Biblioteca Multimediale Marxista
TRADUZIONE DI GIOVANNI CANESTRINI
EDIZIONI "A. BARION"
DELLA
CASA PER EDIZIONI POPOLARI - S. A.
SESTO SAN GIOVANNI (MILANO)
SUNTO STORICO
DEI RECENTI PROGRESSI DELLA DOTTRINA
SULL'ORIGINE DELLE SPECIE
Voglio esporre un breve sunto dei progressi della dottrina sull'origine delle
specie. La maggior parte dei naturalisti ammette che le specie sieno produzioni
immutabili, e che ogni specie sia stata creata separatamente. Questa tesi fu
abilmente propugnata da molti autori. Solamente pochi credono che esse subiscano
delle modificazioni, e che le forme viventi attuali discendano per mezzo di
generazione regolare da forme preesistenti. Lasciando in disparte alcuni cenni
che troviamo nelle opere della classica antichità, Buffon, ne' tempi
moderni, fu il primo autore che trattò scientificamente quest'argomento.
Siccome però le sue opinioni furono diverse in periodi diversi, ed egli
non trattò delle cause o dei mezzi della trasformazione delle specie,
non ho bisogno di entrare in particolari.
Lamarck fu il primo a destare vivamente l'attenzione colle sue conclusioni.
intorno a tale soggetto. Questo naturalista celebre pubblicò per la prima
volta nel 1801 la sua dottrina; estese poscia notevolmente la sua teoria nel
1809 colla Philosophie Zoologique, e nel 1815 nell'Introduzione alla sua Histoire
naturelle des animaux sans vertèbres. In queste diverse opere egli sviluppò
l'idea che tutti gli animali, non eccettuato l'uomo, derivano da altre specie
anteriori. Egli rendeva con ciò un servigio eminente alla scienza, abituando
gli spiriti a considerare ogni cambiamento avvenuto nel mondo organico e nell'inorganico
come il risultato probabile di una legge naturale e non già di un intervento
miracoloso. Lamarck fu condotto ad ammettere il principio della trasformazione
graduale delle specie per la difficoltà di discernere le specie dalle
varietà, per la serie non interrotta delle forme in certi gruppi organici
e per l'analogia colle nostre produzioni domestiche. Quanto ai mezzi di modificazione
impiegati dalla natura, egli dava qualche peso all'azione diretta delle condizioni
fisiche della vita, come agli incrociamenti fra le forme preesistenti, ed attribuiva
la massima influenza all'uso e al non uso degli organi, oppure all'effetto delle
abitudini. Sembra ch'egli ripetesse da quest'ultima causa gli adattamenti meravigliosi
degli esseri organizzati come, per esempio, il collo lungo della giraffa costrutto
tanto ingegnosamente da permetterle di strappare le foglie dai rami degli alberi.
Ma credeva anche all'esistenza di una legge di progressivo sviluppo; e siccome
tutte le forme organiche avrebbero una medesima tendenza a progredire, egli
spiegava l'esistenza attuale d'organismi semplicissimi coll'aiuto della generazione
spontanea.
Stefano Geoffroy Saint-Hilaire fino dal 1795 avanzò l'ipotesi che le
così dette specie di un medesimo genere non sieno che le varietà
degeneri di uno stesso tipo. Solo nel 1828 egli espresse la convinzione che
le medesime forme non si fossero perpetuate invariabili, dall'origine delle
cose. Pare che egli abbia considerato le condizioni della vita, o ciò
ch'egli chiama: "Le mond ambiant" come la cagione principale di ogni
trasformazione; ma egli, circospetto nelle sue conclusioni, ricusava di credere
che le specie viventi fossero attualmente soggette a modificazioni. E suo figlio
aggiunge: "C'est donc un problème à réserver entièrement
à l'avenir, supposé même que l'avenir doive avoir prise
sur lui".
Nel 1813 il dottor W. C. Wells ha letto davanti alla Royal Society una breve
notizia sopra una donna di razza bianca, la cui pelle somigliava in parte a
quella di un negro; ma la memoria non fu pubblicata finchè non vennero
alla luce i suoi due Saggi sulla vista doppia e semplice. In quella memoria
egli riconosce decisamente il principio dell'elezione naturale, e fu quello
il primo riconoscimento di tale principio. Ma egli lo applicò alle sole
razze umane, e solamente a certi caratteri speciali. Dopo aver dichiarato che
i Negri ed i Mulatti vanno esenti da certe malattie tropicali, egli soggiunge,
in primo luogo, che tutti gli animali tendono a variare in un certo grado, e
secondariamente che gli agricoltori migliorano i loro animali domestici colla
elezione artificiale, e dice ancora "ciò che in quest'ultimo caso
avviene a mezzo dell'arte, sembra succedere, tuttochè con maggior lentezza,
in natura, nella formazione delle razze umane, le quali sono adattate alle regioni
che abitano. Fra le varietà accidentali dell'uomo, le quali appariscono
fra i pochi e dispersi abitatori delle medie regioni dell'Africa, alcune potranno
meglio di altre sopportare le malattie del paese. In conseguenza di che queste
razze si aumenteranno, mentre le altre decresceranno, e non solo perchè
queste sono incapaci di superare le malattie, ma anche perchè non potranno
contendere coi loro vigorosi vicini. Dopo ciò che dissi, ammetto, come
cosa stabilita, che il colore di questa razza forte sarà oscuro. Sussistendo
però la tendenza a formare delle varietà, nel corso del tempo
si produrranno razze vieppiù oscure; e siccome la più scura s'adatta
meglio delle altre al clima, al fine nel paese in cui si produsse, se non sarà
l'unica, sarà la dominante". Le stesse considerazioni egli estende
poi ai bianchi abitatori di climi più freddi. Sono riconoscente al signor
Rowley degli Stati Uniti di avermi fatto conoscere, a mezzo del signor Brace,
il predetto passo della memoria di Wells.
In Inghilterra, il rev. W. Herbert, poi, decano di Manchester, scriveva nel
1822 che le esperienze d'orticoltura provano incontrastabilmente che le specie
vegetali non sono altro che forme più elevate e più stabili delle
varietà. Egli estendeva lo stesso principio agli animali. Supponeva che
una sola specie d'ogni genere fosse stata creata in uno stato primitivo di grande
plasticità, e che questi tipi originali avessero prodotto, principalmente
col mezzo di incrociamenti, ma anche in seguito a modificazioni, tutte le nostre
specie attuali.
Nel 1826 il prof. Grant, nell'ultimo paragrafo d'una memoria conosciutissima
sugli spongilli, professò altamente la sua opinione che ogni specie discende
da altre specie, e che si perfeziona con successive modificazioni.
Nel 1831 il sig. Patrick Matthew emise sull'origine delle specie considerazioni
uguali a quelle manifestate da M. Wallace e da me nel Linnean Journal, e quali
oggi io sviluppo nel presente scritto. Sfortunatamente M. Matthew espose con
troppa brevità il suo concetto in alcuni periodi inseriti in un'appendice
ad un'opera sopra argomenti affatto estranei; per cui passò inosservato,
finchè Matthew stesso non venne a riportarlo nel Gardener's Chronicle.
Le opinioni di Matthew differiscono poco dalle mie. Egli suppone che il mondo
sia stato periodicamente spopolato e ripopolato quasi in totalità. Quanto
all'origine delle specie nuovamente apparse, crede che novelle forme possano
prodursi "senza il concorso di alcun modello o germe anteriore". Io
non sono ben sicuro di intenderlo sempre, ma sembra ch'egli attribuisca molta
influenza all'azione diretta delle condizioni esterne della vita. Pure egli
riconosce chiaramente tutta la forza del principio di elezione naturale.
Il celebre geologo Leopoldo de Buch, nell'ottimo suo libro Description physique
des Iles Canaries (1836, pagina 147), esprime chiaramente il suo convincimento,
che le varietà possano lentamente diventare specie costanti, che poi
sono incapaci di incrociarsi.
Secondo Rafinesque, nella sua Nuova Flora dell'America del Nord, "tutte
le specie possono essere state una volta semplici varietà e molte varietà
essersi trasformate in specie, consolidando gradatamente i loro caratteri, eccettuati
però i tipi originali o antichi del genere".
Nel 1843-44 il prof. Haldeman ha esposto molto abilmente gli argomenti in appoggio
e contro l'ipotesi dello sviluppo e della trasformazione delle specie, e pare
che egli fosse inclinato a favore della variabilità.
Le Vestiges of Creation vennero in luce nel 1844. Nella decima edizione (1853),
molto migliorata, l'anonimo autore dice: "Dopo matura riflessione è
d'uopo concludere che le serie diverse d'esseri animati, dal più semplice
ed antico al più elevato e recente, sono, sotto la divina provvidenza,
il risultamento di due cause: primieramente d'un impulso, dato alle forme viventi
che le spinge in un dato tempo e con generazione regolare per tutti i gradi
di organizzazione fino alle dicotiledoni e ai vertebrati più perfetti:
i gradi sono pochi e contrassegnati da lacune nei caratteri organici, dal che
provengono le difficoltà pratiche che si incontrano nel constatare le
loro affinità; in secondo luogo da un altro impulso dipendente dalle
forze vitali, che tende, nel succedersi delle generazioni, a modificare la struttura
organica a seconda delle circostanze esterne, come il nutrimento, la patria
e gli agenti meteorici: da ciò deriverebbero gli adattamenti de' naturalisti
teologi". Evidentemente l'autore pensa che l'organismo stesso si perfeziona
per soprassalti, ma che gli effetti cagionati dalle condizioni esterne sono
graduali. Egli deduce da premesse generali la conseguenza categorica che le
specie non sono immutabili. Ma io non capisco in che modo i due impulsi supposti
possano render conto scientificamente dei molti e segnalati adattamenti che
si notano nella natura. Io non posso ammettere che ciò spieghi come,
per esempio, l'organizzazione del picchio si sia adattata alle sue particolari
abitudini. Questo libro, quantunque dia indizio delle prime edizioni di una
scienza poco profonda e anche meno di riserva scientifica, per la potenza e
lo splendore dello stile si diffuse rapidamente. Credo che egli abbia reso un
servigio importante chiamando l'attenzione sopra questo soggetto, sradicando
i pregiudizi e preparando in tal guisa le menti all'adozione di idee analoghe.
Il veterano della geologia I. d'Omalius d'Halloy, in una eccellente quantunque
breve memoria, giudica più probabile che le specie siano state prodotte
per discendenza modificata nei caratteri, anzichè create separatamente.
Egli aveva esternato questa opinione fino dal 1831.
"L'idea archetipa, scrisse nel 1849 il prof. Owen, è stata manifestata
nel regno animale del nostro pianeta sotto forme diverse molto tempo prima della
esistenza delle specie animali che oggi la rappresentano. A quali leggi naturali
o cause secondarie possa essere stato sottoposto l'ordine di successione e di
progressione di tali fenomeni organici noi l'ignoriamo". Nel suo discorso
davanti al Congresso degli scienziati inglesi egli pone come assioma "la
continua attività della forza creatrice o della formazione ordinata delle
cose viventi". Più oltre, a proposito della distribuzione geografica,
aggiunge: "Questi fenomeni scuotono la nostra opinione che l'apterice della
Nuova Zelanda e il gallo selvatico rosso inglese sieno creazioni distinte di
queste isole. Del resto, non si deve dimenticare che col termine creazione lo
zoologo vuol denotare un processo ignoto; e che quando cita in prova di creazioni
distinte esempi analoghi al precedente, egli intende soltanto di confessare
che non sa come un tale uccello si trovi in quel luogo esclusivamente; o meglio
ancora egli crede che l'isola e l'animale debbano la loro origine a una stessa
causa creatrice".
Se si confrontino insieme le asserzioni contenute in quel discorso, apparisce
che nell'anno 1858 l'illustre naturalista era scosso nel convincimento, che
l'apterice e il gallo selvatico rosso siano apparsi nella rispettiva loro patria
in maniera sconosciuta ed in seguito ad un processo ignoto.
Questo discorso venne fatto dopo che le memorie sottocitate del Wallace e mie
sulla origine delle specie erano state lette davanti alla Linnean Society. Quando
venne alla luce la prima edizione dell'opera presente, io, insieme con altri,
ero stato talmente ingannato da espressioni, come "l'azione continua dell'attività
creatrice", che contava il prof. Owen tra i paleontologi che sono fermamente
convinti dell'immutabilità delle specie. Ma sembra che questo fosse un
significante mio errore (vedi Anatomy of Vertebrates, vol. III, pag. 796). Nella
ultima edizione di questo libro giudicai da un passo che incomincia colle parole
no doubt the type-form, etc. (ivi, vol. I, pag. XXXV) che il prof. Owen ammetta,
essere l'elezione naturale attiva nella formazione di nuove specie, e tale deduzione,
parmi ancor oggi giusta. Tuttavia non è esatto, nè dimostrato
che questo fosse il concetto dell'Owen (vedi ivi, vol. III, pag. 798). Ho pubblicato
anche degli estratti di una corrispondenza fra il prof. Owen e l'editore della
London Review, e tanto l'editore quanto io abbiamo giudicato che l'Owen vi sostenga
aver annunciata la teoria dell'elezione naturale prima d me; ed ho espresso
la mia sorpresa e la mia compiacenza per tale asserto. Ma per quanto si può
giudicare da scritti recentemente pubblicati (Opera citata, vol. III, pag. 798),
io sarei nuovamente, in parte o affatto, caduto in errore: È per me un
conforto il vedere, come nemmeno altri sappiano comprendere e mettere in armonia
i diversi lavori controversi dell'Owen. Quanto all'enunciamento del principio
della elezione naturale, torna inutile stabilire a chi spetti la priorità,
se all'Owen o a me, giacchè, come è dimostrato in questo sunto
storico, ambedue siamo stati precorsi dal dott. Wells e dal signor Matthew.
Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire nel suo corso del 1850 espone brevemente le ragioni
che lo inducono a credere che "i caratteri specifici sono fissi in ogni
specie fintanto che la medesima si propaga fra le stesse circostanze, e che
questi caratteri si modificano se si mutino le condizioni esterne della vita.
In conclusione, egli dice, l'osservazione degli animali selvaggi dimostra già
la variabilità limitata delle specie. Le esperienze sugli animali selvaggi
addomesticati e sugli animali domestici che divennero selvaggi, la dimostrano
ancora meglio. E queste medesime esperienze provano altresì che le differenze
prodotte ponno avere un valore generico". Nella sua Histoire naturelle
générale egli svolge delle considerazioni analoghe.
Il dott. Freke in una recente pubblicazione dichiara di avere esposto fino dal
1851 l'idea che tutti gli esseri organizzati siano discesi da una sola forma
primitiva. Le sue ragioni e il suo metodo differiscono totalmente dai miei.
Siccome il dott. Freke ha pubblicato solo adesso il suo lavoro Origin of Species
by means of Organic Afinity, 1861, è inutile tentare qui l'analisi difficile
del suo sistema.
Herbert Spencer ha paragonato abilmente la teoria di creazione degli esseri
organizzati con quella del loro sviluppo. Dall'analogia delle produzioni domestiche,
dai cambiamenti avvenuti nell'embrione di molte specie, dalle difficoltà
di distinguere le specie dalle varietà e dal principio del progresso
generale egli deduce che le specie si sono modificate, e che queste modificazioni
derivano dal cambiamento delle circostanze. Lo stesso autore ha trattato anche
della psicologia, partendo dal principio che ogni facoltà mentale deve
necessariamente essere stata acquistata gradatamente.
Un botanico distinto, M. Naudin, ha dichiarato apertamente che le specie allo
stato naturale si sono formate in modo analogo a quello col quale le varietà
sono prodotte per mezzo della coltivazione. Ma egli non dimostra come nella
natura abbia luogo l'elezione. Però pensa, come Herbert, che le specie
furono altra volta dotate d'una facoltà plastica maggiore di quella d'oggi,
e si appoggia su quello che chiama principio di finalità, "potenza
misteriosa, indeterminata, fatalità per alcuni, volontà provvidenziale
per altri, l'azione continua della quale sugli esseri viventi determina in tutte
le epoche dell'esistenza dell'universo, la forma, il volume e la durata d'ognuno,
in ragione del suo destino nell'ordine delle cose di cui fa parte. Questa potenza
armonizza ogni membro al tutto, adattandolo alla funzione ch'egli deve compiere
nell'organismo generale della natura, funzione che è la sua ragione d'essere".
Nel 1853 un celebre geologo, il conte Keyserling, ha esposto l'idea che, come
nuove malattie, cagionate probabilmente da un miasma qualunque, compariscono
e si diffondono sopra la terra, così in certi periodi i germi delle specie
esistenti possano essere stati affetti chimicamente dalle molecole ambienti
di una natura speciale ed avere dato origine a nuove forme.
Nello stesso anno 1853, il dott. Schaaffhausen pubblicò un eccellente
scritto, nel quale sostiene lo sviluppo progressivo delle forme organiche terrestri.
Conclude che molte specie si sono conservate senza variazione, per lunghi periodi,
nel mentre che altre si modificavano. La divergenza delle specie, secondo lui,
devesi attribuire alla distruzione delle forme intermedie. "Così,
egli dice, le piante e gli animali viventi non sono nuove creazioni rispetto
alle specie estinte, ma debbono riguardarsi come discendenti da quelle per mezzo
di continua riproduzione".
Nel 1854 un distinto botanico francese, il Lecoq, scrisse ne' suoi Études
sur la géographie botanique, tom. I, pagina 250: "Si vede che le
nostre ricerche intorno alla stabilità o mutabilità delle specie
ci conducono direttamente alle idee già espresse da due uomini celebri,
il Geoffroy Saint-Hilaire ed il Goethe". Altri passi però della
stessa opera lasciano in dubbio fino a qual punto il Lecoq estendesse questo
suo concetto.
La filosofia della creazione fu trattata stupendamente dal rev. Baden Powell
nei suoi Essays on the Unity of Worlds, 1855. È assai notevole il suo
modo di dimostrare come l'introduzione delle nuove specie sia "un fenomeno
regolare e non accidentale", ovvero, come dice John Herschell, "un
procedimento naturale, anzichè un evento miracoloso".
Il terzo volume del Journal of the Linnean Society contiene delle memorie lette
il 1° luglio 1858 dal sig. Wallace e da me, nelle quali, come si vedrà
nella introduzione al presente libro, la teoria dell'elezione naturale fu esposta
da M. Wallace con molta forza e chiarezza.
C. E. Von Baer, che gode moltissima stima presso gli zoologi, intorno al 1859
espresse la sua convinzione, appoggiata alle leggi della distribuzione geografica,
che forme oggi affatto differenti possono essere i discendenti di uno stipite
comune (vedi Rud. Wagner, Zoologisch Anthropologische Untersuchungen, 1861,
p. 51).
Nel giugno 1859 il prof. Huxley tenne un discorso davanti alla Royal Institution
sui "tipi persistenti della vita animale". È difficile intendere
il significato di simili fatti, egli dice, "se si suppone che ogni specie
animale o vegetale ad ogni gran tipo organico sia stato formato e posto sulla
superficie del globo dopo lunghi intervalli per un atto speciale della forza
creatrice; è bene ricordare che una simile supposizione è in disaccordo
colle analogie generali della natura e poco sostenuta dalla tradizione e dalla
rivelazione. Se da un altro lato noi consideriamo i tipi persistenti, partendo
dall'ipotesi che le specie viventi sono sempre il risultato delle graduali modificazioni
di specie anteriori, partendo dall'ipotesi che quantunque non sia provata e
si trovi deplorabilmente sostenuta da' suoi difensori, è pure la sola
che venga appoggiata dalla fisiologia: l'esistenza di questi tipi sembra dimostrare
che la somma delle modificazioni subite dagli esseri viventi nelle epoche geologiche
è poca cosa rimpetto alla lunga serie di vicende che essi hanno sopportato".
Il dott. Hooker stampò la sua Introduzione alla Flora d'Australia nel
dicembre del 1859. Nella prima parte di questa grande Opera, ammette il principio
della discendenza e modificazione delle specie, e reca a sostegno di questa
dottrina molte osservazioni originali.
La prima edizione della mia Opera uscì il 24 novembre 1859, la seconda
il 7 gennaio 1860.
INTRODUZIONE
Io mi trovavo a bordo del vascello di S. M. Britannica The
Beagle nella qualità di naturalista, allorchè fui vivamente colpito
da certi fatti nella distribuzione degli esseri organizzati che popolano l'America
meridionale e dai rapporti geologici esistenti fra gli abitanti passati ed attuali
di questo continente. Come potrà vedersi negli ultimi capitoli di quest'opera,
tali fatti sembrano diradare qualche poco le tenebre sull'origine delle specie,
questo mistero dei misteri, al dire di uno de' nostri più grandi filosofi.
Al mio ritorno, nel 1837, mi venne l'idea che forse sarebbesi potuto promuovere
tale questione, raccogliendo le osservazioni d'ogni sorta che avessero riferimento
alla sua soluzione e meditando sulle medesime. Solo dopo cinque anni di lavoro
io mi permisi alcune induzioni e mi feci a redigere brevi annotazioni. Infine
nel 1844 tentai quelle conclusioni che mi parvero più probabili. D'allora
in poi mi occupai costantemente del medesimo oggetto. Il lettore mi perdonerà
questi dettagli personali, che ho addotti soltanto per provare che io non fui
troppo precipitoso nella mia determinazione.
Il mio lavoro è ora (1859) quasi finito; ma siccome occorrerebbero parecchi
anni per completarlo, e la mia salute non è troppo ferma, così
fui indotto a pubblicare il presente estratto. Io fui spinto a quest'opera soprattutto
dalla considerazione che il sig. Wallace, nello studio della storia naturale
dell'Arcipelago Malese, giunse quasi esattamente a conclusioni identiche alle
mie sull'origine delle specie. Nel 1858 egli m'inviò una memoria sopra
questo argomento, pregandomi di comunicarla a Carlo Lyell, il quale la presentò
alla Società Linneana. Questo lavoro è inserito nel terzo volume
del giornale della Società. Il signor Carlo Lyell e il dott. Hooker,
che conoscono i miei lavori - quest'ultimo ha letto il mio sunto del 1844, -
mi fecero l'onore di pensare che sarebbe stato opportuno di pubblicare, contemporaneamente
all'eccellente memoria del Wallace, un corto estratto de' miei manoscritti.
L'estratto che oggi metto in luce è dunque necessariamente imperfetto.
Io sono costretto ad esporvi le mie idee senza appoggiarle con molti fatti o
con citazioni d'autori: e mi trovo nel caso di contare sulla confidenza che
i miei lettori potranno avere sull'accuratezza de' miei giudizi. Senza dubbio
questo libro non sarà esente di errori, benchè io creda di non
essermi riferito che alle autorità più solide. Io non posso produrre
se non le conclusioni generali alle quali sono arrivato, con alcuni esempi che
tuttavia basteranno, credo, nella pluralità dei casi. Niuno è
penetrato, più di me della necessità di pubblicare più
tardi tutti i fatti che servono di base alle mie conclusioni, e spero di farlo
in un'opera futura. Imperocchè io so bene che non vi è un passo
in questo volume, al quale non si possano opporre argomenti, che in apparenza
conducano a conclusioni diametralmente opposte. Un risultato soddisfacente raggiungesi
soltanto raccogliendo tutti i fatti e le ragioni favorevoli e contrarie ad ogni
questione, e pesando gli uni contro gli altri; ciocchè nell'opera presente
non posso fare.
Mi rincresce assai che la ristrettezza dello spazio mi privi della soddisfazione
di ricambiare il generoso concorso prestatomi da molti naturalisti, alcuni dei
quali non conosco personalmente. Io non posso frattanto lasciar sfuggire questa
occasione senza esprimere la profonda obbligazione ch'io professo al dott. Hooker,
il quale negli ultimi quindici anni mi fu di grande aiuto, pel fondo inesauribile
delle sue cognizioni e per le sue eccellenti opinioni.
Quando si riflette al problema dell'origine delle specie, considerando i mutui
rapporti d'affinità degli esseri organizzati, le loro relazioni embrionali,
la loro distribuzione geografica, la successione geologica ed altri fatti analoghi,
si può conchiudere che ogni specie non è stata creata indipendentemente
dalle altre, ma bensì discende, come le varietà, da altre specie.
Pure una simile conclusione, anche fondata, non sarebbe soddisfacente fin tanto
che non ci fosse dato dimostrare come le specie innumerevoli, che abitano il
globo, si siano modificate al punto di acquistare quella perfezione di struttura,
quell'adattamento che eccita a buon diritto la nostra ammirazione. I naturalisti
si riportano continuamente alle condizioni esterne; come il clima, il nutrimento,
ecc., e da esse traggono la sola causa possibile di variazione. Come vedremo,
i medesimi non hanno ragione che in un senso molto ristretto. Per esempio, è
un errore l'attribuire alle sole condizioni esterne la struttura del picchio,
la formazione dei suoi piedi, della coda, del becco e della sua lingua, organi
conformati tanto meravigliosamente per cogliere gli insetti sotto la scorza
degli alberi. Così dicasi del vischio che trae il suo alimento da certi
alberi, il seme dei quali deve essere sparso da determinati uccelli, mentre
i loro fiori dioici esigono l'intervento di certi insetti per recare il polline
dall'uno all'altro. Evidentemente non potrebbe attribuirsi la natura di questa
pianta parassita e i suoi rapporti tanto complicati con parecchi esseri organizzati
distinti, all'influenza delle condizioni esterne, delle abitudini o della volontà
della pianta stessa.
Quindi è di una importanza capitale il cercare di formarsi un concetto
chiaro dei mezzi di modificazione e di adattamento impiegati dalla natura. Fino
dai primordi delle mie ricerche fui d'avviso che un accurato studio degli animali
domestici e delle piante coltivate mi avrebbe offerto probabilmente i dati migliori
per risolvere questo oscuro problema. Nè mi sono ingannato, mentre non
solo in questa circostanza, ma ben anche in tutti gli altri casi perplessi,
ho sempre trovato che le nostre esperienze relative alle variazioni degli esseri
organizzati avvenute allo stato di domesticità o di coltura, sono tuttavia
la nostra guida migliore e la più sicura. Io non esito ad esprimere la
mia convinzione sull'alta importanza di questi studi, benchè troppo spesso
sieno stati trascurati dai naturalisti.
Per questo motivo io consacro il primo capitolo di questo compendio all'esame
delle variazioni allo stato domestico. Vedremo ciò, che sono per lo meno
possibili sopra una vasta scala variazioni ereditarie, e quel che più
importa, vedremo quanto grande sia la facoltà dell'uomo di accumulare
leggere variazioni, per mezzo dell'elezione artificiale, cioè mediante
la loro scelta esclusiva. Passerò poscia alla variabilità delle
specie nello stato di natura; ma io dovrò a malincuore trattare con troppa
concisione questo soggetto, che non può svolgersi convenientemente se
non colla scorta di lunghi cataloghi di fatti. Potremo nondimeno discutere quali
sieno le circostanze più favorevoli alle variazioni. Il capitolo successivo
tratterà della lotta per l'esistenza fra tutti gli esseri organizzati
del globo, lotta che necessariamente deriva dal loro moltiplicarsi in proporzione
geometrica. È questa la legge di Malthus applicata a tutto il regno animale
e vegetale. Siccome gli individui d'ogni specie che nascono sono di numero assai
maggiore di quelli che possono vivere, e perciò deve rinnovarsi la lotta
fra i medesimi per l'esistenza, ne segue che se qualche essere varia anche leggermente,
in un modo a lui profittevole, sotto circostanze di vita complesse e spesso
variabili, egli avrà maggior probabilità di durata e quindi potrà
essere eletto naturalmente. Inoltre, secondo le severe leggi dell'eredità,
tale varietà eletta tenderà continuamente a propagare la sua forma
nuova e modificata.
Di questo principio fondamentale di elezione naturale tratterò diffusamente
nel quarto capitolo: e noi conosceremo in qual modo questa elezione naturale
produca quasi inevitabilmente frequenti estinzioni di specie meno adatte, e
conduca a ciò che io chiamo divergenza dei caratteri. Nel seguente capitolo
io discuterò le leggi complesse e poco note della variazione. Altri cinque
capitoli risolveranno le difficoltà più gravi e più apparenti
della teoria. In primo luogo la difficoltà delle transizioni, cioè
come possa darsi che un essere o un organo semplice siasi trasformato in un
essere più complicato oppure in un organo più perfetto; secondariamente
l'istinto o le facoltà mentali degli animali; in terzo luogo l'ibridismo
o la sterilità delle specie incrociate e la fecondità delle varietà
incrociate; da ultimo l'insufficienza dei documenti geologici. Nel capitolo
successivo io considererò la successione geologica degli esseri organizzati
nel corso del tempo; nel dodicesimo e tredicesimo la loro distribuzione geografica
nello spazio; nel decimoquarto la loro classificazione e le loro mutue affinità
nello stato adulto quanto nello stato embrionale. L'ultimo capitolo comprenderà
un breve riassunto di tutta l'opera con alcune osservazioni finali.
Se teniamo conto della nostra profonda ignoranza sulle reciproche relazioni
di tutti gli esseri che vivono intorno a noi, non possiamo fare le meraviglie
se ci restano ancora inesplicate molte cose sulla genesi delle specie e delle
varietà. Come può spiegarsi che mentre una specie è numerosa
e sparsa sopra una grande estensione, un'altra specie assai affine trovasi rara
e in uno spazio ristretto? Ora questi rapporti sono della più alta importanza,
giacchè determinano il benessere presente e credo anche la prosperità
futura e le modificazioni di ogni abitante di questo mondo. Noi conosciamo poi
ancor meno le relazioni reciproche degli innumerevoli abitanti terrestri in
molte fasi geologiche del loro passato sviluppo. Quantunque molte cose restino
oscure o rimarranno tali ancora per lungo tempo, io non posso dubitare, dopo
lo studio più esatto e il giudizio più coscienzioso di cui sono
suscettibile, che l'opinione adottata dalla maggior parte dei naturalisti e
per lungo tempo anche da me, cioè che ogni specie sia stata creata indipendentemente
dalle altre, sia erronea.
Io sono pienamente convinto che le specie non sono immutabili; ma che tutte
quelle che appartengono a ciò che chiamasi lo stesso genere, sono la
posterità diretta di qualche altra specie generalmente estinta: nella
stessa maniera che le varietà riconosciute di una specie qualunque discendono
in linea retta da questa specie. Finalmente io sono convinto che l'elezione
naturale sia, se non l'unico, almeno il principale mezzo di modificazione.
SULLA ORIGINE DELLE SPECIE
CAPO I
VARIABILITÀ ALLO STATO DOMESTICO.
Cause della variabilità - Effetti dell'abitudine e dell'uso o non-uso degli organi - Correlazione di sviluppo - Ereditabilità - Caratteri delle varietà domestiche - Difficoltà di distinguere le varietà dalle specie - Origine delle varietà domestiche da una o più specie - Colombi domestici, loro differenze e loro origine - Principio di elezione applicato da lungo tempo e suoi effetti - Elezione metodica e inconscia - Origine ignota delle nostre produzioni domestiche - Circostanze favorevoli al potere elettivo dell'uomo.
CAUSE DELLA VARIABILITÀ
Quando si considerano gli individui appartenenti ad una medesima
varietà o sotto-varietà fra le nostre piante coltivate da molto
tempo e fra i nostri animali domestici più vetusti, una delle prime cose
che ci colpisce consiste nel rimarcare che in generale essi differiscono fra
loro più degli individui delle specie o varietà selvagge. Se noi
consideriamo la molta diversità delle piante o degli animali che sono
soggetti al potere dell'uomo e che variarono nella successione dei secoli sotto
climi e regimi differenti, siamo spinti alla conclusione, che questa maggior
variazione degli esseri coltivati debbasi riguardare come effetto di condizioni
di vita meno uniformi e in qualche parte diverse da quelle a cui furono esposte
allo stato di natura le specie madri. Vi è pure qualche probabilità
nel modo di vedere di Andrew Knight, che la variabilità dipenda in parte
da eccesso di nutrimento. Mi sembra evidente che gli esseri organici debbano
essere esposti per diverse generazioni a nuove condizioni di vita perchè
si manifesti in essi una somma apprezzabile di variazioni; e non appena l'organizzazione
abbia incominciato a variare, essa rimane generalmente variabile per molte generazioni.
Noi non abbiamo alcun esempio di forme variabili che abbiano cessato di modificarsi
nello stato di domesticità; anche le più antiche fra le nostre
piante coltivate, ad esempio il frumento, producono tuttora delle nuove varietà:
e i nostri più antichi animali domestici sono pure suscettibili di modificazioni
e miglioramenti rapidi.
A quanto posso giudicare dopo essermi lungamente occupato dell'argomento, le
condizioni della vita sembrano agire in due modi: o direttamente sull'intero
organismo, o solamente su determinate parti: oppure, indirettamente, a mezzo
degli organi della riproduzione. Per ciò che riguarda la diretta azione,
non dobbiamo dimenticare ciò che recentemente ha dimostrato il prof.
Weismann e ciò che io stesso ho notato occasionalmente nel mio libro
sulle variazioni allo stato domestico, che cioè due fattori sono in attività:
la natura dell'organismo e la natura delle condizioni. La prima sembra la più
importante, imperocchè, per quanto si possa giudicare, avvengano variazioni
pressochè simili in condizioni diverse; e d'altra parte succedano variazioni
dissimili in condizioni, che sembrano quasi uguali. L'effetto sui discendenti
è ora definito, ora indefinito. Può dirsi definito quanto tutti
o pressochè tutti i discendenti di individui, i quali per molte generazioni
furono esposti alle medesime condizioni, sieno modificati nella stessa misura.
È straordinariamente difficile giungere ad una conclusione rispetto ai
cambiamenti che in tal guisa furono prodotti. Ma non può invece sorger
dubbio intorno a parecchie piccole variazioni, come sarebbero la grandezza in
seguito alla quantità del nutrimento, il colore in seguito alla natura
del medesimo, la grossezza della pelle e del pelo in seguito al clima, ecc.
Ciascuna delle innumerevoli varietà che noi vediamo nella livrea dei
nostri polli deve aver avuto la sua causa efficiente; e se la medesima causa
agisse uniformemente per una lunga serie di generazioni su molti individui,
tutti probabilmente sarebbero modificati nello stesso modo. Alcuni fatti, come
sarebbero i tumori complicati e straordinari che si formano invariabilmente
nelle piante per effetto di una gocciolina di veleno di un insetto che produce
galle, dimostrano quali particolari modificazioni possano risultare nelle piante
da un cambiamento chimico nella natura del succo.
La variabilità indefinita è assai più spesso della definita
un risultato di variate condizioni, ed ebbe probabilmente gran parte nella formazione
delle nostre razze domestiche. Noi troviamo la variabilità indefinita
nelle innumerevoli leggere particolarità che contrassegnano gl'individui
di una medesima specie e che non possono essere state ereditate nè da
una delle due forme genitrici, nè da un progenitore più lontano.
Talvolta osservansi occasionalmente delle differenze ben marcate nei giovani
dello stesso parto, o nei semi dello stesso frutto. A lunghi intervalli fra
milioni d'individui che vengono allevati nello stesso paese e nutriti con cibo
quasi eguale, appariscono talvolta deviazioni di struttura sì fortemente
pronunciate che meritano il nome di mostruosità; ora le mostruosità
non possono separarsi dalle leggere variazioni con una linea ben decisa. Tutte
le variazioni di strutture siffatte, sieno assai leggere o ben marcate, le quali
appariscono fra molti individui viventi insieme, possono considerarsi come effetti
indefiniti sopra ciascun organismo individuale, nella stessa guisa che un'infreddatura
agisce in modo indefinito sopra gli uomini diversi, cagionando, a seconda dello
stato del corpo e della costituzione, ora tosse, ora corizza, ora dolori reumatici,
od infiammazione di organi diversi. Relativamente a ciò che io chiamai
effetto indiretto delle variate condizioni e che si manifesta negli organi riproduttivi,
noi possiamo giudicare, essere la variabilità in parte effetto della
estrema sensibilità di questo sistema per ogni cambiamento delle condizioni,
in parte effetto della somiglianza che esiste, come Kölreuter ed altri
osservarono, fra la variabilità che segue l'incrociamento di specie distinte
e quella che fu osservata nelle piante e negli animali coltivati in condizioni
nuove e non naturali. Molti fatti provano chiaramente quanto sia sensibile il
sistema riproduttivo per i più leggeri cambiamenti nelle condizioni esterne.
Non vi è cosa più facile che ammansare un animale, nè più
difficile che ottenerne la spontanea riproduzione, anche ove i maschi e le femmine
si accoppiassero. Quanti animali non vogliono riprodursi, benchè vivano
lungamente in una reclusione poco severa e nel loro paese nativo! Si suol attribuire
erroneamente questo fenomeno all'alterazione degli istinti naturali; ma molte
piante coltivate spiegano il maggior vigore, e ciò non ostante non danno
semente che di rado e anche mai. È stato provato che circostanze apparentemente
poco influenti come una quantità d'acqua più o meno grande in
qualche epoca determinata dello sviluppo, possono determinare la sterilità
e la fecondità di una pianta. Io non posso entrare qui nei copiosi dettagli
delle annotazioni da me raccolte sopra questo interessante soggetto; ma per
dare un esempio della singolarità delle leggi che governano la riproduzione
degli animali captivi, noterò che i carnivori, anche dei tropici, si
riproducono liberamente nelle nostre contrade allo stato di reclusione, eccettuati
i plantigradi e più particolarmente quelli della famiglia degli orsi,
che difficilmente figliano: mentre gli uccelli rapaci, salvo rarissime eccezioni,
non producono quasi mai uova feconde. Molte piante esotiche hanno pure un polline
completamente inattivo, precisamente come negl'ibridi più sterili. Quando
adunque da una parte animali e piante domestiche, quantunque deboli e malate,
si riproducono volontariamente allo stato di reclusione, e da altra parte individui
presi giovani allo stato selvaggio, perfettamente addomesticati, maturi e robusti,
hanno tuttavia (di che potrei fornire parecchi esempi) il loro sistema riproduttore
sì profondamente colpito da cause impercettibili da non poter funzionare;
noi non possiamo essere sorpresi dal vedere che questo sistema allo stato di
reclusione non agisce regolarmente, e produce una prole che non è esattamente
simile ai suoi genitori. Io posso aggiungere che se certi organismi si riproducono
nelle condizioni più opposte alla natura, ciò dimostra solamente
che il loro sistema riproduttivo rimase illeso (citerò, come esempio,
i conigli e i furetti in gabbia); e che perciò alcuni animali e piante
resistono all'azione della domesticità o della coltivazione, e variano
solo leggermente e forse poco più che allo stato di natura.
Alcuni naturalisti hanno sostenuto che tutte le variazioni siano collegate coll'atto
della riproduzione sessuale. Ma questo è certamente un errore, e prova
ne sia la lunga lista di sporting plants ch'io ho dato in un'altra Opera. I
giardinieri chiamano così quelle piante, le quali producono improvvisamente
una gemma che assume un carattere nuovo e spesso molto diverso da quello delle
altre gemme della stessa pianta. Siffatte variazioni di gemme, come potrebbero
chiamarsi, si lasciano riprodurre coll'innesto, con piantoni, ecc., e talvolta
con semi. Esse si mostrano raramente in natura, ma con frequenza sotto l'azione
della coltura. Siccome è noto che fra molte migliaia di gemme che annualmente
crescono sullo stesso albero in condizioni uniformi, una sola di repente acquista
un nuovo carattere, e che gemme di alberi diversi, le quali crescono in diverse
condizioni, talvolta producono la stessa varietà (ad es., le gemme del
pesco che producono le pesche-mandorle, e le gemme sulla rosa comune che producono
le rose muscose); noi possiamo dedurre con evidenza che la natura delle condizioni
ha importanza affatto secondaria nella produzione di forme variate a petto della
natura dell'organismo, importanza non maggiore di quella che ha la natura della
scintilla nel determinare la qualità della fiamma quando si appicca ad
una massa di sostanza combustibile.
EFFETTI DELL'ABITUDINE, E DELL'USO E NON-USO DEGLI ORGANI
CORRELAZIONE DI SVILUPPO - EREDITABILITÀ
Le abitudini hanno una speciale influenza sulle piante, che
trasportate da un clima all'altro cambiano l'epoca della fioritura. Negli animali
questo effetto è più sensibile; per esempio, m'avvidi che le ossa
dell'ala pesavano meno e quelle della coscia pesavano di più nell'anitra
domestica che nell'anitra selvatica, relativamente all'intero scheletro: ed
è presumibile che questo cambiamento si possa attribuire alla circostanza
che l'anitra domestica vola meno e cammina più della stessa specie in
istato selvaggio. Il grande sviluppo delle mammelle delle vacche e delle capre
trasmissibile per eredità, in luoghi ne' quali esse sono ordinariamente
munte, in confronto dello stato di questi organi in altre contrade, ove ciò
non accade, è pure un'altra prova in proposito. Non vi è un solo
animale domestico che in qualche paese non abbia le orecchie pendenti; ed è
probabile l'opinione esternata da qualche autore, che ciò sia effetto
del non-uso dei muscoli dell'orecchio, essendo l'animale meno allarmato da qualche
pericolo.
Molte leggi governano la variabilità. Alcune sono vagamente note, e io
ne farò menzione brevemente in altro luogo. Qui voglio soltanto parlare
di ciò che può chiamarsi correlazione di sviluppo. Un cangiamento
importante nell'embrione o nella larva induce sempre un cangiamento corrispondente
nell'animale adulto. Nelle mostruosità gli effetti di correlazione fra
parti affatto distinte sono assai singolari. Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire
ne dà molti esempi nel suo grande lavoro su questo argomento. Gli allevatori
credono che le membra lunghe siano quasi sempre accompagnate da una testa allungata.
Alcuni fatti di correlazione sembrano puramente capricciosi: come quelli che
i gatti affatto bianchi cogli occhi turchini siano generalmente sordi; il signor
Tait però ha detto recentemente che tale fenomeno è limitato ai
soli maschi. Certi colori e certe particolarità di costituzione si esigono
a vicenda, e molti esempi del regno vegetale ed animale si potrebbero citare
in proposito. Dalle osservazioni fatte da Heusinger sembrerebbe che le pecore
e i maiali bianchi siano attaccati dai veleni vegetali in una maniera diversa
da quella degli individui di altri colori. Il prof. Wyman mi ha comunicato recentemente
una prova istruttiva di questo fatto. Egli chiese ad alcuni agricoltori della
Virginia perchè tutti i loro maiali fossero neri; essi gli risposero
che questi animali mangiano la radice colorata di Lachnantes, la quale dava
alle loro ossa una tinta rosea a faceva cadere le unghie di tutte le varietà,
eccettuati i neri. Ed uno degli incoli (chiamati nella Virginia Squatters) soggiunse:
"Noi scegliamo nell'allevamento tutti gli individui neri d'ogni parto,
perchè sono i soli che abbiano probabilità di vivere". I
cani calvi hanno i denti imperfetti. I ruminanti aventi un pelo lungo e ruvido
sono molto disposti a portare corna lunghe e numerose. I colombi calzati hanno
una membrana fra le loro dita esterne; quelli che hanno il becco corto hanno
piedi piccoli; se invece hanno un becco lungo, i piedi sono grandi. Per conseguenza,
ove si scelgano individui modificati e si aumenti costantemente per accumulazione
una particolarità qualsiasi dell'organismo, ne avverrà che, anche
senza averne l'intenzione, si modificheranno altre parti dell'organismo in virtù
delle misteriose leggi della correlazione di sviluppo.
Il risultato delle varie leggi, completamente ignorate o vagamente comprese,
della variabilità è infinitamente complesso e diverso. Vale la
pena di studiare diligentemente i trattati pubblicati sopra parecchie delle
nostre piante coltivate da lungo tempo, come il giacinto, la patata, la dalia,
ecc., e di osservare le numerosissime variazioni di struttura e di funzioni
per le quali differiscono fra loro le diverse varietà e sotto-varietà.
La loro organizzazione intera sembra divenuta plastica e tende ad allontanarsi,
almeno per qualche piccolo grado, dal tipo originale.
Variazioni non ereditarie sono per noi senza alcuna importanza. Ma le deviazioni
trasmissibili, siano esse di poca o molta importanza fisiologica, sono molto
frequenti e presentano una diversità quasi infinita. Il trattato del
dott. Prospero Lucas in due grossi volumi è l'opera migliore e più
completa che esiste a questo riguardo. Nessun allevatore dubita della forza
delle tendenze ereditarie; il simile produce il simile: questo è il loro
assioma fondamentale. Gli autori teorici soli hanno mosso dei dubbi contro questo
assioma. Allorquando una deviazione spesso si palesa e noi la vediamo sul padre
e sul figlio, non può sapersi se provenga dall'azione delle stesse cause
sull'uno e sull'altro; ma quando fra gli individui apparentemente esposti alle
medesime condizioni si manifesta qualche rarissima deviazione in un solo individuo,
in mezzo a milioni d'altri che non ne sono affetti, cagionata da uno straordinario
concorso di circostanze, e che in seguito questa deviazione si mostri di nuovo
nel figlio, il solo calcolo delle probabilità ci forza ad attribuirne
la manifestazione all'eredità. Ognuno ha inteso parlare di casi d'albinismo,
di pelle spinosa, di villosità, ecc., che ripetonsi in parecchi membri
di una stessa famiglia. Se adunque in realtà si ereditano deviazioni
di struttura strane e rare, deve ammettersi la trasmissibilità di deviazioni
meno straordinarie ed anzi comuni. Forse il miglior modo di vedere sarebbe il
considerare l'eredità dei caratteri come la regola, e la loro cessazione
come l'anomalia.
Le leggi della trasmissibilità dei caratteri sono completamente ignote.
Niuno può dire per qual ragione una particolarità verificatasi
nei diversi individui della medesima specie o in individui di specie diverse,
qualche volta si erediti e qualche altra volta non si erediti; perchè
in un discendente si riscontrino certi caratteri degli avi paterni o materni,
o anche di avi più lontani; perchè un carattere particolare si
trasmetta da uno a due sessi, o si limiti sempre al medesimo sesso. Per noi
è un fatto di subordinata importanza il vedere che le particolarità
manifestatesi solamente nei maschi delle nostre razze domestiche si trasmettono
o esclusivamente o almeno assai più di sovente ai soli maschi. Ma havvi
una regola ben più rilevante e della quale io credo ci possiamo fidare,
ed è che, in qualunque fase della vita si osservi per la prima volta
una particolarità dell'organizzazione, essa tende a prodursi nei discendenti
all'età corrispondente, e qualche volta un po' prima. In molti casi non
potrebbe avvenire diversamente: così i caratteri ereditari delle corna
del bestiame non possono mostrarsi che verso l'età adulta; come le modificazioni
che avvengono nel baco da seta si producono alla fase corrispondente di larva
o di crisalide. Ma le malattie ereditarie, e qualche altro fatto mi inducono
a pensare che la regola abbia una più larga estensione; e che anche quando
non siavi alcuna ragione apparente per introdurre una modificazione particolare
ad una certa età, tuttavia essa tende a ritornare nel discendente alla
stessa epoca in cui apparve nel suo antenato. Io considero questa regola come
d'una grande importanza per spiegare le leggi dell'embriologia. Questi rilievi
si limitano naturalmente alla prima esterna manifestazione della modificazione,
e non alle sue cause prime, le quali possono aver agito sugli organi di generazione
del maschio o della femmina: così nel discendente di una vacca a piccole
corna e di un toro a corna lunghe, la maggior lunghezza delle corna, quantunque
non avvenga che a un'epoca inoltrata della vita, è dovuta evidentemente
all'elemento paterno.
Ho fatto allusione alla tendenza di riversione ai caratteri degli avi. Debbo
qui notare una osservazione spesso fatta da alcuni naturalisti, cioè
che le nostre varietà domestiche, tornando selvagge, riprendono gradatamente,
ma costantemente, i caratteri del loro tipo originale. Da ciò si volle
dedurre non potersi fare alcuna induzione dalle razze domestiche alle selvagge.
Ed io mi sono sforzato indarno di scoprire sopra quali fatti perentorii riposasse
questa proposizione tanto spesso e tanto arditamente rinnovata. Sarebbe molto
difficile provarne la verità: noi possiamo bensì affermare con
piena sicurezza che molte delle nostre più distinte razze domestiche
non potrebbero vivere allo stato selvaggio. In molti casi non conosciamo quale
ne sia stato il tipo originale, e perciò non sapremmo decidere se abbia
avuto luogo o meno una riversione perfetta. In ogni modo, per prevenire le conseguenze
degli incrociamenti, dovrebbesi lasciare in libertà naturale una sola
varietà nel suo novello domicilio. Ciò non ostante, siccome le
nostre varietà ritornano certamente in alcune occasioni ai caratteri
dei loro antenati, non mi sembra improbabile che riuscendo noi a naturalizzare
o coltivare per molte generazioni, per esempio, le diverse sorta di cavolo in
un terreno assai povero, le medesime tornerebbero, fino ad un certo punto od
anche completamente, al tipo selvaggio originale; ma allora sarebbe pur d'uopo
attribuire qualche effetto all'azione diretta del suolo. Del resto, riesca o
no l'esperienza, ciò non tornerebbe di grande rilievo per la nostra argomentazione,
dal momento che per fatto dell'esperienza stessa le condizioni d'esistenza sarebbero
mutate. Se potesse provarsi che le nostre varietà domestiche hanno una
forte tendenza di riversione, cioè tendenza di perdere i loro caratteri
acquistati, anche quando rimangono sottoposte alle medesime influenze, mentre
sono conservate in gran numero, e gli incrociamenti possono arrestare, colla
mescolanza delle varietà, qualunque leggera variazione di struttura:
allora io ammetterei che noi non possiamo trarre induzione alcuna dalle nostre
varietà domestiche alle specie nello stato naturale. Ora manca perfino
l'ombra di una prova in appoggio di tale ipotesi. Sarebbe cosa contraria ad
ogni esperienza l'asserire che non sia in nostro potere il perpetuare i nostri
cavalli da tiro o da sella, il nostro bestiame a lunghe corna o a corna corte,
i nostri volatili d'ogni specie e le nostre piante alimentari, per un numero
quasi infinito di generazioni.
CARATTERI DELLE VARIETÀ DOMESTICHE
DIFFICOLTÀ DI DISTINGUERE LE VARIETÀ DALLE SPECIE
ORIGINE DELLE VARIETÀ DOMESTICHE DA UNA O PIÙ SPECIE
Se noi esaminiamo le varietà ereditarie o le razze dei
nostri animali domestici e delle piante coltivate, e le confrontiamo con specie
fra loro assai affini, noi troviamo, come dicemmo, in ogni razza domestica una
minore uniformità di carattere che nelle vere specie. Alcune razze domestiche
della stessa specie hanno spesso un aspetto in qualche modo mostruoso; vale
a dire, esse, differenziando fra loro e dalle altre specie del medesimo genere
nella loro organizzazione generale, presentano frequentemente delle disparità
estreme in un solo organo, sia che insieme si confrontino, sia che si paragonino
alle specie selvagge di maggiore affinità naturale. Ove da noi si eccettui
questo punto di vista, e così quello della perfetta fecondità
delle varietà incrociate, argomento che discuteremo altrove, le razze
domestiche della medesima specie differiscono fra loro nella stessa guisa, ma
generalmente in grado minore, delle specie prossime o più affini appartenenti
allo stesso genere nello stato naturale. Questa regola diviene evidente quando
si rifletta non esservi razze domestiche, o fra gli animali o fra le piante,
che non siano state considerate da giudici competenti come discendenti da altrettante
specie originali distinte, e da altri non meno capaci, come semplici varietà.
Quando esistesse qualche netta separazione fra le razze domestiche e le specie,
questa sorgente di dubbi non si incontrerebbe tanto spesso. Si è ripetuto
assai che le razze domestiche non differiscono fra loro per caratteri generici.
Ma si può dimostrare che questa asserzione è erronea; inoltre
i naturalisti sono interamente discordi rispetto alla determinazione dei caratteri
generici, ed ogni apprezzamento su questo punto è oggi puramente empirico.
Inoltre vedremo, secondo la teoria dell'origine delle specie da noi esposta,
che noi non possiamo sperare di abbatterci troppo sovente in differenze generiche
delle nostre produzioni domestiche.
D'altronde, quando si cerca di pesare il valore delle differenze di struttura
che distinguono le nostre razze domestiche di una medesima specie, ci perdiamo
tosto nel dubbio se siano provenute da una sola o da parecchie madri-specie.
Questo problema, ove potesse risolversi, presenterebbe il massimo interesse.
Se, per esempio, potesse provarsi che il levriere, il bracco, il bassotto, lo
spagnuolo e l'alano, le razze dei quali si propagano tanto pure, sono i discendenti
di una specie unica; simili fatti avrebbero molto peso per farci dubitare della
immutabilità di moltissime specie selvagge strettamente affini, come,
ad esempio, delle numerose razze di volpi che abitano in diversi punti del globo.
Non credo, e in breve ne vedremo la ragione, che tutte le differenze constatate
fra le varie razze de' nostri cani siano state prodotte allo stato di domesticità;
al contrario ritengo che una parte di queste differenze sia dovuta alla provenienza
delle nostre razze canine da specie distinte. Rispetto poi ad altri animali
domestici abbiamo delle presunzioni od una grande evidenza per opinare che tutte
le varietà da noi possedute derivino da un solo tipo selvaggio.
Di sovente si è supposto che l'uomo abbia scelto da addomesticare animali
e piante dotate d'una tendenza innata e straordinariamente forte di variare,
come pure di sostenere climi assai diversi. Non negherò che queste due
facoltà non abbiano accresciuto grandemente il valore delle nostre produzioni
domestiche; ma un selvaggio, nell'addomesticare per la prima volta un animale,
come avrebbe potuto sapere che la sua razza avrebbe variato nel corso delle
generazioni e sarebbe stata capace di sopportare altri climi? La poca variabilità
dell'asino e della gallina faraona, la ristretta facoltà della renna
di resistere al calore, e del cammello di abituarsi al freddo, hanno forse impedito
la loro domesticità? Io non posso dubitare che se altri animali od altre
piante di numero eguale a quello delle nostre produzioni domestiche ed appartenenti
pure a diverse classi e a paesi diversi, fossero presi allo stato di natura,
e si riproducessero poi allo stato domestico per altrettante generazioni, esse
non variassero tanto, quanto variarono le madri-specie delle attuali nostre
produzioni domestiche.
Riguardo a molte delle nostre piante e dei nostri animali da tempo antichissimo
in domesticità, è impossibile decidere definitivamente, se derivino
da una sola o da parecchie specie selvaggie. Quelli che sostengono l'origine
multipla delle nostre razze domestiche s'appoggiano principalmente al fatto,
che già negli antichissimi tempi, nei monumenti egiziani e nelle palafitte
della Svizzera può osservarsi una grande varietà di animali domestici;
e che alcune di queste razze antiche somigliano assai alle attuali, o sono con
esse identiche. Ma ciò altro non prova se non che la civilizzazione risale
a tempi più antichi che non si creda, e che gli animali furono ridotti
alla domesticità in tempi remotissimi. Gli abitatori delle palafitte
svizzere coltivavano parecchie qualità di frumento e di orzo, la lente,
il papavero per ricavarne l'olio e la canapa, e possedevano diversi animali
domestici; essi stavano anche in relazione con altri popoli. Come Heer ha osservato,
ciò dimostra chiaramente che in quel tempo remoto essi avevano fatto
grandi progressi nella coltura; e ne segue, essere preceduto un lungo periodo
di civiltà meno progredita, durante il quale le specie tenute in domesticità
da parecchie tribù e in diversi distretti possono aver subìto
delle variazioni e prodotto razze distinte. Dopo la scoperta degli arnesi di
piromaca negli strati superiori terrestri in parecchie parti del mondo, tutti
i geologi sono convinti che in un tempo remotissimo sieno esistiti degli uomini
selvaggi in uno stato di completa barbarie; mentre oggidì forse non si
rinviene una sola tribù tanto incolta da non possedere almeno il cane
allo stato di domesticità.
L'origine della maggior parte delle nostre specie domestiche rimarrà
forse dubbia per sempre. Ma io posso osservare che rispetto al cane, dopo una
laboriosa raccolta di tutti i fatti noti in ogni parte del mondo, io giunsi
alla conclusione che molte specie di cani selvaggi furono domate: e che il loro
sangue, più o meno frammisto, scorre nelle vene delle tante nostre razze
domestiche. Quanto ai montoni e alle capre io non posso formarmi una decisa
opinione. Dietro i fatti che mi furono comunicati dal signor Blyth sulle abitudini,
sulla voce, sulla costituzione, ecc., dello zebu dell'India, è probabile
che egli scenda da un tipo originale diverso da quello de' nostri buoi d'Europa;
e parecchi giudici competenti credono che anche i nostri provengano da due o
tre progenitori selvaggi, vogliansi riferire a specie o razze diverse. Quanto
ai cavalli, per ragioni che sarebbe troppo lungo l'enumerare qui, io inclino
a credere, con qualche riserva e all'opposto di quanto pensano diversi autori,
che tutte le nostre razze domestiche discendano da un medesimo stipite naturale.
Dopo aver coltivato ed incrociato pressochè tutte le razze inglesi di
polli, e dopo l'esame de' loro scheletri, sono giunto alla convinzione ch'esse
discendono tutte dal gallo indiano selvaggio (Gallus bankiva); ed a tale conclusione
sono giunti anche il sig. Blyth ed altri che hanno studiato questo uccello nell'India.
Riguardo alle anitre e ai conigli, le razze dei quali diversificano assai fra
loro, i fatti non ci predispongono a credere che discendano tutte dall'anitra
selvatica comune e dal coniglio.
La dottrina della moltiplicità d'origine delle nostre razze domestiche
fu spinta ad un assurdo estremo da alcuni naturalisti. Essi ammettono che ogni
razza che si riproduce pura, per quanto lievi siano i caratteri distintivi,
abbia avuto il suo prototipo selvaggio. Per conseguenza, nella sola Europa avrebbero
esistito moltissime specie di buoi selvaggi, altrettante specie di montoni,
molte sorta di capre. Ne sarebbero vissuti molti anche solo nei limiti della
Gran Bretagna; un autore ha detto che questo paese diede ricetto ad undici specie
di montoni selvaggi che gli erano propri. Quando noi ricordiamo che l'Inghilterra
oggi possiede appena un mammifero speciale, che la Francia ne ha pochi differenti
da quelli della Germania e viceversa, che ciò avviene anche in Ungheria,
in Ispagna, ecc.; ma che in compenso ciascuno di questi Stati ha parecchie razze
particolari di buoi, di pecore, ecc., dovremo stabilire che molte razze domestiche
si sono prodotte in Europa. Infatti, d'onde potremmo noi ritenerle partite,
quando le diverse contrade in essa contenute non posseggono un numero uguale
di specie selvagge particolari che possano considerarsi come i loro tipi originali?
Dicasi altrettanto dell'India orientale. Anche riguardo ai cani domestici del
mondo intero, che io giudico derivati da parecchie specie selvagge, non potrebbe
dubitarsi che non abbiano subìto una immensa congerie di variazioni ereditarie.
Chi crederebbe mai che animali somigliantissimi al levriere italiano, al bracco,
al bull-dog, al piccolo alano, o al cane da caccia Bleinheim, tutti diversi
dai canidi selvaggi, abbiano esistito allo stato naturale? Spesso si è
asserito che tutte le nostre razze di cani siano state prodotte dall'incrociamento
di alcune poche specie originali; ma coll'incrociamento non possono ottenersi
che forme intermedie a quelle dei parenti; e se noi ricorriamo a questo processo
per spiegare l'origine delle nostre razze domestiche, allora bisogna ammettere
l'esistenza precedente delle forme estreme, cioè del levriere italiano,
del bracco, del bull-dog, ecc., allo stato selvaggio. Inoltre la possibilità
di produrre razze distinte per mezzo degl'incrociamenti fu molto esagerata.
È fuor di dubbio che una razza può essere modificata per incrociamenti
occasionali, se si ha cura della scelta precisa di quei discendenti incrociati
che offrono il carattere voluto. Ma io stento a credere che possa aversi una
razza quasi intermedia fra altre due molto diverse. J. Sebright fece delle esperienze
espressamente a questo scopo, ma non potè riuscire. I prodotti del primo
incrociamento fra due razze pure sono abbastanza e qualche volta straordinariamente
uniformi, come notai nei colombi. Ma quando tali prodotti sono incrociati gli
uni cogli altri per molte generazioni, di rado rinvengonsi due soggetti che
siano simili; ed è allora che si palesa l'estrema difficoltà o
meglio la perfetta inattendibilità dell'impresa.
DELLE RAZZE DEI COLOMBI DOMESTICI
LORO DIFFERENZE ED ORIGINE
Pensando che sia opportuno scegliere un gruppo speciale di
animali per farne oggetto di studio, ho preso a considerare i colombi domestici.
Io ho conservato tutte le razze che potei procurarmi e ricevei nel modo più
obbligante degli esemplari da diverse parti del mondo e specialmente dall'India
orientale col mezzo dell'onorevole W. Elliot, e dalla Persia per opera dell'onorevole
C. Murray. Molti trattati sono stati pubblicati in diverse lingue sui colombi,
alcuni dei quali sono di molto pregio per la loro antichità. Io mi sono
associato coi più celebri amatori di colombi e mi sono fatto iscrivere
a due Società per l'allevamento dei colombi in Londra. La diversità
delle razze è veramente meravigliosa. Si paragoni il colombo messaggero
inglese col colombo giratore a faccia corta, e si vedranno le sorprendenti differenze
nel loro becco, che accompagnano corrispondenti differenze nel loro cranio.
Il messaggero inglese, e soprattutto il maschio, è notevole per lo sviluppo
della caruncola della cute del capo, per le palpebre molto allungate, le narici
assai larghe e l'ampio squarcio della bocca. Il colombo giratore a faccia corta
ha un becco di forma quasi simile a quello del fringuello; e il giratore comune
ha la singolare ed ereditaria abitudine di volare a grandi altezze in stormi
compatti, per poi ridiscendere a capitombolo. Il colombo romano è di
grandi dimensioni, con becco lungo e grosso, e piedi grandi; alcune delle sotto-varietà
hanno un collo lunghissimo, altre hanno lunghe ali e coda lunga, altre una coda
estremamente corta. Il barbo è affine al messaggere, ma il suo becco,
invece d'essere lungo, è all'opposto molto corto e largo. Il colombo
gozzuto ha il corpo, le ali e la coda allungati, egli ama gonfiare il suo enorme
gozzo in un modo meraviglioso ed anche ridicolo. Il colombo turbito ha un becco
corto e conico, una serie di piume arruffate lungo lo sterno e l'abitudine di
gonfiare la parte superiore dell'esofago. Il colombo incappucciato ha le piume
nucali tanto ritte, che gli formano una specie di cappuccio, e le penne delle
ali e della coda relativamente molto lunghe. Il colombo trombettiere e il colombo
ridente, come viene indicato dai loro nomi, fanno sentire un tubare diversissimo
da quello delle altre razze. Il colombo pavone ha trenta ed anche quaranta penne
alla coda in luogo delle dodici o quattordici normali; e queste penne stanno
tanto spiegate e ritte, che nelle buone razze la testa e la coda si toccano;
la ghiandola oleifera è rudimentale. Potrebbero citarsi altre razze meno
distinte.
Negli scheletri delle diverse razze lo sviluppo delle ossa della faccia in lunghezza,
larghezza e curvatura differisce enormemente. La forma, la lunghezza e la larghezza
del ramo della mascella inferiore varia in un modo notevolissimo. Il numero
delle vertebre caudali e sacrali e delle coste, come la relativa larghezza e
la presenza dei processi variano pure assai. La larghezza e la forma delle aperture
dello sterno sono grandemente variabili, come l'angolo e la lunghezza dei due
rami della forchetta. La larghezza proporzionale dello squarcio della bocca,
la lunghezza relativa delle palpebre, delle narici e della lingua, che non è
sempre in esatta correlazione colla lunghezza del becco; lo sviluppo del gozzo,
o della parte superiore dell'esofago; lo sviluppo o lo stato rudimentale della
glandola oleifera, il numero delle penne remiganti e rettrici, la lunghezza
relativa delle ali e della coda, sia fra loro, sia in relazione al corpo; la
lunghezza relativa del tarso del piede e il numero delle squame delle dita;
lo sviluppo della membrana fra queste ultime, sono tutte parti variabili nella
struttura generale. L'epoca in cui le penne raggiungono la loro perfezione varia
pure, come la peluria di cui sono rivestiti i piccoli sbucciati dall'uovo. La
forma e la grandezza delle uova è pure variabile. Il volo e in alcune
razze la voce e l'indole presentano rimarchevoli differenze. Finalmente in certe
varietà i maschi differiscono qualche poco dalle femmine.
Si potrebbe in questo modo addurre una lunga serie di colombi diversi, che un
ornitologo, se li credesse uccelli selvaggi, li riguarderebbe come altrettante
specie ben distinte. Un ornitologo certamente non vorrebbe porre il messaggero
inglese, il giratore a faccia corta, il colombo romano, il barbo, il gozzuto,
il colombo pavone nello stesso genere: tanto più che gli si potrebbero
mostrare in tutte queste razze parecchie sotto-varietà di discendenza
pura, cioè di specie, come egli senza dubbio le chiamerebbe.
Benchè le differenze fra le razze dei colombi siano grandi, io tengo
pienamente l'opinione comune dei naturalisti che reputano siano tutti discesi
dal colombo torraiuolo (Columba Livia); comprendendo sotto questo nome parecchie
razze geografiche o sotto-specie, le quali non differiscono le une dalle altre
che nei rapporti più insignificanti. Siccome parecchie delle ragioni
che mi hanno condotto a quest'opinione sono in qualche parte applicabili ad
altri casi, io le esporrò brevemente.
Se le diverse razze dei nostri colombi non sono varietà e non derivano
dal colombo torraiuolo, è mestieri che discendano almeno da sette od
otto tipi originali; perchè sarebbe impossibile riprodurre le razze domestiche
oggi esistenti coll'incrociamento di un numero minore di tipi. Ad esempio, come
potrebbe ottenersi il colombo gozzuto dall'incrociamento di due specie, quando
almeno una di esse non fosse fornita dell'enorme gozzo caratteristico? I tipi
originali supposti debbono essere stati tutti colombi torraiuoli, che non si
arrestavano nè annidavano volontariamente sugli alberi. Ma, oltre la
Columba Livia e le sue sotto-specie geografiche, si conoscono soltanto due o
tre altre specie di piccioni torraiuoli, le quali non presentano alcuno dei
caratteri delle nostre razze domestiche. Sarebbe dunque necessario, o che le
specie originali supposte esistessero ancora nei paesi in cui furono dapprima
addomesticate e che siano tuttavia ignote agli ornitologi (cosa improbabile
se si considera la loro grandezza, le loro abitudini e il loro carattere notevole),
ovvero che tali specie fossero estinte allo stato selvaggio. Ma non possono
tanto facilmente esterminarsi uccelli che fabbricano i loro nidi sulle rupi
e che sono buoni volatori; e il piccione torraiuolo comune, che ha le stesse
abitudini delle razze domestiche, non fu distrutto nemmeno sopra parecchie delle
più piccole isolette britanniche o sulle coste del Mediterraneo. L'ipotesi
della distruzione di tante specie aventi abitudini consimili a quelle del colombo
torraiuolo, mi sembra quindi una ipotesi molto avventata. Di più, le
razze domestiche tanto diverse, già citate, furono trasportate in tutte
le parti del mondo; alcune debbono dunque essere ritornate nel loro paese nativo;
pure niuna di esse è mai ridivenuta selvaggia, quantunque il piccione
da colombaia, che non è altro se non il colombo torraiuolo appena alterato,
si sia naturalizzato in alcuni luoghi. Tutte le più recenti esperienze
provano quanto sia difficile ottenere la riproduzione regolare degli animali
selvaggi ridotti allo stato di domesticità; però, secondo l'ipotesi
delle origini multiple de' nostri colombi, sarebbe d'uopo ammettere che almeno
sette od otto specie fossero tanto completamente addomesticate, nei tempi antichi
e da uomini semi-civili, da divenire perfettamente feconde allo stato di reclusione.
Un altro argomento, che mi sembra di gran valore e suscettibile di estesa applicazione,
è che le razze sopra citate, benchè generalmente siano molto affini
al piccione torraiuolo nella loro costituzione, nelle loro abitudini, nella
loro voce, nel loro colore e in molte parti della struttura del corpo, tuttavia
sono assai differenti in altre parti di questa. Si cercherebbe indarno in tutta
la famiglia dei colombidi un becco simile a quello del messaggero inglese, del
giratore a faccia corta e del barbo; penne arruffate come quelle del giacobino;
un gozzo uguale a quello del piccione gozzuto; delle penne caudali paragonabili
a quelle del colombo pavone. Dovrebbe dunque conchiudersi, non solo che uomini
semi-civili riuscirono ad addomesticare completamente parecchie specie: ma che,
con una determinata intenzione o per caso, essi scelsero a quest'uopo specie
grandemente anormali; inoltre si dovrebbe anche ammettere che tutte queste specie
sieno estinte dappoi o rimaste ignote. Ora un tale concorso di circostanze stravaganti
presenta il più alto grado d'improbabilità.
Alcuni fatti concernenti il colore dei colombi meritano di essere presi in considerazione.
Il piccione torraiuolo è di colore bleu-ardesia, col groppone bianco
(le sotto-specie indiane, fra le altre la colomba intermedia di Strickland,
l'hanno turchiniccio); la coda ha una fascia nera terminale, con margine esterno
bianco nelle penne esterne. Le ali hanno due fascie nere; ed alcune razze semi-domestiche,
come alcune altre che sembrano razze pure selvagge, hanno inoltre le ali macchiate
in nero. Tutti questi diversi caratteri non trovansi mai riuniti in qualsiasi
altra specie della famiglia; ma in ognuna delle nostre razze domestiche e perfino
in uccelli perfettamente sviluppati trovansi talvolta tutti questi caratteri
riuniti ed evidenti, non eccettuato l'orlo bianco delle penne caudali esterne.
Inoltre, quando si incrociano uccelli appartenenti a due o più razze
distinte, e che nessuno di essi è turchino, ovvero non porta alcuna delle
predette particolarità, tuttavia i bastardi così ottenuti si mostrano
dispostissimi ad acquistarle rapidamente. Ad esempio, io ho incrociato alcuni
colombi-pavoni affatto bianchi e di razza purissima con alcuni barbi uniformemente
neri, dei quali io non vidi mai in Inghilterra alcuna varietà turchina;
i bastardi che ottenni erano bruni, neri e macchiati. Incrociai anche un barbo
con un colombo (Spot) macchiato, uccello bianco con coda rossa e una macchia
rossa alla sommità del capo, notoriamente di razza assai costante: i
bastardi furono di colore cupo macchiato. Allora incrociai uno dei bastardi
barbo-pavone con un bastardo barbo-spot e mi diedero un colombo di un bel turchino
col groppone bianco, con doppia fascia nera sulle ali, con fascia nera sulla
coda e colle rettrici orlate di bianco come nel torraiuolo selvaggio. Se tutte
le razze dei colombi domestici derivano dal colombo torraiuolo, questi fatti
si spiegano col noto principio della riversione ai caratteri degli avi (principio
del quale per verità ho sempre veduta l'azione circoscritta nei limiti
del solo colore). Ove ciò si neghi, bisogna fare una delle due ipotesi
seguenti poco probabili. O tutti i vari tipi originali erano colorati e macchiati
come il piccione torraiuolo, mentre niun'altra specie esistente presenta gli
stessi caratteri, di modo che in ogni razza vi abbia una tendenza a ritornare
a questo colore e a questi segni; ovvero conviene che ogni razza, anche la più
pura, abbia nell'intervallo di dodici o al più di venti generazioni subìto
un incrociamento col piccione torraiuolo; e dico al più di venti generazioni,
perchè non vi è un solo fatto in conferma dell'opinione che un
discendente, dopo una più lunga serie di generazioni, sia ritornato ai
caratteri dei suoi avi. In una razza incrociata una sola volta con una razza
diversa, la tendenza di riversione a un carattere di questa diviene sempre minore,
in ragione della quantità sempre descrescente del sangue della medesima
che rimane in ogni generazione successiva. Ma all'opposto, quando non si abbia
alcun incrociamento con una razza differente, e che ciò non pertanto
si manifesti nei due progenitori una tendenza a ricuperare un carattere perduto
per un certo numero di generazioni, questa tendenza, per quanto si voglia opporre,
si può trasmettere senza indebolimento per un numero indeterminato di
generazioni. Questi due casi distintissimi sono spesso confusi da quelli che
hanno scritto sull'ereditabilità.
Da ultimo gli ibridi o i meticci provenienti dall'incrociamento delle varie
razze dei piccioni sono perfettamente fecondi; io posso attestarlo per le mie
osservazioni fatte a tale scopo sulle razze più diverse. Al contrario
è difficile e forse impossibile trovare un esempio di ibridi provenienti
da due animali evidentemente differenti e nondimeno perfettamente fecondi. Alcuni
autori suppongono che una lunga domesticità elimini questa forte tendenza
alla sterilità; dalla storia dei cani sembrerebbe che vi fosse qualche
verità in questa ipotesi, principalmente se non venisse applicata che
a specie strettamente affini, benchè finora non esista alcuna esperienza
in appoggio. Ma parmi esagerato lo estendere tale ipotesi al punto di sostenere
che specie originariamente tanto distinte, come i messaggeri, i giratori, i
gozzuti, i colombi pavoni, possano generare ibridi fecondi fra loro.
Riassumendo: l'improbabilità che l'uomo abbia spinto nello stato di domesticità
7 - 8 supposte specie di colombi a riprodursi volontariamente, specie che noi
non conosciamo affatto allo stato selvaggio, nè in alcun luogo ridivennero
tali: i molti caratteri anormali per certi riguardi in confronto di tutti gli
altri colombidi, quantunque per molti altri rapporti somiglianti al colombo
torraiuolo; il frequente ritorno del colore turchino e delle diverse macchie
nere in tutte le razze, siano pure, siano incrociate; la perfetta fecondità
degli ibridi: tutte queste diverse ragioni ci spingono a concludere con sicurezza
che tutte le nostre razze domestiche discendono dalla Columba livia e dalle
sue sotto-specie geografiche.
In appoggio a quest'opinione posso aggiungere ancora alcuni argomenti. Primieramente
il piccione torraiuolo, o Columba livia, fu trovato nell'Europa e nell'India
facile da addomesticare, e vi ha una grande analogia fra le sue abitudini e
le diverse parti della sua organizzazione con quelle di tutte le nostre razze
domestiche. Secondariamente, sebbene un messaggero inglese, o un giratore a
faccia corta differiscano immensamente per certi rapporti dal piccione torraiuolo,
pure, se si confrontano le varie sotto-razze di queste varietà e segnatamente
quelle che furono importate da regioni lontane, possono ricostituirsi serie
non interrotte tra le forme estreme. In terzo luogo i principali caratteri distintivi
delle diverse razze, come le verruche e il becco lungo del messaggere, il becco
corto del giratore, e le numerose penne caudali del colombo pavone sono grandemente
variabili, e la spiegazione evidente di questo fatto ci sarà data da
quanto diremo più avanti riguardo all'azione naturale. In quarto luogo
i colombi sono stati osservati e coltivati con molta cura e trasporto da molti
popoli: essi sono domestici da migliaia d'anni in diverse parti del globo; la
più antica menzione che ne troviamo nella storia risale alla quinta dinastia
egiziana, cioè circa 3000 anni prima dell'êra nostra, secondo il
prof. Lepsius; ma io seppi dal Birch che in una nota di cucina della dinastia
precedente i colombi sono ricordati. Rileviamo da Plinio che al tempo dei Romani
si dava un prezzo esorbitante a questi animali. "Essi sono giunti al punto
di poter render conto della loro genealogia e della loro razza". Verso
l'anno 1600, nell'India, Akber Khan era tale dilettante di colombi, che alla
sua Corte se ne tenevano non meno di ventimila. "I monarchi dell'Iran e
del Touran gli inviarono alcuni uccelli rarissimi". E il cronista reale
aggiunge che "Sua Maestà, incrociando le razze, metodo non ancora
praticato prima, le migliorò mirabilmente". A quell'epoca anche
gli Olandesi si mostravano appassionati pei colombi, come gli antichi Romani.
L'importanza di codeste considerazioni, per render conto dell'enorme somma di
variazioni subìte dai colombi, apparirà manifestamente quando
tratteremo dell'elezione naturale. Allora vedremo anche il perchè certe
razze abbiano un carattere in qualche modo mostruoso. È poi una circostanza
delle più favorevoli per la produzione di razze distinte che, nei colombi,
un maschio possa facilmente appaiarsi colla medesima femmina durante tutta la
loro vita, e che le diverse razze possano essere racchiuse insieme nella stessa
colombaia.
Io ho discusso con qualche diffusione l'origine probabile de' nostri piccioni
domestici, benchè in un modo ancora insufficiente; perchè fino
dai primi giorni in cui io li riunivo per osservarli, vedendo con quale costanza
le varie razze si riproducevano, provai molta ripugnanza a credere che discendessero
tutte da una medesima specie-madre, quanta potrebbe risentirne qualunque naturalista
che dovesse ammettere la stessa conclusione rispetto alle molte specie dell'ordine
dei passeri o di qualsiasi altro gruppo naturale di uccelli selvaggi. Una cosa
mi ha vivamente colpito, ed è che tutti gli allevatori di animali domestici
e quasi tutti gli orticultori coi quali ho parlato o di cui lessi i trattati,
sono fermamente convinti che le diverse razze, da essi allevate particolarmente,
discendano da altrettante specie originali distinte. Domandate a un celebre
allevatore di buoi d'Hereford, come ho fatto io, se il suo bestiame possa provenire
da una razza a corna lunghe; egli vi deriderà. Non mi sono mai incontrato
con un amatore di colombi, di polli, di anitre o di conigli che non fosse persuaso
della discendenza di ogni razza principale da una specie distinta. Van Mons,
nel suo trattato sui pomi e sui peri, si oppone apertamente all'opinione che
un Ribston-pippin o un pomo Codlin possano procedere da semi del medesimo albero.
Si potrebbero citare altri innumerevoli esempi analoghi. La spiegazione di questi
fatti mi pare semplice. Tutti gli allevatori traggono dalle loro costanti osservazioni
un sentimento profondo delle differenze che caratterizzano le razze; e benchè
sappiano che ogni razza varia leggermente, non guadagnando essi alcun premio
nei concorsi se non per mezzo di queste piccole differenze scelte con accuratezza,
tuttavia essi evitano le generalità e non sanno valutare col loro spirito
la somma delle leggiere differenze accumulate durante un lungo periodo di generazioni
succedentisi. Come dunque i naturalisti (che ne sanno assai meno degli allevatori
sulle leggi dell'eredità e che non conoscono meglio i legami intermedi
che connettono fra loro delle lunghe serie genealogiche) ammetterebbero che
molte delle nostre razze domestiche discendano da uno stesso tipo? come non
debbono essi aspettarsi una lezione di prudenza, quando deridono l'idea che
le specie allo stato di natura sieno la posterità diretta di altre specie?
PRINCIPIO DI ELEZIONE, APPLICATO DA LUNGO TEMPO,
E SUOI EFFETTI
Consideriamo ora brevemente per quali mezzi le nostre razze
domestiche furono prodotte, sia che esse derivino da una sola specie, sia che
esse derivino da parecchie specie affini.
Si può attribuire una piccola parte dell'effetto all'azione diretta delle
condizioni della vita, come pure alle abitudini; ma sarebbe stoltezza il ritenere
che da tali cause fossero prodotte le differenze del cavallo da tiro e di quello
da corsa, del levriere e del bracco, del colombo messaggere e del colombo giratore.
Una delle proprietà più segnalate delle nostre razze domestiche
è il loro adattamento, che non è propriamente utile all'animale
o alla pianta, ma bensì secondo il vantaggio e il capriccio dell'uomo.
Alcune variazioni che loro sono favorevoli possono certamente essersi prodotte
improvvisamente, in una sola volta; parecchi botanici, ad esempio, pensano che
il cardo dei follatori coi suoi uncini, che non può essere superato da
alcun congegno meccanico, sia soltanto una varietà del Dipsacus selvaggio;
e questa trasformazione può essere avvenuta in una sola pianta giovane.
Altrettanto può ritenersi del cane che in Inghilterra è adoperato
per muovere il girarrosto, e sappiamo che questo è il caso della pecora
d'Ancon americana. Ma se si confrontino il cavallo da tiro col cavallo da corsa,
il dromedario col cammello, le varie razze di pecore adattate alle pianure coltivate
o ai pascoli di montagna, con lana propria a diversi usi; se confrontiamo le
molte specie di cani, ciascuna delle quali è utile all'uomo in vario
modo; se si paragoni il gallo combattente, così ostinato nella zuffa,
con altre specie tanto pacifiche e pigre, che fanno continuamente uova senza
mai covare, o col gallo Bantham tanto piccolo ed elegante; se finalmente si
confrontino le piante de' nostri campi e dei giardini, gli alberi fruttiferi
e le piante alimentari utili all'uomo nelle varie stagioni e per usi diversi,
o solo gradevoli all'occhio, è pur mestieri ravvisarvi qualche cosa di
più di un semplice effetto della variabilità. Noi non potremmo
supporre che tutte queste varietà sieno state repentinamente prodotte,
con tutta la loro perfezione e l'utilità che ne ricaviamo; e realmente
in molti casi sappiamo dalla loro storia, che la cosa è ben diversa.
La chiave di questo problema è il potere elettivo d'accumulazione che
l'uomo possiede. La natura somministra gradatamente diverse variazioni; l'uomo
le aumenta in una determinata direzione per proprio vantaggio o per capriccio;
in tal riflesso può dirsi ch'egli si forma a proprio profitto delle razze
domestiche.
Il grande valore del principio d'elezione non è dunque ipotetico. È
certo che molti de' nostri celebri allevatori hanno, nel corso della sola vita
d'un uomo, modificato sopra estesi limiti alcune razze di buoi e di pecore.
Per stimare convenientemente ciò, che essi poterono fare, è quasi
indispensabile leggere alcuni dei numerosi trattati speciali scritti sull'argomento
e vedere i loro stessi prodotti. Gli allevatori parlano abitualmente dell'organismo
di un animale come di una cosa plastica, che possono modellare quasi come più
loro talenta. Se lo spazio non mi mancasse, potrei citare molti testi tratti
da autorità sommamente competenti. Youatt, cui sono tanto familiari i
lavori degli orticultori e che è pure un giudice esimio in fatto di animali,
ammette che il principio d'elezione dà all'agricoltore non solo la facoltà
di modificare il carattere del suo gregge, ma di trasformarlo per intero. È
la bacchetta magica, colla quale egli chiama alla vita quella forma che gli
piace. Lord Somervihe, scrivendo intorno a ciò che gli allevatori fecero
rispetto alle razze delle pecore, dice: "sembrerebbe che essi avessero
dipinto sulla parete una forma perfetta e che poi l'avessero animata".
In Sassonia l'importanza del principio d'elezione riguardo alle pecore merinos
è tanto riconosciuta, che certi individui ne fanno un mestiere. Tre volte
l'anno ogni montone è steso sopra una tavola per studiarlo, come farebbe
un intelligente per un quadro; ogni volta è segnato e classificato; e
soltanto i soggetti più perfetti vengono scelti per la riproduzione.
Gli, enormi prezzi assegnati agli animali che offrono una buona genealogia provan
pure quanto si sia ottenuto dagli allevatori inglesi in questo senso; i loro
prodotti sono oggi esportati in quasi tutti i paesi del mondo. Generalmente
il miglioramento della razze non è dovuto punto al loro incrociamento,
e tutti i migliori allevatori sono assai contrari a questo sistema, eccettuato
l'incrociamento fra alcune poche sotto-razze strettamente affini. Quando un
tale incrociamento fu operato, l'elezione la più severa è molto
più necessaria che nei casi ordinari. Se l'elezione consistesse soltanto
nel separare qualche varietà ben spiccata per farla riprodurre, il principio
sarebbe di tale evidenza che tornerebbe inutile discuterlo. Ma la sua importanza
consiste principalmente nel grande effetto prodotto dall'accumulazione in una
direzione determinata e per un gran numero di generazioni successive, di differenze
assolutamente inapprezzabili ad occhi inesperti, differenze che io stesso ho
tentato indarno di scoprire. A stento un uomo su mille possiede la sicurezza
del colpo d'occhio e del giudizio necessario per divenire un abile allevatore.
Ma colui che, dotato di queste facoltà, studia lungamente l'arte sua
e vi dedica tutta la sua vita con una perseveranza indomabile, può riuscire
a fare grandi miglioramenti. Pochi hanno una giusta idea della capacità
naturale e della lunga esperienza che sono necessarie per formare un abile allevatore
di colombi.
Gli orticultori seguono i medesimi principî, ma le variazioni sono qui
spesso più improvvise. Chi supporrebbe mai che molti dei nostri prodotti
più delicati derivano immediatamente, per mezzo di una semplice modificazione,
dal tipo naturale? Ma noi sappiamo altresì che ciò non avvenne
in altri casi, dei quali abbiamo esatte notizie storiche come può dirsi
del costante aumento di grossezza dell'uva spina. Puossi constatare ancora un
progresso meraviglioso nelle piante da fiori, se si raffrontino i fiori attuali
coi disegni fatti soltanto venti o trent'anni fa. Quando una razza vegetale
è bene sviluppata e stabilita, i coltivatori non raccolgono più
dalle vaneggie i migliori individui: ma svelgono quelli che più deviano
dal loro tipo. Rispetto agli animali si pratica pure questa specie di elezione;
giacchè non esiste alcuno così trascurato da permettere la produzione
dei soggetti più difettosi.
Havvi ancora un altro mezzo di osservare gli effetti accumulati dell'elezione
quanto alle piante: ed è nel confrontare nei giardini la diversità
grande dei fiori delle differenti varietà d'una medesima specie; la diversità
delle foglie, dei gusci, dei tuberi o più generalmente di tutte le parti
della pianta relativamente ai fiori delle stesse varietà; e nei frutteti,
la diversità di frutti della medesima specie in confronto alla uniformità
delle foglie e dei fiori di questi alberi stessi. Come infatti sono diverse
le foglie del cavolo, mentre i fiori sono tanto simili! Al contrario quanto
non diversificano i fiori della viola del pensiero, mentre le foglie sono rassomiglianti!
Quanto diversi sono i frutti delle varie qualità di uva spina nella grossezza,
nel colore, nella forma, nella villosità! frattanto i fiori non ne presentano
che differenze insignificanti. Nè può dirsi che le varietà
molto diverse in qualche punto non differiscano in alcun modo per altri rapporti;
al contrario ciò non avviene mai, come io posso asserire dietro minuziose
osservazioni. Le leggi della correlazione di sviluppo, delle quali non è
mai da dimenticare l'importanza, produrranno sempre alcune differenze; ma in
generale io sono certo che l'elezione costante di piccole variazioni nelle foglie,
nei fiori o nel frutto produce delle razze che differiscono fra loro specialmente
in questi organi.
Potrebbesi obbiettare che il principio d'elezione non divenne un metodo pratico
che or sono appena tre quarti di secolo. Per vero egli attirò maggiormente
l'attenzione in questi ultimi tempi ed assai più dopo la pubblicazione
di molti trattati sull'argomento; e il risultato ne fu anche proporzionatamente
rapido ed efficace. Ma d'altra parte è falso che il principio stesso
formi una nuova scoperta. Io potrei citare molte opere antichissime che provano
essersene da gran tempo riconosciuta l'importanza. Durante il periodo barbaro
della storia d'Inghilterra animali scelti furono spesso importati, e furono
emanate leggi per impedirne l'esportazione; si impose inoltre la distruzione
dei cavalli che non giungevano a una certa altezza, e tale misura può
ravvicinarsi a quella dell'estirpamento sopra mentovato di piante. Io ho trovato
il principio d'elezione in un'antica enciclopedia cinese. Alcuni autori latini
stabiliscono regole analoghe. Da alcuni passi della Genesi risulta manifestamente
che allora si poneva qualche attenzione al colore degli animali domestici. I
selvaggi incrociano anche al presente qualche volta le loro razze di cani con
canidi(1) selvaggi per migliorarle, come Plinio attesta che essi facevano anche
anticamente. I selvaggi dell'Africa meridionale aggiogano i loro buoi da tiro
secondo il colore, come fanno gli Esquimesi per i loro cani da tiro. Livingstone
riferisce che i Negri dell'interno dell'Africa, che non hanno relazioni sociali
di sorta cogli Europei, danno un valore considerevole alle buone razze d'animali
domestici. Alcuni di questi fatti non si attengono in modo esplicito al principio
d'elezione; ma dimostrano che l'allevamento degli animali fu oggetto di cure
particolari dai più remoti tempi e che anche al presente forma un soggetto
di attenzione pei popoli più selvaggi. Sarebbe strano che le leggi così
manifeste dell'eredità dei caratteri utili o nocevoli non si fossero
osservate.
ELEZIONE INCONSCIA
Attualmente abili allevatori cercano produrre una nuova discendenza
o sotto-razza, superiore a tutte quelle che esistono nel paese, per mezzo di
un'elezione metodica e con un determinato scopo: ma per noi una specie d'elezione
che può chiamarsi inconscia e che risulta dalla gara formatasi per possedere
e moltiplicare i migliori individui d'ogni specie è di un'importanza
molto maggiore. Così un uomo che desidera un buon cane da ferma cerca
di acquistarne possibilmente i migliori, e di ottenere dai migliori fra questi
una prole, senza avere l'intenzione o la speranza di variare in questo modo
permanentemente la razza. Tuttavia noi possiamo ritenere che questo processo
continuato pel corso dei secoli finirebbe per modificare e migliorare la razza,
non altrimenti di Bakewell, Collins, e tanti altri che collo stesso metodo,
impiegato sistematicamente, per la sola durata della loro vita, hanno modificato
grandemente le forme e le qualità del loro bestiame. I cambiamenti lenti
ed insensibili non potrebbero constatarsi, quando non si prendessero fin da
principio esatte misure o disegni correttissimi delle razze modificate, onde
valersene per termini di confronto. In alcuni casi, però, individui della
medesima razza, senza alcuna modificazione, od anche poco modificati, possono
trovarsi in quei luoghi in cui il miglioramento della razza primitiva non è
ancor progredito o solamente di poco. Vi sono motivi da pensare che il cane
spagnolo Re-Carlo è stato inavvertitamente eppure molto profondamente
modificato dall'epoca di questo monarca. Alcune autorità competentissime
sostengono che il cane da ferma è derivato direttamente dallo spagnolo
per lente variazioni. Sappiamo che il cane da ferma inglese ha variato assai
nel secolo passato, e che gli incrociamenti avvenuti col cane-volpe furono la
cagione precipua di questi cangiamenti. Ma ciò che più monta è
che tutte queste variazioni sono avvenute inavvertitamente e gradatamente: tuttavia
sono tanto pronunciate, che, quantunque l'antico cane da ferma venga certamente
dalla Spagna, il signor Borrow mi ha assicurato di non avere veduto in quel
paese un solo cane paragonabile al nostro cane da ferma.
In seguito a tale processo d'elezione e col mezzo di una educazione accurata,
la maggior parte dei cavalli da corsa inglesi sono giunti a superare in leggerezza
e statura i cavalli arabi da cui discendono: al punto che questi ultimi, dietro
i regolamenti delle corse di Goodwood, sono caricati d'un peso minore dei corridori
inglesi. Lord Spencer e tanti altri hanno dimostrato che il bestiame inglese
è aumentato nel peso e nella precocità in confronto degli antichi
prodotti del paese. Se si faccia un paragone fra i documenti antichi da noi
posseduti sui colombi messaggeri e giratori e lo stato attuale di queste razze
nelle Isole Britanniche, nell'India e nella Persia, possono seguirsi tutte le
fasi percorse successivamente da tali razze per giungere a differire siffattamente
dal colombo torraiuolo.
Youatt dà un esempio degli effetti ottenuti mediante elezioni continuate,
che possono essere chiamate inconscie, in quanto gli allevatori non potevano
aspettarsi o desiderare il risultato ottenuto: e cita due razze ben differenti.
Sono queste le due greggie di montoni di Leicester, che i signori Buckley e
Burgess da 50 anni a questa parte hanno allevato unicamente dallo stipite di
Bakewell. Niuno può supporre che il proprietario dell'uno o dell'altro
gregge abbia mai frammisto il puro sangue della razza Bakewell; nondimeno la
differenza fra i montoni del Buckley e quelli del Burgess è tanto marcata,
che hanno tutta l'apparenza di due razze distinte affatto.
Anche supposto che sianvi popoli selvaggi tanto barbari da non pensare a modificare
i caratteri ereditari dei loro animali domestici, tuttavia essi conserverebbero
con maggior cura, nelle carestie e negli altri flagelli, ai quali i selvaggi
sono tanto esposti, qualunque animale che fosse loro utile in particolare. Tali
animali così prescelti avrebbero generalmente maggiore probabilità
degli altri di lasciare una posterità; per modo che ne seguirebbe un'elezione
inconscia ma continua. Perfino i selvaggi della Terra del Fuoco attribuiscono
tanto valore ai loro animali domestici, che in tempo di carestia ammazzano e
divorano le loro vecchie donne, piuttosto che i loro cani, trovando questi più
utili di quelle.
Lo stesso graduato processo di perfezionamento ha luogo nelle piante, conservando
occasionalmente i migliori individui, sia che essi diversifichino abbastanza
per essere alla prima apparenza riguardati come distinte varietà, sia
che essi derivino da due o più razze o specie, con o senza incrociamento.
Il progresso manifestasi con evidenza nell'aumento delle dimensioni e nella
bellezza che oggi si osserva nella viola del pensiero, nella rosa, nel pelargonio,
nella dalia e in atri fiori, quando si confrontino colle più antiche
varietà delle medesime specie. Niuno potrebbe mai aspettarsi di ottenere
subito una viola del pensiero o una dalia dal seme di una pianta selvatica,
o di produrre improvvisamente una pera succosa col seme d'una pera selvatica;
benchè si potesse riuscirvi col mezzo di una semente cresciuta allo stato
selvatico ma proveniente da un frutto coltivato. La pera coltivata negli antichi
tempi, al dire di Plinio, pare sia stata un frutto di qualità molto inferiore.
