del paese. Abbiamo avuto sempre una grande stima
per questi ecclesiastici e li abbiamo onorati, ce n'è anche di quelli
che sono stati eletti deputati all'Assemblea Popolare o promossi ufficiali superiori.
Ci sono stati persino ex ecclesiastici così strettamente legati al Movimento
di Liberazione Nazionale e al Partito da rendersi conto nel corso stesso della
Lotta dell'inutilità del dogma religioso, fino al punto di abbandonare
la religione e di abbracciare l'ideologia comunista; uno di loro per la sua
lotta, il suo lavoro e le sue convinzioni è stato ammesso nelle file
del Partito.
- Benissimo, mi disse Stalin. E che vi posso dire di più? Quando si ha
coscienza che la religione è un oppio per il popolo e che il Vaticano
è un centro dell'oscurantismo, dello spionaggio e della sovversione contro
la causa dei popoli, allora uno sa come comportarsi, proprio come avete fatto
voi.
"La lotta contro gli ecclesiastici che svolgono attività di spionaggio
e di sovversione, disse Stalin, non va considerata mai sul piano religioso ma
sempre sul piano politico. Gli ecclesiastici debbono ubbidire alle leggi dello
Stato, dato che queste leggi esprimono la volontà della classe operaia
e del popolo lavoratore. Spiegate bene al popolo le leggi e le intenzioni ostili
degli ecclesiastici reazionari in modo che anche quella parte della popolazione
che è credente, si renda pienamente conto che ci sono dei prelati che
svolgono attività ostili contro la patria e il loro popolo sotto la maschera
della religione. Il popolo convinto con fatti e argomenti, unitamente al Governo,
deve combattere questi preti nemici. Condannate ed isolate solo quegli ecclesiastici
che non ubbidiscono al Governo e commettono gravi crimini contro lo Stato. Ma,
tengo a ribadirlo, il popolo deve convincersi dei crimini di questi ecclesiastici
e deve convincersi anche dell'inutilità dell'ideologia religiosa e dei
mali da essa generati".
Mi ricordo che a conclusione di questo indimenticabile incontro il compagno
Stalin ci diede questo consiglio generale: Rafforzate bene la situazione interna,
rafforzate il lavoro politico fra le masse.
Stalin mi intrattenne cinque ore abbondanti. Eravamo andati da lui alle nove
di sera e ci accomiatammo alle due del mattino. Quando ci alzammo da tavola,
Stalin mi disse:
- Andate a mettervi il soprabito.
Uscimmo con i due generali, attesi allo scopo di tornare nella stanza dove aveva
avuto luogo l’ncontro, per ringraziarlo della cordiale accoglienza ed
anche per salutarlo. Aspettammo un po' poi gettammo uno sguardo dentro la stanza,
ma egli non c'era.
Uno dei generali ci disse:
- Certamente sarà uscito fuori, nel giardino.
Infatti è li che lo trovammo: semplice, sorridente, con il berretto in
testa e la sciarpa color marrone intorno al collo. Ci accompagnò fino
alla nostra macchina. Lo ringraziai.
- Oh, non c'è di che, rispose; domani vi telefonerò, forse potremo
rivederci. Dovete fermarvi qui un paio di giorni per visitare Sukhumi.
L'indomani sera, 25 novembre, aspettai con impazienza che suonasse il telefono,
ma sfortunatamente non ebbi più occasione di incontrare Stalin. Il 25,
all'una di notte, era giunto a Sochi. Tramite il generale che mi accompagnava
mi fece pervenire i suoi saluti. Da Sukhumi, il 25 novembre 1949 inviai ai compagni
a Tirana il seguente telegramma:
"Concluso ieri gli incontri. Ci daranno tutti gli aiuti. Hanno accolto
con la massima cordialità tutte le nostre richieste. Io sto bene. Difficilmente
potrò tornare per le feste. Vi faccio di cuore tutti i miei auguri. Partirò
il più presto possibile".
Il 25 novembre visitammo la città di Sukhumi, un agglomerato di 60.000
abitanti. Durante la visita mi accompagnarono il ministro degli Interni della
Repubblica Socialista Sovietica di Georgia e un altro generale. Sukhumi era
una città molto bella, pulita, con giardini e parchi fioriti. C'erano
molte piante tropicali. Fiori dappertutto. Rimasi colpito, fra l'altro, da un
parco incantevole che era stato costruito dagli abitanti della città
in soli 50 giorni. Questo parco era poco più grande dello spiazzo davanti
al nostro albergo "Dajti". Di notte Sukhumi brillava di mille luci.
I suoi abitanti erano gente simpatica, sorridente, gaia, felice. Non c'era nemmeno
un palmo di terreno incolto. Davanti ai nostri occhi si stendevano le piantagioni
di mandarini, limoni, pompelmi, aranci e vigneti, sterminate pianure coltivate
a grano, mais, ecc. Le colline erano coltivate, coperte di alberi da frutto
e boschi. In città, come altrove, s'innalzavano eucalipti dall'alto fusto.
Andammo a visitare un sovcoz vicino alla città. Le colline erano tutte
coperte di mandarini, aranci, limoni e vigneti. I rami di mandarini rischiavano
di spezzarsi al peso dei frutti. Una pianta dava da 1.500 a 2.000 mandarini.
"In alcuni casi non riusciamo a raccoglierli", ci disse il direttore
del sovcoz. Ci condussero nel locale dove i mandarini venivano imballati in
casse. Qui lavoravano solo donne. Una grande macchina selezionava le arance
e i mandarini secondo le loro dimensioni.
Visitammo un vecchio ponte costruito nel XV secolo e che veniva conservato come
un'opera antica, ed anche il giardino botanico. Era un giardino ricco di alberi
e di fiori di ogni varietà. Andammo a vedere anche un centro di acclimatazione
per le scimmie, che facevano ogni sorta di giochi divertenti. Mi dissero che
Pavlov si era servito di questo giardino per i suoi esperimenti scientifici.
I georgiani sono gente molto affabile e ci fecero un'accoglienza molto cordiale.
La mattina del 26 novembre, il compagno sovietico che mi accompagnava venne
a trovarmi con il giornale "Krasnaja Zvezda" in mano e mi diede la
notizia della mia promozione per decisione del Presidium dell'Assemblea Popolare
della RP d'Albania.* *( Il 21 novembre 1949, il Presidium dell'Assemblea Popolare
della RPA, su proposta dei Consiglio dei Ministri della RPA e dell'Ufficio Politico
del CC del PLA, aveva promulgato il decreto ai sensi del quale il compagno Enver
Hoxha veniva promosso Generale d'Armata.)
Il 27 novembre, alle otto del mattino, partimmo in aereo alla volta di Mosca,
dove atterrammo dopo un volo di cinque ore e mezzo. Qualche giorno dopo rientrai
in patria.
IL QUARTO INCONTRO
Gennaio 1950
Da Stalin per il confronto sulle divergenze di principio fra la direzione del
Partito del Lavoro dìAlbania e i dirigenti del PC di Grecia. Vi partecipano:
Stalin, Molotov, Malenkov; Enver Hoxha, Mehmet Shehu; Niko Zakariadis, Mitcho
Partsalidis. A proposito della strategia e della tattica dell'Esercito democratico
greco. Varkiza. La tattica della difesa passiva - madre della disfatta. Perché
le disfatte di Vitsi e di Gramoz? Sul ruolo guida del Partito nell'esercito.
Il posto e il ruolo del commissario. Niko Zakariadis esprime i suoi punti di
vista. La valutazione di Stalin.
Durante la conversazione che avevo avuto con il compagno Stalin a Sukhumi nel
novembre del 1949, egli mi aveva domandato quando potevamo avere tutti insieme
un incontro con i rappresentanti del Partito Comunista di Grecia per chiarire
le divergenze di principio fra noi e i dirigenti di questo partito. Ci mettemmo
d'accordo per il mese di gennaio e, avuto il consenso dei compagni greci, la
riunione si svolse ai primi di gennaio del 1950 a Mosca, al Cremlino. Da parte
sovietica vi partecipavano il compagno Stalin, Molotov, Malenkov e un certo
numero di funzionari del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione
Sovietica. Il nostro partito era rappresentato da me e da Mehmet Shehu e il
Partito Comunista di Grecia dai compagni Niko Zakariadis e Mitcho Partsalidis.
La riunione ebbe luogo nell'ufficio di Stalin.
Stalin, semplice e affabile come sempre, ci accolse con un sorriso, si alzò
dal tavolo, ci venne incontro stringendo la mano a tutti. Egli diede il via
alla riunione rivolgendosi a me:
- Cos'avete da dire voi, compagno Hoxha, a proposito dei compagni del Partito
Comunista di Grecia?
Poi rivolgendosi ai compagni greci, disse:
- Prendano la parola prima i compagni albanesi e poi parlerete voi per esprimere
il vostro parere.
Presi dunque la parola:
- Noi, compagno Stalin, abbiamo indirizzato una lettera al Comitato Centrale
del Partito Comunista dell'Unione Sovietica circa le nostre divergenze di principio
con il Partito Comunista di Grecia e in modo particolare con i suoi principali
dirigenti. Abbiamo sollecitato quest'incontro con voi affinché giudichiate
se i nostri punti di vista sono giusti o errati.
- Sono al corrente delle questioni a cui vi riferite, mi rispose il compagno
Stalin, ma vi chiedo di esporre di nuovo qui, davanti ai compagni greci, i problemi
che vi preoccupano.
- Solleverò anche qui senz'altro tutte le questioni che il nostro Partito
ha esposto nella lettera che vi ha indirizzato. Noi abbiamo discusso tali questioni
anche con i compagni greci e in modo particolare con il compagno Niko Zakariadis,
con il compagno Joanidis, con il generale Vlandas, con Bardzotas ed altri compagni
della direzione del Partito Comunista di Grecia. Vorrei sottolineare subito
che abbiamo avuto delle divergenze su diverse questioni, ma qui mi limiterò
a parlare solo delle principali.
- E' quel che desideriamo anche noi, rilevò Stalin.
Poi io cominciai ad esporre i nostri punti di vista:
- La prima divergenza con i compagni greci riguarda la strategia e la tattica
della lotta dell'Esercito democratico greco. Sia per noi albanesi che per il
popolo greco, la lotta contro i fascisti hitleriani e italiani è stata
una lotta di liberazione, dalla quale dipendeva il destino dei nostri popoli.
Questa lotta noi dovevamo collegarla, come abbiamo fatto, all'eroica guerra
dell'Esercito Rosso dell'Unione Sovietica. Fin dall'inizio, noi albanesi eravamo
convinti di uscirne vittoriosi, perché tutto il nostro popolo si era
levato interamente in piedi per condurre questa grande lotta di liberazione,
avendo al suo fianco anche la grande Unione Sovietica che avrebbe distrutto
il nazismo tedesco.
"II nostro Partito sostenne l'alleanza sovietico-anglo-americana, perché
la considerò, fino alla fine, come una coalizione antifascista per la
distruzione del nazismo tedesco. Tuttavia noi non ci illudemmo mai che gli imperialisti
angloamericani fossero amici e fedeli alleati del popolo albanese. Al contrario,
pur sostenendo l'alleanza in generale, fin dall'inizio noi facemmo una distinzione
radicale fra l'Unione Sovietica e gli angloamericani. Con questo voglio dire
che il nostro Partito, il nostro Esercito e il suo Stato Maggiore, lungi dal
sottomettersi al diktat degli inglesi e del Comando Alleato del Mediterraneo,
accolsero con grande circospezione anche quei rari consigli che permettevamo
loro di darci. Noi chiedevamo armi agli inglesi, ma constatavamo che essi ce
ne paracadutavano ben poche. Come sapete, abbiamo condotto una guerra partigiana,
per passare poi alla creazione di unità più grandi, fino alla
formazione del nostro Esercito regolare di liberazione nazionale.
"Il popolo greco si è battuto nelle nostre stesse condizioni. Esso
insorse contro gli aggressori fascisti italiani, li mise in rotta e li sconfisse;
l'esercito monarchico greco entrò anche in Albania.
Benché in quell'epoca non fosse stato ancora creato il nostro Partito
Comunista, i comunisti e il popolo albanesi aiutarono i greci nella loro guerra
contro l'Italia fascista, senza tenere conto delle difficoltà derivanti
dal fatto che il nostro paese fosse occupato. Dopo l'intervento dell'esercito
hitleriano nella guerra contro la Grecia, l'esercito monarchico greco, sopraffatti,
fu costretto a ritirarsi nel proprio territorio. Successivamente nacquero la
resistenza e la Lotta di liberazione nazionale del popolo greco, dirette dal
Partito Comunista di Grecia che creò l'EAM, organizzò i gruppi
dei partigiani e, in seguito, altre unità maggiori.
- Durante la Lotta di liberazione nazionale i nostri due popoli consolidarono
maggiormente i loro legami fraterni. Fin dal passato esistevano legami di amicizia
fra il popolo albanese e il popolo greco. Come si sa, molti albanesi parteciparono
alla rivoluzione greca degli anni 20 del secolo scorso, condotti da Ipsilanti,
e vi svolsero un ruolo molto importante. Questa volta però il carattere
delle nostre lotte era identico e i popoli dei nostri paesi avevano alla loro
testa i nostri partiti comunisti. Noi stabilimmo quindi relazioni, e i nostri
reparti partigiani organizzarono persino delle operazioni militari congiunte
in territorio greco contro le forze tedesche. D'altra parte, sia nel nostro
paese che in Grecia, la reazione era forte e gli occupanti erano bene organizzati.
Anche questo era un fenomeno comune ai nostri due paesi.
"Da parte nostra furono compiuti degli sforzi per isolare i capi della
reazione e per allontanare da loro gli elementi fuorviati, e in tal senso ottenemmo
dei risultati. Non possiamo dire con precisione come si sia proceduto in Grecia;
noi però abbiamo criticato i compagni della direzione del Partito Comunista
di Grecia per il fatto che l’EAM ed essi stessi avevano commesso un grave
errore dì principio e politico, subordinando la Lotta di Liberazione
nazionale del popolo greco alla strategia angloamericana, ponendola quasi sotto
la direzione degli inglesi e del Comando Alleato del Mediterraneo. Questa critica
l'abbiamo mossa personalmente al compagno Niko Zakariadis.
"Principale responsabile di questa situazione è Siantos, il quale,
durante l'assenza di Zakariadis che in quell'epoca era rinchiuso nei campi dì
concentramento tedeschi, aveva assunto le funzioni di segretario generale del
Partito Comunista di Grecia. Quando in seguito sollevammo la questione al compagno
Zakariadis, questi non ci rispose in modo chiaro in quanto era propenso a pensare
che non ci fossero errori da parte loro. Io sostenni con insistenza questo giudizio
del nostro Partito ed infine dissi al compagno Zakariadis che Siantos era un
provocatore, un agente degli inglesi. Se Siantos fosse stato da noi, dissi al
compagno Zakariadis, il nostro Partito lo avrebbe sottoposto a giudizio ed avrebbe
ricevuto la pena che si meritava, mentre voi avete agito diversamente. Naturalmente,
quest'affare riguarda solo voi; comunque questa è la nostra opinione
in merito.
"Come conclusione, il compagno Zakariadis ammise che "Siantos non
doveva agire così", che "i compagni l'avevano criticato, ma
non l'avevano deferito al tribunale; lo avevano solo espulso dal Partito".
"Detto ciò, tengo a sottolineare che abbiamo avuto con i compagni
dirigenti del Partito Comunista di Grecia una serie di colloqui politici, ideologici
e militari e questo per ovvie ragioni, perché eravamo due partiti comunisti
e perseguivamo lo stesso obiettivo strategico: la liberazione dei nostri paesi
dagli occupanti nazifascisti e dalla borghesia reazionaria.
- Noi avevamo messo in rilievo che, malgrado l'immenso valore dei partigiani
greci e dei loro comandanti, dopo che il compagno Niko Zakariadis, in seguito
alla sua liberazione dai campi di concentramento hitleriani, aveva assunto un
posto preminente alla direzione, nella Grecia "liberata", con l'esercito
inglese nel suo territorio, in base all'accordo di Caserta e del Cairo, firmati
in precedenza dai rappresentanti dell'EAM, questi accordi erano culminati in
quello di Varkiza. Il nostro Partito disapprovò queste azioni del Partito
Comunista di Grecia considerandole come una sottomissione della lotta democratica
greca, come un fallimento della sua politica di liberazione e come una capitolazione
di fronte alla reazione angloamericana.
- Più tardi, in un comizio di massa allo Stadio di Atene, dove parlarono
a turno i capifila dei partiti borghesi greci, prese la parola anche il compagno
Niko Zakariadis, nella sua qualità di dirigente del Partito Comunista
di Grecia, il quale dichiarò tra l'altro: "Se gli altri partiti
greci chiedono l'autonomia del "Vorio-Epiro", il Partito Comunista
di Grecia si unirà a loro" (!). Il nostro Partito protestò
subito e apertamente, avvertendo che avrebbe combattuto spietatamente simili
punti di vista. Dopo questo fatto, invitammo il compagno Niko Zakariadis ad
avere un incontro con noi; egli venne e fu criticato severamente, considerando
noi la sua dichiarazione come un atteggiamento antimarxista e antialbanese.
Gli dissi chiaro e tondo che il "Vorio-Epiro" è un territorio
albanese e non sarebbe diventato mai greco. Sento doveroso in quest'occasione
affermare che il compagno Niko Zakariadis riconobbe il suo errore, ammise davanti
a noi di aver gravemente sbagliato e promise di riparare all'errore.
"Forse potremo sbagliare, ma a nostro avviso Markos Vafiadis, che più
tardi fu eliminato, era un buon comunista e un abile comandante. Questa è,
certo, solo una nostra opinione, che potrebbe essere fondata come potrebbe essere
anche sbagliata e non abbiamo quindi nulla da ridire a questo riguardo, poiché,
in fin dei conti, si tratta di una questione sulla quale non sta a noi giudicare,
ma al Partito Comunista di Grecia.
"Le nostre divergenze con la direzione del Partito Comunista di Grecia,
con alla testa il compagno Zakariadis, hanno inizio con Varkiza, dove il Partito
Comunista di Grecia e l’EAM firmarono l'accordo, il quale non è
altro che una capitolazione, una resa. Il Partito del Lavoro d'Albania considerò
quest'atto come un tradimento ai danni del Partito Comunista di Grecia e del
popolo fratello greco. Non solo non si doveva firmare, ma bisognava severamente
denunciare lo spirito che aveva condotto alla conclusione di questo accordo.
Questi punti di vista li avevo da tempo esposti ai compagni Niko Zakariadis
e Mitcho Partsalidis; anche quest'ultimo era uno dei firmatari dell'accordo.
Noi - dissi - abbiamo rispetto per questi due compagni dirigenti greci, Zakariadis
e Partsalidis, ma quest'atto, da loro ispirato e compiuto, era del tutto errato
ed aveva causato molti danni al popolo greco.
"Per quanto riguarda l'accordo di Varkiza, Niko Zakariadis ha sempre sostenuto
una tesi contraria alla nostra, ha insistito nel dire che non si trattava assolutamente
di una capitolazione né di un tradimento, ma di "un atto che bisognava
fare per guadagnare tempo e facilitare così la presa del potere".
"A proposito degli accordi di Varkiza. io chiesi a Niko Zakariadis per
quale motivo fosse stato condannato e ucciso Aris Veluhiotis il quale dopo la
firma dell'accordo, era in procinto di partire per l'Albania per prendere contatto
con il Comitato Centrale del nostro Partito. Niko Zakariadis mi rispose: "Aris
Veluhiotis, benché fosse un valoroso generale non era altro che un ribelle,
un anarchico, che aveva respinto la decisione del Comitato Centrale del Partito
Comunista di Grecia sugli accordi di Varkiza. Per questo noi l'espellemmo dal
Comitato Centrale del Partito, quanto a quello che gli è successo in
seguito, chi l'abbia ucciso, ecc., noi non ne sappiamo nulla". <Vi assicuriamo
che non siamo noi gli autori del suo assassinio", aveva poi aggiunto. Dissi
al compagno Niko Zakariadis la nostra opinione e, senza voler in nessun modo
interferire nei loro affari interni, senza aver conosciuto personalmente Aris.
e tenendo presente solo che era un valoroso combattente del popolo greco, affermai
che non doveva essere condannato. Quanto alla sua eliminazione fisica, gli risposi,
noi crediamo a quello che ci avete detto, ma anche su questo punto, conseguenti
nel nostro giudizio verso gli accordi di Varkiza, noi siamo in disaccordo con
voi.
"A noi, in quanto marxisti-leninisti, ci addolorava molto la situazione
del popolo greco, con esso avevamo collaborato durante la Lotta antifascista
di liberazione nazionale; per questo, anche in seguito, nei momenti in cui di
fronte al popolo greco sorse di nuovo la questione della sua liberazione o del
suo asservimento, decidemmo di continuare questa collaborazione.
"Non vorrei parlare qui del nostro sostegno e dell'appoggio internazionalisti
al Partito Comunista di Grecia e alla Lotta di liberazione nazionale greca,
nonostante le difficilissime condizioni in cui si trovava il nostro paese appena
liberato dal giogo degli invasori. Di questo possono parlare gli stessi compagni
greci. Malgrado la nostra grande povertà, quando si presentò l'occasione,
noi facemmo tutto il possibile per venire in aiuto, fornendo viveri e assicurando
riparo ai rifugiati greci che varcarono il nostro confine. Il fatto che l'Albania
fosse un paese amico liberato, dove il popolo e il Partito del Lavoro d'Albania
erano al potere, costituiva un grande aiuto per l'Esercito democratico greco,
il quale aveva così delle retrovie sicure e ben difese dalla parte nordoccidentale.
"Dopo la capitolazione di Varkiza ricominciò dunque la Lotta di
liberazione greca. Il Comitato Centrale del Partito Comunista di Grecia convocò
il suo plenum, a cui furono invitati anche dei delegati del nostro Partito e
in questa occasione si ebbero anche dei cambiamenti al vertice, ma questi erano
affari interni del Partito Comunista di Grecia. Noi apprendevamo con gioia e
incoraggiavamo i duri colpi che venivano inferti, in tutte le parti della Grecia,
ai monarco-fascisti, i quali, vedendo la situazione diventare pericolosa, avevano
cessato di appoggiarsi agli inglesi e avevano chiesto il sostegno degli americani.
Gli Stati Uniti d'America spedirono in Grecia per questo scopo come comandante
del loro esercito, il famigerato generale Van Fleet, che essi ritenevano un
eminente stratega.