Certe opere d'orticoltura si diffondono sulla meravigliosa abilità de'
giardinieri che ottennero sì magnifici risultati con materiali tanto
scarsi; pure nessuno ebbe la coscienza delle lente trasformazioni che egli contribuiva
ad operare. Tutta la loro arte consistette semplicemente nel seminare sempre
le migliori varietà note, e non appena sorgeva casualmente una varietà
alquanto superiore, la sceglievano per riprodurla. I giardinieri dell'epoca
classica che coltivarono le migliori pere che poterono procurarsi, non hanno
mai pensato agli stupendi frutti che noi un giorno avremmo mangiato; quantunque
noi li dobbiamo, in qualche parte, allo studio da essi impiegato per scegliere
e perpetuare le migliori varietà raccolte.
I grandi cambiamenti che si sono accumulati lentamente e inavvertitamente nelle
nostre piante coltivate, spiegano il fatto notissimo che nella massima parte
dei casi noi non conosciamo la pianta madre selvatica; e perciò non possiamo
asserire da quali piante derivino quelle che noi teniamo negli orti e nei giardini.
Se occorsero centinaia o migliaia d'anni per modificare e migliorare i nostri
vegetali domestici fino all'attuale loro grado di utilità, è facile
capire per qual ragione nè l'Australia, nè il Capo di Buona Speranza,
nè qualsiasi altro paese abitato da genti non civilizzate, non ci diedero
una sola pianta degna di coltivazione. Ciò non vuol dire che quei paesi
tanto ricchi di specie non possano avere i tipi originali di molte utili piante,
ma che queste piante indigene non furono migliorate da una continua elezione
fino ad un grado di perfezione paragonabile a quello che osserviamo nelle piante
dei luoghi da lungo tempo coltivati.
Quanto agli animali domestici dei popoli selvaggi non bisogna perdere di vista
che essi debbono quasi sempre provvedere da sè al loro nutrimento, almeno
in determinate stagioni. Ora in due regioni differentissime individui della
medesima specie, aventi alcune piccole differenze di costituzione, ponno spesso
riuscire molto meglio gli uni nella prima, gli altri nella seconda; e mediante
un processo d'elezione naturale, che noi esporremo fra poco più completamente,
ponno formarsi due sotto-razze. Ciò spiega forse in parte quanto venne
osservato da alcuni autori; vale a dire che le varietà domestiche presso
i selvaggi hanno in maggior grado i caratteri di specie particolari di quello
che le varietà domestiche coltivate dai popoli civilizzati.
Questo importante intervento del potere elettivo dell'uomo rende facilmente
conto degli adattamenti sì straordinari della struttura o delle abitudini
delle razze domestiche a' nostri bisogni e a' nostri capricci. Noi vi troviamo
la spiegazione del loro carattere sì spesso anormale, come pure delle
loro grandi differenze esterne relativamente alle leggiere differenze de' loro
organi interni. L'uomo infatti non potrebbe senza un'estrema difficoltà
scegliere le variazioni interne della struttura; e stiamo per dire ch'egli in
generale poco se ne cura. La sua scelta non può cadere che sopra variazioni
che la natura stessa gli offre in grado dapprima assai lieve. Così nessuno
avrebbe mai cercato di formare un colombo pavone quando non avesse osservato
in uno o più individui uno sviluppo alquanto insolito della coda, nè
avrebbe pensato al colombo gozzuto quando non avesse veduto un colombo già
dotato di un gozzo di notevoli dimensioni. Ora quanto più un carattere
a tutta prima sembra inusitato o anormale, tanto più esso attirerà
l'attenzione dell'uomo. Ma nella pluralità dei casi almeno, è
inesatto il servirsi di questa frase: provarsi a fare un colombo pavone! La
persona che per la prima scelse un colombo ornato di una coda un po' più
larga delle altre, non immaginò mai che cosa sarebbero divenuti i discendenti
per effetto di questa elezione continuata in parte inavvertitamente, in parte
metodicamente. Forse l'uccello stipite di tutti i nostri colombi pavoni aveva
solamente 14 penne caudali un po' spiegate, come al presente il colombo pavone
di Giava, oppure come gl'individui di altre razze nei quali trovansene perfino
diciassette. Forse il primo colombo gozzuto non gonfiava il suo gozzo più
di quanto il turbito ora gonfia la parte superiore dell'esofago, abitudine che
resta inosservata agli amatori di colombi perchè non offre scopo alcuno
per l'elezione.
Tuttavia non si creda che una deviazione di struttura debba essere molto palese
per attirare l'attenzione di un amatore, il quale s'avvede anche di differenze
piccolissime ed è conforme alla natura dell'uomo l'apprezzare altamente
qualsiasi novità che sia in suo possesso, per quanto insignificante.
Inoltre, il valore attribuito a leggiere differenze accidentali in un solo individuo
della specie, non devesi paragonare a quello che si attribuisce alle medesime
differenze quando si sono già formate diverse razze pure. È ben
probabile che nei colombi si sieno formate e si formino tuttora leggiere variazioni,
che vengono respinte come deviazioni difettose dal tipo perfetto d'ogni razza.
L'oca comune non ci ha dato alcuna varietà ben marcata; per cui la razza
di Tolosa e la razza comune, differenti solo pel colore, il meno costante fra
tutti i caratteri, furono spacciate come specie distinte nelle nostre esposizioni
di volatili.
Da ciò emerge il motivo della nostra ignoranza sull'origine e sulla storia
delle nostre razze domestiche. In fatto ad una razza, come al dialetto d'una
lingua, non si può assegnare una origine ben definita. Alcuno alleva
e fa riprodurre un individuo che presenta qualche modificazione poco sensibile,
o prende maggior cura di un altro ad accoppiare i suoi soggetti più belli:
in tal modo egli migliora i suoi allievi, e questi, così perfezionati,
si spargono nei più vicini contorni. Ma essi non hanno ancora un nome
speciale, e non essendo ancora apprezzato il loro valore, la loro storia è
trascurata. Dopo aver subito un nuovo perfezionamento col medesimo processo
lento e graduato, essi si disseminano sempre più, sono riguardati come
cosa distinta e pregevole, ed allora solamente essi ricevono un nome provinciale.
In alcuni paesi semicivilizzati, ove le comunicazioni sono difficili, una nuova
sotto-razza sarebbe anche più lentamente diffusa ed apprezzata. Appena
che le qualità pregevoli sono riconosciute, l'elezione inconscia tende
ad aumentarne lentamente e incessantemente i tratti caratteristici, qualunque
siano; ma non ugualmente in tutti i tempi, secondo che la razza nuova acquista
o perde voga; e forse anche in certi distretti meglio che in altri, secondo
il grado di civiltà dei loro abitanti. Ma avremo sempre pochissima probabilità
di conservare una cronaca esatta delle sue modificazioni lente ed insensibili.
CIRCOSTANZE FAVOREVOLI AL POTERE ELETTIVO DELL'UOMO
Debbo ora dire qualche cosa delle circostanze propizie o contrarie
al potere elettivo dell'uomo. Un grado elevato di variabilità è
evidentemente favorevole, mentre somministra materiali all'azione elettiva;
quantunque le differenze puramente individuali siano sufficienti a permettere,
mediante un'accuratezza estrema, di accumulare una grande congerie di modificazioni
in qualsiasi direzione. Ma siccome le variazioni utili o aggradevoli all'uomo
non appariscono che a caso, le probabilità della loro comparsa si accrescono
in ragione del numero degli individui, per cui la pluralità di essi diventa
un elemento di successo della massima importanza. Su questo principio Marshall
ha verificato che nella contea di York le pecore, appartenendo a gente povera
ed essendo generalmente riunite in piccoli gruppi, non sono suscettibili di
miglioramento. D'altra parte i giardinieri che ad uso di commercio allevano
molti individui della stessa pianta, riescono assai più spesso degli
amatori a formare nuove e preziose varietà. Per riunire un gran numero
di individui d'una specie in un paese, è necessario che essi sieno posti
in condizioni di vita abbastanza favorevoli a riprodurvisi liberamente. Quando
gli individui sono pochi, tutti riescono a riprodursi, qualunque siano le loro
qualità, il che impedisce la manifestazione dell'azione elettiva. È
probabile che la condizione più importante sia quella che l'animale o
la pianta sieno per l'uomo talmente utili ed apprezzabili, che egli ponga la
più seria attenzione anche alle leggiere variazioni dei caratteri e della
struttura di ogni individuo. Senza queste condizioni nulla può farsi.
Io ho inteso dire seriamente essere stato un caso felicissimo che la fragola
abbia cominciato a variare quando i giardinieri cominciarono ad osservarla attentamente.
Senza dubbio la fragola ha sempre variato dacchè la si coltiva, ma queste
leggere variazioni furono trascurate. Appena i giardinieri si presero la premura
di scegliere gli individui i quali producevano frutta più grosse, più
precoci e più profumate degli altri, e quando allevarono le piante giovani,
onde presceglierne ancora le piante migliori e propagarle: allora, coll'aiuto
di incrociamenti con altre specie, apparvero quelle ammirabili varietà
che si sono ottenute negli ultimi cinquant'anni.
Riguardo agli animali forniti di sessi separati, la facilità colla quale
si possono impedire gli incrociamenti è di grande aiuto per la formazione
di nuove razze, almeno in un paese già dotato di altre razze. L'isolamento
influisce assai in tale effetto. I selvaggi nomadi o gli abitanti delle pianure
aperte posseggono di rado più d'una razza della medesima specie. Due
colombi possono essere accoppiati per tutta la vita, ed è cosa assai
comoda per l'amatore; giacchè in tal modo molte razze possono essere
perfezionate e conservate pure, quantunque allevate assieme nella stessa uccelliera.
Ciò senza dubbio ha agevolato assai la formazione di nuove razze. Io
potrei anche aggiungere che i colombi moltiplicano molto e presto, e che i soggetti
difettosi possono essere sacrificati senza perdita perchè servono di
cibo. I gatti al contrario non possono essere facilmente appaiati a nostra scelta
per la loro abitudine di vagabondaggio notturno; e quantunque siano molto apprezzati
dalle donne e dai ragazzi, vediamo di rado sorgere una nuova razza e quando
ci scontriamo in tali razze, convien dire che esse sono state importate da qualche
altro paese. Non dubito menomamente che certi animali domestici non variino
meno d'altri, tuttavia la scarsezza o l'assenza di razze distinte nel gatto,
nell'asino, nella gallina faraona, nell'oca, ecc., deriva principalmente dal
non essere intervenuta l'azione elettiva; nei gatti per la difficoltà
di accoppiarli a piacimento; negli asini perchè trovansi sempre in piccol
numero e in potere dei poveri, che poco si curano del loro miglioramento, mentre
recentemente, in certe provincie della Spagna e degli Stati Uniti, questi animali
furono modificati e migliorati in un modo sorprendente per mezzo di una giudiziosa
elezione; nelle galline faraone per la difficoltà di allevarle e per
non trovarsi esse mai in grandi gruppi; nelle oche da ultimo per non avere le
medesime altro valore che quello della loro carne e delle loro penne, per cui
niuno trovò mai incitamento per allevarne nuove razze; ma è d'uopo
anche osservare che l'oca sembra dotata di una organizzazione singolarmente
inflessibile, sebbene abbia subìto leggere modificazioni, come ho dimostrato
altrove.
Alcuni autori hanno asserito che le nostre forme domestiche raggiungono presto
un alto grado di variazione che poscia non possono giammai oltrepassare. Ma
sarebbe prematuro l'asserto che tale limite sia stato toccato in un solo caso,
imperocchè tutte le nostre piante e gli animali sieno stati soggetti
a dei miglioramenti nei tempi moderni, ciò che non avrebbe potuto avvenire
senza variazioni. Sarebbe anche prematuro il dire, che quei caratteri, i quali
furono accresciuti fino al massimo limite e si conservarono costanti per molti
secoli, non possono variare in nuove condizioni di vita. Certamente, come ha
detto benissimo il Wallace, un limite sarà al fine raggiunto; ad esempio
vi deve essere un limite alla velocità di ogni animale terrestre determinato
dall'attrito che deve essere superato, dal peso del corpo e dal potere contrattile
della fibra muscolare: ma qui importa solo stabilire che le varietà domestiche
differiscono tra loro più che non le specie distinte di uno stesso genere
in quasi tutti quei caratteri, cui l'uomo ha rivolto la sua attenzione e che
ha preso in mira nella elezione artificiale. Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire
lo ha dimostrato per la grandezza; altrettanto potrebbe provarsi pel colore
e probabilmente anche per la lunghezza del pelo. Quanto alla velocità,
la quale dipende da parecchi caratteri fisici, Eclipse correva assai più,
ed un cavallo da carretta è incomparabilmente più forte che non
due specie naturali del genere equino. Dicasi altrettanto delle piante: i semi
delle diverse varietà di fava e di frumentone differiscono probabilmente
più nella grandezza che i semi di due specie distinte in uno stesso genere
delle due famiglie. Si possono estendere queste conclusioni anche ai frutti
delle diverse varietà di susini, e più ancora ai melloni, e ad
innumerevoli altri analoghi casi.
Riassumendo quanto abbiamo detto sull'origine delle nostre razze domestiche
animali o vegetali, io reputo che le condizioni della vita, per la loro azione
sul sistema riproduttore, sieno cause di variabilità della maggiore importanza.
Ma non è probabile che la variabilità sia una qualità costante
e necessariamente inerente a tutti gli esseri organizzati, come alcuni autori
hanno pensato. Gli effetti della variabilità sono modificati in diverso
grado dall'eredità e dalla riversione dei caratteri. La variabilità
è pure governata da molte leggi ignote, e particolarmente dalla legge
di correlazione di sviluppo. Si può annettere qualche influenza all'azione
diretta delle condizioni esterne della vita, come pure all'uso o al non uso
degli organi; il risultato finale diventa perciò molto complesso. In
qualche caso l'incrociamento delle specie distinte in origine ebbe probabilmente
molta parte nella formazione delle nostre razze domestiche. Quando in un paese
parecchie razze domestiche già stabilite furono occasionalmente incrociate,
questo incrociamento, favorito dall'elezione, avrà senza dubbio contribuito
alla formazione di nuove razze; ma l'importanza dell'incrociamento delle varietà
venne molto esagerata sia rispetto agli animali, sia rispetto alle piante propagate
per mezzo di semi. Fra le piante che sono temporaneamente propagate per mezzo
di innesto, di gemme, ecc., l'importanza degli incrociamenti, vuoi fra specie
distinte, vuoi fra varietà, è immensa; perchè, in tal caso,
il coltivatore trascura completamente l'estrema variabilità degli ibridi
e dei meticci e la frequente sterilità degli ibridi; ma le piante propagate
senza semi sono di poca importanza per noi, perchè la loro durata è
temporanea. Di tutte le cause di variabilità la prevalente, secondo la
mia persuasione, è l'azione accumulata dell'elezione, sia che venga applicata
metodicamente, e con rapidità, sia che operi inavvertita e lenta, ma
tanto più efficace.
CAPO II
VARIAZIONE ALLO STATO DI NATURA
Variabilità - Differenze individuali - Specie dubbie - Le specie molto estese, molto diffuse e comuni variano assai - Le specie dei grandi generi in ogni paese variano più delle specie dei generi piccoli - Molte specie dei generi grandi rassomigliano a varietà per essere strettamente e diversamente affini fra loro o geograficamente assai circoscritte.
VARIABILITÀ
Prima di procedere all'applicazione dei principii da noi svolti
nel capo precedente agli esseri organizzati nello stato di natura, dobbiamo
esaminare brevemente se questi sono variabili o no. Per trattare convenientemente
tale soggetto, sarebbe necessario redigere un lungo catalogo di fatti; ma io
debbo serbarli per la mia opera futura. Io non posso inoltre discutere qui le
diverse definizioni che si diedero del termine specie. Nessuna di queste definizioni
soddisfece ancora pienamente tutti i naturalisti; frattanto ogni naturalista
conosce almeno in modo vago che cosa intende, quando parla di una specie. In
generale questa espressione sottintende l'elemento incognito d'un atto distinto
di creazione. Anche il termine varietà è parimenti difficile a
definirsi; ma qui l'idea d'una discendenza comune è generalmente implicata,
quantunque ben di rado possa provarsi. Da ultimo sonovi le mostruosità;
ma esse si fondono insensibilmente colle varietà. Intendo per mostruosità
una deviazione ragguardevole di una singola parte che può essere o nociva
o almeno inutile alle specie. Alcuni autori impiegano la parola variazione,
nel significato tecnico, per indicare una modificazione dovuta direttamente
alle condizioni esterne della vita; e le variazioni in tal senso non si suppongono
ereditarie: ora chi può affermare che le proporzioni minime delle conchiglie
nelle acque salmastre del Baltico e la piccolezza delle piante sulle vette alpestri,
oppure il fitto pelo degli animali della zona polare non siano in molte occasioni
trasmissibili almeno per alcune generazioni? In questo caso io presumo che la
forma sarebbe considerata come una varietà.
È dubbio se le variazioni di struttura profonde e repentine, come quelle
che assai spesso notansi nelle nostre razze domestiche e più particolarmente
fra le piante, possansi propagare con un carattere di costanza nello stato di
natura. Generalmente gli esseri organici sono tanto meravigliosamente adatti
alle loro condizioni di esistenza da sembrare improbabile che ogni parte di
essi sia stata improvvisamente formata nella sua intera perfezione, come una
macchina complicata non potrebbe essere stata inventata dall'uomo con tutti
i suoi perfezionamenti. Allo stato domestico appariscono spesso delle mostruosità
che somigliano a produzioni normali di animali assai diversi; ad esempio, nacquero
dei maiali forniti di una specie di proboscide. Se nel genere Sus esistesse
una specie naturale fornita di proboscide, si potrebbe concludere ch'essa sia
apparsa repentinamente come forma mostruosa; ma per quanto io abbia cercato,
non rinvenni un solo caso, in cui una mostruosità somigliasse ad una
forma normale in specie affini; e ciò solamente sarebbe d'interesse nella
presente questione. Se allo stato dì natura apparissero siffatte forme
mostruose, e se fossero trasmissibili (ciò che non sempre si verifica),
essendo rare ed isolate, la loro conservazione dipenderebbe da condizioni straordinariamente
favorevoli. Si aggiunga che esse nella prima e nelle successive generazioni
s'incrocierebbero colle forme comuni, e si comprenderà che debbano perdere
quasi inevitabilmente il loro carattere anormale. Ma in un capitolo seguente
io riparlerò della conservazione e riproduzione di singole ed occasionali
variazioni.
DIFFERENZE INDIVIDUALI
Vi sono leggiere differenze che potrebbero chiamarsi differenze
individuali, siccome si trovano nei discendenti dai medesimi genitori, oppure
fra individui riguardati per tali, perchè appartenenti alla medesima
specie e viventi in una stessa località limitata. Nessuno suppone che
tutti gli individui della medesima specie siano formati assolutamente sopra
uno stampo eguale. Ora queste differenze individuali sono per noi della massima
importanza, e perchè più frequentemente sono trasmissibili, come
tutti sanno, e perchè forniscono degli elementi all'accumulazione per
elezione naturale; nello stesso modo che l'uomo accumula in una data direzione
le differenze individuali che si rilevano nelle razze domestiche.
Queste differenze individuali affettano generalmente quegli organi che i naturalisti
considerano come poco importanti; ma io potrei dimostrare con un lungo catalogo
di fatti che alcuni organi di una importanza incontestabile, sia che si considerino
dal punto di vista fisiologico, sia che si riguardino sotto l'aspetto della
classificazione, variano qualche volta fra gli individui della medesima specie.
I naturalisti più esperti sarebbero meravigliati del numero delle variazioni
che affettano le parti più importanti dell'organismo, delle quali potei
prendere cognizione dalle più autorevoli sorgenti nel corso di un certo
numero danni. Nè deesi dimenticare che i classificatori sistematici sono
ben lontani dal dichiararsi soddisfatti quando trovano qualche deviazione in
caratteri importanti. D'altronde sonvene assai pochi che esaminino attentamente
gli organi interni (che sono di tanto valore), e che li confrontino in molti
campioni d'una medesima specie. Io non mi sarei mai aspettato che le biforcazioni
del nervo principale presso il ganglio maggiore centrale di un insetto, fossero
variabili in una stessa specie; ma avrei creduto piuttosto che cambiamenti di
questa natura dovessero effettuarsi lentamente e gradatamente. Eppure ultimamente
il Lubbock ha dimostrato che nel principale filamento nervoso del Coccus esiste
una variabilità paragonabile alle irregolari biforcazioni del tronco
di un albero. Lo stesso naturalista ha eziandio notato recentemente che nelle
larve di alcuni insetti i muscoli sono tutt'altro che uniformi. I dotti s'aggirano
in un circolo vizioso quando pretendono che gli organi importanti non variino
mai; imperocchè essi cominciano a porre empiricamente fra i caratteri
importanti tutti i caratteri invariabili, come alcuni in buona fede confessano.
Ora, partendo da questo principio, nessun esempio di variazione importante si
affaccerebbe mai. Pure da un altro punto di vista questi esempi sono all'opposto
molto frequenti.
Esiste un fenomeno, connesso alle differenze individuali, difficilissimo a spiegarsi.
Alludo a quei generi che si dissero proteici o polimorfi, perchè le specie
che li costituiscono presentano una straordinaria variabilità. Appena
trovansi due naturalisti concordi sulle forme che debbono considerarsi come
specie e come semplici varietà. Tali sono i generi Rubus, Rosa e Hieracium
fra le piante, parecchi generi d'insetti e di molluschi brachiopodi fra gli
animali. Nella pluralità dei generi polimorfi alcune specie hanno carattere
fisso e definito. Alcuni generi che sono polimorfi in un paese, a quanto pare
lo sono altresì in tutti gli altri, salvo rare eccezioni, e ciò
si verificò anche in altre epoche geologiche, come può desumersi
dalle conchiglie dei brachiopodi fossili. Questi fatti sono di grave imbarazzo
per la scienza, comechè tendano a provare che tale variabilità
è indipendente dalle condizioni di vita, Quanto a me propendo a ritenere
che nei generi polimorfi noi vediamo delle variazioni di struttura che per essere
di niuna utilità, anzi di nocumento alle specie che ne sono affette,
non si resero stabili per mezzo dell'elezione naturale, come esporremo.
Gli individui di una medesima specie offrono spesso, come è noto generalmente,
delle grandi differenze di struttura, indipendenti da ogni variazione; così
differiscono tra loro in parecchi animali i due sessi, oppure negli insetti
le due o tre forme di femmine sterili od operaie, od anche in molti animali
inferiori gli stadii immaturi e larvari. Si hanno anche esempi di dimorfismo
e trimorfismo, tanto nelle piante come negli animali. Così il Wallace,
che ha recentemente rivolto l'attenzione a questo soggetto, ha mostrato che
le femmine di alcune specie di lepidotteri dell'Arcipelago Malese appariscono
regolarmente sotto due ed anche tre forme affatto diverse, le quali non sono
collegate insieme da varietà intermedie. Non è molto, Fritz Müller
ci ha fatto conoscere degli esempi analoghi, ma ancora più sorprendenti,
nei maschi di certi crostacei brasiliani: così il maschio di una Tanais
apparisce sotto due forme molto diverse, possedendo l'una delle chele assai
più forti e diversamente conformate, l'altra delle antenne assai più
abbondantemente fornite di peli olfattivi. Sebbene ora nel maggior numero dei
casi le due o tre forme, tanto negli animali come nelle piante, non siano collegate
insieme da anelli intermedi, è nondimeno probabile che fossero connesse
in passato. Il Wallace, a mo' d'esempio, descrive un lepidottero, il quale in
una medesima isola presenta una lunga serie di varietà collegate insieme
da anelli, ed i membri estremi di questa serie somigliano assai alle due forme
di una specie affine dimorfa che abita un'altra parte dell'Arcipelago Malese.
Dicasi altrettanto delle formiche: le varie forme di operaie sono generalmente
affatto diverse; ma in alcuni casi, come più tardi vedremo, le diverse
forme sono congiunte insieme da varietà lentamente graduate, e la stessa,
com'io potei osservare, avviene in alcune piante dimorfe. Sembra certamente
un fatto molto singolare, che una medesima femmina di lepidottero possa contemporaneamente
produrre tre forme femminili ed una maschile; che una pianta ermafrodita da
una stessa capsula produca tre distinte forme ermafrodite che contengono tre
diverse forme di femmine e tre od anco sei diverse forme di maschi. Nondimeno
questi esempi non sono che esagerazioni del fatto comune che la femmina produce
dei discendenti di ambedue i sessi, i quali talvolta differiscono tra loro in
modo sorprendente.
SPECIE DUBBIE
Di grande importanza, sotto vari aspetti, sono per noi quelle
forme che hanno in grado considerevole il carattere di specie, ma presentano
profonde rassomiglianze con altre forme, o sono tanto affini ad esse, per gradi
intermedi, che i naturalisti esitano a farne altrettante specie distinte. Noi
abbiamo grandi ragioni per credere che molte di queste forme dubbie, o strettamente
affini, hanno conservato costantemente i loro caratteri nel paese nativo abbastanza
a lungo per essere credute buone e vere specie. Nella pratica, allorchè
un naturalista può congiungere due forme qualsiansi per mezzo di altre
forme dotate di caratteri intermedi, egli denota come specie la più comune,
o quella che fu descritta per la prima, e classifica l'altra come varietà.
Frattanto si offrono casi, che non voglio enumerare in questo luogo, nei quali
riesce sommamente difficile decidere se una forma debba mettersi come varietà
d'un'altra, anche se le medesime siano strettamente legate da forme intermedie;
e tale difficoltà non viene appianata dal riconoscere che le forme intermedie
sono ibridi. Anzi avviene spesso che una forma si consideri come varietà
d'un'altra, non dalla cognizione dei legami intermedi, ma dall'ipotesi formata
per analogia dall'osservatore, che essi esistano in qualche luogo, o che possano
essere esistiti in altre epoche, e allora apresi un'ampia porta ai dubbi e alle
congetture.
Ne segue che ove abbiasi a determinare se una forma debba prendere il nome di
specie oppure di varietà, 1'opinione dei naturalisti dotati di un raziocinio
sicuro e di una grande esperienza è l'unica guida. In molti casi poi
devesi decidere a pluralità di voti fra gli opposti pareri; perchè
poche sono le varietà spiccate e ben conosciute che non siano state collocate
fra le specie almeno da alcuni giudici competenti.
Inoltre ognuno deve convenire che queste varietà dubbie non sono rare.
Se si confrontino le diverse flore d'Inghilterra, di Francia e degli Stati Uniti,
descritte da vari botanici, si riconosce che un numero sorprendente di forme
furono classificate dagli uni come vere specie, e dagli altri come semplici
varietà. Il signor C. Watson, al quale io vado profondamente grato del
concorso prestatomi in mille modi, mi diede una nota di 182 piante inglesi che
in generale si riguardano come varietà, che furono innalzate da qualche
botanico al rango di specie. E si osservi ch'egli trascurò molte varietà
più semplici, che nondimeno sono considerate come specie da certi botanici,
ed omise affatto alcuni generi assai polimorfi. Nei generi che comprendono le
specie più polimorfe, Babington conta 251 specie e Bentham 112 soltanto;
questa è una differenza di 139 forme dubbie. Fra gli animali che si uniscono
per ogni accoppiamento e che vagano assai, le forme dubbie oscillanti fra la
specie e la varietà si trovano di rado nel medesimo paese, ma sono frequenti
in luoghi separati. Molti uccelli ed insetti del Nord dell'America e dell'Europa,
che differiscono assai poco fra loro, furono classificati da qualche naturalista
eminente come altrettante specie ben definite e da altri come varietà,
oppure come razze geografiche.
Il Wallace ha dimostrato in parecchie memorie pregevolissime che ha pubblicato
recentemente sopra i diversi animali e principalmente sopra i Lepidotteri dell'Arcipelago
Malese, che si possono suddividere in quattro categorie, e cioè in forme
variabili, forme locali, razze geografiche o sottospecie, e varie specie rappresentative.
Le prime forme o variabili variano notevolmente entro i limiti di una medesima
isola. Le forme locali sono in ciascuna isola abbastanza costanti e distinte;
se però si confrontino tra di loro tutte le forme delle diverse isole,
le differenze si presentano talmente piccole e graduali, che torna impossibile
classificarle o descriverle, benchè le forme estreme siano sufficientemente
definite. Le razze geografiche o sottospecie sono forme locali ben determinate
ed isolate; ma siccome non differiscono tra di loro per caratteri molto marcati
ed importanti, così non può essere stabilito da una prova, ma
soltanto dall'opinione individuale, quali si debbano considerare come specie
e quali come varietà. Le specie infine rappresentative occupano nella
economia naturale di cadauna isola lo stesso posto come le forme locali e le
sottospecie; ma siccome le distingue un maggior grado di diversità di
quello che corre tra le forme locali e le sottospecie, così i naturalisti
le considerano come buone specie. Nondimeno è impossibile indicare un
criterio esatto, col quale si possano riconoscere le forme variabili, le forme
locali, le sottospecie e le specie rappresentative.
Sono molti anni che, istituendo un confronto degli uccelli delle isole Galapagos
fra loro o con quelli dell'America, rimasi vivamente impressionato dall'incertezza
e dall'arbitrio di tutte le distinzioni delle specie e delle varietà.
Sulle isolette del piccolo gruppo di Madera trovansi molti insetti descritti
come varietà nell'ammirabile opera di Wollaston e che tuttavia sarebbero
innalzati a livello della specie da molti entomologi. Anche l'Irlanda possiede
alcuni animali che si considerano come varietà, mentre alcuni zoologi
li riguardano come specie. Parecchi fra i nostri migliori ornitologi considerano
il nostro gallo selvatico inglese solo come una razza ben distinta della specie
di Norvegia, quando la maggior parte dei dotti ne formano una specie ben caratterizzata
e particolare alla Gran Bretagna. Una distanza notevole fra i luoghi occupati
da due forme dubbie predispone molti naturalisti a classificarle come specie
distinte. Ma quale distanza può ritenersi sufficiente? Se la distanza
fra l'Europa e l'America è grande abbastanza, lo sarà anche quella
che passa fra l'Europa e le Azzorre, o Madera, o le Canarie, o parecchie isolette
di questo piccolo arcipelago.
Il dott. Walsh, distinto entomologo degli Stati Uniti, ha descritto recentemente
delle varietà fitofaghe e delle specie fitofaghe. La maggior parte degli
insetti fitofagi vive di una specie o di un gruppo di piante: alcuni vivono
indistintamente di molte specie, senza che in conseguenza ne sieno cambiate.
Ora Walsh ha osservato altri casi di questo genere, d'insetti, cioè,
i quali furono trovati sopra parecchie piante, e che allo stato di larva oppure
di immagine, o in ambedue questi stati, presentavano delle differenze, piccole
sì, ma costanti nel colore, nella grandezza o nella qualità delle
secrezioni. In alcuni casi si trovarono solamente i maschi, in altri i maschi
e le femmine diversi tra loro in grado leggero. Se le differenze sono piuttosto
pronunciate, ed estese ad ambedue i sessi e a tutte le età, allora gli
entomologi considerano queste forme come buone specie. Nessun osservatore però
può rispondere ad altri, come risponde a sè, della bontà
di queste specie o varietà cui appartengono quelle forme fitofaghe. Il
Walsh considera come varietà quelle forme, delle quali presuppone che,
forzate, s'incrocierebbero; e come specie quelle che sembrano aver perduto tale
facoltà. Siccome le differenze dipendono da ciò che gl'insetti
si sono lungamente nutriti di diverse piante, non possiamo aspettarci di trovare
degli anelli fra queste differenti forme. Perciò al naturalista viene
meno il miglior criterio nel decidere, se forme così dubbie siano da
ritenersi varietà o specie. La stessa cosa avviene necessariamente negli
organismi molto affini che abitano continenti od isole diverse. Tutte le volte
però che un animale o una pianta è ampiamente diffusa sopra un
medesimo continente, od abita molte isole dello stesso arcipelago, e se presenta
forme diverse nei diversi distretti; allora possiamo attenderci di rinvenire
le forme intermediarie, le quali congiungono insieme le forme estreme; ed allora
queste si fanno discendere al rango di varietà.
Alcuni naturalisti sostengono che gli animali non presentano mai delle varietà;
per conseguenza considerano le più piccole differenze come aventi un
valore specifico; e quando anche una identica forma si trovi in due luoghi lontani,
o in due diverse epoche geologiche, essi vanno tant'oltre da supporre che due
specie differenti siano nascoste sotto un medesimo abito. L'espressione di specie
diventa perciò una inutile astrazione, per la quale s'intende ed ammette
un atto creativo particolare. È cosa certa che molte forme, considerate
come varietà da giudici competenti, hanno tali caratteri di specie, che
vengono classificate come buone e vere specie da altri giudici di uguale merito.
E sarebbe fatica gettata il discutere, se coteste forme siano specie o varietà,
infino a tanto che non vi sia una definizione di questi due termini. Molte di
queste varietà ben marcate o specie dubbie meritano una particolare considerazione,
imperocchè alla loro distribuzione geografica, all'analoga variazione,
all'ibridismo, ecc., si attinsero degli argomenti per decidere del rango che
loro appartiene. Ma lo spazio non mi permette di trattare qui quest'argomento.
Un attento esame insegnerà in molti casi ai naturalisti quale rango sia
da darsi a siffatte forme dubbie. Tuttavia dobbiamo confessare che precisamente
nei paesi meglio esplorati s'incontra il maggior numero di tali forme. Io sono
rimasto sorpreso nel vedere, come di tutti quegli animali e quelle piante, che
vivono allo stato naturale e sono utilissime all'uomo, od attirano per altre
ragioni la sua particolare attenzione, si conoscono quasi dappertutto delle
varietà, le quali, oltre ciò, da alcuni autori sono credute specie
distinte. Quanto non fu esattamente studiata la quercia comune! Eppure un autore
tedesco stabilisce una dozzina di specie sopra quelle forme che i botanici hanno
creduto fino ad oggi quasi generalmente semplici varietà; ed in Inghilterra
possono citarsi le più alte autorità ed i migliori pratici sia
in appoggio dell'idea che la quercia sessiliflora e la peduncolata sono specie
ben distinte, sia per l'altra che sono semplici varietà.
Devo qui alludere ad un recente lavoro di A. De Candolle sulle quercie del globo.
Giammai un autore ebbe tra le mani un più ricco materiale per la distinzione
delle specie, nè potè studiarlo con maggior cura e sagacia. Egli
espone dapprima in dettaglio i vari punti, ne' quali varia la struttura delle
diverse specie, e calcola numericamente la frequenza delle variazioni. In particolare
egli adduce oltre una dozzina di caratteri, i quali presentano delle variazioni,
talvolta sopra uno stesso ramo, a seconda dell'età e dello sviluppo,
spesso senza una causa conosciuta. Cotesti caratteri non hanno naturalmente
alcun valore specifico; sono però di quelli, i quali, come dice Asa Gray
nel suo rapporto sulla predetta memoria, entrano generalmente nella definizione
della specie. De Candolle dice inoltre che considera come specie quelle forme,
le quali diversificano fra loro per caratteri che non variano mai sul medesimo
albero e non sono collegate insieme da forme intermediarie. Dopo tale esposizione,
che è il risultato di lunghi lavori, egli accentua le seguenti parole:
"Sono in errore coloro, i quali vanno ripetendo che le nostre specie siano
in generale ben limitate, e che le forme dubbie costituiscano una debole minoranza.
Tale opinione poteva sostenersi, quando un genere era imperfettamente conosciuto,
e le sue specie si fondavano sopra pochi esemplari, ossia erano provvisorie.
Appena noi arriviamo a conoscerle meglio, si mostrano le forme intermediarie
e nascono i dubbi sui confini delle specie". Egli soggiunge ancora che
precisamente le specie meglio conosciute presentano il maggior numero di varietà
e di sottovarietà spontanee. La Quercus robur, ad esempio, offre ventotto
varietà, le quali tutte, ad eccezione di sei, si aggruppano intorno a
tre sottospecie, che sono le Q. pedunculata, sessiliflora e pubescens. Le forme
che collegano insieme queste tre sottospecie sono relativamente rare, e se esse
si estinguessero, le tre sottospecie, come osserva Asa Gray, starebbero tra
loro nello stesso rapporto, come le quattro o cinque specie provvisoriamente
ammesse che si aggruppano strettamente intorno alla tipica Quercus robur. Infine
De Candolle confessa che delle 300 specie che saranno accolte nel suo Prodromo
come appartenenti alla famiglia delle quercie, ben due terzi sono provvisorie,
ossia non tanto bene conosciute da soddisfare alla sopra citata definizione
delle vere specie. Io poi devo soggiungere che il De Candolle non considera
le specie come creazioni immutabili, ma arriva alla conclusione che la teoria
della trasformazione delle specie è la più naturale, e quella
"che meglio concorda coi fatti della paleontologia, della geografia vegetale,
della geografia animale, della struttura anatomica e della classificazione".
Quando un giovine naturalista comincia a studiare un gruppo di organismi a lui
completamente ignoti, sulle prime egli trovasi molto imbarazzato per distinguere
le differenze ch'egli deve considerare come di valore specifico, da quelle che
solo indicano le varietà; perchè egli non sa quale sia l'insieme
delle variazioni di cui il gruppo è suscettibile; locchè prova
la generalità del principio di variazione. Ma se egli concentri la sua
attenzione sopra una sola classe in una regione determinata, egli giunge tosto
a sapere come debba riguardare le forme dubbie. Egli sarà inclinato a
formare molte specie, trovandosi sotto l'impressione della differenza delle
forme che egli ha costantemente sotto gli occhi, come il dilettante di colombi
o d'altri volatili di cui ho già parlato; e perchè egli ha ancora
poche cognizioni generali delle variazioni analoghe in altri gruppi e in altri
luoghi che potrebbero rettificare quelle prime impressioni. Nello estendere
maggiormente le sue osservazioni egli troverà nuove difficoltà,
abbattendosi in un numero grande di forme affini; ma potrà finalmente
dopo altre esperienze determinare con certezza ciò ch'egli deve chiamare
varietà o specie; però vi giungerà solo ammettendo una
grande variabilità nelle forme specifiche, la quale sarà spesso
combattuta da altri naturalisti. Inoltre, quando si faccia a studiare le forme
affini derivate da regioni attualmente separate, nel qual caso egli non può
aspettarsi di rinvenire i legami intermedi fra le forme dubbie, dovrà
attenersi puramente all'analogia, e le difficoltà diverranno molto maggiori.
È indubitato che niuna linea di separazione fu ancora tracciata fra le
specie e le sotto-specie, cioè fra quelle forme che nel concetto di alcuni
naturalisti si avvicinano molto, ma non giungono al grado di specie; non meno
che fra le sotto-specie e le varietà, ben caratterizzate, od anche fra
le varietà meno decise e le differenze individuali. Queste differenze
si fondono insieme in una serie insensibilmente graduata; ora ogni serie desta
nello spirito l'idea di un vero passaggio.
Per questo io penso che le differenze individuali, quantunque siano di poca
importanza per il sistematico, sono invece per noi del massimo rilievo, comechè
formino il primo distacco verso quelle leggiere varietà che sono appena
degne d'essere ricordate nelle opere di storia naturale. Io considero le varietà
più distinte e permanenti come il primo gradino che conduce a varietà
più permanenti e distinte, dalle quali poi si passa alla sotto-specie
e alle specie. La transizione da un grado di differenza ad un altro più
elevato può in qualche cosa attribuirsi semplicemente all'azione continua
e protratta delle condizioni fisiche in due regioni diverse; ma non ho molta
fiducia in questa opinione e amo attribuire le modificazioni successive di una
varietà che passa da uno stato pochissimo diverso da quello della specie
madre ad una forma che ne diversifica maggiormente, alla elezione naturale che
agisce in modo di accumulare in una certa determinata direzione le differenze
d'organizzazione, come spiegherò altrove più diffusamente. Ritengo
quindi che una varietà bene staccata debba considerarsi come una specie
nascente. Potrà giudicarsi del valore di questa opinione dal complesso
dei fatti e delle considerazioni che si contengono nella presente opera.
Del resto non fa d'uopo supporre che tutte le varietà, o specie nascenti
raggiungano necessariamente il rango di specie. Possono estinguersi nello stato
nascente; possono anche durare come varietà per lunghi periodi, come
lo hanno provato Wollaston per certe conchiglie terrestri fossili di Madera,
e Gaston de Saporta per le piante. Se una varietà prosperi fino al punto
di eccedere in numero la specie-madre, questa prenderà allora il rango
di varietà e la varietà quello di specie. Una varietà può
anzi esterminare e soppiantare la specie-madre; oppure entrambi ponno esistere
come specie indipendenti. Ma noi ritorneremo altrove sopra questo argomento.
Dalle osservazioni esposte apparisce che io non considero il termine specie
se non come una parola applicata arbitrariamente, per comodo, a un insieme di
individui molto somiglianti fra loro e che questo termine non differisce sostanzialmente
dall'altro varietà, dato a forme meno distinte e più variabili.
Non altrimenti che la parola. varietà, in confronto alle differenze semplicemente
individuali, viene applicata arbitrariamente ed anzi per sola convenienza.
LE SPECIE MOLTO ESTESE E MOLTO COMUNI VARIANO ASSAI.
Diretto da considerazioni teoriche pensai che potrebbero ottenersi
importanti risultati, rispetto alla natura ed ai rapporti delle specie che variano
maggiormente, formando delle tavole di tutte le varietà comprese nelle
diverse flore bene studiate. Questo còmpito sembra assai facile sulle
prime; ma il signor H. C. Watson, cui sono molto tenuto per gli importanti servigi
e l'aiuto prestatomi in questa materia, mi convinse tosto delle molte difficoltà
che presenta, come il dottore Hooker mi esternava poi in termini più
precisi. Io serberò dunque per il futuro mio lavoro la discussione di
queste difficoltà e le tavole dei numeri proporzionali delle specie variabili.
Del resto io sono autorizzato dal dott. Hooker ad aggiungere che, dopo l'attenta
lettura dei miei manoscritti e dopo l'esame di quelle tavole, egli crede che
i principii che andrò svolgendo siano abbastanza ben fondati. Però
l'argomento che io debbo necessariamente trattare con tanta brevità è
abbastanza complicato e perplesso, e richiede alcune allusioni alla lotta per
l'esistenza, alla divergenza dei caratteri ed alle altre questioni che saranno
discusse più innanzi.
Alfonso de Candolle ed altri hanno dimostrato che le piante che hanno una grande
estensione geografica presentano in generale delle varietà. Nè
sarebbe stato malagevole l'indovinarlo, considerando le differenti condizioni
fisiche à cui sono esposte e la lotta alla quale prendono parte con altri
gruppi di esseri organici, cosa della massima importanza, come vedremo. Ma le
mie tavole provano altresì che in ogni paese limitato le specie più
comuni, vale a dire di maggior numero di individui, e le specie più disseminate
nella loro regione nativa (circostanza che non devesi confondere con una grande
estensione e neppure fino ad un certo punto coll'essere comuni) sono quelle
che danno più spesso origine a varietà abbastanza spiccate per
essere enumerate nelle opere di botanica. Dunque le specie più fiorenti
o, come potrebbero chiamarsi, le specie dominanti, cioè aventi una grande
estensione geografica, sono le più sparse nel paese da esse abitato e
posseggono anche un numero maggiore di individui; e producono più spesso
delle altre quelle varietà tanto distinte che io considero come altrettante
specie nascenti. Ciò poteva prevedersi, dacchè le varietà
debbono lottare necessariamente contro gli altri abitanti della medesima regione
per acquistare un certo grado di permanenza. Ora le specie dominanti hanno anche
una probabilità maggiore di lasciare una discendenza, la quale, benchè
leggermente modificata, gode pure dei vantaggi che assicurano alla specie-madre
la prevalenza sulle altre specie indigene. Queste osservazioni sul predominio
delle specie non si applicano, s'intende, che alle forme organiche, le quali
entrano in lotta fra loro, ed in ispecie ai membri dello stesso genere o della
stessa classe che hanno analoghe abitudini di vita. Rispetto all'essere comuni,
o al numero d'individui d'una specie, il confronto deve istituirsi soltanto
fra i membri di uno stesso gruppo. Una pianta può riguardarsi come dominante,
se si distingue per la quantità maggiore di individui e sia più
diffusa di tutte le altre della medesima regione, le quali non esigono condizioni
di vita troppo diverse. Tale pianta non è meno dominante, nel senso da
noi attribuito a questa espressione, anche in confronto di qualche conferva
acquatica o di qualche fungo parassita infinitamente più sparso e numeroso;
ma se una specie di conferva o di fungo parassita supera tutte le affini, nelle
predette condizioni essa diverrà la specie dominante della propria classe.
LE SPECIE DEI GRANDI GENERI IN OGNI PAESE VARIANO
PIÙ DELLE SPECIE DEI GENERI PICCOLI
Se si dividono in due serie le piante che popolano una regione
e che sono descritte nella sua flora, ponendo in una di esse tutti i generi
più ricchi e nell'altra tutti i generi più poveri, si troverà
un numero prevalente di specie dominanti comunissime e molto estese dal lato
dei generi più ricchi. Anche questo poteva prevedersi; imperocchè
il solo fatto che molte specie del medesimo genere abitano una stessa contrada,
dimostra che avvi qualche cosa nelle condizioni organiche od inorganiche di
questa contrada ad esse particolarmente favorevole; e quindi era da ritenersi
che nei generi più grandi, cioè in quelli che contengono più
specie, si sarebbe trovato un numero relativamente più forte di specie
dominanti. Tante cause però tendono a nascondere questo risultato, che
mi stupisco nel vedere tuttavia nelle mie tavole una maggioranza debole dal
lato dei generi più ricchi. Basterà che accenni a due di queste
cause contrarie. Le piante di acqua dolce e quelle d'acqua salata hanno in generale
una vasta estensione geografica e sono molto diffuse; ma ciò sembra derivi
dalla natura dei paesi da esse abitati e non ha che ben poca o niuna relazione
colla ricchezza dei generi a cui queste specie appartengono. Inoltre le piante
collocate agli infimi gradi della scala dell'organizzazione sono generalmente
assai più disseminate delle più perfette, ed anche in tal caso
non esiste alcun rapporto necessario colla ricchezza dei generi. La causa della
grande estensione delle piante di organizzazione inferiore sarà trattata
nel capo della Distribuzione geografica.
Considerando le specie come varietà ben distinte e definite, io potei
prevedere che le specie dei generi più ricchi in ogni paese debbono anche
presentare un maggior numero di varietà delle specie appartenenti ai
generi più scarsi; perchè là dove si produssero molte specie
strettamente affini, cioè del medesimo genere, debbono generalmente trovarsi
in via di formazione molte varietà o specie nascenti. Dove crescono molti
alberi grandi possiamo attenderci di scoprire molti polloni. Dove si formarono
molte specie di un genere per mezzo della variazione, vuol dire che le circostanze
hanno favorito la variabilità; e se ne può dedurre con fondamento
che in generale esse continueranno ancora ad essere loro favorevoli. D'altra
parte, se noi riguardiamo ogni specie come il prodotto di un atto speciale di
creazione, non havvi alcuna ragione apparente, per la quale si abbia un maggior
numero di varietà in un gruppo contenente molte specie di quello che
in altro gruppo che ne racchiuda poche.
Onde comprovare la verità di questa induzione ho disposto le piante di
dodici paesi e gli insetti coleotteri di due distretti in due masse quasi uguali,
ponendo le specie dei generi più ricchi separatamente da quelle dei generi
poveri; ed ho sempre trovato una proporzione superiore di specie variabili nei
generi più abbondanti. Di più, fra le specie dei grandi generi
che presentano delle varietà, il numero medio di queste è invariabilmente
più forte di quello delle varietà spettanti alle specie dei generi
più piccoli. Questi risultati sussistono anche quando si faccia un'altra
divisione e si tolgano dalle tavole tutti i generi più scarsi, i quali
non contengono più di quattro specie. Questi fatti hanno un'altra portata
nell'ipotesi che le specie non siano che varietà permanenti e bene staccate;
perchè dovunque vennero formate molte specie dello stesso genere, oppure,
se l'espressione è lecita, dove la fabbricazione delle specie era in
corso, noi dobbiamo generalmente aspettarci di rinvenirla ancora in azione,
tanto più che abbiamo ogni motivo di credere che il processo di fabbricazione
delle nuove specie sia assai lento. Ciò avviene senza dubbio se le varietà
sono da considerarsi come specie nascenti; mentre le mie tavole stabiliscono
chiaramente che, in massima generale, dovunque formaronsi molte specie d'un
genere, le medesime specie presentano un numero di varietà o di specie
nascenti superiore alla media. Questo non toglie però che qualche genere
abbondante non sia presentemente molto variabile e in grado d'accrescere il
numero delle sue specie, oppure che qualche genere piccolo si trovi in uno stadio
di variazioni e di aumento. Se fosse altrimenti, ciò sarebbe assai fatale
alla mia teoria; tanto più che la geologia c'insegna chiaramente che
alcuni generi piccoli sono cresciuti assai nel corso dei tempi e che altri generi
grandi sono giunti al massimo loro sviluppo, indi declinarono e scomparvero.
A noi interessa stabilire che nei luoghi in cui si formarono molte specie d'un
genere, generalmente ne sorgono anche oggi molte altre: e questo è un
fatto.
MOLTE SPECIE DEI GENERI GRANDI RASSOMIGLIANO A VARIETÀ
PER ESSERE DIRETTAMENTE E DIVERSAMENTE AFFINI FRA LORO
E GEOGRAFICAMENTE CIRCOSCRITTE
Abbiamo altre relazioni fra le specie dei grandi generi e le
loro varietà. Abbiamo veduto che non possediamo un criterio infallibile
per distinguere le specie dalle varietà ben caratterizzate; e che quando
i passaggi intermedi fra due forme dubbie non furono trovati, i naturalisti
sono obbligati a determinarne il rango dall'insieme delle differenze esistenti
fra loro, giudicando per analogia se siano sufficienti o no per contrassegnarne
una od entrambe col titolo di specie. L'insieme di queste differenze è
quindi uno dei criteri più importanti per decidere se due forme debbano
considerarsi come specie o come varietà. Fries ha osservato nelle piante
e Westwood negli insetti, che nei grandi generi la somma delle differenze fra
le specie è alle volte eccessivamente piccola. Ho cercato di stabilire
numericamente questa proporzione col mezzo delle medie, e per quanto potei rilevare
dai miei calcoli imperfetti, essi la confermano pienamente. Consultai anche
alcuni osservatori esperti e sagaci, e dopo discussione, i medesimi aderirono
a questi risultati, Sotto questo aspetto, dunque, le specie dei generi più
abbondanti somigliano alle varietà più di quelle dei generi più
poveri. Si può esprimere altrimenti questo concetto col dire che nei
generi più ricchi, nei quali un certo numero di varietà o di specie
nascenti superiori alla media sia per formarsi, molte specie già formate
rassomigliano in qualche modo alle varietà, distinguendosi fra loro per
una somma di differenze minore della consueta.
Inoltre le specie dei grandi generi stanno fra loro come le varietà di
ciascuna specie. Nessun naturalista crede che tutte le specie d'un genere siano
ugualmente distinte le une dalle altre; esse possono generalmente suddividersi
in sotto-generi, sezioni o gruppi ancora minori. Come Fries notava, piccoli
gruppi di specie sono generalmente raccolti come satelliti intorno a certe altre
specie. Le varietà non sono forse gruppi di forme di disuguale affinità
reciproca e che circondano certe altre forme che sono le loro specie-madri?
Senza dubbio, havvi una distinzione più importante fra le varietà
e le specie, ed è che la somma delle differenze fra le varietà,
paragonate fra loro e colle specie-madri, è molto minore che fra le specie
di un medesimo genere. Ma quando noi ci faremo a discutere il principio che
chiamiamo divergenza del carattere, vedremo come ciò possa spiegarsi;
e che le più piccole differenze fra le varietà tendono ad aumentare
per dar luogo alle differenze più profonde fra le specie.
Ma havvi un altro fatto degno di attenzione. Le varietà hanno generalmente
un'estensione molto ristretta: ciò è tanto evidente, che potremmo
dispensarci dal constatarlo, perchè, quand'anche una varietà avesse
una estensione maggiore di quella della specie-madre, le loro denominazioni
sarebbero invertite. Tuttavia abbiamo anche qualche motivo di ritenere che le
specie che sono vicinissime a qualche altra, e che per tale riflesso sembrano
varietà, hanno spessissimo una estensione limitata. Così. H. C.
Watson mi ha indicato nel catalogo delle piante di Londra (4a edizione), redatto
con tanta accuratezza, sessantatre piante che vi figurano come specie, le quali
egli trova tanto simili ad altre specie prossime, che il loro valore specifico
rimane molto dubbio. Queste 63 specie, credute tali, si estendono in media sopra
6,9 provincie, nelle quali Watson divideva la Gran Bretagna. D'altronde, nel
medesimo catalogo, troviamo 53 varietà ben determinate, le quali sono
sparse sopra 7,7 di queste provincie; mentre le specie, a cui queste varietà
appartengono, si estendono in 14,3 provincie. Per modo che le varietà
certe hanno una estensione media approssimativamente uguale a quella delle forme
affini registrate da Watson fra le specie dubbie, che sono però quasi
generalmente considerate dai botanici inglesi come buone e vere specie.
SOMMARIO
Finalmente le varietà non ponno distinguersi dalle specie,
eccettuato primieramente il caso della scoperta di forme intermedie che le rannodino
insieme; in secondo luogo tranne una certa somma di differenze, perchè
due forme assai poco diverse sono generalmente classificate come varietà,
anche quando non si trovarono legami intermedi; ma la somma delle differenze
considerata come necessaria per dare a due forme il carattere di specie è
completamente indefinita. Nei generi che posseggono un numero di specie superiore
alla media, in qualunque paese, le specie contengono pure un numero di varietà
più alto della media. Nei grandi generi le specie sono suscettibili d'essere
strettamente ma disugualmente affini fra loro, formando piccoli gruppi intorno
a certe altre specie. Le specie strettamente affini ad altre sembrano di estensione
più ristretta. Sotto questi rapporti vari, le specie dei grandi generi
presentano molta analogia colle varietà. E noi possiamo comprendere facilmente
queste analogie, se ogni specie ha esistito dapprima come varietà e si
è formata come questa; al contrario queste analogie rimangono inesplicabili
quando ogni specie sia stata creata indipendentemente.
Abbiamo anche osservato che le specie più variabili sono in ogni classe
le più fiorenti o le dominanti dei generi più ricchi; e le loro
varietà, come vedremo, tendono a divenire specie nuove e distinte. I
generi più grandi hanno pure una tendenza di accrescersi maggiormente.
In tutta la natura le forme viventi, ora dominanti, manifestano una tendenza
di dominare maggiormente, lasciando molti discendenti modificati e dominanti.
Ma, come spiegheremo altrove, mediante fasi graduate i generi più grandi
tendono anche a spezzarsi in generi minori. Per tal modo le forme viventi nel
mondo intero dividonsi gradatamente in gruppi subordinati ad altri gruppi.
CAPO III
LOTTA PER L'ESISTENZA
È sostenuta dall'elezione naturale - Questo termine deve impiegarsi in un senso largo - Progressione geometrica d'accrescimento - Rapido accrescimento degli animali e delle piante naturalizzate - Natura degli ostacoli all'accrescimento - Concorrenza universale - Effetti del clima - Protezione derivante dal numero degl'individui - Rapporti complessi degli animali e dei vegetali nella natura - Lotta per l'esistenza più severa fra gli individui e le varietà di una medesima specie; spesso anche fra le specie del medesimo genere - I rapporti più importanti sono quelli che passano da uno ad altro organismo.
Prima di intraprendere la trattazione dell'argomento di questo
capo, debbo fare alcune osservazioni preliminari sul modo con cui la lotta per
l'esistenza si fonda sul principio della elezione naturale. Nel capo precedente
abbiamo veduto che fra gli esseri organici allo stato di natura riscontransi
variazioni individuali; e per vero io credo che ciò non sia mai stato
messo in dubbio. Poca importa che una moltitudine di forme dubbie siano collocate
fra le specie, sottospecie, o varietà; nè fa d'uopo, per esempio,
conoscere quale rango debbano avere le duecento o trecento forme dubbie di piante
inglesi, quando si ammetta l'esistenza di varietà ben distinte. Ma la
sola esistenza delle variazioni individuali e di alcune varietà spiccate,
quantunque necessaria in sostanza a questo lavoro, poco ci aiuta per spiegare
in qual guisa le specie giungano a formarsi naturalmente. Come possono essersi
effettuati questi mirabili adattamenti di una parte dell'organismo ad un'altra,
alle condizioni esterne della vita, e di un essere organico ad un altro essere?
Questi adattamenti stupendi li vediamo più chiaramente nel picchio e
nel vischio; essi esistono, benchè meno evidenti, nel più umile
parassita che si attacca al pelo del mammifero e alle penne di un uccello, nella
struttura del coleottero che si tuffa nell'acqua, nel seme alato che viene trasportato
dalla brezza più leggiera: in una parola, noi vediamo delle armonie meravigliose
nell'intero mondo organico e nelle sue parti.
Si può anche cercare per quale processo le varietà, da me chiamate
specie nascenti, si trasformino alla fine in specie ben definite, le quali nella
pluralità dei casi differiscono fra loro assai più delle varietà
d'una stessa specie. Come si formano quei gruppi di specie che costituiscono
i così detti generi distinti, e che sono fra loro più diversi
che non lo sono le specie di questi generi? Tutti questi effetti risultano necessariamente
dalla lotta per l'esistenza, come noi dimostreremo più completamente
al capo seguente. In seguito a questa continua lotta per l'esistenza, ogni variazione,
per piccola che sia e da qualsiasi cagione provenga, purchè sia in qualche
parte vantaggiosa all'individuo di una specie, contribuirà nelle sue
relazioni infinitamente complesse cogli altri esseri organizzati e colle fisiche
condizioni della vita alla conservazione di quest'individuo, e in generale si
trasmetterà alla sua discendenza. Inoltre questa avrà maggiori
probabilità di sopravvivere; perchè, fra i molti individui d'ogni
specie che nascono periodicamente, pochi soltanto rimangono in vita. Io chiamo
elezione naturale il principio, pel quale così conservasi ogni leggera
variazione, quando sia utile, per stabilire la sua analogia colla facoltà
elettiva dell'uomo. Ma l'espressione usata da Herbert Spencer "sopravvivenza
del meglio adatto" è più precisa e alcune volte ugualmente
conveniente. Noi abbiamo notato che l'uomo, per mezzo dell'elezione, certamente
può produrre grandi risultati e può adattare gli esseri organizzati
ai propri bisogni, accumulando le variazioni leggere, ma vantaggiose, che la
natura gli fornisce. Ora l'elezione naturale, come più tardi vedremo,
è incessantemente in azione ed è incomparabilmente superiore ai
deboli sforzi dell'uomo, come le opere della Natura lo sono rispetto a quelle
dell'Arte.
Facciamoci ora ad esaminare con maggiori dettagli il principio della lotta per
l'esistenza. Codesta questione verrà trattata nel mio prossimo lavoro,
con tutto lo sviluppo che esige. Piramo De Candolle e Lyell dimostrarono filosoficamente
e completamente che tutti gli esseri organizzati sono sottomessi alle leggi
di una severa concorrenza. Niuno trattò questo argomento con tanto spirito
ed abilità come il dott. W. Herbert, decano di Manchester, per quanto
riguarda le piante, e ciò devesi evidentemente alle sue profonde cognizioni
di orticoltura. Non vi ha cosa più facile dello ammettere in teoria la
verità della universale lotta per l'esistenza, ma è estremamente
difficile, come io almeno trovai, di conservare sempre presente allo spirito
questa legge. Eppure, se non ce la imprimeremo bene nella mente, intravvederemo
solo confusamente, o anche non comprenderemo affatto, l'intera economia della
natura con tutti i suoi fenomeni di distribuzione, di rarità, d'abbondanza,
d'estinzione e di variazione. Noi vediamo l'aspetto della natura brillare di
prosperità, e vi ravvisiamo una sovrabbondanza di nutrimento; noi dimentichiamo
che la maggior parte di tanti uccelli che cantano intorno a noi, vivono solo
d'insetti o di sementi, e per conseguenza distruggono continuamente altri esseri
viventi; oppure noi non riflettiamo che questi cantatori, o le loro uova, o
la loro covata, sono distrutti da uccelli od altri animali rapaci; e noi non
pensiamo sempre che se in certi istanti essi hanno un nutrimento eccedente,
ciò non avviene in tutte le stagioni dell'anno.
IL TERMINE "LOTTA PER L'ESISTENZA" DEVE IMPIEGARSI
IN UN SENSO LARGO
Qui io debbo premettere che adopero il termine lotta per l'esistenza in un senso largo e metaforico, comprendente le relazioni di mutua dipendenza degli esseri organizzati, e (ciò che più monta) non solo la vita dell'individuo, ma le probabilità di lasciare una posterità. Può con sicurezza asserirsi che in un'epoca di carestia due cani lotteranno fra loro per carpirsi il nutrimento necessario alla vita. Una pianta al confine d'un deserto deve lottare contro la siccità, anzi più acconciamente potrebbe dirsi che essa dipende dall'umidità. Di una pianta che produce annualmente un migliaio di semi, de' quali in media uno solo giunge a maturità, può dirsi più veramente che deve lottare contro le piante di specie simili o diverse, che già ricuoprono il terreno. Il vischio dipende dal pomo e da alcuni altri alberi; in senso assai lato, egli lotta contro di essi; perchè se un numero troppo grande di questi parassiti si sviluppa sul medesimo albero, questo deperisce e muore. Parecchie sementi di vischio, che crescono vicine sul medesimo ramo, al certo lottano fra loro. Il vischio poi dipende inoltre dagli uccelli, perchè viene sparso dai medesimi; e può dirsi per metafora che egli lotta con altre piante, offrendo come queste i suoi semi all'appetito degli uccelli, affinchè essi li spargano a preferenza di quelli d'altre specie. In tutti questi vari significati che si trasfondono insieme, io adotto, per maggior comodo, il termine generale di lotta per l'esistenza.
PROGRESSIONE GEOMETRICA DI ACCRESCIMENTO
Questa lotta deriva inevitabilmente dalla rapida progressione,
colla quale tutti gli esseri organizzati tendono a moltiplicarsi. Ognuno di
questi esseri che, durante il corso naturale della sua vita, produce parecchi
semi ed uova, deve trovarsi esposto a cause di distruzione in certi periodi
della sua esistenza, in certe stagioni o in certi anni; altrimenti, per la legge
delle progressioni geometriche, la specie arriverebbe a un numero d'individui
sì enorme, che nessuna regione potrebbe bastare a contenerla. Quindi
nascendo un numero d'individui superiore a quello che può vivere, deve
certamente esistere una seria lotta per l'esistenza, sia fra gli individui della
medesima specie, sia fra quelli di specie diverse, oppure contro le condizioni
fisiche della vita. Questa è la dottrina di Malthus, applicata con maggior
forza a tutto il regno organico; perchè in questo caso non è possibile
un aumento artificiale di nutrimento, nè alcun prudente ritegno dal matrimonio.
Quantunque alcune specie siano attualmente in aumento, più o meno rapido,
altrettanto non avviene per tutte, giacchè il mondo allora non potrebbe
dar loro ricetto.
Non havvi alcuna eccezione alla regola generale che ogni essere organizzato
si propaga naturalmente, con una progressione tanto rapida, che la terra sarebbe
in breve coperta dalla discendenza di una sola coppia, se non intervenissero
cause di distruzione. Anche la specie umana, che si riproduce con tanta lentezza,
può raddoppiare di numero nell'intervallo di venticinque anni; e secondo
questa progressione, basterebbero poche migliaia d'anni perchè non rimanesse
più posto per la sua progenie. Linneo ha calcolato che se una pianta
annua producesse soltanto due semi (nè si conosce pianta così
poco feconda), e questi dessero altri due semi nell'anno seguente per ciascuno
e così via via, in soli vent'anni la specie possederebbe un milione d'individui.
Sappiamo che l'elefante è il più lento a riprodursi fra tutti
gli animali conosciuti; ed ho cercato di valutare al minimum la probabile progressione
del suo accrescimento. Si rimane al disotto della verità coll'ammettere
ch'egli si propaga dall'età di trent'anni e continua fino all'età
di novant'anni, dando in questo intervallo tre coppie di figli. Ora, in questa
ipotesi, dopo cinquecento anni vi sarebbero quindici milioni di elefanti, derivati
tutti da una prima coppia.
Ma noi abbiamo prove migliori di questa legge, oltre i calcoli puramente teorici:
e lo sono specialmente i casi frequenti di moltiplicazione prodigiosamente rapida
degli animali allo stato selvaggio, quando le circostanze sono loro favorevoli
solo per due o tre stagioni successive. L'esempio di parecchie delle nostre
razze domestiche che di nuovo divennero selvagge, in varie parti del mondo,
è ancora più notevole. Se i fatti constatati nell'America del
Sud, ed ultimamente in Australia, dell'aumento e della lenta moltiplicazione
de' buoi e dei cavalli, non fossero perfettamente autentici, sarebbero incredibili.
Avviene altrettanto delle piante: si ponno citare delle piante introdotte in
certe isole, nelle quali divennero comuni in meno di dieci anni. Diverse piante,
come il cardo de' lanaiuoli, e il cardone, che sono ora estremamente comuni
nelle vaste pianure della Plata, ov'esse ricoprono molte leghe quadrate di superficie,
escludendo quasi tutte le altre piante, furono colà recate dall'Europa;
e il dott. Falconer mi disse che nell'India certe piante, che oggi si estendono
dal capo Comorin fino all'Himalaia, furono importate dall'America dopo la scoperta
di questa. In questi casi diversi e negli esempi infiniti che potrebbero citarsi,
niuno ha mai supposto che la fecondità di queste piante o di questi animali
si fosse aumentata improvvisamente e temporariamente in un modo sensibile. La
sola spiegazione soddisfacente di questo fatto sta nell'ammettere che le condizioni
della vita furono molto favorevoli, che conseguentemente si ebbe una minore
distruzione di individui vecchi e giovani, e che quasi tutti i discendenti poterono
prolificare. In questi casi, la ragione geometrica della moltiplicazione, il
risultato della quale è sorprendente, spiega l'aumento straordinario
e la diffusione immensa di queste specie naturalizzate nella nuova loro patria.
Allo stato naturale quasi tutte le piante producono annualmente semi, e fra
gli animali hannovene pochi che non s'accoppiino ogni anno. Si può inferirne
con piena sicurezza che tutte le piante e tutte le specie d'animali tendono
a moltiplicare in ragione geometrica, che ciascuna specie basterebbe a popolare
rapidamente il paese, nel quale essa può vivere, e che la loro tendenza
ad aumentare secondo una progressione geometrica deve necessariamente essere
frenata da cagioni distruttrici, in qualche periodo della loro esistenza. Noi
potremmo essere indotti in errore dall'asserta cognizione de' nostri maggiori
animali domestici, siccome non li vediamo esposti a grandi pericoli; ma dimentichiamo
che se ne uccidono ogni anno delle migliaia per nutrimento dell'uomo, e che
anche allo stato di natura sarebbe d'uopo che altrettanti perissero in qualche
modo.
La sola differenza fra gli organismi che producono annualmente uova o semi a
migliaia e quelli che ne producono assai pochi consiste nel richiedersi, pei
riproduttori più lenti, alcuni anni di più onde popolare un'intiera
contrada per quanto estesa, sotto circostanze favorevoli. Il condor depone due
uova, e lo struzzo una ventina; nondimeno in uno stesso paese il condor può
essere la specie più numerosa delle due. Il fulmar procellaria (Procellaria
glacialis) non fa che un uovo solo, eppure fra gli uccelli è creduta
la specie più ricca del mondo. Una mosca depone centinaia d'uova, e un'altra,
l'ippibosca, ne depone uno solo; ma questa differenza non decide affatto del
numero d'individui delle due specie che un medesimo distretto può nutrire.
Una grande quantità di uova è di qualche importanza per quelle
specie, le quali nutronsi di alimenti che variano rapidamente nella quantità,
perchè la moltiplicazione deve aver luogo in breve tempo. Ma il vantaggio
reale che esse ricavano da un gran numero d'uova o di semi sta nel poter combattere
contro le grandi cause di distruzione, ad una certa epoca dell'esistenza; epoca
in molti casi più o meno affrettata. Se un animale è capace di
proteggere le sue uova o i suoi piccoli, egli può procrearne soltanto
un numero ristretto e però il contingente medio della specie rimarrà
al completo; ma se molte uova o molti figli sono esposti ad essere distrutti,
è necessario che se ne produca una grande quantità, altrimenti
la specie si estinguerebbe. Se una specie d'alberi vive in media mille anni,
per mantenere al completo il numero degli individui di essa, basterebbe che
un solo seme fosse formato ogni migliaio di anni, posto che questo seme non
venisse mai distrutto e germogliasse tranquillamente in luogo adatto. Così
che in ogni caso il numero medio d'ogni specie animale o vegetale dipende solo
indirettamente dal numero delle uova o dei semi.
Quando osservasi la natura, è necessario sopra tutto d'aver sempre presente
allo spirito che ogni singolo organismo che ci circonda, deve riguardarsi come
tutto intento ad accrescersi in numero; che ogni essere non vive che in seguito
a una lotta sostenuta in qualche periodo della sua vita; e che giovani e vecchi
vanno incontro inevitabilmente a una grande distruzione durante ogni generazione,
oppure solamente ad intervalli periodici. Se l'ostacolo al moltiplicarsi diminuisca
o si mitighino le cause di distruzione, anche in menomo grado, il numero degli
individui si accrescerà quasi istantaneamente.
NATURA DEGLI OSTACOLI ALL'ACCRESCIMENTO
Le cause che si oppongono alla tendenza naturale delle specie
di moltiplicarsi sono molto oscure. Quanto più una specie è vigorosa,
più facilmente si moltiplica, e cresce anche la sua tendenza a moltiplicarsi.
Noi non conosciamo esattamente niuno degli ostacoli che inceppano la tendenza
a moltiplicarsi, nè dobbiamo farne le meraviglie se riflettiamo alla
nostra grande ignoranza in ciò, anche per quanto riguarda l'uomo, che
noi conosciamo per altro meglio di qualunque altra specie. Parecchi autori hanno
trattato abilmente questo soggetto; e nel mio prossimo lavoro io discuterò
a lungo alcuni di questi impedimenti, segnatamente riguardo agli animali carnivori
dell'America del Sud. Io qui voglio fare soltanto poche osservazioni per richiamare
alla mente del lettore certi punti principali. Generalmente sembra che siano
le uova o i piccoli degli animali che debbano soffrire maggiormente; questa
regola però non è senza eccezione. Fra le piante havvi una enorme
distruzione di semi; ma dietro alcune osservazioni da me fatte, ritengo che
le piante giovani debbano soffrire assai più, quando crescono in un terreno
riccamente fornito di altre piante. Le pianticelle hanno anche a temere molti
nemici; così sopra una superficie di tre piedi in lunghezza per due di
larghezza, ben vangata e purgata, osservai tutti i germi delle nostre erbe locali
di mano in mano che pullulavano, e di 357 che io contai, non meno di 295 furono
distrutti, principalmente dalle lumache e dagli insetti. Se si lasci crescere
un prato che fu segato, oppure che servì di pascolo ai mammiferi, le
piante più vigorose distruggono a poco a poco le più deboli, anche
se siano pienamente sviluppate. Sopra venti specie che crescono in un piccolo
spazio erboso (di tre piedi per quattro), nove muoiono così fra le altre
che si svilupparono liberamente.
La quantità del nutrimento conveniente ad ogni specie contrassegna quindi
naturalmente l'estremo limite del suo aumento; pure di sovente non è
la privazione di nutrimento, ma la circostanza di servire di preda ad altri
animali, che determina il numero medio degli individui di una specie. Così
non puossi dubitare che la quantità delle pernici, dei galli selvatici
e delle lepri che vivono sopra una vasta estensione non dipenda essenzialmente
dalla distruzione dei piccoli carnivori. Se per venti anni non si uccidesse
un solo capo di selvaggina in Inghilterra e che inoltre nessuno di questi carnivori
fosse distrutto, probabilmente il selvatico sarebbe più raro che oggi
non sia; eppure questi animali vengono ammazzati annualmente a centinaia e migliaia.
D'altra parte in certi casi, come nel caso dell'elefante, nessun individuo della
specie diventa vittima di fiere; perchè perfino il tigre l'India non
ardisce che rarissimamente di attaccare un elefante giovane, protetto da sua
madre.
Il clima esercita una influenza importante nella determinazione del numero medio
degli individui d'ogni specie, e il ritorno periodico di stagioni molto fredde
o molto secche pare l'ostacolo più forte alla loro moltiplicazione. Ho
calcolato (principalmente dal numero ristrettissimo dei nidi di primavera) che
l'inverno 1854-55 distrusse i 4/5 degli uccelli sulle mie terre; vedesi che
questa è una somma di distruzione spaventosa, quando si pensi che nelle
epidemie umane una mortalità del dieci per cento è straordinaria.
L'azione del clima pare a prima vista affatto indipendente dalla lotta per l'esistenza;
ma il clima, potendo produrre principalmente una diminuzione di nutrimento,
può cagionare una lotta intensa fra gli individui della medesima specie
o di specie diversa, che vivono degli stessi alimenti. E quando il clima agisce
direttamente, come ad esempio durante un freddo eccessivo, quelli che maggiormente
ne soffrono sono gli individui meno vigorosi, ossia quelli che non seppero procurarsi
una sufficiente quantità di nutrimento. Quando si viaggia dal Sud al
Nord, oppure allorchè da una regione umida si passa ad un paese secco,
si osserva invariabilmente che alcune specie divengono sempre più rare
e finiscono collo scomparire interamente; e il cambiamento di clima essendo
ciò che più ci colpisce dapprima, noi ci sentiamo propensi ad
attribuire pienamente questa scomparsa alla sua azione diretta. Ma questa induzione
è falsa; noi dimentichiamo infatti che ogni specie, anche nei luoghi
in cui è più sparsa, subisce sempre una forte distruzione in certe
fasi della vita e per opera dei loro nemici e dei loro competitori che lottano
per occupare il medesimo luogo, o per valersi degli stessi alimenti. Se questi
nemici o questi competitori sono appena favoriti da un leggero cambiamento di
clima, aumentano di numero, e per essere ogni paese popolato da un sufficiente
numero di abitanti, le altre specie debbono diminuire. Se viaggiando verso il
mezzogiorno noi vediamo che una specie decresca, possiamo andare sicuri che
la causa sta nell'essere le altre specie favorite, piuttosto che nel trovarsi
questa sola danneggiata. Così dicasi se noi ci dirigiamo verso il Nord,
ma in grado un po' minore, perchè il numero totale delle specie, e per
conseguenza dei competitori, diminuisce verso il Nord. Quindi procedendo verso
settentrione, o ascendendo una montagna, noi ci abbattiamo più spesso
in quelle forme stentate che sono dovute direttamente all'azione malefica del
clima, al contrario di quanto avviene nel volgere a mezzogiorno, o nel discendere
da una montagna. Quando si giunge alle regioni artiche, quelle delle nevi eterne
o dei veri deserti, la lotta per l'esistenza non si verifica che contro gli
elementi.
Una prova evidente che il clima agisce soprattutto in modo indiretto, col favorire
certe specie, ci viene fornita dal vedere nei nostri giardini una prodigiosa
quantità di piante che sostengono perfettamente il nostro clima; mentre
non potrebbero mai prosperarvi allo stato naturale, perchè inette a sostenere
la lotta colle nostre piante indigene o a difendersi efficacemente dai nostri
animali.
Quando, in seguito a circostanze assai favorevoli, una specie si moltiplica
straordinariamente in un luogo assai ristretto, spesso si manifestano delle
epidemie; almeno ciò venne generalmente constatato nei nostri animali
selvatici. Questo è dunque un impedimento non dipendente dalla lotta
per l'esistenza. Ma alcune di queste epidemie sembrano originate da vermi parassiti,
i quali furono sproporzionatamente favoriti da una causa qualsiasi o dalla maggiore
facilità di moltiplicarsi fra animali più affollati; e anche in
questo caso havvi una certa lotta fra i parassiti e la loro preda.
D'altra parte succede frequentemente che una grande quantità di individui
di una specie, relativamente al numero de' suoi nemici, è necessaria
per la sua conservazione. Così noi possiamo ottenere una quantità
grande di cereali, di ravizzi, ecc., nei nostri campi, perchè la semente
trovasi in eccesso riguardo al numero degli uccelli che se ne cibano; e tuttavia
questi uccelli, anche avendo in una stagione sovrabbondanza di nutrimento, non
ponno crescere in numero proporzionatamente a questo nutrimento, perchè
questo numero viene limitato nella stagione invernale. Ma tutti sanno quanto
difficile sia l'ottenere del seme da pochi grani di frumento o d'altre piante
simili in un giardino: in tal caso io perdetti ogni volta i grani seminati isolatamente.
Questa necessità d'una grande massa di individui per la conservazione
della specie spiega, a mio avviso, alcuni fatti singolari nella natura; p. es.,
alcune piante rarissime sono molto abbondanti nei pochi punti in cui si trovano:
inoltre le piante sociali rimangono tali, cioè abbondanti pel numero
degli individui, anche agli estremi confini della loro regione. Si può
pensare in questi casi che una pianta sarebbe esistita solamente in quel luogo,
in cui le condizioni della vita le riescissero vantaggiose, in modo che molte
esistessero insieme, per salvarsi così dall'intera distruzione. Debbo
aggiungere che i benefici effetti degli incrociamenti frequenti e gli effetti
dannosi delle fecondazioni fra individui molto affini, hanno pure la loro influenza
in questa circostanza; ma non voglio estendermi qui sopra questa scabrosa questione.
RAPPORTI COMPLESSI DEGLI ANIMALI E DEI VEGETALI
NELLA LOTTA PER L'ESISTENZA
Molti fatti dimostrano quanto siano complesse ed impreviste
le mutue relazioni e gli ostacoli fra gli esseri organizzati, che debbono lottare
insieme in un medesimo paese. Voglio addurne un esempio che, quantunque semplice,
mi ha offerto molto interesse. Nella contea di Stafford, in una possidenza in
cui io godevo di molti mezzi d'investigazione, eravi una landa vasta e assai
sterile che mai era stata dissodata dall'uomo; ma parecchie centinaia di acri
di quel terreno erano stati cinti con una siepe venticinque anni prima, e vi
erano stati piantati dei pini di Scozia. Il cambiamento della vegetazione indigena
della porzione della landa piantata era assai notevole e più rilevante
di quello che si osserva generalmente passando da un terreno ad un altro affatto
diverso; e non solo il numero proporzionale delle ceppaie era completamente
cambiato, ma dodici specie di piante, senza tener conto delle graminacee e delle
caricee, prosperavano nella piantagione e non si trovavano nella landa. L'effetto
prodotto sugli insetti deve essere stato anche maggiore, perchè sei specie
di uccelli insettivori erano comuni nella piantagione e non abitavano la landa,
che al contrario era frequentata da due o tre altre specie d'uccelli insettivori.
Vediamo quindi quali effetti rilevanti abbia prodotto l'introduzione di un solo
albero; null'altro essendosi fatto che cingere di siepi la terra piantata, affinchè
il bestiame non potesse entrarvi. Ma io potei verificare con evidenza, presso
Farnham nel Surrey, quanto importi il recinto in tal caso. Colà stendonsi
vaste lande sparse di alcuni ceppi di vecchi pini di Scozia, che ornano la vetta
delle colline. Negli ultimi dieci anni essendosi cinti di siepi vasti spazi,
i pini vi sparsero da sè i propri semi; ed ora vi crescono in gran numero
e tanto fitti, che non tutti possono vivere. Quando io mi fui accertato che
quei giovani alberi non vi erano stati seminati, nè piantati, rimasi
tanto più sorpreso del loro numero, in quanto che vidi centinaia d'acri
di landa libera, ove non potei contare un solo pino, ad eccezione dei ceppi
piantati anticamente. Frattanto osservando più da vicino fra i fusti
della landa libera, trovai una moltitudine di pianticelle e di piccoli alberi
ch'erano continuamente sfruttati dai bestiami. In uno spazio della grandezza
di un metro quadrato, alla distanza di poche centinaia di passi dalle antiche
macchie, io numerai trentadue di questi alberetti, ed uno di essi, nel quale
contavansi ventisei anelli di sviluppo, aveva cercato per altrettanti anni di
alzare la sua cima sopra le piante della landa, indi era perito. Non è
dunque a stupire che la terra, appena cinta di siepi, venisse ricoperta di pineti
folti e vigorosi. Tuttavia questa landa era tanto sterile ed estesa, che niuno
avrebbe mai immaginato che il bestiame potesse cercarvi con tanta frequenza
e con tanto successo il nutrimento.
Qui noi abbiamo veduto il bestiame decidere assolutamente dell'esistenza del
pino di Scozia; ma in diverse contrade certi insetti determinano l'esistenza
del bestiame. Il Paraguay offre forse uno degli esempi più curiosi di
questo fatto. In quel paese nè il bue, nè il cavallo, nè
il cane sono ridivenuti selvaggi, quantunque lo siano verso il Nord e verso
il Sud. Ora Azara e Rengger hanno provato che ciò dipende da una certa
mosca, comune in quella regione, la quale depone le sue uova nell'ombelico di
questi animali appena nati. L'accrescimento di quelle mosche, per quanto numerose,
dev'essere generalmente limitato con qualche mezzo e probabilmente da altri
insetti parassiti. Ne segue che ove certi uccelli insettivori diminuissero nel
Paraguay, gli insetti parassiti nemici delle mosche aumenterebbero; per cui
facendosi minore il numero di queste ultime, esse non impedirebbero ai buoi
e ai cavalli di vivere allo stato selvaggio. Ora dietro le osservazioni che
potei fare nell'America meridionale, l'esistenza del bestiame allo stato di
natura modificherebbe profondamente la vegetazione. Questa modificazione colpirebbe
in alto grado gl'insetti, i quali reagirebbero sugli uccelli insettivori, come
abbiamo visto verificarsi nella contea di Stafford; e così procedendo
l'effetto si accrescerebbe sempre più in cerchi vieppiù complicati.
Noi avevamo cominciato questa serie cogli uccelli insettivori, e l'abbiamo compiuta
ritornando ai medesimi. Ma non è a credere che nella natura tutti i rapporti
scambievoli siano tanto semplici. Continue battaglie hanno luogo con successi
diversi, e tuttavia l'equilibrio delle forze è mantenuto con tanta perfezione,
nel corso dei tempi, che l'aspetto della natura rimane inalterato, per lunghi
periodi, benchè sovente basti la menoma circostanza per dare la vittoria
a un essere organizzato sopra un altro. Però la nostra ignoranza e la
nostra presunzione sono tali che noi ci facciamo le meraviglie per la estinzione
di una specie; e non ravvisandone la causa, invochiamo i cataclismi a desolare
il mondo, o inventiamo delle leggi sulla durata delle forme viventi!
Sono tentato di dare ancora un esempio, per provare che le piante e gli animali
più lontani nella scala naturale sono collegati da una rete di rapporti
complessi. Più innanzi io avrò occasione di notare che la Lobelia
fulgens esotica non è mai visitata dagli insetti in questa parte dell'Inghilterra;
e che in seguito alla sua particolare conformazione non può mai produrre
alcun seme. La visita delle farfalle è assolutamente necessaria a molte
delle nostre orchidee per spandere il loro polline e fecondarle. Abbiamo esperienze
che ci convincono che i pecchioni sono quasi indispensabili alla fecondazione
della viola del pensiero (Viola tricolor), perchè le altre api non vi
si arrestano. Ho anche scoperto che parecchie specie di trifoglio richieggono
la visita delle api per divenire feconde: per esempio, 20 capi di trifoglio
olandese (Trifolium repens) diedero 2290 semi, mentre 20 altri individui di
questa specie, inaccessibili alle api, non ne diedero uno solo. Così
100 piante di trifoglio rosso (Trifolium pratense) produssero 2700 semi, ma
altrettante pianticelle difese dalle api non diedero semente di sorta. I soli
pecchioni visitano il trifoglio rosso; le altre api non ne possono suggere il
nèttare. Si è sostenuta l'idea che le falene potessero cooperare
alla fecondazione dei trifogli; ma io dubito che ciò sia possibile pel
trifoglio rosso, giacchè il loro peso non basta a deprimere i petali
della corolla. D'onde può inferirsi che se l'intero genere dei pecchioni
divenisse molto raro o si estinguesse in Inghilterra, probabilmente la viola
del pensiero ed il trifoglio rosso diminuirebbero assai o scomparirebbero interamente.
Il numero dei pecchioni in qualsiasi regione dipende in gran parte dal numero
dei topi campagnoli che distruggono i loro favi e i loro nidi; e M. H. Newmann,
che osservò lungamente le abitudini dei pecchioni, crede che "più
di due terzi di questi sono così distrutti in Inghilterra". Ora
il numero dei topi dipende principalmente, come tutti sanno, dal numero dei
gatti; e il sig. Newmann dice che presso i villaggi e le borgate egli ha trovato
i nidi dei pecchioni in maggior copia che altrove, il che egli attribuisce al
gran numero dei gatti che distruggono i topi campagnoli. È dunque credibilissimo
che la presenza di un numero di animali felini in un distretto, determini, mediante
l'intervento dei sorci e delle api, la quantità di certi fiori nel distretto
stesso.
La moltiplicazione di ogni specie è dunque sempre inceppata da diverse
cause, che agiscono in vari periodi della vita e nelle differenti stagioni dell'anno;
alcune sono più efficaci, ma tutte concorrono a determinare il numero
medio degli individui od anche l'esistenza della specie. In alcuni casi si può
dimostrare che in diverse regioni agiscono cause diverse sopra le medesime specie.
Quando si considerano le piante e gli arbusti che coprono un terreno incolto,
siamo indotti ad attribuire il loro numero proporzionale e le loro specie a
ciò che chiamiamo il caso. Ma quanto falsa è questa opinione!
Quando si atterra una foresta americana sappiamo che sorge una vegetazione diversissima;
pure si è notato che le antiche rovine indiane del mezzogiorno degli
Stati Uniti, che un tempo erano state spogliate dei loro alberi, spiegano al
presente la medesima meravigliosa diversità e proporzione di razze, quale
è quella delle vergini boscaglie vicine. Quale tenzone deve essersi continuata
per lunghi secoli fra le differenti specie di alberi, quando ciascuna spande
annualmente i propri semi a migliaia! Quale guerra degli insetti contro altri
insetti; degli insetti, lumache ed altri animali contro gli uccelli e gli animali
rapaci! Tutti sforzandosi di moltiplicare e tutti nutrendosi gli uni degli altri
o cibandosi a spese degli alberi, dei loro semi, dei loro pollini o d'altre
piante che prima coprivano la terra e impedivano conseguentemente lo sviluppo
degli alberi! Che si getti in aria un pugno di penne e ognuna ricadrà
al suolo secondo leggi definite; ma quanto è semplice il problema della
loro caduta in confronto di quello delle azioni e reazioni delle piante ed animali
innumerevoli che nel corso dei secoli determinarono i numeri proporzionali e
le specie degli alberi che ora crescono sulle rovine indiane!
La dipendenza di un essere organico da un altro, come quella del parassita rispetto
alla sua preda, si manifesta generalmente fra esseri molto lontani fra loro
nella scala naturale. Tale è spesso il caso di quelli che si possono
riguardare con ragione in lotta fra loro per l'esistenza, come nel caso delle
locuste e dei mammiferi erbivori. Ma quasi sempre la lotta è anche molto
più viva fra gl'individui della medesima specie, dovendo essi frequentare
i medesimi distretti, esigere il medesimo nutrimento e trovarsi esposti ad uguali
pericoli. Nelle varietà di una stessa specie la lotta deve essere in
generale quasi ugualmente seria e noi spesso vediamo la vittoria decisa presto;
se ad esempio parecchie varietà di grano sono seminate insieme e se la
semente mescolata viene seminata di nuovo, quelle varietà che meglio
convengono al suolo e al clima e che naturalmente sono le più feconde
hanno il sopravvento, danno semi in maggior quantità e soppiantano in
breve tutte le altre. Per mantenere un miscuglio di varietà estremamente
affini, come i piselli odorosi di colori diversi, è necessario raccoglierli
ogni anno separatamente e mescolarne la semente in proporzione conveniente;
altrimenti le varietà più deboli diminuiscono rapidamente e costantemente,
fino a scomparire del tutto. Così avviene delle varietà di pecore;
si è osservato che certe varietà di montagna cagionano l'estinzione
di altre varietà, così che non possono tenersi frammiste nei medesimi
pascoli. Il medesimo effetto si è veduto nelle diverse varietà
di sanguisughe medicinali, che stanno negli stessi serbatoi. Potrebbe dubitarsi
che tutte le varietà delle nostre piante coltivate e dei nostri animali
domestici abbiano con tanta esattezza lo stesso vigore, le stesse abitudini
e una identica costituzione, e che le proporzioni primitive di un miscuglio
possano mantenersi per una mezza dozzina di generazioni, se nulla contrasta
la lotta che avrà luogo fra di esse, come fra le razze selvagge, e se
i semi od i figli non sono assortiti annualmente.
LA LOTTA PER L'ESISTENZA È PIÙ SEVERA FRA GLI
INDIVIDUI
E LA VARIETÀ DI UNA MEDESIMA SPECIE
Siccome le specie del medesimo genere hanno abitualmente, ma
non invariabilmente, alcune rassomiglianze nelle loro abitudini e nella loro
costituzione e sempre nella loro struttura, così la lotta è in
generale più accanita fra queste specie prossime, quando entrano in concorrenza,
di quello che fra le specie di generi diversi. Noi vediamo un esempio di questa
legge nella recente estensione, in alcune provincie degli Stati Uniti, d'una
specie di rondini, che ha cagionato la decadenza di un'altra specie. Il recente
aumento del tordo maggiore in certe parti della Scozia produsse la crescente
rarità del tordo bottaccio. Avviene assai spesso che una specie di ratti
prenda il posto di un'altra in climi diversissimi. In Russia, la piccola blatta
d'Asia ha cacciato davanti a sè dappertutto la sua grande congenere.
Nell'Australia la nostra ape domestica, colà introdotta, va distruggendo
la piccola ape indigena che è priva di aculeo. Una specie di senape ne
soppianta un altra, e così in altri casi. Noi possiamo intendere a un
dipresso perchè la lotta sia più viva fra le forme affini, che
riempiono quasi lo stesso posto nell'economia della natura; pure è probabile
che noi non sapremmo dire in un caso solo precisamente il perchè una
specie abbia riportato la vittoria contro un'altra nella grande battaglia della
vita.
Un corollario della più alta importanza può dedursi dalle considerazioni
che precedono: ed è che la struttura di ogni essere organizzato trovasi
in una necessaria dipendenza, spesso assai difficile a scoprirsi, da quella
di altri esseri organizzati che gli fanno concorrenza pel nutrimento o per l'abitazione,
che sono la sua preda, oppure dai quali egli deve difendersi. Questa legge è
evidente nella conformazione dei denti e delle unghie della tigre e in quella
dei piedi e degli uncini dell'insetto parassita che si attacca ai peli del suo
corpo. Ma il seme elegantemente piumato del dente-leone, come i piedi appianati
e frangiati dei coleotteri acquatici, sembrano soltanto in relazione diretta
coi mezzi ambienti, cioè coll'aria e coll'acqua. Però i pappi
piumosi sono senza dubbio un vantaggio, quando il terreno è già
ben dotato d'altre piante; perchè il seme può allora più
facilmente spandersi da lungi, con maggiori probabilità di cadere sopra
un suolo non occupato. Nei coleotteri acquatici, la struttura del piede si adatta
per tuffarsi nell'acqua, permette loro di sostenere la lotta contro altri insetti,
di predare facilmente la loro vittima e di sfuggire al pericolo di divenire
preda di altri animali.
La quantità di sostanze nutrienti, contenute nei semi di molte piante,
sembra sulle prime senza alcun rapporto diretto colle altre piante; ma lo sviluppo
vigoroso che manifestano i piccoli germogli sbucciati da tali semi (come i piselli
e le fave), quando crescono nel mezzo dell'erba alta, può far supporre
che il nutrimento contenuto nel seme abbia per iscopo principale di accelerare
lo sviluppo della pianta giovane, mentre essa lotta con altre specie che vegetano
vigorosamente intorno a lei.
Per qual motivo ogni pianta non moltiplica nel mezzo della sua regione naturale,
fino a raddoppiare o quadruplicare il numero dei suoi individui? Noi sappiamo
ch'essa può sopportare perfettamente un po' più di calore o di
freddo, di umidità o di siccità, mentre altrove, essa cresce in
luoghi più caldi o più freddi, più umidi o più secchi.
Ma allora è evidente che se la nostra immaginazione suppone in una pianta
la facoltà di aumentare nel numero, dovrà ammettere altresì
qualche vantaggio sui suoi concorrenti o sugli animali che di essa si nutrono.
Su confini della posizione geografica un cambiamento di costituzione in relazione
al clima le tornerebbe utile certamente; ma noi siamo indotti a credere che
soltanto un piccolissimo numero di piante o d'animali s'estendano tanto da essere
distrutti pel solo rigore del clima. Soltanto agli estremi confini della vita,
nelle regioni artiche o sui limiti d'un deserto, cessa la lotta. E quando la
terra sia molto fredda, o molto secca, vi sarà tuttavia una contesa fra
alcune specie rare, e da ultimo fra gli individui della medesima specie nei
luoghi più umidi e più caldi.
Dal che si deduce, che se una pianta o un animale si trovi in una nuova regione,
in mezzo a nuovi competitori, anche se il clima sia perfettamente identico a
quello dell'antica patria, le condizioni d'esistenza della specie sono generalmente
modificate in un modo essenziale. Se noi vogliamo accrescere, nella sua nuova
patria, il numero medio de' suoi individui, dovremo cercare di modificarli secondo
una direzione diversa da quella che avremmo adottata per ottenere un risultato
simile nel loro paese nativo; mentre sarebbe d'uopo procurare ai medesimi qualche
vantaggio sopra una serie di competitori o di nemici affatto differenti.
Ma quanto è agevole dare così astrattamente a una forma qualsiasi
certi vantaggi sulle altre, altrettanto sarebbe difficile probabilmente nella
pratica il dire ciò che sarebbe a farsi nelle singole occasioni, e come
si potrebbe riuscire. Ciò finirebbe per convincerci della nostra ignoranza
rispetto ai mutui rapporti degli esseri organizzati; convinzione necessaria
sebbene difficile a conseguirsi. Non ci rimane che quella considerazione, che
deve costantemente aversi presente allo spirito, cioè che tutti gli esseri
viventi tendono sempre a moltiplicare in ragione geometrica, che ognuno deve
lottare contro moltissime cause distruttrici in periodi determinati della vita,
in certe stagioni dell'anno, pel corso di ogni generazione o ad intervalli periodici.