"Noi abbiamo avuto delle divergenze con Zakariadis, Bardzotas e Joanidis
sul carattere della lotta che l'Esercito democratico greco doveva condurre contro
le numerose forze regolari della reazione greca, che gli imperialisti americani
avevano equipaggiato con i mezzi militari più moderni. Era emersa cosi
fra i nostri due partiti una divergenza di principio anche su questa questione.
Basandoci sull'esperienza della nostra Lotta di liberazione nazionale, noi ritenevamo
che la Lotta democratica greca non doveva convertirsi in una guerra frontale,
ma che dovesse conservare il carattere della lotta partigiana con piccole e
grandi unità. Se si fosse combattuto così, le numerose forze di
Van Fleet non solo non sarebbero state capaci di annientare l'Esercito democratico
greco, ma al contrario quest'ufficio le avrebbe colpite da ogni parte con azioni
di logoramento, dannegiandole e indebolendole con la tattica della lotta partigiana,
fino al momento in cui avrebbe preparato la controffensiva. Noi sostenevamo
la tesi che la lotta partigiana greca doveva avere la sua base nel popolo, mentre
le armi dovevano essere tolte al nemico.
"I punti di vista strategici di Zakariadis erano contrari ai nostri. I
compagni della direzione del Partito Comunista di Grecia non solo consideravano
le forze partigiane di liberazione nazionale che erano riusciti a raggruppare,
come un esercito ma "regolare" e "moderno", ma pretendevano
di averle dotate della strategia e della tattica necessarie alla guerra di posizione
di un esercito regolare. Infatti, le forze che essi raggrupparono erano, a nostro
giudizio, solo un esercito partigiano che non era dotato né della tattica
partigiana, né della tattica di combattimento di un esercito regolare.
D'altro canto i compagni greci adottarono nelle loro operazioni la tattica della
difesa passiva che è la madre della disfatta. Questo era, a nostro avviso,
un grave errore dei compagni dirigenti del Partito Comunista di Grecia i quali
avevano come guida il principio errato secondo cui la lotta partígiana
non persegue alcuno scopo finale, vale a dire non porta alla presa del potere.
Dalle conversazioni che abbiamo avuto con loro, ci siamo formati l'opinione
che i compagni greci intendono la lotta partigiana come una lotta di guerriglia
con unità isolate di 10-15 uomini che, secondo loro, non hanno alcuna
prospettiva di crescere e di convertirsi in brigate, divisioni, corpi d'armata,
ecc. Questo non è giusto. Come ha dimostrato l'esperienza di tutte le
guerre partigiane e come ha confermato la nostra Lotta di liberazione nazionale,
la lotta partigiana con piccole unità, se diretta bene, cresce gradatamente
a misura che la lotta stessa si sviluppa e lo slancio rivoluzionario delle masse
aumenta fino a giungere all'insurrezione generale armata e alla formazione di
un esercito popolare regolare. I compagni dirigenti del Partito Comunista di
Grecia hanno invece ostinatamente difeso i loro punti di vista ed hanno categoricamente
escluso l'assoluta necessità di allargare e rafforzare la lotta partigiana
in Grecia. Noi non abbiamo condiviso e non condivideremo mai questi punti di
vista. Permettetemi di esprimere la mia opinione sul modo in cui si presentava
la situazione al tempo in cui il Partito Comunista di Grecia passò alla
clandestinità e dovette riprendere la lotta: I reparti dell’ELAS*
*( L'Esercito di Liberazione Nazionale Greco.) avevano deposto le armi, le loro
basi erano state distrutte, essi mancavano di vestiario, di viveri e di armi;
il morale dell'ELAS era basso, il movimento era in fase di ripiegamento. Proprio
tale raggruppamento delle forze venne chiamato dal Partito Comunista di Grecia,
fin dal principio, "esercito regolare" e "moderno" e, stando
ai suoi dirigenti, era in grado di combattere con la strategia e la tattica
di un esercito moderno e sostenere la guerra frontale e aperta contro un nemico
dieci volte più forte. Noi pensiamo che questo esercito partigiano doveva
invece combattere seguendo la tattica partigiana, come c'insegnano i nostri
maestri Marx, Engels, Lenin e Stalin. Come si può dunque chiamare esercito
regolare questo raggruppamento di forze partigiane organizzato dal Partito Comunista
di Grecia quando esso non aveva né i quadri necessari, né carri
armati, né aerei, né artiglieria, né mezzi di comunicazione,
né vestiario, né viveri, e nemmeno le armi leggere indispensabili?!
Noi pensiamo che questi punti di vista dei compagni greci non siano giusti.
"La direzione del Partito Comunista dì Grecia, considerando questo
raggruppamento di partigiani come un esercito regolare, dotato, a suo parere,
della "strategia e della tattica di guerra di un esercito regolare"
(strategia e tattica che in realtà non sono state mai applicate), non
si preoccupò mai seriamente e in modo marxista di come doveva essere
approvvigionato questo esercito. I compagni greci dicevano: "E' impossibile
togliere le armi al nemico". Questi punti di vista, diciamo noi, sono in
contrasto con gli insegnamenti di Lenin, il quale ha sempre detto che non bisogna
assolutamente aspettare aiuti dall'estero o dall'alto, ma che occorre procurarsi
tutto da soli; che non bisogna mai trascurare l'organizzazione dei reparti o
la loro riorganizzazione con il pretesto della mancanza di armi, ecc. I compagni
dirigenti greci, sottovalutando il nemico, credevano che la presa del potere
fosse una cosa facile e che si potesse realizzare senza lunghi e sanguinosi
sforzi e senza un'organizzazione sana e multiforme. Questi punti di vista dei
compagni greci ebbero altre amare conseguenze che sono all'origine della loro
ultima disfatta, ma è strano il fatto che anche nelle conversazioni che
abbiamo avuto di recente con loro, essi si ostinino a considerare giusti i loro
punti di vista.
"Però la tattica e la strategia dì guerra che sostiene il
compagno Niko Zakariadis sono, secondo il nostro parere, errati come dimostrano
i fatti. Durante l'incontro che ebbi con il compagno Zakariadis, questi sosteneva
che le unità dell'Esercito democratico greco non potevano penetrare all'interno
del territorio greco, perché i monarco-fascisti e Van Fleet bruciavano
i villaggi ed obbligavano la popolazione ad evacuarli, in modo che, secondo
lui, tutti i centri abitati fossero deserti. Io gli dissì che questo
poteva succedere, ma non nella misura che egli sosteneva. Affermando ciò,
io mi basavo sulla logica dei fatti, perché, s'intende, era impossibile
che i monarco-fascisti e l'esercito americano facessero sgomberare la popolazione
di tutte le zone abitate della Grecia.
"Allo stesso modo noi non condividiamo le pretese e i punti di vista espressi
in una lettera dell’Ufficio Politico del Partito Comunista di Grecia,
indirizzata all'Ufficio Politico del nostro Partito, in cui esso, ostinandosi
a non analizzare, ed anzi cercando di celare i propri errori, afferma che le
loro disfatte erano da imputare all'insufficienza degli approvvigionamenti in
armi, munizioni e vestiario e al fatto che il nemico, oltre che essere padrone
dell'aria e del mare, veniva equipaggiato dagli angloamericani. E' vero che
il nemico era meglio equipaggiato e che disponeva di ingenti forze materiali
e umane. Però, in queste circostanze, quando si sta conducendo una lotta
contro la reazione interna e l'intervento militare straniero, la via migliore
da seguire è quella di fare in modo che il nemico diventi il principale
centro di rifornimento. L'Esercito democratico greco doveva strappare le armi
al nemico, ma questo non si doveva fare adottando la tattica della difesa passiva.
Comunque, a nostro avviso, qui non si tratta di equipaggiamenti. Noi riteniamo
che la direzione del Partito Comunista di Grecia, respingendo la tattica della
lotta partigiana e il suo sviluppo fino all'insurrezione generale armata e alla
presa del potere, ha adottato una tattica difensiva e passiva inaccettabile
sia per la guerra partigiana che per una guerra di posizione condotta con un
esercito regolare. Adottando questa tattica, l'Esercito democratico greco si
è privato, tra l'altro, della possibilità di estendere la sua
azione in altre zone del paese, dove avrebbe trovato senz'altro quell'inesauribile
fonte di forze umane: i figli e le figlie del popolo; si è privato inoltre
della possibilità di strappare le armi al nemico per mezzo di reiterate
azioni fulminee, accuratamente preparate e nei luoghi in cui il nemico meno
se l'aspettava. Il marxismo c1nsegna che non si scherza con l'insurrezione armata
e la storia di tante e tante guerre ci indica che la difesa passiva è
fatale a qualsiasi insurrezione armata. Se l'insurrezione si limita a mantenersi
sulla difensiva, ben presto essa sarà sgominata da un nemico più
forte e meglio equipaggiato.
"La tattica seguita dai compagni greci è, a nostro avviso, una conferma
di tutto questo. II grosso delle forze dell'Esercito democratico greco è
rimasto continuamente inchiodato nel settore fortificato di Vitsi e di Gramoz.
Queste forze erano state addestrate per una guerra di trincea, per una guerra
difensiva; conformemente alla linea della loro direzione, esse hanno accettato
la guerra di posizione imposta loro dall'esercito nemico. I compagni greci credevano
di riuscire ad impossessarsi del potere con la lotta difensiva. Passiva. A nostro
giudizio, non si poteva conquistare il potere trincerandosi sul Gramoz. Una
sola volta la direzione del Partito Comunista di Grecia riuscì a manovrare
(anche se gli fu imposto dalle circostanze), e questo avvenne durante la battaglia
che si svolse sul Gramoz nel 1948, dove gli eroici partigiani greci resistettero
per settanta giorni di seguito al nemico infliggendogli gravi perdite in uomini;
ma, infine, per sfuggire all'accerchiamento e all'annientamento, i partigiani
dovettero disimpegnarsi e passare sul Vitsi. Intanto la presa del potere era
ancora molto lontana. L'Esercito democratico greco avrebbe dovuto sferrare degli
attacchi per impadronirsi delle città. Ma esso non lo fece. I compagni
greci sostenevano di non disporre di forze sufficienti. Questo poteva anche
essere vero, ma da qui ad indicare perché mancavano queste forze e dove
dovevano trovarle. i compagni greci non riuscivano ad arrivare; non riuscivano
a porre il problema sul terreno marxista-leninista né allora, né
dopo. La tattica dei compagni greci consisteva invece, come risulta dalla lettera
che il loro Ufficio Politico indirizzò al nostro, nel tenere ad ogni
costo Vitsi e Gramoz, queste due basi indispensabili all'ulteriore sviluppo
della lotta; e pur sostenendo che il successo della guerra dipendeva esclusivamente
dagli equipaggiamenti, non trovarono mai la giusta via per procurarsi con la
forza le armi di cui avevano bisogno.
"Comunque sia, passando di disfatta in disfatta, l'Esercito democratico
greco dovette ritirarsi e si trincerò di nuovo nella zona di Vitsi e
di Gramoz. Questo fu un periodo molto critico sia per l'Esercito democratico
greco che per il nostro paese. In quel periodo noi seguimmo con molta attenzione
le azioni dei compagni greci. Prima dell'ultima offensiva dei monarco-fascisti
contro l'Esercito democratico greco, i compagni dirigenti greci ritenevano che
la loro situazione politica e militare fosse estremamente brillante, mentre
quella del nemico fosse, secondo loro, molto disperata. Essi pensavano così:
"Vitsi è straordinariamente fortificata ed è quindi inespugnabile;
se il nemico dovesse attaccare Vitsi, questo equivarrebbe alla sua condanna
a morte. Vitsi diventerà la tomba dei monarco-fascisti. Il nemico è
costretto a scatenare quest'offensiva, perché non ha altra via d'uscita;
si trova ormai sull'orlo dell'abisso. L'esercito monarco-fascista e Van Fleet
attacchino pure se vogliono, noi li sconfiggeremo".
"Il compagno Vlandas pensava che il nemico avrebbe sferrato il colpo principale
a Gramoz e non a Vitsi, perché "Gramoz è meno fortificato,
per il fatto che si trova al confine con l'Albania e il nemico dopo averci vinto
qui, marcerà su Vitsi per colpirci, avendo scelto questo punto per annientarci,
visto che Vitsi è vicino al confine con la Jugoslavia. Noi invece, dopo
aver combattuto a Gramoz infliggendo gravi perdite al nemico, trasferiremo le
nostre forze da Gramoz a Vitsi per prendere alle spalle le unità del
nemico".
"Tuttavia, poco prima dell'ultimo attacco del nemico, noi informammo i
compagni greci che esso avrebbe dato l'assalto il 10 agosto a Vitsi e non a
Gramoz. Questa informazione consentiva ai compagni greci di prendere tempestivamente
le dovute contromisure per non essere colti di sorpresa. Essi però continuarono
a pensare che il colpo principale avrebbe avuto luogo a Gramoz. Secondo loro,
anche se il nemico avesse puntato su Vitsi anziché su Gramoz, ciò
"non avrebbe cambiato per noi. Abbiamo preso tutte le misure necessarie
sia a Vitsi che a Gramoz". Vitsi "è inespugnabile, estremamente
fortificata; tutte le vie attraverso le quali potrebbe passare il nemico sono
state rese insuperabili. Il nemico non è in grado di farvi transitare
i suoi mezzi pesanti. La vittoria è nostra".
- Così pensavano i compagni greci due giorni prima dell'attacco nemico
su Vitsi. In un sol giorno i monarco-fascisti si impossessarono della terza
linea di difesa e nel giro di due o tre giorni Vitsi fu espugnata. I combattimenti
e la resistenza furono molto scarsi. Questa fu per noi una grossa sorpresa.
Avevamo preso però tutte le precauzioni per difenderci da un eventuale
attacco dei monarco-fascisti nel nostro territorio. Ma i compagni greci e lo
stesso compagno Partsalidis qui presente, non erano molto convinti di queste
misure di difesa da noi prese, perché le consideravano aff rettate. I
compagni greci non erano realisti. Molti rifugiati greci, tra i quali anche
dei combattenti democratici, dopo la disfatta subita, furono costretti a varcare
la nostra frontiera. E noi che dovevamo fare?! Li abbiamo accolti ed installati
in determinati luoghi.
"Non rimanemmo soddisfatti dell'analisi che l'Ufficio Politico del PC di
Grecia fece della disfatta di Vitsi. Noi pensammo che si dovesse fare un'analisi
più approfondita, giacché erano stati commessi dei gravi errori.
Dopo l'evacuazione di Vitsi, il compagno Zakariadis fondò le speranze
di vittoria su Gramoz. "Gramoz, diceva, è per noi più favorevole
di Vitsi, perché i carri armati eh(? furono l'elemento determinante della
vittoria dei monarco-fascisti a Vitsi, non potranno manovrare a Gramoz",
ecc. ecc.
- Occorre inoltre ricordare il fatto che in quel tempo il tradimento di Tito
era ormai noto a tutti. Più tardi Zakariadis dichiarò: "Gli
albanesi sono stati i soli ad accogliere i rifugiati greci mentre gli jugoslavi
non solo non permisero a quest’ultimi dì varcare il loro confine,
ma li hanno colpiti anche alle spalle". Può darsi che le cose siano
andate così, ma noi non ne sappiamo nulla.
"Durante una conversazione che ebbi con compagno Zakariadis sulla ritirata
da Vitsi, sollevai di nuovo la questione dei loro errori ed anche dell'assenza
di un punto di vista oggettivo sulla situazione da parte del Partito Comunista
di Grecia e in modo particolare del comandante di Vitsi, generale Vlandas. "I
suoi punti di vista, dissi a Niko si sono rivelati sbagliati. Lo conferma il
fatto ché l'Esercito democratico greco non fu in grado di difendere Vitsi".
Niko Zakariadis cercò di contraddirmi. Egli disse che Vitsi era caduta
a causa dell'errore qui uno dei comandanti; questi non aveva disposto il suo
battaglione nel settore del fronte che gli era stato assegnato e, inoltre, non
si era trovato sul luogo dei combattimenti. Secondo Zakariadis era dunque lui
il responsabile della disfatta di Vitsi ed è per questo, egli mi disse,
che "abbiamo preso delle misure e l'abbiamo condannato". Il compagno
Niko dava una spiegazioine troppo semplicistica ad una disfatta tanto clamorosa
come quella.
"Gli dissi amichevolmente ma francamente che non potevo crederle a questa
spiegazione".
"Che tu mi creda o no, rispose Niko, le cose stanno proprio così",
Comunque io proiseguì: "E ora che pensate di fare".
"Continueremo a batterci" rispose.
"Ma dove combatterete?"
"A Gramoz che è una :fortezza inespugnabile".
Io gli domandai: "E’ lì che intendete ammassare tutto l'Esercito
democratico greco?".
"Sì, rispose Niko Zakariadis, tutto l'esercito".
"Gli risposi che essi sapevano meglio di noi i propri affari e che erano
loro che dovevano decidere sul da fare, ma che secondo il nostro parere non
era più possibile resistere a Gramoz e che non bisognava quindi sacrificare
inutilmente tanti valorosi combattenti dell'Esercito democratico greco, del
quale lui era il capo. Voi siete i nostri compagni e amici, continuai, e naturalmente
sta a voi decidere dei vostri affari; comunque, a mio avviso, farese bene a
mandare a chiamare il compagno Bardzotas, comandante delle truppe greche a Gramoz,
e discutere con lui del problema. Niko si oppose a questa mia idea e mi disse
che ciò era impossibile.
"Tutti sappiamo ciò che accadde in seguito. Gramoz segnò
la disfatta definitiva dell’Esercito democratico greco.
"Gramoz cadde nel giro dì quattro giorni. A nostro giudizio, anche
qui la lotta non fu organizzata bene. Si adottò la tattica della difesa
totale e passiva, anche se non escludiamo che siano stati condotti violenti
combattimenti in alcuni punti, come a Polje e Kamenik, dove dei combattenti
democratici greci opposero un'eroica resistenza. Tutta la ritirata delle forze
da Gramoz, ad eccezione di quelle di Kamenik, avvenne in disordine, proprio
come quella di Vitsi. I soldati e i comandanti dell'Esercito democratico greco
si lamentavano fra di loro per la tattica errata applicata a Gramoz. Questo
ci è stato confermato anche dal compagno Zakariadis.
"Riteniamo quindi che i compagni dirigenti greci non si siano attenuti,
nelle battaglie di Gramoz e di Vitsi, ai principi marxisti - leninisti sulla
guerra popolare. Le colonne monarco-fasciste raggiunsero rapidamente e indisturbate
le posizioni prestabilite. Varcarono velocemente i dorsali dei monti, assediarono
le forze democratiche che si erano trincerate nelle loro posizioni e non contrattaccavano;
diedero l'assalto, sloggiarono i partigiani dalle trincee e occuparono le fortificazioni.
Il Comando democratico greco che aveva suddiviso e posto le sue truppe su posizioni
fortificate, non fece ricorso alle sue riserve per contrattaccare e distruggere
l'offensiva del nemico con attacchi ripetuti e rapide manovre. Noi riteniamo
che all'origine della sconfitta stiano i suoi punti di vista errati sulla tattica
di guerra. Quanto agli uomini, questi sono stati all'altezza della situazione;
erano vecchi partigiani temprati nel crogiolo della lotta, dotati di un morale
elevato e che si battevano eroicamente."
"D'altra parte, applicando la tattica difensiva, la direzione del Partito
Comunista di Grecia permise il raggruppamento e la organizzazione dell'esercito
monarco-fascista, non passò all'attacco per colpire i preparativi del
nemico, per far fallire la sua offensiva o per lo meno indebolirla in modo di
consentire alle forze vive dell'Esercito democratico greco di manovrare su vasta
scala ed incalzare incessantemente e ovunque le forze dell'avversario. Queste
sono alcune delle cause che hanno provocato, a nostro avviso, gli ultimi rovesci
subiti a Gramoz e a Vitsi. Nella sua analisi della disfatta di Vitsi, l'Ufficio
Politico del PC di Grecia giunse alla conclusione che "una grave responsabilità
ricade sulla direzione", senza precisare però assolutamente in che
cosa consiste questa responsabilità e non mancando in seguito di scaricarla
su altri. Noi pensiamo che questa non e un analisi marxista-leninista.
" Per condurre con successo la loro lotta i compagni greci non avrebbero
dovuto seguire la tattica della difesa passiva, ma applicare bene i princìpi
marxisti-leninisti sull'insurrezione armata. Noi riteniamo che la tattica da
seguire avrebbe dovuto tendere a danneggiare il nemico in più direzioni,
senza dargli un momento di respiro, costringerlo a disperdere le sue forze,
seminare il panico e il terrore nelle sue file e rendergli impossibile il controllo
della situazione. In questo modo la lotta rivoluzionaria del popolo greco non
avrebbe cessato di crescere; in principio avrebbe molestato il nemico e in seguito
gli avrebbe fatto perdere il controllo della situazione, liberando intere regioni
e zone fino al raggiungimento dell'obiettivo finale: l'insurrezione generale
e la liberazione di tutto il paese. Solo così la lotta partigiana in
Grecia poteva avere una prospettiva di successo.
"Nelle conversazioni che abbiamo avuto con i compagni greci, spesso abbiamo
detto loro in modo amichevole che l'Esercito partigiano greco doveva cercare
di strappare le armi al nemico; che doveva combattere con le armi dell'avversario
ed essere rifornito di viveri e di vestiario dal popolo con il quale e per il
quale avrebbe lottato."
"Noi abbiamo detto ai compagni greci che l'Esercito partigiano doveva legarsi,
innanzi tutto. con il popolo, del quale si era distaccato e senza il quale non
poteva esistere. Il popolo deve abituarsi a combattere insieme all'esercito,
aiutarlo e amarlo come suo liberatore. Questa è una condizione indispensabile.
Il Popolo greco deve abituarsi a non arrendersi al nemico, deve ingrossare le
file dell'esercito di uomini e di donne, di giovani e ragazze usciti dal suo
grembo."
"Abbiamo detto inoltre ai compagni greci, sempre in forma amichevole, che
nell'Esercito partigiano greco doveva farsi sentire meglio il ruolo guida del
partito; il commissario politico in ogni compagnia, battaglione, brigata e divisione
dev'essere il vero rappresentante del partito e, in quanto tale, dev'essere
investito del diritto di comandare allo stesso titolo del comandante. Ma noi
abbiamo constatato e l'abbiamo spesso messo in evidenza ai compagni greci che
essi non hanno considerato correttamente il ruolo guida del partito nell'esercito.