Quando noi pensiamo con tristezza a questa lotta, possiamo consolarci con la
piena convinzione che la guerra della natura non è continua, che lo scoraggiamento
ne è bandito, che la morte è in generale assai pronta, e che sono
gli esseri più vigorosi, più sani e più abili che sopravvivono
e si moltiplicano.
CAPO IV
ELEZIONE NATURALE,
O SOPRAVVIVENZA DEL PIÙ ADATTO
Elezione naturale; confronto del suo potere col potere elettivo dell'uomo - Sua azione sopra caratteri di poca importanza - Sua forza in ogni età e sui due sessi - Elezione sessuale - Della generalità degli incrociamenti fra individui della medesima specie - Circostanze favorevoli e contrarie all'elezione naturale, come gli incrociamenti, l'isolamento o il numero degli individui - Azione lenta - Estinzione prodotta dall'elezione naturale - Divergenza dei caratteri in relazione colla diversità degli abitanti d'ogni regione ristretta e colla naturalizzazione - Effetti dell'elezione naturale sui discendenti di un comune progenitore per la divergenza dei caratteri e l'estinzione delle specie - Essa spiega la classificazione degli esseri organizzati - Progressi dell'organizzazione - Persistenza delle forme inferiori - Convergenza dei caratteri - Moltiplicazione infinita delle specie - Sommario.
La lotta per l'esistenza, da noi troppo brevemente discussa
nel capo precedente, come agisce rispetto alla variabilità? Può
forse applicarsi allo stato di natura il principio di elezione, che noi vedemmo
essere tanto potente nelle mani dell'uomo? Noi potremo, io credo, convincerci
che questo principio agisce molto efficacemente. Noi ricordiamo il numero infinito
di varietà ottenute fra le nostre produzioni domestiche, come pure le
variazioni meno apparenti delle razze selvagge, e sappiamo quanta sia la forza
delle tendenze ereditarie. Può dirsi che allo stato di domesticità
e coltivazione 1'intera organizzazione diviene in qualche modo plastica. Ma
come osservarono giustamente Hooker ed Asa Gray, le variazioni che si verificano
generalmente nei nostri prodotti domestici non si creano direttamente dall'uomo;
noi non possiamo dare origine alle varietà, nè impedire che si
producano, solo rimane in nostra facoltà il conservare ed accumulare
quelle che troviamo. Senza alcuna intenzione noi esponiamo gli esseri organizzati
a nuove e incostanti condizioni di vita e ne seguono delle variazioni; ma cangiamenti
simili nelle condizioni della vita possono avvenire allo stato di natura. Riflettiamo
inoltre quanto siano intralciate e complesse le mutue relazioni degli esseri
organizzati fra loro e colle condizioni fisiche della vita; e quante differenze
infinitamente varie di struttura possano divenire utili ad ogni essere nelle
varie condizioni di vita. Se si rifletta come nascano variazioni utili all'uomo,
sarà forse improbabile che, nel corso di parecchie migliaia di generazioni
successive, avvengano alle volte altre variazioni utili agli esseri stessi nella
grande e complicata lotta della vita? Ove queste variazioni si manifestino (posta
la verità del fatto che nascono sempre individui in maggior numero di
quanti possano vivere), non potrebbe aversi dubbio alcuno che gli individui
dotati di qualche naturale vantaggio, comechè leggero, non abbiano maggiore
probabilità di sopravvivere e di propagare la loro razza. D'altra parte
non è meno certo che qualunque deviazione, per poco sia nociva agli individui
nei quali si produce, sarà cagione inevitabile della loro distruzione.
Ora questa legge di conservazione delle variazioni favorevoli e d'eliminazione
delle deviazioni nocive, io la chiamo Elezione Naturale o sopravvivenza del
più adatto. Quelle variazioni, che non sono utili nè dannose non
possono essere affette da questa legge dell'elezione naturale, e rimangono un
elemento variabile, locchè noi osserviamo forse nelle specie dette polimorfiche;
oppure diventano alfine fisse, sia per la natura dell'organismo, sia per la
natura delle condizioni.
Parecchi scrittori hanno frainteso e condannato questo termine "Elezione
Naturale". Alcuni hanno immaginato che l'elezione naturale produca la variabilità,
mentre essa implica, solamente il mantenimento di variazioni nate accidentalmente,
quando siano vantaggiose agli individui nelle particolari loro condizioni di
vita. Niuno fa alcuna obiezione agli agricoltori quando parlano dei potenti
effetti della elezione sistematica dell'uomo; pure in tal caso le individuali
differenze prescelte dall'uomo per uno scopo prefisso, debbono di necessità
presentarsi prima, per opera della natura. Altri hanno opposto che la parola
Elezione suppone una scelta avvertita negli animali che cominciano a modificarsi;
e si è anche arguito che l'elezione naturale non è applicabile
alle piante perchè manca in esse la volontà! Certamente nel senso
letterale della parola l'Elezione naturale è un controsenso: ma chi ha
mai eccepito ai chimici che trattano delle affinità elettive i vari elementi?
Tuttavia non può dirsi strettamente che un acido elegga la base colla
quale si combina di preferenza. Si è asserito che io parlo dell'Elezione
naturale come di potere attivo o della Divinità; ma chi contrasta ad
un autore il dissertare dell'attrazione di gravità come regolatrice dei
moti planetari? Tutti sanno quale significato racchiudano queste espressioni
metaforiche, le quali sono pressochè indispensabili per la brevità
del dire. È anche estremamente difficile l'evitare la personificazione
della parola "Natura", ma per Natura io intendo solo l'azione combinata
e il risultato di molte leggi naturali; e per leggi la serie dei fatti quali
vennero da noi accertati. Queste obbiezioni superficiali sono senza portata
per chi ha un po' di conoscenza della cosa.
Noi intenderemo più facilmente l'andamento probabile dell'Elezione naturale,
prendendo il caso di un paese che stia per subire alcune fisiche mutazioni;
per esempio, un cambiamento di clima. I numeri proporzionali de' suoi abitanti
si altereranno quasi immediatamente; e alcune specie potranno estinguersi. Da
quanto abbiamo veduto sui rapporti intimi e complessi che legano gli abitanti
di una medesima contrada, possiamo inferire che ogni cambiamento nelle proporzioni
numeriche di alcuni di essi, indipendentemente dalla modificazione del clima,
influirebbe seriamente sulla maggior parte degli altri. Se la regione fosse
aperta ne' suoi confini, nuove forme al certo immigrerebbero; il che turberebbe
anche più gravemente le relazioni di alcuni degli abitanti primitivi.
E qui giova ricordare l'influenza dell'introduzione di un solo albero o di un
mammifero, già da noi notata. Ma nel caso di un'isola o di un paese parzialmente
cinto di barriere, che non potrebbero essere sorpassate da nuove forme e più
adatte, vi sarebbe posto nell'economia locale per quegli abitanti aborigeni
che venissero in qualche guisa a modificarsi; che se l'area fosse aperta all'immigrazione,
quello stesso posto si sarebbe occupato dagli intrusi. In tal caso ogni leggera
modificazione, che nel corso delle età potrebbe aver luogo, tenderebbe
a perpetuarsi quando fosse in alcun che vantaggiosa ad una delle specie, meglio
conformandola alle proprie condizioni alterate: e l'Elezione naturale avrebbe
così un vasto campo per l'opera di perfezionamento.
Noi abbiamo fondamento di ritenere, come si disse nel primo capo, che un cambiamento
nelle condizioni della vita, per la sua speciale azione sul sistema riproduttivo,
cagioni la variabilità o l'accresca; ora nel caso di cui si tratta, si
suppone che le condizioni di vita abbiano subìto alcune modificazioni,
e ciò sarebbe manifestamente favorevole all'elezione naturale, essendovi
maggiore probabilità di incontrare variazioni vantaggiose: mentre senza
queste variazioni favorevoli l'elezione naturale non può esercitarsi.
Non già che si renda necessaria una estrema congerie di variabilità,
ma come l'uomo può certamente ottenere grandi risultati accumulando,
solo in una determinata direzione, le differenze individuali, così l'elezione
naturale può agire e tanto più facilmente in quanto che dispone
di un tempo incomparabilmente più lungo. Inoltre io non credo che abbiano
a ricercarsi grandi mutamenti fisici, come di clima, o un grado inusitato di
isolamento ad impedire l'immigrazione, per produrre nuove lacune che l'elezione
naturale possa riempire col mezzo di qualche varietà perfezionata degli
antichi abitanti. Se tutti gli esseri viventi in ogni paese lottano costantemente
fra loro con forze quasi equilibrate, possono bastare modificazioni estremamente
insensibili di struttura o di abitudini in un abitante per assicurargli il vantaggio
sopra gli altri; altre modificazioni della stessa indole accresceranno maggiormente
questa preminenza, e ciò continuerà per tutto il tempo che esso
rimanga nelle identiche condizioni di vita e approfitti degli stessi mezzi di
sussistenza e di difesa. Non potrebbe nominarsi un solo paese, nel quale tutti
gli abitanti indigeni siano attualmente tanto adattati fra loro e alle condizioni
fisiche sotto le quali vivono, che niuno di essi possa in qualche parte perfezionarsi;
perchè in tutti i luoghi le produzioni native furono sì appieno
conquistate dalle produzioni naturalizzate, da permettere a queste specie forestiere
di prendere definitivamente possesso del suolo. Siccome le razze straniere hanno
così battuto da per tutto alcune delle razze indigene, noi possiamo concludere
con piena sicurezza che, se queste fossero state modificate in maniera più
vantaggiosa, esse avrebbero meglio resistito agli invasori.
Se l'uomo può produrre ed ha effettivamente prodotto sì grandi
risultati coi propri mezzi d'elezione metodica ed inconscia, che cosa non può
fare l'elezione naturale? L'uomo può agire solamente sui caratteri esterni
e visibili: la natura (ove mi si permetta di personificare così la preservazione
naturale degl'individui variabili e favoriti durante la lotta per l'esistenza)
non s'inquieta delle apparenze, salvo il caso in cui le medesime riescano utili
ad un essere. Essa può agire sopra ogni organo interno, sopra ogni più
piccola differenza di costituzione, sull'intero meccanismo della vita. L'uomo
sceglie colla sola vista del proprio interesse; la natura opera esclusivamente
pel bene dell'essere di cui si occupa. Ogni carattere prescelto viene pienamente
esercitato da essa; e l'essere trovasi posto nelle condizioni di vita più
opportune. L'uomo conserva in uno stesso paese individui appartenenti a climi
diversi; egli sviluppa di rado un organo qualunque in una maniera speciale e
conveniente; egli nutre cogli stessi cibi un colombo a becco lungo e un altro
a corto becco; egli non sottopone a un particolare trattamento un quadrupede
a dorso lungo ed un altro a gambe lunghe; egli tiene sotto il medesimo clima
le pecore di lana lunga e di lana corta. Egli non dà l'opportunità
ai maschi più vigorosi di lottare per le femmine. Egli non distrugge
rigorosamente tutti gli animali imperfetti; ma, per quanto gli è dato,
protegge in ogni stagione tutti i suoi prodotti. Egli comincia spesso la sua
elezione da qualche forma semi-mostruosa, o almeno da qualche modificazione
abbastanza palese per attirare la sua attenzione, ovvero tale da promettergli
degli evidenti vantaggi. Allo stato di natura, la più significante differenza
di struttura o di costituzione basta a distruggere l'esatto equilibrio esistente
tra le forme lottanti, e può così effettuare la loro conservazione.
Quanto leggiere e mutabili sono le viste e gli sforzi dell'uomo! quanto breve
è il suo tempo! e conseguentemente quanto imperfetti non saranno i suoi
prodotti confrontati con quelli accumulati dalla natura negl'interi periodi
geologici! Possiamo noi meravigliarci adunque che le produzioni della natura
siano nei loro caratteri meglio distinte che non le produzioni dell'uomo; che
quelle siano assai più adattate alle più complicate condizioni
di esistenza e portino l'impronta d'un'opera molto più perfetta?
Metaforicamente può dirsi che l'elezione naturale va scrutando ogni giorno
e ogni ora pel mondo intero ciascuna variazione anche minima: rigettando ciò
che è cattivo, conservando e accumulando tutto ciò che è
buono; essa lavora insensibilmente e silenziosamente in tutti i luoghi e sempre,
quando si presenti l'opportunità, al perfezionamento di ogni essere organizzato
in relazione alle sue condizioni di vita organiche ed inorganiche. Nulla noi
scorgiamo di codeste lente e progressive trasformazioni fino a che la mano del
tempo abbia segnato il lungo corso delle epoche; le nostre cognizioni poi relative
alle età geologiche, da lungo tempo trascorse, sono sì imperfette,
che noi ci accorgiamo solo che le odierne forme viventi sono differenti da quelle
d'un tempo.
Affinchè un grande insieme di modificazioni possa prodursi nel corso
dei secoli, occorre che quando una varietà è comparsa una volta,
continui a variare, benchè forse dopo un lungo intervallo di tempo; e
che di queste varietà le favorevoli siano anche conservate, e così
di seguito. Pochi negheranno che si formino varietà più o meno
diverse dallo stipite paterno; ma che il processo di variazione possa prolungarsi
indefinitamente, è una supposizione la cui verità deve desumersi
solo in quanto essa si attiene ai fenomeni generali della natura e li spiega.
D'altro lato, l'opinione ordinaria che la somma delle variazioni possibili sia
una quantità strettamente limitata è pure una semplice ipotesi.
Benchè l'elezione naturale non possa agire che per il bene di ogni essere,
pure i caratteri e gli organi che da noi soglionsi considerare come di assai
poca importanza possono risentirne l'azione. Quando vediamo insetti che mangiano
foglie, assumere un color verde, e altri che nutronsi di scorza, un colore grigio
macchiato; così il ptarmigan alpestre prendere un colore bianco nell'inverno,
il gallo selvatico scozzese prendere il colore di un arbusto, il francolino
nero portare il color torba, noi dobbiamo ammettere che queste tinte siano vantaggiose
a questi uccelli ed insetti per preservarli dai pericoli. Se i francolini non
venissero distrutti in qualche periodo della loro vita, si moltiplicherebbero
in numero sterminato. Essi soffrono gravissime perdite per gli uccelli di preda;
e i falchi sono guidati contro le loro vittime dalla loro vista acutissima;
ed è per questo che in alcune parti del continente molti evitano di conservare
colombi bianchi perchè più facilmente soggetti a distruzione.
Quindi non ho motivo alcuno di dubitare che l'elezione naturale non sia stata
la causa del colore proprio ad ogni specie di francolini, e non abbia influito
a renderlo permanente dopo che fu acquistato. Né bisogna credere che
la distruzione accidentale di un animale, fornito di uno speciale colore, sia
per cagionare un piccolo effetto; noi ricorderemo quanto sia essenziale in un
gregge di pecore bianche il distruggere qualunque agnello porti la più
piccola traccia di nero. Noi vedemmo come nella Virginia il colore dei maiali
che si alimentano della radice colorata di Lachnantes possa decidere della loro
esistenza. Nelle piante la lanugine che copre i frutti e il colore della polpa
nei frutti carnosi sono considerati dai botanici come caratteri della più
piccola importanza: eppure noi abbiamo imparato da un abilissimo orticoltore,
Downing, che negli Stati Uniti le frutta a pelle liscia soffrono assai più
per parte di un coleottero del genere Curculio che non le frutta coperte di
lanugine; che le prugne purpuree sono più soggette a certe malattie delle
prugne gialle: mentre altre malattie attaccano le pesche gialle assai più
di quelle a polpa d'altri colori. Se malgrado tutti i soccorsi dell'arte queste
piccole differenze recano tanta disparità nella coltivazione di parecchie
varietà, certamente nello stato di natura, allorchè le piante
hanno a lottare con altre e con uno stuolo di nemici, queste medesime differenze
debbono effettivamente bastare a decidere quale varietà di frutta, se
liscia o vellutata, se a polpa gialla o purpurea, riporterà la vittoria
sulle altre.
Nel valutare molti piccoli punti di differenza fra le specie, i quali, per quanto
la nostra ignoranza ci permetta giudicare, ci sembrano senza alcuna importanza,
noi non dobbiamo perdere di vista che il clima, il nutrimento, ecc., probabilmente
hanno qualche piccola e diretta influenza. Però è anche molto
più indispensabile tener conto delle molte leggi incognite della correlazione
di sviluppo, le quali, quando una parte dell'organizzazione si trovi modificata
per mezzo della variazione e le modificazioni siano accumulate dall'elezione
naturale per il bene dell'essere, generano altre modificazioni correlative le
più inattese.
Abbiamo veduto che quelle variazioni che si producevano allo stato di domesticità
in un determinato periodo della vita, tendono a manifestarsi di nuovo nei discendenti
nel medesimo periodo; per esempio, nella forma, nella grandezza e nel sapore
dei semi delle molte varietà delle nostre piante alimentari ed agricole,
nelle variazioni del baco da seta alle fasi di larva e di crisalide, nelle uova
dei nostri polli e nel colore della peluria dei loro pulcini; nelle corna delle
nostre pecore e dei nostri buoi presso l'età adulta. Così allo
stato di natura l'elezione naturale agisce sugli esseri organizzati e li modifica
in certe epoche della loro vita, per mezzo dell'accumulazione delle variazioni
giovevoli ad ogni epoca, e colla loro ereditabilità nell'età corrispondente.
Se torni a profitto di una pianta l'avere i suoi semi più facilmente
trasportati, e sparsi dal vento; la difficoltà di raggiungere questo
effetto per mezzo dell'elezione naturale non è maggiore di quella che
incontra il coltivatore del cotone nell'aumentare e migliorare colla elezione
il fiocco nelle capsule della sua pianta. L'elezione naturale può modificare
ed appropriare la larva di un insetto a circostanze esteriori completamente
diverse da quelle in cui dovrà vivere l'insetto perfetto. Queste modificazioni
agiranno senza dubbio sulla struttura dell'insetto adulto dietro le leggi di
correlazione; e probabilmente, nel caso di quegli insetti che vivono solo per
poche ore e che non prendon alcun nutrimento, una gran parte della loro organizzazione
è semplicemente il risultato correlativo di successivi cangiamenti della
loro larva. Così le modificazioni dell'adulto potranno influire sulla
struttura della larva; ma in ogni incontro l'elezione naturale impedirà
che quelle modificazioni, le quali potrebbero derivare da altre variazioni in
un'epoca diversa della vita, riescano anche in menomo grado nocive; perchè
diversamente esse cagionerebbero l'estinzione della specie.
L'elezione naturale deve modificare l'organizzazione dei giovani animali in
relazione ai loro genitori e viceversa. Negli animali socievoli essa adatterà
la struttura di ogni individuo a benefizio della colonia, purchè ciascuno
approfitti del cangiamento da essa prescelto. Ma l'elezione naturale non potrebbe
modificare la struttura di una specie, senza darle qualche vantaggio e per l'utile
esclusivo di altre specie; e ad onta che alcune opere di storia naturale stabiliscano
simili fatti, io non ne conosco uno solo che possa per siffatta guisa interpretarsi.
Una conformazione utile, anche per una sola volta, nella vita intera di un animale,
se sia di alta importanza per lui, può modificarsi più o meno
profondamente dall'elezione naturale. Tali sono, per esempio, le grandi mascelle,
di cui certi insetti si valgono esclusivamente per aprire i loro bozzoli; oppure
l'estremità cornea del becco dei piccoli uccelletti, che rende loro più
facile la rottura dell'uovo. Pare che fra i migliori colombi giratori a becco
corto ne muoiano entro l'uovo più di quanti ne sbuccian fuori; così
che i dilettanti sogliono assisterli nel momento della nascita, agevolando la
rottura del guscio. Quando fosse utile a un colombo selvatico il possedere un
becco molto corto, il processo di modificazione sarebbe assai lento e una elezione
rigorosa si eserciterebbe nei giovani uccelli entro l'uovo a favore di quelli
che si trovassero forniti dei becchi più duri e più forti, mentre
tutti gli altri che avessero un becco debole perirebbero inevitabilmente; ovvero
sarebbero preferiti quelli con guscio debole e fragile, potendo variare anche
la grossezza del guscio non altrimenti di qualsiasi altro organo.
Credo questo il posto di osservare, che sopra tutti gli organismi può
effettuarsi occasionalmente una distruzione, la quale può rimanere senza
effetto, od averne uno leggerissimo, sul corso della elezione naturale. Ogni
anno, ad esempio, è divorata una immensa quantità di uova o di
semi, i quali a mezzo della elezione naturale potrebbero essere modificati solo
nel caso che variassero in modo da esser meglio difesi contro i loro nemici.
Eppure siffatte uova o semi, se non fossero stati distrutti, avrebbero potuto
forse produrre degli individui meglio adatti alle condizioni di vita che non
quelli i quali sopravvissero. Oltre ciò moltissimi animali e piante,
sieno i meglio adatti alle condizioni di vita o meno, sono annualmente distrutti
allo stato di maturità da cause accidentali, le quali nel loro effetto
non potrebbero in alcun modo essere limitate da un cambiamento di struttura
o di costituzione che altrimenti tornerebbe di beneficio alla specie. Ma questa
distruzione degli adulti sia pure grande quanto si voglia, se il numero che
può abitare un determinato distretto non è interamente ridotto;
ed ammesso ancora che delle uova e dei semi solo la centesima o la millesima
parte si conservi: rimane fermo che dei superstiti gl'individui meglio adatti
si riproducono più che i meno adatti, semprechè si presenti una
variabilità in direzione favorevole. Se il numero, per le cause suddette,
sia stato fortemente ridotto, ciò che può essere spesso avvenuto,
l'elezione naturale sarà stata inefficace in determinate benefiche direzioni.
Ma ciò non costituisce una seria obbiezione contro la sua efficacia in
altri tempi e in altri modi; imperocchè non vi sia alcun motivo per ritenere
che a un dato tempo nello stesso distretto molte specie subiscano una modificazione
ed un miglioramento.
ELEZIONE SESSUALE
Come nello stato di domesticità appariscono qualche
volta certe particolarità in uno dei sessi e queste rimangono in esso
ereditarie, così può avvenire il medesimo fatto allo stato naturale.
E quindi è possibile che dall'elezione naturale i due sessi sieno modificati
in relazione alle differenti condizioni di vita, come talvolta succede; oppure
che un sesso sia modificato in relazione all'altro sesso, ciò che avviene
comunemente. Ciò m'induce a dire poche parole su quella che io chiamo
Elezione sessuale. Essa dipende non già dalla lotta per l'esistenza,
ma da una lotta che ha luogo fra gl'individui del medesimo sesso, e generalmente
fra i maschi pel possesso delle femmine. Il risultato di questa lotta non consiste
nel soccombere uno dei competitori, ma nella poca o niuna discendenza che egli
produce. L'elezione sessuale è quindi meno rigorosa dell'elezione naturale.
Generalmente i maschi più vigorosi, quelli che sono meglio appropriati
alla loro situazione nella natura, lasciano una progenie più numerosa.
Ma in molti casi la vittoria dipende dalle speciali difese che l'individuo possiede
e che sono proprie del sesso maschile, piuttosto che dal vigore generale di
esso. Un cervo senza corna e un gallo senza sperone avrebbero poca probabilità
di lasciare dei figli. L'elezione sessuale, che deve rendere possibile al vincitore
di riprodursi, deve certamente dargli un coraggio indomabile, degli speroni,
lunghi, delle ali robuste per combattere colla zampa speronata; come l'allevatore
brutale dei galli combattenti cerca di migliorarne la razza con una scelta rigorosa
degl'individui più belli in questo rapporto. Fin dove si estenda nella
scala della natura questa legge di guerra, io l'ignoro. Ci sono stati descritti
i combattimenti degli alligatori maschi che urlando si assalgono e intorno si
aggirano per disputarsi le femmine, come gli Indiani nelle danze guerresche.
Si sono osservate le lotte dei salmoni maschi protratte per giorni interi. I
cervi volanti portano qualche volta la traccia delle ferite fatte dalle larghe
mandibole d'altri maschi. Il Fabre, insuperabile osservatore, vide i maschi
di certi imenotteri disputarsi la femmina, la quale assisteva alla lotta come
spettatore apparentemente inerte, e poi si ritirava col vincitore. La guerra
è talvolta più terribile fra i maschi degli animali poligami,
e questi sono anche più generalmente provvisti di speciali difese. I
maschi degli animali carnivori sono già armati convenientemente: nondimeno
l'elezione sessuale può ancora somministrare ai medesimi, come agli altri,
speciali mezzi di difesa, per esempio la criniera al leone, le zanne al cignale,
e la mascella adunca al salmone maschio; perchè lo scudo può essere
non meno importante della spada o della lancia per la vittoria.
Negli uccelli la lotta offre spesso un carattere più pacifico. Tutti
coloro che si occuparono di questo soggetto, constatarono un'ardente rivalità
fra i maschi di molte specie per attirare le femmine col canto. Le rupicole
della Guiana, gli uccelli del Paradiso, ed alcune altre specie si riuniscono
in gruppi; indi i maschi spiegano le loro magnifiche penne e prendono gli atteggiamenti
più strani innanzi alle femmine, le quali assistono come spettatrici
e scelgono infine il compagno più attraente. Quante persone hanno conservato
e studiato gli uccelli chiusi in spazi ristretti, conoscono le loro individuali
preferenze ed antipatie. Il signor R. Heron ha descritto un pavone macchiato,
che era particolarmente il prediletto di tutte le femmine. Forse si crederà
puerile lo attribuire qualche influenza a mezzi tanto deboli in apparenza; io
non posso entrare in tutti i dettagli necessari a provare queste idee; ma, se
l'uomo può giungere in breve tempo a dare l'elegante disposizione e la
bellezza delle penne ai galli Bantham, a seconda delle sue idee estetiche, non
veggo alcuna buona ragione per dubitare che le femmine degli uccelli scegliendo
costantemente per migliaia di generazioni i maschi più belli e più
soavi cantori, sul tipo loro ideale di perfezione, non possano produrre un effetto
segnalato. Alcune delle leggi bene conosciute della reciproca dipendenza che
esiste fra l'abito degli uccelli maschi e delle femmine e quello dei loro nati,
possono spiegarsi supponendo che le modificazioni successive delle penne sieno
dovute essenzialmente all'elezione sessuale, che agisce quando gli uccelli sono
entrati nella stagione degli amori e sono giunti all'età di accoppiarsi.
Queste modificazioni così prodotte sono poi ereditate nell'età
e stagioni corrispondenti, sia dai soli maschi, sia dai maschi insieme e dalle
femmine. Ma mi manca lo spazio per sviluppare. questo argomento.
Io credo che quando i maschi e le femmine di una specie animale hanno le stesse
abitudini generali di vita, ma differiscono nella struttura, nel colore e negli
ornamenti, tali differenze derivarono principalmente dall'elezione sessuale;
cioè che certi individui maschi riportarono qualche piccolo vantaggio
sopra gli altri maschi nelle successive generazioni, nei loro mezzi di offesa
e di difesa, ovvero nelle loro attrattive, e trasmisero questi vantaggi ai loro
discendenti maschi. Però io non vorrei attribuire tutte le differenze
sessuali a questa causa; perchè nelle nostre razze domestiche noi vediamo
nascere delle particolarità che diventano ereditarie pel sesso maschile,
come la caruncola dei messaggeri maschi, le protuberanze a forma di corno nei
galli di certe specie, ecc., quantunque non siano a riputarsi utili ai maschi
nelle loro pugne, o gradevoli alle femmine. Allo stato di natura noi osserviamo
fatti analoghi; ad esempio, il fiocco di peli sullo sterno del tacchino maschio,
che al certo non può tornargli utile nelle lotte, nè servirgli
di ornamento. Che se questa singolarità si fosse manifestata allo stato
di domesticità si sarebbe detta una mostruosità.
SCHIARIMENTI SULL'AZIONE DELL'ELEZIONE NATURALE
O SOPRAVVIVENZA DEL PIÙ ADATTO
Per far comprendere con maggior chiarezza in qual modo, secondo
me, agisca l'elezione naturale, mi si permetta di dare uno o due esempi immaginati.
Prendiamo il caso di un lupo che trovi la sua preda in animali diversi, impadronendosi
di alcuni per insidia, di altri per forza e di altri per agilità, e supponiamo
che la sua preda più veloce, per esempio il daino, in seguito ad alcuni
cambiamenti avvenuti nella regione, sia divenuto più numeroso, o che
gli altri animali, di cui si nutre, siano al contrario diminuiti, in quella
stagione dell'anno in cui il lupo sentesi più stimolato dalla fame. In
tali circostanze i lupi più agili e più veloci avranno maggiore
probabilità di sopravvivere e saranno quindi preservati ed eletti: quando
però essi abbiano conservato la forza di atterrare la loro preda e di
rendersene padroni in quell'epoca, in cui saranno spinti a nutrirsi d'altri
animali. Io non posso mettere in dubbio ciò, mentre sappiamo che l'uomo
può perfezionare l'agilità de' suoi levrieri, per mezzo di una
precisa e metodica elezione, ovvero con una elezione inavvertita proveniente
dagli sforzi che ognuno fa per conservare i migliori cani senza alcuna intenzione
di migliorarne la razza. Posso aggiungere, dietro il signor Pierce, che nelle
montagne di Catskill negli Stati Uniti esistono due varietà di lupi,
l'una delle quali di forme assai slanciate, a guisa di levriere, perseguita
i daini, e l'altra più pesante, con gambe corte, attacca più spesso
le gregge di pecore.
Si faccia attenzione che nel succitato esempio io parlai dei lupi individualmente
più agili, i quali sarebbero stati conservati, e non di una singola varietà
ben marcata. Nelle edizioni anteriori di questo libro io mi sono espresso talvolta
in modo, come se questa alternativa fosse spesso occorsa. Io ho trattato della
grande importanza delle differenze individuali, e ciò m'indusse a parlare
diffusamente degli effetti della inconscia elezione artificiale, la quale riposa
sulla conservazione degli individui più o meno pregevoli, e sulla distruzione
dei peggiori. Ho anche fatto osservare, come la conservazione allo stato di
natura di una occasionale deviazione di struttura, come sarebbe una mostruosità,
sia un raro avvenimento, e che, se anche dapprincipio fosse preservata, si perderebbe
in seguito per effetto dell'incrociamento cogli individui comuni. Prima d'aver
letto nella Nord British Review (1867) un articolo bello e pregevole, omisi
di annettere importanza al fatto che raramente singole varietà, sieno
insignificanti o ben marcate, si possono conservare. L'autore fa la supposizione
che un paio di animali produca durante tutta la vita duecento discendenti, dei
quali però, per varie cause distruttrici, in media solamente due sopravvivono,
e riproducono la specie. Per la maggior parte degli animali superiori questo
conto è esagerato, non così per molti degli organismi inferiori.
Egli dice poi che se nascesse un singolo individuo in qualche modo variante
ed avente la doppia probabilità di sopravvivere agli altri, vi sarebbe
nondimeno la probabilità contro la sua conservazione. Ammesso che sopravviva
e si riproduca, e che la metà dei suoi discendenti erediti la variazione
favorevole, tuttavia il figlio, come l'autore dimostra, avrebbe una prospettiva
di poco maggiore di sopravvivere e di generare; e tale prospettiva diminuirebbe
sempre nelle successive generazioni. Io credo che non si possa revocare in dubbio
la verità di questi asserti. Se, ad esempio, un uccello di qualsiasi
specie potesse più facilmente procurarsi il suo nutrimento con un rostro
fortemente curvo, e se alcuno nascesse con tale rostro ed in conseguenza prosperasse
assai, la probabilità che quest'unico individuo riproduca la sua forma
a segno da soppiantare la comune, sarebbe nondimeno assai piccola. Ma se noi
ci atteniamo a ciò che vediamo succedere allo stato domestico, non potremo
dubitare che tale precisamente dovrà essere il risultato, se per molte
generazioni saranno preservati individui con rostri più o meno curvi,
ed in maggior numero saranno distrutti quelli che avranno i rostri più
diritti.
Non devesi del resto dimenticare che certe variazioni ben pronunciate, che nessuno
considera come semplici differenze individuali, spesso riappariscono per la
ragione che organizzazioni simili subiscono simili influenze. Di questo fatto
potrebbero citarsi numerosi esempi tolti dalle nostre forme domestiche. Se in
simili casi un individuo che varia non trasmettesse realmente ai suoi discendenti
il nuovo carattere, esso trasmetterà loro senza dubbio, ferme le medesime
condizioni, una tendenza ancor più forte di variare nello stesso modo.
Non vi è dubbio che la tendenza di variare nello stesso modo sia stata
spesso tanto forte da modificare in modo simile tutti gl'individui di una medesima
specie senza il concorso di qualsiasi forma di elezione. Ma può essere
modificata anche solo la terza, quarta, o decima parte degl'individui, di che
si possono citare molti esempi. Così, secondo un calcolo del Graba, circa
una quinta parte delle urie sulle isole del Faro costituiscono una varietà
sì marcata, che vennero prima considerate come una specie distinta sotto
il nome di Uria lacrymans. Se in tali casi la variazione fosse di natura vantaggiosa,
la forma primitiva sarebbe ben tosto soppiantata per gli effetti della sopravvivenza
del più adatto.
Degli effetti dell'incrociamento nella eliminazione delle varietà tratterò
più tardi. Qui sia detto per ora che gli animali e le piante in generale
sono attaccati alla loro patria e non migrano senza bisogno. Noi lo vediamo
perfino negli uccelli migratori che ritornano quasi sempre al medesimo posto.
Per conseguenza in generale ogni nuova varietà è dapprincipio
locale, e questa sembra difatti la regola nello stato di natura; ne viene che
gl'individui modificati in modo analogo si trovano presto insieme in una certa
piccola quantità e spesso insieme si riproducono. Se la nuova varietà
fosse vittoriosa nella lotta per l'esistenza, si diffonderebbe lentamente da
un punto centrale, facendo concorrenza ai lembi del circolo sempre crescente
agl'individui che non variarono e vincendoli.
Voglio citare un altro e più complicato esempio intorno agli effetti
dell'elezione naturale. Alcune piante secernono una sostanza zuccherina, e pare
ciò avvenga per eliminare dal succo dei principii nocivi. La secrezione
viene effettuata a mezzo di ghiandole situate alla base delle stipule in alcune
leguminose, e sul rovescio delle foglie nell'alloro comune. Quella sostanza,
benchè sia molto scarsa, è ricercata avidamente dagl'insetti.
Ora supponiamo che una piccola quantità di succo o di nèttare
sia uscita dalle basi dei petali di un fiore. In tal caso gl'insetti che ronzano
in cerca di questo nèttare rimarranno coperti di polline e lo trasporteranno
certamente da un fiore sullo stimma di un altro. Ne verrà che due individui
distinti si troveranno incrociati, e noi abbiamo buone ragioni di credere (come
proveremo pienamente in altro luogo) che dall'incrociamento nasceranno pianticelle
molto vigorose, le quali avranno per conseguenza una maggiore probabilità
di riprodursi e sopravvivere. Alcune di queste piante avranno certamente ereditato
la facoltà di secernere il nèttare. Quei fiori che avranno le
ghiandole del nèttare più sviluppate, e che produrranno maggior
copia di nèttare, saranno visitate più spesso dagli insetti, e
quindi anche più spesso rimarranno incrociate, acquistando alla fine
la superiorità. Quindi quei fiori che avranno i loro stami e pistilli
collocati, rispetto alla grandezza e alle abitudini degl'insetti che li visitano,
in tal guisa da favorire in qualche modo il trasporto del loro polline da un
fiore all'altro, saranno similmente preferiti o prescelti. Noi avremmo potuto
fare il caso di insetti che si posano sui fiori per raccoglierne il polline
invece del nèttare; ed essendo il polline formato al solo scopo della
fecondazione, la sua distruzione si direbbe una semplice perdita per la pianta;
ma quando una piccola quantità di polline viene trasportata dapprima
accidentalmente, indi abitualmente dagl'insetti sui fiori e ne seguono incrociamenti,
quantunque si consumino perfino i nove decimi del polline dei fiori stessi,
ne deriverà un grande giovamento alla pianta; e quegl'individui che diedero
del polline sempre più copioso ed ebbero delle antere vieppiù
grosse, saranno prescelti.
Allorchè le nostre piante, in seguito a tale processo lungamente continuato,
erano divenute attraenti per gli insetti, questi, senza alcuna intenzione per
parte loro, avranno continuato a trasportare regolarmente il polline di fiore
in fiore, e facilmente potrei dimostrare, cogli esempi più stringenti,
quanta sia l'importanza di siffatto intervento. Io ne addurrò uno solo,
non tanto come un fatto molto notevole, quanto come una esposizione del modo
con cui si effettua gradatamente la separazione dei sessi nelle piante. Alcuni
agrifogli portano soltanto fiori maschi, aventi quattro semi che producono un'assai
piccola quantità di polline e un pistillo rudimentale. Altri agrifogli
non hanno che fiori femmine, che sono forniti di un pistillo completamente sviluppato
e di quattro stami con antere contratte, dalle quali non può uscire un
solo grano di polline. Avendo trovato un albero femmina alla distanza di sessanta
metri da un albero maschio, io posi sotto il microscopio gli stimmi di venti
fiori raccolti su diversi rami e rinvenni grani di polline sopra tutti senza
eccezione, ed in alcuni ne osservai a profusione. Il polline non era stato certamente
trasportato dal vento, dacchè per parecchi giorni spirava dall'albero
femmina all'albero maschio. La stagione era stata fredda e tempestosa e quindi
sfavorevole alle api; tuttavia ogni fiore femmina da me esaminato era stato
effettivamente fecondato dalle api, accidentalmente coperte del pulviscolo del
polline, mentre volavano di pianta in pianta in cerca di nèttare. Ma
per ritornare all'esempio da noi immaginato, non appena una pianta è
divenuta così attraente per gl'insetti che il suo polline venga regolarmente
tratto da un fiore all'altro, un altro processo può incominciare. Non
vi ha naturalista che ponga in dubbio i vantaggi di ciò che si chiama
"la fisiologica divisione del lavoro". Quindi noi possiamo dedurne
che sarà utile ad una pianta il produrre stami soltanto in un fiore,
ovvero in una pianta distinta, e pistilli in un altro fiore o in un'altra pianta.
Nelle piante coltivate e poste in nuove condizioni di vita, ora gli organi maschili
ed ora gli organi femminili divengono più o meno impotenti; e se noi
supponiamo che ciò possa accadere allo stato di natura, mentre il polline
è trasportato regolarmente di fiore in fiore ed essendo vantaggiosa alle
nostre piante una più completa separazione dei loro sessi pel principio
della divisione del lavoro, gli individui, nei quali questa tendenza andrà
crescendo, saranno incessantemente favoriti o eletti, fino a che si sia operata
una definitiva separazione dei sessi. Esigerebbe troppo spazio il dimostrare
le varie vie, per dimorfismo ed in altri modi, su cui evidentemente progredisce
la separazione dei sessi nelle piante di diverse specie. Solo voglio accennare
che secondo Asa Gray alcune specie di palme dell'America settentrionale si trovano
in uno stato esattamente intermediario, i cui fiori, come si esprime il citato
botanico, sono più o meno dioico-poligami.
Riprendiamo ora gli insetti nèttarefagi del nostro caso; noi possiamo
supporre che la pianta, di cui lentamente s'accrebbe il nèttare per l'elezione
continua, sia una pianta comune; e che certi insetti dipendano in gran parte
dal suo nèttare come loro alimento. Potrei citare molti fatti per mostrare
quanto le api siano ansiose di risparmiare il tempo; per esempio la loro abitudine
di incidere le basi di certi fiori onde succhiarne il nèttare, mentre
esse potrebbero con qualche perdita di tempo succhiarlo dal vertice della corolla.
All'appoggio di questi fatti, ritengo non potersi rivocare in dubbio che una
deviazione accidentale nella statura e forma del corpo, o nella curvatura e
lunghezza della proboscide, ecc., benchè troppo piccola per essere da
noi apprezzata, potrebbe essere utile all'ape o ad un altro insetto, a segno
che un individuo, che ne sia dotato, giungerà più facilmente a
procurarsi il proprio nutrimento, ed avrà perciò una maggiore
probabilità di vivere e di lasciare una discendenza. I suoi discendenti
erediteranno probabilmente la tendenza ad una simile piccola deviazione di struttura.
I tubi delle corolle del trifoglio rosso comune e del trifoglio incarnato (Trifolium
pratense e Trif. incarnatum) a primo aspetto non sembrano di lunghezza molto
diversa; pure l'ape domestica può facilmente succhiare il nèttare
del trifoglio incarnato, ma non così quello del trifoglio rosso, che
viene visitato solamente dai pecchioni. Cosicchè dei campi interi di
trifoglio rosso offrirebbero invano un'abbondante raccolta di prezioso nèttare
alla nostra ape domestica. Che l'ape domestica sia ghiotta di questo nèttare
è cosa certa, imperocchè io vidi più volte, sebbene nell'autunno,
molte api succhiare il nèttare da fori praticati alla base della corolla
dai pecchioni. La differenza di lunghezza nella corolla, che determina le visite
delle api domestiche, deve essere di molta importanza; perchè fui avvertito,
che quando il trifoglio rosso è stato falciato, i fiori del secondo taglio
sono alquanto più piccoli e che questi sono frequentemente visitati dalle
api domestiche. È stato detto che l'ape italiana, la quale generalmente
considerasi come una varietà e s'incrocia facilmente colla comune, possa
succhiare il nèttare del trifoglio rosso comune; ma io non so se questo
asserto sia esatto e degno di fede. In una località nella quale questo
trifoglio sia molto abbondante, può esser quindi molto utile all'ape
domestica l'avere una proboscide un po' più lunga o costrutta in altro
modo. D'altra parte la fertilità del trifoglio dipende, come abbiamo
veduto, dalla visita delle api; e quindi, se i pecchioni diventassero scarsi
in un paese, potrebbe essere molto vantaggioso al trifoglio rosso l'avere un
tubo più corto o più profondamente diviso nella corolla, per modo
che l'ape domestica potesse visitarne i fiori. Così noi possiamo intendere
come un fiore e un insetto possano modificarsi e adattarsi scambievolmente,
nella maniera più perfetta e nel medesimo tempo, ovvero uno dopo l'altro,
per mezzo della continua preservazione degli individui che offrono deviazioni
di struttura leggermente favorevoli e di utile reciproco.
Io conosco bene che questa dottrina dell'elezione naturale, basata sui citati
esempi, è soggetta alle stesse obbiezioni che furono sulle prime sollevate
contro le grandiose viste di Carlo Lyell "sulle moderne trasformazioni
della terra, le quali valgono ad illustrare la geologia". Oggi però
niuno ardisce considerare l'azione, per esempio, delle onde sulle coste come
una causa debole ed insignificante, quando si applichi a spiegare la corrosione
di valli gigantesche o la formazione di lunghe catene di rocce interne. L'elezione
naturale agisce puramente per la conservazione ed accumulazione di piccole modificazioni
ereditarie che sono sempre utili all'essere preservato; e come la moderna geologia
ha quasi bandita l'ipotesi che le grandi vallate di erosione siano tutte formate
da una sola onda diluviale, non altrimenti l'elezione naturale, se questo principio
è vero, deve farci abbandonare l'opinione della creazione continua di
nuovi esseri organizzati e di una modificazione grande e repentina nella loro
struttura.
SULL'INCROCIAMENTO DEGLI INDIVIDUI
Io debbo fare qui una breve digressione. È cosa nota
che trattandosi di animali e piante a sessi distinti è sempre necessario
l'intervento di due individui per la fecondazione (ad eccezione dei casi singolari
e ancora non bene chiariti di partenogenesi). Quanto agli ermafroditi non è
necessario. Nondimeno io sono assai propenso a credere che anche in tutti gli
ermafroditi, sia accidentalmente, sia abitualmente, due individui concorrano
alla riproduzione della specie. Questa idea fu espressa con riserva molto tempo
fa dallo Sprengel, dal Knight e dal Kölreuter. Ora noi ne vedremo l'importanza;
ma io debbo trattare quest'argomento con un'estrema brevità, quantunque
io abbia in pronto i materiali per un'ampia discussione. Tutti gli animali vertebrati,
tutti gli insetti e parecchi altri grandi gruppi d'animali si accoppiano per
ogni fecondazione. Le recenti ricerche hanno diminuito assai il numero degli
ermafroditi supposti; e un gran numero di veri ermafroditi si accoppiano: vale
a dire due individui si uniscono regolarmente per la generazione, e questo è
quanto ci interessa. Ciò non pertanto parecchi animali ermafroditi non
si appaiano certo abitualmente, e fra le piante moltissime sono ermafrodite.
Qual ragione vi ha dunque, potrebbe chiedersi, per supporre che anche in questi
casi due individui cooperino alla riproduzione? Essendo impossibile lo entrare
qui in alcun dettaglio, debbo limitarmi solo ad alcune considerazioni generali.
In primo luogo io raccolsi un gran numero di fatti, i quali provano, in consonanza
all'opinione quasi universale degli allevatori, che negli animali e nelle piante
un incrociamento fra differenti varietà, oppure fra individui della stessa
varietà, ma di un'altra linea, rende più vigorosa e più
feconda la prole; e che d'altra parte la riproduzione fra parenti prossimi diminuisce
la vigoria e la fecondità. Questi fatti bastano per condurmi nella opinione
che sia una legge generale della natura quella che impedisce ad ogni essere
organizzato di fecondarsi da sè per una eternità di generazioni
(benchè noi non conosciamo lo scopo di codesta legge); ma che un incrociamento
con un altro individuo è indispensabile di quando in quando e forse anche
ad intervalli molto lunghi.
Nell'ipotesi che questa sia una legge naturale noi possiamo, a mio avviso, comprendere
alcune grandi serie di fatti, i quali da qualunque altro punto di vista sarebbero
inesplicabili. Tutti i botanici che fecero degl'incrociamenti sanno quanto sia
sfavorevole per la fecondazione di un fiore la esposizione all'umido, eppure
quanti fiori non hanno le loro antere e i loro stimmi pienamente esposti alle
intemperie! Ma se un incrociamento di quando in quando è indispensabile,
questa esposizione svantaggiosa può essere diretta ad aprire un adito
affatto libero al polline d'un altro individuo, tanto più che le antere
della pianta stessa sono generalmente così vicine ai pistilli che l'autofecondazione
sembra quasi inevitabile. D'atronde, molti fiori hanno i loro organi sessuali
perfettamente racchiusi, come nella grande famiglia delle papiglionacee o delle
leguminose; ma nella maggior parte di questi fiori si osserva un adattamento
molto curioso della loro struttura al modo con cui le api ne suggono il nèttare,
spargendo il polline del fiore sullo stimma, o deponendo sopra questo il polline
di un altro fiore. Le visite delle api sono tanto necessarie a molti fiori papiglionacei,
che io ho dimostrato, con esperienze pubblicate altrove, che la loro fertilità
è scemata grandemente quando queste visite siano impedite. Ora è
appena possibile che le api trasvolino di fiore in fiore senza trasportare il
polline dall'uno all'altro, per il maggior bene della pianta, a quel che credo.
Le api agiscono allora come il fiocco dei crini di camello, col quale basta
toccare le antere di un fiore e quindi lo stimma di un altro per assicurare
la fecondazione; ma non deve supporsi che le api producano così una moltitudine
di ibridi fra specie diverse; perchè se voi ponete sul medesimo fiocco
il polline di una pianta con quello di un'altra specie, il primo avrà
un effetto predominante che distruggerà invariabilmente e completamente
ogni influenza del polline straniero, come fu dimostrato dal Gärtner.
Quando gli stami si lanciano con subita espansione verso il pistillo, o si muovono
lentamente contro di esso uno dopo l'altro, il processo pare diretto solamente
ad assicurare l'autofecondazione, e non v'ha dubbio che ciò non sia utile
a questo fine; ma l'elezione degl'insetti è spesso necessaria per determinare
la deiscenza delle antere, come lo ha provato Kölreuter rispetto al berbero;
in questo genere, il quale sembra specialmente adatto alla autofecondazione,
è cosa nota che se le forme o varietà strettamente affini sono
piantate vicine, è quasi impossibile allevare delle pianticelle di razza
pura, stante il grande incrociamento che naturalmente avviene. In molti altri
casi, parecchie speciali circostanze impediscono allo stimma di ricevere il
polline del medesimo fiore, invece di favorire l'autofecondazione, come fu dimostrato
dagli scritti di Sprengel e da altri, e dalle mie proprie osservazioni. Così
nella Lobelia fulgens, per un adattamento meraviglioso ed accurato, le antere
connate di ciascun fiore lasciano cadere i granuli abbondantissimi del polline,
prima che lo stimma di ogni singolo fiore sia disposto a riceverli; e non essendo
mai questi fiori visitati dagli insetti, almeno nel mio giardino, nondimeno
io ne ottenni una grande quantità ponendo il polline di un fiore sullo
stimma di un altro. Mentre un'altra specie di lobelia che vegetava presso la
prima, per la visita delle api, produceva semi liberamente. In moltissimi altri
casi, anche se niun impedimento meccanico tolga allo stimma di un fiore il polline
di esso, pure, dietro le osservazioni di Sprengel da me confermate, o le antere
si aprono prima che lo stimma sia pronto alla fecondazione, ovvero lo stimma
giunge a maturità prima che il polline del fiore sia sparso; per guisa
che queste piante hanno di fatto sessi separati e debbono abitualmente essere
incrociate. Quanto sono strani questi fatti! Quale singolarità nel trovarsi
il polline e lo stimma di un stesso fiore tanto vicini fra loro, quasi direbbesi
ad assicurare la fecondazione, quando all'opposto riescono in molti casi scambievolmente
inutili! Con quanta semplicità questi fatti vengono chiariti dalla considerazione
che un accidentale incrociamento fra individui distinti è vantaggioso
o indispensabile!
Io ho esperimentato che, allevando diverse varietà di cavoli, di rape,
e di cipolle o di alcune altre piante, in vicinanza fra loro fino alla produzione
del seme, la maggior parte delle pianticelle che nascono da questi semi divengono
meticce. Infatti coltivai 233 piante di cavoli derivanti da alcuni individui
di differenti varietà che erano cresciute in prossimità le une
delle altre, ed in questo numero non ne trovai che 78 appartenenti alle loro
varietà pure, notando però che alcune di esse erano leggermente
alterate. Frattanto il pistillo di ogni fiore di cavolo è circondato
non solo dai propri sei stami, ma da tutti gli stami degli altri fiori della
stessa pianta; e il polline di ogni antera cade facilmente sul suo stimma, senza
l'opera degl'insetti; perchè ho trovato che una pianta intieramente inaccessibile
ad essi produsse un numero completo di silique. Come dunque può avvenire
che in tali circostanze un grandissimo numero di semi dia dei meticci? Io attribuisco
ciò al polline di una varietà distinta, il quale è più
efficace che non il polline proprio del fiore. È questa un'applicazione
della legge generale che, per mezzo dell'incrociamento degli individui distinti
di una medesima specie, si ottiene un perfezionamento. Quando invece codesto
incrociamento ha luogo fra specie distinte, l'effetto è direttamente
opposto, giacchè in tal caso il polline di una pianta predomina generalmente
su quello d'un'altra. Ma ci occuperemo ancora di questo soggetto in uno dei
capi seguenti.
Potrebbe obbiettarsi che il polline di un albero gigantesco, coperto di fiori
innumerevoli, può difficilmente essere trasportato sopra un altro albero,
e non potrebbe ammettersi che il solo passaggio del polline da fiore a fiore
sul medesimo albero, mentre questi fiori non sarebbero a considerarsi come individui
distinti che in un senso molto ristretto. Questa obbiezione è fondata;
ma la natura ha largamente provvisto a ciò, dando agli alberi una forte
tendenza di produrre fiori a sessi separati. Ora quando i sessi sono separati,
quantunque i fiori maschi e femmine siano portati dalla medesima pianta, è
necessario che il polline sia regolarmente tradotto da un fiore all'altro, e
quindi avremo una maggiore probabilità che ciò avvenga accidentalmente
fra due alberi. Nel nostro paese gli alberi appartenenti a tutti gli ordini
hanno più di sovente i loro sessi separati che non le altre piante; dietro
un mio consiglio il dott. Hooker ha formato una tavola degli alberi della Nuova
Zelanda, e il dott. Asa Gray ha compilato quella degli alberi degli Stati Uniti,
e il risultato avvalorò le mie previsioni. Ma il dott. Hooker mi ha poscia
informato che egli s'avvide non potersi estendere questa regola all'Australia;
ma se gli alberi australesi sono in maggior numero dicogami, il risultato è
il medesimo come se i loro fiori fossero di sesso separato. Feci queste poche
osservazioni sui sessi degli alberi semplicemente per richiamare l'attenzione
sull'argomento.
Per ciò che riguarda gli animali terrestri, diremo che alcuni sono ermafroditi,
come i molluschi polmonati e i vermi di terra; ma tutti si accoppiano. - Non
ho ancora trovato un solo caso fra gli animali terrestri, in cui si avveri l'autofecondazione.
Noi possiamo spiegarci questo fatto rimarchevole, che presenta un contrasto
singolare(2) con ciò che osserviamo nelle piante terrestri, riguardando
l'incrociamento occasionale come indispensabile, quando ci facciamo a considerare
l'ambiente nel quale vivono gli animali terrestri, e la natura dell'elemento
fecondatore; perchè noi non conosciamo alcun mezzo analogo all'azione
degli insetti e del vento sulle piante, col quale possa effettuarsi un accidentale
incrociamento in questi animali, senza la cooperazione dei due sessi.
Negli animali acquatici abbiamo molti ermafroditi, nei quali si verifica l'autofecondazione,
ma le correnti offrono loro mezzi facili di accidentali incrociamenti. Del resto
in essi, come nei fiori, dopo di avere consultato una delle più grandi
autorità, il prof. Huxley, non seppi trovare una sola specie, in cui
gli organi della generazione fossero racchiusi tanto perfettamente nell'interno
del corpo, da vietare l'accesso all'azione dell'accidentale influenza di un
altro individuo, in modo da renderla fisicamente impossibile. Per molto tempo
credetti che i cirripedi presentassero un caso di somma difficoltà per
tale riguardo; ma, per una fortunata combinazione, altrove potei provare che
due individui ermafroditi, benchè si fecondino da sè, pure qualche
volta si incrociano.
Molti naturalisti avranno riguardato come una strana anomalìa il fatto
di trovare fra gli animali e le piante alcune specie, appartenenti alla medesima
famiglia od anche al medesimo genere, le quali sono ermafrodite o unisessuali:
benchè nell'intera loro organizzazione siano conformi. Ma se realmente
tutti gli ermafroditi accidentalmente si incrociano con altri individui, la
differenza fra le specie ermafrodite e le unisessuali diviene molto piccola,
almeno per quanto concerne le funzioni sessuali. Per tutte queste considerazioni,
e pei molti fatti speciali da me raccolti che qui non posso addurre, considero
come legge di natura generale, se non universale, che nei regni vegetale ed
animale avvenga di tempo in tempo un incrociamento fra individui distinti.
CIRCOSTANZE FAVOREVOLI ALLA PRODUZIONE DI NUOVE
FORME COL MEZZO DELL'ELEZIONE NATURALE
Questo soggetto è assai complicato. Un grande insieme
di variabilità, nel quale termine sono sempre comprese differenze individuali,
è evidentemente favorevole all'azione dell'elezione naturale. Un numero
grande di individui, offrendo in un dato tempo una maggiore probabilità
di subire variazioni utili, deve compensare la minore variabilità di
ognuno d'essi, ed io credo che ciò sia un elemento estremamente importante
di successo. Quantunque la natura impieghi grandi periodi di tempo per l'epoca
dell'elezione naturale, pure essa non accorda un lasso di tempo indefinito;
perchè tutti gli esseri organizzati sono costretti ad occupare il loro
posto nell'economia della natura, e se ogni specie non cominciasse a modificarsi
e perfezionarsi, in relazione a' suoi competitori, finirebbe col rimanere esterminata.
Se le variazioni utili non si trasmettessero almeno ad alcuni discendenti, l'elezione
naturale non potrebbe essere efficace. La tendenza alla riversione può
avere spesso inceppati o distrutti gli effetti della elezione naturale; ma siccome
questa tendenza non ha impedito all'uomo di ottenere sì numerose razze
ereditarie nei due regni organici, come potrebbe mai aver arrestato il corso
della elezione naturale?
Nell'elezione metodica l'allevatore sceglie qualche scopo determinato, ed il
libero incrociamento basterebbe ad intralciare la sua opera. Ma quando molti
uomini, senza intenzione di alterare la razza, hanno uno scopo quasi comune
di perfezione e tutti si studiano di produrre e moltiplicare gli animali migliori,
da questo inavvertito processo di elezione si avranno modificazioni e miglioramenti
sicuri, ma lenti: non ostante una grande somma di incrociamenti con animali
meno pregevoli. Altrettanto deve accadere nella natura; perchè entro
un'area chiusa, l'economia della quale presentasse alcuni posti non occupati
come potrebbero esserlo, l'elezione naturale tenderebbe sempre a conservare
tutti gli individui che variassero in una retta direzione, benchè in
vario grado, come i migliori a riempire i posti vuoti. Ma se la regione fosse
vasta, i vari suoi distretti presenterebbero certamente differenti condizioni
di vita; e quando l'elezione naturale modificasse e migliorasse certe specie
in alcuni distretti, queste si incrocerebbero con altri individui delle medesime
presso i loro confini. Ora noi vedremo nel sesto capitolo che generalmente le
varietà intermediarie, le quali abitano distretti intermedi, sono nel
corso del tempo soppiantate da una delle varietà confinanti. Gli effetti
dell'incrociamento sarebbero più notevoli in quegli animali che si accoppiano
per ogni fecondazione, che vagano assai e che non si propagano con molta rapidità.
Quindi negli animali di tal natura, come negli uccelli, le varietà sono
generalmente confinate in paesi separati, e questo è appunto il caso
da me indicato. Negli organismi ermafroditi che si incrociano solo accidentalmente,
e parimenti negli animali che si accoppiano per ogni riproduzione, ma che non
sono vagabondi e non figliano rapidamente, una varietà nuova e perfezionata
può formarsi improvvisamente in qualunque contrada; e può mantenersi
riunita in un gruppo, così che, qualunque incrociamento avvenisse, dovrebbe
principalmente farsi tra individui della stessa nuova varietà. E quando
una varietà locale sia così formata, in seguito non potrà
spandersi che lentamente negli altri distretti. Per questo principio i giardinieri
preferiscono sempre raccogliere le sementi da un grande vivaio di piante della
medesima varietà, intendendo così di diminuire la probabilità
dell'incrociamento con altre varietà.
Anche riguardo agli animali a riproduzione lenta, che si accoppiano per ogni
fecondazione, non devesi esagerare l'effetto dell'incrociamento di ritardare
l'elezione naturale. Io potrei produrre un catalogo considerevole di fatti,
i quali provano che in una medesima area le varietà di una specie possono
rimanere distinte per lungo tempo, sia per il soggiorno in stazioni diverse,
sia per le varie stagioni degli amori, sia che le varietà della stessa
razza preferiscano di accoppiarsi fra loro.
Gli incrociamenti adempiono un ufficio molto importante nella natura, nel conservare
gli individui della medesima specie o di una varietà puri ed uniformi
nel carattere. Evidentemente essi agiscono con maggiore efficacia negli animali
che si accoppiano per ogni fecondazione; ma noi abbiamo notato che vi ha motivo
di ritenere che avvengano accidentali incrociamenti in tutti gli animali e in
tutte le piante. Anche allorchè questi incrociamenti non hanno luogo
che a lunghi intervalli, la prole che ne nasce acquista tanto vigore e tanta
fecondità sopra i discendenti non incrociati, che ha tutte le probabilità
di sopravvivere e di propagarsi; e quindi a lungo andare quest'influenza degli
incrociamenti deve essere grande anche se questi succedano dopo rari intervalli.
Se esistono esseri organizzati che non si incrocino, l'uniformità del
carattere può in essi mantenersi finchè restano uguali le condizioni
di vita, pel principio di eredità e per l'elezione naturale che distrugge
tutti gl'individui che si allontanano dal loro tipo. Ma se le loro condizioni
di vita si mutino e nascano delle modificazioni corrispondenti, i discendenti
variati, non possono conservare una uniformità di carattere se non per
la elezione naturale che conserva quelle modificazioni che sono favorevoli.
Anche l'isolamento è un elemento importante nel processo della elezione
naturale. In un'area isolata e circoscritta, quando non sia molto estesa, le
condizioni di vita organiche ed inorganiche hanno in generale una grande uniformità;
per modo che l'elezione naturale tende a modificare tutti gli individui di una
specie variabile, nella regione intera, analogamente alle condizioni uguali.
Di più gl'incrociamenti fra individui di una stessa specie, che altrimenti
avrebbero abitato i distretti vicini, verranno impediti. Moritz Wagner ha pubblicato
recentemente una memoria interessante su quest'argomento, ed ha dimostrato che
l'isolamento coll'impedire gli incrociamenti fra le varietà di recente
formazione fa dei servizi probabilmente ancor maggiori di quanto io ho presunto;
ma per le ragioni già addotte non posso acconsentire all'opinione di
questo naturalista, che cioè la migrazione e l'isolamento siano due condizioni
necessarie per la formazione di nuove specie. L'isolamento agisce probabilmente
con una maggiore efficacia togliendo l'immigrazione d'organismi più adatti
dopo ogni cambiamento fisico, come una modificazione del clima o un sollevamento
del suolo, ecc., e così rimangono aperti nuovi posti nell'economia naturale
del paese agli antichi abitatori che potranno acconciarsi alle nuove condizioni
per mezzo di modificazioni nella loro struttura e costituzione. Da ultimo, siccome
l'isolamento impedisce l'immigrazione e per conseguenza la concorrenza, darà
tempo ad ogni nuova varietà di perfezionarsi lentamente; e ciò
può essere qualche volta di molta importanza per la formazione di nuove
specie. Se però una regione isolata fosse molto piccola, sia che fosse
circondata di barriere, sia che fosse esposta a condizioni di vita affatto speciali,
il numero degli individui in essa compresi dovrebbe essere assai scarso; e questa
scarsezza di individui ritarderebbe grandemente la produzione di nuove specie
per mezzo dell'elezione naturale, scemando la probabilità di presentare
variazioni favorevoli.
La sola lunghezza del tempo non può agire nè in favore dell'elezione
naturale, nè contro di essa. Dico questo, perchè si è asserito
erroneamente che io attribuiva all'elemento del tempo una larga parte nell'elezione
naturale, quasichè tutte le specie fossero necessariamente sottoposte
a lenta modificazione per qualche legge innata. Il corso del tempo influisce
solamente nel procurare una maggiore probabilità alla manifestazione
delle variazioni vantaggiose, le quali vengono prescelte, accumulate, e rese
permanenti, in rapporto alle condizioni organiche ed inorganiche di vita che
variano lentamente. Egli favorisce altresì l'azione diretta delle nuove
o modificate condizioni fisiche della vita.
Se noi ci rivolgiamo alla natura per riconoscere le verità di queste
osservazioni e consideriamo qualche regione isolata e piccola, come un'isola
dell'oceano, benchè l'intero numero delle specie che vi abitano sia assai
piccolo (come vedremo nel capo della Distribuzione geografica), pure molte di
queste sono indigene, cioè furono formate nel luogo stesso, nè
s'incontrano altrove. Quindi sembrerebbe a primo aspetto che un'isola oceanica
fosse molto acconcia per l'origine di nuove specie. Ma noi potremmo in tal caso
ingannarci assai, giacchè, per accertare se una regione piccola ed isolata,
ovvero un'area molto vasta, come un continente, sia più favorevole alla
produzione di nuove forme organiche, noi avremmo a istituire il confronto in
tempi uguali, locchè non ci è dato di fare.
Quantunque l'isolamento sia di molta importanza per la formazione di nuove specie,
sono indotto a ritenere che la vastità del paese soprattutto sia più
favorevole ad essa, specialmente per la formazione di quelle specie che sono
capaci di durare lungamente e di estendersi assai. Sopra una regione vasta ed
aperta non solo avremo una probabilità maggiore che si manifestino variazioni
favorevoli pel numero grande degli individui d'una medesima specie che vi si
trovano, ma anche le condizioni di vita saranno infinitamente complesse per
molte specie già in essa esistenti; e quando alcune di queste specie
si modifichino e si perfezionino, le altre dovranno migliorare ad un grado corrispondente
o rimarranno esterminate. Ed ogni nuova forma, non appena sia stata perfezionata,
si diffonderà sulla località aperta e continua, facendosi a lottare
con molte altre. Quindi si avranno nuove lacune e l'antagonismo per occuparle
sarà più forte in un paese grande che in uno spazio isolato e
ristretto. Inoltre, le grandi regioni che oggi sono continue, per le oscillazioni
di livello possono recentemente essere state interrotte ed aver goduto, fino
ad un certo grado, i buoni effetti dell'isolamento. Finalmente io concludo che
certe località piccole ed isolate furono probabilmente assai favorevoli
alla produzione di nuove specie, benchè il processo di modificazione
sia stato in generale più rapido nei paesi grandi; e che le forme nuove
esistenti nelle regioni molto vaste, essendo rimaste vittoriose sopra molti
competitori, prenderanno una maggiore estensione e faranno luogo a un maggior
numero di varietà e specie nuove ed avranno una parte più marcata
nella storia svariata del mondo organico.
Con queste idee noi potremo forse comprendere alcuni fatti che saranno spiegati
nel capo della Distribuzione geografica. Per esempio, come i prodotti del piccolo
continente d'Australia abbiano ceduto in origine e, a quanto pare, cedano anche
al presente, davanti a quelli delle terre più vaste Europeo-Asiatiche;
ed anche come le specie continentali si siano da per tutto naturalizzate in
una vasta scala sopra le isole. In una piccola isola infatti la lotta per l'esistenza
deve essere stata meno viva, e quindi minori le modificazioni, e minore la distruzione.
Forse per questo la flora di Madera, secondo Oswald Heer, rassomiglia all'estinta
flora terziaria d'Europa. Tutti i bacini d'acqua dolce riuniti formano un'area
piccola in confronto di quella del mare e del terreno emerso; e quindi la lotta
fra i prodotti d'acqua dolce sarà stata meno viva che in qualsiasi altro
luogo; le nuove forme vi saranno apparse più lentamente e le forme antiche
vi saranno state più lentamente distrutte. Ed è appunto nell'acqua
dolce che noi troviamo sette generi di pesci Ganoidi, avanzi di un ordine già
ricco, e vi troviamo anche parecchie delle forme più anormali conosciute,
come l'ornitorinco e la lepidosirena, i quali servono, a guisa de' fossili,
a riunire in certo modo alcuni ordini che ora sono profondamente separati nella
scala naturale. Queste forme anormali possono chiamarsi fossili viventi; esse
giunsero fino a noi per aver dimorato in un'area ristretta e per essere state
esposte a una concorrenza meno severa.
Riassumeremo, per quanto l'estrema complicazione del soggetto ce lo permette,
ciò che riflette le circostanze favorevoli e contrarie all'elezione naturale.
Io concludo che rispetto alle produzioni terrestri una grande superficie continentale,
che sia stata soggetta a molte oscillazioni di livello, dovette offrire le circostanze
più favorevoli alla formazione di molte e nuove forme di vita, capaci
di perpetuarsi per molto tempo e di estendersi grandemente. Perchè l'area
primitivamente esisteva come continente, ed i suoi abitatori, in quel periodo
numerosi per gli individui e per le razze, ebbero a sostenere una lotta molto
severa. Quando fu trasformata per abbassamento in vaste isole separate, molti
individui di una medesima specie dovettero rimanere sopra ciascuna di esse,
e quindi gli incrociamenti nei confini della regione di ogni specie saranno
stati impediti; dopo cambiamenti fisici di ogni sorta, l'immigrazione non avrà
potuto verificarsi, per cui i nuovi posti nell'economia di ogni isola saranno
rimasti agli antichi abitanti modificati ed ogni nuova varietà avrà
così avuto il tempo di modificarsi e di progredire. Quando per un nuovo
sollevamento le isole avranno formato ancora una superficie continentale, un'ardente
lotta si rinnoverà fra le specie; le varietà più favorite
e perfezionate diverranno capaci di moltiplicarsi e le forme meno perfezionate
si estingueranno; i numeri proporzionali dei vari abitanti del continente rinnovato
si cambieranno, mentre l'elezione naturale agirà di nuovo per introdurre
altri progressi negli abitanti e formare così nuove specie.
Io ammetto pienamente che l'elezione naturale agisca sempre con estrema lentezza.
La sua azione dipende dalle lacune che possono farsi nell'economia della natura,
i quali posti potrebbero venir occupati da quegli abitatori del paese che subissero
alcune modificazioni. L'esistenza di codeste lacune dipende dai cangiamenti
fisici, che in generale sono molto lenti, e dagli ostacoli che si oppongono
all'immigrazione delle forme più adatte. Siccome alcuni pochi tra i vecchi
abitanti subiscono delle modificazioni, i reciproci rapporti tra gli altri abitanti
saranno turbati, e si faranno vacanti dei nuovi posti, i quali potranno essere
occupati da forme più adatte. Sebbene tutti gli individui di una medesima
specie differiscano tra loro in grado leggero, potrà tuttavia passare
un tempo lungo, prima che si manifestino delle utili variazioni nelle singole
parti degli organismi. Questo processo può essere ritardato grandemente
dal libero incrociamento. Molti esclameranno che queste cause diverse sono ampiamente
sufficienti per annullare interamente l'azione dell'elezione naturale, io non
lo credo. D'altra parte ammetto che l'elezione naturale agisca sempre con molta
lentezza, spesso soltanto a lunghi intervalli di tempo, e in generale sovra
un ristrettissimo numero di abitanti della stessa regione contemporaneamente.
Inoltre io penso che questa azione lenta ed intermittente della elezione naturale
si accordi perfettamente con ciò che c'insegna la geologia, sull'ordine
e sul modo col quale si trasformarono gli abitanti del globo.
Per quanto il processo di elezione possa essere lento, se l'uomo può
ottenere molto dai suoi deboli mezzi di elezione artificiale, io non saprei
concepire limite alcuno per l'insieme delle modificazioni, per la bellezza ed
infinita varietà degli adattamenti tra tutti gli esseri organizzati,
gli uni rispetto agli altri e in riguardo alle loro condizioni fisiche d'esistenza,
modificazioni e adattamenti che possono prodursi nel lungo corso del tempo dal
potere elettivo della natura, ossia dalla sopravvivenza del più adatto.
ESTINZIONE PRODOTTA DALL'ELEZIONE NATURALE
Questo argomento sarà discusso più completamente
nel nostro capitolo sulla Geologia; ma debbo farne menzione in questo luogo
pe' suoi intimi rapporti colla elezione naturale. L'elezione naturale agisce
semplicemente conservando le variazioni in qualche riguardo vantaggiose, le
quali perciò si rendono stabili. In causa dell'alta ragione geometrica
di accrescimento in tutti gli esseri organizzati, ogni paese contiene un numero
completo di abitanti; ed essendo molte aree occupate da forme assai diverse,
ne segue che se ogni forma eletta e favorita si accresce di numero, generalmente
le forme meno perfezionate diminuiranno, e diverranno rare. La rarità,
secondo le dottrine della geologia, è il precursore dell'estinzione.
Noi possiamo anche ritenere che ogni forma rappresentata da pochi individui
debba correre, con maggiore probabilità, il rischio di rimanere completamente
estinta, in seguito alle alternative delle stagioni e al numero variabile dei
suoi nemici. Ma noi possiamo procedere più avanti; perchè posta
la formazione lenta e continua di nuove forme, quando non si supponga che il
numero delle forme specifiche vada sempre crescendo quasi indefinitamente, fa
d'uopo che alcune inevitabilmente si estinguano. Le geologia ci dimostra chiaramente
che il numero delle forme specifiche non è aumentato indefinitamente;
e noi ci studieremo ora di provare come il numero delle specie sul globo non
abbia potuto divenire smisuratamente grande.
Abbiamo osservato che quelle specie che hanno un maggior numero d'individui
sono in condizioni più acconce a produrre in un dato periodo delle variazioni
favorevoli. I fatti esposti nel secondo capo pongono in evidenza questa legge,
e ci dimostrano che le specie comuni sono quelle che presentano il numero più
grande di varietà conosciute. Quindi le specie rare si modificheranno
e si miglioreranno meno rapidamente, in un periodo determinato, e per conseguenza
saranno vinte nella lotta per l'esistenza dai discendenti modificati delle specie
più comuni.
Parmi che da tutte queste considerazioni si debba necessariamente arguire che,
siccome nel corso dei tempi hanno origine nuove specie per mezzo della elezione
naturale, le altre specie si faranno sempre più scarse e in fine si estingueranno.
Quelle forme che sostengono una lotta molto forte contro altre soggette a modificazioni
e perfezionamenti, naturalmente soffriranno di più. Noi abbiamo veduto,
nel capo della lotta per l'esistenza, che sono le forme più strettamente
affini, - le varietà delle medesime specie, e le specie degli stessi
generi, o di generi prossime - quelle che generalmente entrano fra loro in una
lotta più severa per essere conformi nella struttura, nella costituzione
e nelle abitudini. Conseguentemente, ogni varietà o specie nuova, durante
il progresso della sua formazione, deve combattere principalmente colle razze
più affini e cercare di esterminarle. Noi notiamo un uguale processo
di distruzione fra le nostre produzioni domestiche per mezzo dell'elezione fatta
dall'uomo delle forme più perfette. Molti esempi curiosi potrebbero citarsi
per dimostrare con quanta rapidità le nuove razze di buoi, di montoni,
e di altri animali, o le nuove varietà di fiori, prendano il posto delle
razze più antiche ed inferiori. Si ha la notizia storica che nella contea
di York l'antico bestiame nero fu surrogato da quello a corna lunghe, e questo
"fu alla sua volta distrutto da quello a corna corte, come dalla più
micidiale pestilenza" per servirmi delle parole di uno scrittore d'agricoltura.
DIVERGENZA DI CARATTERE
Il principio da me designato con questo termine è di
una grande importanza, e spiega, a mio avviso, parecchi fatti rilevanti. In
primo luogo le varietà, anche le più marcate, sebbene abbiano
alcun che del carattere delle specie, per modo che riesce in molti casi assai
difficile il classificarle, pure differiscono fra loro assai meno delle specie
ben distinte. Nondimeno, secondo le mie viste, le varietà sono specie
in formazione, oppure, come dissi, sono specie incipienti. Come dunque le differenze
minori fra le varietà possono aumentare fino a divenire le differenze
più grandi che esistono fra le specie? Che ciò debba ordinariamente
avvenire, noi lo desumiamo dal numero considerevole di specie che la natura
ci presenta, con differenze ben distinte; mentre le varietà, supposte
prototipi o progenitori delle future specie distinte, presentano piccole differenze
e mal definite. Il solo caso, come noi possiamo chiamarlo, può fare che
una varietà differisca in qualche carattere da' suoi parenti, e che anche
i discendenti di essa ne diversifichino pei medesimi caratteri, in più
alto grado; ma in questo modo non potrebbe spiegarsi l'insieme delle differenze,
tanto forti e generali, che passano fra le varietà ben distinte delle
medesime specie e fra le specie dei medesimi generi.
Ora, come io feci sempre, procuriamo di spander luce sull'argomento coll'esaminare
le nostre produzioni domestiche. Noi vi rinverremo qualche cosa di analogo.
Si ammetterà che la produzione di razze tanto diverse come i buoi a corna
corte e quelli di Hereford, i cavalli da corsa o da tiro, le varie razze di
colombi, ecc., non sia derivata dalla sola fortuita accumulazione di variazioni
consimili per molte generazioni successive. Nella pratica un dilettante, per
esempio, è colpito dal vedere un colombo col becco leggermente più
corto; un altro dilettante rimane sorpreso nel trovare un colombo col becco
assai più lungo. Dal noto principio "che gli amatori non ammirano,
nè scelgono i tipi intermedi, ma bensì gli estremi", ambidue
continueranno a scegliere e moltiplicare tutti gl'individui aventi becchi sempre
più corti (come in fatto avvenne nelle sotto-razze dei colombi giratori);
oppure becchi sempre più lunghi. Noi possiamo anche supporre che, dai
tempi più remoti, alcuni abbiano dato la preferenza ai cavalli più
veloci ed altri invece ai cavalli più forti e più pesanti. La
differenza prima era forse molto piccola; ma nel corso del tempo, per la continua
elezione dei cavalli più snelli per parte di alcuni allevatori e dei
più robusti per parte di altri allevatori, dovette rendersi maggiore
questa differenza, che sarà stata presa come distinzione di due sotto-razze;
finalmente, dopo molti secoli, queste sotto-razze saranno diventate due razze
distinte e permanenti. Se le differenze crescano, gli animali inferiori dotati
di caratteri intermedi, non essendo nè molto agili nè molto pesanti,
saranno stati trascurati e quindi avranno avuto la tendenza di scomparire. Nelle
produzioni dell'uomo noi dunque vediamo l'azione di ciò che può
dirsi principio di divergenza, il quale è cagione delle differenze dapprima
appena sensibili, indi vieppiù grandi, per cui le razze divergono nel
carattere o fra loro o rispetto ai parenti comuni.
Ma potrebbe domandarsi: come può un principio analogo applicarsi alla
natura? Io credo che possa e debba applicarsi con maggiore efficacia (benchè
io abbia cercato per molto tempo, prima di penetrare come ciò avvenga),
per la semplice circostanza, che quanto più diversificano nella struttura,
nella costituzione e nelle abitudini i discendenti di ogni specie, tanto più
sono atti ad occupare molti posti assai differenti nell'economia della natura,
e quindi più facili a moltiplicarsi.
Noi possiamo discernere chiaramente questa legge se esaminiamo gli animali che
hanno abitudini semplici. Prendiamo il caso di un quadrupede carnivoro, arrivato
da lungo tempo al numero completo di individui che una data regione può
nutrire. Se le sue facoltà naturali per moltiplicarsi sono libere di
svolgersi, egli si moltiplicherà soltanto per mezzo di quei discendenti
variabili che occuperanno i posti attualmente conservati da altri animali (supposto
che la regione non subisca alcun cambiamento nelle sue condizioni). Alcuni di
essi, per esempio, possono divenire atti a nutrirsi di nuove sorta di preda
morta o viva; altri possono trasferirsi in nuove stazioni, oppure rendersi capaci
di arrampicarsi sugli alberi e di frequentare le acque, ed altri forse possono
divenire meno carnivori. I discendenti dei nostri carnivori più diversi
per le abitudini e per la conformazione, saranno atti ad impadronirsi del maggior
numero di posti. Ciò che qui si attribuisce ad un solo animale può
estendersi in ogni tempo a tutte le specie, purchè esse variino, altrimenti
l'elezione naturale non potrebbe esercitarsi. Altrettanto deve accadere nelle
piante. Fu provato sperimentalmente che se in un pezzo di terra sia seminata
una sola specie di erba e in un altro pezzo di terra uguale ne siano invece
seminati parecchi generi, nel secondo si avrà un maggior numero di piante
e una quantità maggiore di fieno. Si ottenne anche un effetto uguale
seminando una sola varietà di frumento e parecchie varietà miste,
sopra due spazi uguali di terreno. Quindi se una specie d'erba comincia a variare,
e queste varietà siano continuamente elette, mentre diversificano fra
loro nella stessa maniera con cui si distinguono le specie e i generi delle
differenti erbe, un numero maggiore di piante individuali di queste specie di
erbe, compresi i loro discendenti modificati, potrà vegetare sul medesimo
terreno. Ora noi sappiamo che ogni specie ed ogni varietà d'erba sparge
annualmente sul terreno innumerevoli semi; e quindi può dirsi che essa
cerca di moltiplicarsi per quanto può. Conseguentemente nel corso di
parecchie migliaia di generazioni, le varietà più distinte di
ogni specie d'erba avranno sempre la maggior probabilità di succedere
e di accrescersi in numero, soppiantando così le varietà meno
distinte; e quando queste varietà saranno divenute affatto diverse fra
loro, prenderanno il rango di specie.
In molte circostanze naturali si osserva la verità del principio, che
una grande diversità di struttura può rendere possibile una maggiore
quantità di vita. In un'area assai piccola, specialmente se liberamente
aperta all'immigrazione, ove la contesa fra gli individui deve essere molto
severa, noi sempre troviamo una diversità notevole nei suoi abitatori.
Così io trovai che una superficie erbosa, dell'estensione di tre piedi
per quattro, che era stata esposta per molti anni esattamente alle stesse condizioni,
conteneva venti specie di piante e queste appartenevano a diciotto generi e
a otto ordini, locchè prova quanto differivano fra loro queste piante.
Altrettanto avviene per le piante e per gl'insetti viventi sopra isole uniformi
e piccole, come pure nei piccoli stagni d'acqua dolce. I coltivatori sanno che
possono procurarsi un prodotto maggiore per mezzo della rotazione di piante
appartenenti ad ordini molto diversi: la natura adopera quella che potrebbe
appellarsi rotazione, simultanea. La maggior parte degli animali e delle piante
che stanno intorno a un piccolo pezzo di terra, potrebbero vivere in essa (dato
che questo terreno non sia di una speciale natura), e può asserirsi che
fanno ogni sforzo per occuparla e rimanervi; ma si vede che quando essi incominciano
la lotta fra loro, i vantaggi della differenza di struttura come delle differenze
corrispondenti di abitudini e di costituzione, determinano la classificazione
di quegli abitanti che si saranno combattuti insieme più da vicino, i
quali in regola generale apparterranno a ciò che noi chiamiamo generi
ed ordini diversi.
Il medesimo principio si osserva nella naturalizzazione delle piante per l'azione
dell'uomo sulle terre lontane. Noi avremmo potuto aspettarci che le piante che
giunsero a naturalizzarsi in una regione qualsiasi, fossero in generale strettamente
affini alle piante indigene; perchè queste sono comunemente riguardate
come create e adatte in particolare pel proprio paese. Forse potrebbe anche
credersi che le piante naturalizzate abbiano fatto parte di pochi gruppi più
specialmente adatti a certe stazioni nella nuova loro patria. Ma in realtà
la cosa è molto diversa; e Alfonso de Candolle ha osservato molto saggiamente,
nella sua opera stupenda, che le flore, proporzionalmente al numero dei generi
e delle specie native, acquistano per mezzo della naturalizzazione più
generi nuovi, che nuove specie. Diamone un solo esempio. Nell'ultima edizione
del Manual of the Flora of the Northern United States del dott. Asa Gray si
contano 260 specie di piante naturalizzate, spettanti a 162 generi. Noi vediamo
perciò che queste piante sono di natura molto diversa. Esse differiscono
inoltre per molti rapporti dalle piante indigene, perchè sopra 162 generi
naturalizzati, non meno di 100 sono estranei alle specie indigene; onde risulta
un grande aumento proporzionale nei generi endemici degli Stati Uniti.
Se si consideri la natura delle piante e degli animali che lottarono con successo
contro gli indigeni di un paese e che poterono riuscire a naturalizzarsi, noi
possiamo farci un'idea imperfetta del modo, secondo il quale alcune delle specie
native dovettero modificarsi, per ottenere un vantaggio sulle altre; e noi possiamo
almeno dedurne con certezza, che le diversità di struttura che si spingono
fino a nuove differenze generiche, saranno state utili a quelle specie.
Il vantaggio della diversità, negli abitanti d'un medesimo paese, è
in realtà uguale a quello che nasce dalla divisione fisiologica del lavoro
negli organi di uno stesso individuo; soggetto che fu trattato con tanta chiarezza
dal Milne-Edwards. Niun fisiologo dubita che uno stomaco adatto solamente alla
digestione delle sostanze vegetali, oppure delle sostanze animali, tragga maggior
copia di nutrimento da quei cibi che gli convengono. Così nell'economia
generale di un paese, quanto più largamente diversifichino gli animali
e le piante per le abitudini della vita; tanto più grande sarà
il numero degl'individui che potranno tollerarsi a vicenda. Un certo gruppo
di animali, poco differenti nella loro organizzazione, potrebbe difficilmente
competere con un altro gruppo, la cui struttura fosse più perfettamente
diversa. Può dubitarsi, per esempio, se i marsupiali dell'Australia,
i quali sono divisi in gruppi assai poco distinti fra loro e rappresentano molto
debolmente, come notarono Waterhouse ed altri, i nostri carnivori, ruminanti
e roditori, possano con frutto sostenere la lotta contro questi ordini tanto
distinti. Nei mammiferi dell'Australia noi vediamo il processo di variazione
in uno stadio incipiente ed incompleto di sviluppo.
[vedi tabella.gif]
EFFETTI DELL'ELEZIONE NATURALE SUI DISCENDENTI
DI UN COMUNE PROGENITORE PER LA DIVERGENZA
DEI CARATTERI E L'ESTINZIONE DELLE SPECIE
Per le osservazioni precedenti, che potevano estendersi maggiormente,
noi siamo in grado di stabilire che i discendenti modificati di una specie si
moltiplicheranno meglio, quanto più siano divenuti differenti nella struttura;
e così saranno atti a subentrare nei posti occupati da altri esseri.
Ora ci sia permesso di rilevare quale sia la tendenza di questo principio benefico,
che risulta dalla divergenza del carattere, combinato coi principii d'elezione
naturale e d'estinzione.
L'unito diagramma ci gioverà per intendere questo argomento molto difficile.
Supponiamo che le lettere da A ad L rappresentino le specie di un genere assai
ricco in un dato paese; e che queste specie si rassomiglino in diverso grado,
come generalmente si osserva nella natura e come viene rappresentano dal diagramma,
essendo le lettere situate a distanze differenti. Io ho scelto come esempio
un genere molto ricco, perchè noi vedemmo nel secondo capo che in media
variano più le specie dei generi grandi che non quelle dei generi piccoli;
e le specie variabili dei generi ricchi presentano un maggior numero di varietà.
Noi abbiamo anche notato che le specie più comuni e più largamente
diffuse variano assai più delle specie rare in luoghi ristretti. Sia
dunque A una specie comune, molto diffusa e variabile, appartenente ad un genere
ricco e situata nel paese nativo. Il piccolo ventaglio di linee punteggiate
- e divergenti, di diversa lunghezza, che partono dal punto A, può rappresentare
la sua discendenza variabile. Queste variazioni si ritengono estremamente piccole,
ma di una natura molto diversa; nè si ammette che esse possano manifestarsi
tutte simultaneamente, ma a lunghi intervalli di tempo; inoltre non può
supporsi che durino tutte per uguali periodi. Quelle variazioni sole che sono
in qualche modo profittevoli, saranno conservate, o scelte naturalmente. Qui
fa d'uopo notare l'importanza del principio che un vantaggio nasce dalla divergenza
del carattere, poichè questo principio generalmente condurrà alle
variazioni più diverse o più divergenti (rappresentate dalle linee
punteggiate esterne), che saranno poi conservate ed accumulate per mezzo dell'elezione
naturale. Quando una linea punteggiata incontra una delle linee orizzontali,
e il punto d'incontro è segnato con una piccola lettera numerizzata,
si suppone che una somma sufficiente di variazioni sia stata accumulata per
formare una varietà ben distinta e tale da essere particolarmente classificata
in un'opera sistematica.
Gli spazi fra le linee orizzontali del diagramma possono rappresentare un migliaio
e più di generazioni per ciascuno. Dopo mille generazioni, si è
dunque supposto, che la specie A abbia prodotto due varietà affatto distinte,
cioè a1 ed m1. Queste due varietà continueranno generalmente ad
essere esposte alle stesse condizioni che resero variabili i loro predecessori,
e la tendenza alla variabilità sarà in esse ereditaria, quindi
tenderanno a variare all'incirca nello stesso modo con cui variarono i loro
antenati. Inoltre queste due varietà, essendo soltanto forme leggermente
modificate, tenderanno ad ereditare quei vantaggi che accrebbero il loro stipite
A più di tutti gli altri abitatori del medesimo paese; esse parimenti
parteciperanno di quei vantaggi più generali che innalzarono il genere,
al quale la madre-specie apparteneva, al grado di genere ricco nella propria
regione. E noi sappiamo che queste circostanze sono favorevoli alla produzione
di nuove varietà.
Se dunque queste due varietà sono variabili, le loro variazioni più
divergenti saranno generalmente preservate per le mille generazioni successive.
Dopo questo intervallo nel diagramma si suppone che la varietà a1 abbia
dato origine alla varietà a2, la quale, secondo il principio di divergenza,
differirà dallo stipite A più della varietà a1. Supponiamo
che la varietà m1 abbia prodotto due varietà, cioè m2 ed
s2, diverse fra loro, e più considerevolmente dissimili dal loro stipite
comune A. Si potrebbe continuare questo processo, per mezzo di una gradazione
analoga, per una lunghezza indeterminata di tempo. Alcune di queste varietà
producendo soltanto una sola varietà dopo ogni migliaio di generazioni,
altre invece dando luogo a due o tre varietà e finalmente alcune rimanendo
invariabili. Così le varietà o i discendenti modificati, derivanti
dal progenitore comune A, cresceranno di numero in generale e divergeranno nel
carattere. Sul diagramma tale processo venne seguìto fino a diecimila
generazioni; e sotto una forma più condensata e semplificata fino a quattordicimila.
Ma io debbo qui osservare che non credo che questo processo continui sempre,
con tutta la regolarità indicata dalla figura, benchè qualche
volta anche in questa si presenti irregolare; è invece assai più
probabile che una forma si conservi costante per lungo tempo, e poi subisca
delle nuove modificazioni. Io sono anche lontano dal pensare che costantemente
le varietà più divergenti prevalgano e si moltiplichino costantemente:
una forma intermedia può durare lungamente e può produrre più
di quel che faccia un discendente modificato; perchè l'elezione naturale
agirà sempre a norma della natura dei luoghi che sono vuoti od imperfettamente
occupati da altri esseri; e ciò deve dipendere da rapporti infinitamente
complessi. Ma in regola generale, quanto più diversi nella struttura
saranno i discendenti di ogni specie, tanto più essi saranno adatti a
collocarsi in un numero maggiore di posti, e la loro progenie modificata sarà
in grado di aumentare. Nel nostro diagramma la linea di successione è
interrotta ad intervalli regolari da piccole lettere numerizzate che indicano
essere le forme successive divenute abbastanza distinte da doversi considerare
come varietà. Ma queste interruzioni sono ideali e potrebbero introdursi
in qualsiasi altro punto, dopo intervalli talmente lunghi da permettere l'accumulazione
di un insieme considerevole di variazioni divergenti.
Come tutti i discendenti modificati d'una specie comune e largamente sparsa,
spettante a un genere ricco, tenderanno a partecipare degli stessi vantaggi
che assicurarono ai loro antenati il successo nella vita, essi generalmente
andranno moltiplicando in numero e insieme divergendo nel carattere; ciò
viene raffigurato nel diagramma per mezzo delle varie ramificazioni divergenti
che partono da A. La progenie modificata dei rami più recenti e più
profondamente migliorati delle linee di discendenza occuperà il posto,
come è probabile, dei rami più antichi e meno perfezionati, e
quindi li distruggerà; ciò vedesi nel diagramma in alcune fra
le ramificazioni inferiori che non raggiungono le linee orizzontali superiori.
In parecchi casi io non dubito che il processo di modificazione sarà
limitato ad una linea sola di discendenza, e che il numero dei discendenti non
si aumenterà: quantunque la somma delle modificazioni divergenti possa
essere cresciuta nelle successive generazioni. Questo caso sarebbe rappresentato
nel diagramma, se tutte le linee che partono da A fossero, tolte, eccettuate
quelle di a1 ed a10. Così, per esempio, il cavallo da corsa ed il cane
da ferma inglesi hanno, a quanto pare, progredito ambedue, divergendo lentamente
dal carattere del loro stipite originario, senza produrre alcuna nuova ramificazione
o razza.
Supponiamo che dopo diecimila generazioni la specie A abbia dato origine a tre
forme, a10, f10, m10, le quali, essendosi allontanate nei caratteri per tutte
le generazioni successive, saranno giunte al punto da differire considerevolmente,
benchè forse inegualmente fra loro e dal loro stipite comune. Se noi
ammettiamo che la somma delle modificazioni avvenute fra ogni coppia di linee
orizzontali nel nostro diagramma sia eccessivamente piccola, queste tre forme
possono rimanere soltanto varietà ben marcate; oppure esse possono entrare
nella categoria incerta di sotto-specie; ma ci basta solamente supporre che
i gradi, nel processo di modificazione, furono nel loro insieme sì numerosi
o sì grandi da convertire queste tre forme in specie ben definite: anche
il diagramma ci spiega i gradi, pei quali le piccole differenze che distinguono
le varietà crebbero fino a raggiungere le differenze più grandi
che passano fra le specie. Continuando tale processo per molte generazioni (come
rilevasi dal diagramma, nel modo più semplice e conciso, nella parte
superiore della figura), noi otteniamo otto specie, indicate per mezzo delle
lettere da a14 ad m14, tutte derivate da A. Io credo che le specie si siano
moltiplicate in siffatto modo, e che così formaronsi i generi.
È probabile che in un genere ricco variino parecchie specie invece di
una sola. Nel diagramma io ho supposto che una seconda specie abbia prodotto,
per mezzo di analoghe variazioni e dopo diecimila generazioni, o due varietà
bene distinte (w10 e z10), o due specie, secondo l'importanza delle mutazioni
che si suppone siano rappresentate fra le linee orizzontali. Dopo quattordicimila
generazioni si saranno formate sei specie nuove, designate dalle lettere n14
a z14. Le specie di un genere, le quali sono estremamente diverse nei caratteri,
tenderanno in generale a produrre il massimo numero di discendenti modificati;
perchè questi avranno una probabilità maggiore di occupare nuovi
posti nella economia della natura, anche se affatto diversi: quindi io scelsi
nel diagramma le specie estreme o quasi estreme A ed I, come quelle che variarono
maggiormente e diedero origine a nuove varietà o a nuove specie. Le nove
altre specie del nostro genere originario (segnate con lettere maiuscole B-H,
K, L) possono continuare per un lungo periodo a trasmettere una discendenza
inalterata; ed è ciò che viene indicato dal diagramma nelle rette
punteggiate che sono prolungate superiormente a diversa altezza.