Avevo già espresso al compagno Stalin il parere del nostro Partito su
questo problema ed anche nella lettera indirizzatagli abbiamo trattato, tra
l'altro, la stessa questione. L'incomprensione del ruolo guida del Partito nell'Esercito,
pensiamo noi, è stata una delle principali ragioni che hanno portato
alla disfatta dell'Esercito democratico greco. Noi partiamo sempre dall'insegnamento
marxista-leninista secondo cui il comandante e il commissario politico formano
un'unità che dirige le operazioni militari e l'educazione delle unità,
che entrambi sono ugualmente responsabili della situazione del loro reparto
sotto tutti i punti di vista e che, entrambi, comandante e commissario, dirigono
durante i combattimenti la loro unità, il loro reparto.
"Lenin c'insegna che senza commissari politici non si ha un Esercito Rosso.
Sia nel nostro Esercito di Liberazione nazionale che nel nostro attuale Esercito
popolare abbiamo tenuto presente e continuiamo ad applicare questo insegnamento.
Il comandante e il commissario, in quanto comando unico, esistevano presso l'ELAS,
l'Esercito di liberazione nazionale greco, ma praticamente questa forma di comando
non veniva applicata come si doveva. Sotto la pressione degli errati punti di
vista borghesi dei comandanti di carriera che non potevano soffrire al loro
fianco, al comando, degli uomini fidati del partito, il ruolo del commissario
al comando dell'Esercito democratico greco venne offuscato e passò in
secondo ordine. Questo fu il risultato dei punti di vista dei dirigenti del
Partito Comunista di Grecia sull'"esercito regolare". I compagni dirigenti
greci cercano dì giustificare l'eliminazione del ruolo del commissario
politico prendendo come esempio alcuni eserciti di altri paesi, ma noi pensiamo
che su questa questione i compagni greci non siano realisti.
"Errori del genere furono constatati anche quando l'Esercito di liberazione
nazionale greco riprese la lotta. Dal giorno dell'allontanamento del generale
Markos, questo esercito non ebbe più un comandante supremo. Noi pensiamo
che una tale situazione era ingiustificabile. Da noi il Segretario Generale
del Partito è stato ed è nel contempo Comandante Supremo dell'Esercito.
Secondo noi questo è giusto. In tempo di pace può essere anche
diverso, si può avere un ministero della Difesa, ma nelle condizioni
dell'Esercito democratico greco, quando questo si trovava in piena guerra, era
necessario avere un comandante supremo; noi abbiamo pensato e pensiamo, basandoci
sulla nostra esperienza, che questa funzione politica e militare spetta al segretario
generale del partito. Questo nostro punto di vista l'abbiamo espresso più
volte ai compagni greci. Le ragioni da questi avanzate per giustificare il loro
modo di agire, non furono convincenti. I compagni greci ci dicevano che "il
compagno Zakariadis è molto modesto", oppure "abbiamo avuto
un'amara esperienza con Tito che era allo stesso tempo segretario generale,
primo ministro e comandante supremo dell'esercito". A nostro avviso, qui
la modestia non c'entra; non c'entra nemmeno l'allusione a Tito, dietro la qua
e ci sembrò si nascondessero altre insinuazioni.
"Alcune forme di organizzazione camuffate adottate dai compagni greci ci
sembrano strane, mentre vedevamo poi che nella realtà tutto era diverso.
A nostro avviso, tutto ciò era dovuto alle idee confuse, all'opportunismo,
alla falsa modestia di cui soffrivano i compagni greci ed anche al fatto che
essi cercavano di nascondere il ruolo dirigente del partito. Non è detto
che il segretario generale dei partito sia ad ogni costo comandante in capo
dell'esercito, ma che un esercito che combatte non abbia un comandante supremo,
come nel caso dell'Esercito democratico greco dopo la destituzione di Markos,
questo ci è sembrato e ci sembra sbagliato."
"I compagni greci non accusano nessuno della situazione creatasi, né
delle disfatte che seguirono, distribuiscono le responsabilità facendole
ricadere sia su chi è colpevole sia su chi non lo è. Essi riversano
la colpa su tutti gli iscritti al Partito, il che non è giusto, perché
i membri del Partito Comunista di Grecia si sono battuti e si battono con eroismo.
Secondo noi i compagni dirigenti greci hanno paura di analizzare a fondo questi
errori che noi consideriamo gravi, hanno paura di mettere il dito sulla piaga.
Pensiamo inoltre che alcuni compagni dirigenti greci siano sprovvisti dello
spirito di critica e di autocritica e si difendono a vicenda per gli errori
commessi come si fa fra "amici".
"I compagni dirigenti greci sono stati in disaccordo con i nostri punti
di vista, che noi abbiamo espresso loro da amici e da comunisti internazionalisti,
che si battono per la stessa causa, che hanno dei grandi interessi comuni e
che hanno a cuore la causa della lotta del popolo greco. Essi non hanno accolto
bene le nostre osservazioni."
"Il compagno Niko Zakariadis ha sollevato contro di noi molte questioni
incresciose che noi, naturalmente, abbiamo respinto. E' ormai nota la sua dichiarazione
sul "Vorio-Epiro" di cui ho parlato in principio. Tra l'altro egli
ci ha mosso l'accusa di aver requisito, a suo dire, gli autocarri greci adibiti
al trasporto dei rifugiati e dei loro materiali; ci ha chiesto anche di mettere
al loro servizio i nostri autocarri. E' assolutamente vero che ci siamo serviti
degli autocarri greci per il trasferimento dei rifugiati greci nei luoghi a
loro destinati. Essi furono accolti nel Nord dell'Albania dove, nonostante le
nostre difficoltà li abbiamo forniti di viveri, vale a dire abbiamo diviso
il nostro pane con loro. Quanto ai nostri automezzi di trasporto, il nostro
parco di autocarri era molto ridotto e noi dovevamo in quel tempo utilizzarli
per rifornire l'Albania intera"
"I compagni greci ci criticano inoltre per non aver dato precedenza alle
operazioni di scarico degli aiuti materiali, come vestiario, viveri, tende,
coperte ecc. che erano giunti nei nostri porti e che erano destinati ai rifugiati
greci, prima che questi lasciassero l'Albania. Questo non è vero. Gli
aiuti che arrivavano via mare dall'estero per i rifugiati greci, in vari casi
si trovavano collocati nelle stive sotto i materiali e le merci destinati a
noi. E' ovvio che in questi casi venivano scaricate prima le merci che stavano
sopra e poi quelle di sotto; non si poteva fare diversamente. Noi non conosciamo
un metodo per scaricare una nave cominciando dal fondo.
- Comunque sia, queste erano piccole divergenze che potevano essere superate,
come del resto lo furono. Ciò che era determinante, erano le questioni
inerenti alla linea politica e militare del Partito Comunista di Grecia durante
la guerra e di cui ho parlato sopra.
"Non solo i compagni greci hanno respinto i nostri punti di vista e le
nostre osservazioni, ma abbiamo l'impressione che essi le abbiano prese in male
modo; anzi nella loro lettera indirizzata al nostro Ufficio Politico qualche
tempo fa, essi consideravano alla stessa stregua, in modo inammissibile e antimarxista,
i nostri punti di vista e i nostri atteggiamenti di principio con i punti di
vista dei titisti. Deformando i punti di vista espressi dalla nostra delegazione
sulle battaglie di Vitsi e di Gramoz, al fine di suffragare i loro ragionamenti
errati, i compagni dirigenti greci, a nostro avviso, si prefiggono lo scopo
di nascondere i loro errori. Noi comprendiamo i gravi momenti che la direzione
del Partito Comunista di Grecia ha attraversato dopo le disfatte di Vitsi e
di Gramoz ed anche i momenti di nervosismo che essi hanno conosciuto, ma tali
gravi accuse, destituite di ogni fondamento, sono per noi inammissibili e non
avrebbero dovuto essere mosse prima di essere state ben soppesate soprattutto
dall'Ufficio Politico del Partito Comunista di Grecia.
"Dopo queste accuse, che il nostro Ufficio Politico giudicò con
calma, abbiamo ritenuto che la partenza di quell'esiguo numero di rifugiati
greci ancora rimasti in Albania, diventava assolutamente indispensabile.
"Il compagno Stalin ci dica se i nostri punti di vista e i nostri atteggiamenti
a questo proposito sono stati corretti o no, e noi saremo pronti a riconoscere
tutti gli errori eventuali e a fare l'autocritica.
Il compagno Stalin, interrompendomi, disse:
- Non bisogna ripudiare i compagni colpiti dalla sventura.
- Avete ragione, compagno Stalin, risposi, ma vi assicuro che non ci siamo mai
comportati male con i compagni greci. Le questioni da noi sollevate erano molto
importanti sia per l'Esercito greco che per noi. Il Comitato Centrale del nostro
Partito non poteva permettere che la direzione del Partito Comunista di Grecia
stabilisse in Albania il centro delle sue attività e non poteva nemmeno
permettere che nel nostro paese venissero organizzate e addestrate delle truppe
per riprendere la guerra in Grecia. Questo l'avevo già detto amichevolmente
al compagno Niko Zakariadis, il quale da tempo aveva chiesto che i rifugiati
greci fossero trasferiti in altri paesi; il che è stato fatto effettivamente
per la maggior parte di essi. Si trattava di un numero limitato di rifugiati
che erano rimasti ancora da noi. Noi non abbiamo mai lasciato intendere che
avremmo cacciato via i rifugiati greci. Comunque, oltre alla
richiesta dello stesso compagno Niko di trasferirli altrove, anche il buon senso
ci imponeva, nelle circostanze che erano venute a crearsi, di non tenere più
nel nostro paese quelli che erano rimasti.
"Questi, compagno Stalin, erano i problemi che volevo sollevare, problemi
che, del resto, noi avevamo già discusso con i compagni greci e che figurano
anche nella lettera che vi abbiamo inviato.
- Avete finito? - mi chiese il compagno Stalin.
- Si, ho finito, risposi.
Allora egli diede la parola al compagno Zakariadis.
Questi si mise a difendere gli accordi di Varkiza, insistendo che la loro firma
non era un errore; poi continuò a sviluppare più ampiamente questa
tesi. Erano gli stessi punti di vista che mi aveva già esposto.
Per spiegare le ragioni della loro disfatta, Zakariadis sollevò tra l'altro
anche la seguente questione: "Se avessimo potuto prevedere fin dal 1946
il tradimento di Tito, noi non avremmo cominciato la lotta contro i monarco-fascisti".
Poi egli aggiunse alcune altre "ragioni" per spiegare la disfatta,
ripetendo che non avevano avuto armi a sufficienza, che gli albanesi, benché
avessero diviso il loro pane con i rifugiati, avevano tuttavia fatto sorgere
degli ostacoli, ecc. Il compagno Zakariadis sollevò alcuni problemi secondari
facendone delle questioni di principio. Egli fece poi menzione della nostra
richiesta (che egli stesso aveva sollevato prima) affinché anche gli
ultimi rifugiati democratici greci lasciassero l'Albania. Secondo lui ciò
avrebbe posto fine alla Lotta di liberazione nazionale greca.
Colgo l'occasione per esprimere la mia impressione sul compagno Niko Zakariadis.