Ma durante il processo di modificazione, quale è delineato nel diagramma,
un altro dei nostri principii, e precisamente quello dell'estinzione, avrà
avuto una parte importante. Siccome in ogni paese ampiamente popolato l'elezione
naturale agisce necessariamente per mezzo di quelle forme preservate che hanno
qualche vantaggio sulle altre forme nella lotta per l'esistenza, così
vi sarà una tendenza costante nei discendenti perfezionati di qualsiasi
specie a soppiantare e distruggere, in ogni stadio genealogico, i loro predecessori
ed i loro antenati originari. Poichè fa d'uopo ricordare che la lotta
è in generale tanto più severa, quanto più le forme sono
strettamente affini nelle abitudini, nella costituzione e nella struttura. Perciò
tutte le forme intermedie fra le primitive e le più recenti, cioè
fra lo stato meno perfetto e quello più perfetto di una specie, non altrimenti
che la stessa madre-specie originale, tenderanno in generale ad estinguersi.
Probabilmente ciò avviene anche di molte linee collaterali di discendenti
che rimarranno vinte da classi più recenti e più perfette. Tuttavia
se la posterità modificata di una specie occupa qualche distinta regione,
e diviene presto atta a sopportare un soggiorno affatto nuovo, nel quale gli
antenati e la prole non entrano in lotta fra loro, potranno entrambi continuare
ad esistervi.
Se dunque il nostro diagramma viene preso come l'espressione di un grande insieme
di modificazioni, la specie A e tutte le antiche varietà si saranno estinte
successivamente, e saranno state rimpiazzate da otto nuove specie (a14 ad m14)
e alla specie I si saranno sostituite le sei altre specie (n14 a z14).
Ma noi possiamo procedere più oltre. Abbiamo supposto che le specie originali
del nostro, genere si rassomigliassero in diverso grado, come generalmente si
osserva nella natura. La specie A sarebbe più strettamente affine alle
specie B, C e D che alle altre specie; e la specie I sarebbe più affine
alle specie G, H, K ed L che alle altre. Noi abbiamo anche immaginato che queste
due specie A ed I fossero le più comuni e le più diffuse, cosicchè
esse debbono aver presentato in origine qualche vantaggio sopra tutte le altre
specie del medesimo genere. Ora i loro discendenti modificati, nel numero di
quattordici dopo quattordicimila generazioni, avranno probabilmente ereditato
alcuni di questi vantaggi: e quindi saranno stati modificati e perfezionati
in una diversa maniera, ad ogni stadio della discendenza, fino a divenire adatti
alle situazioni più differenti nella naturale economia della loro regione.
Perciò sembra estremamente probabile ch'esse abbiano preso il posto,
non solo delle loro madri-specie A ed I, ma anche di alcune delle specie originali
più affini a queste e le abbiano così esterminate. Quindi pochissime
specie originali avranno trasmesso la loro progenie fino alla quattordicimillesima
generazione. Noi possiamo supporre che una sola specie F, come la meno strettamente
affine alle altre nove specie originali, abbia conservato i suoi discendenti
fino a quest'epoca lontana.
Le nuove specie derivate nel nostro diagramma da undici specie originali, sarebbero
divenute quindici. In seguito alla tendenza divergente della elezione naturale,
l'intera somma delle differenze caratteristiche fra le specie a14 e z14 sarà
assai più grande di quella che passava fra le più distinte delle
undici specie originali. Inoltre le nuove specie saranno tra loro affini in
grado diverso. Fra gli otto discendenti di A le specie a14, g14 e p14 sarebbero
vicinissime, essendo derivate recentemente dalle specie a10, b14 ed f14, avendo
cominciato a divergere da a5 in un periodo più antico, sarebbero di qualche
grado più distinte dalle tre specie predette; e da ultimo o14, e14 ed
m14 sarebbero strettamente affini fra loro; ma essendosi esse allontanate fino
dal principio del processo di modificazione dalle forme originali, saranno più
completamente differenti dalle altre cinque specie e potrebbero costituire un
sotto-genere o anche un genere distinto.
I sei discendenti della specie I formerebbero pure due sotto-generi od anche
due generi. Ma siccome la specie originale I differiva molto dalla specie A,
trovandosi le medesime quasi agli estremi punti del genere primitivo, così
i sei discendenti di I, per la sola legge dell'eredità, saranno assai
diversi dagli otto discendenti di A; inoltre fu supposto che i due gruppi abbiano
sempre continuato a divergere in direzioni diverse. Anche le specie intermedie
che collegavano le specie originali A ed I saranno rimaste estinte e non avranno
lasciato alcun discendente, eccettuata la specie F; e questa considerazione
è della massima importanza. Quindi le sei nuove specie derivanti da I
e le otto specie derivanti da A, sarebbero classificate come due generi distintissimi
ed anche come due sotto-famiglie distinte.
In questo modo io credo che due o più generi possano formarsi per mezzo
della progenie modificata di due o più specie di uno stesso genere. E
può ritenersi che due o più madri-specie partano da una qualche
specie d'un genere più antico. Nel nostro diagramma indichiamo ciò
colle linee interrotte che sono al disotto delle lettere maiuscole A ad L, convergenti
al basso verso un solo punto. Questo punto rappresenta una sola specie, la supposta
madre-specie dei nostri nuovi sotto-generi e generi.
Ora, arrestiamoci un momento a considerare il carattere della nuova specie f14,
che noi supponemmo non essersi molto scostata dalla forma F, anzi dicemmo aver
conservato quella forma inalterata, o almeno modificata insensibilmente. Le
sue affinità colle altre quattordici specie nuove saranno molto curiose
e complicate. Derivando da una forma collocata fra le due madri-specie A ed
I, da noi supposte estinte o non conosciute, essa si troverà in qualche
rapporto intermedio pel carattere fra i due gruppi che discesero da quelle due
specie. Ma questi due gruppi andarono divergendo nel carattere dal tipo dei
loro antenati e perciò la nuova specie f14 non sarà direttamente
intermedia fra essi, ma piuttosto lo sarà fra i tipi dei due gruppi;
ed ogni naturalista sarà capace d'immaginare un esempio di questa sorta.
Nel diagramma si sono presi gli spazi fra le linee orizzontali per rappresentare
ogni migliaio di generazioni, ma ognuno di essi potrebbe invece rappresentare
un milione o cento milioni di generazioni; e parimenti potrebbe considerarsi
come una sezione degli strati successivi della crosta terrestre comprendenti
i fossili di specie estinte. Noi dovremo ritornare su questo argomento quando
giungeremo al nostro capitolo della Geologia, ed allora noi vedremo che il diagramma
può illuminarci sulle affinità degli esseri estinti, i quali hanno
spesso in certo grado caratteri intermedi fra i gruppi esistenti, quantunque
appartengano generalmente ai medesimi ordini, alle medesime famiglie o ai medesimi
generi di quelli che vivono al presente; e noi possiamo intendere questo fatto,
perchè le specie estinte vissero in epoche molto remote, quando le diramazioni
della progenie erano meno divergenti.
Io non trovo alcun motivo plausibile di restringere codesto processo di modificazione,
come venne da me spiegato, alla sola formazione dei generi. Se nel nostro diagramma
immaginiamo che la somma delle variazioni rappresentate da ogni gruppo successivo
di rette punteggiate e divergenti sia molto grande, le forme segnate da a14
a p14, da b14 a f14 e da o14 ad m14 ci daranno tre generi affatto distinti.
Avremo perciò due generi distinti provenienti da I, e siccome questi
ultimi generi differiranno compiutamente dai tre generi che derivarono da A,
vuoi per la continua divergenza nei caratteri, vuoi per l'eredità di
tipi diversi; così i due piccoli gruppi di generi formeranno due famiglie
distinte, od anche due ordini, secondo l'insieme delle modificazioni divergenti
che si attribuiscono agli intervalli fra le linee orizzontali del diagramma.
Le due nuove famiglie, o i due nuovi ordini saranno derivati da due specie del
genere originale; come pure queste due madri-specie potranno ritenersi come
discendenti da una specie di un genere anche più antico ed ignoto.
Fu da me notato che in ogni regione le specie dei generi molto ricchi sono quelle
che presentano più spesso delle varietà o specie incipienti. Ora
ciò avrebbe in verità potuto prevedersi: perchè l'elezione
naturale agisce per mezzo di una forma che possiede qualche vantaggio sulle
altre, nella lotta per l'esistenza: ed agirà quindi preferibilmente su
quelle forme che hanno già qualche circostanza utile; ora la ricchezza
di un gruppo dimostra che tutte le sue specie ereditarono dallo stipite comune
qualche vantaggio. Quindi la lotta per la produzione di nuovi discendenti modificati,
avrà luogo principalmente nei gruppi più vasti, che tendono ad
aumentare di numero. Un gruppo molto ricco deve lentamente conquidere un altro
gruppo esteso, diminuirne il numero e minorare così la probabilità
ch'esso aveva di ulteriori variazioni o perfezionamenti. Entro un medesimo gruppo
ricco, i sotto-gruppi più recenti e più altamente migliorati colla
divergenza, occupando molti posti disponibili nell'economia della natura, tenderanno
costantemente a soppiantare e distruggere i sotto-gruppi più antichi
e meno perfezionati. Così i gruppi e sottogruppi piccoli ed interrotti
dovranno infine scomparire. Se consideriamo l'avvenire, noi possiamo predire
che i gruppi degli esseri organizzati che oggidì sono più ricchi
e dominanti e che sono meno interrotti, cioè che ebbero a soffrire un
minor numero di estinzioni, continueranno ad aumentare per lungo tempo. Ma niuno
potrebbe prevedere quali gruppi siano per prevalere da ultimo; perchè
noi sappiamo che molti gruppi, anticamente assai sviluppati, oggi si trovano
estinti. Guardando molto più innanzi nell'avvenire, noi possiamo predire
che, dietro l'accrescimento continuo e rapido dei gruppi più ricchi,
molti gruppi minori si estingueranno completamente e non lasceranno alcun discendente
modificato; e per conseguenza che delle specie viventi a un dato periodo, assai
poche trasmetteranno la loro discendenza a un'epoca molto remota. Io tratterò
di nuovo questo soggetto nel capitolo sulla Classificazione, ma debbo aggiungere
che si può comprendere, come oggi non esistano se non pochissime classi
in ogni divisione dei regni animale e vegetale, quando si pensi che uno scarsissimo
numero delle specie più antiche trasmisero la loro progenie fino a noi,
e che tutti i discendenti di una medesima specie formano una classe. Quantunque
assai poche fra le più antiche specie siano oggi rappresentate dai loro
discendenti modificati, tuttavia, fino da epoche geologiche remote, la terra
può essere stata popolata da molte specie di molti generi, famiglie,
ordini e classi come al presente.
SINO A CHE PUNTO L'ORGANIZZAZIONE TENDA A PROGREDIRE
L'elezione naturale agisce esclusivamente per mezzo della conservazione
ed accumulazione delle variazioni utili, nelle condizioni organiche ed inorganiche
della vita, alle quali ogni creatura trovasi esposta ad ogni periodo successivo.
Il risultato finale sarà che ogni creatura tenderà a divenire
sempre più perfetta, in relazione alle sue condizioni di vita. Ora questo
perfezionamento deve, a mio avviso, condurre inevitabilmente all'avanzamento
graduale dell'organizzazione di un gran numero di esseri viventi alla superficie
della terra. Ma qui noi entriamo in un soggetto molto intricato, perchè
i naturalisti non hanno ancora definito, con soddisfazione di tutti, che cosa
s'intenda per progresso nell'organizzazione. Nei vertebrati il grado d'intelligenza
e le rassomiglianze nella struttura a quella dell'uomo evidentemente entrano
in giuoco. Può darsi che l'insieme delle variazioni che subirono le diverse
parti e gli organi nel loro sviluppo, dall'embrione allo stato adulto, bastino
come termine di confronto; ma abbiamo dei casi, come in certi crostacei parassiti,
nei quali alcune parti della struttura sono deteriorate e perfino mostruose,
per cui l'animale adulto non può dirsi più elevato della sua larva.
La norma di Von Baer mi sembra la migliore e la più applicabile ampiamente,
cioè quella che consiste nel valutare l'insieme delle differenze nelle
varie parti (aggiungerei, nello stato adulto) e la loro specialità per
funzioni diverse; ovvero seguendo l'espressione di Milne-Edwards, la più
completa divisione del lavoro fisiologico. Ma noi dobbiamo riconoscere quanto
sia oscuro questo soggetto, quando consideriamo che nei pesci, per modo d'esempio,
alcuni naturalisti collocano nell'ordine più elevato quelli che, come
gli squali, si approssimano maggiormente ai rettili; mentre altri naturalisti
vi collocano i pesci ossei comuni o teleostei, perchè sono più
strettamente conformi al tipo di pesce, e differiscono maggiormente dalle altre
classi dei vertebrati. L'oscurità dell'argomento ci si appalesa più
evidente riguardo alle piante, in cui la norma dell'intelligenza, che ordinariamente
ci serve di guida, rimane affatto esclusa; quindi alcuni botanici assegnano
il posto più alto nella classificazione a quelle piante che hanno tutti
gli organi del fiore, cioè i sepali, petali, stami e pistilli, pienamente
sviluppati; al contrario altri botanici, probabilmente con maggior fondamento,
considerano appartenere all'ordine più elevato quelle piante che hanno
i loro diversi organi più modificati e ridotti di numero.
Se noi riflettiamo che l'indizio migliore della superiorità della organizzazione
sta nella diversità e nella specialità dei vari organi di ogni
essere adulto (e ciò include il progresso del cervello nelle operazioni
intellettuali), vediamo che l'elezione naturale tende manifestamente ad elevare
l'organizzazione; perchè tutti i fisiologi ammettono che la specialità
degli organi, permettendo che meglio adempiano le loro funzioni, è utile
ad ogni essere; e quindi l'accumulazione delle variazioni tendenti a separare
le funzioni contribuisce all'elezione naturale. D'altra parte, considerando
che tutti gli esseri organizzati tendono a crescere in una forte proporzione
e cercano di impadronirsi di ogni posto imperfettamente occupato nell'economia
della natura, noi possiamo ammettere la possibilità dell'ipotesi che
un essere organizzato si adatti per l'elezione naturale ad una situazione in
cui parecchi organi divengano superflui ed inutili: in tal caso si avrebbe un
regresso nella scala dell'organizzazione. Noi discuteremo più convenientemente
nel capo della Successione geologica se l'organizzazione, nel suo complesso,
abbia effettivamente progredito dai più antichi periodi geologici fino
ai nostri giorni.
Ma qui può obbiettarsi, come avvenga che esistano ancora sul globo tante
forme inferiori, se tutti gli esseri organizzati tendono così a salire
nella scala naturale, e per qual motivo in ogni classe grande alcune forme siano
molto più sviluppate di altre. Come mai le forme più altamente
sviluppate non soppiantarono ed esterminarono ovunque le forme inferiori? Lamarck,
che ammetteva in tutti gli esseri organizzati una tendenza innata ed inevitabile
alla perfezione, pare abbia sentito così fortemente questa difficoltà,
che fu indotto a supporre che forme nuove e semplici vadano continuamente nascendo
per mezzo della generazione spontanea. Appena mi occorre dire che la scienza
nell'odierno stato non presta alcun appoggio all'opinione che esseri viventi
siano attualmente generati dalla materia inorganica. Colla mia teoria l'esistenza
presente di produzioni di bassa organizzazione non offre difficoltà;
perchè l'elezione naturale non implica alcuna legge necessaria ed universale
di progresso o di sviluppo; essa trae profitto solo dalle variazioni che si
presentano e che sono benefiche ad ogni creatura, nelle sue complesse relazioni
di esistenza. Ora, per quanto ci è dato conoscere, quale vantaggio potrebbe
essere per un animaletto infusorio, per un verme intestinale, od anche per un
verme di terra il possedere un'organizzazione elevata? Se ciò non fosse
utile, queste forme non sarebbero perfezionate dall'elezione naturale, ovvero
il perfezionamento sarebbe assai lieve; ed esse rimarrebbero indefinitamente
nella presente loro condizione poco avanzata. Infatti la geologia c'insegna
che alcune delle forme inferiori, come gl'infusorii e i rizopodi hanno conservato
per epoche lunghissime a un dippresso il loro stato attuale. Ma sarebbe poco
prudente il supporre che la maggior parte delle molte forme inferiori, oggi
esistenti, non abbiano progredito per nulla dal primo giorno della loro vita;
perchè ogni naturalista che ha notomizzato alcuni degli esseri, oggi
collocati agli ultimi gradi della scala animale, dovette rimanere colpito dalla
loro bella e veramente prodigiosa organizzazione.
Osservazioni analoghe potrebbero farsi nel considerare le grandi differenze
esistenti nei gradi dell'organizzazione, differenze che si incontrano in quasi
tutti i grandi gruppi; per esempio, la coesistenza dei mammiferi e dei pesci
nei vertebrati; quella dell'uomo e dell'ornitorinco nei mammiferi, ovvero quella
del pescecane e dell'amphioxus nei pesci; mentre quest'ultimo, nell'estrema
semplicità della sua struttura, si approssima grandemente alla classe
degl'invertebrati. Ma i mammiferi e i pesci entrano difficilmente in concorrenza
fra loro: e il progresso di certi mammiferi o dell'intera classe dei medesimi
fino al più alto grado dell'organizzazione, non potrebbe condurli ad
occupare il posto dei pesci e ad esterminarli. I fisiologi credono che il cervello
debba essere bagnato di sangue caldo per spiegare tutta la sua attività,
e ciò esige una respirazione aerea; cosicchè i mammiferi, essendo
dotati di sangue caldo, quando abitano nell'acqua, soggiacciono a parecchi svantaggi
in confronto ai pesci Nella classe dei pesci la famiglia degli squali non tenderà
probabilmente a distruggere l'amphioxus, il quale, come mi disse Fritz Müller,
sulla spiaggia sterile e sabbionosa del Brasile meridionale ha per unico compagno
e competitore un anellide anomalo. I tre ultimi ordini dei mammiferi, cioè
i marsupiali, gli sdentati e i roditori, esistono nell'America meridionale nella
medesima regione con molte scimmie, e probabilmente hanno alcune relazioni fra
loro. Perciò l'organizzazione, benchè sia progredita e progredisca
tuttora sul globo nel suo insieme, nondimeno la scala presenterà sempre
tutti i gradi di perfezione. Perchè il grande avanzamento di certe classi
intere, o di certi individui di ogni classe, non conduce necessariamente all'estinzione
di quei gruppi coi quali essi non sostengono una lotta ostinata. In certi casi,
come vedremo, le forme organizzate inferiori sembra siano state preservate fino
al presente, per avere abitato luoghi particolari od isolati, ove ebbero a soffrire
una concorrenza meno severa, e si trovarono in piccolo numero, locchè
fece ritardare la produzione probabile di variazioni favorevoli.
Finalmente io penso che le forme inferiori oggi esistano numerose sul globo
e quasi in ogni classe, per diverse cagioni. In alcuni casi le variazioni favorevoli,
per le quali l'elezione naturale si esercita e che si accumulano, possono non
essersi mai manifestate. In nessun caso forse il tempo fu sufficiente per arrivare
alla maggior somma possibile di sviluppo. In altri pochi casi può essere
avvenuto ciò che noi dobbiamo chiamare un regresso dell'organizzazione.
Ma la cagione precipua sta nella circostanza che un'organizzazione elevata non
sarebbe utile in condizioni di vita veramente semplici, anzi potrebbe riescire
effettivamente dannosa, perchè di un'indole più delicata e più
sensibile a' disordini e alle offese.
Risalendo alla origine della vita, quando tutti gli esseri organizzati, come
noi possiamo immaginarlo, presentavano la struttura più semplice, come
poterono avvenire quei primi gradi nell'avanzamento o nella differenziazione
e separazione degli organi? Herbert Spencer risponderebbe probabilmente, che
appena gli organismi semplici unicellulari per accrescimento o divisione fossero
divenuti multicellulari o si fossero fissati sopra una superficie, la sua legge
sarebbe entrata in vigore, che cioè "le unità omologhe subiscono
un differenziamento proporzionato alla diversità delle forze che su di
esse agiscono", Ma non avendo alcun fatto che ci guidi, ogni speculazione
su questo soggetto sarà affatto inutile. Pure sarebbe un errore il credere
che non si esercitasse la lotta per l'esistenza e non agisse quindi l'elezione
naturale, prima che si producessero molte e svariate forme. Anche le variazioni
di una sola specie, posta in una località isolata, potrebbero esserle
vantaggiose, e colla loro conservazione l'intera massa degli individui si troverebbe
modificata, oppure ne deriverebbero due forme distinte. Ma, come osservai verso
la fine dell'Introduzione, niuno deve meravigliarsi che molte cose rimangano
oscure sull'origine delle specie, quando si rifletta alla nostra profonda ignoranza
sulle mutue relazioni degli abitanti del globo nelle molte epoche trascorse
della loro storia.
CONVERGENZA DEI CARATTERI
Il Watson crede ch'io abbia attribuito eccessiva importanza
al principio della divergenza dei caratteri (il quale però è anche
da lui accettato), e dice che si debba tener conto anche di ciò che può
chiamarsi convergenza dei caratteri. Se due specie, appartenenti a due generi
diversi ma affini, producano un certo numero di nuove specie divergenti, può
immaginarsi che si debbano poi riunire nello stesso genere, cosicchè
i discendenti di due generi diversi convergerebbero in uno solo. Ma sarebbe
generalmente un giudizio molto avventato, se si attribuisse alla predetta convergenza
una grande e generale somiglianza nella costruzione di discendenti modificati
di forme tra loro molto distanti. La forma di un cristallo è determinata
unicamente dalle forze molecolari, e non v'è nulla di sorprendente nel
fatto che sostanze dissimili assumono talvolta la medesima forma; ma non devesi
dimenticare che la forma di un essere organico dipende da un'infinita quantità
di rapporti complessi; e cioè dalle variazioni avvenute, determinate
alla lor volta da cause troppo complicate perchè si possano qui seguire
in dettaglio, dalla natura delle variazioni che furono conservate e prescelte,
a seconda delle condizioni fisiche, e più ancora degli organismi circostanti
con cui lotta ogni essere, e finalmente dall'eredità (elemento già
di per sè fluttuante) avuta, da un grande numero di avi, le cui forme
furono anch'esse determinate da rapporti complessi. È incredibile che
i discendenti di due organismi, i quali originariamente differivano notevolmente
tra loro, convergano più tardi in guisa da essere nell'organizzazione
pressochè identici. Se ciò fosse avvenuto, noi avremmo incontrato
la medesima forma in periodi geologici assai diversi, indipendentemente da ogni
nesso genetico; ma i fatti contraddicono a tale congettura.
Il Watson opponeva ancora che l'azione continua della elezione naturale, con
divergenza di carattere, tenderebbe a produrre un numero indefinito di forme
specifiche. Per quanto si attiene alle condizioni puramente inorganiche, sembra
probabile che un sufficiente numero di specie si adatterebbe a tutte le diversità
considerevoli di calore, di umidità, ecc.; ma io ammetto completamente
che le mutue relazioni degli esseri organizzati siano assai più importanti;
e alimentandosi il numero delle specie in ogni paese, le condizioni di vita
si renderanno sempre più complesse. Conseguentemente non pare, a primo
aspetto, che esistano limiti all'insieme delle variazioni di struttura profittevoli
e quindi al numero delle specie che possono formarsi. Noi anzi ignoriamo se
la regione più prolifica contenga il massimo numero di forme specifiche:
così al Capo di Buona Speranza ed in Australia, ove si riunisce uno straordinario
numero di specie, molte piante europee furono naturalizzate. Ma la geologia
ci mostra, almeno per tutto l'immenso periodo terziario, che il numero delle
specie dei molluschi, e probabilmente dei mammiferi, non è aumentato
molto, o rimase costante. Quali sono dunque gli ostacoli che si oppongono allo
indefinito aumento nel numero delle specie? La somma totale di vita (non intendo
parlare del numero delle forme specifiche), che può sostenersi in una
data regione, deve avere un limite, dipendente in gran parte dalle condizioni
fisiche; quindi se un'area è abitata da molte specie, tutte o quasi tutte
sarebbero rappresentate da pochi individui e sarebbero esposte alla distruzione,
per le accidentali alternative della natura delle stagioni o nel numero dei
loro nemici. Il processo di esterminio in tal caso sarebbe rapido, mentre sarebbe
molto lenta la produzione di nuove specie. Si immagini il caso estremo, in cui
l'Inghilterra contenesse tante specie di quanti sono gli individui di esse;
allora nel primo inverno rigoroso o nell'estate più secca, migliaia e
migliaia di queste specie rimarrebbero estinte. Le specie rare (ed ogni specie
diverrebbe rara, se in una regione il numero delle specie crescesse all'infinito),
presenterebbero in un determinato periodo poche variazioni favorevoli, pel principio,
già da noi svolto; conseguentemente il processo di produzione di nuove
forme specifiche sarebbe ritardato. Quando una specie si fa molto rara, gli
incrociamenti fra individui molto affini contribuiranno a distruggerla; almeno
alcuni autori hanno pensato che ciò abbia influito sull'estinzione dell'uro
in Lituania, del cervo rosso in Scozia, dell'orso in Norvegia, ecc. Da ultimo,
una specie dominante, che ha già vinto molti competitori nel proprio
paese, tenderà a propagarsi e a soppiantarne molti altri; ed io sto per
credere che questo sia un elemento importantissimo. Alfonso De Candolle ha dimostrato
che quelle specie che si diffondono più ampiamente tendono in generale
ad estendersi vieppiù; e quindi esse tenderanno a distruggere parecchie
atre specie in certi luoghi, ed impediranno così il disordinato accrescimento
delle forme specifiche sulla terra. Hooker ha notato recentemente che nell'angolo
sud-est dell'Australia, ove trovansi molti invasori venuti da varie parti del
mondo, le specie indigene diminuirono assai di numero. Io non pretendo decidere
qual peso debba darsi a tutte queste considerazioni; ma esse simultaneamente
debbono limitare in ogni regione la tendenza all'aumento indefinito delle forme
specifiche.
SOMMARIO DEL CAPITOLO
Se gli esseri organizzati variano nelle diverse parti della
loro organizzazione, durante il lungo corso dei tempi e sotto condizioni variabili
di vita, e io penso che ciò non potrebbe impugnarsi; se essi hanno a
sostenere, dietro la forte proporzione geometrica dell'aumento di ciascuna specie,
una severa lotta per la vita, in qualche periodo della loro età e in
certi anni o in certe stagioni, e questo per fermo non può mettersi in
dubbio; se da ultimo considerasi la complicazione infinita delle relazioni di
tutti gli esseri organizzati fra loro e colle loro condizioni di vita, relazioni
che producono infinite varietà di adatte strutture, di costituzioni e
di abitudini, e riescono perciò vantaggiose; sarebbe certamente un fatto
molto straordinario che nessuna variazione sia avvenuta mai utile alla prosperità
di essi, nello stesso modo, con cui si manifestarono le variazioni favorevoli
all'uomo. Ora se produconsi variazioni utili ad un essere organizzato, certamente
gli individui così caratterizzati avranno maggior probabilità
di essere preservati nella lotta per la vita, e in seguito al forte principio
dell'ereditabilità, tenderanno a generare una prole dotata di caratteri
simili. Questo principio di conservazione, per amore di brevità, fu da
me chiamato Elezione naturale, o sopravvivenza del più adatto. Questa
elezione conduce al perfezionamento di ogni creatura, in relazione alle sue
condizioni organiche ed inorganiche di vita: e quindi, generalmente, a ciò
che deve riguardarsi come un avanzamento nella organizzazione. Tuttavia le forme
inferiori e semplici possono durare lungamente, se siano opportunamente adatte
alle loro semplici condizioni di vita.
La elezione naturale può modificare l'uovo, il seme o la prole colla
stessa facilità come l'adulto, pel principio delle qualità che
si ereditano in una età corrispondente. In molti animali poi l'elezione
sessuale verrà in aiuto all'elezione ordinaria, assicurando ai maschi
più vigorosi o meglio adatti il maggior numero di figli. La elezione
sessuale deve anche dare origine a caratteri utili ai soli maschi, nella loro
lotta contro altri maschi, e questi caratteri vengono trasmessi ad un solo sesso
o ad ambedue i sessi, secondo la forma predominante di ereditabilità.
Che l'elezione naturale abbia in realtà agito per tal modo nella natura,
modificando e adattando le diverse forme di vita alle loro varie condizioni
e alle loro località, potrà giudicarsi dal tenore generale e dalle
argomentazioni dei capi seguenti. Ma noi vediamo a quest'ora com'essa cagioni
anche estinzione; e la geologia dimostra apertamente quanto ampia sia stata
l'opera dell'estinzione nella storia del globo. L'elezione naturale inoltre
fa nascere la divergenza del carattere; perchè quanto più gli
esseri organizzati divergono nella struttura, nelle abitudini e nella costituzione,
maggiore ne sarà il numero nella medesima regione. Noi abbiamo una prova
di ciò negli abitatori di ogni piccolo distretto, o nelle produzioni
naturalizzate. Quindi durante la modificazione dei discendenti di ogni specie,
e durante la continua lotta di tutte le specie per aumentare il numero degli
individui, i discendenti più diversificati avranno una maggiore probabilità
di succedere agli altri nella lotta per l'esistenza. Così le piccole
differenze che passano fra le varietà di una medesima specie, tendono
costantemente ad accrescersi, fino ad uguagliare le differenze più grandi
fra le specie di uno stesso genere od anche di generi distinti.
Noi abbiamo veduto che le specie più variabili sono le comuni, le più
diffuse e numerose, quelle che appartengono ai generi più ricchi di ogni
classe; e queste hanno la tendenza di trasmettere alla loro prole modificata
quella superiorità che le rese dominanti nella loro patria. L'elezione
naturale, come notammo, conduce alla divergenza di carattere e alle molte estinzioni
delle forme di vita meno perfette ed intermedie. Con questi principii possono
spiegarsi la natura delle affinità e le distinzioni in generale ben definite
degl'innumerevoli esseri organizzati in ogni classe esistenti sulla terra. È
un fatto veramente prodigioso - l'importanza del quale non suole colpirci, perchè
ci è famigliare - che tutti gli animali e tutte le piante, in ogni tempo
e luogo, siano in rapporti scambievoli, formando gruppi subordinati ad altri
gruppi, come noi osserviamo in ogni luogo; che le varietà di una medesima
specie siano collegate strettamente fra loro, le specie di un medesimo genere
in rapporti meno stretti e disuguali, che possono costituire delle sezioni o
sotto-generi; vediamo le specie di un genere distinto essere anche meno affini,
e i generi paragonati sotto diversi aspetti formare le sotto-famiglie, le famiglie,
gli ordini, le sottoclassi e le classi. I gruppi subordinati in ogni classe
non possono disporsi in una sola linea, ma piuttosto sembrano raccolti intorno
a diversi punti, e questi intorno ad altri, e così via via in cicli quasi
infiniti. Partendo dall'ipotesi che ogni specie sia stata creata indipendentemente,
io non saprei trovare la spiegazione di questo gran fatto nella classificazione
di tutti gli esseri organizzati; ma per quanto posso giudicare, ciò viene
chiarito per mezzo dell'ereditabilità e dell'azione complessa della elezione
naturale, che implica la estinzione e la divergenza del carattere, come abbiamo
dimostrato nel diagramma.
Le affinità di tutti gli esseri di una stessa classe vennero talvolta
rappresentate con la figura di un grande albero. Io credo che questa similitudine
esprima esattamente la verità. I germogli verdi che producono gemme possono
raffigurare le specie esistenti, e quelli che furono prodotti in ogni annata
precedente possono rappresentare la lunga successione delle specie estinte.
Ad ogni periodo di vegetazione tutti i germogli hanno tentato di estendersi
da ogni parte e di sorpassare e distruggere i germogli e i rami vicini: nella
stessa guisa che le specie e i gruppi delle specie cercarono di dominare le
altre specie nella grande battaglia della vita. I rami grossi divisi in ramificazioni,
e queste suddivise in rami sempre minori, furono anch'essi semplici germogli
quando l'albero era piccolo; e questa connessione fra gli antichi e i recenti
germogli, per ramificazioni successive, può darci una chiara idea della
classificazione di tutte le specie estinte e viventi in gruppi subordinati ad
altri gruppi. Dei molti ramoscelli che vegetavano, quando l'albero era un semplice
arbusto, soltanto due o tre, ora divenuti grandi rami, sopravvissero e portano
tutti gli altri rami; così fra le specie che vissero nelle remotissime
epoche geologiche, assai poche hanno nell'epoca attuale qualche discendente
vivente e modificato. Dal primo svilupparsi dell'albero molti rami si disseccarono
e caddero; questi rami perduti in diversi punti rappresentano tutti quegli ordini,
quelle famiglie e quei generi che oggi non esistono, ma che sappiamo furono
trovati in uno stato fossile. E come noi vediamo qua e là spuntare un
ramoscello fragile e sottile da qualche nodo inferiore di un albero, e arrivare
al suo maggiore sviluppo, quando sia favorito da condizioni opportune, così
noi vediamo accidentalmente un animale, come l'ornitorinco o la lepidosirena,
che in qualche piccolo rapporto collega per mezzo delle sue unità due
vasti rami della vita, e che apparentemente fu sottratto alla lotta fatale,
per avere dimorato in una località protetta. Come le gemme sviluppandosi
danno origine a nuove gemme, e come queste, quando sono vigorose, vegetano con
forza e soffocano da tutte le parti molti ranni più deboli, altrettanto
io credo che, per mezzo della generazione, sia avvenuto del grande albero della
vita, il quale ricopre co' suoi rami morti ed infranti la crosta del globo e
ne veste la superficie con le sue ramificazioni sempre nuove e leggiadre.
CAPO V
LEGGI DELLE VARIAZIONI
Effetti delle condizioni esterne - Uso e non-uso degli organi combinato coll'elezione naturale; organi del volo e della vista - Acclimazione - Correlazione di sviluppo - Compensazione ed economia di sviluppo - False correlazioni - Le strutture multiple, rudimentali ed inferiori sono variabili - Le parti sviluppate in modo insolito sono assai variabili: i caratteri speciali sono più variabili dei caratteri generici: i caratteri sessuali secondari sono variabili - Le specie di un medesimo genere variano analogamente - Riversioni a caratteri molto antichi - Sommario.
Io ho parlato talvolta delle variazioni, che sono tanto comuni
e diverse negli organismi allo stato di coltura ed alquanto meno frequenti allo
stato naturale, come se fossero prodotte dal caso. Questa espressione evidentemente
non è corretta, ma serve a manifestare la nostra completa ignoranza intorno
alle cause delle singole variazioni. Alcuni autori credono che il produrre differenze
individuali o leggere variazioni di struttura sia non meno una funzione del
sistema riproduttivo, come di formare il figlio simile ai genitori. Ma il fatto
che tanto le variazioni come le mostruosità sono più frequenti
negli organismi soggetti alla domesticità che in quelli viventi allo
stato di natura, e che le specie di vasta distribuzione sono più variabili
delle meno diffuse, mi fa ritenere che la variabilità sia in stretto
rapporto colle condizioni di vita, cui una specie è stata esposta per
molte generazioni. Io ho cercato di dimostrare nel primo capitolo che il cambiamento
delle condizioni agisce in due modi, sia direttamente sull'intero organismo
o su certe parti, sia indirettamente sul sistema riproduttivo. In ambedue i
casi i fattori sono due; la natura cioè dell'organismo, che è
di gran lunga la più importante, e la natura delle condizioni. L'azione
diretta delle cambiate condizioni conduce a risultati definiti o indefiniti.
In quest'ultimo caso l'organizzazione sembra essersi fatta plastica, e troviamo
una grande variabilità fluttuante; nel primo caso la natura dell'organismo
è tale che, assoggettata a determinate condizioni, cede facilmente, e
tutti o quasi tutti gli individui sono modificati nello stesso modo.
È assai difficile constatare quale influenza abbiano precisamente le
differenze delle condizioni esterne, come il clima, il nutrimento, ecc. Ma noi
possiamo concludere con piena fiducia, che gli innumerevoli e complessi adattamenti
di struttura, che offrono i diversi organismi, non sono un semplice effetto
di tale causa. Nei casi seguenti le condizioni di vita sembrano aver prodotto
un insignificante effetto definito. Edoardo Forbes ci attesta che le conchiglie,
al limite meridionale della loro patria e quando abitano acque poco profonde,
acquistano colori più brillanti di quelli che presentano gli individui
della medesima specie che trovansi in distretti più settentrionali o
a maggiori profondità. Ma certamente questa regola non si verifica in
tutti i casi. Gould crede che gli uccelli della stessa specie abbiano piume
di colori più vivi sotto un'atmosfera limpida che quando abitano sulle
isole o presso le coste. Anche il Wollaston è convinto che la dimora
in prossimità del mare influisca sul colore degli insetti. E Moquin Tandon
dà una lista di piante, le quali in riva al mare acquistano foglie più
o meno carnose, mentre non le hanno carnose quando abitano entro terra. Questi
organismi leggermente varianti sono d'interesse in quanto che presentano dei
caratteri analoghi a quelli delle specie che sono limitate a simili condizioni
di vita.
Quando una variazione ad un essere non apporta che un minimo vantaggio, non
possiamo dire quanto debba attribuirsi al potere accumulativo della elezione
naturale, e quanto all'azione definita delle esterne condizioni di vita. Così
è noto ai pellicciai che gli animali di una specie hanno il vello tanto
più fitto e migliore, quanto più sono vissuti verso settentrione.
Ma chi potrebbe dire, quanto sia effetto della preservazione e conservazione
degli individui meglio vestiti per molte generazioni, e quanto effetto diretto
del rigido clima? Imperocchè sembri certo che il clima ha una immediata
influenza sulla qualità del pelo dei nostri animali domestici.
Potrebbero citarsi esempi di varietà simili d'una medesima specie, le
quali si formarono in condizioni di vita le più diverse che possano immaginarsi;
e di varietà diverse prodotte sotto condizioni uguali. Inoltre ogni naturalista
conosce moltissimi esempi di specie rimaste pure e senza alcuna variazione,
benchè viventi in climi affatto opposti. Tali considerazioni mi dispongono
a dare minor peso all'azione diretta e definita delle condizioni di vita, che
non alla tendenza di variare che dipende da cause a noi affatto ignote.
In un certo senso può dirsi che le condizioni di vita non solo producano
direttamente o indirettamente la variabilità, ma abbracciano eziandio
l'elezione naturale, giacchè la conservazione di una data varietà
dipende dalla natura delle condizioni di vita. Tutte le volte però che
l'elezione è esercitata dall'uomo, noi vediamo che que' due elementi
sono diversi; la variabilità è eccitata in certa guisa, ma si
è la volontà dell'uomo che accumula le variazioni in una determinata
direzione, e quest'ultimo effetto corrisponde alla sopravvivenza del più
adatto allo stato natura.
USO E NON-USO DEGLI ORGANI COMBINATO COLL'ELEZIONE
NATURALE
Pei fatti riferiti nel primo capo, io credo non sia per rimanere
il più piccolo dubbio sull'opinione che l'uso rafforzi ed allarghi certe
parti dei nostri animali domestici, e che il non-uso le diminuisca; e che tali
modificazioni vengano ereditate. Allo stato libero di natura non abbiamo un
tipo di confronto per giudicare delle conseguenze di un uso o di un non-uso
lungamente continuato, perchè noi non conosciamo le madri-specie; ma
molti animali offrono tali forme, delle quali può darsi ragione per mezzo
degli effetti del non-uso. Come notava il professore Owen, non vi ha in natura
un'anomalia più grande di quella di un uccello che non possa volare;
tuttavia ne abbiamo parecchi in questo stato. Una specie d'anitra dell'America
meridionale (Anas brachyptera) può battere soltanto la superficie dell'acqua
colle sue ali, che sono in una condizione quasi identica a quelle dell'anitra
domestica d'Aylesbury, ed è un fatto singolare che, secondo l'asserzione
del Cunningham, gli uccelli giovani sanno volare, mentre gli adulti hanno perduta
questa facoltà. Gli uccelli più grandi, che prendono alimento
sul terreno, non volano che per fuggire un pericolo, cosicchè io credo
che lo stato quasi rudimentale delle ali di certi uccelli che abitano al presente,
o abitarono altra volta, alcune isole oceaniche in cui non trovansi animali
rapaci, provenne dal non-uso. Lo struzzo però abita i continenti ed è
esposto a pericoli che non può evitare volando; ma può difendersi
da' suoi nemici coi calci, non altrimenti di alcuni quadrupedi. Noi possiamo
ritenere che il progenitore del genere struzzo avesse delle abitudini simili
a quelle dell'ottarda e che, avendo l'elezione naturale accresciuto nelle successive
generazioni la grandezza e il peso del suo corpo, egli adoperasse più
spesso le sue gambe che le sue ali, al punto da divenire incapace al volo.
Kirby ha osservato (cosa notata anche da me) che i tarsi anteriori, o piedi
di molti scarabei maschi mancano molto spesso; egli esaminò diciassette
campioni della sua raccolta e niuno di essi ne aveva conservato qualche traccia.
Presso l'Onites apelles, i tarsi mancano tanto frequentemente, che l'insetto
fu descritto come privo di essi. In alcuni altri generi i tarsi sono presenti,
ma in uno stato rudimentale. Nell'Ateuchus, o scarafaggio sacro degli Egiziani,
essi mancano affatto. Non è ancora provato che le mutilazioni accidentali
siano trasmissibili per eredità; ma Brown-Sequard ha esposto un caso
rimarchevole di epilessia prodotta da una lesione alla spina dorsale di un porco
d'India, che fu ereditata: e ciò deve renderci più cauti. Però
è forse più sicuro il considerare l'assenza intera dei tarsi anteriori
nell'Ateuchus e la loro condizione rudimentale in altri generi, come dovute
ai prolungati effetti del non-uso nei loro progenitori; perchè mancando
essi quasi sempre in molti scarafaggi coprofagi, debbono perdersi sui primordi
della vita, e però non possono essere di grande importanza e di molta
utilità a questi insetti.
In certi casi noi potremmo facilmente attribuire al non-uso quelle modificazioni
che sono interamente, o principalmente dovute all'elezione naturale. Wollaston
ha scoperto questo fatto rimarchevole che 200 specie di coleotteri sopra le
550 che abitano l'isola di Madera, hanno le ali tanto imperfette che non ponno
volare; e che dei ventinove generi endemici, non meno di ventitre hanno tutte
le loro specie in questa condizione! Parecchi fatti mi hanno indotto a credere
che l'atrofia delle ali di tanti coleotteri di Madera debba derivare principalmente
dall'azione dell'elezione naturale, combinata forse col non-uso. Infatti si
è osservato che in molte parti del mondo i coleotteri sono spesso dal
vento trasportati al mare, dove periscono; che i coleotteri di Madera, secondo
Wollaston, rimangono nascosti fino a che il vento si arresta e il sole risplende;
che la proporzione delle specie prive d'ali è maggiore sulle coste del
deserto, esposte al vento del mare, che a Madera stessa; e specialmente il fatto
straordinario, sul quale tanto insiste Wollaston, cioè che mancano quasi
interamente certi grandi gruppi di coleotteri (altrove eccessivamente numerosi),
i quali hanno abitudini di vita che richiedono quasi necessariamente un volo
frequente. Per modo che, in una lunga serie di generazioni, ogni individuo di
questa specie che volò meno, sia perchè le sue ali furono meno
perfettamente sviluppate, sia per le abitudini indolenti, ebbe una maggiore
probabilità di sopravvivere, non essendo trasportato dal vento sul mare;
e d'altra parte quei coleotteri che più di sovente presero il volo, furono
anche più frequentemente trasportati al mare e quindi rimasero distrutti.
Gli insetti di Madera che non sono coprofagi e che devono ordinariamente, come
i coleotteri e lepidotteri che cercano il loro nutrimento nei fiori, impiegare
le loro ali per vivere, le hanno più sviluppate. Ciò si concilia
coll'elezione naturale. Perchè quando un nuovo insetto giunse nell'isola,
la tendenza dell'elezione naturale di allargare o restringere le ali dovrà
dipendere o dal maggior numero di individui che furono salvati, superando con
successo la lotta coi venti, oppure abbandonando l'impresa col volare più
di rado e col rinunciare al volo. Può dirsi altrettanto dei marinai naufragati
presso una costa; sarebbe utile ai buoni nuotatori il poter nuotare di più,
e sarebbe più conveniente ai cattivi nuotatori il non essere affatto
capaci di nuotare e il rimanere a bordo.
Gli occhi delle talpe e di parecchi altri roditori che scavano la terra sono
rudimentali, e in alcuni casi sono completamente coperti dalla pelle e dal pelo.
Probabilmente questo stato degli occhi deriva dalla diminuzione graduale prodotta
dal non-uso ed anche coadiuvata forse dall'elezione naturale. Un mammifero roditore
dell'America meridionale, il tuco-tuco, Ctenomys, è per le sue abitudini
anche più sotterraneo della talpa; e uno Spagnuolo, che spesso ne prese,
mi assicurava che questi animali sono quasi sempre ciechi. Io stesso ne conservai
uno vivente e la causa di questo stato, come risultò dall'autopsia, fu
riconosciuta essere una infiammazione della membrana nittitante. Ora siccome
una frequente infiammazione degli occhi deve essere dannosa ad ogni animale,
e gli occhi non sono al certo indispensabili agli animali che debbono vivere
sotterra, così una riduzione della loro grandezza, con adesione delle
palpebre e sviluppo di peli onde ricoprirle, può in questo caso essere
vantaggiosa; in tal caso l'elezione naturale agirà costantemente nel
senso degli effetti del non-uso.
Tutti sanno che alcuni animali, appartenenti alle classi più diverse,
che stanno nelle caverne della Carniola e del Kentucky, sono ciechi. In certi
granchi il peduncolo dell'occhio rimane, quantunque l'occhio manchi; il piede
del telescopio vi è ancora, benchè il telescopio con le sue lenti
si sia perduto. Io attribuisco la mancanza degli occhi in questo caso interamente
al non-uso; essendo difficile ammettere che tali organi, anche inutili, possano
in qualche modo nuocere ad animali che vivono nell'oscurità. Due individui
di una di queste specie cieche, il sorcio delle caverne (Neotoma), furono catturati
dal prof. Silliman a circa mezzo miglio di distanza dalla bocca della caverna,
e quindi senza discendere alle maggiori profondità; gli occhi di questi
individui erano più lucidi e più grandi. Ora questi animali furono
esposti per quasi un mese ad una luce gradatamente più viva, ed acquistarono
una debole percezione degli oggetti che si ponevano davanti ai loro occhi.
È assai difficile l'immaginare condizioni di vita più uniformi
di quelle delle profonde caverne calcari, sotto un clima quasi costante; di
modo che partendo dalla comune opinione che gli animali ciechi furono creati
separatamente per le caverne d'Europa e d'America, dovrebbe presumersi che esistesse
una strettissima somiglianza nella loro organizzazione e nelle affinità.
Ma ciò non si verifica, quando si considerano le due faune nel loro insieme;
e riguardo ai soli insetti, Schiödte ha detto: "Noi siamo indotti
quindi a considerare l'intero fenomeno come puramente locale, e la rassomiglianza
che si trova in alcune poche forme fra i mammouth delle caverne del Kentucky
e quelli delle caverne della Carniola, non è altro che una semplice espressione
dell'analogia che sussiste generalmente fra le faune dell'Europa e dell'America
settentrionale". Dietro le mie idee bisogna supporre che gli animali d'America,
essendo in molti casi dotati di una potenza visiva ordinaria, emigrassero lentamente
nella serie delle generazioni, dal mondo esterno in recessi vieppiù profondi
delle caverne del Kentucky, come fecero gli animali d'Europa nelle caverne d'Europa.
Noi abbiamo qualche prova di questa transizione di abitudini, perchè,
come dice Schiödte, "possiamo considerare le faune sotterranee come
altrettante piccole ramificazioni delle faune geograficamente limitate delle
adiacenti regioni, che penetrarono entro la terra e si adattarono alle circostanze
locali, a misura che le tenebre si facevano maggiori. Gli animali che non sono
molto discosti dalle forme ordinarie, preparano il passaggio dalla luce all'oscurità;
vengono poi le specie adatte alla luce crepuscolare; da ultimo appariscono quelle
che furono destinate ad una completa oscurità, l'organizzazione delle
quali è affatto speciale". Queste osservazioni di Schiödte
si applicano non solo ad una medesima specie, ma anche a specie distinte. Nel
tempo impiegato da un animale, dopo moltissime generazioni, a raggiungere le
più profonde cavità della terra, il non-uso, secondo la nostra
teoria, avrà diminuito più o meno completamente la sua facoltà
visiva, chiudendone anche gli occhi; e la elezione naturale avrà effettuato
altri cambiamenti, per esempio, un allungamento delle antenne o dei palpi, come
compensazione alla cecità. Ad onta di queste modificazioni, possiamo
aspettarci di vedere negli animali delle caverne d'America, delle affinità
cogli altri animali di quel Continente, ed in quelli delle caverne di Europa
altre affinità che li colleghino con quelli che popolano il Continente
europeo. Ora queste affinità esistono appunto in alcuni animali delle
caverne d'America, come seppi dal prof. Dana; e così alcuni insetti delle
caverne d'Europa sono strettamente affini a quelli del paese in cui si trovano.
Sarebbe molto difficile dare una chiara spiegazione delle affinità degli
animali ciechi delle caverne cogli altri abitatori dei due Continenti, nella
ipotesi comune della loro creazione indipendente. Dalle conosciute relazioni
esistenti nella maggior parte delle produzioni del vecchio e del nuovo Continente,
è da ritenersi che parecchi abitatori delle caverne in questi due Continenti
debbano essere strettamente affini. Come trovasi in abbondanza una specie cieca
di Bathyscia, all'ombra delle rocce fuori delle caverne, potrebbe credersi che
la perdita della vista nelle specie che le abitano non abbia probabilmente alcuna
relazione colla località oscura; ed è naturale che un insetto
già privo della vista siasi facilmente accostumato alle caverne oscure.
Un altro genere di insetti ciechi (lo Anophthalmus) offre una particolarità
rimarchevole; alcune specie distinte, secondo Murray, abitano in parecchie caverne
d'Europa ed anche in quelle del Kentucky, ed il genere non trovasi in altro
luogo che nelle sole caverne. Ma è possibile che il progenitore o i progenitori
di queste varie specie siano stati anticamente sparsi sui due Continenti, e
che poscia rimanessero estinti (come l'elefante dei due Mondi), eccetto nelle
presenti loro abitazioni sotterranee. Lungi dal rimanere sorpreso vedendo che
alcuni animali delle caverne presentano strane anomalie, come Agassiz osservava
riguardo al pesce cieco, l'Amblyopsis, ovvero come nel caso del proteo cieco
fra i rettili d'Europa, io debbo soltanto meravigliarmi che non siano stati
preservati maggiori avanzi dell'antica vita, considerando la lotta meno severa
che gli abitanti di questi oscuri recessi ebbero a sostenere.
ACCLIMAZIONE
Le abitudini sono ereditarie nelle piante quanto al periodo
della fioritura, quanto alla pioggia necessaria perchè i semi germoglino,
quanto al tempo del sonno, ecc., e ciò mi trae a dir qualche cosa sull'acclimazione.
Essendo estremamente comune nelle specie del medesimo genere l'abitare paesi
molto caldi o molto freddi, ed essendo tutte le specie di un medesimo genere
derivate, a mio avviso, da una sola madre-specie; se quest'ipotesi sussiste,
l'acclimazione deve aver luogo facilmente, durante una lunga sequela di generazioni.
È noto che ogni specie è adatta al clima del proprio paese: le
specie delle regioni artiche o anche delle zone temperate non potrebbero sopportare
un clima tropicale, e viceversa. Così molte piante grasse non possono
durare sotto un clima umido. Ma spesso si esagera il grado di adattamento delle
specie ai climi dei paesi in cui esse vivono. Possiamo desumer ciò dalla
nostra frequente incapacità di prevedere se una pianta importata si abituerà
o no al nostro clima, non che dal numero delle piante e degli animali, introdotti
nelle nostre regioni da luoghi più caldi, che sono prosperosi anche fra
noi. Non abbiamo ragioni fondate di ritenere che le specie allo stato di natura
siano strettamente limitate nella loro estensione dalla lotta cogli altri esseri
organizzati, non meno e assai più che in seguito all'adattamento a climi
particolari. Ma se l'adattamento sia o non sia generalmente molto stretto, ne
abbiamo una prova nel caso di alcune piante, le quali poterono, fino ad una
certa estensione, abituarsi naturalmente a temperature diverse od acclimarsi:
in fatti i pini e rododendri nati dai semi raccolti dal dott. Hooker da alberi
cresciuti nell'Himalaya ad altezze diverse, possedevano nel nostro paese una
differente facoltà costituzionale di resistere al freddo. Thwaites mi
informava di fatti simili da lui osservati a Ceylan, e analoghe osservazioni
furono fatte da H. C. Watson sulle specie europee di piante trasportate dalle
Azzorre in Inghilterra. Rispetto agli animali potrebbero(3) citarsi parecchi
fatti autentici di specie le quali, nel corso dei tempi storici, si estesero
grandemente dalle latitudini più calde alle più fredde, e viceversa;
ma noi non possiamo sapere positivamente se questi animali siano strettamente
adatti al loro clima nativo, quantunque in tutte le ordinarie contingenze noi
supponiamo appunto che ciò sia, nè sapremo dire se essi siano
stati posteriormente acclimati al loro nuovo soggiorno.
È da ritenersi che i nostri animali domestici fossero in origine scelti
da uomini barbari, perchè ne ricavavano qualche utilità e si moltiplicavano
facilmente nello stato di reclusione, e non già perchè questi
animali fossero allora divenuti capaci di più lontani trasporti; l'attitudine
comune e straordinaria dei nostri animali domestici non solo di resistere ai
climi più diversi, ma ben anche (fatto più importante) di rimanere
perfettamente fecondi nel nuovo clima, può mettersi innanzi per provare
che una vasta proporzione di animali, ora viventi allo stato di natura, potrebbe
facilmente sostenere climi affatto diversi, Noi non dobbiamo però spingere
tant'oltre l'argomentazione precedente, sul riflesso che la probabile origine
di parecchi dei nostri animali domestici si trae da parecchi tipi selvaggi:
per esempio, il sangue di un lupo o di un cane selvatico dei tropici e del polo
può forse essere mescolato nelle nostre razze domestiche. Il topo e il
sorcio non debbono considerarsi come animali domestici, ma essi furono trasportati
dall'uomo in molte parti del mondo; ed oggi hanno acquistato un'estensione maggiore
di qualunque altro roditore, vivendo essi liberamente e sotto il clima freddo
delle Feroe al nord, e delle Falklands al sud e in molte isole della zona torrida.
Quindi io sto per considerare la facoltà di adattamento ad ogni clima
speciale come una qualità inerente facilmente ad una grande flessibilità
innata di costituzione, che è comune alla maggior parte degli animali.
Sotto questo aspetto, la proprietà che hanno l'uomo stesso e i suoi animali
domestici di tollerare i climi più disparati, e il fatto che le più
antiche specie di elefanti e di rinoceronti furono capaci di sopportare un clima
glaciale, mentre le specie viventi sono oggi tutte tropicali o sub-tropicali,
nelle loro abitudini, non debbono riguardarsi come anomalie, ma solo come prove
di una flessibilità di costituzione molto comune, che si esercita in
circostanze speciali.
Ma nell'acclimazione della specie ad un dato clima resta indeterminato, quanto
si debba alla sola abitudine, quanto all'elezione naturale della varietà,
aventi una innata costituzione differente, e quale sia l'influenza di questi
due mezzi combinati. È da credere che l'abitudine od il costume eserciti
qualche influenza, vuoi per l'analogia, vuoi per istruzioni continue date nelle
opere di agricoltura e perfino nell'antica Enciclopedia cinese, cioè
di essere molto cauti nel trasportare gli animali da un distretto all'altro;
perchè non è verosimile che l'uomo sia giunto a formare coll'elezione
metodica tante razze e sotto-razze, con costituzioni specialmente appropriate
ai loro distretti; quindi penso che tale risultato deve attribuirsi all'abitudine.
D'altronde, non trovo motivo di dubitare che l'elezione naturale tenda continuamente
a conservare quegli individui che sono nati con una struttura meglio adatta
alla loro contrada nativa. In alcuni trattati sopra molte sorta di piante coltivate
si citano certe varietà capaci di resistere ad un clima meglio che agli
altri; ciò viene dimostrato rigorosamente in alcune opere pubblicate
negli Stati Uniti sulle piante fruttifere, in cui certe varietà sono
ordinariamente raccomandate per gli Stati del Nord ed altre per quelli del Sud;
ed essendo la maggior parte di queste varietà di origine recente, non
possono le loro differenze costituzionali ripetersi dall'abitudine. Per provare
che l'acclimazione non può aver luogo, fu messo innanzi il caso dell'articiocco
di Gerusalemme, che non si propaga per semente, e del quale perciò non
poterono ottenersi varietà, mentre non vegeta nei nostri climi. Però
si sono anche ricordati, con molto maggior fondamento, i fagiuoli che non poterono
essere naturalizzati; ma finchè alcuno non abbia seminato, per una ventina
di generazioni, i suoi fagiuoli tanto presto che una gran parte rimanga distrutta
dal gelo, e non abbia raccolto i semi dalle poche piante sopravvissute; con
attenzione di prevenire gli incrociamenti accidentali, indi non abbia di nuovo
conservato le piante colle stesse precauzioni e colti i semi del secondo anno,
non potrà affermarsi che l'esperienza sia stata neppure tentata. Nè
si creda che non si manifestino mai differenze nella costituzione delle pianticelle
dei fagiuoli, perchè è stata pubblicata una relazione, dalla quale
risulta che alcune di queste pianticelle erano più vigorose delle altre.
Insomma, io credo che noi possiamo concludere che l'abitudine, l'uso ed il non-uso,
hanno, in certi casi, preso molta parte nelle modificazioni della costituzione
e della struttura dei diversi organi; ma che gli effetti dell'uso e del non-uso
furono spesso combinati largamente coll'elezione naturale delle variazioni innate,
e qualche volta superati da essa.
CORRELAZIONE DI SVILUPPO
Con questa espressione io intendo significare che l'organizzazione
intera è tanto legata nelle sue parti, durante il suo sviluppo ed il
suo accrescimento, che quando avvengono piccole variazioni in una parte e siano
accumulate per mezzo della elezione naturale, le altre parti tendono pure a
modificarsi. Questo è un soggetto importantissimo ma conosciuto molto
imperfettamente; ed è al certo molto facile confondere qui insieme categorie
di fatti assai diverse. Noi vedremo tosto che la semplice eredità ha
talvolta l'apparenza di una correlazione. Uno dei casi più evidenti di
vera correlazione si è questo, che cioè le modificazioni accumulate
solamente a profitto dei piccoli e delle larve alterano la struttura dell'animale
adulto, nella stessa maniera che una conformazione difettosa dell'embrione colpisce
seriamente tutta l'organizzazione dell'adulto. Alcune parti del corpo che sono
omologhe e che sono simili nel primo periodo embrionale, sembrano soggette a
variare in un modo analogo: così noi vediamo che il lato destro e il
sinistro di un corpo variano ugualmente; le gambe anteriori e posteriori variano
simultaneamente e anche le mascelle in relazione alle altre membra; infatti
si considera la mascella inferiore come omologa colle membra. Senza dubbio queste
tendenze ponno essere dominate più o meno completamente dall'elezione
naturale: una volta esistette una famiglia di cervi colle corna da una sola
parte; e se ciò fosse stato di molta utilità per la razza, sarebbe
probabilmente divenuto permanente a mezzo della elezione naturale.
Le parti omologhe tendono a trovarsi riunite, come fu notato da alcuni autori;
noi lo vediamo spesso nelle piante mostruose; nulla poi è più
comune dell'unione di parti omologhe nella struttura normale, come l'unione
dei petali della corolla a foggia di tubo. Le parti dure sembrano disposte ad
acquistare la forma delle parti molli vicine; alcuni autori credono che la diversità
nella forma della pelvi negli uccelli produca una grande differenza nella struttura
dei reni. Altri pensano che la conformazione della pelvi nella donna influisca
colla pressione sulla forma del capo del figlio. Secondo Schlegel, nei serpenti
la figura del corpo e il modo di deglutizione determinano la posizione di parecchi
visceri importanti.
La natura del legame di correlazione ci è spesso completamente ignota.
Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire fu portato ad ammettere che certe deformazioni
coesistano molto frequentemente e che altre coesistano di rado, ma non giunse
a dare alcuna spiegazione di questo fatto. Che cosa vi ha di più singolare
della relazione fra gli occhi turchini e la sordità nei gatti, fra il
colore del guscio delle tartarughe e il loro sesso, fra i piedi piumati e la
membrana dei diti esterni nei colombi; fra la peluria più o meno copiosa
degli uccelletti neonati e il futuro colore delle loro penne, od anche del rapporto
fra il pelo e i denti del cane turco, benchè qui probabilmente l'omologia
entri in campo? Riguardo a quest'ultimo caso di correlazione, io credo che non
sia assolutamente accidentale, perchè se noi osserviamo i due ordini
di mammiferi che sono più anormali nel loro sistema cutaneo, cioè
i cetacei (balene) e gli sdentati (armadilli, formichieri, ecc.), vediamo che
sono pure i più anormali nei loro denti.
Io non conosco un esempio più adatto di quello della differenza esistente
tra i fiori esterni e gli interni di alcune piante composte e ombrellifere,
a provare la importanza delle leggi di correlazione nelle modificazioni di struttura
rilevanti, indipendentemente dall'utilità e dall'elezione naturale. Tutti
sanno quale differenza vi sia, per esempio, tra i fiori della circonferenza
e quelli del centro della margherita, e questa differenza è spesso accompagnata
dalla mancanza parziale o completa degli organi riproduttivi. Ma in alcune piante
composte anche i semi differiscono nella forma e nella struttura. Queste differenze
furono da alcuni autori attribuite alla pressione degli involucri sui fiori
o alla loro reciproca pressione, e la forma dei semi nei fiori della circonferenza
di alcune composte viene in appoggio di quest'idea; ma nel caso della corolla
delle ombrellifere, i fiori interni ed esterni non sono diversi più frequentemente
in quelle specie che hanno gli ombrelli più fitti, come mi faceva sapere
il dott. Hooker. Potrebbe sospettarsi che lo sviluppo dei petali esterni, sottraendo
nutrimento a certe altre parti del fiore, ne abbia cagionato la perdita; ma
in alcune composte vi ha una differenza fra i semi dei fiori interni e quelli
degli esterni, senza che si scorga alcuna diversità nella corolla. Queste
differenze potrebbero forse connettersi con qualche disuguaglianza nell'afflusso
del nutrimento ai fiori interni e periferici; noi sappiamo almeno che tra i
fiori irregolari, quelli che trovansi più vicini all'asse sono più
spesso soggetti alla peloria e a ridivenire regolari. Aggiungerò come
un esempio di questo fatto, e di una stretta correlazione, che recentemente
io vidi in alcuni giardini dei pelargonii, in cui il fiore centrale di un gruppo
perdeva spesso le macchie di colore oscuro dei due petali superiori; e che quando
ciò avviene, lo stimma corrispondente è completamente abortito;
e quando il colore manca in uno solo dei due petali superiori, lo stimma rimane
soltanto molto accorciato.
Quanto alle differenze che si osservano nella corolla dei fiori centrali e periferici
della cima od ombrello, io mi accosto all'idea di C. C. Sprengel, che i fiori
della periferia servono ad attirare gli insetti, l'azione dei quali è
altamente vantaggiosa alla fecondazione delle piante di questi due ordini, e
codesta ipotesi è più fondata di quello che possa sembrare a primo
aspetto; ora quando l'azione degli insetti sia utile, l'elezione naturale può
prendervi parte. Ma quanto alle differenze nell'interna ed esterna struttura
dei semi (le quali non sono sempre in relazione colle differenze dei fiori),
pare impossibile che possano essere in qualche modo vantaggiose alla pianta:
tuttavia fra le ombrellifere tali differenze sono di un'importanza tanto evidente
(essendo i semi in certi casi ortospermi nei fiori esterni, secondo Tausch,
e celospermi nei fiori centrali), che De Candolle il vecchio fondava le sue
principali divisioni dell'ordine sopra differenze analoghe. Quindi noi vediamo
che le modificazioni di struttura, considerate dai sistematici come di molto
valore, possono derivare interamente dalle leggi non conosciute di sviluppo
correlativo, senza essere, per quanto possiamo comprendere, della menoma utilità
alla specie.
Noi possiamo però attribuire spesso falsamente alla correlazione di sviluppo
conformazioni che sono comuni a un intero gruppo di specie, e che in realtà
derivano semplicemente dall'eredità; perchè un antico progenitore
può avere acquistato, per mezzo dell'elezione naturale, una certa modificazione
di struttura, e dopo migliaia di generazioni può aver subito qualche
altra modificazione indipendente dalla prima; queste due modificazioni essendo
state trasmesse a un intero gruppo di discendenti, dotati di abitudini diverse,
questi debbono naturalmente essere collegati in qualche modo. Così alcune
correlazioni, che si osservano fra ordini interi, si debbono, a quanto sembra,
solamente al modo con cui si esercitò l'elezione naturale. Alfonso De
Candolle, per esempio, ha notato che i semi piumati non trovansi mai nei frutti
che non si aprono, Questa regola può spiegarsi col fatto che i semi non
avrebbero potuto acquistare gradatamente la piuma per mezzo dell'elezione naturale,
se non avessero appartenuto a frutta che si schiudono, per modo che quelle piante,
le quali individualmente producono semi un po' più acconci ad essere
trasportati dal vento, hanno un vantaggio sopra quelle che danno semi meno adatti
allo spargimento.
COMPENSAZIONE ED ECONOMIA DI SVILUPPO
Il vecchio Geoffroy e Goethe proposero, quasi contemporaneamente,
la loro legge di compensazione od equilibrio di sviluppo; ovvero, per valerci
della frase di Goethe, "la natura è costretta ad economizzare da
una parte, per spendere dall'altra". Io credo che quest'argomento sia buono
fino ad una certa estensione rispetto alle nostre domestiche produzioni: se
il nutrimento fuisce in eccesso verso una parte o verso un organo, e scorre
di rado, almeno in grande quantità, ad un'altra parte; così gli
è difficile che una vacca dia molto latte e nondimeno si ingrassi prontamente.
La medesima varietà di cavolo non dà un fogliame abbondante e
nutritivo con un copioso supplemento di semi oleiferi. Quando i semi rimangono
atrofizzati nei nostri frutti, il frutto stesso acquista molto in grandezza
e qualità. Nei nostri polli un ciuffo grande di penne sul capo generalmente
è accompagnato da una cresta più piccola, e un largo collare dalla
diminuzione del barbiglione carnoso. Invece nelle specie allo stato di natura
non può sostenersi che la legge abbia un'applicazione generale; ma molti
buoni osservatori e più specialmente botanici, credono nella sua verità.
Pertanto io non darò qui alcun esempio, perchè non vedo come si
possano distinguere, da una parte, gli effetti dello sviluppo di un organo per
mezzo dell'elezione naturale e della simultanea riduzione di un altro organo
vicino per un processo identico o pel non-uso, e dall'altra parte l'attuale
sottrazione di nutrimento da un punto, in seguito alla sovrabbondanza di sviluppo
in un altro punto prossimo.
Perciò io penso che alcuni fra i casi di compensazione che si sono citati,
come pure parecchi altri fatti, possano emergere da un principio più
generale, cioè che l'elezione naturale cerca continuamente di economizzare
in ogni parte dell'organismo. Se per mutate condizioni di vita una struttura
dapprima utile diviene meno utile, ogni diminuzione di sviluppo, per quanto
minima, entrerà nel dominio dell'elezione naturale, perchè sarà
profittevole all'individuo il non consumare il proprio alimento nella formazione
di una struttura difettosa. Per tal modo potei rendermi ragione di un fatto,
da cui rimasi molto colpito nell'esaminare i cirripedi, del quale potrebbero
addursi molti altri esempi: vale a dire che quando un cirripede è parassita
entro un altro e quindi viene protetto da questo, egli perde più o meno
completamente il proprio guscio o mantello. Ciò accade nell'Ibla maschio
e in una maniera veramente straordinaria nel Proteolepas: in tutti gli altri
cirripedi il guscio è composto di tre segmenti anteriori, assai importanti,
nella testa enormemente sviluppata, e forniti di muscoli e nervi grandi; ma
nel Proteolepas parassita e protetto, tutta la parte anteriore del capo è
ridotta ad un semplice rudimento congiunto alle basi delle antenne prensili.
Ora, allorchè una struttura molto sviluppata e complessa divenne superflua
per le abitudini parassitiche del Proteolepas, la riduzione della medesima a
forme più semplici, quantunque effettuata per lenti gradi, sarà
stata un deciso vantaggio per ogni successivo individuo della specie; perchè
nella lotta per l'esistenza, alla quale ogni animale trovasi esposto, ogni individuo
Proteolepas avrà una migliore attitudine di sostentarsi, quando consumi
una quantità minore di nutrimento per sviluppare una struttura divenuta
inutile.
Cosicchè, a mio avviso, l'elezione naturale riuscirà sempre nel
corso dei secoli a ridurre e risparmiare quelle parti dell'organismo che si
resero superflue, senza produrre perciò corrispondentemente uno sviluppo
più importante in qualche altra parte. Ed inversamente, l'elezione naturale
può introdurre perfettamente questo maggiore sviluppo in un organo, senza
che si richieda come compenso necessario la riduzione di qualche parte adiacente.
LE STRUTTURE MULTIPLE, RUDIMENTALI ED INFERIORI
SONO VARIABILI
Pare che sia una regola, come faceva osservare Isidoro Geoffroy
Saint-Hilaire, nelle varietà e nelle specie, che quando una parte o un
organo è ripetuto molte volte nella struttura del medesimo individuo
(come le vertebre nei serpenti e gli stami nei fiori poliandri), il numero ne
è variabile; per contro se la parte o l'organo trovasi in piccolo numero,
questo numero è costante. Il medesimo autore e parecchi botanici hanno
inoltre notato che le parti multiple sono anche molto soggette a variazioni
di struttura. Come la "ripetizione vegetativa", secondo la espressione
stessa del prof. Owen, pare un segno di inferiorità organica, l'osservazione
precedente conviene coll'opinione generale dei naturalisti che gli esseri inferiori
nella scala della natura sono più variabili degli esseri elevati. Io
presumo che l'inferiorità in questo caso consista nell'essere alcune
parti dell'organizzazione meno speciali per determinate funzioni; e finchè
uno stesso organo deve compiere funzioni diverse, noi possiamo forse vedere
quanto esso sia variabile, cioè come l'elezione naturale possa aver conservato
e rigettato ogni piccola deviazione di forma meno completamente che quando la
parte deve servire solamente a una funzione determinata. Nella stessa guisa
un coltello destinato a tagliare varie sorta di oggetti può prendersi
di qualsivoglia forma; mentre un utensile destinato ad un uso speciale serve
meglio quando sia di una forma determinata. Nè devesi dimenticare che
l'elezione naturale può agire su ciascuna parte di un essere soltanto
in vantaggio del medesimo.
Le parti rudimentali presentano molta tendenza a variare, secondo l'opinione
di alcuni autori, che io credo fondata. Noi ritorneremo in seguito su quest'argomento;
solo aggiungerò che la loro variabilità sembra debba attribuirsi
alla loro inutilità, e perciò all'impotenza dell'elezione naturale
di impedire le deviazioni nella loro struttura.
UNA PARTE SVILUPPATA IN UN GRADO
E IN UN MODO STRAORDINARIO PRESSO UNA SPECIE,
RISPETTO ALLA PARTE OMOLOGA DELLE SPECIE AFFINI,
TENDE AD ESSERE ALTAMENTE VARIABILE
Parecchi anni fa io fui molto sorpreso da una simile osservazione,
pubblicata dal Waterhouse, intorno a questo effetto. Io traggo anche da una
riflessione fatta dal prof. Owen, riguardo alla lunghezza delle braccia dell'ourang-outang,
ch'egli pervenne ad una conclusione consimile. Non sarebbe sperabile il convincere
chicchessia della verità di questa proposizione senza appoggiarla coi
molti fatti da me riuniti, e che mi è impossibile introdurre in questo
luogo. Io non posso fare altro che esporre la mia convinzione che codesta è
una delle regole più generali. Conosco parecchie cause che possono trarre
in errore, ma spero di averne tenuto il debito conto. Si comprenderà
che questa regola non può intendersi applicata ad ogni parte che sia
sviluppata in una maniera straordinaria, a meno che questo sviluppo non sia
anormale in confronto colla parte omologa delle specie strettamente affini.
Così l'ala del pipistrello è una struttura affatto anormale nella
classe dei mammiferi, ma la regola ora detta non potrebbe in questo caso applicarsi;
sarebbe applicabile solo quando qualche specie di pipistrello avesse le sue
ali sviluppate un modo rimarchevole in paragone alle altre specie del medesimo
genere. Questa regola trova una rigorosa applicazione nel caso dei caratteri
sessuali secondari, quando sono spiegati in un modo insolito. Diconsi caratteri
sessuali secondari, denominazione usata da Hunter, quelli che sono propri di
un solo sesso, ma che non sono direttamente collegati all'atto della riproduzione.
La regola si estende ai maschi e alle femmine; ma si applica più raramente
a queste, offrendo esse meno frequentemente caratteri sessuali secondari notevoli.
Questa regola diviene tanto evidentemente applicabile al caso dei caratteri
sessuali secondari per la grande variabilità di questi caratteri, comunque
siano essi sviluppati in una maniera insolita; fatto del quale non può
menomamente dubitarsi. Ma la nostra regola non si limita ai caratteri sessuali
secondari, come chiaramente risulta nel caso dei cirripedi ermafroditi; posso
aggiungere che mentre io studiavo quest'ordine, occupandomi particolarmente
dell'osservazione del Waterhouse, rimasi pienamente convinto che essa si verifica
quasi invariabilmente in questi animali. Nella mia opera futura io noterò
i casi più rimarchevoli; intanto ne darò brevemente un esempio
per dimostrare la regola nella sua più vasta applicazione. Le valve opercolari
dei cirripedi sessili (balani) sono, nel pieno senso della parola, organi assai
importanti, e differiscono assai poco anche in generi diversi, ma nelle varie
specie del genere Pyrgoma, queste valve presentano un insieme sorprendente di
diversificazione; le valve omologhe sono affatto dissimili nelle forme, e negli
individui di parecchie specie, la somma delle variazioni è sì
grande che non si esagera dicendo, esservi maggior differenza fra le varietà
nei caratteri di queste importanti valve, che fra le altre specie di generi
distinti.
Negli uccelli di un paese si hanno variazioni assai piccole, e perciò
io li osservai particolarmente e parvemi che questo principio si applichi anche
a questa classe. Io non potrei riconoscere se ciò avvenga nelle piante,
il che avrebbe seriamente compromessa la mia opinione sulla verità del
principio, se la grande variabilità di esse non rendesse assai difficile
il paragonare i relativi loro gradi di variabilità.
Quando noi vediamo una parte o un organo sviluppato in un grado o in modo straordinario
in una specie, abbiamo una presunzione plausibile che ciò sia di molto
valore per essa; nondimeno la parte in tal caso è soggetta eminentemente
a variare. Ora come potrebbe spiegarsi codesto fatto, considerando ogni specie
come creata indipendentemente con tutte le sue parti tali quali le osserviamo?
Ma se noi pensiamo che i gruppi delle specie hanno uno stipite comune e furono
modificati dalla elezione naturale, credo che potremo ottenere qualche schiarimento.
Se nei nostri animali domestici una parte, o l'animale intero fosse trascurato,
e non si applicasse il principio di elezione, questa parte (per esempio la cresta
nei polli Dorking), o tutta la razza, non avrebbe più un carattere quasi
uniforme. Allora si direbbe che la razza ha degenerato. Negli organi rudimentali,
e in quelli che furono resi meno speciali per uno scopo determinato, e forse
nei gruppi polimorfici noi abbiamo un esempio naturale quasi parallelo; perchè
in questi casi l'elezione naturale non potè esercitarsi interamente e
quindi l'organismo rimase in una condizione instabile. Ma ciò che ora
più particolarmente ci interessa è che nei nostri animali domestici
quei caratteri, che al presente sono soggetti a rapidi cangiamenti per la continua
elezione, sono anche eminentemente variabili. Infatti se consideriamo le razze
dei colombi, noi vediamo quante prodigiose differenze si trovano nel becco dei
giratori, nel becco e nelle barbette dei messaggeri, nel portamento e nella
coda dei colombi pavoni, ecc.; e queste sono le particolarità che oggi
principalmente si ricercano dai dilettanti inglesi. Anche nelle sotto-razze,
come nei giratori a faccia corta, è notoria la difficoltà di riprodurli
nella loro purezza, e spesso nascono individui che si allontanano completamente
dal tipo. Potrebbe asserirsi che esiste una lotta costante fra la tendenza di
riversione ad uno stato meno modificato e la tendenza innata di maggiori variazioni
d'ogni sorta da una parte, e dall'altra col potere di una costante elezione
per mantenere pura la razza. Nel corso dei tempi l'elezione rimane vittoriosa,
nè potremmo attenderci di produrre da un buona razza di colombi a faccia
corta un uccello come il giratore comune. Ma finchè l'elezione progredisce
rapidamente, noi dovremo sempre aspettarci di trovare molta variabilità
nella struttura degli organi che vanno modificandosi.
Ora ci sia permesso di ritornare alla natura. Quando una parte fu sviluppata
in una maniera straordinaria presso una specie qualsiasi, in confronto delle
altre specie del medesimo genere, noi possiamo inferirne che quella parte subì
un insieme straordinario di modificazioni, dall'epoca in cui la specie si staccava
dallo stipite comune del genere. Questo periodo è di rado molto remoto,
poichè ogni specie non dura quasi mai al di là di un periodo geologico.
Una quantità straordinaria di modificazioni implica una somma straordinariamente
grande ed estesa di variabilità, che fu continuamente accumulata dall'elezione
naturale, a benefizio della specie. Ora se la variabilità di una parte
od organo straordinariamente sviluppato fu considerevole e lungamente protratta,
in un periodo che non può essere eccessivamente lontano; noi dobbiamo
aspettarci di trovare, in regola generale, maggiore variabilità in questa
che in quelle altre parti dell'organismo che rimasero quasi costanti per un
periodo più vasto. Ed io sono convinto che appunto ciò si verifica.
Io non trovo alcun motivo di dubitare che la lotta fra l'elezione naturale e
la tendenza alla riversione e alla variazione possa cessare nel corso dei tempi
e che gli organi che sono più anormalmente sviluppati siano per conservarsi
inalterati. Per conseguenza quando un organo, anche molto anormale, fu trasmesso
quasi nelle stesse condizioni a molti discendenti modificati, come nel caso
dell'ala del pipistrello; quell'organo deve essere esistito, secondo la mia
teoria, durante un immenso periodo nel medesimo stato, e sarà quindi
per tal modo divenuto meno variabile di qualunque altra struttura. Solo in questi
casi, in cui le modificazioni furono comparativamente recenti e molto grandi,
noi possiamo trovare quella che si direbbe variabilità generativa, capace
di agire con molta efficacia. Perchè allora la variabilità non
sarà stata annullata che di rado dall'elezione continua degli individui
che variarono in un dato modo ed in una certa estensione, e dall'eliminazione
costante di quelli che tendettero a ritornare alle primitive condizioni meno
modificate.
I CARATTERI SPECIFICI SONO PIÙ VARIABILI DEI CARATTERI
GENERICI
Il principio fondato sulle precedenti riflessioni può
essere esteso. È cosa notoria che i caratteri specifici sono più
variabili dei caratteri generici. Darò un semplice esempio per spiegare
ciò che intendo dire. Se alcune specie di un genere di piante molto ricco
hanno fiori turchini ed altre hanno fiori rossi, il colore non sarà che
un carattere specifico, e non saremmo sorpresi di vedere la specie turchina
cambiarsi in rossa e viceversa; ma se tutte le specie sono dotate di fiori turchini,
il colore diventerebbe un carattere generico, e la sua variazione sarebbe una
circostanza più straordinaria. Scelsi questo esempio, perchè non
sarebbe applicabile al caso quella spiegazione che molti naturalisti darebbero;
cioè, che i caratteri specifici sono più variabili dei generici,
perchè affettano parti di minore importanza fisiologica di quelle comunemente
prese per la classificazione dei generi. Questa spiegazione è vera in
parte, ma solo indirettamente; del resto tornerò su questo soggetto nel
capitolo della Classificazione. Sarebbe quasi superfluo aggiungere prove a conferma
della precedente regola, che i caratteri specifici sono più variabili
dei generici; ma io ho ripetutamente notato nelle opere di storia naturale che
quando un autore ha osservato con sorpresa che qualche organo o parte importante
(che generalmente sia molto costante in molti gruppi di specie) differiva assai
nelle specie strettamente affini, era anche variabile negli individui di alcune
di queste specie. Ciò dimostra che quando un carattere, che sia ordinariamente
di una importanza generica, diminuisce ed acquista un valore soltanto specifico,
spesso diventa variabile, benchè la sua importanza fisiologica possa
rimanere la stessa. Considerazioni consimili possono farsi quanto alle mostruosità:
almeno pare che Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire non metta in dubbio che quanto
più un organo diversifica normalmente nelle varie specie di un medesimo
gruppo, tanto più soggiace ad anomalie individuali.
Se stiamo all'opinione comunemente accettata che ogni specie sia stata creata
indipendentemente, come potrebbe darsi che una parte dell'organismo diversa
dalla parte omologa nelle altre specie dello stesso genere, pure create indipendentemente,
fosse più variabile di quelle parti che sono strettamente simili ad essa?
Non saprei come potrebbe darsi una spiegazione di questo fatto. Al contrario
se abbiamo l'idea che le specie non sono altro che varietà più
distinte e rese stabili, noi dobbiamo certamente aspettarci di trovare che quelle
parti della loro struttura che variarono in un periodo abbastanza recente e
che perciò diversificarono, continueranno spesso a variare. Ma esporrò
il fatto in un altro modo; - i punti nei quali tutte le specie di un genere
rassomigliano fra loro e pei quali esse differiscono dalle specie di qualche
altro genere, diconsi caratteri generici; io attribuisco questi caratteri comuni
all'eredità di un comune progenitore; perchè raramente può
essere avvenuto che la elezione naturale abbia modificato in un modo identico
alcune specie adatte ad abitudini più o meno differenti. E siccome questi
così detti caratteri generici furono ereditati in un periodo assai lontano,
cioè fino da quell'epoca in cui le specie si separarono per la prima
volta dal loro comune progenitore, e conseguentemente quando esse non avevano
ancora variato e non differivano menomamente o solo in un grado insensibile,
non è probabile che esse comincino a variare oggidì. D'altra parte
i punti, nei quali le specie differiscono da altre specie del medesimo genere,
diconsi caratteri specifici; ed avendo questi caratteri variato fino a divenire
differenti nel periodo di partenza delle specie dallo stipite comune, è
probabile che essi siano spesso alquanto variabili; almeno più variabili
di quelle parti dell'organismo che rimasero costanti per un periodo molto lungo.
I caratteri sessuali secondari sono variabili. Debbo fare solamente due altre
osservazioni, in relazione al presente argomento. Si ammetterà, senza
che io entri in dettagli, che i caratteri sessuali secondari sono molto variabili
e credo che inoltre si accorderà che le specie di uno stesso gruppo differiscono
fra loro più ampiamente ne' loro caratteri sessuali secondari che nelle
altre parti della loro organizzazione. Si confronti, per es., la somma delle
differenze esistenti fra i maschi dei gallinacei, in cui i caratteri sessuali
secondari sono molto spiegati, colla somma delle differenze che passano fra
le femmine, e si riconoscerà la verità di questa proposizione.
La cagione della variabilità originale dei caratteri sessuali secondari
non è nota; ma noi possiamo comprendere per qual ragione questi caratteri
non divennero costanti ed uniformi, come le altre parti dell'organizzazione.
Ciò avvenne perchè i caratteri sessuali secondari furono accumulati
dall'elezione sessuale, che è meno rigida nella sua azione della elezione
ordinaria, mentre non cagiona la morte dei maschi men favoriti, ma soltanto
diminuisce il numero dei discendenti. Qualunque sia la causa della variabilità
dei caratteri sessuali secondari, l'elezione loro deve aver un largo campo d'azione
per la loro grande variabilità, e può quindi prontamente produrre,
nelle specie di uno stesso gruppo, un più grande insieme di differenze
nei caratteri sessuali, che nelle altre parti della loro struttura.
È un fatto rimarchevole che le differenze sessuali secondarie fra i due
sessi d'una stessa specie, si mostrano generalmente in quelle medesime parti
dell'organizzazione, per le quali le varie specie del medesimo genere differiscono
fra loro. Io chiarirò questo fatto con due esempi, i primi che s'incontrano
nella mia lista; e siccome le differenze sono in questi casi di una natura molto
strana, la relazione non può essere accidentale. Lo stesso numero di
articolazioni nei tarsi è un carattere generalmente comune a molti vastissimi
gruppi di coleotteri: ma nelle engidi, come osservava Westwood, questo numero
varia assai e inoltre differisce nei due sessi della medesima specie. Così
negl'imenotteri che scavano, il modo di innervazione delle ali è un carattere
di altissima importanza, perchè uguale in molti gruppi; ma in certi generi
l'innervazione differisce nelle varie specie, come pure nei due sessi della
medesima specie. Lubbock ha notato recentemente che in alcuni piccoli crostacei
si trovano eccellenti prove di questa legge. "Nella pontella, per es.,
i caratteri sessuali consistono principalmente nelle antenne anteriori, e nel
quinto paio di gambe; le differenze specifiche sono altresì ricavate
principalmente da questi organi". Questi rapporti trovano una facile spiegazione
nella mia teoria. Infatti dalla ipotesi che tutte le specie di uno stesso genere
sono certamente derivate dal medesimo progenitore, come i due sessi di ogni
specie, ne segue che quando una parte qualsiasi della struttura del comune progenitore
o de' suoi primi discendenti divenga variabile, è molto probabile che
le variazioni di questa parte siano state favorite dall'elezione naturale e
sessuale, sia per adattare le diverse specie ai loro posti nell'economia della
natura, e sia per disporre i due sessi di una medesima specie nei loro mutui
rapporti, sia per accomodare i maschi e le femmine a differenti abitudini di
vita, o infine per favorire la lotta dei maschi nel disputarsi il possesso delle
femmine.
Perciò io concludo che la variabilità dei caratteri specifici,
cioè di quelli che distinguono una specie dall'altra, maggiore di quella
dei caratteri generici, ossia di quei caratteri che le specie presentano in
comune; che la frequente variabilità estrema di una parte sviluppata
straordinariamente, in una specie in confronto della parte stessa nelle specie
congeneri e la poca variabilità di un organo qualunque, per quanto possa
essere anormalmente sviluppato, quando sia comune a un intero gruppo di specie;
che la grande variabilità dei caratteri sessuali secondari e il grande
insieme di differenze in questi caratteri medesimi fra le specie strettamente
affini; che le differenze sessuali secondarie, o specifiche ordinarie che s'incontrano
generalmente nelle stesse parti dell'organizzazione, sono tutti principii insieme
collegati scambievolmente. Questi principii sono dovuti segnatamente alle seguenti
cause: alla discendenza di tutte le specie di uno stesso gruppo da un comune
progenitore, dal quale ereditarono tutte insieme molte particolarità;
alla circostanza che quelle parti, le quali variarono recentemente ed ampiamente,
sono più disposte a variare di quelle che furono ereditate senza aver
subìto da lungo tempo alcuna variazione; all'elezione naturale, la quale
può avere soperchiato (più o meno completamente secondo la lunghezza
del tempo) la tendenza alla riversione e ad una variabilità più
forte; alla elezione sessuale meno severa della elezione ordinaria; e finalmente
alle variazioni accumulate nelle stesse parti dalla elezione naturale e sessuale,
rendendole così più adatte a scopi sessuali secondari e specifici
ordinari.
LE SPECIE DISTINTE OFFRONO VARIAZIONI ANALOGHE;
E UNA VARIETÀ DI QUALCHE SPECIE ASSUME SPESSO ALCUNI
DEI CARATTERI DI UNA SPECIE AFFINE, O RITORNA AD ALCUNI
CARATTERI DI UN ANTICO PROGENITORE
Queste proposizioni si intenderanno facilmente se si considerano
le nostre razze domestiche. Le razze più distinte dei colombi, in paesi
molto lontani, presentano delle sotto-varietà fornite di penne rovesciate
sul capo e munite di penne ai piedi; caratteri che non si incontrano nella specie
originale del piccione torraiuolo; queste sono adunque variazioni analoghe di
due o più razze distinte. La frequente presenza di quattordici sino a
sedici rettrici nel colombo gozzuto può ritenersi come una variazione
rappresentante la struttura normale di un'altra razza, quella del colombo pavone.
Pare che non possa dubitarsi che tali variazioni analoghe siano a ciò
dovute, che parecchie razze di colombi ereditarono da un progenitore comune
la medesima costituzione, non che una tendenza uguale a variare sotto influenze
consimili ed ignote. Nel regno vegetale noi abbiamo un caso di variazione analoga
negli steli ingrossati, o in quelle che chiamansi ordinariamente radici della
Rapa svedese e della Rutabaga, piante che da diversi botanici sono riguardate
come varietà, derivate da una stessa specie per mezzo della coltivazione;
se ciò non fosse, si avrebbe un esempio di variazioni analoghe in due
così dette specie distinte; e a queste potrebbe aggiungersene una terza,
cioè la rapa comune. Secondo la opinione comune, che ogni specie fu creata
indipendentemente, noi dovremmo attribuire la somiglianza nell'ingrossamento
degli steli di queste tre piante non già alla vera causa della discendenza
da un ceppo comune, e ad una conseguente tendenza a variare in un modo consimile,
ma a tre atti separati e strettamente collegati di creazione. Molti casi consimili
di analoghe variazioni furono osservati dal Naudin nelle cucurbitacee, ed altri
da altri autori nei nostri cereali. Di simili casi avvenuti negli insetti sotto
condizioni naturali ha trattato recentemente il Walsh con molta abilità,
e li ha registrati sotto la sua legge della varietà equabile.
Nei colombi inoltre noi osserviamo un'altra circostanza, vale a dire, l'accidentale
produzione, in tutte le razze, di individui di colore turchino-ardesia con due
righe nere sulle ali, con groppone bianco, con una fascia nera all'estremità
della coda e colle penne caudali esterne munite di un orlo esterno bianco verso
le loro basi. Ora tutte queste particolarità sono proprie del progenitore,
cioè del colombo torraiuolo, e niuno può mettere in dubbio che
questo non sia un caso di riversione, anzichè una manifestazione di nuove
variazioni analoghe nelle varie razze. Noi possiamo abbracciare con tanta maggiore
sicurezza codesta conclusione, in quanto che questi contrassegni, come abbiamo
visto, sono eminentemente facili a ritornare nella prole incrociata di due razze
distinte e dotate di colori diversi. In tal caso le condizioni esterne della
vita non possono cagionare la ricomparsa del colore turchino-ardesia e degli
altri caratteri, ma ciò nasce dall'influenza del solo atto dell'incrociamento
sulle leggi dell'ereditabilità.
Senza dubbio è un fatto molto sorprendente quello di trovare riprodotti
quei caratteri che erano stati perduti per molte generazioni e forse per centinaia
di generazioni. Ma quando una razza fu incrociata una sola volta con un'altra,
la prole mostra accidentalmente una tendenza di ricuperare i caratteri della
razza primitiva per molte generazioni e, secondo alcuni, per una dozzina od
anche una ventina di generazioni. Dopo dodici generazioni la proporzione del
sangue (per usare di una espressione comune) di ogni progenitore è solo
di 1 a 2048; pure, come vediamo, si crede generalmente che anche una così
tenue proporzione di sangue straniero conservi la tendenza alla riversione.
Al contrario, in quelle razze che non furono incrociate, ma nelle quali ambedue
i progenitori perdettero alcuni caratteri propri del loro stipite, la tendenza,
debole o forte che sia, di riprodurre il carattere perduto può essere
trasmessa, come abbiamo notato, checchè se ne dica in contrario, per
una serie quasi indefinita di generazioni. Quando un carattere, scomparso in
una razza, ritorna dopo un gran numero di generazioni, l'ipotesi più
probabile è che in ogni generazione successiva la prole ebbe una tendenza
costante a riprodurre il carattere in questione, la quale infine, sotto condizioni
favorevoli non conosciute, può prevalere; piuttosto che ammettere un'improvvisa
modificazione della discendenza, coll'assumere le forme di un antenato discosto
di qualche centinaio di generazioni. Per esempio, è probabile che in
ogni generazione il colombo barbo, dal quale più di rado produconsi colombi
turchini con fasce nere, abbia pure una tendenza continua di acquistare questo
colore nelle sue penne. Io non so ravvisare una maggiore improbabilità
nella tendenza di assumere un carattere ereditato dopo un numero infinito di
generazioni, che nell'ammettere l'eredità, a tutti nota, di un organo
affatto inutile e rudimentale. E noi possiamo osservare realmente come sia talvolta
ereditata questa tendenza di produrre un rudimento.
Essendosi supposto che tutte le specie del medesimo genere siano discese da
un comune progenitore, è presumibile che esse debbano variare accidentalmente
in una maniera analoga; cosicchè una varietà di una specie può
rassomigliare in alcuni suoi caratteri ad un'altra specie; mentre questa specie
non è, secondo le mie idee, che puramente una varietà ben distinta
e permanente. Ma i caratteri così ottenuti saranno probabilmente di poca
importanza, perchè la presenza di tutti i caratteri importanti sarebbe
governata dall'elezione naturale, in relazione alle varie abitudini delle specie;
e non sarebbe abbandonata alla mutua azione delle condizioni della vita e di
una consimile costituzione ereditaria. Può inoltre prevedersi che le
specie di un medesimo genere offriranno accidentalmente una reversione agli
antichi caratteri perduti. Però non conoscendo noi i caratteri esatti
del comune antenato di un gruppo, non sapremmo distinguere questi due casi;
se, ad esempio, noi non fossimo istrutti che il colombo torraiuolo non è
calzato, nè incappucciato, noi non avremmo potuto decidere, se questi
caratteri nelle nostre razze domestiche fossero riversioni al tipo, oppure soltanto
analoghe variazioni; ma noi avremmo potuto inferire che il colore turchino è
un caso di riversione, dal numero dei contrassegni che sono collegati a questo
colore; dacchè non è probabile che tutti siano derivati da semplici
variazioni. Più specialmente noi saremmo indotti a ciò, dal vedere
come il color turchino e i contrassegni descritti si mostrino così spesso,
quando si incrocino razze distinte di colori diversi. Quindi, benchè
in natura debba generalmente rimanere dubbio quali caratteri siano a considerarsi
come riversioni a quelli che anticamente esistettero, e quali siano variazioni
nuove, ma analoghe; nondimeno noi dobbiamo talvolta trovare, secondo la mia
teoria, che la discendenza variabile di una specie assuma dei caratteri (sia
per riversione, sia per variazioni analoghe), che già s'incontrano in
alcuni altri membri del medesimo gruppo. Ciò avviene indubitatamente
nello stato di natura.