Era molto intelligente, colto, ma, secondo me, non tanto marxista quanto avrebbe
dovuto essere. Malgrado la disfatta subita, si mise a difendere la strategia
e la tattica impiegate dall'Esercito democratico greco, insistendo sulla loro
fondatezza e pretendendo che non era possibile agire diversamente. Egli trattò
a lungo questa questione. Dunque ognuno di noi si manteneva sulle proprie posizioni.
Queste erano in sostanza le tesi di Niko Zakariadis. La sua esposizione durò
pressappoco quanto la mia, se non di più.
Il compagno Stalin e gli altri dirigenti sovietici ascoltarono attentamente
anche lui.
Dopo Niko, il compagno Stalin si rivolse a Mitcho Partsalidis:
- Avete qualche cosa da dire su quanto hanno illustrato i compagni Enver Hoxha
e Niko Zakariadis?
- Non ho nulla da dire oltre a quello che il compagno Niko ha appena esposto,
rispose Partsalidis e aggiunse poi che essi aspettavano il giudizio dei compagni
sovietici e del Partito Bolscevico su queste questioni.
Allora prese la parola il compagno Stalin. Parlò con calma, così
come aveva fatto durante tutti gli incontri che avevamo avuto con lui. Si espresse
in termini semplici, netti ed estremamente chiari. Riconobbe che la lotta del
popolo grecc, era stata una lotta eroica, costellata di atti di valore ma anche
di errori.
"Per quanto riguarda Varkiza, rilevò Stalin, gli albanesi hanno
ragione e, dopo aver trattato il problema, soggiunse: Voi, compagni greci, dovete
comprendere che gli accordi di Varkiza costituiscono un grave errore; non dovevate
firmarli né deporre le armi, poiché agendo cosi avete causato
gravi danni alla lotta del popolo greco.
"Quanto alla vostra strategia e alla vostra tattica nella lotta democratica
greca, sebbene tale lotta sia stata eroica, penso che anche qui i compagni albanesi
abbiano ragione. Voi avreste dovuto condurre una guerra partigiana, per passare
poi dalle tappe di questa guerra alla guerra regolare.
"Ho criticato il compagno Enver Hoxha dicendogli che il compagno colpito
dalla sventura non va ripudiato, ma da quello che abbiamo ascoltato qui risulta
che i compagni albanesi si sono mantenuti su posizioni corrette nei confronti
dei vostri punti di vista e delle vostre azioni. Le circostanze che erano venute
a crearsi e le condizioni dell'Albanía erano tali da non permettervi
di rimanere in quel paese, e ciò per non compromettere l'indipendenza
della Repubblica Popolare d'Albania.
"Abbiamo accolto la vostra richiesta di trasferire in altri paesi tutti
i rifugiati democratici greci ed ora tutti quanti sono stati già trasferiti.
Quanto al resto, armi, munizioni, ecc., che i compagni albanesi hanno preso
ai combattenti greci che avevano varcato il confine per rifugiarsi in Albania,
spettano, sottolineò Stalin, a questo paese. Le armi dunque dovevano
restare in Albania, perché questo paese, accogliendo i combattenti democratici
greci, sebbene li abbia disarmati, aveva al tempo stesso messo in pericolo la
propria indipendenza.
"Per quanto riguarda il vostro parere secondo cui "se aveste potuto
prevedere nel 1946 il tradimento di Tito, non vi sareste impegnato nella lotta
contro i monarco-fascisti", a me sembra sbagliato, perché quando
si tratta della libertà del popolo bisogna combattere anche quando si
è circondati. Tuttavia, dovete rendervi conto che non eravate accerchiati,
dal momento che al nord c'erano al vostro fianco l'Albania e la Bulgaria; tutti
sostenevano la vostra giusta lotta. Noi così pensiamo, concluse il compagno
Stalin ed aggiunse:
- Che ne dite compagni albanesi?
- Siamo d'accordo con tutti i vostri giudizi.
voi compagni greci, Zakariadis e Partsalidis, che ne pensate?
Il compagno Niko dichiarò
- Voi ci avete aiutati molto; ora ci rendiamo conto che non abbiamo agito correttamente
e cercheremo di correggere i nostri errori, ecc. ecc.
- Molto bene, disse Stalin riprendendo la parola. - Allora consideriamo chiusa
la questione.
Quando tutti eravamo in procinto di andarcene, intervenne Molotov rivolgendosi
a Niko Zakariadis:
Avevo qualche cosa da dirvi, compagno Niko. Il Comitato Centrale del Partito
Comunista dell'Unione Sovietica ha ricevuto una lettera di un vostro compagno
nella quale si dice che "Niko Zakariadis è un agente degli inglesi".
Non spetta a noi risolvere la questione, comunque non possiamo tenerla nascosta
e non mettervi al corrente del suo contenuto, specie quando si tratta di un'accusa
mossa ad un compagno dirigente del Partito Comunista di Grecia. Ecco la lettera.
Che ne pensate?
- Questo ve lo spiego io, rispose Niko Zakariadis. Quando le truppe sovietiche
ci liberarono dal campo di concentramento io mi recai al comando sovietico per
chiedere di essere inviato al più presto ad Atene, perché là
era il mio posto. Erano momenti decisivi ed io dovevo trovarmi in Grecia. Ma
il vostro comando non disponeva in quei momenti dei mezzi necessari a tal fine.
Allora fui costretto a rivolgermi al comando inglese per chiedergli di ricondurmi
in patria. Gli inglesi mi fecero salire a bordo di un aereo e così tornai
in Grecia. Il fatto che io sia ritornato in patria con l'aiuto del comando inglese
significa per questo compagno che io sono un agente inglese, il che naturalmente
è falso.
Stalin intervenne dicendo:
- Chiaro, anche questa questione è sistemata. L'incontro è finito!
Stalin si alzò, strinse la mano a tutti e ci avviammo verso la porta.
La sala era lunga e quando stavamo per uscire, Stalin ci chiamò:
- Un momento, compagni! Abbracciatevi ora, compagno Hoxha e compagno Zakariadis!
Noi ci abbracciammo.
Quando fummo fuori, Mitcho Partsalidis aggiunse:
- Stalin è un uomo eccezionale; si è comportato con noi come un
padre. Ora tutto è chiaro.
Così si concluse questo confronto davanti a Stalin.
IL QUINTO INCONTRO
Aprile 1951
Sulla situazione politica, economica e sociale in Albania. La reazione esterna
punta a rovesciare il nostro potere popolare. La sentenza finale della Corte
dell'Aia. "Un’alta vigilanza e gli atteggiamenti fermi aiutano a
scoprire e a sventare i tentativi dei nemici". "Parallelamente alla
costruzione di opere industriali, dovete consolidare la classe operaia e preparare
dei quadri". Sulla collettivizzazione dell'agricoltura. "Gli specialisti
sovietici sono venuti da voi non per chiudersi in ufficio, ma per aiutarvi alla
base". Severe critiche dei compagno Stalin ad un’opera musicale sovietica
che abbelliva la realtà. Al XIX Congresso del PC (b) dell'Unione Sovietica
- per l'ultima volta con l'indimenticabile Stalin.
L'ultimo incontro che ho avuto con il compagno Stalin si svolse a Mosca la sera
del 2 aprile 1951, alle 10,30 ora locale. Partecipavano a quest'incontro anche
Molotov, Malenkov, Beria e Bulganin.
Durante le conversazioni furono trattati vari problemi riguardanti la situazione
interna nel nostro Partito e nel nostro Stato, delle questioni economiche e
in modo particolare quelle inerenti al settore dell'agricoltura, gli accordi
economici eventualmente da concludere con vari paesi, il rafforzamento del lavoro
nei nostri istituti superiori, i problemi relativi alla situazione internazionale,
e cosi via.
In principio io illustrai a grandi tratti al compagno Stalin la situazione politica
nel nostro paese, il grande lavoro che il Partito aveva fatto e continuava a
fare per l'educazione delle masse con un elevato spirito rivoluzionario; gli
parlai della sana unità che era stata creata e andava consolidandosi
di giorno in giorno nel nostro Partito e nel nostro popolo, della grande e incrollabile
fiducia del popolo nel Partito. "Noi consolideremo senza sosta queste vittorie,
dissi al compagno Stalin, e staremo sempre in guardia e pronti a difendere l'indipendenza
e la libertà, l'integrità territoriale del paese e le vittorie
del popolo contro qualsiasi nemico esterno e interno che tenterà di minacciarci.
In modo particolare noi seguiamo con vigilanza gli innumerevoli tentativi dell'imperialismo
americano che per mezzo dei suoi lacchè, i nazionalisti di Belgrado,
i monarcofascisti di Atene e i neofascisti di Roma, punta a rovesciare il nostro
Potere popolare, ad asservirci e a smembrare l'Albania".
Informai inoltre il compagno Stalin della sentenza finale della Corte dell'Aia.
- Questa Corte, dissi tra l'altro, ha esaminato, come vi ho già detto,
il cosiddetto incidente dì Corfù, ed essendo essa manipolata dagli
imperialisti angloamericani, ci ha ingiustamente condannati a indennizzare gli
inglesi. Noi abbiamo respinto questa decisione arbitraria, ma gli inglesi hanno
messo le mani sul nostro oro che i nazisti tedeschi avevano sottratto all'ex
Banca Nazionale d'Albania. Quando fu scoperto in Germania l'oro saccheggiato
dai nazisti nei paesi occupati, la Commissione Tripartita incaricata della sua
ridistribuzione, nelle sue riunioni tenute a Bruxelles nel 1948 decise di restituire
all'Albania una parte di quello che le spettava di diritto. Ora gli inglesi
hanno messo le mani su questo quantitativo del nostro oro, l'hanno bloccato
e non ci permettono di ritirarlo in base alla decisione presa a Bruxelles.
"I nemici esterni del nostro paese, dissi ancora al compagno Stalin, stanno
ora legandosi strettamente fra loro e fanno tutto ciò alla luce del giorno.
Essi organizzano contro di noi incessanti provocazioni sia alla frontiera jugoslava
che alle frontiere greche e italiane, tanto da terra quanto dal mare e dall'aria;
i governanti di questi tre paesi, senza parlare della loro politica aperta
mente antialbanese, hanno raggruppato i traditori fascisti, i fuorusciti albanesi,
i banditi, i disertori e i criminali di ogni risma, che vengono poi addestrati
dagli stranieri per essere paracadutati in Albania al fine di organizzarvi dei
movimenti armati, dei sabotaggi economici, degli attentati contro i dirigenti
del Partito e dello Stato ed anche di crearvi dei centri di spionaggio per sé
e per i loro padroni.
"Noi siamo stati sempre in guardia verso questi tentativi della reazione
esterna ed abbiamo dato e daremo sempre la meritata risposta ad ogni sua azione.
Il nostro Esercito e l'Arma della Sicurezza di Stato hanno dato un rilevante
contributo in tal senso. Sono stati incessantemente rafforzati ed educati e
ora vengono modernizzati continuamente mentre assimilano l'arte militare marxista-leninista.
Continuando parlai al compagno Stalin di una serie di problemi militari e delle
principali direzioni dalle quali pensavamo potesse venire un attacco da fuori.
- Come fate a sapere che sarete attaccati da queste direzioni?, mi chiese subito
il compagno Stalin.
Dopo aver ascoltato le mie spiegazioni esaurienti su questo problema, egli mi
disse:
- Per quanto riguarda i problemi militari da voi sollevati, noi abbiamo incaricato
il compagno Bulganin di discuterli a fondo con voi.