Una gran parte della difficoltà che si presenta nelle nostre opere sistematiche
nel riconoscere una specie variabile, devesi alle varietà di essa, le
quali imitano, per così dire, alcune varietà delle altre specie
del medesimo genere. Potrebbe infatti formarsi un catalogo considerevole di
forme intermedie ad altre due, che sarebbe incerto se appartengano a varietà
od a specie; ciò prova che una di queste forme, variando, assunse alcuni
caratteri di un'altra, dando per tal modo origine ad una forma intermedia; a
meno che tutte codeste forme non siano considerate come altrettante specie create
indipendentemente. Ma il migliore argomento è fornito dalle accidentali
variazioni delle parti o degli organi importanti ed uniformi, fino ad acquistare,
in qualche modo, il carattere delle stesse parti od organi nelle specie affini.
Io ho raccolto molti di questi fatti, che pur troppo non posso qui pubblicare.
Solo posso ripetere che questi casi certamente avvengono e mi sembrano molto
rimarchevoli.
Darò tuttavia un esempio curioso e complesso, il quale non si manifesta
sopra un carattere importante, ma che si rinviene in parecchie specie di uno
stesso genere, in parte allo stato di domesticità, in parte allo stato
naturale. E ciò è, a quanto pare, un caso di riversione. L'asino
porta spesso delle fasce trasversali molto marcate sulle sue gambe, simili a
quelle delle gambe della zebra; si è asserito che queste fasce sono più
distinte nei puledri, e per le ricerche da me fatte credo che ciò sussista.
Si disse inoltre che la striscia di ciascuna spalla qualche volta sia doppia.
Questa striscia è certo molto variabile in lunghezza e direzione. È
stato descritto un asino bianco, il quale però non era albino, mancante
della striscia dorsale e di quelle delle spalle; e queste strisce sono talvolta
poco discernibili, od anche affatto perdute, negli asini di colore oscuro. Pretende
alcuno di aver osservato il koulan di Pallas con doppia striscia alla spalla.
L'emione ne è privo; ma talvolta ne presenta qualche traccia, come dimostrarono
Blyth ed altri naturalisti. Il colonnello Poole mi ha poi raccontato che i puledri
di questa specie sono generalmente rigati alle gambe e leggermente anche sulla
spalla. Il quagga, benchè abbia il suo corpo rigato come una zebra, non
ha alcuna riga alle gambe; ma il dott. Gray ha disegnato un individuo fornito
di righe distintissime alle gambe.
Io ho notato parecchi casi di cavalli inglesi delle razze più distinte
e di qualunque colore, che presentano la striscia dorsale; così le righe
trasversali alle gambe non sono rare nei cavalli stornelli e grigi: e ne abbiamo
un esempio anche nel cavallo castagno; così nei cavalli grigi può
trovarsi talvolta la riga sulla spalla, ed io ne vidi una traccia sopra un cavallo
baio. Mio figlio esaminò accuratamente e disegnò per me un cavallo
grigio belga da tiro, che aveva una doppia riga ad ogni spalla e le gambe rigate;
io stesso ho veduto un pony grigio del Devonshire, e mi è stato descritto
un piccolo pony brettone, ambidue dotati di tre righe parallele ad ogni spalla
Nel paese al N. O. dell'India la razza dei cavalli Kattywar è rigata
tanto generalmente, che, da quanto mi disse il colonnello Poole, incaricato
dal Governo delle Indie di esaminarla, un cavallo senza righe non si considera
come di razza pura. Il dorso è sempre rigato; le gambe sono generalmente
listate; e la fascia della spalla, talvolta doppia e tripla, è comune;
anche la parte laterale della faccia presenta qualche volta delle rigature.
Le righe sono spesso più apparenti nel puledro, e talvolta scompariscono
affatto nei cavalli vecchi. Il colonnello Poole ha osservato dei puledri rigati
Kattywat grigi e bai. Ho anche motivo di ritenere, dietro le in formazioni avute
da W. W. Edwards, che nelle razze inglesi la linea dorsale sia più comune
ai puledri che ai cavalli pienamente sviluppati. Io ho allevato recentemente
un puledro di una cavalla castagna (figlia di uno stallone turcomanno e di una
cavalla fiamminga) e di uno stallone da corsa inglese castagno; questo puledro,
all'età di una settimana, era fornito ai quarti posteriori e sul davanti
della testa di numerose e assai strette fasce oscure a guisa di zebra, e possedeva
tali fasce più deboli anche alle gambe; tutte quelle fasce scomparvero
ben tosto interamente. Senza entrare qui in maggiori dettagli, posso assicurare
che furono da me riuniti molti esempi di cavalli delle razze più differenti
colle gambe e le spalle rigate, in diversi paesi dell'Inghilterra fino alla
Cina orientale, e dalla Norvegia settentrionale all'Arcipelago Malese nel Sud.
In tutte le parti del mondo queste rigature si manifestano(4) più spesso
nei cavalli grigi e stornelli; ma il termine grigio include una grande gradazione
di tinte, dal grigio bruno e dal nero fino al colore che più si approssima
alla tinta del pastello.
Il colonnello Hamilton Smith, che ha scritto su questo argomento, ritiene che
le diverse razze cavalline derivino da alcune specie originali, una delle quali,
cioè il cavallo grigio-scuro, era rigata; e che tutte le particolarità
sopraddette siano dovute ad antichi incrociamenti col tipo grigio. Ma questa
teoria non mi appaga, e non saprei come applicarla a razze tanto diverse, some
il pesante cavallo da tiro del Belgio, i pony di Bretagna, i cavalli di Norvegia,
la razza agile Kattywar, ecc. che trovansi nelle parti più distanti del
mondo.
Ora ci sia permesso di considerare gli effetti dell'incrociamento delle varie
specie del genere cavallo. Rollin asserisce che il mulo comune, proveniente
dall'asino e dal cavallo, è particolarmente segnato di righe nelle sue
gambe: secondo il Gosse in certi luoghi degli Stati Uniti circa nove muli su
dieci hanno le gambe rigate. Una volta io osservai un mulo siffattamente rigato
nelle gambe, che sulle prime ognuno avrebbe pensato che derivasse da una zebra;
e W. C. Martin, nel suo stupendo trattato del cavallo, ha dato la figura di
un mulo simile. In quattro disegni colorati di ibridi fra l'asino e la zebra,
ho notato che le gambe erano molto più rigate del rimanente del corpo
e in uno di essi si osservavano le doppie righe alla spalla. Il famoso ibrido
di lord Morton, proveniente da una cavalla castagna e da un quagga maschio,
aveva sulle gambe delle fasce più pronunciate di quelle del quagga puro;
e così anche la prole della medesima cavalla con uno stallone arabo nero.
Recentemente si è notato un fatto molto rimarchevole, cioè l'ibrido
prodotto dall'accoppiamento dell'asino coll'emione; questo ibrido venne disegnato
dal dott. Gray, il quale mi fece noto, essersi verificato un altro caso. Esso
aveva le quattro gambe rigate e tre corte fasce sulle spalle, simili a quelle
del cavallo grigio del Devonshire e del pony brettone; benchè l'asino
abbia di rado le righe sulle gambe e l'emione non ne abbia alcuna, neppure sulle
spalle, e inoltre aveva alcune righe ai lati della faccia come la zebra. Riguardo
a quest'ultimo fatto, io ero tanto convinto che quelle rigature non derivavano
da ciò che comunemente si dice il caso, che la sola presenza delle strisce
nella faccia di quest'ibrido, prodotto dall'asino e dall'emione, mi indusse
a chiedere al colonnello Poole se questi segni si incontrano nei cavalli Kattywar
che sono molto rigati, e la risposta, come vedemmo, fu affermativa.
Che cosa diremo di questi fatti? Noi vediamo parecchie specie distinte del genere
cavallo che divengono, per semplice variazione, rigate nelle gambe come la zebra,
o sulle spalle come l'asino. Nel cavallo noi troviamo questa forte tendenza,
ogni qualvolta si presenta la tinta grigia, la quale si avvicina di più
al colore generale delle altre specie del genere. La presenza delle righe non
è accompagnata da alcun mutamento di forma, nè da alcun altro
carattere nuovo. Noi osserviamo che questa tendenza a divenire rigati è
più fortemente spiegata negli ibridi derivanti da alcune fra le specie
più distinte. Abbiamo notato il caso di alcune razze di colombi: esse
derivarono da un colombo turchiniccio (comprensivamente a due o tre sotto-specie
o razze geografiche), dotato di certe fasce ed altre particolarità; e
quando una razza assume, per mezzo di semplici variazioni, una tinta turchina,
queste fasce e gli altri contrassegni ritornano invariabilmente, ma senza che
si verifichi alcun cambiamento di forma o di carattere. Quando si incrociano
le razze più antiche e più pure di vari colori, noi troviamo nei
meticci una tendenza particolare a ricuperare quel colore, colle fasce e cogli
altri segni. L'ipotesi più probabile, per render conto della riapparizione
di caratteri molto antichi, consiste nella tendenza, che si manifesta nei giovani
di ogni successiva generazione, di riprodurre un carattere perduto da lungo
tempo; tendenza che talvolta prevale per cause ignote. Infatti noi vedemmo che
in alcune specie del genere cavallo le rigature sono più marcate, od
anche si trovano più comunemente nei puledri che negli adulti. Si chiamino
specie quelle razze di colombi che si moltiplicarono inalterate per secoli;
questo caso non è forse esattamente parallelo a quello delle specie del
genere cavallo? Quanto a me, risalendo migliaia e migliaia di generazioni, veggo
in un animale rigato come la zebra, ma forse per altri rapporti di una struttura
molto diversa, il comune progenitore del nostro cavallo domestico sia poi esso
derivato o no da un solo o da parecchi stipiti selvaggi(5) dell'asino, dell'emione,
del quagga o della zebra.
Nell'ipotesi che ogni specie equina sia stata creata indipendentemente, io presumo
debba affermarsi che ogni specie fu creata con una certa tendenza a variare,
vuoi allo stato di natura, vuoi allo stato domestico, in un modo particolare;
cosicchè spesso divenga rigata a guisa delle altre specie del genere;
e che inoltre ciascuna specie venne creata con una forte tendenza a produrre
ibridi rassomiglianti nelle loro rigature alle altre specie del genere, anzi
che ai loro propri parenti, quando questi siano incrociati con altre specie
abitanti in località del globo molto lontane. Mi sembra che, adottando
queste idee, si sostituirebbe ad una causa reale una causa insussistente, o
almeno ignota. Ciò sarebbe fare delle opere di Dio una mera derisione,
un inganno; sarebbe quasi un credere cogli antichi ed ignoranti cosmogonisti
che i molluschi fossili non hanno mai vissuto, ma furono creati nella roccia
per imitazione di quelli che ora sono viventi sulle coste del mare.
SOMMARIO
La nostra ignoranza sulle leggi della variazione è profonda.
Noi non possiamo pretendere di trovare, in un solo caso sopra cento, il motivo,
per cui questa o quell'altra parte differisca più o meno dallo stesso
organo dei progenitori. Ma quando anche noi abbiamo i mezzi di istituire un
confronto, pare che le medesime leggi governino la produzione delle differenze
esistenti fra le varietà di una specie e delle differenze più
grandi esistenti fra le specie di un medesimo genere. Alcune piccole modificazioni
possono essere derivate dalle condizioni esterne della vita, come dal clima,
dal nutrimento, ecc. L'abitudine poi sembra sia stata assai più efficace
ne' suoi effetti col produrre differenze costituzionali, come l'uso col rinforzare
gli organi e il non uso coll'indebolirli e col diminuirli. Le parti omologhe
tendono a variare nella stessa maniera e contemporaneamente. Le modificazioni
avvenute nelle parti dure e nelle esterne, talvolta agiscono sulle parti molli
e sulle interne. Quando un organo è molto sviluppato, tende forse ad
assorbire il nutrimento delle parti vicine; ed ogni parte dell'organizzazione,
la quale possa risparmiarsi senza danno dell'individuo, sarà eliminata.
Le modificazioni di struttura dell'età giovanile generalmente influiranno
sulle parti che si sviluppano posteriormente; esistono inoltre molte altre correlazioni
di sviluppo, la natura delle quali ci è assolutamente incomprensibile.
Le parti multiple sono variabili di numero e di struttura, forse perchè
esse non furono strettamente destinate ad un ufficio speciale, in ogni funzione
determinata; per modo che le loro mutazioni non furono impedite rigorosamente
dall'elezione naturale. Egli è probabilmente per questa stessa causa
che gli esseri organici inferiori nella scala naturale siano più variabili
di quelli che hanno tutto il loro organismo conformato a funzioni più
distinte e sono più elevati nella scala animale. Gli organi rudimentali
non saranno perfezionati dall'elezione naturale, perchè inutili, e perciò
sono probabilmente variabili. I caratteri specifici - cioè quei caratteri
che giunsero a differire, dacchè le varie specie del medesimo genere
si staccarono dal comune progenitore - sono più variabili dei caratteri
generici, cioè di quelli che furono ereditati da lungo tempo e che non
diversificarono durante il medesimo periodo.
Nelle osservazioni che precedono noi abbiamo inteso parlare di quelle parti
speciali od organi che rimasero variabili, perchè infatti variarono recentemente
e così poterono differire; ma vedemmo altresì nel secondo capo
che lo stesso principio si applica all'intero individuo; perchè in quel
distretto in cui trovansi molte specie di un genere - cioè, dove esse
ebbero a presentare maggiori e più antiche variazioni e differenze, oppure
dove la formazione di novelle forme specifiche fu operata più attivamente
- in tale distretto e presso queste specie noi troveremo in media un numero
maggiore di varietà. I caratteri sessuali secondari sono altamente variabili,
e questi caratteri sono più differenti nelle specie appartenenti ad un
medesimo gruppo. La variabilità delle stesse parti dell'organizzazione
ha generalmente favorito la produzione delle differenze sessuali secondarie
nei sessi di una specie, e delle differenze specifiche nelle varie specie un
genere. Ogni parte od organo sviluppato in dimensioni straordinarie od in una
maniera stravagante, rispetto alla medesima parte od organo nelle specie affini,
deve essere passata per una serie straordinaria di modificazioni, dopo la formazione
del genere; quindi noi siamo in grado di comprendere, perchè spesso quella
parte sia assai più variabile delle altre; perchè il processo
di variazione è lento e lungamente continuato, e l'elezione naturale
in questi casi non ebbe il tempo di vincere la tendenza alla variabilità
ulteriore e alla riversione verso uno stato meno modificato. Ma quando una specie,
fornita di un organo eccezionalmente sviluppato, è divenuta madre di
molti discendenti modificati (processo che, secondo le mie idee, dev'essere
lentissimo e richiedere un lungo lasso di tempo), in tal caso l'elezione naturale
può facilmente essere riuscita a dare un carattere fisso all'organo,
per quanto anormale possa essere lo sviluppo di esso. Quelle specie che hanno
ereditato una costituzione quasi identica dal loro comune progenitore e che
si trovano sotto le medesime influenze tenderanno a presentare variazioni analoghe,
e potranno accidentalmente ripigliare alcuni caratteri dei loro antenati. Quantunque
le riversioni e le variazioni analoghe non possano dar luogo a nuove ed importanti
modificazioni, queste modificazioni accresceranno tuttavia la bellezza e la
varietà armonizzante della natura.
Qualunque sia la causa della prima leggera differenza tra i genitori e la prole,
e una causa deve certamente esistere, può affermarsi, che solamente la
continua accumulazione di queste benefiche differenze abbia prodotto le più
notevoli modificazioni di struttura in relazione alle abitudini di vita di ciascuna
specie.
CAPO VI
Difficoltà contro la teoria della discendenza con modificazioni - Assenza o rarità delle varietà intermedie - Transizioni nelle abitudini della vita - Abitudini diverse nella stessa specie - Specie dotate di abitudini affatto differenti da quelle delle specie affini - Organi di estrema perfezione - Mezzi di transizione - Casi difficili - Natura non facit saltum - Organi di poca importanza - Organi non sempre assolutamente perfetti - Le leggi dell'Unità di tipo e delle Condizioni d'esistenza sono comprese nella teoria dell'Elezione naturale.
Anche prima di giungere a questo punto della mia opera, molte
difficoltà si saranno affollate nella mente del lettore. Alcune di esse
sono tanto serie, che fin qui non potei riflettervi senza rimanere colpito dalla
loro importanza; ma per quanto so giudicarne, in gran parte sono soltanto apparenti,
e quelle che sono fondate non sono, a mio avviso, fatali alla mia teoria.
Queste difficoltà od obbiezioni ponno classificarsi nei seguenti capi:
- Primieramente, se le specie derivano da altre specie, per mezzo di gradazioni
insensibili, perchè non vediamo noi dappertutto innumerevoli forme transitorie?
Perchè tutta la natura non è confusa, mentre al contrario le specie
sono, come noi sappiamo, ben definite?
Secondariamente, è forse possibile che un animale della struttura, per
esempio, e delle abitudini di un pipistrello, possa essere stato formato col
mezzo di modificazioni di qualche animale dotato di abitudini e di struttura
interamente diverse? Abbiamo noi a ritenere che l'elezione naturale possa produrre,
da una parte organi di così debole importanza, come la coda della giraffa
che serve a guisa di cacciamosche, dall'altra parte organi di una struttura
tanto portentosa, come l'occhio, del quale noi possiamo appena conoscere la
perfezione meravigliosa?
In terzo luogo, potrebbero gl'istinti acquistarsi o modificarsi per mezzo della
elezione naturale? Quale istinto possiamo noi addurre più meraviglioso
di quello che conduce le api a fabbricarsi le loro celle, che praticamente hanno
preceduto le scoperte di profondi matematici?
In quarto luogo, come puossi spiegare per qual ragione le specie, quando siano
incrociate, rimangano sterili e generino una prole sterile; mentre, quando si
incrocino le varietà, la loro fecondità resta inalterata?
Discuteremo qui i due primi punti, diverse altre obiezioni negli altri capitoli,
e tratteremo nei due capitoli che seguono il presente dell'istinto e dell'ibridismo.
SULL'ASSENZA O RARITÀ DELLE VARIETÀ TRANSITORIE
L'elezione naturale agendo solamente per la conservazione delle
modificazioni profittevoli, ogni nuova forma, in un paese completamente abitato,
tenderà a prendere il posto dei suoi propri parenti meno perfezionati
o delle altre forme meno favorite, colle quali entra in lotta e cercherà
infine di esterminarle. Così l'estinzione e la naturale elezione andranno
di pari passo, come abbiamo dichiarato. Quindi se noi consideriamo che ogni
specie sia derivata da qualche altra forma sconosciuta, ambi i progenitori e
tutte le varietà transitorie saranno state generalmente esterminate,
in conseguenza del processo di formazione e di perfezionamento della nuova forma.
Ma se dietro questa teoria debbono essere esistite innumerevoli forme transitorie,
perchè non le troviamo noi sepolte nella crosta del globo in un numero
indefinito? Sarà molto più conveniente sviluppare tale questione
nel capo sulla imperfezione dei documenti geologici; qui non dirò altro,
che credo tali documenti siano incomparabilmente meno perfetti, di quello che
in generale si suppone. La crosta del globo è un vasto museo; ma le collezioni
naturali ch'essa contiene furono formate ad intervalli di tempo immensamente
lontani.
Ma quando parecchie specie strettamente affini abitano nello stesso territorio,
può assicurarsi che oggidì noi troveremo molte forme transitorie.
Prendiamo un caso semplice. Nel viaggiare dal nord al sud sopra un Continente,
noi generalmente incontreremo ad intervalli successivi alcune specie molto affini
o rappresentative, le quali evidentemente occupano un posto quasi identico nella
naturale economia del Paese. Queste specie rappresentative spesso si mescolano
e si confondono; di mano in mano che una diviene più scarsa, l'altra
si accresce sempre più, cosicchè in fine la seconda rimpiazza
la prima. Ma se si paragonino queste specie nei luoghi in cui sono frammiste,
esse sono in generale assolutamente distinte fra loro, in tutti i dettagli della
struttura, come gli individui presi nel centro della nativa contrada. Secondo
la mia teoria, queste specie affini sono derivate da un parente comune; e, durante
il processo di modificazione, ognuna di esse si uniformò alle condizioni
di vita della propria regione, e succedette ai progenitori originali estinguendoli;
come pure distrusse tutte le varietà transitorie fra il suo stato antico
e il suo stato attuale. Quindi noi non avremo da aspettarci che possano presentemente
trovarsi numerose varietà transitorie in ogni regione, benchè
queste debbano esservi esistite e possano esservi sepolte nella condizione di
fossili. Ma nella regione intermedia, nella quale si hanno anche condizioni
di vita intermedie, perchè non troveremo oggi quelle varietà intermedie
che collegano fra loro le altre forme? Questa difficoltà mi confuse per
lungo tempo; ma credo che possa in gran parte appianarsi.
In primo luogo, noi dovremo essere estremamente cauti nell'inferire che un paese
sia stato continuo, per un lungo periodo, dal trovarlo continuo ai nostri giorni.
La geologia ci insegnerà al contrario che quasi tutti i Continenti erano
spezzati in tante isole, negli ultimi periodi terziari; ora, in queste isole
possono essersi formate separatamente specie distinte, senza che fosse in alcun
modo possibile l'esistenza di varietà intermedie in zone intermedie.
Pei cangiamenti nella forma del Paese e nel clima, le superfici del mare, che
ora sono continue, debbono essere state recentemente in una condizione uniforme
e diversa da quella in cui al presente si trovano. Ma non voglio continuare
in questa via, onde sottrarmi alla difficoltà; perchè io credo
che molte specie perfettamente definite sieno state formate sopra vaste superfici,
non interrotte menomamente; quantunque io non dubiti che l'antico stato di interruzione
e di frastagliamento delle aree, oggi continue, avesse un importante ufficio
nella formazione delle specie nuove, e più specialmente fra gli animali
vaganti e che liberamente s'incrociano.
Se si consideri come attualmente sono distribuite le specie sopra una vasta
regione, noi le troviamo generalmente numerose sopra una certa estensione del
territorio; indi le vediamo diminuire d'improvviso, quanto più ci accostiamo
ai confini, e infine non ne rimane alcuna traccia. Quindi il territorio neutrale
fra due specie rappresentative è in generale ristretto in confronto del
territorio proprio di ciascuna di esse. Noi siamo testimoni del medesimo fatto,
ascendendo i monti, ed è notevole come le specie alpine comuni repentinamente
scompariscano, locchè risulta anche dalle osservazioni di Alfonso De
Candolle. Il medesimo fatto fu rilevato da E. Forbes nello scandagliare la profondità
del mare con la sonda. Questi fatti debbono recare qualche sorpresa a coloro
che riguardano il clima e le condizioni fisiche della vita come gli elementi
più importanti di distribuzione, perchè il clima e l'altezza o
la profondità variano per gradi insensibilmente. Ma quando noi richiamiamo
alla mente che quasi tutte le specie, anche nella loro metropoli, crescerebbero
immensamente di numero, ove non avvenisse la lotta colle altre specie; che quasi
tutte o predano le altre, o rimangono preda di esse; in breve, che ogni essere
organico è collegato direttamente o indirettamente in un modo molto importante
cogli altri esseri organici; noi dobbiamo ammettere che la distribuzione degli
abitanti di ogni paese non può dipendere esclusivamente dai cambiamenti
insensibili delle condizioni fisiche, ma in massima parte dalla presenza di
altre specie che loro sono indispensabili, le quali, o ne cagioneranno la distruzione,
o entreranno in lotta con essi; e siccome queste specie sono ormai ben distinte,
e non passano insensibilmente l'una nell'altra, la distribuzione di una specie,
che appunto dipende da quella delle altre, deve tendere ad una retta demarcazione.
Inoltre ogni specie, sui confini della sua contrada, ove esiste in minor quantità,
deve andar soggetta alla completa distruzione per le variazioni nel numero de'
suoi nemici o degli animali che sono sua preda, od anche per le stagioni; e
così la sua posizione geografica deve essere vieppiù profondamente
marcata.
Se è vero che le specie affini o rappresentative, quando abitano una
superficie continua, sono generalmente distribuite in modo che ognuna di esse
occupa una vasta estensione, frapponendosi un territorio neutrale comparativamente
ristretto in cui essa diviene continuamente più scarsa; allora, siccome
le varietà non differiscono essenzialmente dalle specie, la stessa regola
si applicherà probabilmente ad ambedue. Se noi immaginiamo che una specie
variabile si sia adattata ad una regione molto vasta, si dovrà concedere
ancora che due varietà si siano uniformate a due paesi grandi ed una
terza varietà si sia stabilita in una ristretta zona intermedia. Per
conseguenza la varietà intermedia sarà più scarsa di numero,
occupando un'area minore e più ristretta; praticamente poi questa regola,
per quanto potei osservare, si estende alle varietà nello stato naturale.
Io ho incontrato delle rigorose applicazioni di codesta regola nelle varietà
intermedie fra altre varietà ben distinte del genere Balanus. Risulterebbe
altresì dalle informazioni fornitemi dal Watson, dal dott. Asa Gray,
e dal Wollaston, che generalmente, quando si trovano delle varietà intermedie
fra altre due forme, esse sono più scarse in numero delle forme correlative.
Ora, se noi possiamo accertare questi fatti e queste deduzioni e quindi concludere
che le varietà, le quali collegano fra loro altre due varietà,
sono esistite generalmente in minor numero che le forme collegate; allora io
credo che noi possiamo comprendere per qual motivo le varietà intermedie
non debbano durare per lunghi periodi; e come, in regola generale, abbiano a
rimanere distrutte ed a scomparire più presto di quelle forme, alle quali
dapprima servivano di legame intermedio.
Perchè ogni forma esistente in piccolo numero deve correre, come altrove
si disse, una maggiore probabilità di essere sterminata di quello che
una forma molto numerosa; in questo caso speciale, la forma intermedia sarà
soggetta eminentemente alle irruzioni delle forme strettamente affini esistenti
lateralmente. Ma havvi una considerazione più importante, secondo me,
vale a dire che, durante il processo di ulteriori modificazioni, per mezzo del
quale due varietà si perfezionano e si trasformano in due specie distinte,
come viene supposto nella mia teoria, quelle che non sono molto numerose, abitando
un Paese vasto, avranno un grande vantaggio sopra la varietà intermedia,
esistente in piccolo numero nella zona intermedia e ristretta. Perchè
le forme esistenti in gran numero avranno sempre una maggiore probabilità
di presentare, in un periodo determinato, diverse variazioni favorevoli, sulle
quali possa esercitarsi l'elezione naturale, piuttosto che le forme scarse che
esistono in minor numero. Quindi nella lotta per la vita le forme più
comuni tenderanno a battere e soppiantare le forme meno comuni; mentre queste
saranno più lentamente modificate e perfezionate. Credo che questo stesso
principio spieghi per qual ragione le specie comuni d'ogni paese, come fu dimostrato
nel capo secondo, presentino in media più varietà ben distinte
che le specie più rare. Io posso chiarir meglio il mio concetto, supponendo
che si abbiano tre varietà di pecore, la prima adatta ad una estesa regione
montuosa, la seconda ad una collina relativamente ristretta, e la terza ad una
vasta pianura alla base del colle. Posto che tutti gli abitanti di questo paese
si sforzino, con eguale costanza ed abilità, di migliorare il loro gregge
per mezzo della elezione; in tal caso, le sorti saranno assai più favorevoli
ai grandi possessori della montagna o della pianura, i quali perfezioneranno
le loro razze più rapidamente che i piccoli proprietari della ristretta
zona di colli intermedia; e quindi la razza perfezionata di montagna o di pianura
prenderà sollecitamente il posto della meno perfezionata del colle; e
così le due razze, che in origine esistevano in numero maggiore, verranno
in stretto contatto fra loro, senza l'interposizione della intermedia varietà
del colle, che fu soppiantata.
Insomma, io credo che le specie divengano oggetti abbastanza ben marcati e definiti,
in modo da non offrire in qualsiasi periodo un caos inestricabile di forme variabili,
ed intermedie: primieramente perchè le nuove varietà sono formate
con estrema lentezza, essendo lentissimo il processo delle variazioni, e l'elezione
naturale non può agire fintanto che non si presentino variazioni favorevoli,
e finchè nella naturale economia della regione non siavi un posto che
possa occuparsi più vantaggiosamente, per qualche modificazione avvenuta
in uno, o in parecchi abitanti. Ora questi nuovi posti dipenderanno dagli insensibili
cambiamenti del clima, o dall'accidentale immigrazione di nuovi abitanti, e
probabilmente, in un grado ben più importante, dalle lente modificazioni
di alcuni degli antichi abitanti; mentre le nuove forme così prodotte
e le antiche agiranno e reagiranno scambievolmente le une sulle altre. Per modo
che in ogni regione e in ogni tempo noi non troveremo che poche specie, le quali
offrano piccole modificazioni di struttura, alcun poco permanenti; e certamente
questo è ciò che vediamo.
In secondo luogo, le superfici che oggi sono continue debbono in periodi recenti
essersi trovate interrotte in porzioni isolate, in cui molte forme, specialmente
in quelle classi d'animali che si accoppiano per ogni parto e sono molto vaganti,
possono essere divenute separatamente abbastanza distinte, da considerarsi come
specie rappresentative. In questo caso le qualità intermedie fra le varie
specie rappresentative e il loro stipite comune, devono ritenersi come anticamente
esistenti in ogni porzione interrotta del paese; ma questi anelli di congiunzione
saranno stati sopraffatti ed esterminati durante il processo di elezione naturale,
così che non trovansi più allo stato vivente.
In terzo luogo, allorchè due o più varietà vennero formate
in porzioni differenti di una superficie continua, le varietà intermedie
saranno state probabilmente nelle zone intermedie, ma avranno avuto in generale
una breve durata. Perchè queste varietà intermedie esistettero
nelle zone intermedie in minor numero di quelle varietà che esse tendono
a connettere, e ciò per ragioni altrove dichiarate (cioè da quanto
noi conosciamo intorno all'attuale distribuzione delle specie strettamente affini
o rappresentative, come pure delle varietà note). Per questa sola causa
le varietà intermedie saranno soggette alla distruzione accidentale;
e durante il processo, di successive modificazioni mediante l'elezione naturale,
esse saranno quasi certamente battute e soverchiate dalle forme che esse collegano;
dappoichè queste, esistendo in un numero più grande, presenteranno,
nell'insieme, variazioni maggiori, e così saranno vieppiù perfezionate
col mezzo della elezione naturale, e guadagneranno maggiori vantaggi.
Da ultimo, pensando all'intero corso dei tempi, anzichè a un'epoca particolare,
se la mia teoria è fondata, esistettero sicuramente infinite varietà
intermedie, che collegarono strettamente fra loro tutte le specie di un medesimo
gruppo; ma il processo di elezione naturale tende continuamente, come spesso
notammo, a distruggere le madri-forme e gli anelli intermedi. Perciò
la dimostrazione della loro antica esistenza può solo trovarsi negli
avanzi fossili che furono preservati, come noi cercheremo dimostrare in uno
dei capi seguenti con memorie estremamente imperfette ed intermittenti.
SULL'ORIGINE E SULLE TRANSIZIONI DEGLI ESSERI ORGANICI
DOTATI DI PARTICOLARI ABITUDINI E STRUTTURE
Si è chiesto dagli oppositori della nostra dottrina
in che modo, per esempio, un animale carnivoro terrestre possa essere stato
trasformato in animale acquatico: come può infatti un animale aver continuato
ad esistere nel suo stato transitorio? Sarebbe facile dimostrare che nel medesimo
gruppo esistono animali carnivori che posseggono ogni gradazione intermedia
fra le abitudini veramente acquatiche e quelle puramente terrestri; ora, siccome
ognuno esiste in seguito alla lotta per la vita, è chiaro che deve essere
anche bene adatto nelle sue abitudini alla propria dimora nella natura. Prendiamo
la Mustela vison dell'America settentrionale, che ha i piedi palmati e rassomiglia
alla lontra nel suo pelo, nelle sue gambe corte, e nella forma della coda; nell'estate
quest'animale si tuffa nell'acqua e si nutre di pesce, ma durante il lungo inverno
abbandona le acque gelate e coglie, come gli altri gatti del polo, i sorci ed
altri animali terrestri. Se si fosse scelto un altro caso e si fosse domandato,
come un mammifero insettivoro possa cambiarsi in pipistrello volante, la questione
sarebbe stata assai più difficile, e non avrei saputo dare alcuna risposta.
Tuttavia credo che queste obbiezioni non abbiano molto peso.
In questo luogo, come in altre occasioni, io soggiaccio un grave svantaggio,
perchè, tra i moltissimi fatti da me raccolti, io non posso dare che
uno o due esempi di abitudini e strutture transitorie di specie strettamente
affini di uno stesso genere; e di abitudini diverse costanti od accidentali
in una medesima specie. Mi sembra però che una lunga lista di questi
fatti basterebbe a scemare la difficoltà di ogni caso speciale, analogo
a quello del pipistrello.
Consideriamo intanto la famiglia degli scoiattoli; noi abbiamo in essa la più
regolare gradazione dagli individui che hanno la coda leggermente appianata,
e da quelli che, come osservò J. Richardson, hanno la parte posteriore
del loro corpo alquanto più larga, e la pelle dei loro fianchi più
sviluppata, fino a quelli scoiattoli che si dicono volanti. Questi scoiattoli
volanti hanno le loro membra ed anche la base della coda riunite per mezzo di
una larga espansione della pelle, la quale serve loro di paracadute e permette
ai medesimi di sostenersi nell'aria, per saltare da un albero all'altro, ad
una distanza prodigiosa. Noi non possiamo mettere in dubbio che ogni struttura
speciale sia utile a ciascuna razza di scoiattoli nel loro paese nativo, per
renderli più agili ad evitare gli uccelli rapaci o le belve, o anche
per facilitare ad essi la provvista dell'alimento, o infine per diminuire il
pericolo di accidentali cadute, come può con ragione supporsi. Ma non
deve da questo fatto scaturire la conseguenza ch'ogni scoiattolo sia dotato
della struttura migliore che sia possibile immaginare, sotto tutte le condizioni
naturali. Poniamo che il clima e la vegetazione si mutino, poniamo che altri
roditori antagonisti, o nuovi animali rapaci, si introducano, oppure che alcuni
fra gli antichi animali si modifichino, e tutta l'analogia ci trarrà
nell'opinione che fra gli scoiattoli almeno alcuni diminuiranno di numero o
rimarranno estinti, quando non finiscano anch'essi per subire modificazioni
e perfezionamenti di struttura in un modo corrispondente. Perciò io non
posso vedere alcuna difficoltà, specialmente sotto condizioni di vita
mutabili, nella continua preservazione di individui dotati di membrane ai fianchi
sempre più sviluppate e complete, ogni modificazione essendo utile in
tal caso, e trasmessa per eredità fino al punto in cui, per gli effetti
accumulati di codesto eccesso di elezione naturale, si sia formato uno scoiattolo
volante.
Ora portiamo la nostra attenzione sul galeopiteco, o lemuro volante, che un
tempo venne falsamente classificato fra i pipistrelli. Egli possiede una larga
membrana ai fianchi, la quale si estende dagli angoli della mascella fino alla
coda e racchiude le estremità e le dita allungate: tale membrana è
fornita di un muscolo estensore. Benchè al presente non si rinvengano
legami graduali di tale struttura, tra gli altri lemuri e il galeopiteco, nondimeno
io non trovo strano il supporre che anticamente questi legami esistessero e
che ognuno di essi apparisse colla stessa gradazione che si osserva nel caso
degli scoiattoli comuni e degli scoiattoli volanti; poichè ogni fase
di miglioramento di struttura in questa direzione fu sempre utile all'individuo.
Io non trovo inoltre alcuna difficoltà insuperabile nel supporre che
nel galeopiteco sia avvenuto gradatamente l'allungamento dello avambraccio e
delle dita, fra le quali si estende la membrana, per mezzo della elezione naturale;
e ciò non sarebbe che una trasformazione di questo lemuro in pipistrello,
almeno per quanto riguarda gli organi del volo. Nei pipistrelli, che hanno la
membrana delle ali dal vertice della spalla alla coda, incluse le gambe posteriori,
noi vediamo forse le tracce di un apparato in origine destinato piuttosto ad
aiutare l'animale nell'attraversare l'aria fra due punti non molto discosti,
anzi che costituito per il volo.
Se circa una dozzina di uccelli fossero rimasti estinti o non conosciuti, chi
avrebbe potuto avventurarsi a congetture che possono esservi stati uccelli,
i quali impiegassero le loro ali semplicemente a guisa di spatole, per svolazzare
alla superficie dell'acqua come l'anitra stupida (Micropterus di Eyton), oppure
servendosene di natatoie nell'acqua e di estremità anteriori sulla terra,
come il pinguino; a guisa di vele come lo struzzo per facilitare la corsa; ed
anche per nessuna funzione come l'apterice? Eppure la struttura di ognuno di
questi uccelli è buona per lui, nelle condizioni di vita, alle quali
trovasi esposto, e nelle quali deve lottare per la sua esistenza; ma quella
struttura non è necessariamente la migliore possibile, in tutte le condizioni
possibili. Da queste osservazioni non deve dedursi che ciascuno dei gradi citati
nella struttura delle ali (che forse potranno avere avuto origine dal non-uso)
indichi la gradazione naturale, per la quale gli uccelli acquistarono la perfetta
facoltà di volare; valgono però almeno a dimostrare quali mezzi
diversi di transizione sono possibili.
Se si riflette che alcuni pochi animali dotati di respirazione acquatica, delle
classi dei crostacei e dei molluschi, sono adatti a vivere sulla terra: e si
pensa che gli uccelli volano, che vi sono dei mammiferi volanti e degli insetti
volanti, appartenenti ai tipi più diversi; che inoltre esistettero nelle
epoche passate dei rettili volanti, allora può comprendersi come i pesci
volanti, che al presente coll'aiuto delle loro pinne pettorali s'innalzano obliquamente
sopra il livello del mare e attraversano l'aria in un arco largo, possano essere
trasformati in animali perfettamente alati. Quando ciò fosse avvenuto,
chi si sarebbe mai immaginato che in un primitivo stato transitorio essi fossero
abitatori dell'oceano e usassero i loro organi incipienti del volo per schivare
di essere divorati da altri pesci?
Quando noi osserviamo un organo altamente perfezionato per una speciale abitudine,
come le ali degli uccelli per volare, dobbiamo riflettere che quegli animali,
nel primo stadio di formazione, assai di rado potevano conservarsi sino ad oggi,
perchè essi saranno stati sostituiti da altri, per mezzo del processo
di perfezionamento, operato dall'elezione naturale. Inoltre noi dobbiamo pensare
che i gradi transitorii fra quelle strutture che sono adattate ad abitudini
di vita affatto opposte, non si svilupparono nel periodo primitivo in gran numero
e sotto molte forme subordinate. Così ritornando all'esempio ideato del
pesce volante, non deve sembrare probabile che alcuni pesci, capaci di volare,
possano essersi sviluppati sotto molte forme subordinate, per impadronirsi di
varie sorta di preda in diversi modi, sulla terra o nell'acqua, finchè
i loro organi per il volo avessero raggiunto un alto stadio di perfezione, e
non avessero ottenuto un vantaggio deciso sopra gli altri animali nella lotta
per la vita. Quindi la probabilità di scoprire specie dotate di gradi
transitori di struttura, nella condizione di fossili, sarà sempre minore;
poichè le medesime esistettero in numero molto più ristretto,
che quando le specie ebbero un organismo pienamente sviluppato.
Ora passiamo a due o tre esempi di abitudini rese diverse e modificate presso
individui di una medesima specie. In un dato caso potrà agevolmente l'elezione
agire sull'animale, conformandolo, per mezzo di alcune modificazioni di struttura,
alle sue nuove abitudini, oppure esclusivamente ad una di queste abitudini diverse.
Ma è difficile stabilire, cosa per noi di poca entità, se generalmente
le abitudini si cangino prima della struttura: o se piccole modificazioni di
struttura inducano la mutazione delle abitudini; probabilmente può dirsi
che ambedue variano spesso quasi simultaneamente. Quanto ai casi di cambiamento
d'abitudini, basterà semplicemente ricordare i molti insetti d'Inghilterra,
che attualmente si nutrono di piante esotiche, o esclusivamente di sostanze
artificiali. Quanto alle abitudini diversificate, potrebbero darsi esempi senza
fine. Io spesso ho osservato una specie di laniere dell'America meridionale
(Saurophagus sulphuratus) svolazzare sopra un luogo e poi sopra un altro come
un falchetto da torre e altre volte rimanere stazionario sul margine dell'acqua,
per lanciarsi poi con impeto sul pesce a guisa di alcedine. Nel nostro stesso
Paese può vedersi talvolta la cingallegra maggiore (Parus major) arrampicarsi
ai rami quasi come un picchio; altre volte ammazzare i piccoli uccelli a colpi
di becco, non altrimenti del laniere; ed io pure l'osservai molte volte rompere
a colpi i semi del tasso sopra un ramo ed altre schiacciarli col becco, come
fa il rompinoce. Nell'America del Nord fu veduto dall'Hearne l'orso nero nel
mentre nuotava per diverse ore, con la bocca spalancata per cogliere gl'insetti
nell'acqua, ad imitazione dei cetacei.
Come noi talvolta notiamo esservi qualche individuo d'una specie che tiene abitudini
affatto diverse da quelle della specie stessa e delle altre specie del medesimo
genere, possiamo arguirne, secondo la mia teoria, che questi individui accidentalmente
potrebbero dare origine a nuove specie, avendo abitudini anormali e la loro
struttura modificata leggermente od anche notevolmente da quelle del loro medesimo
tipo. Questi fatti si incontrano nella natura. Quale esempio di adattamento
infatti sarebbe più concludente di quello dei picchi che si arrampicano
sugli alberi e colgono gli insetti nelle fessure della corteccia? Tuttavia trovansi
nell'America settentrionale dei picchi che mangiano le frutta, ed altri forniti
d'ali allungate che si impadroniscono degli insetti di volo. Nelle pianure della
Plata, in cui non cresce alcun albero, havvi un picchio (Colaptes campestris)
che ha due dita in avanti e due indietro, una lingua lunga ed appuntata e le
penne della coda resistenti, benchè meno resistenti di quelle dei picchi
tipici (ed io lo vidi ciò nondimeno usare la coda come di un punto d'appoggio
per mantenersi contro un piano verticale) e dotato di un becco ritto e robusto.
Il becco non è forte come quello dei picchi tipici: è però
abbastanza duro per forare il legno. Quindi il Colaptes della Prata è
a considerarsi come un picchio, in tutte le parti essenziali della sua organizzazione.
Persino alcuni caratteri di minore importanza, come il colore, il suono aspro
della voce e il volo ondulatorio, tutto mi persuade della sua affinità
coi nostri comuni picchi. Ma questo picchio, come posso assicurare dietro le
mie proprie osservazioni e quelle dell'esatto Azara, in certi distretti non
si arrampica mai sugli alberi, e costruisce il nido nelle cavità delle
rive. In certi altri distretti lo stesso picchio, come Hudson assicura, visita
gli alberi, e pratica dei fori nei tronchi per porvi il suo nido. Voglio addurre
ancora un esempio di variate abitudini di vita, tolto dallo stesso gruppo. Il
De Saussure ha descritto un Colaptes messicano, del quale ci racconta che pratica
dei fori nel duro legno per deporvi i suoi depositi di ghiande.
Le procellarie sono fra gli uccelli i maggiori volatori e frequentatori del
mare, ma nello stretto tranquillo della Terra del Fuoco la Puffinuria Berardi
potrebbe essere scambiata da ognuno per un pinguino o per un colimbo, in causa
delle sue abitudini generali, della sua meravigliosa facoltà di immergersi
nell'acqua, del modo di nuotare, e di volare, quando involontariamente prende
il volo; ciò nonostante essa è essenzialmente una procellaria,
ma con molte parti della sua organizzazione profondamente modificate in rapporto
alle sue nuove abitudini di vita: mentre il picchio della Plata ha una struttura
solo leggermente modificata. Nel merlo acquatico al contrario il più
acuto osservatore non potrebbe mai desumere le sue abitudini acquatiche per
quanto ne esaminasse il corpo morto; però questo membro anomalo della
famiglia dei tordi terrestri si tuffa nell'acqua, scava i ciottoli coi piedi
e impiega le sue ali sotto l'acqua. Tutti i membri dell'ordine degli imenotteri
sono animali terrestri, ad eccezione del genere Proctotrupes, il quale, come
ha trovato recentemente il Lubbock, è acquatico nelle sue abitudini.
Questi animali vanno spesso nell'acqua, si sommergono, non col mezzo delle zampe,
ma delle ali, e rimangono perfino quattro ore sott'acqua. E tuttavia nulla si
rinviene nella loro struttura, che fosse in relazione con abitudini così
anormali.
Coloro che pensano che ogni essere sia stato creato nello stato in cui oggi
lo troviamo, debbono talvolta rimanere sorpresi dall'incontrare un animale avente
delle abitudini che non sono conformi alla struttura. Che cosa vi ha di più
chiaro, che i piedi palmati delle oche e delle anitre siano stati formati per
il nuoto: tuttavia sonovi nei paesi montuosi delle anitre a piedi palmati che
raramente o quasi mai scendono nell'acqua; niuno ha mai osservato, eccetto Audubon,
la fregata, che ha i suoi quattro diti palmati, posarsi sulla superficie del
mare. D'altra parte, i colombi e le folaghe sono eminentemente acquatici, benchè
le loro dita siano soltanto orlate con una membrana. Certamente nulla può
sembrare più evidente delle dita lunghe delle gralle, formate per camminare
sopra le paludi e sulle piante acquatiche! eppure l'Ortygometra ha abitudini
consimili a quelle della folaga; e il rallo è terrestre quasi come la
quaglia o la pernice. In questi casi, e in molti altri che potrebbero citarsi,
le abitudini furono modificate, senza che la struttura subisse cambiamenti corrispondenti.
Il piede palmato dell'anitra di montagna può dirsi che sia divenuto rudimentale
nella funzione, ma non già nella struttura. La membrana profondamente
solcata fra le dita della fregata, prova che la struttura di questo uccello
cominciò a cambiarsi.
Quelli che tengono l'opinione degli atti innumerevoli e separati di creazione
diranno che in simili casi piacque al Creatore di far sì che un essere
di un tipo prendesse il posto di quello d'un altro tipo; mi sembra che con ciò
si ristabilisca il fatto con un linguaggio mistico. Quelli che credono nella
lotta per l'esistenza e nel principio dell'elezione naturale, sanno che ogni
essere organico si sforza costantemente di crescere in numero; e che se ogni
essere varia, anche in menomo grado, nelle abitudini o nella struttura, e acquista
per tal modo un vantaggio sopra qualche altro abitante della regione, egli ne
prenderà il posto, per quanto diverso da quello che prima occupava. Quindi
a costoro non parrà strano che esistano anitre e fregate a piedi palmati,
le quali vivano in un paese secco e non scendano nell'acqua che assai di rado;
che vi siano dei Crex dotati di lunghe dita, i quali abitano nei prati, anzichè
nelle paludi; che si trovino dei picchi in luoghi in cui non esistono alberi;
che si abbiano tordi che si tuffano nell'acqua e che esistano delle procellarie
colle abitudini dei pinguini.
ORGANI ESTREMAMENTE PERFETTI E COMPLICATI
Io confesso liberamente che mi pare il più alto assurdo
possibile supporre che l'occhio sia stato formato per mezzo dell'elezione naturale,
con tutte le sue inimitabili disposizioni ad aggiustare il suo fuoco alle varie
distanze, ad ammettere diverse quantità di luce e a correggere l'aberrazione
sferica e cromatica. Quando si proclamò per la prima volta che il sole
è immobile e che la terra gira intorno ad esso, il senso comune degli
uomini dichiarò falsa questa dottrina; ma la vecchia sentenza Vox populi
vox Dei, come ogni filosofo sa, non può sostenersi nella scienza. La
ragione mi indica che, se può dimostrarsi che esistano numerose gradazioni
dall'occhio perfetto e complesso all'occhio più semplice ed imperfetto,
e che ogni grado di tale perfezionamento sia utile all'individuo; se di più
l'occhio deve variare, sia pure insensibilmente, e le variazioni sono trasmesse
per eredità, come appunto si verifica; e se infine ogni variazione o
modificazione di un organo, sotto condizioni mutabili di vita, è sempre
utile all'animale; allora la difficoltà di ammettere che un occhio perfetto
e complesso possa formarsi per elezione naturale, quantunque insuperabile alla
nostra immaginazione, può vincersi e questa ipotesi può ritenersi
vera. Come possa un nervo divenire sensibile alla luce è una questione
che non ci spetta più di quella dell'origine della nostra vita. Farò
tuttavia un'osservazione. Com'è noto che alcuni degli infimi organismi,
nei quali nessun nervo è giammai stato osservato, sono sensibili per
la luce, così non sembra impossibile che determinati elementi del sarcode,
di cui principalmente constano, siano stati aggregati e sviluppati a guisa di
nervi forniti di questa specifica sensibilità.
Nello studiare le gradazioni, per le quali un organo di una data specie si perfezionò,
noi dovremmo tener dietro esclusivamente alla serie dei predecessori; ma ciò
non può farsi quasi mai, e però noi siamo costretti in ogni caso
ad investigare sulle specie di un medesimo gruppo, cioè sui discendenti
collaterali della stessa madre-forma originale, per vedere quante gradazioni
sieno possibili, e per la probabilità della trasmissione di alcune di
esse fino dai più antichi stadi della progenie, in una condizione inalterata
o appena modificata. Ma anche lo stato del medesimo organo in classi diverse
può alquanto mettere in chiaro la via su cui è stato perfezionato.
L'organo più semplice che possa chiamarsi un occhio consta di un nervo
ottico circondato da cellule pigmentarie e coperto da una cute trasparente,
ma ancora sfornito di lente e di corpo rifrangente la luce. Secondo Jourdain
noi possiamo fare un passo ancor più in basso e trovare aggregati di
cellule pigmentarie, le quali, sfornite di nervo ottico, sono sovrapposte alla
massa sarcodica e sembrano fungere da organi visivi. Gli occhi così semplici
di questa categoria non permettono una chiara visione, ma servono solamente
per distinguere la luce dall'oscurità. Nelle asterie alcune piccole depressioni
nello strato pigmentario che circonda il nervo, al dire del suddetto autore,
sono riempite di sostanza gelatinosa trasparente, la quale sporge in fuori con
superficie convessa a modo della cornea degli animali superiori. Egli suppone
che questo apparato non serva per produrre una immagine, ma solamente per concentrare
i raggi luminosi e render più facile la loro percezione. In questa concentrazione
dei raggi noi abbiamo il primo e più importante gradino per giungere
ad un vero occhio che forma immagini, imperocchè altro non ci resti che
di portare la libera terminazione del nervo ottico, che in alcuni animali inferiori
è profondamente sepolto nel corpo, ed in altri più avvicinato
alla superficie, alla vera distanza dell'apparato di concentrazione, perchè
vi si formi una immagine.
Nella grande classe degli Articolati noi possiamo partire da un nervo ottico
ricoperto soltanto dal pigmento, che talvolta forma una sorta di pupilla, ma
destituita di una lente o di qualsiasi altro meccanismo ottico. Ora si sa che
negli insetti le numerose faccette sulla cornea dei grandi occhi composti formano
delle vere lenti, e che i coni racchiudono dei filamenti nervosi modificati
in modo peculiare. Ma la struttura degli occhi negli articolati è tanto
svariata, che Müller formava tre classi principali di occhi composti con
sette suddivisioni, a cui aggiunse una quarta classe principale, quella degli
occhi semplici aggregati.
Questi fatti, quantunque esposti troppo brevemente, dimostrano quanta differenza
graduale esista negli occhi degli animali inferiori, e ove si rifletta al piccolo
numero di animali sopravvissuti, in confronto a quelli che furono estinti, io
non saprei trovare una difficoltà molto grande (non maggiore di quella
che offrono molte altre strutture) nel pensare che l'elezione naturale abbia
trasformato il semplice apparato di nervo ottico, ricoperto solamente con pigmento
e rivestito di una membrana trasparente, in uno strumento ottico della perfezione
di quelli che si trovano in ogni individuo della grande classe degli articolati.
Coloro che mi seguiranno fino alla fine di quest'opera e troveranno una vasta
congerie di fatti, i quali rimangono chiariti dalla mia teoria di discendenza,
mentre in altro modo sarebbero inesplicabili, non esiteranno forse ad ammettere
che un organo, anche se perfetto, come l'occhio dell'aquila, possa essersi formato
in seguito alla elezione naturale; quantunque in tal caso essi ignorino quali
siano stati i gradi transitorii. Fu fatta l'obiezione che per modificare l'occhio
e conservarlo nondimeno come strumento perfetto, molti cambiamenti debbano essere
succeduti contemporaneamente, ciò che, così si dice, non può
aver operato l'elezione naturale. Ma come io ho dimostrato nella mia opera sulle
variazioni degli animali allo stato di domesticità, non è necessario
supporre che tutte le modificazioni siano successe allo stesso tempo, essendo
estremamente leggere e graduate. Diverse categorie di modificazioni avranno
potuto servire allo stesso scopo generale; così osserva il Wallace: "se
una lente ha il fuoco troppo vicino o troppo lontano, essa può essere
corretta con un cambiamento nella curva o con un'alterazione della densità;
se la curva è irregolare ed i raggi non convergono in un punto, ogni
aumento nella regolarità della curva sarà un miglioramento. Così
le contrazioni dell'iride ed i movimenti muscolari dell'occhio non sono essenziali
per la vista, ma semplici miglioramenti che hanno potuto apparire e perfezionarsi
in ogni momento della formazione di questo strumento". Nei vertebrati,
la serie della più elevata organizzazione animale, noi possiamo partire
da un occhio così semplice, come ad esempio è quello dell'Amphioxus,
il quale consta di un leggero infossamento della cute trasparente, vestito di
pigmento e fornito di un nervo, sprovvisto di ogni altro apparato. Nei pesci
e nei rettili, come osserva Owen, "la serie graduata delle formazioni diottriche
è assai grande". È un fatto molto significante che persino
nell'uomo, stando all'autorità del Virchow, la lente nell'embrione si
sviluppa da un ammasso di cellule epidermiche in una piega sacciforme della
cute, mentre il corpo vitreo si forma dal tessuto sottocutaneo embrionale. Certamente
quando si consideri l'origine e la formazione dell'occhio con tutti i suoi caratteri
ammirabili ed assolutamente perfetti, è necessario che la ragione conquida
la fantasia. Ma io stesso ho sentito troppo questa difficoltà per far
le meraviglie, se altri esitano di accettare con questa larga estensione il
principio della elezione naturale.
È quasi impossibile esimersi dal paragonare l'occhio al telescopio. Noi
sappiamo che questo strumento venne perfezionato per gli sforzi incessanti degli
intelletti più distinti; quindi naturalmente inferiamo che anche l'occhio
sia stato formato per mezzo di qualche processo analogo. Ma questa induzione
sarebbe forse presuntuosa? Abbiamo noi qualche diritto di applicare alle opere
del Creatore delle facoltà intellettuali analoghe a quelle dell'uomo?
Se dobbiamo confrontare l'occhio con uno strumento ottico, noi dobbiamo figurarci
un grosso strato di tessuto trasparente, con intervalli pieni di fluido e al
disotto un nervo sensibile alla luce, indi supporre che ogni parte di codesto
strato vada continuamente cambiandosi nella densità, con molta lentezza,
fino a separarsi in altri strati di diversa densità e grossezza, posti
a varie distanze fra loro, e colle loro superfici lentamente trasformate. Di
più, fa d'uopo ammettere una facoltà (l'elezione naturale) che
sorveglia sempre attentamente qualsiasi piccola variazione accidentale negli
strati trasparenti e che presceglie esattamente quelle alterazioni che, sotto
circostanze mutate, possono tendere, per qualche via o per qualche grado, a
produrre un'immagine più distinta. Noi dobbiamo inoltre supporre che
ogni nuovo stato dello strumento sia moltiplicato a milioni e sia conservato
fino alla produzione di uno stato migliore, e l'antico stato allora fu distrutto.
Nei corpi viventi la variazione sarà causa di piccole alterazioni, che
la generazione moltiplicherà quasi all'infinito e l'elezione naturale
coglierà qualunque perfezionamento con infallibile abilità. Poniamo
che questo processo si eserciti per milioni e milioni d'anni: e in ogni anno
sopra milioni d'individui d'ogni fatta; e come non potremo ritenere che un apparato
ottico vivente sia stato così formato, tanto superiore a quello di cristallo,
quanto le opere del Creatore lo sono a quelle dell'uomo?
MEZZI DI TRANSIZIONE
Se potesse dimostrarsi che esista un organo complesso, il quale
non possa essere stato prodotto con molte modificazioni successive e piccole,
la mia teoria sarebbe assolutamente rovesciata. Ma io non posso trovarne un
solo caso. Certamente esistono molti organi, dei quali non conosciamo i gradi
transitorii, e più specialmente se consideriamo quelle specie affatto
isolate, intorno alle quali, secondo la mia dottrina, ebbe luogo l'estinzione
di molte altre specie. Se inoltre consideriamo un organo comune a tutti gli
individui di una classe molto ampia, in questo caso un tale organo deve essere
stato formato dapprima in un periodo estremamente lontano, dopo la quale epoca
tutti i membri numerosi della classe furono sviluppati. Per scoprire i gradi
transitorii, pei quali questo organo è passato, noi dovremmo riportarci
alle più antiche forme primitive, che da lungo tempo rimasero estinte.
Dobbiamo essere estremamente cauti nell'asserire che un organo non possa essersi
formato col mezzo di gradazioni transitorie di qualche sorta. Negli animali
inferiori si hanno infatti molti casi di un medesimo organo che adempie contemporaneamente
funzioni affatto distinte; così il canale alimentare respira, digerisce
ed escreta nella larva della Libellula e nel pesce Cobitis. Nell'Idra, l'animale
può rovesciarsi all'infuori, e la superficie esterna compierà
la funzione digestiva e l'interna diverrà organo respiratorio. In questi
casi, l'elezione naturale farà che la parte o l'organo si renda più
speciale, quando l'animale ne tragga qualche vantaggio e, mentre prima serviva
a due funzioni, rimanga destinato ad una sola, e si cambi anche per intero la
sua natura per gradazioni insensibili. Si conoscono molti esempi di piante,
le quali producono regolarmente allo stesso tempo dei fiori diversamente costruiti;
se tali piante ne producessero di una sola qualità, dovrebbe manifestarsi
un grande cambiamento nel carattere della specie. Ed è probabile che
le due sorta di fiori sulla stessa pianta siano state prodotte originariamente
a mezzo di gradazioni che in alcuni casi ponno ancora seguirsi.
Talvolta due organi distinti, od uno stesso organo sotto due forme assai diverse,
adempiono simultaneamente una medesima funzione in un solo individuo: e questo
è un mezzo importantissimo di transizione. Per citare un esempio, sonvi
dei pesci forniti di branchie che respirano l'aria libera nelle loro vesciche
natatorie, le quali sono dotate di dotto pneumatico per riempirle d'aria e sono
divise in tante parti per mezzo di pareti perfettamente vascolari. Prendiamo
un esempio anche dal regno vegetale. Le piante si arrampicano in tre modi diversi:
torcendosi a spira, tenendosi ad un sostegno a mezzo dei cirri sensitivi o emettendo
delle radici aeree. Questi tre modi sono generalmente distribuiti sopra generi
e famiglie separate; ma alcune poche piante ne offrono due, od anche tutti e
tre sullo stesso indidivuo. In tali casi uno dei due organi che compiono la
stessa funzione può modificarsi e perfezionarsi in modo da eseguire da
solo tutto il lavoro, essendo però coadiuvato dall'altro, durante il
processo di modificazione; e quest'ultimo può variare in modo da disimpegnare
qualche altro ufficio affatto diverso, od anche può essere completamente
eliminato.
La spiegazione da noi data del fatto ora citato, della vescica natatoria dei
pesci, è un ottimo argomento per dimostrare chiaramente l'alta importanza
del fatto, che un organo, il quale in origine era costrutto per uno scopo determinato,
come sarebbe il nuoto, può convertirsi in un altro, diretto ad un fine
ben diverso, come per la respirazione. La vescica natatoria fu anche coordinata
a servire come organo accessorio all'apparato dell'udito in certi pesci. Tutti
i fisiologi ammettono che la vescica natatoria è omologa, o "idealmente
simile", per la posizione e la struttura, ai polmoni degli animali vertebrati
superiori; non mi sembra quindi estremamente difficile a concepirsi che l'elezione
naturale abbia effettivamente trasformato una vescica natatoria in polmone,
o in un organo destinato esclusivamente alla respirazione.
Adottando questo modo di vedere, potrebbe inferirsi che tutti i vertebrati provvisti
di veri polmoni derivarono, per mezzo della generazione ordinaria, da un antico
prototipo, del quale nulla sappiamo, fornito di un apparato di galleggiamento
o di una vescica natatoria. Possiamo così capire come avvenga il fatto
strano che ogni particella di nutrimento o di bevanda, che noi deglutiamo, debba
passare sull'orifizio della trachea, con grande rischio di cadere nei polmoni;
non ostante l'ammirabile congegno per cui si chiude la glottide, come si desume
dalla interessante descrizione che il prof. Owen diede di queste parti. Nei
vertebrati superiori le branchie scomparvero affatto, le fessure ai lati del
collo e gli archi aortici delle arterie continuano soltanto nell'embrione a
marcare la loro antica posizione. Ora può immaginarsi che le branchie,
che presentemente furono perdute affatto, siano state trasformate gradatamente
dall'elezione naturale per qualche altro scopo interamente diverso: così
il Landois ha dimostrato che le ali degli insetti si sviluppano dalle trachee;
ed è quindi probabile che alcuni organi di questa grande classe, i quali
in periodi remotissimi servivano per la respirazione, siano stati poi convertiti
in organi per il volo.
Considerando le transizioni degli organi, è talmente importante il ricordare
la probabilità della conversione di una funzione in un'altra, che credo
opportuno addurne un altro esempio. I cirripedi peduncolati hanno due piccole
ripiegature della pelle, da me chiamate freni ovigeri, che servono, per mezzo
di una secrezione vischiosa, a trattenere le uova nel sacco, finchè siano
mature. Questi cirripedi non hanno branchie, mentre la respirazione si compie
da tutta la superficie del corpo e del sacco, compresi i piccoli freni. D'altra
parte i balanidi o cirripedi sessili non hanno freni ovigeri, e le uova riposano
libere nel fondo del sacco, nella conchiglia ben chiusa; ma essi hanno nella
stessa posizione relativa delle grandi membrane ripiegate, le quali comunicano
liberamente colle lacune circolatorie del sacco e del corpo; e che furono prese
per branchie dal prof. Owen e da tutti gli altri naturalisti che trattarono
questo argomento. Ora io credo che niuno sia per contestare che i freni ovigeri
della prima famiglia siano strettamente omologhi alle branchie della seconda;
tanto più che queste gradatamente collegansi coi primi. Perciò
io non dubito che le due piccole ripiegature della pelle, che in origine servivano
da freni ovigeri, ma che parimente recavano un piccolissimo aiuto all'atto respiratorio,
furono gradatamente trasformate in branchie col solo aumento della loro grandezza,
e la scomparsa delle loro glandole aderenti. Se tutti i cirripedi peduncolati
fossero rimasti estinti (essi sopportarono sempre maggiori estinzioni dei cirripedi
sessili), chi avrebbe potuto mai supporre che le branchie di quest'ultima famiglia
esistettero dapprima come organi che impedivano il trasporto delle uova fuori
del sacco?
V'è ancora un altro modo di transizione, e cioè coll'accelerare
e ritardare il periodo della riproduzione, sulla qual cosa hanno recentemente
insistito il professore Cope ed altri degli Stati Uniti. È noto presentemente
che alcuni animali sono capaci di riprodursi in età precoce, prima cioè
che abbiano acquistato i caratteri dello stato perfetto. Se questo potere si
sviluppasse per bene in una qualche specie, sembra probabile che presto o tardi
si perda lo stadio dello sviluppo perfetto. In questo caso, e segnatamente se
la larva differisce molto dalla forma matura, il carattere della specie sarebbe
assai modificato e degradato. Inoltre parecchi animali continuano a variare
i loro caratteri, anche dopo aver raggiunto la maturità. Nei mammiferi,
ad esempio, la forma del cranio cambia spesso coll'età, come per le foche
lo ha dimostrato il Dr. Murie; è anche noto come le corna dei cervi ricevano
coll'età un maggior numero di palchi; e come in alcuni uccelli, le penne
che servono di ornamento si facciano tanto più belle, quanto più
gli animali invecchiano. Il prof. Cope ci disse che i denti di alcune lucertole
cambiano la forma nel progresso dell'età; e nei Crostacei, secondo la
testimonianza di Fritz Müller, non solo molte parti insignificanti, ma
anche alcune importanti, assumono, dopo la maturità, dei nuovi caratteri.
In tutti questi casi, e se ne potrebbero citare molti altri, se fosse ritardata
l'epoca della riproduzione, sarebbe modificato il carattere della specie, almeno
allo stato adulto; non è poi improbabile che in alcuni casi gli stadii
anteriori di sviluppo sarebbero accelerati ed andrebbero in fine perduti. Non
saprei dire se le specie siano state spesso o mai modificate da questo modo
relativamente repentino di transizione; se mai ciò è avvenuto,
le differenze fra giovani e adulti, fra adulti e vecchi saranno state acquistate
originariamente per mezzo di passaggi graduati.
SPECIALI DIFFICOLTÀ
CHE INCONTRA LA TEORIA DELL'ELEZIONE NATURALE
Quantunque noi dobbiamo essere molto guardinghi prima di sostenere
che un organo qualsiasi non potrebbe in modo alcuno essere stato prodotto da
successive gradazioni transitorie, si presentano tuttavia alcuni casi gravi
e molto difficili.
Uno dei più gravi è quello degli insetti neutri che spesso sono
conformati molto diversamente dai maschi o dalle femmine feconde; di ciò
tratteremo nel capo ottavo. Gli organi elettrici dei pesci offrono un'altra
obiezione di una speciale importanza, giacchè non è possibile
concepire per quali gradi siansi formati questi organi portentosi. Ma ciò
non deve recarci sorpresa, giacchè non conosciamo nemmeno la loro utilità.
Nel Gymnotus e nella Torpedo essi servono senza dubbio come potenti armi di
difesa, e forse come mezzi per procurarsi il nutrimento; però un organo
analogo nella coda delle razze, secondo le osservazioni del Matteucci, non sviluppa
che poca elettricità, anche quando l'animale sia irritato, anzi tanto
poca che non può servire agli scopi predetti. Oltreciò il dottor
R. Donnell ha dimostrato che un altro organo trovasi in prossimità del
capo, il quale, per quanto si sappia, non è elettrico, e tuttavia apparisce
come il vero omologo della batteria elettrica della torpedine. Generalmente
si ammette che fra questi organi e i muscoli ordinari vi sia stretta analogia,
per l'intima struttura, per la ramificazione dei nervi, e pel modo con cui i
diversi reagenti agiscono su di essi. Devesi anche ricordare che la contrazione
dei muscoli è accompagnata da una scarica elettrica. Il dottor Radcliffe
osserva: "nell'apparato elettrico della torpedine sembra, durante il riposo,
avvenire una carica, la quale per ogni rapporto corrisponde a quella che si
trova nel muscolo e nel nervo in riposo; e la scarica nella torpedine, anzichè
essere un fenomeno isolato, sembra corrispondere alla scarica che accompagna
l'azione dei muscoli e dei nervi motori". Una ulteriore spiegazione non
possiamo dare per ora; ma siccome poco sappiamo dell'uso di questi organi, e
nulla intorno alle abitudini e alla struttura dei progenitori dei pesci elettrici
ora esistenti, sarebbe avventato il sostenere che siano stati impossibili gli
utili passaggi, pei quali gli organi elettrici avrebbero potuto svilupparsi
gradatamente.
Gli organi elettrici offrono un'altra difficoltà assai più seria;
perchè si trovano solamente in una dozzina circa di pesci, alcuni dei
quali sono all'intutto lontani nelle loro affinità. Generalmente allorchè
uno stesso organo apparisce in parecchi individui della medesima classe, specialmente
se dotati di abitudini di vita molto diverse, noi possiamo attribuire la sua
presenza all'eredità da un comune antenato; e la sua mancanza in alcuni
altri individui, alla perdita che provenne dal non-uso e dall'elezione naturale.
Ma se gli organi elettrici furono trasmessi da un antico progenitore che ne
era dotato, noi possiamo credere che tutti i pesci elettrici siano stati in
modo speciale collegati fra loro. La(6) geologia non ci induce a pensare che
anticamente molti pesci furono forniti di organi elettrici, che la maggior parte
dei loro discendenti perdettero. Ma se esaminiamo la cosa più da vicino,
noi troviamo che nei diversi pesci, forniti di organi elettrici, questi organi
si trovano in parti diverse del corpo, e variano nella struttura, nella disposizione
degli elementi, e, secondo il Pacini, nei processi o modi coi quali viene eccitata
l'elettricità, ed infine (e questa differenza mi sembra della massima
importanza) anche in ciò che la forza nervosa deriva da nervi di origine
molto diversa. Nei diversi pesci quindi, gli organi elettrici non possono considerarsi
come tra loro omologhi, ma solamente come analoghi nella funzione. Epperò
non possiamo ammettere che siano ereditati da un comune progenitore; giacchè,
se così fosse, si somiglierebbero per ogni riguardo. Scomparisce così
la maggior difficoltà, di spiegare cioè come siasi formato un
organo apparentemente uguale in parecchie specie molto diverse, ma perdura la
minore, e sempre grande, di spiegare per quali forme intermediarie questi organi
siano passati nei diversi gruppi di pesci.
La presenza di organi luminosi in alcuni insetti, appartenenti a famiglie ed
ordini diversi, ci offre un caso parallelo e difficile. Potrebbero citarsi altri
casi; per esempio, nelle piante il curioso artificio di una massa di polline,
collocato sopra uno stelo, fornito di una glandola vischiosa all'estremità,
come nei generi Orchis ed Asclepias, generi fra i più discosti nelle
piante fanerogame. In tutti questi casi di due specie distintissime, dotate
apparentemente degli stessi organi anomali, sarebbe da osservarsi che quand'anche
l'apparenza generale e la funzione dell'organo possano essere le medesime, pure
può scoprirsi in generale qualche differenza fondamentale. Così,
ad esempio, gli occhi dei cefalopodi e dei vertebrati si somigliano tra loro
assai; e in gruppi sì distanti l'uno dall'altro nemmeno una parte della
somiglianza può considerarsi come eredità di un comune progenitore.
Il Mivart ha citato questo esempio come uno dei più difficili; ma io
non so vedervi la forza dell'argomentazione. Un organo destinato alla visione
deve esser formato di tessuto trasparente, e contenere una specie di lente per
produrre una immagine sul fondo della camera oscura. All'infuori di questa superficiale
somiglianza ben difficilmente si troverà una reale identità fra
gli occhi dei cefalopodi e dei vertebrati, come si può persuadersi consultando
l'eccellente lavoro dell'Hensen su questi organi. Non posso qui entrare in dettagli;
addurrò tuttavia alcuni pochi caratteri differenziali. La lente cristallina
nei cefalopodi superiori consta di due parti, di cui l'una è posta dietro
l'altra, come se fossero due lenti, le quali ambedue hanno una struttura e disposizione
assai diversa da quella che troviamo nei vertebrati. La retina è affatto
diversa, colle parti elementari invertite e con un grosso ganglio nervoso racchiuso
tra le membrane dell'occhio. I rapporti dei muscoli sono sì diversi che
maggiormente nol potrebbero essere, e così di seguito. Non vi ha quindi
piccola difficoltà nel decidere fino a qual punto le espressioni che
noi impieghiamo nella descrizione dell'occhio dei vertebrati, si possono adoperare
in quella dei cefalopodi. Ognuno, naturalmente, può negare che in ambedue
i casi l'occhio siasi sviluppato a mezzo dell'elezione naturale, per variazioni
graduate e successive, ma se ciò si ammetta per l'uno dei due casi, non
è possibile non farlo per l'altro; le differenze fondamentali poi nella
struttura dell'organo visivo nei due gruppi di animali potevano prevedersi in
seguito a quest'opinione sul modo di formazione. Come due uomini, l'uno indipendentemente
dall'altro, hanno fatto spesso la medesima invenzione, così nei casi
su citati l'elezione naturale, la quale agisce pel bene di ogni organismo e
si giova di tutte le utili variazioni, sembra aver prodotto delle parti simili
per ciò che riguarda la funzione, in organismi diversi, i quali non devono
punto le somiglianze nella struttura alla discendenza da un comune progenitore.
Fritz Müller, per mettere alla prova le idee da me esposte in questo libro,
ha seguito con molta cura un modo affatto simile di argomentazione. Parecchie
famiglie di Crostacei abbracciano alcune poche specie che possiedono un apparato
con cui respirano l'aria e son capaci di vivere fuori dell'acqua. In due di
queste famiglie, che il Müller studiò particolarmente e che sono
molto affini l'una all'altra, le specie concordano assai fra loro in tutti i
caratteri importanti, e cioè nella struttura degli organi dei sensi,
nel sistema circolatorio, nella posizione dei ciuffi di peli dei quali è
rivestito il loro stomaco egualmente complicato, e finalmente nell'intera struttura
delle branchie respiranti acqua, fino agli uncini microscopici co' quali vengono
pulite. Poteva quindi aspettarsi che nelle poche specie di ambedue le famiglie,
le quali vivono in terraferma, l'apparato per la respirazione dell'aria, che
ha non minore importanza, fosse uguale; in fatto, mentre tutti gli organi importanti
sono affatto simili o quasi identici, per quale ragione dovrebbero mostrarsi
delle differenze in quel solo apparato, destinato ad un solo scopo speciale?
Fritz Müller argomenta che questa grande somiglianza nella struttura debba
spiegarsi colle idee da me avanzate della eredità da un comune progenitore.
Ma siccome tanto il maggior numero delle specie appartenenti alle suddette due
famiglie, come anche la massima parte degli altri crostacei sono acquatici nelle
loro abitudini, è sommamente improbabile che il loro comune progenitore
fosse adattato alla respirazione dell'aria. Müller fu quindi indotto a
studiare accuratamente l'apparato nelle specie respiranti aria, e trovò
che in ciascuna diversifica in parecchi caratteri importanti, come nella posizione
degli orifizi, nel modo con cui questi si aprono e si chiudono e in molti dettagli
accessorii. Se si ammette che specie di famiglie diverse siano divenute atte
lentamente ed a gradi alla vita fuori dell'acqua ed alla respirazione aerea,
tali differenze diventano intelligibili. Imperocchè queste specie, appartenendo
a famiglie diverse, differiranno tra loro in certo grado; e in accordo col principio,
che la natura di ogni variazione dipende da due fattori, e cioè dalla
natura dell'organismo e da quella delle condizioni di vita, la loro variabilità
non sarà al certo esattamente la medesima. Conseguentemente l'elezione
naturale avrà agito sopra materiale diverso, e sopra differenti variazioni
per raggiungere un medesimo risultato funzionale; e le strutture così
acquistate saranno state necessariamente diverse. Questo caso è incomprensibile
dal punto di vista delle creazioni separate e i suddetti ragionamenti hanno
indotto Fritt(7) Müller ad accettare le idee da me esposte in questo volume.
Un altro distinto zoologo, il defunto prof. Claparède, ha fatto delle
analoghe conclusioni ed ottenuto il medesimo risultato. Egli ha dimostrato che
esistono degli acari (Acaridœ), parassiti appartenenti a diverse sottofamiglie
e famiglie forniti di peli uncinati. Questi organi devono essersi sviluppati
indipendentemente tra loro, giacchè non possono essere stati ereditati
da un comune progenitore. Nei diversi gruppi essi vengono formati dalla modificazione
dei piedi anteriori, dei piedi posteriori, delle mascelle o labbra, e delle
appendici che trovansi alla faccia inferiore delle porzioni posteriori del corpo.
Nei diversi casi finora studiati noi abbiamo visto che in organismi non affini
o di parentela molto remota, organi in apparenza molto simili, ma non concordanti
nello sviluppo, possono raggiungere il medesimo scopo ed eseguire la stessa
funzione. Ma nell'intera natura domina questa regola generale, che perfino tra
i singoli esseri strettamente affini uno stesso scopo è raggiunto con
mezzi assai diversi. Quanto diversa nella struttura non è l'ala pennuta
di un uccello dall'organo fornito di membrana che nei pipistrelli serve al volo,
e quanto diverse non sono le quattro ali della farfalla, le due ali della mosca
e le due ali del coleottero colle sue elitre.
Le conchiglie bivalvi s'aprono e si chiudono; ma quanti gradi non si hanno tra
la cerniera della Nucula fornita di denti adatti che si ingranano fino al semplice
legamento di un Mytilus. La dispersione dei semi è determinata dalla
loro minutezza, oppure dalla forma della capsula trasformata in un guscio leggero
a guisa di pallone, o dalla massa più o meno consistente e carnosa in
cui sono riposti, e che per essere nutriente e vivacemente colorata si offre
di pasto agli uccelli; oppure dagli uncini della più diversa forma o
delle asprezze con cui s'attaccano alla pelle dei mammiferi; oppure finalmente
dalle ali o piumette di forma diversa e di leggiadra struttura che rendon possibile
il trasporto a mezzo del più leggero venticello. Voglio addurre ancor
un esempio, giacchè il fatto che un medesimo scopo è raggiunto
con mezzi diversi mi sembra soggetto degno di attenzione. Alcuni autori sostengono
che gli organismi siano costruiti in diversi modi per la sola varietà,
come circa i balocchi in una bottega; ma questo modo di vedere la natura è
insostenibile. Le piante a sessi separati e quelle, nelle quali, sebbene siano
ermafrodite, il polline non può cadere sullo stimma, hanno bisogno per
la fecondazione di un qualche aiuto. In parecchie specie ciò è
ottenuto col polline leggero e incoerente, il quale è facilmente dal
vento portato a caso sullo stimma; questo certamente è il piano più
semplice. Un piano quasi ugualmente semplice e tuttavia diverso si manifesta
allora quando un fiore simmetrico secerne alcune goccie di nèttare ed
è quindi frequentato dagli insetti, i quali portano il polline dalle
antere sullo stimma.
A partire da questa forma semplice osservasi un numero grandissimo delle più
diverse disposizioni, le quali servono al medesimo scopo ed essenzialmente sono
compiute nello stesso modo, e portano tuttavia dei cambiamenti in ogni singola
parte del fiore. Così il nèttare è accumulato in ricettacoli
di forma svariata, gli stami ed i pistilli sono diversamente modificati, formanti
spesso degli apparati con valvole; talvolta essi eseguono dei movimenti adattati
determinati da irritabilità o elasticità. Da queste forme noi
arriviamo a quella perfettissima che recentemente il Crüger ha descritto
nella Coryanthes. In questa orchidea il labello o labbro inferiore è
scavato a modo di barile, in cui da due cornetti soprastanti che secernono acqua
cadono di continuo delle goccie d'acqua purissima; quando il barile è
pieno, l'acqua trabocca per un beccuccio da uno dei lati. La parte basilare
del labello si piega sopra il barile ed è incavata a guisa di camere
con due accessi laterali; entro queste camere trovansi delle singolari lamine
carnose. L'uomo più intelligente, se non fosse stato testimone di ciò
che qui avviene, non avrebbe potuto immaginarsi lo scopo cui servono tutte queste
parti. Il Crüger ha visto come di buon mattino molti pecchioni frequentano
i fiori giganteschi di queste orchidee, non già per succhiare il nèttare,
ma per rodere le creste carnose nella camera al disopra del barile. In tale
incontro, urtandosi, cadevano spesso alcuni nel barile, ed essendo bagnate le
ali, non potevano volare, per cui si arrampicavano a traverso il canale formato
dal beccuccio. Il Crüger ha visto una vera processione di pecchioni uscire
dal bagno involontario. Il canale è stretto e fiancheggiato da colonnette,
cosicchè i pecchioni, passandolo a stento, fregavano il loro dorso sullo
stigma vischioso e poi alle ghiandole glutinose delle masse polliniche. Queste
masse di polline s'attaccano per conseguenza sul dorso del primo pecchione che
a caso attraversa il canale di un fiore recentemente sbocciato, e vengono portate
via. Il Crüger mi ha mandato un fiore entro l'alcool insieme con un pecchione,
il quale era stato ucciso prima che avesse per intero attraversato il canale,
e portava sul dorso un ammasso di polline. Se un pecchione così fornito
si reca ad un altro fiore od una seconda volta al medesimo, e se viene dai suoi
compagni spinto entro il barile, allora necessariamente, quando esso attraversa
il canale, la massa pollinica giunge a contatto collo stigma vischioso e il
fiore viene fecondato. Solo adesso noi comprendiamo l'utilità di tutte
le parti del fiore, dei cornetti che secernono acqua, del barile fino a mezzo
coperto di acqua, la quale impedisce ai pecchioni di mettersi al volo e li costringe
di rampicare pel canale e di fregare contro le masse polliniche vischiose poste
in luogo adattato, e contro lo stigma glutinoso.
La struttura del fiore di un'altra orchidea affine, Catasetum, è molto
diversa, ma serve allo stesso scopo ed è ugualmente interessante. Le
api frequentano questi fiori, come quelli della Coryanthes, per corrodere il
labello. Ciò facendo esse toccano necessariamente un'appendice puntuta
e sensitiva che io chiamai antenna. Se l'antenna viene toccata, essa trasferisce
la sensazione o vibrazione sopra una certa membrana, la quale si rompe immediatamente
e mette in libertà una molla, che getta come un dardo la massa pollinica
nella vera direzione e la appiccica per l'estremità vischiosa sul dorso
delle api. La massa pollinica della pianta maschile (giacchè i sessi
in queste orchidee sono separati) è trasportata sul fiore di una pianta
femminile, dove viene a contatto collo stigma. Questo è poi sufficientemente
vischioso per rompere certi fili elastici e trattenere la massa di polline che
indi compie l'uffizio della fecondazione.
Si può ben domandare, come nei casi su citati ed in moltissimi altri
si possa intravvedere la serie graduata che condusse a forme sì complesse
e i mezzi che furono necessari a raggiungere lo scopo? La risposta, come fu
già detto, non può essere che questa, che cioè quando variano
due forme tra loro già diverse in grado leggero, la variabilità
non può essere esattamente di uguale natura, nè per conseguenza
saranno identici i risultati ottenuti ad uno stesso scopo generale dalla elezione
naturale. Noi dobbiamo anche ricordarci che ogni organismo altamente sviluppato
ha già percorso una lunga serie di cambiamenti, e che ogni forma modificata
tende ad essere trasmessa per eredità; per conseguenza non andrà
facilmente perduta, ma sarà sempre più modificata. La struttura
di ciascuna parte in ciascuna specie, a qualsiasi scopo essa serva, è
la somma dei molti cambiamenti ereditati che la specie ha subìto durante
i successivi adattamenti alle abitudini ed alle condizioni di vita.
In molti casi è al certo assai difficile anche solamente supporre per
quali gradini molti organi siano arrivati al loro stato attuale; tuttavia, considerando
che le forme viventi e conosciute sono pochissime al confronto delle estinte
ed ignote, sono sorpreso nel vedere, come siano rari gli organi, dei quali non
si sappiano indicare i gradini che ad essi conducono. È certamente vero
che raramente o mai in un organismo compariscono di repente nuovi organi, come
se fossero creati per uno scopo speciale, ciò che è anche riconosciuto
dalla regola vecchia, sebbene un po' esagerata, che dice: Natura non facit saltum.
Tale idea è ammessa negli scritti di tutti i naturalisti esperti; così
Milne Edwards l'ha espressa colle parole: "la natura è prodiga nelle
varietà, ma avara nelle novità". Secondo la teoria delle
creazioni, per quale ragione dovrebbero manifestarsi tante variazioni, e sì
poche reali novità? Perchè mai tutte le parti e gli organi di
sì numerosi esseri indipendenti sono concatenati da graduati passaggi,
se ogni essere è creato pel suo proprio posto nella natura? Perchè
la natura non ha mai fatto un salto da una struttura all'altra? La teoria dell'elezione
naturale c'insegna chiaramente perchè ciò non fece; imperocchè
essa agisce col trarre profitto delle leggere successive variazioni; essa non
può mai fare un salto grande e repentino, ma deve procedere con passi
brevi, e sicuri, sebbene lenti.
ORGANI DI POCA IMPORTANZA APPARENTE
Siccome la elezione naturale agisce per la vita e per la morte,
col preservare gli individui in cui si avveri qualche variazione favorevole,
e col distruggere quelli che presentano variazioni di struttura sfavorevoli,
io trovai talvolta molta difficoltà a concepire l'origine di quelle parti
semplici che non pare abbiano una sufficiente importanza per cagionare la conservazione
degli individui che successivamente variarono. Io giudicai che questa difficoltà,
quantunque di una diversa natura, non fosse per tale riguardo minore di quella
che s'incontra nel caso di un organo perfetto e complesso, come l'occhio.
In primo luogo noi siamo troppo ignoranti rispetto all'intera economia di ogni
essere organizzato, per stabilire quali piccole modificazioni siano rilevanti
e quali no. In uno dei capi che precedono diedi già qualche esempio di
caratteri poco importanti (come la lanuggine del frutto e il colore della sua
polpa, il colore della pelle e del pelo nei mammiferi), i quali per le loro
relazioni colle differenze costituzionali, o perchè determinano gli attacchi
degl'insetti, possono certamente entrare nel dominio dell'elezione naturale.
La coda della giraffa sembra un cacciamosche, costruito artificialmente, e sulle
prime pare incredibile ch'essa sia stata adattata all'ufficio attuale per mezzo
di piccole modificazioni successive, una migliore dell'altra, per uno scopo
tanto insignificante, quello di scacciare le mosche; però noi dobbiamo
rifletter bene prima di dichiararci positivamente, anche in questo caso; perchè
sappiamo che la distribuzione e l'esistenza dei buoi e di altri animali nell'America
meridionale dipende assolutamente dalla loro facoltà di resistere alle
offese degli insetti; per cui quegl'individui che potrebbero con qualche mezzo
difendersi da questi piccoli nemici, sarebbero capaci di occupare nuovi pascoli
e di ottenere così un grande vantaggio. Non è a dire che i nostri
grandi quadrupedi siano attualmente distrutti dalle mosche (eccettuati alcuni
rari casi), ma essi sono continuamente tormentati e spossati nella loro forza,
al punto di rimanere più soggetti alle malattie e meno capaci nelle carestie
di cercare il nutrimento, o di sfuggire agli animali rapaci.
Alcuni organi, che ora sono di poca importanza, furono probabilmente in certi
casi molto utili ad un antico progenitore; e dopo di essere stati lentamente
perfezionati nei tempi primitivi, furono trasmessi alla prole quasi nel medesimo
stato, benchè fossero divenuti di pochissima utilità; e tutte
le variazioni attualmente nocive nella loro struttura, saranno state sempre
impedite dalla elezione naturale. Considerando quanto importante sia la coda
in molti animali acquatici, come organo di locomozione, la sua presenza generale
e la sua utilità per molti usi in tanti animali terrestri, che coi loro
polmoni e colla loro vescica natatoria modificata tradiscono la loro origine
acquatica, può forse spiegarsi in questo modo. Una coda bene sviluppata
essendosi formata in un animale acquatico, può poi essere stata impiegata
per qualunque altro fine, cioè come caccia-mosche, o quale organo prensile,
o quale appoggio per girare come nel cane, benchè tale aiuto debba essere
assai tenue, perchè il lepre, che quasi non ha coda, può volgersi.
correndo abbastanza velocemente.
In secondo luogo noi talvolta possiamo credere molto importanti certi caratteri
che in realtà sono poco valutabili e che derivarono da cause affatto
secondarie, indipendentemente dalla elezione naturale. Dobbiamo ricordare che
il clima, il nutrimento, ecc., hanno probabilmente qualche piccola influenza
diretta sulla organizzazione; che i caratteri ritornano per le leggi della reversione;
che la correlazione di sviluppo deve avere esercitato un'influenza efficace
nel modificare diverse strutture; e infine che l'elezione sessuale avrà
spesso cambiato ampiamente i caratteri esterni degli animali, aventi una volontà,
col fornire ad un maschio qualche vantaggio nella lotta contro un altro, o nell'adescare
la femmina. Inoltre quando una modificazione di struttura si è manifestata
per la prima volta, a motivo delle precedenti cause od anche di cause sconosciute,
può darsi che la stessa non fosse allora di alcun profitto alla specie,
ma successivamente può essere divenuta vantaggiosa pei discendenti della
medesima sotto nuove condizioni di vita e colle abitudini ultimamente acquistate.
Se esistessero solamente dei picchi verdi, e se ignorassimo che ve ne hanno
di neri e di variegati, io oserei affermare che noi avremmo riguardato il color
verde come un meraviglioso adattamento per nascondere quest'uccello, abitatore
degli alberi, allo sguardo de' suoi nemici; e per conseguenza come un carattere
importante, e che poteva essersi ottenuto col mezzo dell'elezione naturale.
Ma al contrario, giudicando le cose come stanno, non si può dubitare
che questo colore sia dovuto a qualche altra causa affatto diversa, e probabilmente
alla elezione sessuale. Una palma serpeggiante dell'Arcipelago Malese si arrampica
sugli alberi più alti, coll'aiuto di cirri costruiti stupendamente, e
disposti intorno alla estremità dei rami: e questa particolarità
è senza dubbio di grandissima utilità alla pianta; ma siccome
noi osserviamo in molti alberi, che non sono rampicanti, uncini quasi simili,
può essere che quelli della palma siano provenuti dalle leggi ignote
dello sviluppo, ed abbiano per conseguenza recato qualche vantaggio alla pianta,
soggetta ad ulteriori modificazioni, e così l'abbiano resa rampicante.
La pelle nuda del capo dell'avoltoio si considera generalmente come una conformazione
adatta per cercare il nutrimento fra le materie putride, e ciò potrebbe
derivare dalla diretta azione delle sostanze putrefatte. Tuttavia noi dobbiamo
procedere con molta riserva, prima di trarre una conclusione analoga, mentre
vediamo nel gallo d'India maschio, che mangia sostanze monde, la pelle del capo
ugualmente nuda. Le suture del cranio dei giovani mammiferi furono riguardate
come un mirabile adattamento per agevolare il parto, e certamente esse facilitano
quest'atto e possono anche essere indispensabili; ma queste suture si notano
anche nei crani dei piccoli uccelletti e dei rettili, i quali altro non hanno
a fare che rompere la buccia dell'uovo: e noi possiamo dedurre da ciò
che codesta struttura fu prodotta dalle leggi dello sviluppo, e portò
un notevole vantaggio nel parto degli animali più elevati.
Noi ignoriamo affatto quali cause generino le variazioni piccole ed insignificanti;
e siamo accertati immediatamente della nostra pochezza, pensando alle differenze
che troviamo nelle razze dei nostri animali domestici, in paesi diversi e più
particolarmente nelle contrade meno civilizzate, ove la elezione artificiale
dell'uomo non fu che assai piccola. Gli animali conservati dai selvaggi nei
vari paesi debbono spesso lottare per la loro propria esistenza; e trovansi
quindi esposti in una certa estensione all'elezione naturale, e gli individui
dotati di costituzioni leggermente diverse debbono riuscire meglio sotto climi
differenti. Un buon osservatore ha constatato che nel bestiame bovino la suscettibilità
di essere offeso dalle mosche è relativa al colore, non altrimenti della
particolarità di essere avvelenato da certe piante; così che anche
il colore sarebbe per tal modo subordinato all'azione della elezione naturale.
Altri osservatori sono convinti che un clima umido influisca sull'accrescimento
del pelo, e che le corna siano proporzionate al pelo stesso. La razze di montagna
differiscono sempre da quelle di pianura; e una regione montuosa probabilmente
deve influire sugli arti posteriori ed anche sul bacino esercitandoli maggiormente;
quindi anche le parti anteriori e la testa saranno probabilmente modificate
per la legge delle variazioni omologhe. La forma del bacino può anche
far variare, per mezzo della pressione, la forma del capo del feto nell'utero.
Il laborioso processo respiratorio, necessario nelle regioni elevate, produrrà
(come abbiam ragione di credere) un aumento di grandezza nel torace: ed anche
in tal caso la correlazione entrerà in giuoco. Gli effetti prodotti dall'esercizio
diminuito sull'intero organismo, quando vada congiunto con maggior copia di
alimento, saranno assai più rilevanti; e questa è apparentemente
la causa principale delle grandi modificazioni che presentarono le varie razze
di maiali, come recentemente fu provato da H. von Nathusius, nel suo ottimo
trattato. Ma noi siamo troppo all'oscuro per discutere sull'importanza relativa
delle leggi note e di quelle sconosciute della variabilità; e qui feci
allusione ad esse soltanto per dimostrare che, se noi siamo incapaci di spiegare
le differenze caratteristiche delle nostre razze domestiche, le quali però
ammettiamo generalmente siano derivate da altre per generazione ordinaria, pure
non dobbiamo attribuire troppo valore alla nostra ignoranza della causa precisa
delle piccole differenze analoghe fra le specie.
FINO A CHE PUNTO LA TEORIA UTILITARIA SIA GIUSTA;
COME SIA RAGGIUNTA LA BELLEZZA
I rilievi precedenti mi conducono a dire qualche parola della
protesta, ultimamente fatta da qualche naturalista, contro la dottrina utilitaria,
secondo la quale ogni dettaglio di struttura fu prodotto per il bene del suo
possessore. Essi credono che moltissimi organismi siano stati creati per la
loro bellezza, per appagare gli occhi dell'uomo o il creatore (ma questa ultima
idea è fuori dei limiti di una discussione scientifica), o per mera varietà.
Se questa dottrina fosse vera, sarebbe assolutamente fatale per la mia teoria.
Nondimeno io consento pienamente che molte strutture non sono direttamente vantaggiose
all'individuo che le possiede, e forse non lo furono nemmeno ai suoi progenitori;
ma ciò non prova che siano state formate per sola bellezza o varietà.
L'azione definita delle cambiate condizioni di vita e le varie cause modificatrici
sopra accennate avranno certamente prodotto un effetto, e probabilmente un grande
effetto, indipendentemente da un vantaggio guadagnato. Ma la considerazione
più importante è, che la parte principale della organizzazione
di ogni essere deriva semplicemente dalla eredità; e quindi, benchè
ogni essere sia certamente bene stabilito nel suo posto naturale, molte strutture
non hanno presentemente alcuna relazione diretta colle abitudini di vita delle
specie attuali. Così noi non potremmo credere che i piedi dell'oca di
Magellano e della fregata siano di un utile speciale a questi uccelli; non potremmo
pensare che le ossa simili del braccio della,scimmia, della gamba anteriore
del cavallo, dell'ala del pipistrello, delle natatoie della foca, siano utili
in modo particolare a questi animali. Possiamo con sicurezza attribuire queste
strutture all'eredità. Ma il piede palmato sarà stato senza dubbio
utile all'antico progenitore dell'oca di Magellano e della fregata, non meno
di quello che oggi lo sia alla maggior parte negli uccelli acquatici esistenti.
Così noi possiamo credere che il progenitore della foca non avesse le
natatoie, ma bensì piedi con cinque dita, formate in modo da permettergli
di camminare e di afferrare gli oggetti; possiamo inoltre supporre che le diverse
ossa negli arti della scimmia, del cavallo, del pipistrello si siano sviluppate
conforme al principio di utilità, probabilmente per riduzione di ossa
più numerose della pinna che possedeva un vecchio progenitore pesciforme
dell'intera classe. È molto difficile il decidere quanta parte vi abbiano
preso queste cause di cambiamenti, come l'azione definita delle condizioni esterne
di vita, le così dette variazioni spontanee, e quanta le leggi complicate
di sviluppo; ma fatte queste importanti eccezioni, noi possiamo concludere che
la struttura di ogni essere vivente sia ancora oggi o fosse in passato utile
al possessore.
Relativamente all'opinione che gli esseri organici siano creati belli perchè
siano ammirati dall'uomo, opinione che fu creduta fatale alla mia teoria, devo
osservare che il senso della bellezza si trova nell'uomo indipendentemente da
una qualità reale dell'oggetto ammirato, e che l'idea del bello non è
nè innata nè invariabile. Noi lo vediamo, ad esempio, negli uomini
delle varie razze, i quali giudicano ad una stregua molto diversa la bellezza
delle loro donne. Se gli oggetti belli fossero creati unicamente a diletto dell'uomo,
sarebbe dimostrabile che minor bellezza esisteva alla superficie della terra
avanti la comparsa dell'uomo. O si crede che le belle conchiglie di Voluta e
di Conus del periodo eocenico e le ammoniti elegantemente scolpite dell'epoca
secondaria siano state create perchè l'uomo le ammiri nelle sue collezioni
dopo migliaia di anni? Pochi oggetti sono più belli dei minutissimi gusci
silicei delle diatomee; furono essi forse creati per essere esaminati ed ammirati
con un microscopio a forte ingrandimento? In quest'ultimo caso, come in molti
altri, la bellezza sembra dovuta alla simmetria dell'accrescimento. I fiori
sono considerati tra i più belli prodotti della natura, ma essi ebbero
un colore che contrasta col verde delle foglie e che in pari tempo li rende
belli, perchè siano facilmente osservati dagli insetti. A questo giudizio
mi condusse la osservazione che i fiori, i quali vengono fecondati a mezzo del
vento, non hanno mai una corolla vivamente colorata. Oltre ciò parecchie
piante producono generalmente due qualità di fiori: gli uni aperti e
colorati, i quali attirano gli insetti; gli altri chiusi, non colorati, privi
di nèttare, i quali non sono mai visitati dagli insetti. Ne possiamo
inferire che se alla superficie non fossero mai esistiti gli insetti, la vegetazione
non offrirebbe dei fiori belli, ma solamente fiori meschini, come li hanno il
nostro abete, la quercia, il nocciuolo, il frassino, gli spinaci, le graminacee,
il rumice e l'ortica, le quali piante tutte vengono fecondate a mezzo del vento.
Lo stesso ragionamento può estendersi alle diverse specie di frutti.
Ognuno ammette che una fragola matura o una ciliegia accontenti non solo il
palato, ma anche l'occhio; e che il frutto vivamente colorato del silio e le
bacche scarlatte dell'agrifoglio siano belle. Tale bellezza giova per indurre
gli uccelli ed altri animali a mangiare questi frutti ed a disperderne i semi.
Questo giudizio mi sembra giusto, perchè senza alcuna eccezione i semi
racchiusi in frutti (cioè in un guscio carnoso e polposo), di colori
vivi, o almeno di colori che spiccano, come il bianco ed il nero, vengono diffusi
nel modo suindicato.
D'altra parte ammetto volentieri che molti animali maschili, come tutti i nostri
uccelli magnifici, parecchi pesci, rettili e mammiferi, e molte farfalle a colori
splendidi siano divenuti belli per la bellezza; ma ciò non è avvenuto
a diletto dell'uomo, ma a mezzo della elezione sessuale, perchè cioè
i maschi più belli furono continuamente prescelti dalle femmine. La stessa
cosa è a dirsi del canto degli uccelli; e noi possiamo concludere che
in gran parte del regno animale domina un simile gusto pei bei colori e pei
suoni musicali. Nelle, specie, in cui la femmina offre colori ugualmente belli
come il maschio, ciò che non raramente si osserva negli uccelli e nelle
farfalle, i colori acquistati colla elezione sessuale, a quanto pare, furono
trasmessi ad ambedue i sessi, invece che ai soli maschi. È assai difficile
il dire, come il senso della bellezza nella sua più semplice forma, cioè
la sensazione di un modo particolare di piacere che producono certi colori,
forme o suoni, siasi sviluppato nello spirito dell'uomo e degli animali inferiori.
La medesima difficoltà ci si presenta quando vogliamo indagare la causa,
per cui alcuni sapori e odori producon piacere, ed altri dispiacere. In questi
casi entra l'abitudine fino ad un certo punto, ma deve averne parte anche la
costituzione del sistema nervoso di ciascuna specie.
Non è possibile che l'elezione naturale produca una modificazione in
una data specie esclusivamente per il bene di un'altra; benchè nella
natura ogni specie approfitti incessantemente dei vantaggi che le sono offerti
dalla struttura d'un'altra. Ma l'elezione naturale può produrre e produce
di fatto delle strutture che sono di nocumento diretto ad altre specie, come
osserviamo nel dente della vipera e nell'ovopositore dell'icneumone, col quale
egli depone le sue uova nel corpo vivente di altri insetti. Se potesse provarsi
che ogni organo di una specie venne formato per esclusivo utile di un'altra
specie, la mia teoria sarebbe spacciata; perchè quell'organo non avrebbe
potuto essere prodotto dalla elezione naturale. Quantunque possano trovarsi
molte asserzioni di questo genere nelle opere di storia naturale, io non ho
saputo rinvenire un solo argomento che mi sembrasse di qualche valore. Così
si ammette che il serpente a sonagli abbia denti veleniferi per propria difesa
e per uccidere la sua preda; ma alcuni autori suppongono che, nello stesso tempo,
la sua coda sia fornita di sonagli a danno del serpente stesso; perchè
avverta la sua preda acciocchè fugga. Potrebbe credersi eziandio che
il gatto scuota l'estremità della sua coda, quando si prepara al salto,
per mettere in guardia il sorcio dà lui appostato. Assai più probabile
è l'opinione che il serpente a sonagli impieghi il suo sonaglio, il serpente
ad occhiali distenda il suo collare e la vipera nasicorne si gonfi mentre emette
un forte acuto soffio per intimorire i molti uccelli e mammiferi che notoriamente
attaccano anche le specie più velenose. Avviene nei serpenti la medesima
cosa, come nelle galline quando fanno tremolare le penne o distendono le ali
davanti ad un cane che osi avvicina ai loro pulcini. Ma mi manca qui lo spazio
di trattare de' molteplici modi, con cui gli animali cercano di intimorire i
loro nemici.
L'elezione naturale non produrrà mai in un essere qualsiasi cosa che
gli sia più dannosa che utile, perchè essa agisce solamente per
l'utile di ciascuno. Niun organo può formarsi, come osservava Paley,
per lo scopo di recare tormento o danno al suo possessore. Se si misurasse il
bene e il male cagionato da ogni organo, si vedrebbe che il risultato sarebbe
in complesso vantaggioso. Dopo il corso dei tempi, se una parte diventa nociva,
per le mutate condizioni di vita, sarà modificata; quando poi ciò
non avvenga, l'essere rimarrà estinto, come si è osservato di
miriadi di altre forme.
L'elezione naturale tende soltanto a far sì che ogni essere organico
divenga altrettanto perfetto, od anche alquanto più perfetto degli altri
abitatori della medesima regione, coi quali esso deve lottare per l'esistenza.
E noi vediamo che questo è appunto il grado di perfezione, al quale tende
la natura. Le produzioni endemiche della Nuova Zelanda, per esempio, sono perfette,
quando si paragonino l'una all'altra; ma esse sono soggette a diminuire rapidamente,
a fronte delle irrompenti legioni di piante e d'animali che vi s'introducono
dall'Europa. Tuttavia questa elezione naturale non raggiungerà l'assoluta
perfezione; nè potrà mai incontrarsi, a quanto credo, questo tipo
di perfezione nella natura. Secondo Giovanni Müller, la correzione per
l'aberrazione della luce non è ancora perfetta nell'occhio, che è
pure il più perfetto degli organi. Helmholtz, la cui competenza nessuno
vorrà mettere in dubbio, dopo avere descritto colle più forti
espressioni il potere meraviglioso dell'occhio umano, aggiunge queste parole
significative: "Quanto noi di inesattezza e di imperfezione abbiamo scoperto
nell'apparato ottico e nella immagine sulla retina, è cosa di poco conto
di fronte alla inesattezza che abbiamo testè incontrata nel dominio delle
sensazioni. Si potrebbe dire che la natura trovi diletto nell'accumulare le
contraddizioni per rimuovere tutte le basi ad una dottrina di armonia preesistente
fra il mondo esterno ed interno". Se la nostra ragione ci conduce ad ammirare
con entusiasmo una moltitudine di inimitabili disposizioni nella natura, la
stessa ragione ci induce a ritenere che alcuni altri congegni naturali siano
meno perfetti, quantunque possiamo facilmente errare da ambi i lati. Possiamo
noi considerare il pungiglione dell'ape quale organo perfetto, mentre se venga
usato contro altri animali non può essere ritirato, opponendosi la sua
dentatura all'indietro, e cagionando così inevitabilmente la morte dell'insetto
per l'estrazione e la lacerazione dei suoi visceri?
Ma se noi pensiamo che il pungiglione dell'ape sia in origine stato impiegato
da un remoto progenitore a guisa di strumento da perforare o da segare (non
altrimenti di ciò che si osserva in molti altri membri dello stesso grande
ordine), e che fu poi modificato, ma non perfezionato, per l'oggetto a cui serve
presentemente, col veleno dapprima adatto ad altro ufficio, come, per esempio,
a produrre delle galle, indi reso sempre più intenso: possiamo forse
intendere come sia che l'uso dell'aculeo abbia da recare la morte così
spesso al medesimo insetto. Perchè se in complesso la facoltà
di pungere fosse vantaggiosa a tutto lo sciame, soddisferebbe a tutte le condizioni
richieste dall'elezione naturale, anche se ne seguisse la morte di parecchi
individui. Se noi ammiriamo la veramente portentosa facoltà olfattiva,
per la quale i maschi di molti insetti trovano le loro femmine, possiamo forse
stupire al vedere la produzione di migliaia di fuchi, i quali non compiono che
una singola operazione, che sono affatto inutili alla loro colonia per qualunque
altro rapporto, e che finiscono per essere massacrati dalle loro laboriose e
sterili sorelle? Noi dovremmo anche ammirare, benchè ciò possa
essere difficile, l'odio selvaggio ed istintivo dell'ape regina che la spinge
a distruggere le giovani regine sue figlie, appena che esse sono nate, o a perire
anch'essa nel combattimento; senza dubbio ciò avviene per il bene dello
sciame; e il materno amore o l'odio materno (quantunque quest'ultimo sia fortunatamente
più raro) derivano pure dal medesimo principio inesorabile della elezione
naturale. Se infine noi ammiriamo i diversi ingegnosi apparati, per mezzo dei
quali i fiori delle orchidee e di molte altre piante sono fecondati per opera
degli insetti, possiamo forse considerare come ugualmente perfetta l'elaborazione
dei densi nembi di polline nei nostri abeti, affinchè pochi grani soltanto
siano trasportati per caso dalla brezza sugli ovuli?
SOMMARIO DEL CAPO: LA LEGGE DELLA UNITÀ DI TIPO
E DELLE CONDIZIONI DI ESISTENZA È ABBRACCIATA
DALLA TEORIA DELL'ELEZIONE NATURALE
In questo capo noi abbiamo discusso alcune delle difficoltà
ed obbiezioni che possono contrapporsi alla mia teoria. Parecchie sono molto
serie; ma io credo che la discussione abbia sparso qualche luce sopra diversi
fatti i quali rimangono completamente oscuri secondo la dottrina degli atti
indipendenti di creazione. Abbiamo veduto che le specie di ogni periodo non
sono indefinitamente variabili, nè sono collegate fra loro da una moltitudine
di gradazioni intermedie: e ciò in parte perchè il processo di
elezione naturale è sempre assai lento, e si esercita in ogni tempo solamente
sopra pochissime forme; e in parte perchè questo processo di elezione
naturale implica quasi la continua successione ed estinzione delle gradazioni
precedenti ed intermedie. Quelle specie strettamente affini che vivono attualmente
in un'area continua, debbono spesso essere state formate quando l'area era discontinua
e quando le condizioni di vita non erano insensibilmente variate da una parte
ad un'altra. Se due varietà si formano in due distretti di un'area continua,
spesso si produrrà una varietà intermedia appropriata ad una zona
intermedia; ma per le ragioni esposte, la variazione intermedia esisterà
ordinariamente più scarsa delle due forme che sono dalla medesima congiunte;
per conseguenza queste ultime, nel corso delle loro ulteriori modificazioni
e per il fatto stesso di essere più numerose, avranno un grande vantaggio
sopra la varietà intermedia meno ricca, e riusciranno così generalmente
a soppiantarla ed esterminarla.
Abbiamo veduto, nel presente capo, quanto dobbiamo essere cauti nel concludere
che le abitudini di vita più diverse non possano gradatamente sostituirsi
le une alle altre, e che un pipistrello, per esempio, non possa essere derivato,
per elezione naturale, da un animale che dapprima si sosteneva appena nell'aria.
Abbiamo veduto che una specie può modificare le sue abitudini sotto nuove
condizioni di vita, ovvero acquistare abitudini diverse, alcune delle quali
affatto differenti da quelle de' suoi congeneri prossimi. Quindi se poniamo
mente che ogni essere organico si adopera per vivere dove può esistere,
comprenderemo come si osservino oche terrestri co' piedi palmati, picchi che
vivono al suolo, tordi che si tuffano nell'acqua, e finalmente procellarie dotate
delle abitudini dei pinguini.
Benchè l'opinione, che un organo tanto perfetto come l'occhio possa essere
stato prodotto per mezzo dell'elezione naturale, sia tale da muovere in ognuno
il dubbio sulla sua verità; tuttavia se noi conosciamo una lunga serie
di gradazioni, nel complesso di un organo, ognuna delle quali sia vantaggiosa
all'individuo che la possiede, allora non sarebbe più logicamente impossibile
che, sotto mutate circostanze di vita, si raggiungesse un grado determinato
di perfezione colla elezione naturale. Quando non siamo a giorno degli stati
intermedi o transitorii, dobbiamo guardarci dal concludere che non ve ne furono;
perchè le omologie di molti organi e i loro stati intermedi dimostrano
almeno che sono possibili portentose metamorfosi nelle funzioni. Per esempio,
una vescica natatoria fu, a quanto sembra, convertita in un polmone per la respirazione
aerea. Le transizioni debbono spesso essere largamente agevolate, quando uno
stesso organo, dopo di aver adempiuto simultaneamente funzioni assai diverse,
venne poi modificato e diretto più specialmente ad una sola funzione;
e così nel caso, in cui due organi distintissimi insieme adempivano nel
medesimo tempo al medesimo ufficio, e l'uno si poteva perfezionare aiutato dall'altro.
Due esseri molto discosti fra loro nel sistema naturale ci hanno offerto l'esempio
di un organo, il quale in ambedue serve allo stesso scopo, è affatto
simile nella esterna apparenza, e può essersi formato separatamente ed
indipendentemente; se però tali organi siano esaminati da vicino, essi
presentano quasi sempre delle differenze essenziali nella struttura, e ciò
è una conseguenza necessaria del principio di elezione naturale. D'altra
parte è una regola generale in tutta la natura che una infinita diversità
di struttura serve a raggiungere un medesimo scopo, ed anche ciò scaturisce
dallo stesso grande principio.
Noi siamo troppo ignoranti, in quasi tutti i casi, per trovarci in grado di
affermare che una parte od un organo siano di sì poca importanza per
il benessere di una specie, che non possano essersi lentamente accumulate le
modificazioni della sua struttura, per effetto dell'elezione naturale. Ma possiamo
ammettere con piena fede che molte modificazioni, dovute interamente alle leggi
dello sviluppo e dapprima in verun modo vantaggiose ad una specie, divennero
in seguito utili ai discendenti vieppiù modificati di essa. Possiamo
anche ritenere che un organo, il quale fu anticamente di alta importanza, fu
spesso conservato dai discendenti (come la coda di un animale acquatico da'
suoi discendenti terrestri), quantunque, sia poi divenuto tanto insignificante,
nel suo stato attuale, che non potrebbe ripetersi dall'elezione naturale, la
quale non agisce che per la preservazione delle variazioni profittevoli, nella
lotta per l'esistenza.
L'elezione naturale non produrrà cosa alcuna in qualche specie per esclusivo
profitto o danno di un'altra; benchè possa benissimo formare delle parti,
degli organi, e delle secrezioni altamente utili od anche indispensabili, ovvero
altamente nocive ad altre specie, ma in tutti i casi utili insieme alla propria.
L'elezione naturale in ogni paese ben popolato deve agire principalmente per
mezzo della concorrenza che gli abitanti si fanno, e quindi sarà per
produrre soltanto quella perfezione e quella forza che, nella battaglia per
la vita, si accordano alle condizioni della località. Perciò gli
abitanti di una regione, in generale, quanto più la medesima sia piccola,
dovranno spesso cedere il posto a quelli di un altro paese più vasto,
come infatti si osserva. Perchè in una regione vasta, dove debbono essersi
trovati molti individui e le forme più disparate, la lotta sarà
stata più severa, e così il limite di perfettibilità si
sarà elevato maggiormente. L'elezione naturale non deve produrre di necessità
una perfezione assoluta; nè, per quanto possiamo giudicare colle nostre
limitate facoltà, può la perfezione assoluta incontrarsi in alcun
luogo.
Secondo la teoria della elezione naturale, noi possiamo intendere con tutta
chiarezza l'intero significato di quell'antico canone della storia naturale,
Natura non facit saltum. Se consideriamo semplicemente gli attuali abitatori
del mondo, questa massima non è strettamente corretta; ma se noi includiamo
tutti gli esseri dei tempi passati, deve essere, dietro la mia teoria, assolutamente
vera.
Generalmente si riconosce che tutti gli esseri organizzati sono stati formati
in seguito a due grandi leggi: cioè l'Unità di Tipo e le Condizioni
di Esistenza. Per unità di tipo si intende quella fondamentale somiglianza
di struttura, che noi vediamo negli esseri organici di una medesima classe,
e che è affatto indipendente dalle loro abitudini di vita. Seguendo la
mia dottrina, l'unità di tipo viene spiegata dalla unità di discendenza.
L'adattamento alle condizioni di esistenza, sul quale ha tanto spesso insistito
l'illustre Cuvier, viene abbracciato completamente dal principio della elezione
naturale. Perchè l'elezione naturale agisce, o coll'appropriare le parti
variabili di ogni essere alle sue condizioni di vita organiche ed inorganiche:
oppure cogli adattamenti praticati nelle lunghissime epoche trascorse; trovandosi
questi adattamenti agevolati, in certi casi, dall'uso e dal non-uso, od anche
essendo leggermente affetti dall'azione diretta delle condizioni esterne della
vita e soggiacendo poi sempre alle diverse leggi di sviluppo. Quindi, nel fatto,
la legge dell'adattamento alle Condizioni di Esistenza è la più
elevata; mentre comprende quella dell'Unità di Tipo, per l'eredità
degli adattamenti antichi.
CAPO VII
OBBIEZIONI DIVERSE
CONTRO LA TEORIA DELL'ELEZIONE NATURALE.
Longevità - Le modificazioni non sono necessariamente contemporanee - Modificazioni che non sembrano di utilità diretta - Sviluppo progressivo - I caratteri di lieve importanza funzionale sono i più costanti - L'elezione naturale ritiensi insufficiente a spiegare gli stadii incipienti delle strutture utili - Cause che disturbano l'acquisto delle strutture utili a mezzo dell'elezione naturale - Gradazioni di struttura nei cambiamenti di funzione - Organi molto diversi nei membri di una medesima classe sviluppatisi dalla stessa sorgente - Ragioni che impediscono di ammettere le modificazioni grandi e repentine.
Dedicherò questo capitolo all'esame di parecchie svariate
obiezioni che furono sollevate contro le mie idee, tanto più che così
riusciranno più chiare alcune precedenti discussioni; ma sarebbe inutile
di esaminare tutte le obbiezioni, molte di esse essendo fatte da autori che
non ebbero cura di comprendere il soggetto. Così un distinto naturalista
tedesco ha sostenuto che la parte più debole della mia teoria sia quella,
dove io asserisco che tutti gli esseri organici siano imperfetti. Ma in realtà
io dissi solamente che tutti, in relazione alle loro condizioni, non sono così
perfetti come potrebbero esserlo; e la verità di questo giudizio è
dimostrata dalle molte forme indigene, le quali in molte parti del mondo hanno
dovuto cedere il loro posto alle forestiere intruse. Inoltre gli esseri organici,
anche se in un determinato tempo fossero perfettamente adattati alle condizioni
di vita, non lo saranno altrettanto, quando saranno cambiate quelle condizioni,
e dovranno anch'essi cambiarsi. E nessuno negherà che le condizioni fisiche
di ogni paese sieno soggette a molti mutamenti, come il numero e le specie de'
suoi abitatori.
Un critico ha recentemente sostenuto, con aria di esattezza matematica, che
la longevità è un grande vantaggio per ciascuna specie, per cui
i sostenitori della elezione naturale dovrebbero costruire l'albero genealogico
in guisa che tutti i discendenti abbiano vita più lunga degli antenati.
Ma non pare al nostro critico che una pianta biennale od alcuno degli animali
inferiori possa estendersi dove il clima è freddo e colà perire
ogni inverno, e nondimeno sopravvivere di anno in anno a mezzo dei semi o delle
uova in seguito ai vantaggi acquistati dall'elezione naturale? F. Ray Lankester
ha svolto di recente quest'argomento, e per quanto la straordinaria complicazione
del medesimo gli ha concesso di giudicare è arrivato alla conclusione
che la longevità in generarle sta in rapporto col posto che una specie
occupa nella scala della organizzazione, e così pure colla quantità
del consumo nella riproduzione e colla generale attività. È probabile
che questi rapporti siano stati largamente determinati dall'elezione naturale.
Siccome tra le specie animali e vegetali dell'Egitto, che noi conosciamo, nessuna
si è cambiata negli ultimi tre o quattromila anni, così si è
conchiuso che nemmeno altre, in altre parti del mondo, abbiano subìto
dei cambiamenti: Ma questa conclusione, come ha notato G. H. Lewes, dimostra
troppo, imperocchè le vecchie razze domestiche che vedonsi figurate o
conservansi imbalsamate nei monumenti egiziani sono assai simili alle attuali
e forse con esse identiche; e nondimeno tutti i naturalisti ammettono che tali
razze siansi formate in seguito a modificazioni dei tipi originali. Le molte
specie animali che rimasero inalterate dal principio dell'epoca glaciale in
poi avrebbero potuto costituire una obbiezione assai più forte, giacchè
esse son state esposte ad un grande cambiamento di clima ed hanno migrato sopra
vasti territorii, mentre in Egitto, per quanto sappiamo, le condizioni di vita
sono rimaste assolutamente uniformi durante parecchi degli ultimi millennii.
Il fatto che dopo l'epoca glaciale non si sono manifestate delle modificazioni,
o furono leggerissime, avrebbe potuto fornire un'obbiezione efficace contro
i sostenitori di una legge innata e necessaria di sviluppo, ma è impotente
contro la dottrina dell'elezione naturale o sopravvivenza del più adatto,
secondo la quale vengono conservate le variazioni o differenze individuali di
natura benefica che apparissero, ciò che potrà effettuarsi solamente
in certe circostanze favorevoli.
Il celebre paleontologo Bronn, in fine della sua traduzione tedesca di questa
opera, domanda come, secondo il principio dell'elezione naturale, una varietà
possa vivere accanto alla specie-madre? Se ambedue sono state adattate, ad abitudini
e condizioni di vita leggermente diverse, esse potranno vivere insieme; e se
facciamo astrazione dalle specie polimorfe, nelle quali la variabilità;
sembra di natura affatto peculiare, e da tutte le variazioni meramente temporanee,
come sarebbero la grandezza, l'albinismo, noi troviamo, per quanto a me consta,
che le varietà permanenti abitano stazioni distinte, come altipiani o
basse pianure, distretti asciutti od umidi. Di più, in quegli animali
che migrano molto e s'incrociano largamente, le varietà sono generalmente
confinate sopra distinte regioni.
Il Bronn sostiene anche che le specie distinte non diversificano mai tra loro
in un solo carattere, ma in molte parti, e domanda per quale motivo dalla variazione
e dalla elezione naturale siano state modificate molte parti dell'organismo
ad un tempo? Ma non v'ha una ragione che ci costringa a supporre che tutte quelle
parti siano state modificate contemporaneamente. Le modificazioni più
singolari, che sono eminentemente adatte ad uno scopo, possono, come fu già
accennato, essere state acquistate con variazioni successive, dapprima leggere,
apparse in una parte, e poi in un'altra; e siccome tutte vengono trasmesse insieme,
può sembrarci che esse si siano sviluppate ad un tempo. La migliore risposta
all'obbiezione surriferita offrono peraltro quelle razze domestiche, le quali
dall'elezione artificiale furono adattate ad uno scopo speciale. Si consideri
il cavallo da corsa ed il cavallo da carretta, oppure l'alano. L'intera loro
corporatura e le qualità mentali furono modificate; ma se noi seguiamo
la storia delle loro trasformazioni, e gli ultimi passi ponno seguirsi, noi
vediamo che i cambiamenti non furono nè grandi nè contemporanei,
ma che dapprima una parte e poi un'altra vennero modificate e migliorate. Perfino
nei casi, in cui la elezione dell'uomo si è esercitata sopra un solo
carattere, di che le piante coltivate ci offrono i migliori esempi, noi troviamo
costantemente che questa parte, sia il fiore, sia il frutto o siano le foglie,
venne notevolmente cambiata, ma anche tutte le altre parti subirono delle leggere
modificazioni, e ciò per effetto in parte del principio di correlazione
di sviluppo, ed in parte in seguito alla così detta variazione spontanea.
Un'obbiezione più seria fu fatta dal Bronn, e recentemente dal Broca,
e si è che molti caratteri non sembrano di alcuna utilità pel
possessore, e non possono quindi subire gli effetti dell'elezione naturale.
Bronn cita la lunghezza delle orecchie e della coda nelle diverse specie di
lepri e di sorci, le pieghe complicate di smalto nei denti di molti mammiferi
ed altri consimili esempi. In riguardo alle piante questo soggetto fu trattato
dal Nägeli in un pregevolissimo lavoro. Egli ammette che l'elezione naturale
abbia molto operato; ma insiste sul fatto che le famiglie vegetali diversificano
fra loro principalmente nei caratteri morfologici, i quali pel benessere della
specie sembrano destituiti di ogni importanza. Egli crede perciò ad una
tendenza innata di sviluppo progrediente e perfezionante. Più particolarmente
egli cita la disposizione delle cellule nei tessuti e delle foglie dell'asse
come casi, in cui la elezione naturale non avrebbe potuto essere attiva. Vi
si potrebbero aggiungere anche le divisioni numeriche delle parti fiorali, la
posizione degli ovuli, la forma del seme, in quanto non è utile per la
disseminazione, ecc.
L'obbiezione succitata ha molto valore. Nullameno noi dobbiamo in primo luogo
essere molto cauti nella pretesa di giudicare quali strutture siano ora o fossero
in passato utili ad una specie. Secondariamente dobbiamo riflettere, che se
una parte viene modificata, altrettanto succede di altre per cause imperfettamente
conosciute, così in seguito ad aumentato o diminuito accesso di nutrimento
verso una parte, per reciproca pressione, per l'azione di una parte prima sviluppata
sopra un'altra che si sviluppò più tardi, e così via. Si
aggiungano ancora i molti casi misteriosi di correlazione che noi non comprendiamo
minimamente. Questi effetti, per brevità, possono unirsi insieme sotto
l'espressione della legge d'accrescimento. In terzo luogo dobbiamo tener conto
dell'azione diretta e definita delle cambiate condizioni dì vita, e delle
così dette variazioni spontanee, in cui la natura delle condizioni, in
apparenza, ha una parte affatto subordinata. Buoni esempi di variazioni spontanee
offrono le varietà di gemme, come l'apparsa di rose muscose sul rosaio
o delle pesche-mandorle sul persico. Se noi pensiamo all'azione che ha una piccola
goccia di veleno nella produzione delle galle complicate, non possiamo essere
troppo sicuri che quelle variazioni non siano l'effetto di un cambiamento locale
nella qualità del succo in dipendenza delle mutate condizioni di vita.
Una causa efficiente deve sussistere tanto per ogni leggera differenza individuale
come per le più spiccate variazioni che occasionalmente appariscono;
e se la causa sconosciuta fosse persistente, è certo che tutti gli individui
di una specie sarebbero modificati in modo simile.
Nelle precedenti edizioni di quest'opera, parmi di avere apprezzato troppo poco
la frequenza e l'importanza delle modificazioni dovute alla variabilità
spontanea. Ma è impossibile attribuire a questa causa le innumerevoli
strutture che si adattano sì bene alle abitudini di vita di cadauna specie.
Ciò è tanto impossibile come l'attribuirvi le forme adattate del
cavallo da corsa o del veltro, le quali eccitarono cotanto la sorpresa nella
mente dei vecchi naturalisti, prima che fosse ben compreso il principio della
elezione esercitata dall'uomo.
Credo che valga la pena chiarire alcune delle precedenti osservazioni. Per ciò
che riguarda la supposta inutilità di varie parti od organi, è
appena. necessario di dire che negli animali superiori e meglio conosciuti molte
strutture sono così bene sviluppate, che nessuno dubita della loro importanza;
e tuttavia il loro uso o è ancora sconosciuto, o venne solo di recente
accertato. Siccome il Bronn adduce la lunghezza delle orecchie e della coda
nelle varie specie di sorci come esempi, sebbene deboli, di differenze di struttura
che non sono di alcuna utilità speciale, debbo osservare che secondo
il dott. Schöbl le orecchie esterne del sorcio comune sono riccamente fornite
di nervi, cosicchè, servono senza dubbio come organi tattili; per conseguenza
la lunghezza delle orecchie non sarà priva di importanza. Noi vedremo
anche più tardi che in alcune specie la coda è un organo prensile
assai utile, e la sua lunghezza influirà quindi molto sul suo uso.
Quanto alle piante, eccitato dalla Memoria del Nägeli, farò le seguenti
osservazioni. È certo che i fiori delle orchidee offrono molte interessanti
particolarità di struttura che avanti pochi anni sarebbero state considerate
come semplici differenze morfologiche senza una funzione speciale; ma ora si
sa ch'esse sono della massima importanza per la fecondazione delle specie a
mezzo degli insetti, e che probabilmente furono acquisite coll'elezione naturale.
Fino a questi ultimi tempi nessuno avrebbe creduto che la diversa lunghezza
degli stami e dei pistilli e la loro disposizione nelle piante dimorfe e trimorfe
possano essere di qualche vantaggio; ma ora sappiamo che le cose stanno precisamente
così.
In alcuni interi gruppi di piante gli ovuli sono eretti, in altri sospesi, ed
in alcune poche piante entro un medesimo ovario un ovulo ha la prima, un secondo
l'altra posizione. Queste posizioni sembrano a prima vista puramente morfologiche
e di nessuna importanza fisiologica. Ma il dott. Hooker mi fa sapere che tra
gli ovuli di uno stesso ovario vengono fecondati talvolta solamente i superiori,
ed in altri casi solamente gli inferiori. E suppone che ciò dipenda dalla
direzione nella quale i budelli pollinici entrano nell'ovario. Se così
fosse, la posizione degli ovuli, ed anche l'essere l'uno e l'altro sospeso entro
un medesimo ovario, dipenderebbe dalla elezione di quelle leggere modificazioni
di posizione che favoriscono la fecondazione e la produzione di semi.
Parecchie piante appartenenti ad ordini distinti producono in regola due qualità
di fiori, gli uni aperti e di struttura ordinaria, gli altri chiusi e imperfetti.
Queste due qualità di fiori differiscono talvolta mirabilmente tra loro
nella struttura; ma in una medesima pianta gli uni passano gradatamente negli
altri. I fiori ordinari aperti possono essere incrociati, e vengono assicurati
i vantaggi che tengono dietro a questo processo. I fiori chiusi ed imperfetti
sono manifestamente di grande importanza, giacchè forniscono con tutta
sicurezza grande copia di semi col minimo consumo di polline. Come testè
fu detto, le due qualità di fiori differiscono spesso notevolmente fra
loro nella struttura Nei fiori imperfetti i petali sono quasi sempre rappresentati
da semplici rudimenti, e i granuli del polline sono ridotti nel diametro. Nella
Ononis columnæ cinque degli stami alternanti sono rudimentali; ed in alcune
specie di Viola tre stami trovansi in tale stato, mentre due conservano la ordinaria
loro funzione, ma sono di assai piccola statura. Nella viola indiana (non si
conosce il nome, perchè le piante non hanno ancor prodotto dei fiori
perfetti) su trenta fiori chiusi sei avevano il numero dei sepali, i quali normalmente
sono cinque, ridotti a tre. In una sezione delle malpighiacee i fiori chiusi,
secondo A. De Jussieu, subiscono ulteriori modificazioni, giacchè i cinque
stami, che sono opposti ai sepali, sono tutti abortiti, ed un solo sesto stame,
opposto ad un petalo, è sviluppato. Tale stame non esiste nei fiori ordinari
di queste specie. Lo stilo è abortito, e gli ovari, da tre, sono ridotti
a due. Sebbene l'elezione naturale potesse avere la forza di impedire l'espansione
di alcuni di questi fiori, e di ridurre la quantità del polline divenuta
superflua per la chiusura dei fiori stessi, tuttavia ben difficilmente alcuna
delle suddette modificazioni speciali fu determinata da essa, ma deve essere
una conseguenza delle leggi di accrescimento, inclusa l'inazione funzionaria
di alcune singole parti, durante la progrediente riduzione del polline e la
chiusura del fiore.
È tanto necessario di apprezzare gli effetti importanti delle leggi di
accrescimento che voglio aggiungere alcuni casi di altro genere, e cioè
di differenze in una stessa parte od organo, dovute a differenze nella relativa
posizione in una medesima pianta. Nel castagno spagnuolo ed in certi pini, secondo
lo Schacht, gli angoli di divergenza delle foglie sono diversi nei rami pressochè
orizzontali e negli eretti. Nella ruta comune ed in alcune altre piante si apre
dapprima un fiore, ordinariamente il centrale o terminale, ed ha cinque sepali
e petali e cinque logge nell'ovario, mentre tutti gli altri fiori della pianta
sono tetrameri. Nella Adoxa inglese il fiore superiore ha generalmente il calice
a due lobi e gli altri organi tetrameri, mentre i fiori circostanti possiedono
in regola un calice a tre lobi e gli altri organi pentameri. In molte composte
ed ombrellifere (ed in alcune altre piante) i fiori periferici hanno la corolla
assai più sviluppata che non i centrali, e ciò sembra connesso
coll'abortimento degli organi della riproduzione. Un fatto assai più
singolare, che venne già menzionato, si è questo, che gli acheni
o semi della periferia e del centro diversificano notevolmente tra loro nella
forma, nel colore ed in altri caratteri. Nel Carthamus ed in alcune altre composte
i soli acheni centrali sono forniti di un pappo, e nella Hyoseris un medesimo
capitolo offre tre forme di achenii. In certe ombrellifere, secondo il Tausch,
i semi esterni sono ortospermi, i centrali celospermi, ed il De Candolle in
altre specie ha ritenuto questa differenza della massima importanza sistematica.
Il prof. Braun cita un genere delle fumariacee, in cui i fiori nella parte inferiore
della infiorescenza portano capsule ovali, costate e monosperme, mentre quelli
della parte superiore dell'infiorescenza portano silique lanceolate, bivalve
e disperme. Per quanto noi possiamo giudicare, se si eccepiscano i fiori marginali
bene sviluppati, i quali si rendono utili coll'attirare gli insetti, la elezione
naturale nei casi citati non può essere entrata in azione od avrà
avuto una parte affatto subordinata. Tutte queste modificazioni sono la conseguenza
della relativa posizione e della reciproca azione delle parti; nè può
dubitarsi, che se tutti i fiori e le foglie di una medesima pianta fossero stati
esposti alle stesse condizioni esterne ed interne, tutti sarebbero stati modificati
nella stessa guisa.
In numerosi altri casi noi troviamo modificazioni di struttura che dai botanici
sono generalmente considerate di grande importanza, perchè si riscontrano
solamente sopra alcuni fiori di una stessa pianta, o sopra piante diverse che
vivono strettamente insieme sotto uguali condizioni. Siccome queste variazioni
non sembrano per la pianta di alcun vantaggio speciale, così l'elezione
naturale non può avere agito su di esse. Noi siamo nella più completa
ignoranza intorno alla causa che le ha prodotte; nè possiamo attribuirle
ad una causa prossima, ad esempio alla relativa posizione, come abbiamo fatto
pei casi superiormente citati. Addurrò alcuni pochi esempi. È
così frequente il caso di fiori di una medesima pianta che sono indifferentemente
tetrameri, pentameri, ecc., che non occorre citarne degli esempi; ma siccome
le variazioni numeriche sono relativamente rare, quando le parti sono poche,
così voglio far menzione della osservazione del De Candolle, secondo
cui il Papaver bracteatum ora possiede due sepali con quattro petali (ciò
che nel papavero è fatto normale), ora tre sepali con sei petali. Il
modo, col quale i petali sono piegati entro la gemma, costituisce nel maggior
numero dei gruppi un carattere morfologico assai costante; ma il prof. Asa Gray
ci fa sapere che in alcune specie di Mimulus lo stivamento è ora quello
delle rinantidee ed ora quello delle antirrinidee, al quale ultimo gruppo il
genere appartiene. Augusto Saint-Hilaire cita i casi seguenti: il genere Zanthoxylon
appartiene ad una divisione delle rutacee ad un unico ovario, ma in alcune specie
sopra una medesima pianta e perfino sopra una stessa pannocchia s'incontrano
dei fiori con uno o due ovari. Nello Helianthemum la capsula fu descritta come
uniloculare o come triloculare, e nell'H. mutabile "une lame, plus ou moins
large, s'étend entre le péricarpe et la placenta". Nei fiori
di Saponaria officinalis il dottor Masters ha osservato esempi tanto di placentazione
marginale, come di placentazione libera centrale, Infine il Saint-Hilaire ha
trovato verso il limite meridionale di distribuzione della Gomphia oleœformis
due forme, che credette dapprima senza alcun dubbio due specie diverse, ma che
poi vide crescere sullo stesso arbusto, e soggiunge: "Voilà donc
dans un même individu des loges et un style qui se rattachent tantôt
à un axe verticale et tantôt à un gynobase".
Noi vediamo da ciò che nelle piante molti cambiamenti morfologici possono
essere attribuiti alle leggi di accrescimento e della mutua azione delle parti,
e sono indipendenti dall'elezione naturale. Ma in riguardo alla dottrina del
Nägeli sulla innata tendenza verso la perfezione o progressivo sviluppo,
può forse dirsi che queste ben pronunciate variazioni siano state colte
nell'atto di progresso verso un più elevato gradino di sviluppo? Al contrario,
dal fatto che le parti, di cui parliamo, sono molto diverse o variano sopra
una stessa pianta, io deduco che simili modificazioni sono di importanza affatto
secondaria per le piante, qualunque sia l'importanza ch'esse hanno nella nostra
classificazione. Non si può dire che l'acquisto di una parte inutile
elevi l'organismo nella scala naturale; e nel caso dei sopradescritti fiori
imperfetti e chiusi, se dovesse invocarsi un nuovo principio, sarebbe piuttosto
quello di regresso che di progresso; altrettanto dovrebbe dirsi di molti animali
parassitici e degradati. Noi siamo affatto all'oscuro intorno alla causa che
produsse le modificazioni sopra specificate; ma se la causa sconosciuta agisse
per un certo tempo uniformemente, noi potremmo concludere che il risultato sarebbe
quasi uniforme, e tutti gli individui della specie sarebbero nella stessa guisa
modificati.
Stando al fatto che i suddetti caratteri non sono importanti pel benessere della
specie, le leggere variazioni, che in essi potessero riscontrarsi, non sarebbero
accumulate nè aumentate dall'elezione naturale. Una struttura, la quale
sia stata sviluppata da una elezione lungamente continuata, appena cesserà
di essere utile alla specie diverrà variabile, come ce lo provano gli
organi rudimentali, perocchè non sarà più oltre regolata
dalla forza della elezione. Ma se dalla natura dell'organismo e delle condizioni
siano state prodotte delle modificazioni non importanti pel benessere della
specie, esse possono trasmettersi quasi inalterate a discendenti numerosi ed
in altri caratteri modificati, come sembra essere spesso avvenuto. Io non credo
che fosse di grande importanza pel maggior numero dei mammiferi, degli uccelli
e dei rettili di essere coperti di peli, anzi che di penne o di squame; e nondimeno
furono trasmessi peli a quasi tutti i mammiferi, penne a tutti gli uccelli e
squame a tutti i veri rettili. Una struttura che sia comune a molte forme affini,
è da noi considerata di grande importanza sistematica, e perciò
spesso è anche creduta di alta importanza vitale per la specie. Io inclino
a credere che le differenze morfologiche, che noi consideriamo come importanti,
come la disposizione delle foglie, le divisioni del fiore e dell'ovario, la
posizione degli ovuli, ecc., siano dapprima apparse come varietà fluttuanti,
che divennero più costanti, sia per la natura dell'organismo e delle
condizioni, sia per l'incrociamento di individui distinti, ma non per effetto
della elezione naturale; siccome questi caratteri morfologici non influiscono
sul benessere della specie, così l'elezione naturale non ha potuto agire
sulle loro leggere deviazioni. È questo un risultato molto singolare,
a cui noi arriviamo, che cioè i caratteri di leggera importanza vitale
per la specie sono i più importanti pel sistematico. Ma noi vedremo più
tardi, quando tratteremo del principio genetico della classificazione, che questo
risultato non è così paradossale come può sembrare al primo
aspetto.
Sebbene non si abbiano sicure prove della esistenza negli organismi di una innata
tendenza al progressivo sviluppo, tuttavia essa segue necessariamente l'azione
continua della elezione naturale, com'io ho cercato di dimostrare nel quarto
capitolo. Imperocchè il miglior criterio che noi conosciamo per giudicare
della perfezione di un organismo sta nel grado fino a cui le parti furono specializzate
e rese differenti. E la elezione naturale tende appunto a questo fine, giacchè
le parti in tal modo sono rese atte a compiere meglio la loro funzione.
Un distinto zoologo, St. George Mivart, ha recentemente raccolto tutte le obbiezioni,
sollevate da me stesso e da altri, contro la teoria dell'elezione naturale propugnata
dal Wallace e da me, e le ha spiegate con molto ingegno e forza. Così
esposte costituiscono un formidabile esercito; e siccome non era nel progetto
del Mivart di addurre i fatti e le considerazioni che si oppongono alle diverse
sue conclusioni, così richiedesi un non piccolo sforzo di intelligenza
e di memoria da quel lettore che voglia pesare le ragioni che militano da ambe
le parti. Nel discutere i casi speciali, il Mivart trascura gli effetti dell'uso
crescente e del non-uso, sebbene io abbia sempre sostenuto ch'essi sono assai
importanti, e sebbene nel mio libro sulle Variazioni allo stato di domesticità,
ne abbia trattata più diffusamente che, come credo, ogni altro autore.
Egli presume anche ch'io nulla attribuisca alla variazione indipendentemente
dall'elezione naturale, mentre nella succitata opera ho raccolto un numero sì
grande di fatti bene constatati, com'io non trovo in alcun'altra opera a me
nota. Il mio giudizio non sarà forse preciso; ma dopo aver letto attentamente
il libro del Mivart, e dopo averlo confrontato con ciò ch'io dissi sullo
stesso argomento, sono più persuaso che mai della generale validità
delle conclusioni a cui sono giunto, sebbene in argomento tanto complesso io
possa essere incorso in qualche parziale errore.
Tutte le obbiezioni del Mivart saranno prese in considerazione nell'opera presente;
e per alcune ciò fu già fatto. Un punto nuovo, che sembra aver
destato sorpresa in molti lettori, si è questo, che la elezione naturale
sia insufficiente a spiegare gli stadii incipienti delle strutture utili. Questo
soggetto è intimamente connesso colla gradazione dei caratteri, la quale
è spesso accompagnata da un cambiamento di funzione, ad esempio la trasformazione
della vescica natatoria in polmoni, argomenti che nell'ultimo capitolo furono
trattati sotto un doppio punto di vista. Nondimeno prenderò qui in esame
con molti dettagli alcuni casi citati dal Mivart, e siccome lo spazio m'impedisce
di considerarli tutti, sceglierò i più illustrativi.
La giraffa è mirabilmente adatta a cogliere le foglie dagli alti rami
degli alberi, sia per la sua alta statura, sia pel grande allungamento del collo,
degli arti anteriori, della testa e della lingua. Essa può trovare nutrimento
al di là dell'altezza, a cui giungono gli altri animali ad unghie o zoccoli
che abitano la stessa regione, e ciò sarà per essa di grande vantaggio
nei tempi di carestia. I buoi Niata dell'America meridionale ci provano come
piccole differenze di struttura in tali periodi possano produrre una grande
differenza nella preservazione della vita di un animale. Questi buoi possono
pascersi di erba come gli altri, ma per la prominenza della mascella inferiore,
durante i periodi spesso ricorrenti di siccità, non possono cogliere
le foglie degli alberi e la canna, a nutrirsi de' quali sono spinti i buoi comuni
ed i cavalli, per cui in queste epoche i buoi Niata periscono se non sono nutriti
da' loro possessori. Prima di arrivare all'obbiezione del Mivart, sarà
bene indicare nuovamente come l'elezione naturale agirà ne' casi ordinari.
Senza tener conto necessariamente di speciali particolarità di struttura,
l'uomo ha modificato gli animali conservando e impiegando per la riproduzione,
ora gli animali più veloci, come, è avvenuto pei cavalli da corsa
e pei veltri, oppure continuando a coltivare gli animali vittoriosi, com'è
avvenuto pel gallo pugnace. Così allo stato naturale, quando si è
formata la giraffa, saranno stati spesso preservati quegli individui che potevano
cogliere le foglie più alte, ed in epoca di carestia arrivavano uno o
due pollici più in alto degli altri, imperocchè essi avranno percorsa
tutta la regione alla ricerca del nutrimento. Che gli individui di una medesima
specie diversifichino spesso leggermente tra loro nella relativa lunghezza di
tutte le loro parti, ce lo insegnano molte opere di storia naturale, in cui
siano indicate esatte misure. Queste leggere differenze proporzionali, dovute
alle leggi di accrescimento e di variazione, non tornano di alcuno o di insignificante
vantaggio al maggior numero delle specie. Ma nella giraffa in via di formazione
le cose saranno passate altrimenti in dipendenza dalle probabili di lei abitudini
di vita, giacchè generalmente saranno rimasti in vita quegli individui
che presentavano un allungamento oltre l'ordinario in una od in parecchie parti
del corpo. Questi si saranno incrociati ed avranno lasciato dei discendenti
che avranno ereditata la stessa particolarità corporea, ossia la tendenza
di variare nello stesso modo, mentre gli individui meno favoriti per tale riguardo
saranno stati maggiormente soggetti alla estinzione.
Noi vediamo, qui, che non è necessario separare le singole paia, come
fa l'uomo quando perfeziona metodicamente una razza; l'elezione naturale conserva
e separa così tutti gli individui favoriti, e permette loro di incrociarsi,
e distrugge gli individui inferiori. Se questo processo, il quale corrisponde
esattamente a ciò che io ho chiamato elezione inconscia a mezzo dell'uomo,
continua per lungo tempo, associandosi senza dubbio in modo molto importante
agli effetti ereditari dell'uso crescente delle parti, mi sembra quasi certo
che un animale quadrupede ordinario sarà convertito in una giraffa.
Contro questa conclusione il Mivart solleva due obbiezioni. La prima si è
che l'aumentata grandezza del corpo esigerebbe evidentemente un aumento nella
quantità di cibo, ed egli crede molto dubbio che gli svantaggi da ciò
derivati possano essere bilanciati dai vantaggi in tempi, ne' quali il cibo
scarseggia. Ma siccome la giraffa esiste di fatto nell'Africa meridionale in
grande quantità, ed alcune delle maggiori antilopi del mondo, più
grandi di un bue, sono colà straordinariamente numerose, perchè
dovremo dubitare che vi abbiano esistito, per ciò che riguarda la grandezza,
le forme intermedie, e siano state esposte a gravi periodi di carestia? La facoltà
di raggiungere, ad ogni stadio della aumentata statura, un nutrimento inaccessibile
agli altri mammiferi a zoccoli del paese, sarà stata certamente di vantaggio
alla nascente giraffa. Non devesi poi trascurare che l'aumentata grandezza del
corpo serve di protezione contro quasi tutti i carnivori, eccettuato il leone;
e contro questo animale, come osserva Chauncey Wright, il lungo collo servirà
come torre di osservazione, e ciò tanto meglio quanto più sarà
lungo. Come. S. Baker ha osservato, questa è la causa, per cui nessun
animale si caccia tanto difficilmente come la giraffa. L'animale adopera il
suo lungo collo anche come arma offensiva e difensiva, facendo vibrare violentemente
la testa armata delle sue corna a guisa di monconi. La conservazione di una
specie è raramente determinata da un unico vantaggio, sibbene dal concorso
di tutti, sì dei grandi che dei piccoli.
Il Mivart domanda inoltre (e questa è la sua seconda obbiezione): se
l'elezione naturale è così potente, e se la facoltà di
cogliere le foglie dagli alti rami è un vantaggio sì grande, perchè
nessun mammifero a zoccoli ottenne un collo tanto lungo all'infuori della giraffa,
ed in minor grado il camello, il guanaco e la macrauchenia? In riguardo all'America
meridionale, che prima era abitata da numerose greggie di giraffe, la risposta
non è difficile, e può nel modo più sicuro essere illustrata
con un esempio. In Inghilterra noi vediamo in ogni prato, dove crescono alberi,
i rami bassi, in seguito al pascolare dei cavalli, o dei buoi, tagliati ed appianati
fino ad un'altezza quasi eguale; e quindi che vantaggio ne potrebbero ritrarre
ad esempio le pecore, se colà vi fossero tenute, dall'avere un collo
leggermente più lungo? In ogni regione qualche specie animale avrà
quasi certamente l'attitudine di togliere il suo nutrimento a maggior altezza
delle altre; ed è cosa quasi certa che quest'unica specie avrà
ottenuto a quello scopo un collo più lungo a mezzo dell'elezione naturale
e per gli effetti dell'uso crescente. Nell'Africa meridionale la concorrenza
nel cogliere le foglie dai rami più alti delle acacie e di altri alberi
si esercita fra giraffe e giraffe, e non fra queste ed altri mammiferi a zoccoli.
Non può dirsi con precisione per quale motivo in altre parti del mondo
gli altri animali dello stesso ordine non abbiano acquistato un collo allungato
od una proboscide; ma è ugualmente irragionevole attendersi una precisa
risposta a questa domanda, come a quella che chiedesse, per quale motivo nella
storia della umanità un avvenimento non sia successo in un paese, mentre
è accaduto in un altro. Le condizioni che determinano il numero ed il
rango di ciascuna specie ci sono ignote; e non possiamo nemmeno congetturare,
quali cambiamenti di struttura possano essere utili pel di lei aumento in una
nuova regione. In modo generico, però, noi possiamo intravedere che parecchie
cause possano avere impedito lo sviluppo di un lungo collo o di una proboscide.
Per cogliere le foglie degli alberi da una notevole altezza (senza l'attitudine
di rampicare che non è concessa agli animali forniti di zoccoli), è
necessaria una statura molto grande, e noi sappiamo che alcuni distretti, ad
esempio l'America meridionale, sebbene sia una terra assai ubertosa, contengono
dei mammiferi grandi in quantità singolarmente piccola, mentre l'Africa
meridionale ne è incomparabilmente più ricca. Perchè ciò
avvenga, noi nol sappiamo, e non conosciamo neanche il motivo, per cui gli ultimi
periodi dell'epoca terziaria siano stati assai più favorevoli alla loro
esistenza che non l'epoca presente. Qualunque siasi la causa, noi vediamo che
certi distretti e certi tempi sono molto più favorevoli di altri allo
sviluppo di un mammifero così grande come è la giraffa.
Affinchè un animale acquisti una struttura sviluppata in modo particolare
ed ampio, è quasi sempre indispensabile che parecchie altre parti si
modifichino e vi si adattino. Sebbene ciascuna parte del corpo sia soggetta
a variare leggermente, non deve conchiudersi che le parti necessarie subiscano
delle variazioni nella vera direzione e nel vero grado. Noi sappiamo che nei
diversi nostri animali domestici le parti variano in modo ed in grado diverso,
e che alcune specie sono molto più variabili di altre. Ma quand'anche
le variazioni adatte fossero apparse, non segue ancora che l'elezione naturale
abbia potuto agire su di esse e produrre una struttura utile alla specie. Se,
ad esempio in una regione il numero degli individui esistenti sia principalmente
determinato dalla distruzione esercitata dai carnivori, dai parassiti esterni
ed interni, ecc., come spesso sembra avvenire, allora l'elezione naturale non
potrà essere che poco efficace o sarà molto rallentata nella modificazione
di un organo destinato alla presa del nutrimento. Finalmente l'elezione naturale
è un processo lento, e le medesime condizioni favorevoli debbono durare
lungamente, affinchè si produca un effetto ben marcato. Se si fa astrazione
da queste cause generiche e vaghe, noi non sappiamo spiegare, perchè
gli animali a zoccoli non abbiano in tutte le parti del mondo un collo allungato
od altri mezzi per cogliere le foglie dai rami più alti degli alberi.
Obbiezioni simili alle precedenti furono sollevate da molti autori. Oltre le
cause generali ora accennate, varie altre possono aver impedito nei singoli
casi l'acquisto di una struttura utile alla specie col mezzo della elezione
naturale. Un autore domanda perchè lo struzzo non abbia conservato la
sua attitudine al volo? Ma per poco che si pensi, si troverà che una
enorme quantità di cibo sarebbe necessaria per dare a questo uccello
del deserto la forza di portare il suo ingente corpo per l'aria. Le isole Oceaniche
sono abitate da pipistrelli e foche, ma non da mammiferi terrestri, e siccome
alcuni di questi pipistrelli costituiscono delle specie peculiari, debbono abitare
da lungo tempo nella loro patria attuale. Carlo Lyell domanda perchè
le foche ed i pipistrelli non abbiano prodotto delle forme atte a vivere in
terraferma, ed in risposta adduce dei motivi. Ma le foche dovrebbero necessariamente
trasformarsi in animali terrestri carnivori di notevole grandezza, e i pipistrelli
in animali terrestri insettivori; ai primi mancherebbe la preda, ed ai pipistrelli
servirebbero di nutrimento gli insetti viventi sul suolo, ai quali danno già
largamente la caccia i rettili e gli uccelli, i quali pei primi vanno ad abitare
le isole oceaniche e vi abbondano. Le gradazioni di struttura, utili ad una
specie in via di trasformazione, non saranno favorite che in certe speciali
condizioni. Un animale strettamente terrestre, cacciando occasionalmente nelle
acque poco profonde, poi nei fiumi e nei laghi, potrebbe essere convertito in
un animale sì bene acquatico da affrontare l'alto mare. Ma non credo
che le foche trovino nelle isole oceaniche le condizioni favorevoli per una
graduale riconversione in una forma terrestre. Come già fu dimostrato,
i pipistrelli acquistarono probabilmente la loro membrana del volo scivolando
dapprima per l'aria a modo degli scoiattoli volanti d'albero in albero, sia
per sfuggire ai loro nemici, sia per evitare la caduta; ma una volta acquistata
la vera attitudine al volo, ben difficilmente, almeno per lo scopo indicato,
sarà riconvertita nella facoltà meno efficace di scivolare per
l'aria. I pipistrelli, come gli uccelli, potrebbero bensì in seguito
a non-uso soffrire una notevole riduzione delle ali, od anche perderle affatto;
ma in tale caso sarebbe necessario che acquistassero la facoltà di camminare
velocemente sul terreno coi soli arti posteriori, per essere in grado di far
concorrenza agli uccelli e ad altri animali viventi sul suolo: ora per un tale
cambiamento i pipistrelli sembrano singolarmente male adatti. Queste congetture
furono fatte col solo intento di dimostrare che il passaggio da una struttura
ad un'altra a mezzo di gradini utili è un processo assai complicato,
e che non vi ha motivo di maravigliarsi se in un caso particolare tale passaggio
non è avvenuto.
In fine più di un autore ha domandato, perchè alcuni animali abbiano
ottenuto delle facoltà mentali assai più elevate di altri, mentre
il loro sviluppo sarebbe tornato utile a tutti? Perchè le scimmie non
raggiunsero il potere intellettuale dell'uomo? Si potrebbero addurre qui molte
cause, ma siccome non sono che congetture, la cui relativa probabilità
non può essere pesata, riesce inutile citarle. Una risposta definitiva
all'ultima domanda non possiamo aspettarci, giacchè vediamo che nessuno
può sciogliere il problema assai più semplice, perchè cioè
fra due razze di selvaggi, una sia salita più in alto nella scala della
civilizzazione dell'altra, ciò che con ogni probabilità implica
un'aumentatà azione cerebrale.
Ma(8) noi vogliamo ritornare alle obbiezioni del Mivart. Per ragioni di protezione
gli insetti somigliano spesso a vari oggetti; per esempio alle foglie verdi
od essiccate, ai rami morti, a pezzi di lichene, ai fiori, alle spine, agli
escrementi degli uccelli e ad altri insetti vivi; a quest'ultimo punto farò
ritorno più tardi. La somiglianza è spesso mirabilmente grande,
e non si limita al solo colore(9), ma si estende anche alla forma e perfino
all'atteggiamento degli insetti. I bruchi, i quali dagli arbusti su cui si nutrono
si staccano a guisa di rami secchi, ci offrono un evidentissimo esempio di questo
genere. I casi, in cui sono imitati degli oggetti, come gli escrementi degli
uccelli, sono rari ed eccezionali. Intorno a questo argomento il Mivart dice:
"Siccome, dietro la teoria del Darwin, sussiste una tendenza costante alla
variazione indefinita, e le minute variazioni incipienti vanno in tutte le direzioni,
esse devono neutralizzarsi e dapprima produrre modificazioni così instabili,
che riesce difficile, se non impossibile, il comprendere come tali indefinite
oscillazioni di principii infinitesimali sieno sufficienti a produrre la somiglianza(10)
con una foglia, con un bambù o con altro oggetto, in guisa che la elezione
naturale possa impadronirsene e perpetuarla".
Ma in tutti i precedenti casi gl'insetti offrivano senza dubbio allo stato originale
una certa rozza ed accidentale somiglianza con un oggetto frequente nelle loro
stazioni. Nè ciò può sembrare improbabile, se si pensa
al numero quasi infinito degli oggetti circostanti ed alla diversità
di forma e di colore nella moltitudine degli insetti esistenti. Siccome una
certa rozza somiglianza è necessaria come punto di partenza, così
noi possiamo comprendere come avvenga che nessun animale maggiore e superiore,
ad eccezione di un solo pesce, per quanto io sappia, somigli per ragioni di
protezione ad oggetti speciali, ma solamente alla superficie che lo circonda,
e ciò principalmente nel colore. Se si suppone che originariamente un
insetto somigliasse a caso in un certo grado ad un ramo morto o ad una foglia
secca e variasse leggermente in molte direzioni, tutte le variazioni che rendevano
l'insetto più somigliante a quegli oggetti e favorivano il nascondimento,
si saranno conservate, mentre le altre saranno state neglette e soppresse; oppure,
se avessero reso l'insetto meno somigliante all'oggetto imitato, saranno state
eliminate. L'obbiezione del Mivart avrebbe forza se volessimo spiegare le suddette
somiglianze indipendentemente dall'elezione naturale col mezzo della sola variabilità
fluttuante; ma nel caso nostro non ha importanza.
Io non so nemmeno vedere come possa aver forza la difficoltà mossa dal
Mivart in riguardo agli ultimi ritocchi di perfezione nel mimismo, come, ad
es., nel caso del Ceroxylus laceratus, citato dal Wallace, il quale insetto
somiglia ad un bastone coperto di muschio serpeggiante o di iungermannie. Questa
somiglianza era tanto grande, che un Dyak indigeno sosteneva essere vero muschio
quelle escrescenze fogliacee. Agli insetti danno la caccia gli uccelli ed altri
nemici, la cui vista è probabilmente più acuta della nostra; quindi
ogni grado di somiglianza che aiuta l'insetto a sfuggire alla loro vista, favorirà
la sua preservazione, e quanto più perfetta sarà la somiglianza
stessa, tanto maggiore vantaggio ne avrà l'insetto. Se si considera la
natura delle differenze esistenti fra le specie del gruppo che abbraccia il
suddetto Ceroxylus, non sembrerà improbabile che questo insetto abbia
offerto delle variazioni nelle irregolarità della sua superficie, e che
questa abbia acquistato un colore più o meno verde; imperocchè
in ogni gruppo quei caratteri, che sono diversi nelle diverse specie, tendono
maggiormente a variare, mentre, i caratteri generici, ossiano quelli che sono
comuni a tutte le specie, presentano la massima costanza.
La balena della Groenlandia è uno degli animali più ammirabili
del mondo, ed i fanoni od osso di balena costituiscono una delle sue più
rimarchevoli particolarità. L'osso di balena si compone di una fila di
fanoni, in numero di circa trecento, disposti fittamente in ciascun lato della
mascella superiore in senso obliquo all'asse longitudinale della bocca. All'interno
della fila principale trovansene alcune file secondarie. Le estremità
inferiori ed i margini interni dei fanoni sono risolti in setole rigide che
coprono tutto il gigantesco palato e servono per colare o filtrare l'acqua allo
scopo di prendere i piccoli animali, dei quali si nutre il grande animale. La
lamella o fanone di mezzo nella balena della Groenlandia ha una lunghezza di
dieci o dodici e perfino quindici piedi. Ma nelle diverse specie di balene questa
grandezza presenta delle gradazioni; secondo lo Scoresby in una specie la lamella
mediana è lunga un piede, in un'altra tre piedi, in una terza diciotto
pollici, e nella Balænoptera rostrata solamente circa nove pollici. Anche
la qualità dell'osso di balena è diverso nelle diverse specie.
Relativamente all'osso di balena, il Mivart osserva che "quand'esso avesse
raggiunta tale grandezza e sviluppo da essere di vantaggio, sarebbe favorito
dalla elezione naturale nella sua preservazione e nel suo aumento entro i limiti
utili; ma come immaginarsi il principio di tale utile sviluppo?". In risposta
potrebbe domandarsi, perchè gli antichi progenitori delle balene a fanoni
non possano aver posseduto una bocca costruita in modo simile a quella che presenta
l'anitra col suo becco fornito di lamelle? Le anitre si nutrono come le balene,
filtrando l'acqua o la melma, e la famiglia delle anitre ebbe talvolta appunto
per ciò il nome di Cribratores. Non si vorrà qui, io spero, credere,
essere mia opinione che i progenitori delle balene abbiano avuto realmente una
bocca lamellosa come l'offre il rostro dell'anitra. Io desidero solamente di
provare che ciò non è impossibile, e che gli immensi fanoni della
balena groenlandese possono essersi sviluppati da tali lamelle percorrendo degli
stadii graduati, di cui ciascuno era utile al suo possessore.
Il becco della Spatula clypeata è un prodotto ancora più ammirabile
e più complesso della bocca di una balena. La mascella superiore (nell'esemplare
da me esaminato) è fornita in ciascun lato di una serie o pettine di
188 lamelle sottili ed elastiche, le quali sono troncate obliquamente in modo
da essere puntute, e dispongonsi in senso trasversale all'asse longitudinale
del rostro. Esse nascono dal palato e sono fissate da membrane flessibili ai
lati della mascella. Quelle che trovansi verso la metà, sono le più
lunghe, misurano circa un terzo di pollice, e sporgono per un tratto di 0,14
di pollice al disotto del margine. Alla loro base osservasi una breve serie
sussidiaria di lamelle oblique trasversali. Per tale riguardo esse somigliano
ai fanoni nella bocca della balena. Ma verso l'estremità del rostro si
fanno molto diverse, giacchè sporgono verso l'interno anzi che in basso.
L'intera testa della Spatula clypeata, sebbene incomparabilmente meno voluminosa,
misura in lunghezza circa otto decimi della lunghezza della testa di una mediocre
Balænoptera rostrata, nella quale specie i fanoni sono lunghi solamente
nove pollici, per cui, se la testa della Spatula potesse farsi ugualmente grande
come quella della Balænoptera, le lamelle raggiungerebbero i sei pollici,
ossia i due terzi della lunghezza dei fanoni della balena. La mascella inferiore
della Spatula clypeata porta delle lamelle sì lunghe come le superiori,
ma più sottili; e per tale possesso essa differisce evidentemente da
quella della balena che non porta fanoni. Ma d'altra parte queste lamelle inferiori
alla loro estremità si risolvono in punte fine e setolose, così
da somigliare assai ai fanoni. Nel genere Prion, appartenente alla distinta
famiglia delle procellarie, la sola mascella superiore porta delle lamelle,
le quali sono bene sviluppate e sporgono al disotto del margine; per tale riguardo
dunque il rostro di quest'uccello somiglia alla bocca di una balena.
Dalla struttura altamente sviluppata del rostro della Spatula clypeata, noi
possiamo passare (come ho imparato dall'esame di esemplari inviatimi dal Salvin)
senza interruzione della serie, considerando solamente le misure atte alla filtrazione,
al rostro della Merganetta armata, e per alcuni riguardi a quello dell'Aix sponsa,
e da questo al rostro dell'anitra comune. In quest'ultima specie le lamelle
sono assai più grandi che nella Spatula clypeata, e bene attaccate ai
lati della mascella; ve ne hanno solamente 50 in cadaun lato e non sporgono
al disotto del margine. Le superiori sono troncate obliquamente, e coperte di
tessuto trasparente piuttosto duro, come se servissero alla triturazione del
cibo. I margini della mascella inferiore sono percorsi da numerose e sottili
creste incrociantisi, le quali sono assai poco sporgenti. Sebbene dunque questo
rostro come apparato filtrante sia molto inferiore a quello della Spatula clypeata,
nondimeno questo uccello, come tutti sanno, lo adopera continuamente a tale
scopo. Come io seppi dal Salvin, hannovi altre specie, nelle quali le lamelle
sono assai meno sviluppate che nell'anitra comune, ma io non so se esse si giovino
del rostro per filtrare l'acqua.
Passiamo ad un altro gruppo della stessa famiglia. Nell'oca egiziana (Chenalopex)
il rostro somiglia molto a quello dell'anitra comune; ma le lamelle non sono
sì numerose, nè si bene distinte tra loro, e non sporgono tanto
all'indentro. E tuttavia quest'oca, a quanto mi disse il Bartlett, adopera il
suo rostro come l'anitra, giacchè getta fuori l'acqua pei margini. Il
suo principale nutrimento però è l'erba che coglie come l'oca
comune. In quest'ultimo uccello le lamelle della mascella superiore sono molto
più grossolane che nell'anitra comune, quasi confluenti, in numero di
circa 27 in cadaun lato, terminate in alto a guisa di bottoni dentiformi. Anche
il palato è coperto di protuberanze dure rotondate. I tomi della mascella
inferiore sono muniti a mo' di sega di denti assai più prominenti, più
grossi e più acuti che nell'anitra.
Noi vediamo da ciò, come un uccello della famiglia delle anitre, con
un rostro simile a quello dell'oca comune, costruito solamente per cogliere
l'erba, oppure un uccello con un becco avente lamelle ancora meno sviluppate,
possa convertirsi per lente variazioni in una specie come l'oca egiziana, questa
in un'altra come l'anitra comune, e finalmente in una come la Spatula clypeata,
il cui rostro è quasi esclusivamente atto alla filtrazione dell'acqua,
nessuna parte di esso, tranne la punta uncinata, potendo servire alla presa
ed alla dilanazione di nutrimento solido. Voglio ancora aggiungere che il rostro
dell'oca potrebbe pure, col mezzo di leggeri cambiamenti, essere convertito
in un rostro fornito di denti prominenti e rivolti indietro, come quelli del
Merganser (uccello della stessa famiglia), il quale serve allo scopo molto diverso
di prendere pesci viventi.
Ma ritorniamo ora alle balene. L'Hyperoodon bidens non ha denti genuini in istato
funzionale, ma il suo palato, secondo il Lacépède, è ruvido
per la presenza di piccole punte corne e disuguali. Non vi è quindi nulla
di improbabile nella supposizione che una forma antica di cetaceo abbia avuto
il palato munito di simili punti cornei, i quali erano disposti più regolarmente,
e a guisa dei bottoni del rostro dell'oca servivano a rendere più facile
la presa e la dilaniazione del cibo. Se ciò fosse, non si negherà
che in seguito alla variazione ed all'elezione naturale quei punti abbiano potuto
cambiarsi dapprima in lamelle così bene sviluppate come quelle dell'oca
egiziana, nel qual caso servivano al doppio scopo di prendere il nutrimento
e di filtrare l'acqua; poi in lamelle come quelle dell'anitra comune, e così
di seguito, finchè divennero organi sì bene costruiti come le
lamelle della Spatula clypeata, ed avranno quindi servito unicamente alla filtrazione
dell'acqua. Da questo stadio, nel quale le lamelle misurano in lunghezza due
terzi dei fanoni della Balænoptera rostrata, molte gradazioni, ancor oggi
osservabili nei viventi cetacei, conducono agli enormi fanoni delle balene groenlandesi.
Non vi ha alcuna ragione per dubitare, che ogni progresso su questa scala abbia
potuto tornare utile a certi antichi cetacei, modificandosi lentamente la funzione
delle parti durante il progresso di sviluppo, nella stessa guisa come le gradazioni
della struttura del rostro sono di vantaggio agli uccelli oggi viventi della
famiglia delle anitre. Noi non dobbiamo dimenticare, che ogni specie di anitre
sostiene una lotta severa per l'esistenza, e che la struttura di ogni parte
corporea deve essere adattata alle sue condizioni di vita.
I pleuronettidi o pesci piatti sono rimarchevoli pel loro corpo asimmetrico.
Nel riposo essi giacciono sopra un lato, nel maggior numero delle specie sul
sinistro, in altre sul destro; e talvolta si hanno degli esemplari adulti con
asimmetria inversa. La superficie inferiore, ossia quella che poggia, a prima
vista somiglia alla faccia ventrale di un pesce ordinario; essa è bianca,
per molti riguardi meno sviluppata della superiore, e le pinne laterali sono
spesso di grandezza minore. Ma gli occhi presentano la maggiore singolarità,
giacchè ambedue trovansi alla faccia superiore del capo. Nella prima
giovinezza però essi sono opposti l'uno all'altro, ed in quest'età
tutto il corpo è simmetrico, ed ambedue i lati sono di uguale colore.
Ma presto l'occhio inferiore migra attorno alla testa verso la faccia superiore,
e non attraversa direttamente il cranio, come si era creduto. Egli è
chiaro che, se l'occhio inferiore non migrasse nel modo indicato, esso non potrebbe
essere menomamente adoperato dal pesce, che giace sopra uno dei lati. Oltre
ciò, l'occhio inferiore sarebbe facilmente leso coll'attrito verso il
fondo sabbioso. Che i pleuronettidi col loro corpo piatto ed asimmetrico siano
stupendamente adattati alle loro abitudini di vita, ce lo dimostra il fatto
che parecchie specie, come le sfoglie e le platesse, sono assai comuni. I vantaggi
principali che ne ricavano sono due, la protezione davanti ai loro nemici, e
la facilità di nutrirsi sul fondo del mare. Ma i diversi membri della
famiglia, come osserva lo Schiödte, offrono una lunga serie di forme graduate
fra l'Hippoglossus pinguis, il quale non cambia in modo sensibile la forma che
possiede quando sbuccia dall'uovo, e le sfoglie che sono perfettamente rovesciate
sopra un lato.
Il Mivart ha toccato questo caso, ed osserva che non è concepibile un
repentino e spontaneo cambiamento nella posizione degli occhi, ed io mi vi associo.
Poi soggiunge. "Se il transito avviene gradatamente, non si comprende come
la migrazione sopra una frazione straordinariamente piccola dell'intera distanza
fino all'altro lato del capo possa tornare utile all'individuo. Sembrerebbe
piuttosto che tale incipiente trasformazione dovesse essere dannosa". Ma
egli avrebbe potuto trovare una risposta a questa obbiezione nelle eccellenti
osservazioni pubblicate dal Malm nel 1867. I pleuronettidi, finchè sono
assai giovani e simmetrici, ed hanno gli occhi ai due lati del capo, non possono
lungamente conservare una posizione verticale, sia per l'eccessiva altezza del
corpo, sia pel leggero sviluppo delle pinne orizzontali, sia per la mancanza
della vescica natatoria. Perciò si stancano assai presto, e cadono sopra
uno dei lati al fondo. Mentre stanno quieti, in tale posizione, volgono spesso
l'occhio inferiore in alto, come ha osservato il Malm, per vedere sopra di sè,
e lo fanno così vigorosamente, che l'occhio è premuto con forza
verso la parete superiore dell'orbita. Come s'è potuto facilmente osservare,
la fronte tra gli occhi venne per conseguenza temporaneamente contratta nel
senso della larghezza. In un'occasione il Malm vide in un pesce giovane sollevarsi
ed abbassarsi l'occhio inferiore in guisa da percorrere una distanza di circa
settanta gradi.
Noi dobbiamo rammentarci che in questa tenera età il cranio è
cartilagineo, per cui cede facilmente all'azione muscolare. È noto che
anche negli animali superiori, perfino dopo trascorsa la prima gioventù,
il cranio cede e cambia la sua forma, se la cute od i muscoli siano permanentemente
contratti da malattia o da altra causa accidentale. Nei conigli a lunghe orecchie,
se un padiglione pende in avanti ed in basso, il suo peso trascina tutte le
ossa verso lo stesso lato, ciò ch'io ho illustrato con una figura. Il
Malm ci assicura che i giovani appena nati del pesce persico, del salmone e
di altri pesci simmetrici hanno l'abitudine di riposarsi qualche volta sul fondo
sopra uno dei lati; egli ha anche osservato che allora affaticano l'occhio inferiore
per guardare in alto, e che, in conseguenza di ciò, il cranio si fa leggermente
curvo. Ma questi pesci diventano presto capaci di mantenersi in posizione verticale,
e non si produce quindi un effetto durevole. I pleuronettidi invece, quanto
più diventano vecchi, tanto più sogliono riposare, sopra uno dei
lati, in seguito al crescente appiattimento del loro corpo, e si produce un
effetto durevole sulla forma del loro corpo e sulla posizione degli occhi. A
giudicare per analogia, deve ritenersi che la tendenza di torsione venga accresciuta
dal principio dell'eredità. Lo Schiödte, contraddicendo agli altri
naturalisti, ritiene che i pleuronettidi non siano simmetrici nemmeno allo stato
embrionale; se ciò fosse, noi potremmo comprendere perchè certe
specie, mentre sono giovani, cadano sopra il lato sinistro e su esso riposino,
altre specie sopra il lato destro. A conferma dell'asserto, il Malm aggiunge,
che l'adulto Trachypterus arcticus, il quale non appartiene alla famiglia dei
pleuronettidi, riposa sul fondo sopra il suo lato sinistro, e nuota per l'acqua
in senso diagonale; e in questo pesce, come si dice, i due lati del capo sono
alquanto dissimili. Il Gunther, una nostra grande autorità in ittiologia(11),
finisce il sunto della memoria del Malm colla osservazione "che l'autore
dà una spiegazione assai semplice della condizione anormale dei pleuronettidi".
Noi vediamo da ciò che i primi stadii nel transito dell'occhio da un
lato del capo all'altro, che il Mivart suppose dannosi, possono attribuirsi
all'abitudine, certamente utile tanto all'individuo come alla specie, di tentar
di guardare in alto con ambedue gli occhi mentre il pesce giace sul fondo sopra
uno dei lati. Noi possiamo poi attribuire agli effetti ereditati dall'uso che
in molte specie di pesci piatti la bocca è curvata verso il lato inferiore,
essendo le ossa mascellari più robuste e più attive alla faccia
cieca del capo, che all'opposta, affinchè il pesce, come suppone il dott.
Traquair, possa prendere il cibo dal fondo con maggiore facilità. Dall'altro
canto, il non uso ci spiega il minore sviluppo della intera metà inferiore
del corpo, comprese le pinne orizzontali, sebbene il Yarrell creda che la ridotta
grandezza di queste pinne sia utile al pesce, giacchè la loro azione
può esercitarsi in uno spazio assai minore che non quella delle pinne
maggiori superiori. Forse può spiegarsi col non-uso anche il minor numero
di denti nella metà superiore delle due mascelle, dove nella sfoglia
se ne contano 4 a 7 contro i 25 a 30 della inferiore. Dalla faccia ventrale
non colorata in quasi tutti i pesci ed in molti altri animali noi possiamo ragionevolmente
concludere che la mancanza di colore sul fianco che guarda in basso, sia il
destro o il sinistro, debbasi alla esclusione della luce. Ma non si può
supporre che le macchie particolari del fianco superiore della sfoglia, che
le danno l'aspetto del fondo sabbionoso del mare; oppure la facoltà che
hanno alcune specie, come recentemente il Pouchet ha dimostrato, di cambiare
il colore in accordo colla superficie circostante; oppure la presenza di turbercoli
ossei al lato superiore del rombo, siano altrettanti effetti dell'azione della
luce. Noi dobbiamo porre mente a ciò, su cui ho insistito più
sopra; che cioè gli effetti ereditati dall'uso accresciuto delle parti
e forse anche dal non-uso sono rafforzati dall'elezione naturale, per la quale
saranno conservate tutte le variazioni spontanee che appariscono nella vera
direzione, come saranno conservati tutti gli individui che ereditano nel più
alto grado gli effetti dell'uso accresciuto e benefico di una qualche parte.
Sembra poi impossibile il decidere, quanta parte in ogni singolo caso abbiano
avuto gli effetti dell'uso, e quanta l'elezione naturale.
Voglio citare ancora un esempio di una struttura, la quale sembra dovere la
sua origine interamente all'uso o all'abitudine. In parecchie scimmie americane
l'estremità della coda è trasformata in un organo prensile assai
perfetto, e serve di quinta mano. Un critico, il quale concorda col Mivart in
ogni dettaglio, dice a proposito di quest'organo: "Non è possibile
credere che la prima leggera tendenza alla preensione, per quanti anni durasse,
abbia potuto conservare la vita agli individui che la possedevano, od abbia
favorito la probabilità di avere e di allevare una prole". Ma non
è necessario avere una tale credenza; l'abitudine, la quale un qualunque
benefizio, grande o piccolo, apporta quasi sempre, sembra con ogni probabilità
bastare allo scopo. Il Brehm vide i giovani di una scimmia africana (Cercopithecus)
attaccarsi colle mani alla faccia inferiore della madre, e contemporaneamente
abbracciarla colle loro piccole code. Il professore Henslow tenne in cattività
alcuni Mus messorius, che non possiedono coda prensile; tuttavia li vide più
volte abbracciare colla coda i rami di un arbusto, che aveva posto nella gabbia,
per aiutarsi nel rampicare. Un'osservazione analoga mi fu riferita dal dott.
Günther, il; quale vide un sorcio appendersi col mezzo della coda. Se il
Mus messorius conducesse vita strettamente arborea, la sua coda sarebbe probabilmente
diventata prensile, come è avvenuto in alcuni altri animali dello stesso
ordine. È difficile il dire perchè il Cercopithecus, che pur allo
stato giovanile ha l'abitudine su descritta, non sia stato dotato di tale qualità;
ma è possibile che la lunga coda di questa scimmia nei larghi salti torni
più utile come organo bilanciante che come organo prensile.
Le ghiandole mammarie sono comuni a tutti i mammiferi, alla cui esistenza sono
indispensabili; esse debbono quindi essersi sviluppate in un periodo estremamerite
remoto, ma noi non sappiamo nulla di positivo intorno al modo del loro sviluppo.
Il Mivart domanda: "È concepibile che il giovane di un animale qualunque
sia stato preservato dalla distruzione perchè succhiava accidentalmente
da una ghiandola a caso ipertrofica della madre una goccia di un succo scarsamente
nutritivo? E se ciò una volta fosse avvenuto, quale probabilità
esisteva per la conservazione di una tale variazione?". Ma l'esempio non
fu bene interpretato. La maggior parte degli evoluzionisti ammette che i mammiferi
siano discesi da un marsupiale; e se ciò avvenne, le ghiandole mammarie
si saranno dapprima sviluppate dentro il marsupio. Nei pesci (Hippocampus) succede
che le uova vengano covate in una specie di simile tasca, nella quale sono anche
allevati i neonati per un certo tempo; un naturalista americano, il sig. Lockwood,
crede inoltre, appoggiandosi alle sue osservazioni sullo sviluppo dei giovani,
che questi siano nutriti con un secreto delle ghiandole cutanee del sacco. Non
sarebbe quindi possibile, in riguardo ai progenitori dei mammiferi, prima ancora
che si meritassero questo nome, che i giovani fossero nutriti in modo consimile?
Ed in tal caso, quegli individui12, che secernevano un liquido, il quale era
in un certo grado od in un certo modo più nutriente ed acquistò
la natura del latte, avranno allevato nel corso dei tempi un numero di discendenti
ben nutriti maggiore di quelli che secernevano un liquido più povero;
in tale guisa le ghiandole cutanee, che sono omologhe alle latticifere, si saranno
migliorate e rese più attive. In accordo col principio molto esteso della
specializzazione, le ghiandole si saranno meglio sviluppate sopra un determinato
spazio alla superficie interna del sacco, e saranno divenute una ghiandola mammaria,
dapprima priva di capezzolo, come si osserva ancora oggi nell'Ornithorhynchus,
il più basso membro della serie dei mammiferi. Non pretendo di decidere,
per quale causa le ghiandole siansi meglio specializzate sopra un determinato
spazio della superficie, se in parte per la compensazione di accrescimento,
se per gli effetti dell'uso, oppure per la elezione naturale.
Lo sviluppo delle ghiandole mammarie non sarebbe stato di alcuna utilità,
nè avrebbe potuto prodursi per la elezione naturale, se contemporaneamente
i neonati non si fossero resi atti ad accogliere la secrezione. Il comprendere
come i giovani mammiferi abbiano imparato istintivamente a succhiare le mammelle,
non è più difficile del comprendere come i pulcini non ancora
sbocciati abbiano imparato a rompere il guscio dell'uovo battendo contro di
esso col loro rostro specialmente adatto, o come abbiano imparato a beccare
il nutrimento poche ore dopo l'abbandono dell'uovo. Ma si dice che il giovane
canguro non succhia, ma pende dal capezzolo della madre, la quale ha il potere
di iniettare il latte nella bocca del suo discendente debole ed immaturo. A
questo riguardo, il Mivart dice: "Se non vi fosse uno speciale provvedimento,
il neonato dovrebbe infallibilmente soffocarsi per l'introduzione del latte
nella trachea. Ma la laringe è tanto prolungata, che arriva fino all'estremità
posteriore del dotto nasale, per cui l'aria può penetrare liberamente
nei polmoni, mentre il latte scorre innocuo(13) a destra ed a sinistra di questa
laringe allungata e raggiunge l'esofago posto di dietro". Il Mivart domanda
poi, in quale modo nel canguro adulto (e nel maggior numero degli altri mammiferi,
supposti discendenti di una forma marsupiale) l'elezione naturale rimuova questa
particolarità di struttura almeno perfettamente innocente ed innocua.
In risposta, si può addurre la supposizione, che la voce, la quale è
di molta importanza per gli animali, non avrebbe potuto manifestarsi colla piena
sua forza, finchè la laringe fosse penetrata fino al condotto nasale;
il professore Flower mi ha anche manifestato il sospetto che questa struttura
avesse potuto impedire l'animale nell'ingestione di nutrimento solido.
Ora vogliamo rivolgerci un poco alle divisioni inferiori del regno animale.
Gli echinodermi (stelle di mare, ricci di mare, ecc.) sono forniti di organi
molto singolari, i così detti pedicellari, i quali, se sono bene sviluppati,
costituiscono una tanaglia a tre branche, cioè tale che consta di tre
braccia seghettate al margine, combacianti tra loro e poste alla sommità
di uno stelo flessibile e movibile col mezzo di muscoli. Questa tanaglia può
tenere strettamente qualsiasi oggetto; ed Alessandro Agassiz ha osservato un
Echinus nell'atto in cui faceva passare delle particelle escrementizie di tanaglia
in tanaglia lungo certe linee del corpo per non insudiciare il suo guscio con
sostanze putrescenti. Senza dubbio, questi pedicellari non servono solamente
ad allontanare le feci, ma anche ad altre funzioni, ed una di queste sembra
essere la difesa.
Come nelle molte altre precedenti occasioni, il Mivart domanda anche in riguardo
a questi organi: "Quale sarebbe l'utilità di un tale organo rudimentale
al suo primo apparire, e come potrebbe un tale abbozzo incipiente e gemmiforme
aver conservata la vita anche ad un solo Echinus?". E soggiunge poi: "Nemmeno
il repentino sviluppo dell'azione acchiappante avrebbe potuto essere benefico
senza lo stelo liberamente mobile, e questo non avrebbe potuto mostrarsi attivo
senza le branche chiudentisi a mo' di mascelle: ora, le sole minute variazioni
indefinite non avrebbero potuto produrre ad un tempo queste particolarità
di struttura complicate e collegate insieme; che se alcuno ciò negasse,
sosterrebbe un imbarazzante paradosso". Per quanto possa sembrare paradossale
al Mivart, pure esistono certamente in alcune stelle di mare tali tanaglie a
tre branche, fisse alla loro base, e tuttavia capaci di acchiappare; e ciò
si comprende se si riflette che servono almeno in parte come mezzi di difesa.
L'Agassiz, alla cui gentilezza debbo molte informazioni su questo argomento,
mi assicura che esistono altre stelle di mare, nelle quali una delle tre branche
è ridotta a un semplice sostegno delle altre due, ed altre ancora, in
cui la terza branca è andata completamente smarrita. Nell'Echinoneus,
secondo la descrizione(14) del Perrier, il guscio porta due specie di pedicellari,
gli uni somiglianti a quelli dell'Echinus, gli altri a quelli dello Spatangus;
e tali casi sono sempre interessanti, perchè ci offrono il mezzo di spiegare
i passaggi apparentemente repentini, a mezzo di abortimento, da una a due forme
di uno stesso organo.
Relativamente ai gradini che questi organi singolari hanno percorso, l'Agassiz,
in seguito alle sue ricerche e a quelle di G. Müller, conclude che tanto
nelle asterie come negli echini i pedicellari sono senza dubbio da considerarsi
come aculei trasformati. Ciò può dedursi tanto dal modo di sviluppo
nell'individuo, come da una lunga e completa serie di gradazioni in diverse
specie e generi, la quale dalle semplici granulazioni passa agli ordinari aculei
ed ai perfetti pedicellari di tre branche. La gradazione si estende perfino
alla maniera con cui gli aculei ordinari ed i pedicellari articolano sul guscio
coi bastoncini calcarei che li sostengono. In certi generi di asterie si rinvengono
perfino le combinazioni atte a dimostrare che i pedicellari sono aculei ramosi
modificati. Così trovansi degli aculei fissi con tre rami ad eguale distanza
fra loro, dentellati e mobili, articolati in prossimità della loro base,
e più in alto sullo stesso aculeo tre altri rami mobili. Se questi ultimi
nascono dall'apice di un aculeo, essi formano in realtà un rozzo pedicellario
a tre branche, ed un tale può vedersi in uno stesso aculeo co' tre rami
inferiori. In questo caso l'identità nell'essenza fra le braccia di un
pedicellario ed i rami mobili di un aculeo è innegabile. Si ammette generalmente
che gli aculei ordinari servono alla difesa; e se ciò è vero,
non può esistere alcun dubbio che allo stesso scopo servano anche quelli
forniti di braccia seghettate e mobili, ed essi compirebbero anco più
efficacemente il loro servizio, se agissero nel loro insieme come apparato prensile
od acchiappante. Per conseguenza ogni gradazione dall'ordinario aculeo fisso
al pedicellario sarà di vantaggio all'animale.
In certi generi di asterie, questi organi, anzichè essere fissati sopra
una base immobile, trovansi all'apice di uno stelo flessibile e muscoloso, sebbene
breve, ed in tale caso compiono probabilmente un'altra funzione, oltre la difesa.
Negli echini si possono seguire gli aculei fissi passo a passo, mentre si articolano
al guscio e diventano mobili. Desidererei di avere maggiore spazio a mia disposizione,
per dare un sunto esteso delle interessanti osservazioni dell'Agassiz sullo
sviluppo dei pedicellari. Da quanto egli aggiunge, si rileva che si possono
rinvenire tutte le gradazioni possibili fra i pedicellari delle asterie e gli
uncini delle ofiure, altro gruppo di echinodermi, e così pure fra i pedicellari
degli echini e le áncore delle oloturie, che appartengono alla stessa
grande classe.
Certi animali composti, o zoofiti, come furono chiamati, e precisamente i briozoi,
sono forniti di organi molto singolari che diconsi avicolarie. Queste diversificano
assai nella loro struttura nelle specie diverse. Nel loro stato perfetto somigliano
in miniatura mirabilmente alla testa ed al rostro di un avoltoio, giacchè
siedono sopra un collo il quale è mobile, come lo è in pari grado
anche la mascella inferiore. In una specie da me osservata, vidi tutte le avicolarie
di uno stesso ramo muoversi contemporaneamente, colla mascella inferiore ampiamente
spalancata, in alto ed in basso, in modo da percorrere in pochi secondi un angolo
di circa 90°; ed il loro movimento produceva un tremito per tutta la colonia.
Se si toccano le mascelle con un ago, questo viene afferrato così fortemente,
che con esso si può scuotere l'intero ramo.
Il Mivart cita questo caso, perchè crede difficile che organi come le
avicolarie dei briozoi ed i pedicellari degli echinodermi, che egli suppone
essenzialmente simili, abbiano potuto svilupparsi col mezzo della elezione naturale
in divisioni di animali tanto distanti fra loro. Ma per ciò che concerne
la struttura, io non posso trovare alcuna somiglianza fra un pedicellario a
tre branche ed un'avicolaria od organo a modo di becco d'uccello. Quest'ultima
somiglia nel suo complesso piuttosto ad una chela di crostaceo; ed il Mivart
avrebbe potuto con ugual diritto mettere avanti come speciale difficoltà
questa somiglianza, e perfino la somiglianza colla testa e col rostro di un
uccello. Le avicolarie, al dire del Busk, dello Smith e del Nitsche, i quali
naturalisti hanno particolarmente studiato questo gruppo, sono omologhe dei
singoli individui e delle loro cellule componenti lo zoofito; il labbro mobile
o l'opercolo della cellula corrisponderebbe alla mascella inferiore e mobile
dell'avicolaria. Il Busk però non conosce delle gradazioni ora esistenti
fra un singolo animale ed un'avicolaria. Torna quindi difficile il supporre
per quali gradi l'uno siasi trasformato nell'altra, ma non segue da ciò
che tali gradi non siano esistiti.
Siccome le chele dei crostacei somigliano in un certi grado alle avicolarie
dei briozoi, ambedue servendo da pinzette, sarà opportuno dimostrare
che delle prime si ha una lunga serie di gradazioni. Sul primo e più
semplice gradino il segmento terminale dall'arto è piegato in basso,
sia contro l'estremità obliqua del penultimo largo segmento, sia contro
tutta una faccia del medesimo, ed è reso così atto a tenere un
oggetto, mentre però l'arto intero serve ancor sempre da organo di locomozione.
Poi vediamo sporgere leggermente uno degli angoli del penultimo largo segmento,
talvolta munito di denti irregolari, e contro esso si flette il segmento terminale.
In seguito all'ingrandimento di quella sporgenza ed una leggera modificazione
e perfezionamento della sua forma e dell'articolo terminale, le branche si fanno
sempre più perfette, finchè costituiscono uno strumento così
attivo come è la chela di un omaro; e tutte queste gradazioni sussistono
di fatto al presente.
Oltre le avicolarie, i briozoi possiedono altri organi singolari, i così
detti vibracoli. Essi constano in generale di setole lunghe, capaci di movimento
e facilmente eccitabili. In una specie da me osservata, i vibracoli erano leggermente
curvati, e seghettati lungo il margine inferiore; e spesso tutti quelli di una
medesima colonia si movevano contemporaneamente, in modo che agendo come remi
gettavano rapidamente una branca attraverso al portaoggetti del microscopio.
Se una branca veniva posta sulla sua faccia, i vibracoli si intricavano, e facevano
degli sforzi violenti per liberarsi. Si suppone che essi servano come organi
di difesa, e si può osservare, dice il Busk, "come essi, oscillando
alla superficie della colonia, allontanano tutto ciò che può recare
offesa ai delicati abitatori delle cellule, quando hanno distesi i tentacoli".