Poi mi rivolse una serie di altre domande, fra cui: "Con quali armi difendete
le vostre frontiere? Come utilizzate le armi che avete tolto al nemico? Quanti
uomini potreste mobilitare in caso di guerra? Quali sono gli effettivi di cui
disponete attualmente?", e così via.
Io risposi a tutte queste domande del compagno Stalin. Gli parlai tra l'altro
dei saldi legami del nostro esercito con il popolo, del grande amore che il
popolo nutre per il suo esercito e gli dissi che in caso di un attacco esterno
tutto il nostro popolo era pronto a difendere la libertà e l'indipendenza
del paese, il potere popolare.
Poi prese la parola il compagno Stalin. Esprimendo la sua gioia nel sapere che
il nostro Esercito si rafforzava e che era legato al popolo, mi consigliò
tra l'altro:
- Penso che i vostri effettivi siano sufficienti; vi consiglio di non aumentarne
il numero, perché il loro mantenimento viene a costare. Voi dovreste
invece aumentare il numero dei carri armati e degli aerei.
"Nella situazione attuale state in guardia da un eventuale pericolo che
potrebbe venirvi dalla Jugoslavia. I titisti hanno degli agenti da voi e ne
invieranno certamente anche degli altri. Essi vorrebbero attaccarvi, ma non
possono, perché hanno paura. Non avete nulla da temere in tal senso,
mettetevi invece al lavoro per rafforzare l'economia, educare i quadri, consolidare
il Partito;
state in guardia e addestrate bene l'esercito. Se avrete un Partito, un'economia
e un esercito forti, non avrete da temere nulla da nessuno.
"I monarco-fascisti greci, continuò a dire, temono di essere attaccati
dai bulgari. Anche gli jugoslavi, per ottenere degli aiuti dagli americani,
continuano a gridare che la Bulgaria intende attaccarli. Questa però
non persegue simili mire né verso i greci né verso gli jugoslavi.
"
In seguito parlai al compagno Stalin del grande lavoro che veniva fatto da noi
per consolidare l'unità del popolo e fra il popolo e il Partito nonché
dei colpi inferti agli elementi traditori e ostili all'interno del paese. Gli
dissi che verso questi elementi non ci eravamo mostrati indecisi e opportunisti,
che avevamo invece preso tutte le misure per neutralizzare qualsiasi conseguenza
della loro attività ostile. Coloro che con i loro atti criminali e ostili
hanno colmato la misura, riferii al compagno Stalin, sono stati deferiti ai
nostri tribunali ed hanno ricevuto la pena che si meritavano.
- Avete fatto bene, mi disse Stalin. Il nemico cercherà di infiltrarsi
anche nel Partito e persino nel suo Comitato Centrale, ma un'alta vigilanza
e una ferma presa di posizione vi aiuteranno a scoprire e distruggere i suoi
tentativi.
Anche questa volta noi discutemmo a lungo con il compagno Stalin della nostra
situazione economica, dei risultati ottenuti nello sviluppo economico e culturale
del paese nonché delle sue prospettive. Gli parlai tra l'altro dei successi
della politica del Partito inerente all'industrializzazione socialista e allo
sviluppo dell'agricoltura nel nostro paese, come pure di alcune nostre previsioni
per il primo piano quinquennale 1951-1955.
Come al solito il compagno Stalin s'interessò molto della nostra situazione
economica e della politica del nostro Partito a questo riguardo. Egli mi domandò
quando sarebbero terminati il complesso tessile, la zuccherificio e le altre
opere industriali che erano in via di costruzione da noi.
Risposi a quete sue domande e poi sottolineai che unitamente ai successi conseguiti
nella costruzione di queste ed altre opere industriali e sociali, come pure
nel settore agricolo, noi avevamo registrato anche degli insuccessi. "Abbiamo
analizzato, gli dissi, la causa di questi insuccessi al Comitato Centrale del
Partito all'insegna della critica e dell'autocritica e abbiamo definito le responsabilità
di ciascuno. Da noi viene dedicata una particolare importanza al consolidamento
del ruolo guida del Partito, alla costante bolscevizzazione della sua vita,
ai suoi legami sempre più stretti con le masse del popolo, e continuai
ad esporgli ìn sintesi la situazione interna del nostro Partito.
Ma il compagno Stalin m'interruppe:
- Perché ci parlate dì questi problemi, compagno Enver, voi li
conoscete meglio di noi? Noi siamo lieti di sapere che da voi sono in via di
costruzione una serie di opere industriali. Io però vorrei sottolineare
che parallelamente alla costruzione delle opere industriali, voi dovreste attribuire
grande importanza al rafforzamento della classe operaia e alla formazione dei
quadri. In modo particolare il Partito deve avere cura della classe operaia,
che sarà creata e si rafforzerà di giorno in giorno di pari passo
con lo sviluppo industriale del paese.
- In modo particolare, proseguii, la questione dello sviluppo e del progresso
dell'agricoltura assume una notevole importanza per noi. Voi sapete che il nostro
è un paese agricolo che ha ereditato dal passato una grande arretratezza.
Nostro obiettivo è stato ed è l'incremento della produzione agricola
e, tenendo conto del fatto che la maggior parte della nostra agricoltura è
costituita da piccole fattorie private, abbiamo dovuto e dovremo prendere varie
misure per aiutare e incoraggiare i nostri contadini a lavorare meglio e a produrre
di più. Certamente, abbiamo ottenuto dei risultati; la produzione è
aumentata, ma noi siamo coscienti che l'attuale livello dell'agricoltura non
corrisponde come si deve ai crescenti bisogni in derrate alimentari della popolazione
e in materie prime dell'industria e delle nostre esportazioni. Noi sappiamo
che per far uscire definitivamente la nostra agricoltura dall'arretratezza e
farla poggiare su salde basi per assicurare una grande produzione, l'unica via
è quella della collettivizzazione. In questo campo abbiamo proceduto
e procediamo con cautela.
- Attualmente avete molte cooperative in Albania? - mi domandò Stalin.
- Circa novanta, risposi.
- Qual'è la loro situazione? Come vivono i contadini in queste cooperative?
- La maggior parte di queste, risposi, esiste da non più di 1-2 anni;
comunque sia, alcune di esse stanno mostrando la loro superiorità sulla
piccola proprietà privata spezzettata. Il lavoro collettivo e organizzato,
l'incessante aiuto dello Stato in sementi, mezzi meccanizzati, quadri, ecc.
hanno avuto come risultato il consolidamento delle basi della produzione ed
anche il suo incremento. Rimane, comunque, molto da fare perché le cooperative
agricole diventino un esempio e un modello per i coltivatori individuali. Ed
è per questo che il nostro principale obiettivo nel campo dell'organizzazione
dell'agricoltura, è, oltre che consolidare le cooperative esistenti con
il nostro aiuto e le nostre cure sempre maggiori, quello di procedere con cautela
nella creazione di altre unità del genere.
Dopo avermi ascoltato, Stalin mi consigliò:
- Non dovete affrettarvi nella creazione di altre cooperative agricole. Cercate
di consolidare
quelle già esistenti, facendo però in modo che i rendimenti delle
colture agricole siano elevati. Così i soci di queste cooperative saranno
soddisfatti dei buoni risultati ottenuti nella produzione e il loro esempio
spingerà anche gli altri a chiedere la collettivizzazione.
"Finché i contadini non saranno persuasi della superiorità
della proprietà collettiva, sarà inopportuno aumentare il numero
delle cooperative. Se le cooperative esistenti procureranno dei vantaggi ai
loro membri, anche gli altri contadini imboccheranno la via da loro seguita."
La maggior parte del nostro colloquio fu dedicata ai problemi della nostra agricoltura,
alla situazione delle masse contadine, alle sue tradizioni e alla sua mentalità.
Il compagno Stalin voleva sapere il più possibile, s'interessava perfino
dei minimi particolari, si rallegrava dei nostri successi, ma non mancava di
farci anche delle osservazioni amichevoli e di darci dei preziosi consigli per
il miglioramento del nostro lavoro nel futuro.
- Il mais continua ad essere la coltura principale in Albania? - mi domandò.
- SI, risposi, e subito dopo viene il grano. Tuttavia, negli ultimi anni anche
il cotone, il girasole, gli ortaggi, la barbabietola da zucchero, vengono coltivati
sempre di più.
- Seminate molto cotone? Quali sono i vostri rendimenti?
- La superficie coperta con questa pianta industriale si estende continuamente
e i nostri agricoltori hanno ormai acquisito un'esperienza non trascurabile.
Quest'anno contiamo di seminarne circa 20.000 ettari, ma per quanto riguarda
i rendimenti e la qualità del cotone siamo ancora indietro. Finora abbiamo
raccolto mediamente circa 5 quintali per ettaro. Questa situazione sarà
migliorata. Abbiamo più volte discusso e analizzato questo problema di
enorme importanza per noi, perché legato all'abbigliamento del popolo;
abbiamo preso e continuiamo a prendere numerose misure, senza ottenere però
i risultati che si speravano. Il cotone ha bisogno di sole e di acqua. il sole
non ci manca e il terreno e il clima sono adatti a questa coltura, ma per quanto
riguarda l'irrigazione siamo ancora indietro. Dobbiamo mettere sù un
buon sistema di irrigazione al fine di promuovere anche lo sviluppo di questa
coltura.
- Quale colture irrigano di più i vostri contadini, il mais o il cotone?,
mi domandò Stalin.
- Il mais, risposi.
- Vuol dire, replicò, che i vostri contadini non amano ancora il cotone
e lo sottovalutano.
Proseguendo la conversazione dissi al compagno Stalin che anche ultimamente
avevamo discusso delle carenze osservate in questa coltura, dei compiti che
c'incombevano riguardo al suo ulteriore sviluppo. Rilevai che dalle consultazioni
organizzate alla bese risultava che in diversi casi erano state usate sementi
inadatte alle nostre condizioni; in quest’occasione, gli avanzai alcune
richieste di aiuti, affinché il lavoro procedesse normalmente sia al
complesso tessile che allo stabilimento di cardatura del cotone.
Io penso che qualche specialista possa aver sbagliato a questo riguardo, disse
il compagno Stalin. Ma l'essenziale è il lavoro dell'agricoltore. Per
quanto riguarda le vostre richieste circa il cotone, noi le soddisferemo tutte,
se saranno giustificate. Comunque sia vedremo.
Durante quest'incontro il compagno Stalin s’interessò diverse volte
delle nostre cooperative della loro situazione attuale e delle loro prospettive
di sviluppo. Ricordo che mi rivolse fra l'altro anche la seguente domanda:
- Di quale macchine dispongono le cooperative agricole? Come lavorano le SMT?
Avete istruttori nelle vostre cooperative, ecc.?
Risposi a tutte le sue domande, ma egli non pienamente soddisfatto dell'organizzazione
del nostro lavoro in questo settore e mi fece la seguente osservazione:
• Il lavoro non l'avete impostato bene. Così correte il rischio
di danneggiare anche le cooperative già esistenti. Voi dovrete naturalmente
proseguire la qualificazione dei quadri, ma la presenza al loro fianco di consiglieri
sovietici nelle vostre cooperative agricole, vi sarebbe utile. Questi non dovranno
restare in ufficio, ma aiutarvi alla base.