Le avicolarie servono, probabilmente, come i vibracoli, di difesa, ma prendono
ed uccidono anche piccoli animali, i quali, come si crede, giungono poi per
mezzo. delle correnti entro la sfera di azione dei tentacoli dei singoli animali.
Alcune specie son fornite di avicolarie e di vibracoli, altre di sole avicolarie,
ed altre poche di soli vibracoli.
Non è facile immaginarsi due oggetti più diversi tra loro nell'apparenza
che una setola o vibratolo ed un'avicolaria a guisa di testa d'uccello; e tuttavia
essi sono omologhi, e si sono sviluppati dalla stessa sorgente, da un singolo
individuo, cioè, colla sua cellula. Si comprende quindi, perchè
questi organi, come mi disse il Busk, facciano spesso passaggio l'uno all'altro.
Così nelle avicolarie di parecchie specie di Lepralia la mascella mobile
inferiore è talmente prolungata, da somigliare ad una setola, in modo
che solo la presenza della mascella superiore o fissa ci assicura trattarsi
di un'avicolaria. I vibracoli possono essersi sviluppati direttamente dall'opercolo
della cellula, senza attraversare lo stadio di avicolaria; è però
probabile che abbiano percorso questo stadio, perchè difficilmente durante
gli stadii anteriori di trasformazione le altre parti della cellula coll'incluso
animale sono scomparse ad un tratto. In molti casi i vibracoli hanno un sostegno
fornito di una fossetta, il quale sembra rappresentare il becco superiore immobile;
ma questo sostegno manca in alcune specie. Questa idea intorno allo sviluppo
dei vibracoli, ammesso che sia giusta, è interessante, poichè,
se le specie fornite di avicolarie si fossero estinte, nessuno, nemmeno chi
fosse dotato della più fervida fantasia, avrebbe pensato che i vibracoli
abbiano fatto parte di un organo somigliante ad una testa di uccello, ad una
cappa o scatola irregolare. È interessante di vedere, come due organi
tanto diversi tra loro siansi sviluppati da una comune sorgente; e siccome l'opercolo
mobile della cellula serve di protezione allo zooide, si può ammettere
che tutte le gradazioni che il coperchio ha percorso sotto forma di mascella
inferiore nell'organo a guisa di testa di uccello e poi sotto quella di setola
allungata, abbiano parimenti servito di protezione in maniere diverse ed in
differenti condizioni.
Dal regno vegetale il Mivart cita due soli casi, e cioè la struttura
dei fiori nelle orchidee ed i movimenti delle piante rampicanti. A riguardo
della prima, egli dice: "La spiegazione della loro (dei fiori) origine
è affatto insufficiente, incapace di far conoscere i primi passi infinitesimali
di struttura che non sono utili finchè non sono notevolmente sviluppati".
Siccome ho trattato questo argomento diffusamente in un'altra opera, mi limito
a dare qui alcuni dettagli intorno ad una sola delle più salienti particolarità
che offrono i fiori delle orchidee, cioè intorno ai loro pollinari. Un
pollinario, quando è bene sviluppato, consta di un ammasso di grani pollinici,
il quale è attaccato ad un sostegno elastico o caudicolo che riposa sopra
una piccola massa di sostanza straordinariamente viscida. In tale modo i pollinari,
col mezzo degli insetti, sono portati da un fiore sullo stimma di un altro.
In alcune orchidee manca il caudicolo alle masse polliniche, ed i grani sono
collegati insieme da sottili filamenti; ma siccome questi non sono ristretti
alle sole orchidee, non devono qui esser presi in considerazione, e solo dirò
che al fondo della intera serie delle orchidee, nel Cypripedium, noi possiamo
vedere, come probabilmente questi filamenti siansi sviluppati. In altre orchidee
i filamenti sono coerenti ad uno dei capi della massa pollinica, ed in ciò
noi possiamo trovare il primo vestigio di un caudicolo incipiente. Che tale
sia l'origine del caudicolo, anche quando si trovi di considerevole lunghezza
ed altezza, ce lo dimostrano con evidenza i grani pollinici abortiti, i quali
talvolta si vedono riposti entro le parti centrali e solide.
Quanto alla seconda notevole particolarità, la scarsa quantità
di sostanza viscida che è attaccata alla estremità del caudicolo,
può citarsi una lunga serie di gradazioni, di cui ognuna è di
evidente vantaggio per la pianta. In quasi tutti i fiori delle piante appartenenti
ad altri ordini, lo stimma secerne un po' di sostanza viscida. Ora, nelle orchidee,
è secreta una simile sostanza viscida, ma in quantità molto maggiore
e solamente da uno dei tre stimmi, il quale, forse in seguito a tale abbondante
secrezione, diventa infecondo. Se un insetto visita un fiore di questa specie,
egli deterge una piccola parte della sostanza viscida, ed in pari tempo trasporta
seco alcuni grani di polline. Da questo semplice stato, non molto diverso da
quello dei fiori ordinari, numerose gradazioni conducono a quelle specie, nelle
quali la massa pollinica finisce in un breve caudicolo libero, poi ad altre,
in cui il caudicolo è fissato alla massa viscida, mentre lo stimma infecondo
stesso è notevolmente modificato. In quest'ultimo caso noi avremo un
pollinario nel più elevato suo sviluppo e nello stato più perfetto.
Chi esamini da sè i fiori delle orchidee, non potrà negare che
la precitata serie di gradazioni esista realmente, una serie che conduce da
una massa di grani pollinici, i quali sono connessi insieme da filamenti, mentre
lo stimma assai poco differisce da quello dei fiori ordinari; fino al pollinario
assai complicato, che è maravigliosamente adattato ad essere trasportato
dagli insetti; nè potrà negare che tutte le gradazioni nei fiori
diversi ed in riguardo alla generale struttura di ciascun fiore, siano molto
adatte ad agevolare la fecondazione col mezzo degli insetti. In questo, come
quasi in ogni altro caso, le ricerche possono essere spinte più oltre,
può cioè domandarsi, come sia avvenuto che lo stimma di un fiore
comune, diventasse viscido. Ma siccome noi non conosciamo la storia completa
nemmeno di un solo gruppo di esseri organici, la domanda è tanto inutile,
quanto è vano il tentativo di rispondere a siffatte domande.
Volgiamoci ora alle piante rampicanti. Esse possono disporsi in una lunga serie,
incominciando da quelle che si avvinghiano semplicemente attorno ad un sostegno,
e passando poi ad altre che si arrampicano colle foglie e ad altre ancora che
sono munite di cirri. In queste due ultime classi i cauli hanno in generale,
sebbene non sempre, perduta la facoltà di rampicare, e nondimeno hanno
conservato la facoltà di avvolticchiarsi che i cirri possiedono in simile
grado. Le gradazioni fra le rampicanti a mezzo delle foglie e le rampicanti
coi cirri sono mirabilmente strette, e certe piante si possono classificare
indifferentemente in ambedue le classi. Ma se si sale nelle serie, dalle forme
rampicanti semplici a quelle che si arrampicano colle foglie, vi si aggiunge
una qualità assai rimarchevole, la sensibilità cioè al
contatto, in seguito a cui gli steli delle foglie o dei fiori od i cauli modificati
e trasformati in cirri subiscono una irritazione, ed in conseguenza si avvinghiano
intorno all'oggetto che li tocca e lo abbrancano. Chi vuole leggere la mia memoria
intorno a questo argomento, dovrà ammettere, io credo, che tutte le svariate
gradazioni nella struttura e nelle funzioni fra le forme semplicemente rampicanti
e quelle munite di cirri siano in ogni singolo caso di grande utilità
per la specie. Così, ad esempio, torna evidentemente utile per una pianta
rampicante l'avvinghiarsi col mezzo delle foglie, ed è probabile che
ogni forma rampicante, fornita di foglie a lunghi picciuoli, si sarebbe trasformata
in una siffatta rampicante, se i picciuoli avessero posseduto anche in grado
leggero la sensibilità pel contatto.
Siccome il rampicare è il mezzo più semplice per salire attorno
ad un sostegno, e costituisce quindi la base della nostra serie, così
può domandarsi, come le piante abbiano acquistata questa facoltà
in grado incipiente, e l'abbiano di poi perfezionata e rafforzata colla elezione
naturale. La facoltà di rampicare dipende primieramente dalla straordinaria
flessibilità del caule, finchè è molto giovane (e questo
è un carattere che offrono molte piante anche non rampicanti); ed in
secondo luogo, il caule deve volgersi di continuo verso tutte le plaghe, e cioè
successivamente nello stesso ordine da una all'altra. Questo movimento determina
il caule a piegarsi da tutte le parti ed a muoversi intorno a sè. Quando
la parte inferiore del caule urta contro un oggetto ed è arrestata, la
superiore continua a piegarsi ed a girare, ed in conseguenza si avvinghia in
alto intorno al sostegno. Il movimento rivolgente cessa dopo il primo accrescimento
di ogni ramo. Siccome singole specie e singoli generi di piante, appartenenti
a famiglie tra loro molto distanti, possiedono la facoltà di avvolticchiarsi
e divennero perciò rampicanti, così dobbiamo concludere che l'abbiano
acquistata indipendentemente e non ereditata da un comune progenitore. Potei
quindi prevedere che una leggera tendenza a tale movimento non doveva essere
rara nelle piante non rampicanti, e ch'essa abbia fornito la base su cui l'elezione
naturale ha incominciato la sua opera di perfezionamento. Quando io faceva questa
predizione, non conosceva che un caso imperfetto, e cioè i giovani steli
fiorali di una Maurandia, i quali si avvolticchiavano leggermente ed in modo
irregolare come il caule di molte piante rampicanti. Poco tempo dopo, Fr. Müller
scoperse che si avvolticchiavano irregolarmente ma distintamente i giovani cauli
di un Alisma e di un Linum, di due piante dunque che non si arrampicano e sono
tra loro molto discoste nel sistema; e disse di aver ragione per sospettare
che ciò avvenga in alcune altre piante. Questi insignificanti movimenti
non sembrano di alcun vantaggio per le piante accennate, ed in ogni modo non
sono della menoma utilità a riguardo del rampicamento, di cui qui ci
occupiamo. Nondimeno può dirsi, che se i cauli di queste piante fossero
stati flessibili e se nelle loro condizioni di vita fosse stato utile salire
in alto, l'abitudine di avvolticchiarsi in modo leggero ed irregolare sarebbe
stata rafforzata e messa a profitto dall'elezione naturale, fino al punto da
rendere una specie perfettamente rampicante.
Relativamente alla sensibilità degli steli delle foglie e dei fiori,
ed ai cirri, possono applicarsi pressochè le stesse osservazioni, come
nel caso dei movimenti di avvolticchiamento delle piante rampicanti. Siccome
moltissime piante, appartenenti a gruppi assai distanti tra loro, sono fornite
di questa specie di sensibilità, noi dovremmo rinvenirla in istato nascente
in molte piante che non sono divenute rampicanti. E così è. Io
ho osservato che i giovani steli della su citata Maurandia si curvarono leggermente
verso il lato che veniva toccato. Il Morren ha trovato in diverse specie di
Oxalis che le foglie, specialmente se esposte a sole cocente, si muovevano intorno
ai loro steli, appena erano leggermente e ripetutamente toccate, oppure veniva
scossa la pianta. Io ripetei queste osservazioni sopra altre specie di Oxalis,
ed ottenni il medesimo risultato; in alcune di esse il movimento era distinto,
ma meglio visibile nelle foglie giovani; in altre era estremamente leggero.
Ma è un fatto assai più significante, che cioè, secondo
la grande autorità dell'Hofmeister, tutti i giovani rampolli e foglie
delle piante si muovono quando siano stati scossi; e nelle piante rampicanti,
come si sa, i cauli ed i cirri sono sensitivi soltanto nei primi stadi di accrescimento.
Non pare possibile che i suddetti insignificanti movimenti, i quali si manifestano
negli organi giovani e crescenti delle piante in seguito a contatto o scossa,
siano per le piante stesse di una qualche importanza fisiologica. Ma i vegetali
hanno la facoltà di muoversi in dipendenza da stimoli diversi che sono
per esse di manifesta importanza, ad esempio verso la luce e più veramente
fuggendo la luce, in opposizione alla gravità e più raramente
nella direzione di essa. Se i nervi e i muscoli di un animale vengono eccitati
col galvanismo o coll'assorbimento di stricnina, i movimenti consecutivi possono
dirsi incidentali; imperocchè i nervi e i muscoli non furono resi specialmente
sensitivi a questi stimoli. Simil cosa avviene nelle piante; siccome esse hanno
il potere di muoversi in obbedienza a certi stimoli, così dal contatto
o da una scossa esse vengono eccitate in modo incidentale. Non v'ha perciò
grande difficoltà nell'ammettere che nelle piante che si arrampicano
colle foglie o coi cirri precisamente questa tendenza sia stata rafforzata ed
impiegata pel bene della pianta dall'elezione naturale. Per ragioni, però,
che io ho esposto nella mia Memoria, è probabile che ciò sia avvenuto
solamente in quelle piante, le quali avevano già raggiunto la facoltà
di avvolticchiarsi, ed erano perciò divenute forme avvinghiantisi.
Ho già cercato di spiegare, come le piante abbiano raggiunta la facoltà
di rampicare, cioè col rafforzamento della tendenza, dapprima affatto
inutile, di avvolticchiarsi in modo leggero ed irregolare; questo movimento,
non meno che quello dovuto a contatto o scossa, era il risultato incidentale
del potere di movimento ottenuto per altri e benefici scopi. Se durante lo sviluppo
graduale delle piante rampicanti l'elezione naturale sia stata aiutata dagli
effetti ereditati dell'uso, non pretendo di decidere; noi però sappiamo
che certi movimenti periodici, come ad esempio il sonno delle piante, sono governati
dall'abitudine. Degli argomenti prescelti da un abile naturalista per provare
che l'elezione naturale sia insufficiente a spiegare i primi gradini delle strutture
utili, ho parlato abbastanza e forse più che abbastanza, e spero d'aver
dimostrato che da questo lato non sorgono grandi difficoltà. Mi si è
in quest'incontro offerta l'opportunità di diffondermi un poco intorno
a quelle gradazioni di struttura che spesso si associano a cambiamento di funzioni;
è questo un argomento importante che non fu sufficientemente sviluppato
nelle precedenti edizioni di quest'opera. Voglio ora riassumere gli esempi citati
nelle righe che precedono.
Quanto alla giraffa, la continua preservazione di quegli individui di un ruminante
estinto e molto antico, che avevano più lunghi il collo, gli arti, ecc.,
e potevano cogliere le foglie ad un'altezza maggiore della media, e la continua
estinzione di quelli che non arrivavano così in alto, avranno bastato
per produrre questo animale singolare; inoltre, il continuo uso di tutte queste
parti, congiunto alla ereditabilità, ne avrà favorito la coordinazione
in modo importante. Riguardo ai molti insetti che imitano oggetti diversi, non
è improbabile l'opinione che una somiglianza accidentale con un oggetto
comune abbia costituita in ogni singolo caso la base su cui ha agito l'elezione
naturale, opera che venne poi perfezionata colla occasionale preservazione di
quelle variazioni che rendevano la somiglianza in qualche modo maggiore, e che
sarà stata continuata finchè l'insetto continuava a variare, la
somiglianza sempre crescente favoriva il suo salvamento dai nemici di vista
acuta. In certe specie di cetacei sussiste la tendenza alla formazione di piccole
prominenze cornee irregolari nel palato, e sembra che fosse pienamente entro
la sfera di azione dell'elezione naturale di preservare tutte le utili variazioni,
a segno da trasformare quelle prominenze in tubercoli o denti lamellosi, come
nel rostro dell'oca, poi in brevi lamelle così perfette come quelle della
Spatula clypeata, e finalmente nei giganteschi fanoni come quelli che vedonsi
nella bocca della balena groenlandese. Nella famiglia delle anitre le lamelle
servirono da prima come denti, poi in parte come denti ed in parte come apparato
di filtrazione, ed in fine quasi esclusivamente a quest'ultimo scopo.
Nelle strutture del genere delle su citate lamelle cornee o dei fanoni l'abitudine
o l'uso, per quanto possiamo giudicare, non hanno od hanno assai poco contribuito
al loro sviluppo. Ma invece il trasferimento dell'occhio inferiore dei pesci
piatti alla faccia superiore della testa, e la formazione di una coda prensile
possono attribuirsi quasi interamente all'uso continuo collegato colla ereditabilità.
Relativamente alle ghiandole latticifere dei mammiferi superiori, la supposizione
più probabile è questa, che originariamente le ghiandole cutanee
all'intera superficie del marsupio secernevano una sostanza nutriente, e che
queste ghiandole col mezzo della elezione naturale siano state perfezionate
nella loro funzione, e raccolte sopra uno spazio ristretto per costituire le
ghiandole latticifere. La difficoltà di comprendere come le spine ramificate
di un antico echinoderma, le quali servivano come organi di difesa, siano state
trasformate dalla elezione naturale in pedicellari a tre branche, non è
maggiore di quella che incontrasi nello spiegare come siansi formate le chele
dei crostacei con modificazioni leggere ed utili dell'articolo ultimo e penultimo
di un arto che dapprima serviva solamente alla locomozione. Negli organi a testa
d'uccello e nei vibracoli dei briozoi abbiamo visto degli apparati assai distanti
tra loro all'apparenza esterna, ma sviluppatisi da una medesima forma fondamentale;
e nei vibracoli s'è potuto comprendere come le successive gradazioni
abbiano potuto essere utili. Per ciò(15) che riguarda i pollinari delle
orchidee, abbiamo potuto vedere come i filamenti, i quali originariamente servivano
per tenere insieme i grani pollinici, si sono uniti insieme per formare il caudicolo,
e si possono anche seguire i gradini, pe' quali la massa viscida, tale quale
è secreta dai pistilli dei fiori comuni a scopo simile sebbene non identico,
viene attaccata alla libera estremità del caudicolo, essendo tutte queste
gradazioni di evidente vantaggio per la relativa pianta. Non occorre che io
ripeta ciò che poc'anzi dissi delle piante rampicanti.
Si è domandato spesso: se l'elezione naturale è tanto potente,
perchè certe specie non hanno acquistato questa o quella struttura che
loro sarebbe evidentemente utile? Ma non è ragionevole pretendere una
risposta a siffatte domande, sapendosi che è grande la nostra ignoranza
intorno alla storia di ogni specie, ed intorno alle condizioni che oggidì
determinano il numero de' suoi individui e la sua geografica distribuzione.
Nel maggior numero de' casi non possonsi addurre che ragioni generali, e solo
in poche cause speciali. Ad esempio, per adattare una specie a nuove condizioni
di vita, sono quasi indispensabili molte modificazioni tra loro coordinate,
e spesso sarà succeduto che le parti richieste non abbiano variato in
modo giusto o fino a quel grado che era necessario. Molte specie devono essere
state impedite di accrescere il numero de' loro individui da cause di distruzione,
le quali non stanno in alcun rapporto con certe strutture che ci immaginiamo
conservate dall'elezione naturale, perchè ci sembrano utili per le specie.
Siccome in questi casi la lotta per l'esistenza non è dipesa da tali
strutture, esse non potevano essere acquistate col mezzo della elezione naturale.
In molti casi allo sviluppo di una determinata struttura richiedonsi condizioni
complicate e di lunga durata, spesso di natura peculiare, le quali possono essere
apparse raramente. Il supposto che una data struttura, che noi, spesso erroneamente,
crediamo utile per una specie, sia stata acquistata, in tutte le circostanze
col mezzo della elezione naturale, è in opposizione colle nostre opinioni
alla maniera della sua azione. Il Mivart non nega che l'elezione naturale abbia
prodotto degli effetti, ma egli la considera insufficiente a spiegare gli effetti
ch'io le ho attribuito. Le principali sue ragioni sono state prese in considerazione,
e di altre parleremo più tardi. Mi sembra che esse non abbiano il carattere
di una dimostrazione, e poca importanza di fronte alle ragioni che militano
in favore della elezione naturale e degli altri agenti particolarmente accennati.
Mi credo in obbligo di aggiungere che alcuni dei fatti e delle argomentazioni
qui addotti furono già esposti, allo stesso scopo, in un articolo apparso
nella Medico-chirurgical Review.
Oggidì tutti i naturalisti ammettono una evoluzione in una certa forma.
Il Mivart crede che le specie variano in seguito ad una interna forza o tendenza,
che non pretende di conoscere in particolare. Che le specie abbiano la facoltà
di subire dei cambiamenti, è ammesso da tutti gli evoluzionisti; ma mi
sembra che nulla ci induca ad invocare una forza interna oltre quella ordinaria
variabilità, la quale, diretta dall'uomo, ha prodotto tante razze domestiche
sì bene adattate, e che coll'aiuto della elezione naturale può
produrre in simil guisa a lenti passi le razze e le specie naturali. Come fu
già osservato, il risultato finale sarà generalmente un progresso,
in alcuni pochi casi un regresso nella organizzazione.
Il Mivart ed alcuni altri naturalisti con lui sono inclinati ad ammettere che
le nuove specie appariscano di repente ed in seguito a subitanee modificazioni.
Egli suppone, per esempio, che le differenze fra l'estinto Hipparion triungulato
ed il cavallo si siano manifestate repentinamente. Egli trova difficoltà
nell'ammettere che l'ala di un uccello "siasi sviluppata altrimenti che
in seguito ad una modificazione comparativamente subitanea ed in modo evidente
e significativo", e pare ch'egli voglia estendere lo stesso modo di vedere
agli organi del volo dei pipistrelli e dei pterodattili. Questa conclusione,
la quale implica grandi salti ed interruzioni, mi sembra improbabile al massimo
grado.
Ognuno, il quale ammetta la evoluzione lenta e graduale, deve ritenere che i
cambiamenti specifici abbiano potuto apparire così subitamente e così
grandi come ogni altra variazione che noi incontriamo allo stato di natura od
anche a quello di domesticità. Ma siccome le specie addomesticate o coltivate
sono più variabili di quelle che si trovano nelle loro naturali condizioni,
non è probabile che le variazioni in natura siano apparse così
repentine e così grandi come frequentemente apparvero in domesticità.
Di queste ultime variazioni parecchie possono essere attribuite alla riversione;
ed è probabile che i caratteri apparsi in tal guisa siano stati spesso
acquistati gradatamente. Un numero ancor maggiore di esse dobbiamo considerare
come mostruosità, così l'apparsa di sei dita, l'uomo istrice,
la pecora Ancon, i buoi Niata, ecc., e siccome diversificano assai nel loro
carattere dalle specie naturali, non gettano che poca luce sul nostro argomento.
Se si escludano tali casi dalle repentine variazioni, i pochi che ancora rimangono,
se si incontrano allo stato di natura, ci rappresentano altrettante specie dubbie,
molto affini ai loro tipi estinti.
Le mie ragioni per dubitare che le specie naturali siansi modificate così
subitamente come le razze a caso domesticate, e per non essere in alcun modo
persuaso che siansi cambiate in quella maniera miracolosa come crede il Mivart,
sono le seguenti. L'esperienza ci insegna che le variazioni subitanee e ben
marcate si mostrano nei nostri prodotti domestici isolatamente ed a lunghi intervalli.
Se avvenissero in natura, sarebbero soggette, come prima fu detto, a perdersi
per effetto di cause accidentali di distruzione e pel susseguente incrociamento;
e si sa che altrettanto succede allo stato domestico, se le variazioni repentine
non vengono preservate e tenute distinte dalla cura dell'uomo. Affinchè
si formasse una nuova specie nella guisa supposta dal Mivart, sarebbe necessario
che, in opposizione ad ogni analogia, apparissero simultaneamente entro un medesimo
distretto parecchi individui modificati in modo maraviglioso. Come nel caso
della elezione inconscia dell'uomo, questa difficoltà è tolta
secondo la teoria dello sviluppo graduale, colla conservazione di un numero
grande di individui varianti in una qualsiasi favorevole direzione, e colla
distruzione di molti che variano in senso opposto.
Non v'ha dubbio che molte specie siansi sviluppate in maniera estremamente graduata.
Le specie e perfino i generi di molte grandi famiglie naturali sono così
strettamente affini fra loro, che spesso riesce difficile la lato distinzione.
In ogni continente, viaggiando da nord a sud, o dalla pianura nelle alte regioni,
ecc., noi incontriamo molte specie strettamente affini o rappresentative, nello
stesso modo come le troviamo in certi continenti diversi, di cui possiamo supporre
che un giorno fossero in continuità; ma facendo queste e le successive
osservazioni, devo toccare degli argomenti che saranno svolti più tardi.
Si volga lo sguardo alle molte isole che circondano un continente, e si vedrà
come molti dei suoi abitatori non possono essere elevati che al rango di specie
dubbie. Avviene altrettanto, se gettiamo uno sguardo ai tempi passati e confrontiamo
le specie da poco scomparse con quelle che ora abitano il medesimo distretto;
oppure se confrontiamo tra loro le specie fossili racchiuse nei diversi piani
di una medesima formazione geologica. Si rileva allora che molte specie sono
strettamente affini con altre ancora esistenti o da poco scomparse, e ben difficilmente
si vorrà sostenere che tali specie si siano sviluppate in modo subitaneo.
Se poi si faccia attenzione alle parti speciali di specie affini, anzichè
alle specie distinte, si potranno seguire le gradazioni numerose ed estremamente
leggere che congiungono insieme le differenti strutture.
Molti e grandi gruppi di fatti non si comprendono che ricorrendo al principio
dello sviluppo delle specie a mezzo di piccoli gradini; così, ad esempio,
il fatto che le specie dei generi maggiori sono più strettamente affini
tra loro ed offrono un maggiore numero di varietà che non le specie dei
generi minori. Le prime si raccolgono anche intorno a piccoli gruppi, come le
varietà intorno alle specie, ed offrono altre analogie colle varietà,
come fu dimostrato nel capo secondo. Il medesimo principio ci dice ancora perchè
i caratteri specifici siano più variabili dei generici; e perchè
le parti sviluppate in modo ed in grado straordinario siano più variabili
di altre parti della medesima specie. Potrebbero citarsi altri analoghi fatti
che conducono alla medesima conclusione.
Sebbene moltissime specie siano state prodotte quasi certamente per gradazione,
non maggiori di quelle che separano le leggere varietà, tuttavia può
sostenersi che alcune si siano formate in modo diverso e repentino. Ma tale
concessione non deve farsi se non coll'appoggio di prove valenti. Le analogie
vaghe ed in parte erronee addotte da Chauncey Wright in appoggio di tale idea,
come sarebbero la repentina cristallizzazione delle sostanze inorganiche o la
caduta di uno sferoide faccettato da una faccetta all'altra, non meritano alcuna
considerazione. Nondimeno una serie di fatti, e cioè l'apparsa repentina
di nuove e diverse forme di vita ne' periodi geologici sostiene a tutta prima
l'idea di uno sviluppo subitaneo. Ma il valore di questa prova dipende interamente
dalla perfezione degli avanzi geologici, riferibili a periodi molto distanti
nella storia del mondo. Se questi avanzi sono così frammentari, come
molti geologi espressamente dicono, non deve sorprenderci che le nuove forme
appariscano come sviluppatesi di repente.
Se non ammettiamo trasformazioni così prodigiose come quelle che invoca
il Mivart, ad esempio lo sviluppo repentino delle ali degli uccelli e dei pipistrelli,
o la subitanea trasformazione dell'Hipparion nel cavallo, il supposto che siano
avvenute modificazioni subitanee non getta alcuna luce sulla mancanza degli
anelli intermedi nelle nostre formazioni geologiche; mentre contro tale supposto
protesta altamente la embriologia. È noto che le ali dell'uccello e del
pipistrello e gli arti dei cavalli e di altri quadrupedi non possono distinguersi
fra loro in un periodo embrionale precoce, e che si rendono differenti per gradazioni
insensibilmente leggere. Come più tardi vedremo, le somiglianze embriologiche
di ogni categoria si possono spiegare ammettendo che i progenitori delle specie
ora esistenti abbiano variato dopo la prima gioventù, e trasmettano il
loro carattere acquistato ai propri discendenti in età corrispondente.
L'embrione fu quindi lasciato pressochè intatto, e serve come storia
dello stato trascorso della specie. Così avviene che le specie ora esistenti
somigliano sì spesso nei loro primi stadii di sviluppo a forme vecchie
ed estinte appartenenti alla medesima classe. In seguito a questa opinione intorno
al significato delle somiglianze embriologiche, in accordo con altre ragioni,
è incredibile che un animale abbia subìto dei cambiamenti così
repentini e subitanei come i sopra citati, senza offrire allo stato embrionale
la più piccola traccia di cambiamenti siffatti, ogni singola parte del
corpo sviluppandosi per gradi insensibili.
Chi crede che una qualunque vecchia forma per una forza o tendenza interna sia
stata cambiata repentinamente, ad esempio in una forma munita di ali, è
quasi spinto ad ammettere, in contraddizione con ogni analogia, che molti individui
abbiano variato contemporaneamente. Non può negarsi che sì grandi
e repentini cambiamenti di struttura siano molto diversi da quelli che le specie
sembrano aver subìto. Egli sarà anche costretto ad ammettere che
molte strutture, mirabilmente adatte a tutte le altre parti ed alle condizioni
di vita, siano nate repentinamente; e per tali adattamenti reciproci, complicati
e maravigliosi, non potrà addurre nemmeno un'ombra di spiegazione. E
dovrà pure ammettere che questi grandi e repentini cambiamenti non abbiano
lasciato nessuna traccia dei loro effetti nell'embrione. Ma ammettere tutto
ciò, a quanto mi sembra, significa entrare nel campo del miracolo ed
abbandonare quello della scienza.
CAPO VIII
DEGLI ISTINTI
Istinti paragonabili alle abitudini, ma diversi nella loro origine - Istinti graduali - Afidi e formiche - Istinti variabili - Istinti degli animali domestici, loro origine - Istinti naturali del cuculo, del Molothrus - dello struzzo e delle api parassite - Formiche che tengono schiavi - Api domestiche; loro istinto costruttore di celle - Le modificazioni di istinto e di struttura non sono necessariamente simultanee - Difficoltà della teoria dell'Elezione Naturale rapporto agli istinti - Insetti neutri e sterili - Sommario.
Molti istinti sono così portentosi che il loro sviluppo
sarà parso a molti dei miei lettori una difficoltà bastante per
se sola a rovesciare tutta la mia teoria. Debbo premettere che io non pretendo
rintracciare l'origine delle primarie facoltà mentali, più di
quello che io possa fare dell'origine della vita stessa. Ci occuperemo soltanto
delle diversità di istinto, e delle altre qualità mentali degli
animali appartenenti a una medesima classe.
Nè mi studierò di dare una definizione dell'istinto. Sarebbe facile
dimostrare che le varie distinte azioni mentali sono comunemente comprese in
questo termine; ma tutti sanno che cosa voglia dirsi, quando si asserisce che
l'istinto spinge il cuculo ad emigrare e ad abbandonare le sue uova nei nidi
d'altri uccelli. Un atto, che esige per parte nostra una certa abitudine, quando
si compia da un animale molto giovane e non dotato di alcuna esperienza, e quando
sia compiuto da molti individui nella stessa maniera, senza che i medesimi conoscano
a quale scopo sia diretto, ordinariamente chiamasi istintivo. Ma potrei provare
che niuno di questi caratteri dell'istinto è universale. Una piccola
dose di giudizio o di ragione, come disse Pietro Huber, spesso si appalesa,
anche in animali collocati molto bassi nella scala naturale.
Federico Cuvier e parecchi dei più antichi hanno paragonato l'istinto
all'abitudine. Questo confronto ci fornisce, a mio avviso, una rimarchevole
ed accurata nozione della disposizione della mente, sotto la quale una azione
istintiva si adempie, ma non già della sua origine. Quanti atti abituali
non si fanno da noi inavvertitamente, ed anche non di rado in diretta opposizione
alla nostra volontà conscia? Tuttavolta essi possono essere modificati
dalla volontà o dalla ragione. Certe abitudini ponno facilmente associarsi
ad altre; come pure ponno manifestarsi a certi periodi di tempo, o in determinate
situazioni del corpo. Quando esse si sono acquistate una volta, spesso rimangono
costanti per tutta vita. Sarebbero a notarsi parecchi altri punti di rassomiglianza
fra gli istinti e le abitudini. Come avviene la ripetizione di una canzone ben
conosciuta, così negl'istinti un'azione segue l'altra con una sorta di
ritmo; se una persona viene interrotta nel canto, o nel ripetere qualche brano
a memoria, essa è generalmente costretta di tornare indietro per ricuperare
la serie abituale delle idee; così P. Huber trovò avvenire di
un bruco, che si costruisce un'amaca molto complicata: perchè se egli
prendeva un bruco che avesse compiuto la sua amaca fino al sesto stadio del
lavoro e lo riponeva in altra amaca portata soltanto al terzo stadio, il bruco
non si applicava che a rifare il quarto, quinto e sesto stadio della costruzione.
Se invece fosse stato levato un bruco che avesse compiuto il terzo stadio e
si fosse trasportato in altra amaca avanzata fino al sesto stadio, per modo
che una gran parte del lavoro ch'egli doveva fare si trovava ultimata, anzichè
valutare questo vantaggio, egli si mostrava molto imbarazzato, e sembrava che
per condurre a fine la sua amaca fosse costretto a partire dal terzo stadio,
in cui aveva lasciato la propria, e faceva così ogni sforzo per completare
l'opera quasi finita.
Ove noi supponiamo che un'azione abituale possa ereditarsi - e credo che possa
sostenersi che ciò talvolta avviene - allora la rassomiglianza fra ciò
che una volta era abitudine e l'istinto diviene tanto grande, che non possono
distinguersi. Se Mozart, invece di suonare il pianoforte a tre anni, dopo uno
studio prodigiosamente breve, avesse suonata una melodia senza alcuna pratica
di sorta, avrebbe potuto dirsi veramente ch'egli lo avrebbe fatto per istinto.
Ma sarebbe un gravissimo errore il supporre che il maggior numero degli istinti
sia derivato dall'abitudine in una sola generazione, e quindi trasmesso per
eredità alle generazioni posteriori. Può evidentemente dimostrarsi
che gl'istinti più portentosi che si siano osservati, e specialmente
quelli dell'ape domestica e di molte formiche, non possono essersi sviluppati
in questo modo.
Tutti ammetteranno che gli istinti sono importanti non meno della struttura
corporea, per il benessere di ogni specie nelle presenti condizioni di vita.
Sotto mutate condizioni di vita è almeno possibile che piccole modificazioni
di istinto divengano vantaggiose ad una specie; e se può provarsi che
gli istinti variino, anche leggermente, allora non saprei vedere alcuna difficoltà
nella preservazione e continua accumulazione delle variazioni dell'istinto,
per mezzo della elezione naturale, finchè esse fossero utili. Io credo
che tale appunto fu l'origine degli istinti, anche dei più complessi
e portentosi. Io non dubito che gli istinti, come le modificazioni della struttura
corporea, nascano e si aumentino per l'uso o per l'abitudine e si diminuiscano
o anche si perdano affatto per il non-uso. Ma gli effetti dell'abitudine sono
di una importanza affatto subordinata a quelli della elezione naturale di quelle,
che possono dirsi variazioni accidentali degli istinti; cioè di quelle
variazioni che sono prodotte dalle stesse cause ignote, che danno luogo a piccole
deviazioni nella struttura del corpo.
Niun istinto complesso può prodursi dalla elezione naturale, tranne che
per una lenta e graduale accumulazione di variazioni numerose, leggiere ed anche
profittevoli. Quindi noi dobbiamo aspettarci di trovare nella natura, come nel
caso delle strutture corporee, non già le attuali gradazioni transitorie,
per le quali si raggiunse ogni istinto complesso - mentre queste si incontrerebbero
soltanto negli antenati diretti di ogni specie - ma bensì troveremo qualche
prova di queste gradazioni nelle linee collaterali della discendenza; oppure
dobbiamo aspettarci almeno di poter dimostrare che gradazioni di qualche sorta
sono possibili; e certamente siamo in grado di farlo. Fui ben sorpreso nel ritrovare
quante gradazioni possono scoprirsi, fino agli istinti più complicati,
anche ad onta delle poche osservazioni fatte sugl'istinti degli animali, eccetto
in Europa e nell'America settentrionale, e degli istinti non conosciuti delle
specie estinte. I cambiamenti di istinto ponno talvolta essere agevolati, quando
le medesime specie hanno istinti diversi in vari periodi della vita, o nelle
varie stagioni dell'anno, o quando siano poste in circostanze diverse, ecc.
in tal caso l'uno e l'altro istinto può essere conservato dall'elezione
naturale; ora può dimostrarsi che questi casi di diversità di
istinto nelle medesime specie occorrono in natura.
Come nel caso della struttura degli individui, e in accordo colla mia teoria,
l'istinto di ogni specie è vantaggioso alla stessa; ma non fu mai prodotto,
per quanto possiamo giudicarne, ad esclusivo benefizio di altre specie. Uno
degli esempi più convincenti del fatto di un animale, che compie apparentemente
qualche atto pel solo vantaggio di un altro, fra quanti conosco, è quello
degli afidi, che volontariamente cedono alle formiche la loro secrezione zuccherina,
come fu osservato per la prima volta dall'Huber; e che essi lo facciano volontariamente
si prova coi fatti seguenti. Io allontanai tutte le formiche da un gruppo di
una dozzina circa di afidi, sopra una pianta di romice, ed impedii il loro ritorno
per parecchie ore. Dopo questo intervallo, io ero certo che gli afidi avrebbero
dovuto deporre la loro secrezione. Li tenni d'occhio per qualche tempo, con
una lente, ma niuno di essi la produsse. Allora io li accarezzai con un capello,
il meglio che potei, nel modo con cui le formiche li toccano colle loro antenne;
ma anche in questo caso non ebbi alcun risultato. Tosto dopo lasciai in libertà
una formica, affinchè si avvicinasse ai medesimi, e parve che immediatamente,
per le sue rapide escursioni sulle foglie, fosse ben prevenuta del ricco bottino
che aveva scoperto. Essa incominciò a battere con le sue antenne l'addome
di un afide, e poi quello di un altro; ed ognuno, appena colpito dalle antenne,
elevava subito il proprio addome ed emetteva una goccia limpida di succo zuccherino,
che veniva tosto avidamente divorato dalla formica. Anche gli afidi più
giovani tenevano il medesimo contegno, e ciò prova che tale azione era
istintiva e non poteva dirsi effetto della esperienza. È cosa certa,
per le osservazioni di Huber, che gli afidi non mostrano alcuna avversione contro
le formiche e se queste non fossero presenti, essi alla fine sarebbero obbligati
a versare la loro escrezione. Ma siccome questa sostanza è estremamente
vischiosa, è utile probabilmente agli afidi di esserne liberati; e perciò
essi probabilmente non secernono quel succo per il solo vantaggio delle formiche.
Benchè non sia provato che un dato animale compia un atto ad esclusivo
utile di un altro, appartenente ad una specie distinta, pure ogni specie tende
ad avvantaggiarsi degli istinti delle altre, come cerca di approfittare della
debole costituzione delle medesime. Così anche certi istinti, in alcuni
pochi casi, non possono considerarsi come assolutamente perfetti; ma io non
posso trattare questo tema ne' suoi dettagli che d'altronde non sono indispensabili.
Perchè agisca l'elezione naturale, richiedesi qualche grado di variazione
negli istinti allo stato di natura e la ereditabilità di queste variazioni,
e qui sarebbe d'uopo darne il maggior numero di esempi che sia possibile; ma
la ristrettezza dello spazio me lo vieta. Debbo però dire che gli istinti
certamente variano; per esempio, l'istinto migratorio, tanto nella intensità
quanto nella direzione, anche fino alla totale loro perdita. Così i nidi
degli uccelli variano in parte dipendentemente dalle situazioni prescelte, e
dalla natura e temperatura del paese da essi abitati. Audubon ha dato parecchi
casi rimarchevoli di differenze nei nidi di una stessa specie nelle provincia
del nord e del sud degli Stati Uniti. Ma se l'istinto è variabile, potrebbe
chiedersi perchè non fosse concessa all'ape "la facoltà di
usare altri materiali quando la cera mancasse". Ma quale altra sostanza
potrebbero le api impiegare? Esse adopreranno pel loro lavoro, come io ho osservato,
della cera indurita col cinabro o rammollita col lardo. Andrea Knight notava
che le api, invece di raccogliere indefessamente il propoli, impiegavano un
cemento di cera e trementina, col quale egli aveva intonacato gli alberi spogliati
della loro scorza. Recentemente fu dimostrato che le api, invece di cercare
il polline sui fiori, impiegano volentieri un'altra sostanza, cioè la
farina di avena. Il timore di certi nemici particolari è certamente una
qualità istintiva, come può osservarsi negli uccelli che sono
ancora nel nido; benchè possa aumentarsi per l'esperienza e per la vista
del timore che lo stesso nemico incute in altri animali. Gli animali che abitano
nelle piccole isole deserte non temono l'uomo, ed acquistano il timore del medesimo
lentamente, come ho provato altrove; e possiamo vedere un esempio di ciò
in Inghilterra, nella maggiore selvatichezza di tutti gli uccelli grandi in
confronto dei piccoli; perchè gli uccelli grandi furono assai più
perseguitati dall'uomo. Possiamo con sicurezza attribuire questa maggiore selvatichezza
dei nostri uccelli grandi alla predetta causa, perchè nelle isole disabitate
i grandi uccelli non sono più timorosi dei piccoli; e la gazza, così
timida in Inghilterra, è domestica in Norvegia, come il corvo dal cappuccio
in Egitto.
Moltissimi fatti stanno per provare che la disposizione generale degli individui
di una stessa specie, nati allo stato di natura, è estremamente diversa.
Possono anche addursi alcuni casi di abitudini strane ed accidentali in certe
specie, le quali, quando siano vantaggiose alla specie, possono dare origine,
per mezzo della elezione naturale, ad istinti affatto nuovi. Ma io sono ben
persuaso che queste considerazioni generali, non corredate d'alcun dettaglio
di fatti, produrranno un debole effetto nella mente del lettore. Posso tuttavia
ripetere la mia assicurazione, che non dico alcuna cosa che non sia sorretta
da buone prove.
CAMBIAMENTI EREDITATI DI ABITUDINI
O DI ISTINTI NEGLI ANIMALI DOMESTICI
La possibilità od anche la probabilità di ereditare
variazioni di istinto nello stato di natura, viene confermata ed avvalorata
dall'esaminare brevemente alcuni casi allo stato di domesticità. Noi
ci renderemo per tal modo capaci di ravvisare le parti rispettive che l'abitudine
e l'elezione delle così dette variazioni accidentali hanno avuto nel
modificare le qualità mentali de' nostri animali domestici. È
noto che negli animali domestici le qualità mentali variano assai. Fra
i gatti, ad es., l'uno è per sua natura inclinato a pigliare ratti, l'altro
a pigliare sorci; e si sa che queste inclinazioni vengono ereditate. Secondo
St. John un gatto portava sempre a casa degli uccelli selvatici, un altro lepri
o conigli, un altro ancora cacciava sopra terreno paludoso e prendeva ogni notte
francolini o beccaccie. Vi sono molti curiosi esempi autentici della ereditabilità
di tutte le gradazioni delle disposizioni diverse e dei gusti, non che delle
più curiose astuzie, associate con certi stati della mente, o a certi
periodi di tempo. Permetteteci di considerare il caso familiare delle varie
razze di cani. Non può mettersi in dubbio che i giovani cani da ferma
(io stesso ne ho veduto un esempio singolare) cercano talvolta la selvaggina,
ed anche superano gli altri cani, fino dal primo giorno in cui sono condotti
nelle campagne; la proprietà di salvare è in qualche grado ereditata
dai cani di salvamento; e la tendenza di correre intorno al gregge, invece di
seguirlo, è propria dei cani da pastori. Non potrei vedere alcuna differenza
essenziale fra queste azioni e i veri istinti, mentre si compiono dai giovani
senza alcuna esperienza e quasi nell'identica maniera da ogni individuo, e si
fanno con vivo interesse da ogni razza e senza che ne sappiano lo scopo; - poichè
i giovani cani da ferma non sanno di arrestare la selvaggina per aiutare il
loro padrone, più di quello che la farfalla bianca conosca per qual motivo
deponga le sue uova sulla foglia del cavolo. Se noi osservassimo una specie
di lupo, ancora giovane e senza alcuna educazione, nell'istante in cui fiuta
la sua preda, rimanere immobile come una statua, e quindi incamminarsi lentamente
verso la medesima con un andamento particolare; e quando ne vedessimo un'altra
specie, invece di lanciarsi contro un branco di daini, correr loro intorno a
cacciarli poi verso un punto distante, noi certamente dovremmo chiamare istintive
queste operazioni. Quegli istinti, che possono chiamarsi domestici, sono certamente
assai meno fissi degli istinti naturali; ma essi sono sottoposti ad una elezione
molto rigorosa e sono stati trasmessi per un periodo incomparabilmente più
corto, e sotto circostanze di vita meno costanti.
Quando si incrociano diverse razze di cani, si osserva quanto forte sia la tendenza
di ereditare gli istinti domestici, le abitudini e le disposizioni diverse,
e in qual maniera curiosa rimangono mescolate. Infatti è noto che l'incrociamento
del levriere col bull-dog ha influito per molte generazioni sul coraggio e sulla
tenacità del primo, e che un incrociamento del levriere col cane pastore
produsse una famiglia di cani pastori, con una tendenza particolare ad inseguire
le lepri. Gli istinti domestici, così esperimentati per mezzo dell'incrociamento,
rassomigliano agli istinti naturali, i quali in modo analogo sono strettamente
confusi insieme, e per lungo tempo offrono traccie degli istinti dei progenitori;
per esempio, Le Roy descrive un cane, il cui avo era un lupo, il quale dava
segni della sua parentela selvaggia in un modo solo, cioè col non correre
mai in linea retta verso il suo padrone, quando questi lo chiamava.
Talvolta si è parlato degli istinti domestici come di azioni che furono
ereditate solo per l'abitudine lungamente protratta ed imposta, ma ciò
non sussiste. Niuno avrà mai immaginato che sia possibile di ammaestrare
un colombo a fare il capitombolo, azione che io posso attestare è compiuta
dai giovani colombi di quella razza, senza che abbiano mai veduto fare il capitombolo.
Potrebbesi ritenere che qualche colombo provasse una leggiera tendenza a questa
strana abitudine, e che l'elezione protratta lungamente degli individui migliori,
nelle generazioni successive, li rendesse capaci di fare il capitombolo come
si osserva attualmente. Presso Glasgow sonovi delle colombaie di questi piccioni
i quali, come fu riferito da M. Brent, non possono volare fino all'altezza di
diciotto pollici senza volgere il capo sotto le gambe: Probabilmente nessuno
avrebbe mai pensato ad ammaestrare un cane alla ferma, se prima qualche cane
non avesse mostrato una tendenza naturale a questo scopo; e noi sappiamo che
questa tendenza si è manifestata accidentalmente, come io ho osservato
una volta in un puro bassetto. L'atto di puntare nel cane è probabilmente,
come molti hanno pensato, soltanto la pausa esagerata di un animale che si appresta
a saltare sulla sua preda. Quando la primitiva tendenza di arrestarsi fu spiegata
convenientemente, l'elezione metodica e gli effetti ereditati della educazione
forzata, in ogni generazione successiva, avrebbero compiuto l'opera; indi l'elezione
inavvertita avrebbe continuato in questo senso, poichè ogni uomo ama
procurarsi quei cani che si arrestano e cercano meglio.
D'altra parte la sola abitudine può in qualche caso bastare; nessun animale
è più difficile da addomesticare dei piccoli conigli selvatici;
al contrario non si troverà un animale più domestico dei giovani
conigli addomesticati. Ma io non posso supporre che i conigli domestici siano
mai stati scelti per la loro docilità; e debbo presumere che tutto il
cambiamento ereditato dall'estrema selvatichezza alla docilità e sottomissione
estrema, sia dovuto semplicemente all'abitudine e alla stretta reclusione continuata
per lungo tempo.
I naturali istinti si perdono allo stato di domesticità. Abbiamo un esempio
rimarchevole di ciò in quelle razze di polli che raramente od anche mai
divengono covatori, cioè non desiderano mai di adagiarsi sulle loro uova.
L'assuefazione ci toglie di osservare quanto vaste ed universali siano le modificazioni
avvenute nelle facoltà mentali dei nostri animali domestici, per effetto
della loro captività. Nè può dubitarsi che l'affezione
per l'uomo non sia resa istintiva nel cane. Tutti i lupi, le volpi, gli sciacalli
e le specie del genere gatto, quando divennero domestici, si mostrarono più
ardenti nell'inseguire i polli, le pecore e i maiali; e questa tendenza fu trovata
incurabile anche nei cani che furono trasportati piccoli da quei paesi ne' quali
i selvaggi non conservano questi animali in domesticità, come dalla Terra
del Fuoco e dall'Australia. Da un'altra parte quanto è raro che ci occorra
avvezzare i nostri cani civilizzati, anche quando sono giovanissimi, a non perseguitare
i polli, le pecore e i maiali! Certamente essi occasionalmente si permettono
di inseguirli, e per questo noi li battiamo, e quando ciò non bastasse
li distruggiamo; quindi l'abitudine, con qualche grado di elezione, ha influito
probabilmente a civilizzare i nostri cani per mezzo dell'eredità. Del
resto i pulcini hanno interamente perduto, per l'abitudine, il timor dei cani
e dei gatti, che al certo era in essi istintivo in origine; nella stessa guisa
che questo timore è istintivo nei giovani fagiani, anche se sono allevati
dalla chioccia. Non già che i pulcini abbiano dimesso ogni paura, ma
la sola paura dei cani e dei gatti; perchè se la chioccia dà il
grido d'allarme, essi corrono a nascondersi sotto le sue ali (specialmente i
giovani tacchini); o vanno a celarsi nelle erbe o nei cespugli vicini e ciò
proviene evidentemente dall'istintivo proposito di permettere alla loro madre
di volarsene via, come si osserva negli uccelli selvatici che si trattengono
sul terreno. Ma questo istinto, conservato dai nostri pulcini, è divenuto
inutile allo stato di domesticità, perchè la chioccia ha quasi
interamente perduta la facoltà di volare pel non-uso.
Quindi noi possiamo dedurne che allo stato di domesticità alcuni istinti
furono acquistati e gli istinti naturali furono perduti, in parte per l'abitudine
e in parte per la elezione dell'uomo, che scelse ed accumulò, durante
le successive generazioni, quelle abitudini ed azioni mentali particolari che
per la nostra ignoranza ci parvero accidentali. In certi casi la sola assuefazione
forzata bastò per produrre delle modificazioni mentali ereditarie; in
altri casi la coartazione non diede alcun risultato, e tutte le modificazioni
derivarono dalla elezione continuata metodicamente e inavvertitamente: ma nella
pluralità dei casi l'abitudine e l'elezione probabilmente agirono contemporaneamente.
ISTINTI SPECIALI
Forse comprenderemo meglio in qual modo gli istinti furono
modificati nello stato di natura dall'elezione, se consideriamo alcuni fatti
particolari. Ne sceglierò tre soli fra quelli che avrò a discutere
nel futuro mio lavoro; cioè l'istinto che determina il cuculo ad abbandonare
le sue uova nei nidi d'altri uccelli, l'istinto di certe formiche di fare schiavi,
e finalmente la facoltà di costruire celle nell'ape domestica. Questi
ultimi due istinti si sono generalmente, ed a ragione; considerati dai naturalisti
come i più portentosi fra tutti gli istinti conosciuti.
Istinto del cuculo. - Alcuni naturalisti ammettono che la causa più immediata
e finale dell'istinto del cuculo sia che la femmina depone le sue uova ad intervalli
di due o tre giorni, anzichè giornalmente; per cui se essa fabbricasse
il proprio nido e si posasse sulle sue uova, dovrebbe lasciar le prime deposte
per qualche tempo senza incubazione, altrimenti si troverebbero nel medesimo
nido le uova ed i piccoli uccelletti di differenti età. Se così
fosse, il processo della covatura e dello schiudimento della uova sarebbe sconvenientemente
lungo, ed in ispecie pel riflesso che la madre deve emigrare assai per tempo;
e i primi uccellini, sbucciati dall'uovo, dovrebbero probabilmente essere nutriti
dal solo maschio. Ma la femmina del cuculo americano è appunto in queste
condizioni; perchè essa forma il proprio nido e depone uova, e i piccoli
sbucciano dall'uovo nello stesso tempo. Si è sostenuto e poi negato che
anche il merlo d'America deponga talvolta le sue uova nei nidi di altri uccelli;
ma io seppi di recente dal dott. Merrel di Jowa che egli una volta nell'Illinois
trovò un giovane cuculo insieme con una giovane gazza nel nido del Garrulus
cristatus, e siccome ambedue avevano le loro penne, non può ammettersi
un errore di classificazione. Potrei dare parecchi esempi di uccelli differenti,
che depongono le loro uova nei nidi d'altri uccelli. Ora suppongasi che l'antico
progenitore del nostro cuculo d'Europa avesse le abitudini del cuculo americano;
ma che occasionalmente deponesse un uovo nel nido di altro uccello. Se il vecchio
cuculo da questa abitudine accidentale avesse tratto profitto per migrare più
presto, od in altro modo; oppure se il cuculo giovane, in seguito al traviato
istinto materno di un'altra specie fosse divenuto più robusto che non
sotto le cure della propria madre, la quale era sopraccaricata dalla cura contemporanea
per le uova e pei figli giovani di diversa età, ne sarebbe derivato un
vantaggio, o pei genitori o per i giovani nutriti a spese di altri uccelli.
L'analogia mi indurrebbe a credere che gli uccelletti, così allevati,
sarebbero atti a seguire per eredità l'accidentale ed aberrante abitudine
della loro madre; e alla loro volta diverrebbero capaci di depositare le uova
nei nidi degli altri uccelli e riescirebbero in questo modo al allevare una
prole più robusta. Per un continuo processo di tal fatta, credo che il
singolare istinto del nostro cuculo possa essersi formato. È stato anche
recentemente e per sufficienti ragioni sostenuto da Adolfo Müller, che
il cuculo depone occasionalmente le sue uova sul nudo terreno, le cova, e nutre
i pulcini; questo raro ed interessante fenomeno è probabilmente una riversione
all'istinto originario di nidificazione da lungo tempo perduto.
Mi fu obbiettato di non avere menzionato altri analoghi istinti e adattamenti
del cuculo che furono detti necessariamenti coordinati. Ma in tutti i casi la
speculazione intorno ad un istinto unico e conosciuto in un'unica specie è
inutile, perchè non abbiamo fatti che ci servano di guida. Fino a questi
ultimi tempi non si conosceva che gli istinti del cuculo europeo e dell'americano
non parassitico; ma le osservazioni di E. Ramsay ci hanno fatto ora conoscere
le tre specie australesi che mettono le loro uova in nidi stranieri. Tre punti
principali devono qui considerarsi: in primo luogo il cuculo comune, con rare
eccezioni, mette un solo uovo in un nido, per cui il pulcino grande e vorace
riceve un ricco nutrimento. In secondo luogo l'uovo è così piccolo,
che non è maggiore di quello di un'allodola, di un uccello ben quattro
volte minore del cuculo. Che le piccole dimensioni dell'uovo siano un caso di
adattamento, possiamo dedurre dal fatto che il cuculo americano non parassitico
depone uova corrispondenti alla sua grandezza. Finalmente il giovane cuculo
mostra subito dopo la nascita l'istinto, la forza ed un rostro adatto per gettare
dal nido i suoi fratelli di nutrimento che muoiono poi di freddo e di fame.
Ma si è sostenuto arditamente che questa sia una misura benevola, affinchè
il giovane cuculo riceva sufficiente cibo, ed i suoi fratelli di nutrimento
periscano prima di acquistare molto sentimento!
Rivolgiamoci ora alle specie australesi. Sebbene questi uccelli mettano un solo
uovo in un nido, si trovano tuttavia non raramente nello stesso nido due ed
anche tre uova. Nel cuculo bronzino le uova variano notevolmente nella grandezza,
misurando da otto a dieci linee in lunghezza. Se fosse stato di qualche vantaggio
per questa specie di generare uova ancora più piccole di quelle che depone
al presente, sia per ingannare più facilmente i genitori nutritizi, oppure,
ciò che mi sembra più probabile, perchè più facilmente
si schiudano (essendosi asserito che sussiste un determinato rapporto fra la
grandezza delle uova e la durata della incubazione); allora non sarebbe difficile
l'ammettere che sia formata una razza o specie che generasse uova sempre più
piccole, le quali sarebbero state covate ed allevate con maggiore facilità.
Il Ramsay osserva che due cuculi australesi, quando mettono le loro uova in
un nido aperto, manifestano una decisa preferenza per quei nidi, i quali contengono
delle uova simili nel colore alle proprie. La specie europea ha certamente una
tendenza a tale istinto, ma non raramente se ne diparte, come si vede quando
mette il suo uovo fioco e chiaro nel nido della grisetta (Accentor) che ha uova
chiare di colore azzurro verdastro. Se il nostro cuculo mostrasse invariabilmente
il suddetto istinto, questo dovrebbe annoverarsi fra quelli che furono acquistati
d'un sol tratto. Le uova del cuculo bronzino australese, secondo il Ramsay,
variano straordinariamente nel colore, così che a questo riguardo ed
a riguardo della grandezza l'elezione naturale avrebbe potuto assicurare e fissare
una variazione vantaggiosa.
Relativamente al cuculo europeo, i giovani figli dei genitori nutritizi vengono
dal cuculo gettati dal nido al solito tre giorni dopo che questo ha abbandonato
l'uovo, e siccome in quest'età egli è assai debole, così
il Gould fu dapprima del parere che l'atto della espulsione fosse compiuto dagli
stessi genitori nutritizi. Ma egli ebbe ora una fedele descrizione, da cui risulta
che fu osservato un giovane cuculo, ancora cieco ed incapace a portare la sua
testa, nel momento stesso, in cui espelleva dal nido i suoi fratelli di nutrimento.
Uno di questi fu dall'osservatore riportato nel nido, e venne di nuovo espulso.
Siccome pel giovane cuculo fu probabilmente di grande importanza di ricevere
nei primi giorni dopo la nascita la maggior possibile quantità di nutrimento,
non saprei trovare, in riguardo ai mezzi co' quali quello strano ed odioso istinto
potesse essere raggiunto, alcuna difficoltà nell'ammettere che il cuculo
acquistasse durante molte successive generazioni lentamente la cieca tendenza,
la forza sufficiente e la struttura adattata per gettare dal nido i suoi fratelli
di nutrimento; imperocchè quelli fra i giovani cuculi, i quali aveano
meglio sviluppata quell'abitudine e quella struttura, saranno stati i meglio
nutriti ed i più sicuramente allevati. Il primo passo a raggiungere il
vero istinto poteva essere una inconscia irrequietezza per parte del giovane
uccello, alquanto progredito nell'età e nella forza; l'abitudine sarà
stata più tardi migliorata e trasmessa ad un'età più precoce.
Non saprei qui vedere una difficoltà maggiore di quella che s'incontra
nello spiegare come i giovani non ancora nati di altri uccelli ricevano l'istinto
di rompere il guscio del proprio uovo, o come, al dire dell'Owen, i giovani
serpenti acquistino nella mascella superiore un acuto dente transitorio per
tagliare il tenace guscio dell'uovo. Siccome ogni parte ed in tutte le età
è soggetta a variazioni individuali che tendono poi ad essere trasmesse
per eredità in epoca corrispondente - proposizione che non può
essere contestata; - così l'istinto e la struttura nei giovani potranno
essere soggetti a lente modificazioni non meno che negli adulti, ed ambedue
i casi devono sussistere o cadere con tutta la teoria dell'elezione naturale.
Alcune specie di Molothrus, un genere affatto diverso di uccelli americani,
affine ai nostri storni, hanno abitudini parassitiche come il cuculo. Secondo
le notizie dell'Hudson, esimio osservatore, i due sessi del Molothrus badius
vivono a stormi promiscuamente, e talvolta si accoppiano. Talvolta si costruiscono
un proprio nido, altre volte ne scelgono uno che appartiene ad un altro uccello,
ed espellono la nidiata. Questi uccelli depongono le loro uova ora nel nido
così appropriatosi, ora, cosa molto strana, se ne costruiscono uno proprio
che sovrappongono a quello. Inoltre covano generalmente da sè le uova,
ed alimentano i propri giovani. Ma l'Hudson crede probabile che occasionalmente
vivano parassitici, avendo osservato i pulcini di questa specie mentre seguivano
uccelli vecchi di un'altra specie ed invocavano da essi il nutrimento. Le abitudini
parassitiche di un'altra specie, del Molothrus bonariensis, sono assai più
sviluppate che quelle del primo; ma sono ancora lontane dall'essere perfette.
A quanto si sa, questo uccello mette le sue uova invariabilmente nel nido altrui;
ma è rimarchevole che parecchi di essi incominciano talvolta a costruirne
uno proprio, irregolare, fuori di tempo, in luogo singolarmente poco adattato,
per esempio sulle foglie di un grande cardo. Essi però, come Hudson ha
potuto rilevare, non finiscono mai da sè il nido. Spesso mettono molte
uova (da 15 a 20) nello stesso nido; di cui solo poche o nessuna vengono covate.
Oltre ciò hanno la straordinaria abitudine di praticare col becco dei
fori nelle uova, siano queste della propria specie, a quelle de' loro genitori
nutritizi che trovano ne' nidi appropriatisi. Lasciano anche cadere molte uova
sul nudo terreno, che per conseguenza vengono distrutte. Una terza specie, il
Molothrus pecoris dell'America settentrionale, ha acquistato perfettamente gli
istinti del cuculo, giacchè non depone mai più che un uovo in
un nido straniero, cosicchè il pulcino viene certamente allevato. L'Hudson
è un deciso avversario della teoria delle evoluzioni; ma gli istinti
imperfetti del Molothrus bonariensis lo hanno talmente sorpreso, che, citando
le mie parole, si domanda: "Anzi che considerare queste abitudini come
dotazioni speciali o come istinti creati, non dobbiamo noi ritenerle come leggere
conseguenze di una legge generale, ossia di transizione?".
Nei gallinacei non è insolita l'abitudine occasionale degli uccelli di
abbandonare le loro uova nei nidi d'altri uccelli; e ciò spiega per avventura
l'origine di un istinto speciale nel gruppo degli struzzi. Alcune femmine dello
struzzo si associano per deporre alcune poche uova in un nido comune, indi in
un altro; e queste sono poi covate dai maschi. Questo istinto può probabilmente
avere la sua ragione nel fatto, che le femmine covano un gran numero di uova;
ma come nel caso del cuculo, ad intervalli di due o tre giorni. Però
quest'istinto dello struzzo americano e del Molothrus bonariensis non fu ancora
abbastanza perfezionato, perchè uno sterminato numero di uova rimane
sparso sulle pianure; per modo che in un solo giorno di caccia ne raccolsi non
meno di venti abbandonate e guaste.
Molte api sono parassite, e lasciano sempre le loro uova nei nidi delle api
di altri razze. Questo fatto è più notevole di quello del cuculo,
perchè queste api non hanno modificati solamente i loro istinti, ma anche
la loro struttura, in relazione alle loro abitudini parassitiche; perchè
inoltre esse non posseggono l'apparato raccoglitore del polline, che sarebbe
necessario quando esse dovessero accumulare il nutrimento per la loro prole.
Alcune specie di sfegidi (insetti simili alle vespe) sono parimenti parassite
di altre specie; e il Fabre ha recentemente esposto buone ragioni per stabilire
che, quantunque la Tachytes nigra costruisca generalmente la propria tana, e
vi raccolga le sue prede paralizzate pel nutrimento delle proprie larve; tuttavia,
allorchè questo insetto trova una tana già fatta ed approvvigionata
da un'altra specie, ne prende possesso e diviene parassita per l'occasione.
In tal caso, come avemmo da rilevare per il cuculo e pel Molothrus, io non saprei
trovare alcuna difficoltà che l'elezione naturale convertisse un'abitudine
occasionale in permanente, se ciò fosse utile alla specie, e quando l'insetto,
del quale i nidi e le provviste alimentari sono così proditoriamente
usurpati, non venisse perciò esterminato.
Istinto della schiavitù. - Questo istinto rimarchevole per la prima volta
scoperto nella Formica (Polyerges) rufescens da Pietro Huber, più esimio
osservatore del celebre suo padre. Questa formica dipende assolutamente dal
servizio delle sue schiave, al punto che, senza il loro aiuto, la specie in
un anno solo rimarrebbe estinta. I maschi e le femmine non fanno lavoro di sorta
alcuna, e le operaie, o femmine sterili, benchè siano le più energiche
e coraggiose nell'impadronirsi delle schiave, non stanno altrimenti occupate.
Esse sono incapaci di formare i propri nidi, e di alimentare le loro larve.
Quando la vecchia abitazione è trovata incomoda e debbono emigrare, le
sole schiave decidono della partenza e trasportano effettivamente le loro padrone
colle mascelle. Le padrone sono poi affatto incapaci di provvedere ai propri
bisogni, cosicchè Huber ne separò una trentina, senza alcuna schiava,
e loro fornì in copia il nutrimento che sogliono preferire, lasciando
in mezzo ad esse le larve e le crisalidi, affinchè servissero alle medesime
di stimolo al lavoro; eppure esse rimasero oziose, nè si cibarono, per
cui molte perirono per la fame. Huber introdusse allora una sola schiava (Formica
fusca), la quale si mise tosto all'opera, diede nutrimento alle superstiti e
le salvò; costruì alcune cellette, allevò le giovani larve
e mise tutto in ordine. Che cosa può darsi di più straordinario
di questi fatti bene accertati? Se noi non conoscessimo altre specie di formiche
con schiave, sarebbe stato inutile speculare come possa essere stato perfezionato
codesto istinto meraviglioso.
Ma P. Huber fu anche il primo a segnalare un'altra specie di formiche, che si
valgono dell'opera delle schiave, ed è la Formica sanguinea. Questa specie
fu trovata nelle parti meridionali dell'Inghilterra, e le sue abitudini furono
studiate da J. Smith del Museo Britannico, al quale io mi tengo obbligato per
le informazioni fornitemi sopra questo e sopra altri argomenti. Benchè
io prestassi piena fede alle osservazioni di Huber e di Smith, volli studiare
questo soggetto con qualche scettica apprensione dello spirito, e tutti vorranno
scusarmi di avere dubitato della verità di questo istinto odioso e straordinario
di ridurre in schiavitù tali insetti. Io produrrò quindi le osservazioni
da me fatte, con qualche dettaglio. Ho aperto quattordici nidi della Formica
sanguinea e ho trovato in tutti alcune schiave. I maschi e le femmine feconde
della specie schiava (Formica fusca) si trovano solamente nelle loro proprie
società e non furono mai veduti nei nidi della Formica sanguinea. Le
schiave sono nere ed hanno circa la metà delle dimensioni delle loro
padrone rosse, talchè il contrasto nella loro apparenza è grandissimo.
Se il nido è leggermente disturbato, le schiave escono di quando in quando,
e, come le loro padrone, sono molto agitate e cercano difendere la loro abitazione:
ove poi il nido fosse molto guasto e le larve insieme alle crisalidi fossero
esposte, le schiave lavorano indefessamente colle loro padrone per trasportarle
fuori in luogo sicuro. Da ciò risulta evidentemente che le schiave si
conducono come appartenenti alla casa. Nei mesi di giugno e luglio di tre anni
successivi, osservai per molte ore parecchi nidi nel Surrey e nel Sussex, nè
ho mai veduto una sola schiava uscire o entrare nel nido. Siccome in questi
mesi le schiave sono molto poche, io pensavo che ciò per avventura non
sarebbe avvenuto quando esse fossero più numerose; ma lo Smith mi accertava
che egli esaminò i nidi delle formiche per diverse ore, nei mesi di maggio,
giugno e agosto nel Surrey e nello Hampshire, e non ha mai osservato che le
schiave entrassero od uscissero dal nido, benchè nel mese d'agosto fossero
accumulate in gran numero. Quindi egli le considera quali schiave esclusivamente
domestiche. Le padrone, d'altra parte, si veggono costantemente in moto, per
trasportare materia nel nido e sostanze alimentari d'ogni sorta. Nell'anno 1860
però, nel mese di luglio, trovai una società di formiche le quali
avevano un numero straordinario di schiave, e vidi che alcune di queste, in
compagnia delle loro padrone, uscirono dal nido e si incamminarono per la stessa
via verso un grande pino di Scozia, distante 25 metri, sul quale ascesero insieme,
forse per cercarvi gli afidi o le cocciniglie. Secondo Huber, che aveva ampi
mezzi d'investigazione, nella Svizzera le schiave lavorano abitualmente colle
loro padrone nel costruire i loro nidi, e le prime da sole aprono e chiudono
le entrate al mattino e alla sera; ma la loro principale occupazione, come Huber
stabilisce espressamente, è quella di andare in cerca di afidi. Questa
differenza nelle ordinarie abitudini delle padrone e delle schiave nei due paesi,
dipende forse semplicemente da ciò, che le schiave sono catturate in
maggior numero nella Svizzera che in Inghilterra.
Un giorno assistetti fortunatamente alla migrazione della Formica sanguinea
da un nido ad un altro, ed era uno spettacolo dei più interessanti il
vedere le padrone trasportare accuratamente le loro schiave colle mascelle,
invece di essere trasportate da esse come nel caso della Formica rufescens.
Un altro giorno la mia attenzione fu attirata da una ventina circa di quelle
formiche che fanno schiavi, le quali frequentavano il medesimo luogo ed evidentemente
non erano in cerca di nutrimento; esse si avvicinarono ad una comunità
indipendente di una specie con schiave (Formica fusta) e ne furono vigorosamente
respinte; talvolta fino a tre di queste si attaccavano alle zampe della Formica
sanguinea. Queste uccidevano allora spietatamente i loro piccoli avversari e
portavano i loro corpi come nutrimento nel loro nido, che distava 29 metri circa;
ma esse non poterono prendere le ninfe per allevarle come schiave. Allora io
dissotterrai una piccola quantità di ninfe della Formica fusca da un
altro nido e le seminai sopra un terreno nudo, presso al luogo del combattimento;
esse furono tosto prese e trasportate via dalle tiranne, che forse si immaginarono,
dopo tutto, di essere state vittoriose nella loro ultima battaglia.
Nello stesso tempo io collocai nel medesimo luogo una piccola quantità
di crisalidi di un'altra specie (Formica flava), essendovi anche attaccate ai
frammenti del nido alcune poche di queste formiche gialle. Questa specie viene
talvolta ridotta in servitù, benchè di rado, e ciò fu descritto
dallo Smith. Quantunque questa specie sia tanto piccola, è molto coraggiosa;
ed io la vidi attaccare ferocemente le altre formiche. Una volta, per esempio,
trovai con mia sorpresa una società indipendente di Formica flava sotto
una pietra, inferiormente al nido della tiranna Formica sanguinea; e appena
io disturbai accidentalmente i due nidi, le piccole formiche assalirono le loro
grosse vicine con sorprendente coraggio. Ora io ero curioso di accertare se
la Formica sanguinea possa distinguere le crisalidi della Formica fusca, che
essa rende schiava, da quelle della piccola e furiosa Formica flava, che di
rado essa può catturare: e dovetti convincermi che a prima vista essa
le distingue. Infatti io osservai che essa si impadroniva, avidamente ed istantaneamente,
delle crisalidi di Formica fusca, mentre al contrario rimaneva molto spaventata,
quando incontrava le crisalidi, od anche la sola terra levata dal nido della
Formica flava e fuggiva frettolosamente; ma in un quarto d'ora circa e poco
dopo che le piccole formiche gialle erano partite, le prime tornavano indietro
e rapivano le crisalidi.
Una sera io visitai un'altra società della specie Formica sanguinea e
trovai molte di queste formiche che ritornavano a casa ed entravano nei loro
nidi, trasportando dei corpi di Formica fusca e molte crisalidi, locchè
prova che quella non era una migrazione. Seguii le traccie di una lunga fila
di formiche cariche di bottino, per una lunghezza di 40 metri circa, fino ad
un folto cespuglio, dal quale vidi uscire l'ultimo individuo che trasportava
una crisalide; ma non fui capace di trovare il nido devastato nella folta macchia.
Il nido però non doveva essere molto lontano, perchè due o tre
individui della specie della Formica fusca correvano qua e là grandemente
agitati, ed uno stava immobile alla estremità di un ramoscello del cespuglio,
tenendo colle mascelle la sua crisalide e in atteggiamento di desolazione, sopra
la sua abitazione saccheggiata.
Questi sono i fatti riguardanti il portentoso istinto delle formiche che hanno
schiave. Mi sia permesso di osservare quale contrasto presentano le abitudini
istintive della Formica sanguinea con quelle della Formica rufescens del continente.
L'ultima non fabbrica la propria abitazione, non dirige le proprie migrazioni,
non raccoglie nutrimento per sè o per le giovani, e persino è
incapace di alimentarsi: essa dipende assolutamente dall'opera delle sue molte
schiave. La Formica sanguinea, invece, possiede pochissime schiave, e al principio
dell'estate un numero insignificante; le padrone decidono quando e in che luogo
debbano farsi i nuovi nidi, stabiliscono il momento delle migrazioni, e sono
esse che portano le schiave. In Isvizzera, come in Inghilterra, sembra che le
schiave soltanto si occupino delle larve, e le padrone si aggirino per il solo
scopo di catturare nuove schiave. Nella Svizzera le schiave e le padrone lavorano
insieme, apprestando materiali per la costruzione del nido; entrambe, ma specialmente
le schiave, hanno cura e mungono per così dire i loro afidi; ed inoltre
entrambe raccolgono le sostanze alimentari per l'intera società. In Inghilterra,
invece, le sole padrone ordinariamente escono dal nido, per cercare i materiali
per le loro costruzioni e il nutrimento per sè, per le loro schiave e
per le larve. Quindi le padrone nel nostro paese ricevono dalle loro schiave
molto minori servigi, di quelli che prestano le formiche schiave nella Svizzera.
Non pretendo di fare alcuna congettura con quali gradazioni si sia formato l'istinto
della Formica sanguinea. Però, siccome ho trovato certe formiche, che
non catturano schiave, appropriarsi le crisalidi di altre specie, allorchè
si avvicinano ai loro nidi, può darsi che queste crisaidi, ammassate
come nutrimento, si siano sviluppate; e le formiche forestiere, così
allevate accidentalmente, avranno seguito i loro istinti e compiuto quel lavoro
di cui erano capaci. Se la loro presenza divenne utile alle specie che di esse
si impadronirono, se fu più vantaggioso a queste specie il catturare
le operaie, anzichè il procrearle - l'abitudine di raccogliere in origine
crisalidi pel loro nutrimento può per mezzo della elezione naturale essersi
consolidata e resa permanente, per lo scopo affatto diverso di allevare delle
schiave. Quando l'istinto fu acquistato, per quanto debole fosse dapprima e
poco pronunciato, anche nelle nostre formiche sanguigne d'Inghilterra, che ricevono,
come abbiamo veduto, meno servigi dalle loro schiave di quelle della stessa
specie in Isvizzera, l'elezione naturale potè accrescere e modificare
tale istinto - sempre nel supposto che ogni modificazione sia utile alla specie
- finchè si fosse formata una formica dipendente dalle sue schiave con
tanta abbiezione, come la Formica rufescens.
Istinto dell'ape domestica di costruire celle. - Non voglio discendere ai minuti
ragguagli su questo soggetto; ma darò solamente un cenno delle conclusioni
a cui sono arrivato. Sarebbe uno stolto colui che esaminasse la squisita conformazione
di un favo, così stupendamente adatta al suo scopo, senza risentirne
un'ammirazione entusiastica. Sappiamo dai matematici che le api hanno risolto
praticamente un problema difficile, ed hanno costruito le loro celle di una
forma tale da contenere la maggiore quantità possibile di miele, col
minor possibile consumo della cera preziosa. Si è notato che un abile
operaio, fornito di strumenti precisi e di misure esatte, incontrerebbe molta
difficoltà ad eseguire delle celle di cera della forma identica a quelle
che vengono perfettamente fabbricate da uno sciame di api che lavorano in un
oscuro alveare. Sia pur grande l'istinto che loro si attribuisce, parrà
sulle prime affatto inconcepibile come possano riuscire a formare gli angoli
e i piani necessari, od anche come possano accorgersi che il loro lavoro fu
compiuto correttamente. Ma la difficoltà non è poi tanto insuperabile
come sulle prime si giudica; tutto questo mirabile lavoro può spiegarsi,
a mio avviso, come una conseguenza di alcuni istinti semplici.
Fui spinto dal Waterhouse ad investigare questo soggetto. Egli ha dimostrato
che la forma della cella sta in stretta relazione colla presenza delle celle
adiacenti, e le seguenti considerazioni possono forse prendersi soltanto come
una modificazione della sua teoria. Ricorriamo al grande principio delle gradazioni
e vediamo se la Natura non ci riveli il suo metodo di operare. Ad un estremo
di una breve serie noi abbiamo i pecchioni, che impiegano i loro vecchi bozzoli,
deponendo in essi il miele e aggiungendovi talora dei tubi corti di cera e formando
altresì delle cellette di cera separate ed irregolarmente arrotondate.
All'altro estremo della serie abbiamo le celle dell'ape domestica in uno strato
doppio: ogni cella, come sappiamo, è costituita di un prisma esagono
coi vertici alla base negli estremi dei suoi spigoli tagliati di sbieco, in
modo da formare una piramide composta di tre rombi. Questi rombi hanno certi
angoli determinati, e i tre rombi, che formano la base piramidale di ogni cella
da una parte del favo, entrano nella composizione delle basi di tre celle adiacenti
della parte opposta. Nella serie che passa fra la estrema perfezione delle celle
dell'ape domestica e la semplicità di quelle del pecchione, noi troviamo
le celle della Melipona domestica del Messico, descritta ampiamente e disegnata
da Pietro Huber. La Melipona stessa ha una struttura intermedia fra quella dell'ape
domestica e del pecchione, ma più vicina a quest'ultimo: essa forma un
favo quasi regolare di cera, con celle cilindriche, nelle quali si allevano
le larve e vi aggiunge diverse celle di cera più grandi, per conservarvi
il miele. Queste ultime celle sono quasi sferiche, hanno i loro lati press'a
poco uguali e sono aggruppate in una massa irregolare. Ma il fatto più
importante da notarsi è che queste celle sono talmente fra loro ravvicinate,
che se le sfere fossero complete, sarebbero intersecate, o interrotte l'una
dall'altra; ma ciò non potrebbe mai avvenire, perchè le api costruiscono
delle parti di cera perfettamente piane, fra le sfere che tenderebbero ad intersecarsi.
Ogni cella, quindi, si compone di una porzione sferica esterna e di due, tre,
o più altre celle. Quando una cella viene in contatto di tre altre celle
(locchè avviene frequentemente e necessariamente), perchè le sfere
sono quasi della stessa grandezza, le tre superfici piane si intersecano, formando
una piramide. Questa piramide, come osservò Huber, è manifestamente
una grossolana imitazione della base piramidale a tre faccie della cella dell'ape
domestica, le tre superfici piane entrando necessariamente nella costruzione
delle tre celle adiacenti. È evidente che la Melipona risparmia della
cera col metodo delle sue costruzioni; perchè le pareti piane fra le
celle adiacenti non sono doppie, ma hanno una grossezza uguale a quella delle
porzioni sferiche esterne, e ogni porzione piana fa parte di due celle.
Riflettendo a questi fatti pensai che se la Melipona avesse fabbricato le sue
sfere a una data distanza fra loro e le avesse formate di uguale grandezza e
con disposizione simmetrica sopra un doppio strato, la struttura risultante
sarebbe stata probabilmente perfetta quanto quella del favo dell'ape domestica.
Coerentemente scrissi ai prof. Miller di Cambridge, e questo geometra, appoggiandosi
alle mie informazioni, giunse al seguente risultato, che cortesemente mi comunicò
e del quale mi dichiarò la rigorosa esattezza.
Se un numero qualunque di sfere uguali siano descritte poste coi loro centri
in due piani paralleli e in modo che il centro di ogni sfera non sia distante
dalle sei sfere contigue, poste nello stesso strato, più del prodotto
che si ottiene moltiplicando il raggio per (2, vale a dire per 1,41421; e che
inoltre ogni sfera sia alla medesima distanza dai centri delle altre sfere vicine
poste nell'altro strato parallelo; se si conducono i piani di intersezioni delle
sfere di ambi gli strati, ne risulterà un doppio strato di prismi esagoni
congiunti fra loro per mezzo di basi piramidali formate da tre rombi; e i rombi
non meno che le faccie dei prismi esagoni avranno i loro angoli identici a quelli
che ci sono dati dalle più esatte misure prese sulle celle dell'ape domestica.
Mi viene però fatto conoscere dal professore Wyman, il quale ha eseguito
numerose e diligenti misurazioni, che la esattezza del lavoro delle api fu notevolmente
esagerata, al punto che egli sostiene che la forma tipica della cellula, se
pur viene realizzata, lo è al certo raramente.
Noi possiamo dunque conchiudere con sicurezza che se potessimo modificare gli
attuali istinti della Melipona, i quali in se stessi non sono poi tanto straordinari,
quest'ape potrebbe raggiungere una struttura non meno perfetta di quella dell'ape
domestica. Supponiamo che la Melipona fabbricasse celle esattamente sferiche
e di uguale grandezza: nè ciò sarebbe a reputarsi sorprendente,
mentre queste celle sono quasi uguali e sferiche, e conosciamo molti insetti
che forano nel legno dei buchi perfettamente cilindrici, e come sembra col girare
intorno ad un punto fisso. Supponiamo inoltre che la Melipona disponesse le
sue celle su piani livellati, come essa lo fa nel costruire le sue celle cilindriche;
ammettiamo poi, e ciò è assai più difficile a credersi,
che la medesima sappia in qualche modo apprezzare giustamente la distanza che
la separa dalle altre lavoratrici, quando molte stanno formando le loro sfere.
Ma sembra che questo insetto sia già capace di valutare tale distanza,
perchè egli descrive le sue sfere in modo che si intersecano ampiamente,
e congiunge i punti di intersezione con superfici perfettamente piane. Noi dobbiamo
di più fare un'altra ipotesi più ammissibile, cioè che
avendo formati i prismi esagoni coi piani di intersezione delle sfere adiacenti
situate nel medesimo strato, esso possa prolungare il prisma esagono fino alla
lunghezza voluta, affinchè contenga una certa quantità di miele;
in quella guisa che il rozzo pecchione aggiunge dei cilindri di cera alle aperture
circolari dei suoi bozzoli vecchi. Con queste modificazioni di istinti che in
se stessi non sono tanto meravigliosi, e certo non sono più stupendi
di quello che conduce un uccello a fabbricarsi il nido, credo che l'ape domestica
abbia acquistato, mediante la elezione naturale, la sua inimitabile facoltà
architettonica.
Ma questa teoria può convalidarsi con una esperienza. Dietro lo esempio
del Tegetmeier, ho separato due favi ed ho collocato fra essi una striscia di
cera lunga, grossa e rettangolare: le api cominciarono immediatamente a forarvi
dei piccoli incavi circolari, e quanto più esse progredivano nel lavoro
fino a ridurli a foggia di bacini profondi, questi apparivano all'occhio come
perfetti segmenti di sfera e di un diametro quasi eguale a quello cella. Era
del più grande interesse per me l'osservare che in tutti i punti, nei
quali parecchie api avevano cominciato ad escavare questi bacini gli uni presso
gli altri, essi erano disposti precisamente ad una tale distanza fra loro, che
quando erano giunti alla larghezza assegnata (cioè quella di una cella
ordinaria) e ad una profondità corrispondente ad un sesto circa del diametro
della sfera di cui essi formavano una parte, i bordi dei bacini si intersecavano
e si interrompevano. Appena ciò si verificava le api si arrestavano e
si davano a costruire delle pareti piane di cera sulle linee d'intersezione
dei bacini, così che ogni prisma esagono fu eretto sul margine ondulato
del bacino appianato invece degli spigoli retti della piramide a tre faccie
che si trova nelle cellette ordinarie.
Io posi allora nell'alveare in luogo della grossa striscia rettangolare un'altra
striscia di cera sottile e stretta come la costa di un coltello e colorata colla
cocciniglia. Le api cominciarono subito ad escavare da ambe le parti i piccoli
bacini a poca distanza fra loro, come prima avevano fatto; ma la striscia di
cera era tanto sottile, che se i fondi dei bacini fossero stati approfondati
come nella esperienza precedente, avrebbero traversato la cera da una parte
all'altra. Le api però seppero prevenire questo risultato e arrestarono
in tempo debito le loro escavazioni; e appena i bacini furono leggermente abbozzati,
esse resero piani i loro fondi, i quali, così formati di un sottilissimo
strato di cera colorata che non era stata intaccata, erano situati (per quanto
l'occhio poteva giudicare) esattamente lungo i piani della intersezione che
poteva immaginarsi prodotta fra i bacini sugli opposti lati della striscia di
cera. In alcune parti avevano lasciato soltanto piccoli frammenti dei piani
romboidali, in altre parti invece si osservavano grandi porzioni di questi piani,
ma l'opera non era stata compiuta a dovere per le condizioni anormali in cui
si trovavano. Convien dire che le api lavorarono contemporaneamente da ambi
i lati della striscia di cera colorata ed escavarono circolarmente ad uguali
profondità i bacini dalle due parti, per riuscire così a formare
gli strati piani esistenti fra i bacini stessi, prima di sospendere il lavoro,
non appena erano giunte ai piani intermedi o piani di intersezione.
Considerando quanto è pieghevole la cera sottile, non saprei trovare
in questo caso alcuna difficoltà ad intendere come le api, nel lavorare
ai due lati della lamina di cera, si accorgessero quando la cera fosse incavata
fino ad una grossezza conveniente e allora sospendessero il lavoro. Nei favi
ordinari mi parve che le api non giungessero sempre a formare esattamente nello
stesso tempo le loro celle nelle direzioni opposte; perchè osservai dei
rombi non compiuti alla base di una cella appena incominciata, che era leggermente
concava da una parte, da quella cioè in cui io(16) supponevo che le api
avessero scavato più sollecitamente, e convessa dall'altra parte, ove
le medesime avevano scavato con maggiore lentezza. In uno di questi casi posi
il favo nuovamente nell'alveare e lasciai che le api vi lavorassero intorno
per breve tempo: indi lo ripresi ed esaminai la cella, e vidi che lo strato
romboidale era stato compiuto ed era divenuto in ambi i lati perfettamente piano:
era assolutamente impossibile che esse avessero potuto renderlo tale col corrodere
il lato convesso, per l'estrema sottigliezza del piccolo strato: quindi sospetto
che le api in questi casi, stando nelle celle opposte, spingano e pieghino la
cera duttile e calda (come io stesso potei facilmente provare) nel proprio strato
intermedio e così la spianino.
Dal fatto della striscia di cera colorata possiamo rilevare chiaramente che,
se le api avessero a costruire per sè una sottile parete di cera, formerebbero
le loro celle della grandezza consueta, collocandole alla distanza determinata
fra loro ed escavandole contemporaneamente e studiandosi di fare le loro vaschette
esattamente sferiche; ma non le prolungherebbero approfondandole al punto di
intersecarle scambievolmente. Ora le api fanno una parete rozza e periferica,
una specie di bordo intorno al favo; e vi scolpiscono poi dai lati opposti le
loro celle, che incavano sempre più lavorando circolarmente, come può
vedersi chiaramente se si guardi il lembo del favo che stanno costruendo. Così
esse non formano nello stesso tempo l'intera base piramidale a tre faccie, ma
soltanto quello strato romboidale che si trova sull'estremo margine del favo
od anche due faccie, come può osservarsi; ed esse non compiono mai gli
spigoli superiori delle faccie romboidali, finchè le pareti esagone non
sono cominciate. Alcune di queste osservazioni differiscono da quelle fatte
dal giustamente celebrato Huber il vecchio, ma sono convinto dell'accuratezza
delle medesime; e se avessi spazio potrei dimostrare che sono in accordo colla
mia teoria.
L'opinione di Huber, che la prima cellula sia scavata in una piccola parete
di cera a lati paralleli, non è pienamente fondata, per quanto mi fu
dato di osservare; poichè il primo lavoro è sempre stato un piccolo
cappuccio di cera; ma non mi diffonderò qui in ulteriori dettagli. Noi
vediamo quanto sia importante l'atto della escavazione, nella costruzione delle
celle; ma sarebbe un grande errore il supporre che le api non possano formare
un rozzo strato di cera nella conveniente posizione, cioè, secondo il
piano d'intersezione delle due sfere adiacenti. Io conosco parecchi fatti che
dimostrano evidentemente la realtà di quanto affermo. Anche nel bordo
informe e periferico di cera, o in quel piano che si trova in costruzione, possono
osservarsi talvolta delle curvature le quali, per la loro situazione, corrispondono
appunto agli strati delle faccie romboidali delle basi delle future cellette.
Ma questa grossolana parete di cera deve in ogni caso essere lavorata e ridotta
a perfezione dalle api, che la incavano profondamente da ambe le parti. È
molto curioso il modo tenuto dalle api nel costruire le loro celle; esse formano
sempre il primo rozzo strato dieci o venti volte più grosso della parete
eccessivamente delicata della cella, parete che infine deve rimanere. Noi possiamo
comprendere come esse lavorano, supponendo che dei muratori formino dapprima
un grande ammasso di cemento, e quindi comincino da ambi i lati a levare ugualmente
fino al livello del suolo tutto l'eccedente del muro sottile che deve restare
nel mezzo, rimettendo sempre sopra l'ammasso il cemento sottratto ai fianchi
e mescolandolo con cemento fresco. Si avrebbe in tal modo un muro sottile, che
si alzerebbe costantemente e porterebbe alla sommità una gigantesca cornice.
Tutte le celle, siano appena cominciate, siano compiute, rimangono così
coronate di un forte bordo di cera e permettono quindi alle api di riunirsi
ed appoggiarsi sul favo, senza danneggiare le delicate pareti esagone. Queste
pareti sono molto variabili in grossezza, come gentilmente mi fu accertato dal
prof. Miller: però una media di dodici misure prese sui margini diede
1,353 di pollice inglese di grossezza; mentre sopra ventun misure prese, le
faccie delle basi romboidali si trovarono di 1,229 di pollice, cioè più
grosse, incirca secondo la proporzione di tre a due. Per questa singolare maniera
di fabbricare, il favo rimane continuamente solido, trovandosi infine risparmiata
una grande quantità di cera.
Sembra sulle prime che si renda maggiore la difficoltà di comprendere
la costruzione delle celle, dal vedere che una moltitudine di api vi è
applicata al lavoro: e che un'ape, dopo di avere atteso per breve tempo ad una
cella, passa ad un'altra; per cui una ventina di individui partecipano sino
dal principio alla costruzione della prima cella, come constatò Huber.
Io giunsi ad osservare praticamente questo fatto, coprendo gli spigoli delle
pareti esagone di una cella, oppure l'estremo lembo del bordo periferico di
un favo incipiente, con uno strato estremamente sottile di cera fusa colorata
di rosso; e trovai sempre che il colore veniva più uniformemente steso
dalle api, come potrebbe ottenerlo un pittore col suo pennello, quando esse
prendevano degli atomi di codesta cera colorata dal punto in cui io l'avevo
posta, e la impiegavano sulle pareti di tutte le celle vicine. L'opera di costruzione
sembra una specie di bilancia che si stabilisca fra molte api, le quali tengonsi
tutte alla medesima distanza relativa fra loro, e con uguale tendenza di scavare
delle sfere identiche, di costruirvi sopra i loro prismi e di arrestarsi dall'incavare
i piani di intersezione esistenti fra queste sfere. Era in verità cosa
curiosissima il notare nei casi difficili, come quando due pezzi di favo si
incontrano ad angolo, quanto spesso le api rovesciavano e ricostruivano la medesima
cellula, talvolta adottando di nuovo una forma da esse reietta.
Quando le api si trovano in un luogo in cui possano stare nelle posizioni convenienti
per le loro costruzioni, per esempio, sopra un tavolato che sia collocato direttamente
sotto il punto centrale di un favo in costruzione all'ingiù, per modo
che il favo debba costruirsi sopra una faccia del tavolato, in tal caso le api
possono mettere le fondazioni della parete di un nuovo esagono nella situazione
rigorosamente voluta, proiettandolo verso le altre celle finite. Basta che le
api sappiano tenersi alle convenienti distanze relative fra loro e dalle pareti
delle celle ultimamente compiute, perchè allora, descrivendo delle sfere
immaginarie, possano elevare una parete intermedia a due sfere contigue. Ma,
per quanto io mi abbia osservato, esse non si arrestano dal corrodere e non
terminano gli angoli di una cellula, finchè non sia stata costrutta una
gran parte di questa o delle celle vicine. Questa capacità delle api
di formare, in certe circostanze, una parete grossolana nel suo posto preciso,
fra due celle appena cominciate, è importante, quando si rifletta che
si fonda sopra un fatto che a primo aspetto sembra sovversivo per la mia teoria;
cioè che le celle sul margine estremo dei favi delle vespe sono talvolta
perfettamente esagone; ma, per difetto di spazio, non posso entrare in questo
argomento. Non mi pare gran fatto difficile che un singolo insetto faccia delle
celle esagone (come nel caso della vespa-regina) quando lavori alternativamente
all'interno ed all'esterno di due o tre celle cominciate contemporaneamente,
stando sempre ad una distanza relativa conveniente dalle parti delle celle cominciate,
per descrivere le sfere o i cilindri e costruire i piani intermedi. Può
anche concepirsi come un insetto possa fissarsi sopra un punto, dal quale incominci
una cella e, muovendo da quello, si volga prima verso un punto, poi verso cinque
altri punti, alle proprie relative distanze dal punto centrale e fra loro; descriva
i piani di intersezione e così formi un esagono isolato; ma io non credo
che un simile processo sia stato osservato. Nè deve essersi prodotto
qualche vantaggio dalla costruzione di un esagono, quando nella sua costruzione
si impieghino maggiori materiali che nella formazione di un cilindro.