"Se i vostri principali quadri dirigenti dell’agricoltura non sapranno
come dirigere e organizzare concretamente le cooperative agricole, proseguì
Stalin, difficilmente potranno fare questo lavoro come si deve. Vengano dunque
a vedere come procediamo noi in Unione Sovietica, per mettere a frutto la nostra
esperienza e trasmetterla poi agli agricoltori albanesi"
Durante quest'incontro parlai al compagno Stalin della necessità di stabilire
dei rapporti economici anche con altri paesi.
Dopo avermi ascoltato, egli mi disse:
- E chi ve lo ha impedito? Voi avete firmato dei trattati con i paesi a democrazia
popolare, che vi hanno anche concesso dei crediti. Vi consiglio di concludere
anche con altri paesi degli accordi simili a quello che avete firmato con la
Bulgaria. Noi non abbiamo nulla in contrario, anzi consideriamo ciò molto
positivo.
Proseguendo avanzai al compagno Stalin anche alcune altre richieste di aiuto
per lo sviluppo della nostra economia e della nostra cultura. Come sempre, egli
accolse generosamente le nostre richieste e mi disse di rivolgermi a Mikoian
con il quale mi sarei incontrato tre volte in quei giorni per discutere in modo
particolareggiato di questi problemi e decidere in merito.
Il compagno Stalin acconsenti subito a soddisfare la nostra richiesta di inviare
docenti sovietici presso i nostri istituti superiori, ma fece la seguente osservazione:
- Ma come faranno i nostri docenti che non conoscono l'albanese?
Poi fissandomi negli occhi, aggiunse:
- Noi ci rendiamo bene conto della vostra situazione ed è per questo
che vi abbiamo aiutato e vi aiuteremo ancora di più. Ho però un'osservazione
da farvi, compagni albanesi: Ho studiato le vostre richieste e ho constatato
che non avete chiesto molto per l'agricoltura. Le vostre richieste riguardano
maggiormente l'industria, ma l'industria senza l'agricoltura non può
reggersi in piedi né progredire. Intendo dire, compagni, che dovreste
attribuire maggiore importanza allo sviluppo dell'agricoltura. Noi vi abbiamo
inviato anche dei consiglieri economici, ma a quanto pare non fanno bene il
loro lavoro.
- Essi ci hanno aiutati, intervenni io, ma Stalin, poco convinto di quello che
gli stavo dicendo sui consiglieri sovietici, ritornò alla carica e mi
chiese ridendo:
- Che fine hanno fatto le sementi di mais georgiano che vi ho dato, le avete
seminate oppure le avete gettate dalla finestra?
Colto alla sprovvista, sentii che ero diventato rosso e gli dissi che le avevamo
distribuite in varie zone del paese, ma che non ero a conoscenza dei risultati.
Questa fu una buona lezione per mè. Appena tornato a Tirana, mi interessai
subito del problema e i compagni mi dissero che i risultati erano stati eccellenti;
alcuni agricoltori avevano raccolto perfino 70 quintali per ettaro ed ora dovunque
si sentiva parlare del mais georgiano, che i nostri contadini chiamano il "dono
di Stalin".
- E degli eucalipti che ne avete fatto? Avete piantato i semi che vi avevo dato?
- Li abbiamo distribuiti nella zona della Myzeqe dove le paludi sono più
numerose ed abbiamo trasmesso agli specialisti tutte le vostre raccomandazioni.
- Bene, disse il compagno Stalin. Debbono aver cura di farli germogliare e crescere.
E' un albero che cresce molto presto e per di più è molto efficace
contro l'umidità.
"I semi di mais che vi ho dato crescono rapidamente e voi potreste diffonderli
in tutta l'Albania, mi disse poi il compagno Stalin e mi domandò:
- Ci sono da voi degli istituti specializzati nella selezione delle sementi?
- Sì, risposi, abbiamo creato un settore specializzato alle dipendenze
del ministero dell'Agricoltura e speriamo di rafforzarlo e di ampliarlo ancora
nel futuro.
- Farete bene! - osservò il compagno Stalin. Questi istituti dovranno
stabilire quali sono le piante e le sementi più adatte alle varie zone
del paese e dovranno anche fornirle. Dovrete procurarvi anche da noi delle sementi
i cui rendimenti sono due o tre volte superiori. Vi ho già detto che
noi vi aiuteremo con tutti i mezzi di cui disponiamo, ma l'essenziale, compagni,
è il vostro lavoro, un lavoro fatto con impegno e senza interruzione
per lo sviluppo generale del paese, dell'industria, dell'agricoltura, della
cultura, della difesa.
- Compagno Stalin, noi seguiremo senz'altro le vostre raccomandazioni, gli dissi
ringraziandolo di cuore per la calorosa e cordiale accoglienza, per i suoi preziosi
consigli e le sue raccomandazioni.
Questa volta trascorsi in Unione Sovietica tutto il mese di aprile.
Qualche giorno dopo quest'incontro, il 6 aprile, andai al teatro "Bolshoi"
per vedere la nuova opera "Dalle profondità del cuore" che,
come mi dissero prima che avesse inizio lo spettacolo, trattava la nuova vita
nelle campagne colcosiane. Quella sera stessa era venuto ad assistere a questa
rappresentazione anche il compagno Stalin; aveva preso posto in un palco di
prima fila, accanto alla scena, mentre a me, ai miei due compagni e ai due compagni
sovietici che ci accompagnavano, ci avevano assegnato un palco del secondo piano
dall'altro lato della scena.
L'indomani mi dissero che Stalin aveva criticato molto severamente quest'opera,
che alcuni critici d'arte avevano portato alle stelle come un’opera musicale
di valore.
Il compagno Stalin, mi dissero, ha criticato quest'opera perché non riflette
in modo giusto e oggettivo la vita nelle campagne colcosiane. Il compagno Stalin
aveva detto che la vita nei colcos in quest'opera era idealizzata, resa in modo
non veritiero, che la lotta delle masse contro le manchevolezze e le difficoltà
non veniva riflessa in essa, e che tutto era coperto da una vernice e dall’idea
pericolosa che "tutto è per il meglio nel migliore dei mondi possibili"
Successivamente quest'opera fu criticata anche dalla stampa centrale del partito
ed io compresi la profonda inquietudine di Stalin suscitata da simili fenomeni
che portavano in sé il germe di un serio pericolo futuro.
Delle mie indimenticabili visite di quei giorni, ricordo fra l'altro quella
fatta a Stalingrado, dove visitai anche la collina di Mamai Kurgan. Durante
la guerra antihitleriana, i combattenti dell'Esercito Rosso, con il nome di
Stalin sulle labbra, difesero questa collina a palmo a palmo, millimetro per
millimetro. Il suolo della collina di Mamai Kurgan fu sconvolto ed i terribili
bombardamenti ne mutarono parecchie volte il rilievo; da luogo coperto di erba
e di fiori qual’era prima della famosa battaglia di Stalingrado, si trasformò
in un luogo cosparso di ferro e di acciaio, coperto dai rottami dei carri armati
che si erano scontrati. Mi chinai con rispetto per raccogliere un pugno di terra
da questa collina che simboleggia l'eroismo del soldato staliniano e, al mio
ritorno in Albania, lo offrii al Museo della Lotta di Liberazione Nazionale
di Tirana.
Dall'alto di Mamai Kurgan si vedeva tutta la città di Stalingrado, attraverso
la quale serpeggiava l'imponente Volga. E' in questa città leggendaria
che i soldati sovietici, applicando il piano d'attacco staliniano contro le
orde hitleriane, scrissero gloriose pagine di storia e trionfarono sugli aggressori
nazisti; questa vittoria segnò una svolta nell'andamento di tutta la
Seconda Guerra mondiale. Benché incendiata, distrutta, ridotta in macerie,
questa città che porta il nome del grande Stalin, non si arrese.
Ora uno spettacolo del tutto diverso si offriva ai miei occhi. La città
distrutta dalla guerra era stata ricostruita dalle fondamenta in un lasso di
tempo estremamente breve. Le nuove costruzioni - case di abitazione a più
piani, istituzioni socioculturali, scuole, fabbricati dell'università,
cinema, ospedali, fabbriche e stabilimenti moderni, nuove strade larghe e pulite
- ne avevano completamente mutato l'aspetto. Le strade erano fiancheggiate da
alberi verdeggianti, i parchi e i giardini pubblici erano coperti di fiori e
gremiti di bambini. Mi recai anche allo stabilimento dei trattori dove m'intrattenni
con molti operai. "... Noi vogliamo molto bene al popolo albanese, mi disse
uno di loro; ed ora, in tempo di pace, lavoriamo anche per lui. Noi invieremo
ai contadini albanesi un numero di trattori ancora maggiore, questa è
la volontà e la raccomandazione di Stalin".
Ovunque sentimmo nei nostri confronti l'amore e il rispetto che il grande Stalin,
l'amato e indimenticabile amico del popolo albanese e del Partito del Lavoro
d'Albania, aveva coltivato nella semplice gente sovietica.
Così si concluse anche questa mia visita in Unione Sovietica nel corso
della quale ebbi per l'ultima volta un incontro a quattr'occhi con il grande
Stalin, del quale, come ho già detto altre volte, conservo ricordi e
impressioni che non dimenticherò durante tutta la mia vita.
Nell'ottobre del 1952 mi recai di nuovo a Mosca, a capo di una delegazione del
Partito del Lavoro d'Albania, per partecipare al XIX Congresso del PC (b) dell'Unione
Sovietica. E' qui che vidi per l'ultima volta l'indimenticabile Stalin, è
qui che ascoltai per l'ultima volta la sua voce così avvincente ed esaltante,
quando dalla tribuna del Congresso, dopo aver detto che la borghesia ha chiaramente
gettato via la bandiera delle libertà democratiche, della sovranità
e dell'indipendenza, si rivolse ai partiti comunisti e democratici che non avevano
ancora preso il potere, con queste parole storiche:
"Io penso che dovreste essere voi a rialzare questa bandiera... e a portarla
avanti, se vorrete raccogliere attorno a voi la maggioranza del popolo, . ..
se vorrete essere patrioti del vostro paese, se vorrete diventare la forza dirigente
della nazione. Nessun altro, all'infuori di voi, la potrà rialzare"
Ho conservato e conserverò sempre fresca e viva nella mente e nel cuore
la sua immagine nel momento in cui dalla tribuna del Congresso galvanizzò
tutti i presenti, qualificando i partiti comunisti dei paesi socialisti "brigate
d'assalto del movimento rivoluzionario mondiale".
In quegli stessi giorni proferimmo il giuramento secondo cui il Partito del
Lavoro d'Albania si sarebbe mostrato degno del titolo di "brigata d'assalto"
e si sarebbe impegnato ad applicare nel modo più fedele gli insegnamenti
e le raccomandazioni di Stalin; questo testamento storico il nostro Partito
lo conserverà come la pupilla dei suoi occhi. Noi ripetemmo questo solenne
giuramento anche nel giorno di profonda costernazione, nel giorno in cui l'immortale
Stalin ci lasciò, e siamo fieri che il nostro Partito, come brigata d'assalto
staliniana, non sia mai venuto meno alla parola data, che sia sempre stato guidato,
come sempre sarà, solo dagli insegnamenti di Marx, Engels, Lenin e del
loro discepolo, prosecutore coerente della loro opera, il nostro amato amico,
il glorioso dirigente Giuseppe Vissarionovich Stalin.