Come l'elezione naturale agisce solamente per l'accumulazione di piccole modificazioni
nella struttura o nell'istinto, quando ognuna di esse sia vantaggiosa all'individuo
nelle sue condizioni vitali, così potrebbe ragionevolmente chiedersi
in che modo una lunga e graduale successione di istinti architettonici modificati,
tutti tendenti al presente piano perfetto di costruzione, abbia potuto giovare
ai progenitori dell'ape domestica. La risposta non è difficile; infatti
noi sappiamo che le api sono spesso duramente stimolate a produrre del nèttare
a sufficienza. Il Tegetmeier mi ha informato che si trovò sperimentalmente
non consumarsi meno di dodici a quindici libbre di zucchero secco da uno sciame
di api, per la secrezione di ogni libbra di cera. Deve dunque raccogliersi e
consumarsi una prodigiosa quantità di nèttare liquido dalle api
di un alveare, per la secrezione della cera necessaria alla costruzione dei
loro favi. Inoltre molte api debbono rimanere oziose per molti giorni, durante
il processo di secrezione. È poi necessaria una grande provvista di miele
per mantenere una grande quantità di api nell'inverno; e la sicurezza
dell'arnia dipende principalmente, come sappiamo, dal numero delle api che vi
possono soggiornare. Quindi in ogni famiglia di api il risparmio della cera,
servendo ad accrescere la provvigione del miele, deve essere il più importante
elemento di successo. Naturalmente, il successo di ogni specie di api deve anche
dipendere dal numero dei loro parassiti, o di altri loro nemici, od anche da
cause affatto distinte: e per conseguenza può essere affatto indipendente
dalla quantità del miele che esse possono raccogliere. Ma supponiamo
per un momento che quest'ultima circostanza determini, come probabilmente deve
spesso determinare, il numero dei pecchioni che possono esistere in un paese;
e supponiamo inoltre (al contrario di quanto realmente avviene), che lo sciame
viva per tutto l'inverno e quindi vada in traccia di una provvista di miele;
in questo caso non potrebbe dubitarsi che sarebbe profittevole ai nostri pecchioni
che il loro istinto, modificandosi leggermente, li determinasse a fabbricare
le loro celle di cera tanto vicine fra loro da intersecarsi un poco; perchè
una parete, comune a due celle adiacenti, risparmierebbe una piccola quantità
di cera. Sarebbe dunque profittevole ai pecchioni il formare le loro celle sempre
più regolari, più vicine l'una all'altra ed agglomerate in una
sola massa, come quelle della Melipona; perchè allora una gran parte
della superficie che limita ciascuna cella, servirebbe a contenerne altre e
si avrebbe una maggiore economia di cera. Per la stessa ragione sarebbe anche
utile alla Melipona il fare le sue celle più vicine fra loro e più
regolari, in qualsiasi modo, che oggi non siano; perchè allora, come
abbiamo veduto, le superfici sferiche scomparirebbero affatto e sarebbero surrogate
da superfici piane; e la Melipona costruirebbe un favo perfetto, come quello
dell'ape domestica. L'elezione naturale non potrebbe condurre al di là
di questo stadio di perfezione architettonica, perchè il favo dell'ape
domestica è, siccome abbiamo notato, assolutamente perfetto, in ordine
all'economia della cera.
In questo modo può spiegarsi, a mio credere, il più portentoso
di tutti gli istinti conosciuti, quello dell'ape domestica: cioè, coll'ammettere
che la elezione naturale abbia saputo approfittare delle modificazioni piccole,
numerose e successive di istinti più semplici. L'elezione naturale può
dunque avere spinto le api, per gradi lenti e con crescente perfezione, a costruire
delle sfere uguali, ad una data distanza fra loro in uno strato doppio; e a
fabbricare ed escavare la cera, seguendo i piani di intersezione. Le api in
verità non sanno di scolpire le loro sfere ad una determinata distanza
fra esse, più di quello che conoscano i vari angoli dei prismi esagoni
e delle faccie piane dei rombi delle basi. La causa impellente del processo
di elezione naturale fu quella di ottenere risparmio di cera, conservando insieme
alle celle la dovuta solidità, e la grandezza e forma adatte per le larve,
e perciò quello sciame particolare che formò le migliori celle,
e consumò meno miele nella secrezione della cera, riuscì meglio
degli altri, e trasmise per eredità i suoi istinti economici acquistati
ai nuovi sciami, i quali, alla loro volta, avranno goduto di una maggiore probabilità
di trionfare nella lotta per l'esistenza.
OBBIEZIONI CONTRO LA TEORIA DELL'ELEZIONE NATURALE
RAPPORTO AGLI ISTINTI; INSETTI NEUTRI E STERILI
Si è obbiettato alle precedenti considerazioni, sull'origine
dell'istinto, che "le variazioni di struttura e di istinto debbono essere
state simultanee ed accuratamente adattate le une alle altre; per modo che una
modificazione nell'una, senza un immediato cambiamento corrispondente nell'altra,
sarebbe stata fatale". Tutta la forza di questa obbiezione sembra consista
intieramente nel supposto che i cangiamenti di istinto e di struttura siano
repentini. Prendiamo, per esempio, il caso della cingallegra maggiore (Parus
major), alla quale facemmo allusione in un capo precedente; quest'uccello spesso
prende i semi del tasso fra i suoi piedi sopra un ramo, e li batte col suo becco,
finchè ne sia uscita la polpa. Ora quale particolare difficoltà
vi sarebbe che l'elezione naturale conservasse ogni piccola variazione del becco,
che lo rendesse meglio adatto a frangere i semi, finchè si giungesse
ad un becco, tanto acconciamente costruito per codesto scopo come quello del
rompinoce, nel medesimo tempo che l'abitudine ereditaria, o l'impulso per la
mancanza di altro cibo, ovvero la conservazione delle accidentali variazioni
del gusto, rendesse l'uccello esclusivamente granivoro? In tal caso noi supponiamo
che il becco si sia lentamente modificato, per mezzo della elezione naturale,
in seguito ad abitudini lentamente mutate ed in relazione ad esse. Ora ammettiamo
che il piede della cingallegra varii e cresca in grandezza per la correlazione
col becco, o per qualsiasi altra causa; rimarrà forse molto improbabile
che questi piedi più grandi permettano all'uccello di arrampicarsi sempre
più facilmente, finchè esso acquisti il rimarchevole istinto e
la capacità di arrampicare, come il rompinoce? In tal caso si suppone
che un graduale mutamento di struttura ingeneri dei cambiamenti nelle istintive
abitudini della vita. Prendiamo un altro esempio; pochi istinti sono più
notevoli di quello che muove la salangana delle Isole Britanniche Orientali
a formare il suo nido interamente di saliva condensata. Alcuni uccelli fabbricano
i loro nidi colla terra, che si crede umettata colla saliva, e una rondine dell'America
settentrionale fa il suo nido (come ho veduto) con piccoli pezzetti di legno,
agglutinati colla saliva, e con fiocchi di questa sostanza condensata. È
quindi per avventura molto improbabile che l'elezione naturale di quelle salangane,
che avevano una secrezione salivale sempre più abbondante, abbia infine
prodotto una specie con istinti tali da trascurare gli altri materiali e da
fare il proprio nido con saliva solidificata? Così dicasi in altri casi.
Ma deve ammettersi che in molti esempi non possiamo congetturare se l'istinto
o la struttura cominciò dapprima a variare.
Senza dubbio potrebbero opporsi alla teoria dell'elezione naturale molti istinti
di assai difficile spiegazione. Quei casi, per esempio, in cui non siamo in
grado di conoscere come un istinto sia stato possibilmente originato; quei fatti
in cui non sappiamo che esistano intermedi passaggi; gli istinti che apparentemente
sono di sì poca importanza, che non sono caduti sotto l'azione della
elezione naturale; quegli istinti che sono quasi identicamente gli stessi, e
che trovansi in animali tanto lontani dalla scala naturale, che non possiamo
stabilire una tale somiglianza sulla eredità da un comune progenitore,
ed anzi dobbiamo ritenere che essi provengano da atti indipendenti di elezione
naturale. Io qui non tratterò questi vari fatti, ma mi limiterò
ad una difficoltà speciale, che sulle prime mi parve insuperabile ed
effettivamente fatale a tutta la mia teoria. Voglio alludere alle femmine neutre
o sterili, nelle famiglie d'insetti; perchè questi neutri diversificano
spesso nell'istinto e nella struttura, e dai maschi e dalle femmine feconde,
ed essendo sterili non possono propagare la loro struttura particolare.
Il soggetto meriterebbe di essere discusso a lungo, ma io non mi arresterò
che sopra un solo caso, quello cioè delle formiche operaie. È
difficile comprendere in qual modo le operaie siano divenute sterili, ma ciò
non è più arduo di quanto sia ogni altra grande modificazione
di struttura; mentre può dimostrarsi, che alcuni insetti ed altri animali
articolati divengono accidentalmente sterili nello stato di natura; se questi
insetti furono sociali, e questa modificazione abbia recato profitto alla società,
col nascerne annualmente un certo numero capaci di lavorare, ma incapaci di
procrearne altri, non saprei trovare alcuna seria opposizione a che altrettanto
venisse operato dalla elezione naturale. Ma io debbo oltrepassare questa preliminare
obbiezione. La grande difficoltà consiste nel trovarsi la struttura delle
formiche operaie interamente diversa da quella dei maschi e da quella delle
femmine feconde, come nella forma del torace, così nell'essere prive
di ali e talvolta di occhi, e differendo anche nell'istinto. Per quanto concerne
l'istinto, la prodigiosa differenza fra le operaie e le femmine perfette, potrebbe
opportunamente confrontarsi a quanto si osserva nelle api domestiche. Se una
formica operaia, od un altro insetto neutro, è stato per l'addietro un
animale nello stato ordinario, non saprei esitare un istante a stabilire che
tutti i suoi caratteri furono acquistati lentamente, per opera dell'elezione
naturale; vale a dire, col nascere di un individuo dotato di alcune piccole
modificazioni profittevoli di struttura, le quali furono ereditate dalla sua
prole; indi col variare di questa ed essere scelta alla sua volta, e così
di seguito. Ma nella formica operaia noi abbiamo un insetto che differisce grandemente
da' suoi parenti, e che nondimeno è assolutamente sterile; per modo che
egli non può mai aver trasmesso successivamente le modificazioni acquistate
di struttura o di istinto alla sua progenie. Si può quindi chiedere,
con ragione, come sia possibile conciliare questo caso colla teoria della elezione
naturale
Mi sia permesso di ricordare, in primo luogo, che noi abbiamo innumerevoli esempi,
sia nelle nostre produzioni domestiche, sia in quelle allo stato di natura,
di tutte le sorta di differenze di struttura che sono correlative a certe fasi
della vita, e all'uno o all'altro sesso. Abbiamo delle differenze correlative
ad un solo sesso, ma che si verificano soltanto per un breve periodo, quando
il sistema riproduttivo è in azione; come nell'abito nuziale di molti
uccelli e nella mascella inferiore ad uncino del salmone maschio. Notiamo altresì
delle piccole differenze nelle corna delle varie razze di bestiame bovino, in
relazione ad uno stato artificialmente imperfetto del sesso maschile; perchè
i buoi di certe razze hanno corna più lunghe di quelle d'altre razze,
in confronto alle corna dei tori o delle vacche di queste medesime razze. Quindi
non trovo una reale difficoltà che un carattere si sia palesato, in relazione
alla condizione di sterilità di certi membri di una società di
insetti: la difficoltà rimane nello spiegare come queste modificazioni
di struttura correlative possano essere state lentamente accumulate dalla elezione
naturale.
Questa difficoltà, benchè sembri insuperabile, è diminuita
o tolta, come io credo, quando si ricordi che l'elezione può essere applicata
alla famiglia come all'individuo, e può così raggiungere l'intento
desiderato. Gli allevatori del bestiame cercano di avere la carne ed il grasso
bene mescolati insieme; l'animale viene macellato, ma l'allevatore coltiva con
fiducia la stessa razza. Io sono tanto convinto della potenza dell'elezione
da non dubitare che una razza di buoi, la quale produce continuamente buoi dotati
di corna straordinariamente lunghe, deve essere stata formata lentamente, colla
scelta accurata di quelle coppie di tori e di vacche le quali diedero buoi a
corna più lunghe; e nondimeno nessun bue può mai aver propagato
la sua razza. Un fatto reale e più illustrativo è il seguente.
Secondo il Verlot alcune varietà del leucodio invernale annuo e pieno,
in seguito a diligente scelta adatta e lungamente continuata, generano sempre
coi semi molti fiori pieni ed infecondi, ed in simil modo anche qualche singola
pianta semplice e feconda. Queste ultime, colle quali unicamente la varietà
è riprodotta, possono paragonarsi coi maschi e colle femmine feconde
di una colonia di formiche; le sterili e piene invece corrispondono alle formiche
sterili e neutre. Come nelle varietà del leucodio, così negli
insetti sociali, l'elezione naturale fu applicata alla famiglia e non all'individuo
per raggiungere uno scopo utile. Noi possiamo quindi concludere che una piccola
modificazione di struttura o di istinto, in relazione alla condizione sterile
di certi membri della comunità, sia riuscita vantaggiosa alla comunità
stessa; per conseguenza i maschi e le femmine feconde della colonia prosperarono,
e trasmisero alla loro progenie, pure feconda, la tendenza di produrre individui
sterili, dotati di quella modificazione. E questo processo fu ripetuto, finchè
si ottenne quel prodigioso insieme di differenze fra le femmine feconde e le
sterili della stessa specie, le quali noi osserviamo in molti insetti sociali.
Ma non abbiamo ancora toccato il culmine della difficoltà, cioè
il fatto che i neutri di parecchie formiche non differiscono soltanto dalle
femmine feconde e dai maschi, ma diversificano inoltre fra loro; talvolta ad
un grado quasi incredibile e sono così divisi in due o tre caste. Le
caste, inoltre, non sono generalmente in gradazione, ma sono perfettamente bene
definite; e tanto distinte fra loro, quanto possono esserlo due specie di uno
stesso genere, o due generi di una stessa famiglia. Così nella Eciton
abbiamo le neutre operaie e le neutre soldate, con mascelle ed istinti straordinariamente
diversi; nella famiglia Cryptocerus le operaie di una casta sono le sole che
portino una singolare sorta di scudo sul loro capo, di cui non si conosce lo
scopo; nelle Myrmecocystus messicane le operaie di una casta non abbandonano
mai il nido; esse sono nutrite dalle operaie di un'altra casta ed hanno un addome
enormemente sviluppato, dal quale si secerne una specie di miele, che tiene
il posto della secrezione degli afidi, o di quel bestiame domestico, come potrebbe
chiamarsi, che le nostre formiche europee inseguono e tengono in loro potere.
Si dirà certamente che io ho una presuntuosa fiducia nel principio della
elezione naturale, perchè non ammetto che questi fatti tanto portentosi
e bene accertati valgano a distruggere la mia teoria. Nel caso più semplice,
in cui degli insetti neutri tutti di una casta, o della stessa razza; furono
resi affatto diversi dai maschi e dalle femmine feconde, locchè reputo
possibile per fatto della elezione naturale: in tal caso, noi possiamo con certezza
conchiudere, dall'analogia delle variazioni ordinarie, che ogni piccola modificazione,
successiva e vantaggiosa, non si sarà manifestata dapprima in tutti gli
individui neutri dello stesso nido, ma in alcuni soltanto; e che per l'elezione
prolungata di quei parenti fecondi, che generarono dei neutri dotati di modificazioni
utili, tutti i neutri avranno in ultimo acquistato il carattere desiderato.
Partendo da questa base noi dovremmo trovare occasionalmente degli insetti neutri
di una stessa specie e di un medesimo nido, i quali presentino gradazioni di
struttura; ora ciò avviene appunto di sovente, anche ad onta che pochi
insetti neutri di Europa siano stati studiati accuratamente. F. Smith ha mostrato
in qual modo sorprendente le neutre di parecchie formiche inglesi differiscono
fra loro nella grandezza e talvolta nel colore; e che le forme estreme ponno
talvolta essere perfettamente collegate insieme da individui del medesimo nido.
Io stesso ho rinvenuto delle gradazioni perfette di questa fatta. Spesso accade
che le operaie più grandi, oppure le più piccole, sono le più
numerose; od anche si trova che le operaie grandi e le piccole sono in gran
numero, mentre quelle di una grandezza intermedia sono molto scarse. La Formica
flava ha delle operaie grandi e delle altre piccole: ed inoltre ne ha alcune
poche di corporatura media; e in questa specie, come osservò F. Smith,
le operaie più grandi hanno gli occhi semplici (ocelli), benchè
piccoli, pure chiaramente discernibili; al contrario le operaie più piccole
hanno i loro ocelli rudimentali. Io anatomizzai diligentemente parecchi individui
di queste operaie, e posso assicurare che gli occhi sono assai più rudimentali
nelle piccole operaie e più di quanto sarebbe dovuto puramente alla loro
corporatura, proporzionalmente più piccola; ed io sono persuaso, benchè
non possa accertarlo positivamente, che le operaie di grandezza intermedia hanno
gli ocelli in una condizione esattamente intermedia. Per modo che noi osserviamo
qui due gruppi di operaie sterili, nel medesimo nido, i quali differiscono non
solo per la grandezza, ma anche pei loro organi visivi, e sono tuttavia connessi
da pochi individui, che si trovano in una condizione intermedia. In via di digressione
aggiungerò che, se le operaie più piccole furon le più
utili alla società, e vennero quindi continuamente prescelti quei maschi
e quelle femmine che produssero delle operaie vieppiù piccole; infino
a che tutte le operaie acquistarono questa struttura, avrebbe dovuto risultarne
una specie di formica, con individui neutri, quasi analoga e nelle medesime
condizioni della specie Myrmica, in quanto che le operaie non hanno alcun rudimento
degli occhi semplici, benchè i maschi e le femmine di questo genere abbiano
gli ocelli bene sviluppati.
Citerò anche un altro caso. Io ero tanto convinto di rinvenire delle
gradazioni, in certe parti importanti della struttura, fra le diverse caste
di neutri appartenenti ad una medesima specie, che di buon grado mi valsi dell'offerta
fattami dallo Smith di molti campioni tratti da un nido di Anomma, formica cacciatrice
dell'Africa Occidentale. Il lettore apprezzerà forse meglio la somma
delle differenze in queste operaie, anzichè dietro gli effettivi riscontri,
per mezzo di una similitudine accurata. Possiamo infatti rappresentare questa
totale differenza col figurarci una schiera di lavoratori, che fabbrichino una
casa, molti dei quali abbiano un'altezza di quattro piedi e cinque pollici,
ed altri abbiano la statura di sedici piedi; dobbiamo poi supporre che gli operai
più grandi abbiano una testa quattro volte maggiore di quella degli altri,
invece di averla il triplo di grossezza, e delle mascelle quasi cinque volte
più ampie. Inoltre le mascelle delle formiche operaie di diversa grandezza
differirebbero immensamente nella conformazione come nella forma e nel numero
dei denti. Ma il fatto più importante per noi è, che, quantunque
le operaie possano aggrupparsi in caste di corporatura differente, nondimeno
esse sono insensibilmente in gradazione fra loro, come avviene nella diversissima
struttura delle mascelle. Posso sostenere apertamente la verità di questo
fatto, perchè provato dai disegni che mi fece il sig. Lubbock, colla
camera lucida, di mascelle da me tagliate sulle operaie di diversa grandezza.
Appoggiato a questi fatti, io ritengo che la elezione naturale, operando sui
parenti fecondi, possa dare origine ad una specie che debba produrre regolarmente
degli individui neutri, i quali o siano tutti di grande statura, con una data
forma di mascelle, oppure siano di piccola statura, con mascelle conformate
affatto diversamente; od anche in fine, una parte di una certa grandezza e struttura,
e simultaneamente un'altra parte di una struttura e di una grandezza diversa,
e questa è la maggiore difficoltà per noi. Essendosi per tal modo
formata sulle prime una serie graduale, come nel caso della formica cacciatrice,
e riuscendo le forme estreme più utili alla colonia, queste ultime saranno
state propagate in quantità crescente, per mezzo della elezione naturale
dei progenitori dai quali derivarono: finchè tutte quelle che avevano
una struttura intermedia cessarono, non essendo riprodotte.
Un'analoga spiegazione diede il Wallace del fatto ugualmente complicato, che
cioè certe farfalle malesi appariscono regolarmente allo stesso tempo
in due e perfino tre diverse forme femminili; così pure il Fritz Müller
a proposito di diversi crostacei brasiliani, che presentano due forme maschili
diversissime l'una dall'altra. Ma non è d'uopo sviluppare qui l'argomento.
Tale fu, a mio credere, l'origine del meraviglioso fatto della esistenza di
due caste, nettamente definite, di operaie sterili nel medesimo nido, pienamente
diverse fra loro e dai loro parenti. Avviseremo alla grande utilità della
loro produzione rispetto alla sociale comunità degli insetti a cui appartengono,
per quel medesimo principio della divisione del lavoro, che è tanto vantaggioso
all'uomo civilizzato. Siccome le formiche lavorano per gli istinti ereditati,
e con gli organi ed apparecchi pure ereditati, e non già per le cognizioni
acquistate e con utensili da esse apprestati, in esse non può effettuarsi
una perfetta divisione di lavoro, se non per mezzo delle operaie divenute sterili;
queste furono feconde in origine, indi subirono degli incrociamenti, e i loro
istinti, non che la loro struttura, furono modificati e confusi. Io credo che
la natura abbia effettuata quest'ammirabile divisione di lavoro nelle colonie
di formiche, mediante il processo di elezione naturale. Ma sono anche costretto
a confessare che, non ostante tutta la mia fiducia in questo principio, io non
avrei mai supposto che la elezione naturale avesse un potere così elevato,
se il fatto degli insetti neutri non mi avesse alla perfine convinto di questa
verità. Volli discutere questo caso un po' lungamente, benchè
non lo abbia fatto a sufficienza, per provare quale sia il valore della elezione
naturale, e parimenti perchè codesta è la più grave delle
difficoltà speciali che si sono opposte alla mia teoria. Questi fatti
sono molto interessanti, perchè dimostrano che negli animali, come nelle
piante, ogni complesso di modificazioni nella struttura può essere prodotto
dall'accumulazione di molte variazioni piccole e apparentemente accidentali,
vantaggiose in qualche guisa, senza che l'esercizio o l'abitudine vi abbiano
alcuna parte. Perchè nè l'esercizio, nè l'abitudine, nè
la volontà possono avere alcuna influenza nei membri completamente sterili
di una famiglia d'insetti, per modificare la struttura o gl'istinti degli individui
fecondi, i quali soli lasciano una discendenza. Sono sorpreso che niuno abbia
messo innanzi questo caso dimostrativo degli insetti neutri contro la nota dottrina
delle abitudini ereditarie sostenuta da Lamarck.
SOMMARIO
Nel presente capitolo io mi sono studiato di dimostrare brevemente
che le qualità mentali de' nostri animali domestici variano, e che le
variazioni sono ereditate. Più brevemente ancora ho cercato di provare
che gli istinti variano leggermente allo stato di natura. Niuno contesterà
che gli istinti siano della più alta importanza per ogni animale. Quindi
non trovo alcuna difficoltà che la elezione naturale, sotto condizioni
di vita mutabili, accumuli le piccole modificazioni di istinto, fino ad un certo
grado, e in qualsiasi utile direzione. In certi casi anche l'abitudine, e l'uso
o il non-uso entrano in giuoco probabilmente. Non pretendo che i fatti, da me
addotti in questo capo, avvalorino grandemente la mia dottrina; ma nessuna delle
obbiezioni affacciate, per quanto mi è dato giudicare, giunse a distruggerla.
D'altra parte il fatto che gli istinti non sono mai assolutamente perfetti e
sono soggetti ad equivoci: - che niuno istinto fu prodotto ad esclusivo profitto
degli altri animali, ma che ogni animale si vale degli istinti degli altri;
- che il canone della storia naturale Natura non facit saltum è applicabile
agli istinti non meno che alla struttura corporea, e può spiegarsi facilmente
dietro le precedenti considerazioni, mentre altrimenti non saprebbe spiegarsi;
tutto ciò tende a consolidare la teoria della elezione naturale.
Questa teoria è inoltre sostenuta da alcuni altri fatti relativi all'istinto.
Per es., dal caso comune di quelle specie, strettamente affini, ma al certo
diverse, le quali trovandosi in luoghi distinti della terra e vivendo sotto
circostanze di vita assai diverse, pure spesso conservano istinti quasi identici.
Noi possiamo intendere, per mezzo del principio di eredità, come accada
che il tordo dell'America meridionale intonachi il suo nido col fango nella
stessa maniera del nostro tordo inglese; come i buceronti dell'Africa e dell'India
abbiano il medesimo straordinario istinto di chiudere ed imprigionare le femmine
nella cavità degli alberi, lasciando solamente una piccola apertura nell'intonaco,
dalla quale porgono il cibo alle femmine ed alla prole; perchè il reattino
maschio (Troglodytes) dell'America settentrionale si costruisca un nido separato,
ed abbia l'abitudine di appollaiarsi, come i maschi dei nostri distinti reattini
di Kitty, - abitudine interamente diversa da quelle degli altri uccelli conosciuti.
Da ultimo, ancorchè non fosse una deduzione logica, sarebbe assai più
soddisfacente il rappresentare alla mia immaginazione tali istinti, come quello
del cuculo che scaccia dal proprio nido i fratelli, quello delle formiche che
catturano le schiave, quello delle larve d'icneumonidi che nutronsi nei corpi
viventi dei bruchi, non già come istinti specialmente determinati e creati,
ma bensì quali conseguenze di una legge generale che conduce al progresso
di ogni essere organico, vale a dire, a moltiplicare, a variare, a rendere vittoriosi
i più forti ed a far soggiacere i più deboli.
CAPO IX
IBRIDISMO
Distinzione fra la sterilità dei primi incrociamenti e quella degl'ibridi - Sterilità varia in diversi gradi, non universale; aumentata da incrociamenti stretti, diminuita per mezzo della domesticità - Leggi che governano la sterilità degli ibridi - La sterilità non è una dote speciale, ma incidentale per altre differenze organiche - Cagioni della sterilità dei primi incrociamenti e di quella degl'ibridi - Parallelismo fra gli effetti delle mutate condizioni di vita e degli incrociamenti - Fecondità delle varietà incrociate e della loro prole meticcia; essa non è generale - Ibridi e meticci paragonati, indipendentemente dalla loro fecondità - Sommario.
I naturalisti generalmente ammettono che, quando una specie
è incrociata, viene specialmente dotata della qualità di sterilità,
per prevenire la confusione di tutte le forme organiche. Questa opinione sembra
certo a primo aspetto probabile, perchè le specie che vivono in una medesima
regione non potrebbero in modo alcuno rimanere distinte, quando fossero capaci
di incrociarsi liberamente. Secondo la teoria dell'elezione naturale questo
caso acquista un valore affatto speciale, dappoichè la sterilità
delle specie al primo incrociamento e de' loro discendenti ibridi non può
essere derivata da una continua preservazione di successivi stadii giovevoli
di sterilità; essa è il risultato incidentale di differenze nel
sistema riproduttivo delle specie madri.
Nella trattazione di questo argomento si sogliono ordinariamente confondere
insieme due classi di fatti, che hanno una grande differenza fondamentale; cioè
la sterilità di due specie quando per la prima volta si incrociano, e
la sterilità degli ibridi, che dalle medesime provengono.
Le specie pure hanno naturalmente i loro organi di riproduzione in una perfetta
condizione; nondimeno, quando siano incrociate, non producono prole alcuna,
oppure ne producono poca. Gl'ibridi al contrario hanno i loro organi riproduttivi
in uno stato d'impotenza funzionale, come può osservarsi chiaramente
nella struttura degli organi maschili nelle piante e negli animali, benchè
gli organi stessi siano di una struttura perfetta, come apparisce dalle osservazioni
fatte col microscopio. Nel primo caso, i due elementi sessuali che vanno a formare
l'embrione sono perfetti; nel secondo caso essi non sono intieramente sviluppati,
oppure lo sono imperfettamente. Questa distinzione è importante quando
debba considerarsi la causa della sterilità, che è comune ai due
casi; ed è stata probabilmente negletta perchè si considerava
questa sterilità, in ambi i casi, come una dote speciale, superiore alle
nostre facoltà intellettuali.
La fecondità delle varietà incrociate, cioè di quelle forme
che sappiamo o crediamo derivate da comuni progenitori e parimenti la fecondità
della loro prole meticcia, sono, rispetto alla mia teoria, di un'importanza
uguale a quella della sterilità delle specie; perchè sembrano
stabilire una chiara e netta distinzione fra le varietà e le specie.
GRADI DI STERILITÀ
Esaminiamo anzitutto la sterilità delle specie incrociate
e della loro prole ibrida. È impossibile studiare le diverse memorie
e le opere di Kölreuter e di Gärtner, coscienziosi ed abilissimi osservatori,
che consacrarono quasi tutta la loro vita a questo soggetto, senza rimanere
profondamente colpiti dalla grande estensione di un grado maggiore o minore
di sterilità delle specie incrociate. Kölreuter ne fa una legge
universale; ma egli tronca il nodo della questione quando in dieci casi diversi
in cui egli trova due forme, considerate dalla maggior parte degli autori come
specie distinte, perfettamente feconde tra loro, egli le classifica senza esitare
come varietà. Anche Gärtner ammette la regola universale ed impugna
la perfetta fecondità dei dieci casi del Kölreuter. Ma Gärtner
è costretto in questo ed in molti esempi a contare accuratamente i semi
per dimostrare che le specie sono affette da qualche grado di sterilità.
Egli confronta sempre il numero massimo dei semi, prodotti dalle due specie
incrociate e della loro prole ibrida, col numero medio prodotto dalle due specie-madri
allo stato di natura. Ma parmi che una grave causa di errore non sia qui stata
eliminata; per rendere ibrida una pianta si deve castrarla e si deve inoltre,
ciò che più monta, segregarla in modo da impedire che gli insetti
spargano sopra di essa il polline di altre piante. Quasi tutte le piante sperimentate
dal Gärtner erano in vasi, e forse conservate in una stanza della sua casa.
Non può rivocarsi in dubbio che questi processi siano spesso dannosi
alla fecondità di una pianta; perchè Gäürtner stesso
dà, nella sua tavola, una ventina circa di casi di piante castrate ed
artificialmente fecondate col loro proprio polline: e la metà circa di
queste venti piante perdette qualche poco della primiera fecondità (escluse
tutte quelle piante che, come le leguminose, presentano molta difficoltà
per questa operazione). Inoltre, se noi pensiamo che Gärtner per parecchi
anni ripetutamente incrociava la Primula vulgaris colla Primula veris, che abbiamo
buone ragioni di ritenere come due varietà, e soltanto una volta o due
ne ricavò del seme fecondo; che egli trovò assolutamente sterili
fra loro l'anagallide rossa e l'anagallide azzurra (Anagallis arvensis e A.
cœrulea), che i migliori botanici pongono fra le varietà, e che
infine egli giunse alla medesima conclusione in molti altri casi analoghi, mi
sembra che sia permesso di dubitare se gli incrociamenti fra molte altre specie
siano realmente sterili, come lo crede il Gärtner.
Da un'altra parte è indubitato che la sterilità di alcune specie,
quando sono incrociate, è diversa e si manifesta con tutte le gradazioni,
mentre la fecondità(17) di una specie pura è soggetta con tanta
facilità all'azione di varie circostanze, che in ogni caso pratico diviene
estremamente malagevole il dire dove termina la fecondità perfetta e
dove la sterilità comincia. Non so quale miglior prova possa trovarsi
intorno a ciò, di quella delle conclusioni diametralmente opposte a cui
arrivarono, rispetto alle medesime specie, i due più esperti osservatori
citati, cioè Kölreuter e Gärtner. Sarebbe anche molto istruttivo
il paragonare le asserzioni dei nostri migliori botanici sulla questione, se
certe forme dubbie debbano collocarsi fra le specie o fra le varietà,
colle prove della fecondità addotte da certi esperimentatori sugli incrociamenti
e sugli ibridi, o cogli esperimenti fatti dagli autori per parecchi anni, ma
io non posso qui estendermi in dettagli. Per tal modo può sostenersi
che nè la sterilità, nè la fecondità possono servire
di base ad una chiara distinzione fra le specie e le varietà; ma che
invece le prove, tratte da questa sorgente, si distruggono e rimangono dubbie,
per lo meno come quelle che si appoggiano sopra altre differenze di costituzione.
Rispetto alla sterilità degli ibridi nelle successive generazioni, benchè
Gärtner abbia potuto riprodurne alcuni, preservandoli accuratamente da
ogni incrociamento con una delle due madri-specie distinte, per sei o sette
generazioni ed in un caso per dieci generazioni, nondimeno egli assicura positivamente
che la loro fecondità non aumenta, anzi, generalmente decresce. Non dubito
che tale sia il caso ordinario e che la fecondità spesso rapidamente
diminuisca nelle prime generazioni. Ciò non pertanto credo che, in tutti
questi esperimenti, la fecondità fu scemata da una causa indipendente,
vale a dire, per gli incrociamenti di forme molto affini. Io raccolsi molti
fatti che ci dimostrano essere la fecondità diminuita dagli incrociamenti
stretti e che d'altronde un incrociamento accidentale con un individuo o con
una varietà distinta l'accresce, nè posso quindi rivocare in dubbio
la esattezza di questa opinione, quasi universale presso gli allevatori. Gli
ibridi sono di rado allevati in gran numero dagli esperimentatori; e siccome
le due specie-madri od altri ibridi affini crescono generalmente nel medesimo
giardino, le visite degli insetti debbono essere impedite durante la stagione
della fioritura; quindi gli ibridi saranno fecondati generalmente per ogni generazione,
per mezzo del proprio polline individuale; e sono convinto che ciò riesce
dannoso alla loro fecondità, già infiacchita dalla loro origine
ibrida. Questa convinzione venne avvalorata dalla rimarchevole osservazione
ripetutamente fatta dal Gärtner, cioè che se gli ibridi, anche i
meno fecondi, sono artificialmente cospersi di polline ibrido della stessa razza,
la loro fecondità decisamente si accresce e continua ad aumentare, ad
onta dei frequenti dannosi effetti della operazione. Ora, nelle fecondazioni
artificiali il polline spesso viene preso accidentalmente (come potei verificare
per le mie stesse esperienze) dalle antere di un altro fiore, anzichè
da quelle del fiore stesso che si vuol fecondare; per modo che deve così
aver luogo un incrociamento fra due fiori, quantunque siano probabilmente di
una medesima pianta. Inoltre nel corso delle complicate esperienze, fatte da
un osservatore tanto accurato come il Gärtner, egli non può avere
omesso di castrare i suoi ibridi, e ciò deve avere assicurato per ogni
generazione un incrociamento col polline di un fiore distinto della stessa pianta,
o di qualche altra pianta della stessa natura ibrida. Quindi il fatto strano
dell'aumento di fecondità, nelle generazioni successive di ibridi artificialmente
fecondati, può, a mio avviso, essere spiegato dall'impedimento frapposto
agli stretti incrociamenti.
Ci sia permesso di portare ora la nostra attenzione sui risultati ottenuti dal
terzo, fra i più esperti allevatori di ibridi, dall'onorevole e rev.
W. Herbert. Egli era tanto enfatico per la sua conclusione, cioè che
alcuni ibridi sono perfettamente fecondi, non meno delle madri-specie pure,
quanto lo erano Kölreuter e Gärtner sul diverso grado di sterilità
fra le specie distinte, che considerano una legge universale della natura. Egli
fece le sue esperienze sopra parecchie delle medesime specie osservate dal Gärtner.
La differenza dei loro risultamenti credo può attribuirsi in parte alla
grande abilità di Herbert nell'orticoltura ed alle serre calde che questi
possedeva. Di queste conclusioni importanti io ne addurrò qui una sola
come esempio, vale a dire che "ciascun ovulo nella pianta del Crinum capense
fecondato col Crinum revolutum produsse una pianta, locchè (egli dice)
io non ho mai trovato nel caso della sua fecondazione naturale". Dunque
noi qui abbiamo una fecondità perfetta ed anche più perfetta dell'ordinario,
dopo un primo incrociamento fra due specie distinte.
Il caso del Crinum mi trae a riferire un fatto anche più singolare; cioè
che abbiamo alcune piante di certe specie di Lobelia, di Verbascum e di Passiflora,
le quali possono essere assai più facilmente fecondate dal polline di
altre specie distinte, che non dal proprio polline, e sembra che tutti gli individui
di quasi tutte le specie di Hippeastrum abbiano questa particolarità.
Queste piante produssero seme, allorchè furono fecondate dal polline
di una specie distinta, rimanendo affatto sterili se fecondate dal polline loro
proprio: benchè questo polline fosse trovato perfettamente attivo sulle
piante di specie differenti. Per modo che certe piante individuali e tutti gli
individui di certe specie possono attualmente produrre ibridi con molto maggiore
facilità di quel che possano propagare la loro specie! Per esempio, un
bulbo di Hippeastrum aulicum produsse quattro fiori, tre dei quali furono fecondati
da Herbert col loro polline, e il quarto invece col polline di un ibrido composto,
derivato da tre altre specie distinte: "Gli ovari dei tre primi fiori cessarono
tosto dal loro sviluppo e dopo pochi giorni perirono affatto; al contrario,
l'ovario, impregnato col polline dell'ibrido, prese uno sviluppo vigoroso e
giunse con rapido progresso alla maturazione e diede ottimo seme, che vegetò
vigorosamente". Lo Herbert ha ripetuto l'esperimento per parecchi anni
ed ha ottenuto sempre il medesimo risultato. Questi fatti dimostrano da quanto
piccole e misteriose cause dipenda talvolta la minore o maggiore fecondità
delle specie.
Le esperienze pratiche, degli orticultori, quantunque non siano fatte con precisione
scientifica, meritano qualche menzione. È notorio in quanti modi complicati
siano state incrociate le specie di Pelargonium, di Fuchsia, di Calceolaria,
di Petunia, di Rhododendron, ecc., però molti di questi ibridi si propagano
liberamente. Herbert, per esempio, asserisce che un ibrido della Calceolaria
integrifolia colla C. plantaginea, specie le più dissomiglianti per le
loro generali abitudini, "si riproduce perfettamente, non altrimenti che
se fosse una specie naturale delle montagne del Chilì". Ho posto
qualche studio ad accertare il grado di fecondità di alcuni fra gli incrociamenti
complessi del Rhododendron ed ho riconosciuto che molti sono perfettamente fecondi.
Così C. Noble mi ha informato che egli, per avere degli innesti, allevava
un ibrido ricavato dallo incrociamento del Rhod. porticum col Rhod. catawbiense,
e che questo ibrido "dava semi con tanta abbondanza quanta si può
immaginare". Quando gli ibridi, convenientemente trattati, divenissero
meno prolifici ad ogni successiva generazione, secondo l'opinione di Gärtner,
allora questo fatto sarebbe conosciuto dai giardinieri. Gli orticultori allevano
sopra larghi spazi molti individui di uno stesso ibrido, e in questo solo caso
sono trattati convenientemente, perchè allora i diversi individui della
stessa varietà ibrida possono incrociarsi liberamente fra loro, per l'azione
degli insetti, e viene così impedito il dannoso effetto delle fecondazioni
fra individui molto affini. Ognuno può facilmente persuadersi della efficacia
dell'opera degli insetti, esaminando i fiori delle forme più sterili
del Rhododendron ibrido, che non producono polline; egli troverà sugli
stimmi una quantità di polline appartenente ad altri fiori.
A questo riguardo, si sono fatte molto minori esperienze sugli animali che non
sulle piante. Se le nostre classificazioni sistematiche hanno fondamento, vale
a dire, se i generi degli animali sono distinti fra loro come quelli delle piante,
allora noi possiamo dedurne che alcuni animali, più discosti fra loro
nella scala della natura, possono essere più facilmente incrociati delle
piante; ma gli ibridi sono poi più sterili. Bisogna però ricordare
che pochi animali si riproducono copiosamente allo stato di reclusione, e che
quindi poche esperienze sono state fatte come conviene. Per esempio, il canarino
è stato incrociato con nove altri passeri, ma niuna di queste nove specie
si propaga bene, trovandosi in captività, e per conseguenza non abbiamo
motivo di aspettarci che i primi incrociamenti fra i medesimi e il canarino,
o i loro ibridi debbano essere perfettamente fecondi. Riguardo alla fecondità
dei più fecondi fra gli animali ibridi, nella serie delle generazioni
successive, io non conosco un solo esempio di cui due famiglie di ibridi uguali
siano state allevate contemporaneamente da parenti diversi, in modo da evitare
i dannosi effetti degli incrociamenti troppo stretti. Al contrario, i fratelli
e le sorelle furono ordinariamente incrociati ad ogni generazione, in opposizione
ai precetti costantemente ripetuti da ogni allevatore. In tal caso non deve
recarci sorpresa che la sterilità propria degli ibridi vada aumentando.
Quantunque io non conosca alcun fatto assolutamente autentico di animali ibridi
perfettamente fecondi, ho qualche motivo di pensare che gl'ibridi del Cervulus
vaginalis e Reevesii, non che del Phasianus colchicus col Ph. torquatus e col
Ph. versicolor siano perfettamente tali. Niun dubbio che queste tre ultime specie,
vale a dire il fagiano comune, il vero Ring-necked e quello del Giappone, si
sieno incrociate e mescolate nei boschi di varie parti dell'Inghilterra. Gl'ibridi
dell'oca comune colla cinese (Anser cygnoides), specie tanto diverse che sono
generalmente considerate come spettanti a generi distinti, si sono spesso propagati
nel nostro paese, accoppiandosi, ed in un solo caso diedero prole inter se.
Questo risultato fu ottenuto da Eyton, che allevò due ibridi provenienti
dai medesimi parenti, ma da covate diverse; e da questi due uccelli egli ricavò
non meno di otto ibridi (nipoti dell'oca pura) da un solo nido. Nell'India però
queste oche incrociate debbono essere assai più feconde; perchè
fui assicurato da due osservatori eminentemente capaci, cioè dal Blyth
e dal capitano Hutton, che in varie parti di questo paese si tengono dei branchi
interi di codeste oche incrociate; e traendosene molto utile nei luoghi in cui
niuna delle due specie-madri esiste, esse debbono necessariamente essere assai
feconde.
Fra gli animali domestici, le varie razze sono perfettamente feconde; se siano
tra loro incrociate, benchè in molti casi discendano da due o più
specie selvaggie. Questo fatto c'induce a concludere che le specie originali
debbano dapprima aver generato ibridi affatto fecondi; ovvero si deve supporre
che gli ibridi diventassero fecondi; nelle generazioni posteriori, nello stato
di domesticità. Quest'ultima alternativa mi sembra la più probabile
e sono inclinato a ritenerla vera, quantunque non sia direttamente provata.
Per esempio, è cosa quasi certa che i nostri cani derivino da parecchi
stipiti selvaggi, che sono tutti perfettamente fecondi, quando s'incrociano
fra loro, eccettuati forse certi cani indigeni e domestici dell'America meridionale.
L'analogia mi conduce a dubitare grandemente che le varie specie originali abbiano
dapprima potuto propagarsi scambievolmente ed abbiano dato ibridi fecondi. Noi
abbiamo altresì ragione di credere che il bestiame europeo possa prolificare
col bestiame gibboso dell'India. Tuttavia, secondo le osservazioni del Rütimeyer
intorno alle importanti differenze osteologiche, e secondo le notizie del Blyth
intorno alle differenze nelle abitudini, nella voce, nella costituzione, ecc.,
dobbiamo considerare quelle due forme come specie buone e distinte. Le stesse
osservazioni possono essere estese alle due principali razze di maiali. Noi
dobbiamo quindi abbandonare l'opinione della quasi universale sterilità
delle specie distinte di animali, allorchè sono incrociate: oppure dobbiamo
considerare la sterilità, non come una caratteristica indelebile, ma
come una qualità che può essere eliminata dalla domesticità.
Finalmente per tutti i fatti bene constatati sugl'incrociamenti delle piante
e degli animali, possiamo concludere che un risultato assai generale nei primi
incrociamenti e negl'ibridi è un certo grado di sterilità; ma
che non può considerarsi come assolutamente universale nello stato attuale
delle nostre cognizioni.
LEGGI CHE GOVERNANO LA STERILITÀ
DEI PRIMI INCROCIAMENTI E DEGLI IBRIDI
Ora noi tratteremo con qualche maggiore dettaglio le circostanze
e le regole che governano la sterilità dei primi incrociamenti e degli
ibridi. Il nostro principale oggetto sarà quello di trovare se tali regole
indichino che le specie furono particolarmente dotate di codesta qualità
per prevenire il loro incrociamento e la loro mescolanza, sino ad un'estrema
confusione. Le regole e conclusioni che seguono furono principalmente estratte
dall'ammirabile opera del Gärtner sull'ibridismo delle piante. Io mi applicai
con molta cura a determinare in quale estensione tali regole si verifichino
negli animali, e fatto riflesso al poco nostro sapere rispetto agli animali
ibridi, rimasi assai sorpreso di vedere con quanta generalità le stesse
regole si mantengono nei due regni.
Abbiamo già notato che il grado di fecondità, sia dei primi incrociamenti,
sia degl'ibridi, si manifesta in progressione crescente dallo zero alla perfetta
fecondità. È in vero sorprendente l'osservare in quante curiose
maniere questa gradazione esiste; ma qui dobbiamo limitarci ad un semplice e
nudo abbozzo dei fatti. Quando il polline della pianta di una famiglia è
collocato sugli stimmi della pianta di una famiglia distinta, non esercita una
influenza maggiore di quella che avrebbe altrettanta polvere inorganica. Da
questo zero assoluto di fecondità, il polline delle specie diverse del
medesimo genere posto sullo stimma di qualcuna di queste specie, presenta una
perfetta gradazione nel numero dei semi prodotti fino alla quasi completa od
anche affatto completa fecondità; e, come potemmo osservare in certi
casi anormali, una fecondità eccedente quella che suole produrre il polline
stesso della pianta. Così anche negl'ibridi ve ne hanno alcuni che nulla
producono e probabilmente non produrranno giammai alcun seme fecondo, anche
col polline della loro madre-specie; ma talvolta si nota una prima traccia di
fecondità, perchè il polline, in alcuni di questi casi, agisce
sul fiore dell'ibrido, il quale si distacca assai prima di quello che altrimenti
farebbe e il più pronto disseccamento del fiore è già un
segnale della fecondazione incipiente. Da questo grado estremo di sterilità,
noi abbiamo piante ibridi che si fecondano tra loro, producendo un numero di
semi sempre più grande, fino alla perfetta fecondità.
Quegl'ibridi di due specie, i quali difficilmente s'incrociano, e producono
di rado una discendenza, sono generalmente sterili; ma il parallelismo fra le
difficoltà di ottenere un primo incrociamento e la infecondità
degli ibridi prodotti dal medesimo - due classi di fatti che sogliono confondersi
insieme - non è di una esattezza rigorosa, poichè vi sono molti
casi nei quali due specie pure possono essere accoppiate con straordinaria facilità
e producono una numerosa prole ibrida, benchè questi ibridi siano poi
notevolmente sterili. Da un'altra parte sonovi delle specie che, al contrario,
non si possono incrociare insieme che assai di rado e con molta difficoltà,
mentre gli ibridi che ne risultano sono fecondi: Anche entro i limiti di un
medesimo genere questi due casi opposti hanno luogo; per esempio, nel Dianthus.
La fecondità dei primi incrociamenti e quella degli ibridi è affetta
più facilmente dalle condizioni sfavorevoli, di quello che lo sia la
fecondità delle specie pure. Ma il grado di fecondità è
altresì variabile, per una disposizione innata; perchè essa non
è sempre la stessa, quando le medesime due specie sono incrociate sotto
le medesime circostanze, ma dipende in parte dalla costituzione degli individui
che furono prescelti per l'esperienza. Altrettanto accade negli ibridi, il cui
grado di fecondità fu spesso trovato differire grandemente nei vari individui,
allevati da semi presi dalla medesima capsula ed esposti alle identiche condizioni.
Col termine affinità sistematica s'intende la rassomiglianza esistente
fra le specie nella struttura e nella costituzione, e più specialmente
nella struttura di quelle parti che sono di un'alta importanza fisiologica e
che differiscono poco nelle specie affini. Ora la fecondità dei primi
incrociamenti fra le specie, e degli ibridi generati da queste, è subordinata
ampiamente alla loro sistematica affinità. Ciò viene dimostrato
chiaramente dal fatto che non poterono mai ottenersi ibridi fra specie collocate
dai sistematici in famiglie distinte; e inoltre dalla facilità con cui
si uniscono generalmente le specie strettamente affini. Ma la corrispondenza
fra l'affinità sistematica e la facilità d'incrociare non è
rigorosa. Potrebbero infatti citarsi moltissimi casi di specie assai affini
che non si uniscono, ovvero si uniscono soltanto con estrema difficoltà;
e d'altra parte abbiamo delle specie distintissime che si uniscono colla maggiore
facilità. Anche nella medesima famiglia può trovarsi un genere,
come il Dianthus, in cui ben molte specie possono incrociarsi agevolmente; e
se ne può incontrare un altro, come le Silene, in cui gli sforzi più
perseveranti di ottenere, fra specie estremamente affini, un solo ibrido, sono
falliti. Anche nei limiti di uno stesso genere troviamo la stessa differenza;
per esempio, le molte specie di Nicotiana furono incrociate più largamente
delle specie di quasi tutti gli altri generi; ma Gärtner ha trovato che
la Nicotiana acuminata, la quale non forma una specie particolarmente distinta,
ostinatamente si ricusava di fecondare e di esser fecondata da non meno di otto
altre specie di Nicotiana. Potrebbero addursi molti altri fatti analoghi.
Niuno fin qui fu capace di scoprire di quale natura e quante siano le differenze,
in un dato carattere riconoscibile, che bastino ad impedire l'incrociamento
di due specie. Può provarsi che le piante le più diverse, per
abito e l'apparenza generale, ed aventi delle differenze le più marcate
in ogni parte del fiore ed anche nel polline, nel frutto e nei cotiledoni, possono
essere incrociate. Le piante annue e le perenni, gli alberi a foglie caduche
o sempre verdi, le piante che abitano stazioni diverse e sono stabilite sotto
climi i più opposti, possono di sovente essere incrociate facilmente.
Colle parole "incrociamento reciproco" fra due specie, s'intende il
caso, per esempio, di un cavallo stallone incrociato con un'asina e quindi di
un asino accoppiato con una cavalla; queste due specie possono dirsi allora
reciprocamente incrociate. Anche qui abbiamo spesso le maggiori differenze possibili,
nell'attitudine degli incrociamenti reciproci. Questi fatti sono altamente importanti,
perchè dimostrano che la capacità di incrociare due specie è
spesso indipendente dalla loro affinità sistematica o da ogni differenza
apprezzabile nella loro intera organizzazione. Inoltre essi ci provano chiaramente
che l'attitudine di incrociare si connette con differenze costituzionali che
ci sono impercettibili e che sono principalmente annesse al sistema riproduttivo.
Le risultanze diverse degl'incrociamenti reciproci, fra le stesse due specie,
furono osservate da lungo tempo dal Kölreuter. Per darne un esempio, la
Mirabilis jalapa può facilmente essere fecondata dal polline della Mirabilis
longiflora e gli ibridi che se ne ottengono sono sufficientemente fecondi. Ma
Kölreuter tentò per più di duecento volte, per otto anni
consecutivi, di fecondare reciprocamente la M. longiflora col polline della
M. jalapa, ma senza alcun frutto. Vi sono altri casi egualmente singolari che
potrebbero citarsi. Thuret ha osservato questo fatto in certe alghe marine,
o Fucus. Inoltre Gärtner trova che questa differenza di attitudine, nel
dare incrociamenti reciproci, è assai comune, in un grado minore. Egli
notava questa differenza anche tra due forme tanto intimamente collegate (come
la Matthiola annua e glabra), che molti botanici le riguardano soltanto quali
varietà. È anche un fatto rimarchevole che gli ibridi allevati
da incrociamenti reciproci, benchè derivanti dalle identiche due specie,
avendo ognuna di esse fornito prima il padre e poi la madre, generalmente differiscono
nella loro fecondità in qualche grado e talvolta anche in modo notevole.
Potrebbero estrarsi dal Gärtner parecchie altre regole singolari. Alcune
specie, ad esempio, hanno una grande attitudine di incrociarsi con altre specie;
altre specie dello stesso genere hanno la singolare facoltà di imprimere
la loro rassomiglianza alla loro prole ibrida; ma queste due facoltà
non sono implicite necessariamente fra loro. Vi sono certi ibridi che invece
di offrire, secondo il consueto, un carattere intermedio fra i loro due progenitori,
sempre rassomigliano maggiormente ad uno di essi; ed appunto questi ibridi,
esternamente sì rassomiglianti ad una sola delle specie-madri, sono,
salvo rare eccezioni, affatto sterili. Così anche fra quegl'ibridi che
ordinariamente hanno una struttura intermedia fra quella delle madri-specie,
sorgono talora degli individui eccezionali ed anormali, che si avvicinano assai
alla forma di uno dei loro parenti puri; ed anche questi ibridi sono, quasi
sempre, pienamente infecondi, perfino quando gli altri ibridi, provenienti dai
semi della medesima capsula, presentano un considerevole grado di fecondità.
Questi fatti provano come la fecondità degl'ibridi sia onninamente indipendente
dalla loro rassomiglianza esterna all'una o all'altra madre-specie.
Ove si ponga mente alle varie regole, sin qui esposte, che governano la fecondità
dei primi incrociamenti e degli ibridi, noi vediamo che se due forme, da noi
considerate quali specie buone e distinte, siano accoppiate, la loro fecondità
varia dallo zero fino alla perfetta fecondità, od anche, in certe condizioni,
ad un grado eccedente la fecondità normale. Che la loro fecondità,
non solamente rimane eminentemente suscettibile di alterazione, per le condizioni
favorevoli o contrarie, ma è inoltre variabile per se stessa. Che non
sempre conservasi allo stesso grado nel primo incrociamento e negli ibridi che
ne derivano. Che la fecondità degli ibridi non si collega al grado della
loro rassomiglianza nelle apparenze esterne ad uno dei due progenitori. Da ultimo,
che la facilità di operare un primo incrociamento fra due specie qualsiasi
non dipende sempre dalla loro affinità sistematica o dalla loro rassomiglianza
scambievole. Quest'ultima legge viene stabilita chiaramente dalla differenza
notata nei risultati dei reciproci incrociamenti fra le medesime due specie;
perchè, a seconda che il padre o la madre si prendono dall'una o dall'altra
specie, si ha generalmente qualche differenza nel successo della operazione
ed anche talvolta una differenza enorme. Inoltre anche gli ibridi prodotti dagli
incrociamenti reciproci differiscono di sovente nel grado di fecondità.
Ora emerge forse da queste regole singolari e complesse che le specie siano
state dotate di sterilità semplicemente per impedire la loro confusione
nella natura? Io nol credo. Per qual motivo infatti dovrebbe trovarsi una sterilità
tanto diversa e graduale, allorchè le varie specie sono incrociate, quando
noi dobbiamo supporre che tutte siano egualmente importanti per essere conservate
pure ed impedite dal frammischiarsi insieme? Perchè deve essere innatamente
variabile il grado di sterilità negl'individui d'una medesima specie?
Perchè alcune specie possono incrociarsi facilmente e generare ibridi
sterili, mentre altre specie non si incrociano che con somma difficoltà
e nondimeno producono ibridi molto prolifici? Perchè si trova spesso
una differenza sì grande nei prodotti degli incrociamenti reciproci,
fra le stesse due specie? Potrebbe ancora chiedersi come mai fu permessa la
produzione degli ibridi? Sarebbe certo una strana disposizione quella di dotare
le specie della peculiare facoltà di generare ibridi e perciò
di inceppare la loro ulteriore propagazione con diversi stadii di sterilità,
senza alcun rapporto colla facilità della prima unione dei loro progenitori.
Del resto le regole e i fatti che precedono mi sembra indichino palesemente
che la sterilità, sia dei primi incrociamenti, sia degli ibridi, è
semplicemente incidentale, o dipendente da differenze sconosciute fra le specie
incrociate, e principalmente da differenze nel sistema riproduttivo. Queste
differenze sono di un'indole così peculiare e ristretta, che negli incrociamenti
reciproci fra due specie l'elemento sessuale maschile dell'una agirà
spesso efficacemente sull'elemento femminile dell'altra, ma nulla si otterrà
nella direzione inversa. Potremo chiarire alquanto più ampiamente con
un esempio come la sterilità sia incidentale e dipendente da altre differenze,
anzichè una qualità particolare. Se l'attitudine di una pianta
di essere innestata sopra un'altra è di sì poca importanza per
il suo benessere nello stato di natura, io presumo che niuno sia per ammettere
che questa attitudine sia una qualità di cui la pianta sia specialmente
dotata; ma vorrà al contrario riconoscere che dessa è una qualità
accidentale, dipendente dalle differenze esistenti nelle leggi dello sviluppo
delle due piante. Talvolta noi possiamo discernere la ragione per cui una pianta
non soffre l'innesto di un'altra, per le differenze nella rapidità del
loro sviluppo, nella durezza del loro legno, nel periodo della loro infiorescenza
o nella natura del loro succhio, ecc.; ma in moltissimi casi non sappiamo darne
alcuna spiegazione. Frattanto, nè una grande differenza di grandezza
delle due piante, nè l'essere una di esse legnosa e l'altra erbacea,
nè la presenza di foglie caduche o di frondi sempre verdi, nè
da ultimo l'adattamento ai climi più diversi, bastano sempre ad impedire
l'innesto di due piante fra loro. Come nella formazione degl'ibridi, così
nell'innesto la capacità è limitata dall'affinità sistematica;
perchè niuno giunse ad innestare insieme alberi spettanti a famiglie
affatto separate e distinte; e d'altra parte ordinariamente, benchè non
costantemente, possono con facilità innestarsi le specie strettamente
affini e le varietà di una medesima specie. Ma questa capacità
per l'innesto non è legata assolutamente all'affinità sistematica,
non altrimenti di quella per l'ibridismo. Quantunque molti generi distinti di
una stessa famiglia siano stati innestati l'uno sull'altro, in altri casi le
specie di un medesimo genere non attaccheranno nell'innesto. Il pero può
essere innestato sul cotogno molto più facilmente che sul pomo, benchè
il primo sia riguardato come un genere distinto, ed il secondo non sia che un
membro del medesimo genere. Anche le diverse varietà di pero si innestano
sul cotogno più o meno agevolmente; altrettanto dicasi delle diverse
varietà di albicocco e di pesco su certe varietà di prugni.
Come Gärtner trovò esservi talvolta una innata differenza nell'attitudine
dei vari individui delle stesse due specie incrociate; così Sagaret crede
avvenga negli innesti fra i differenti individui delle due specie innestate.
Negl'incrociamenti reciproci la facilità di effettuare l'accoppiamento
è spesso assai disuguale, e ciò si osserva talora anche nell'innesto;
così l'uva spina comune, per esempio, non può essere innestata
sul ribes rosso, mentre all'opposto il ribes rosso s'innesta, quantunque con
difficoltà, sull'uva spina comune.
Abbiamo veduto che la sterilità degl'ibridi, che hanno i loro organi
riproduttivi in una condizione imperfetta, è una cosa molto diversa dalla
difficoltà di incrociare due specie pure, che hanno i loro organi di
riproduzione in uno stato perfetto; tuttavia questi due casi distinti corrono
paralleli fino ad una certa estensione. Nell'innesto avviene alcun che di analogo.
Thouin infatti ha trovato che tre specie di Robinia, le quali producevano semi
abbondanti sul proprio tronco, e che potevano innestarsi senza ostacolo grande
sopra altre specie, tutte le volte che erano così innestate divenivano
infeconde. D'altra parte, certe specie di Sorbus, innestate sopra altre specie,
producevano il doppio dei frutti che solevano dare sul proprio tronco. Quest'ultimo
fatto ci ricorda il caso straordinario dell'Hippeastrum, della Lobelia, ecc.,
che producono semi più abbondanti, quando sono fecondate dal polline
di specie distinte, che quando sono fecondate dal loro stesso polline.
Quindi vediamo che, quantunque esista una differenza manifesta e fondamentale
fra la semplice adesione dei pezzi innestati ed il congiungimento degli elementi
del maschio e della femmina nell'atto della riproduzione, ciò nonostante
si nota un certo parallelismo nei risultati dell'innesto e dell'incrociamento
di specie distinte. Nello stesso modo con cui consideriamo le leggi complesse
e curiose che reggono l'attitudine, secondo la quale gli alberi possono innestarsi
gli uni sugli altri, come differenze accidentali ed ignote nel loro sistema
vegetativo, così io credo che dobbiamo ritenere le leggi ancora più
complesse, che governano la facilità dei primi incrociamenti, come risultanti
le differenze incidentali ed ignote, principalmente proprie del loro sistema
riproduttivo. Queste differenze, in ambi i casi, dipendono fino ad un certo
punto dall'affinità sistematica, come doveva prevedersi; per la quale
affinità si vuole esprimere, per quanto si può, ogni sorta di
somiglianza e di dissomiglianza fra gli esseri organizzati. Ma non sembra in
modo alcuno che i fatti citati per mostrare la maggiore o minore difficoltà
di innestare o d'incrociare fra loro varie specie, derivino da una qualità
determinata e speciale; quantunque, nel caso degli incrociamenti, questa difficoltà
è tanto importante per la durata e la stabilità delle forme specifiche,
quanto è di nessun valore nel caso dell'innesto per la loro prosperità.
ORIGINI E CAUSE DELLA STERILITÀ
DEI PRIMI INCROCIAMENTI E DEGLI IBRIDI
A me ed anche ad altri, è parso per qualche tempo probabile
che la sterilità dei primi incrociamenti e degli ibridi potesse essere
acquistata per mezzo della elezione naturale, coll'azione lenta sopra una leggera
diminuzione della fertilità, la quale, come ogni altra variazione, sarebbe
apparsa spontaneamente in certi individui di una varietà, incrociati
con quelli di un'altra. Imperocchè sarebbe evidentemente di vantaggio
per due varietà o specie incipienti se il loro incrociamento fosse impedito,
in forza dello stesso principio che ci induce a tener separate due varietà
che coltiviamo contemporaneamente. In primo luogo deve osservarsi che le specie,
le quali abitano due regioni diverse, sono spesso sterili, se vengano incrociate;
ed al certo non può essere di vantaggio per le specie così separate
di essere sterili reciprocamente, e quindi non può qui parlarsi di un
effetto della elezione naturale. Si è invece pensato che se una specie
fosse resa sterile con alcuno de' suoi compatrioti, la sterilità con
altre specie ne sarebbe stata la necessaria conseguenza. In secondo luogo è
in opposizione tanto colla mia teoria della elezione naturale, come con quella
della separata creazione l'ammettere che negli incrociamenti reciproci l'elemento
maschile di una forma sia affatto impotente sopra una forma seconda, mentre
nello stesso tempo l'elemento maschile di questa seconda forma potesse regolarmente
fecondare la prima; giacchè questo stato particolare del sistema riproduttivo
non potrebbe essere vantaggioso nè per l'una nè per l'altra specie.
Ma se si pensa alla probabilità che l'elezione naturale sia stata attiva
per rendere la specie reciprocamente sterili, si troverà la massima difficoltà
nel comprendere come esistano tanti stadii gradatamente diversi tra la fecondità
insensibilmente diminuita sino alla più completa ed assoluta sterilità.
Può ammettersi che per una specie incipiente torni utile essere sterile
in grado leggero allorchè sia incrociata colla forma madre o con un'altra
varietà, poichè sarebbero prodotti dei discendenti meno ibridi
e meno deteriorati, i quali mescolerebbero il loro sangue colla specie nuova,
in via di formazione. Chi voglia meditare intorno alle vie, su cui questo primo
grado di sterilità venga aumentato dall'elezione naturale e portato al
punto in cui si trovano molte specie, e che in generale è comune alle
specie distinte per caratteri generici o di famiglia, troverà l'argomento
straordinariamente complicato. Dopo mature riflessioni parmi che ciò
non sia dovuto all'elezione naturale. Si prenda il caso di due specie che coll'incrociamento
generano pochi ed infecondi discendenti: che cosa potrebbe mai favorire la sopravvivenza
di quegli individui, che a caso presentassero in grado leggero sterilità
reciproca e facessero così un piccolo passo verso l'assoluta sterilità?
Eppure, se ricorriamo alla teoria della elezione naturale per averne la spiegazione,
dobbiamo ammettere che in molte specie siasi verificato un progresso di questo
genere, giacchè molte sono reciprocamente affatto sterili. Negli insetti
sterili neutri possiamo ammettere che le modificazioni di struttura e di fecondità
siano state lentamente modificate dall'elezione naturale, avendo così
la comunità raggiunto indirettamente un vantaggio sopra le altre di uguale
specie; ma se un animale individuale, non appartenente ad una sociale comunità,
nello incrociamento con un'altra varietà diventi di alcun poco sterile,
nessun vantaggio all'uopo della preservazione ne verrebbe all'individuo stesso
od agli altri individui della stessa varietà.
Sarebbe inutile discutere questo argomento ne' suoi dettagli, giacchè
le piante ci offrono delle prove concludenti, che la sterilità delle
specie incrociate è dovuta ad un principio affatto indipendente dall'elezione
naturale. Tanto il Gärtner come il Kölreuter hanno dimostrato che
nei generi ricchi può stabilirsi una serie di specie che nel loro incrociamento
danno semi sempre meno numerosi, fino alle specie che non hanno mai nemmeno
un seme, e subiscono tuttavia la influenza del polline di certe altre specie,
giacchè il germe si gonfia. Qui è evidentemente impossibile la
elezione degli individui più sterili, che abbiano già cessato
di dare semi, e quindi quest'apice di sterilità, in cui il solo germe
subisce una influenza, non può essere raggiunto dalla elezione. Dalle
leggi che governano i vari gradi di sterilità, sì uniformi nei
regni animale e vegetale, noi possiamo concludere che la causa, quale essa sia,
debba in tutti i casi essere la medesima.
Passiamo ora ad esaminare un po' più da presso le cagioni probabili della
sterilità dei primi incrociamenti e degli ibridi. Riguardo ai primi incrociamenti
la maggiore o minore difficoltà di riescire nell'accoppiamento dipende,
a quanto pare, da varie cause distinte. Ciò potrebbe talvolta derivare
da una fisica impossibilità nell'elemento maschile di raggiungere l'ovulo;
come sarebbe il caso di una pianta che portasse un pistillo troppo lungo, cosicchè
i tubi del polline non potessero toccare l'ovario. Fu anche notato che quando
il polline di una specie è posto sullo stimma di una specie lontana fra
le affini, ancorchè i tubi del polline si spandano, pure non penetrano
nella superficie dello stimma. Inoltre l'elemento maschile può giungere
fino all'elemento femminile, ma essere incapace di produrre lo sviluppo dell'embrione;
come fu verificato dal Thuret in alcune esperienze sui fuchi. Non potrebbe darsi
alcuna spiegazione di questi fatti, più di quello che si possa intendere
perchè certi alberi non si innestano sopra altri alberi. Dal ultimo può
svilupparsi un embrione, il quale perisca nei primi periodi della sua vita.
Quest'ultima alternativa non fu studiata abbastanza; ma io ritengo, dietro le
osservazioni che mi furono comunicate dal signor Hewitt (il quale fece molte
esperienze sull'ibridismo dei gallinacei), che la morte precoce dell'embrione
è una causa molto frequente della sterilità dei primi incrociamenti.
Il Salter ha recentemente pubblicato i risultati a cui giunse colle sue osservazioni
sopra 500 uova, le quali erano ottenute da tre specie di Gallus e de' loro ibridi.
La maggior parte delle uova era fecondata, e nel maggior numero delle uova gli
embrioni, o erano solamente in parte sviluppate ed allora abortite, oppure erano
quasi mature, ma i pulcini incapaci di rompere il guscio. Dei pulcini nati,
oltre i quattro quinti erano morti nel primi giorni o tutt'al più nelle
prime settimane, "senza una causa evidente, a quanto pare, per semplice
mancanza di vitalità", così che delle 500 uova 12 soli pulcini
vennero allevati. La morte precoce degli embrioni ibridi avviene nello stesso
modo probabilmente anche nelle piante. Almeno consta che gli ibridi di specie
molto diverse sono spesso deboli e nani, e muoiono presto. Di questo fatto Max
Wichura ha dato recentemente alcuni esempi osservati sugli ibridi del salice.
Forse merita qui di esser detto che gli embrioni nati in seguito a partenogenesi
dalle uova non fecondate dal bombice del gelso, o dall'incrociamento di due
specie distinte, percorsero i primi stadii embrionali e poi perirono. Prima
di conoscere questi fatti, io esitavo a credere alla morte precoce degli embrioni
ibridi, giacchè gli ibridi, quando sono nati, sono generalmente sani
e vivono per lungo tempo, come vediamo nel caso del mulo comune. Gli ibridi
però si trovano in circostanze molto diverse, prima della loro nascita
e dopo di essa; quando gli ibridi nascono e vivono in un paese in cui i loro
due genitori possono prosperare, si trovano generalmente in condizioni di vita
opportune. Ma un ibrido non partecipa che per una sola metà alla natura
e costituzione della di lui madre, e quindi prima del parto, fintanto che egli
continua ad essere nutrito nell'utero materno, oppure nell'uovo o nel seme prodotto
dalla madre, può essere esposto a condizioni di vita in qualche modo
disadatte, e per conseguenza può essere soggetto a perire fino dal primo
periodo; tanto più che tutti gli esseri molto giovani sembrano eminentemente
sensibili alle condizioni di vita insolite o nocive. Dopo tutto ciò la
causa deve cercarsi piuttosto in una certa imperfezione all'atto originale di
impregnazione, che determina un imperfetto sviluppo dell'embrione, anzichè
nelle condizioni cui più tardi è esposto.
Il caso è molto diverso riguardo alla sterilità degl'ibridi, in
cui gli elementi sessuali sono sviluppati imperfettamente. Ho fatto allusione,
più d'una volta, a un vasto gruppo di fatti da me riuniti, i quali dimostrano
che quando gli animali e le piante sono rimossi dalle loro naturali condizioni,
sono, con grande facilità, affetti seriamente nel loro sistema riproduttivo.
Nel fatto, codesto è un grande ostacolo all'addomesticamento degli animali.
Vi sono molti punti di similitudine fra la sterilità prodotta da queste
cause e quella degli ibridi. In entrambi i casi la sterilità è
indipendente dal benessere generale, ed è spesso accompagnata da eccesso
di grandezza o da grande vigore. In ambi i casi la sterilità si presenta
in diversi gradi; in ambi i casi l'elemento maschile è più soggetto
alle influenze esterne, e talvolta anche la femmina più del maschio.
Così la tendenza alla sterilità procede, fino ad un certo punto,
in relazione all'affinità sistematica; perchè dei gruppi interi
di animali e di piante sono resi impotenti dalle stesse condizioni anormali,
come dei gruppi interi di specie tendono a produrre ibridi sterili. Dall'altro
lato una specie di un gruppo resisterà talvolta ai grandi cambiamenti
delle condizioni, senza che la fecondità si alteri; e certe specie di
altri gruppi genereranno ibridi straordinariamente fecondi. Niuno può
indovinare, prima della esperienza, se un dato animale sia per generare una
prole allo stato di reclusione, o se una pianta esotica darà semi abbondanti
quando sia coltivata, nè potrà stabilire quale delle due specie
di un genere produrrà ibridi più o meno sterili. Finalmente quando
gli esseri organizzati sono posti per parecchie generazioni sotto condizioni
di vita innaturali, essi sono estremamente soggetti a variare, e ciò
si deve, a mio avviso, al loro sistema riproduttivo che fu specialmente colpito,
quantunque in grado minore di quello che precede la sterilità. Altrettanto
avviene per gl'ibridi, perchè nelle successive generazioni sono eminentemente
variabili, come fu osservato da ogni esperimentatore.
Dunque noi vediamo che, quando gli esseri organizzati sono sottoposti a condizioni
nuove ed innaturali, e quando gli ibridi sono generati per mezzo di artificiali
incrociamenti di due specie, il sistema riproduttivo viene colpito da sterilità
in un modo quasi analogo, e ciò indipendentemente dallo stato generale
della loro salute. Nell'un caso, le condizioni della vita furono turbate, nondimeno
tanto leggermente da rimanere inapprezzabili; nell'altro caso, cioè in
quello degl'ibridi, le condizioni esterne rimasero costanti, ma l'organizzazione
fu turbata dal fondersi in una sola, due diverse strutture e costituzioni. Perchè
gli è quasi impossibile che due organizzazioni contribuiscano a comporne
una terza, senza che abbia luogo alcun dissesto nello sviluppo, nell'azione
periodica o nelle mutue relazioni delle varie parti od organi fra loro, oppure
rispetto alle condizioni della vita. Quando gli ibridi sono atti a generare
inter se, essi trasmettono, di generazione in generazione, alla loro prole la
stessa organizzazione composta, e quindi non dobbiamo sorprenderci che la loro
sterilità, quantunque sia variabile in certo grado, non diminuisca; anzi
tenda piuttosto ad aumentare, essendo questo generalmente il risultato degli
accoppiamenti fra consanguinei. La suespressa opinione che la sterilità
dei bastardi sia determinata dalla mescolanza di due costituzioni in una, fu
recentemente sostenuta con vigore da Max Wichura.
Deesi tuttavia confessare che certi fatti, relativi alla sterilità degli
ibridi, sono indecifrabili, tranne con vaghe ipotesi. Così, per esempio,
la ineguale fecondità degl'ibridi prodotti dagli incrociamenti reciproci
o la sterilità accresciuta di quelli che, occasionalmente e per eccezione,
somigliano maggiormente ad uno dei loro progenitori. Io non pretendo che le
osservazioni precedenti bastino alla piena discussione di questa materia; nè
può darsi alcuna spiegazione del fatto che, quando un organismo è
situato sotto condizioni innaturali, diviene sterile. Tutto ciò che procurai
di provare si è che in due casi, per qualche rapporto affini, il risultato
comune è la sterilità; nel primo di essi perchè le condizioni
di vita furono turbate, nell'altro per l'alterazione introdotta nell'organizzazione,
per essersi miste due organizzazioni a formarne una sola.
A quanto pare, un simile parallelismo si estende anche ad una classe di fatti
affini, benchè molto diversi. È un'antica e quasi universale credenza,
fondata, secondo me, sopra un numero considerevole di prove, che le piccole
modificazioni nelle condizioni della vita sono vantaggiose a tutti gli esseri
viventi. Noi vediamo che questo principio si applica dagli agricoltori e dai
giardinieri nei loro cambi frequenti di semi, di tuberi, ecc., da un suolo e
da un clima ad un altro, e viceversa. Durante la convalescenza degli animali,
noi chiaramente osserviamo che si ottiene un grande benefizio da quasi tutti
i cambiamenti nelle abitudini della vita. Così, tanto negli animali quanto
nelle piante, sono molti i fatti che dimostrano che un incrociamento fra individui
molto distinti di una medesima specie, cioè fra membri di differenti
razze o sotto-razze, procaccia vigore e fecondità alla prole; e che gli
accoppiamenti fra consanguinei, continuati per diverse generazioni fra circostanze
analoghe, e specialmente quando non siano variate le condizioni della vita,
producono sempre diminuzione di statura, indebolimento e sterilità.
Quindi sembra che da una parte le piccole modificazioni nelle condizioni della
vita siano utili a tutti gli esseri organici, e dall'altra parte che i piccoli
incrociamenti, cioè gli incrociamenti fra quei maschi e quelle femmine
della stessa specie che variarono e divennero alquanto differenti, diano forza
e fertilità alla prole. Ma abbiamo anche veduto che i grandi cangiamenti,
o le mutazioni di un'indole particolare, spesso rendono sterili in qualche grado
gli esseri organici; e che i grandi incrociamenti fra maschi e femmine, che
divennero affatto distinti, o specificamente diversi, producono ibridi che generalmente
presentano qualche grado di sterilità. Ora io non so persuadermi che
questo parallelismo sia un accidente o una illusione. Chi sappia spiegarci perchè
l'elefante e molti altri animali, viventi nel loro paese nativo in captività
solamente parziale, non siano capaci di riprodursi, dovrà saperci indicare
la causa principale, per cui i bastardi siano generalmente sterili. Egli saprà
anche spiegarci come avvenga che le razze di alcuni dei nostri animali domestici,
le quali spesso furono esposte a condizioni di vita nuove e non uniformi, siano
fra loro perfettamente feconde, benchè discendano da specie diverse,
che probabilmente saranno state infeconde al primo incrociamento. Ambedue le
predette serie parallele di fatti sembrano connesse da un legame sconosciuto,
essenzialmente riferibile al principio della vita; ed il principio è
questo, che la vita, come ha osservato Herbert Spencer, dipende dalla incessante
azione e reazione di forze diverse, od in essa consiste, le quali, come avviene
sempre in natura, tendono all'equilibrio; e se tale tendenza sia leggermente
disturbata da qualche causa, le forze vitali acquistano il loro potere.
RECIPROCO DIMORFISMO E TRIMORFISMO
Quest'argomento deve essere qui svolto brevemente; noi vedremo
che esso chiarisce alquanto le nostre idee sull'ibridismo. Parecchie piante,
appartenenti ad ordini diversi, presentano due forme, che esistono in numero
pressochè uguale e che non differiscono tra loro senonchè negli
organi riproduttivi. L'una delle forme ha un lungo pistillo e stami brevi, l'altra
ha un breve pistillo con stami lunghi; ambedue hanno grani pollinici di differente
grandezza. Nelle piante trimorfe si hanno tre forme, le quali in simile modo
differiscono tra loro, per la lunghezza dei pistilli e degli stami, per la grandezza
e pel colore dei grani pollinici e per alcuni altri caratteri; e siccome cadauna
di queste tre forme presenta due sorta di stami, così si hanno complessivamente
sei specie di stami e tre di pistilli. Questi organi sono tra loro nella lunghezza
proporzionati in modo che in due delle forme la metà degli stami sta
al livello dello stimma della terza forma. Io ho dimostrato, e questo risultato
fu ottenuto anche da altri osservatori, che per ottenere la perfetta fecondità
in queste piante è necessario fecondare lo stimma di una forma col polline
di quegli stami che nell'altra forma stanno ad una corrispondente altezza. In
tale modo nelle specie dimorfe due accoppiamenti, che possonsi chiamare legittimi,
sono pienamente fecondi, e due, i quali chiameremo illegittimi, sono più
o meno sterili. Nelle piante trimorfe tre accoppiamenti sono legittimi, o pienamente
fecondi, dodici sono illegittimi ovvero più o meno sterili.
La sterilità che si osserva in diverse piante dimorfe e trimorfe dopo
un accoppiamento illegittimo, ossia quando sono fecondate col polline di stami
che non corrispondono nell'altezza al pistillo, varia assai nel grado fino alla
sterilità assoluta, precisamente nella stessa guisa come vedesi nell'incrociamento
di specie diverse. Come in quest'ultimo caso il grado della sterilità
dipende principalmente dalle condizioni di vita più o meno favorevoli,
altrettanto osservai nell'accoppiamento illegittimo. È noto che quando
il polline di una specie diversa è portato sullo stimma di un fiore,
e poi, forse anche dopo notevole intervallo, vi arrivi il proprio polline, l'effetto
di quest'ultimo è talmente preponderante, che distrugge gli effetti del
polline straniero; altrettanto avviene se invece si tratta del polline di forme
diverse di una stessa specie: il polline legittimo predomina sull'illegittimo,
quando ambedue siano portati sullo stesso stimma. Io me ne accertai fecondando
parecchi fiori dapprima con polline illegittimo, e dopo ventiquattro ore col
polline legittimo di una varietà colorata in modo particolare, e tutti
i rampolli ne ebbero un colore simile, ciò che dimostra che il polline
legittimo, adoperato ventiquattr'ore dopo, aveva interamente distrutta od impedita
l'azione del polline illegittimo. Come nei reciproci incrociamenti di due specie
spesso si presenta una grande differenza nel risultato, altrettanto succede
nelle piante trimorfe. Così la forma di Lytrhum salicaria a stilo mediocre
fu assai facilmente in modo illegittimo fecondato dal polline tolto dagli stami
più lunghi della forma a stilo breve, e diede molti semi; ma questa ultima
forma non portò nemmeno un seme, quando venne fecondata col polline tolto
dagli stami più lunghi della forma a stilo mediocre.
In tutti questi riguardi, ed in altri che potrebbero citarsi, le forme diverse
di una medesima specie indubbia si comportano dopo una fecondazione illegittima
precisamente come due specie diverse dopo il loro incrociamento. Ciò
m'indusse ad osservare attentamente, per quattro anni, molti rampolli che erano
il risultato di parecchie fecondazioni illegittime, e il risultato principale
fu, che queste piante, che possono dirsi illegittime, non sono perfettamente
feconde. È possibile ottenere dalle specie dimorfe in modo illegittimo
le forme a stilo lungo e quelle a stilo breve, e dalle piante trimorfe tutte
e tre le forme illegittime. Queste possono poi essere accoppiate acconciamente
in modo legittimo. Quando ciò sia avvenuto, non si comprende per quale
ragione queste piante non diano tanti semi come i loro genitori dopo accoppiamento
legittimo. Invece esse sono tutte sterili, sebbene in grado diverso; alcune
lo furono al punto che in quattro estati non diedero nessun seme, e nemmeno
una casella. La sterilità di queste piante illegittime, ancorchè
siano state fecondate in modo legittimo, trova un esatto riscontro in quella
che segue l'incrociamento degli ibridi tra loro. Se d'altra parte un ibrido
viene incrociato con una forma-madre pura, la sterilità è generalmente
di molto diminuita, e altrettanto avviene quando una pianta illegittima sia
fecondata da una legittima. E nello stesso modo, come la sterilità degli
ibridi non va sempre di pari passo colla difficoltà di incrociare le
forme-madri, così anche la sterilità di certe piante illegittime
era straordinariamente grande, mentre non era tale quella dell'accoppiamento
da cui furono prodotte. Tra gli ibridi allevati dalla stessa casella sussiste
una variabilità originaria nel grado di sterilità; la stessa cosa
osservasi evidentemente nelle piante illegittime. Finalmente molti ibridi fioriscono
continuamente e vigorosamente, mentre altri più sterili producono pochi
fiori e sono deboli e miseri nani; casi esattamente simili riscontransi nei
discendenti illegittimi di diverse piante dimorfe e trimorfe.
Sussiste dunque la più stretta analogia nel carattere e nel contegno
fra le piante illegittime e gli ibridi. Non v'è esagerazione nel dire
che le piante illegittime sono ibridi prodotti entro i limiti di una specie
dall'impropria unione di certe forme, mentre gli ibridi ordinari sono generati
dall'impropria unione di specie così dette distinte. Noi abbiamo visto
che fra le prime unioni illegittime ed i primi incrociamenti di specie distinte
rinviensi la massima somiglianza per ogni riguardo. Tutto ciò potrà
rendersi anche più chiaro con un esempio. Supponiamo che un botanico
trovi due varietà ben marcate della forma a lungo stilo del trimorfo
Lythrum salicaria (e tali si riscontrano), e si decida di esperimentare con
un incrociamento se siano specificamente diverse. Egli troverebbe che danno
circa un quinto del numero normale di semi, e che negli altri su citati riguardi
si comportano come due specie distinte. Per andare sicuro egli alleverebbe dai
semi, supposti ibridi, delle piante, e troverebbe che i rampolli sono miseri
nani, e che si comportano per ogni altro rapporto come gli ibridi ordinari.
Egli quindi sosterrebbe di aver dimostrato, in accordo colle idee dominanti,
che queste due varietà siano le due migliori e più distinte del
mondo, ma si sarebbe nel suo giudizio completamente ingannato.
I fatti qui esposti intorno alle piante dimorfe e trimorfe sono importanti,
primieramente perchè dimostrano che la prova fisiologica della fecondità
diminuita, sia nei primi incrociamenti come negli ibridi, non è un sicuro
criterio di diversità specifica; in secondo luogo, perchè siamo
costretti ad ammettere che sussiste un legame od una legge ignota, che collega
insieme la sterilità degli accoppiamenti illegittimi con quella della
progenie illegittima, e noi siamo indotti ad estendere questa conclusione ai
primi incrociamenti ed agli ibridi; in terzo luogo, e ciò mi sembra di
speciale importanza, perchè ci è dimostrato che della stessa specie
esistono due o tre forme, le quali non differiscono tra loro nè nella
struttura, nè nella costituzione in riguardo alle condizioni esterne
di vita, e nondimeno sono sterili se vengono in certo modo unite. Imperocchè
noi dobbiamo rammentarci che è l'unione degli elementi sessuali della
stessa forma, per esempio delle due forme a stilo lungo, che determina la sterilità,
mentre l'unione degli elementi sessuali di due forme diverse è feconda.
Sembra quindi a prima vista avvenire l'opposto di ciò che succede nell'ordinaria
unione di individui della medesima specie e nell'incrociamento fra specie diverse.
Ma è dubbio se la cosa sia realmente così, nè io voglio
più a lungo fermarmi su questo oscuro argomento.
Dalle considerazioni fatte intorno alle piante dimorfe e trimorfe noi possiamo
dedurre con probabilità che la sterilità delle specie distinte
al loro incrociamento e della prole ibrida dipenda esclusivamente dalla natura
degli elementi sessuali, e non da qualche generale diversità nella struttura
o nella costituzione. In fatto, noi siamo condotti alla stessa conclusione dallo
studio dei reciproci incrociamenti di due specie, nelle quali il maschio dell'una
non può essere accoppiato colla femmina dell'altra, o può essere
solo con grande difficoltà, mentre l'incrociamento invertito può
compiersi colla massima facilità. Il Gärtner, esimio osservatore,
arrivò pure alla conclusione che le specie incrociate sono sterili in
seguito a differenze confinate al sistema riproduttivo.
LA FECONDITÀ DELLE VARIETÀ INCROCIATE
E DELLA LORO PROLE METICCIA NON È SENZA ECCEZIONE
Potrebbe opporsi un altro argomento più valido, cioè
che deve esistere qualche essenziale distinzione fra le specie e le varietà,
e che deve esservi qualche errore in tutte le osservazioni precedenti, mentre
le varietà, per quanto differiscano fra loro nell'apparenza esterna,
s'incrociano con immensa facilità e generano una prole perfettamente
feconda. Io ammetto pienamente che questa sia la regola più generale,
meno le poche eccezioni che ora intendo fare. Ma quest'argomento è circondato
da molte difficoltà, perchè riguardo alle varietà prodotte
allo stato di natura, se due forme, fin qui tenute per varietà, si trovano
in qualche grado sterili nei loro incrociamenti, allora esse sono classificate
come specie dalla maggior parte dei naturalisti. Per esempio, l'anagallide azzurra
e la rossa, la Primula vulgaris e la Primula veris furono considerate dai nostri
migliori botanici come semplici varietà, finchè Gärtner non
le trovò perfettamente feconde negl'incrociamenti e conseguentemente
le pose fra le specie distinte. Se noi argomentiamo così, aggirandoci
in un circolo vizioso, la fecondità di tutte le varietà allo stato
di natura dovrà certamente essere riconosciuta.
Se noi ci rivolgiamo alle varietà prodotte, o almeno che si suppongono
prodotte allo stato domestico, siamo tosto presi dal dubbio. Perchè quando
è stabilito, per esempio, che certi cani domestici indigeni dell'America
meridionale difficilmente s'incrociano coi cani dell'Europa, la spiegazione
che prima si affaccia ad ognuno, e che probabilmente è la vera, consiste
in ciò, che questi cani derivano da parecchie specie originali e distinte.
Nondimeno la perfetta fecondità di tante varietà domestiche, quantunque
sì diverse fra loro nell'apparenza, per esempio quelle dei colombi e
quelle dei cavoli, è un fatto notevolissimo; tanto più se riflettiamo
quante specie vi siano le quali, benchè strettamente simili fra loro,
pure sono affatto sterili quando s'incrociano. Alcuni riflessi però rendono
meno singolare codesta fecondità delle varietà domestiche. Innanzi
tutto si può osservare che il grado di dissimiglianza esterna di due
specie non è una guida sicura per giudicare del grado di mutua sterilità,
e così pure simili differenze non sono una buona guida se trattasi di
varietà. Egli è certo che nelle specie la causa risiede esclusivamente
nella diversità della costituzione sessuale. Ora le variate condizioni,
cui furono esposti gli animali domestici e le piante coltivate, hanno sì
poco la tendenza di modificare il sistema riproduttivo in maniera da produrre
la mutua sterilità, che anzi abbiamo ragioni per accettare l'opinione
opposta, la teoria del Pallas, secondo cui le predette condizioni in generale
eliminano quella tendenza, e ne viene che i discendenti domestici di specie,
che allo stato naturale sarebbero in certo grado sterili nell'incrociamento,
diventano perfettamente fecondi tra loro. Nelle piante la coltura produce tutt'altro
che una tendenza alla sterilità di specie distinte; tant'è vero
che si hanno parecchi casi bene constatati, di cui fu già fatta menzione,
in cui è avvenuto l'opposto; esse cioè divennero impotenti tra
loro, mentre hanno conservato il potere di fecondare altre specie e di essere
da altre specie fecondate. Se si accetta la teoria del Pallas sulla eliminazione
della sterilità in seguito ad uno stato domestico prolungato, e ben difficilmente
potrà respingersi, allora deve considerarsi come improbabile in sommo
grado che condizioni simili lungamente persistenti conducano anche a questa
tendenza; tuttavia in certi casi, nelle specie di una particolare costituzione,
può occasionalmente prodursi la sterilità. In questo modo, io
credo, noi possiamo comprendere perchè negli animali domestici non si
formino delle varietà mutuamente sterili; e perchè nelle piante
si siano osservati pochi esempi di questo genere, dei quali tra breve parleremo.
La reale difficoltà del presente argomento, a quanto mi sembra, non sta
nel fatto che le varietà domestiche non divennero in seguito al loro
incrociamento mutuamente sterili, ma in quello che ciò è generalmente
avvenuto nelle varietà naturali, quando siano state modificate permanentemente
ed in grado sufficiente per essere considerate come specie. Noi non ne conosciamo
esattamente la causa, nè ciò deve sorprenderci se riflettiamo
quanto siamo all'oscuro intorno all'azione normale ed anormale del sistema riproduttivo.
Si comprende, però, che le specie, in seguito alla lotta per l'esistenza
con numerosi concorrenti, debbano essere esposte per lunghi periodi a condizioni
più uniformi che non le varietà domestiche, ciò che può
effettuare una notevole differenza nel risultato. Imperocchè noi sappiamo
come ordinariamente gli animali selvaggi e le piante si rendano sterili, quando
siano tolti alle loro condizioni naturali e tenuti in captività; ed è
probabile che le funzioni riproduttive degli esseri organici che abbiano sempre
vissuto in condizioni naturali siano in ugual modo eminentemente sensibili alla
influenza di un incrociamento non naturale. D'altra parte le produzioni domestiche,
come il fatto stesso della domesticazione ce lo dimostra, non erano originariamente
in alto grado sensibili ai cambiamenti delle condizioni di vita, e possono ora
in generale resistere con fecondità non diminuita ai ripetuti cambiamenti
delle condizioni, per cui potrebbe aspettarsi che producano delle varietà,
il cui potere riproduttivo non sarebbe facilmente danneggiato nell'incrociamento
con altre varietà formatesi in simile modo.
Io ho considerato fin qui gli incrociamenti delle varietà di una medesima
specie come sempre fecondi. Ma gli è impossibile negare che esista realmente
una certa somma di sterilità nei pochi casi seguenti, cui brevemente
accennerò. Le prove non sono al certo meno fondate di quelle con cui
si sostiene la sterilità di moltissime specie. Inoltre queste prove sono
tratte da autorità ostili, le quali, in tutti gli altri casi, considerano
la fertilità e la sterilità come criteri sicuri di distinzione
specifica. Gärtner conservò per parecchi anni una varietà
nana di grano turco con semi gialli, e un'altra varietà grande con semi
rossi, le quali crebbero l'una presso l'altra nel suo giardino; e benchè
queste piante avessero i sessi separati, pure non si incrociarono mai naturalmente.
Allora egli fecondò tredici fiori dell'una col polline dell'altra; ma
un solo capo produsse qualche seme e non diede che cinque grani. L'operazione
in tal caso non poteva essere nociva, perchè le piante avevano sessi
separati. Io credo che niuno avrebbe mai supposto che queste varietà
di mais fossero due specie distinte; ed è importante a notarsi che le
piante ibridi così prodotte erano perfettamente feconde; per cui anche
il Gärtner non volle avventurarsi a considerare queste due varietà
come specificamente distinte.
Girou de Buzareingues incrociò tre varietà di zucche le quali,
come il grano turco, hanno i sessi separati, e ci assicura che la loro fecondazione
reciproca è tanto più difficile, quanto maggiori sono le loro
differenze. Non so quanta fede possa prestarsi a queste esperienze; ma queste
forme, sulle quali fece esperimenti il Sageret, sono classificate da esso come
varietà, mentre egli fonda principalmente la propria classificazione
sulle prove di infecondità.
Il caso seguente è assai più rimarchevole e sulle prime sembra
incredibile affatto; ma è il risultato di un sorprendente numero di esperienze,
fatte per molti anni sopra nove specie di Verbascum dal Gärtner, abilissimo
osservatore, e testimonio ostile. Egli notò che le varietà gialle
e bianche della stessa specie di Verbascum, quando sono tra loro incrociate,
producono meno semi che quando una di queste varietà sia fecondata col
polline dei fiori colorati suoi propri. Inoltre egli ha constatato che quando
le varietà gialle e le bianche di una specie sono incrociate con le varietà
gialle o bianche di una specie distinta, si produce maggior copia di semi dagli
incrociamenti fra i fiori dello stesso colore di quello che fra gli altri di
colore diverso. Anche Scott ha fatto degli sperimenti colle specie e varietà
del Verbascum; e sebbene non riuscisse a confermare i risultati del Gärtner
sull'incrociamento delle specie distinte, trovò nondimeno che le varietà
di colore disuguale della stessa specie davano meno semi (nella proporzione
di 86 a 100) che le varietà di simile colore. Eppure queste varietà
di Verbascum non presentano altre differenze da quelle infuori del semplice
colore dei fiori; e talvolta una varietà può sorgere dai semi
di un'altra.
Il Kölreuter, la cui accuratezza è stata comprovata da ogni osservatore
posteriore, ha constatato il fatto rimarchevole che una varietà del tabacco
comune è più feconda, quando sia incrociata con specie affatto
distinte, di quello che lo sia se viene incrociata con altre varietà.
Egli fece esperienze sopra cinque forme, che sono comunemente credute varietà,
e che furono da lui sottoposte all'esame più severo, cioè agli
incrociamenti reciproci, e trovò che la loro prole meticcia era perfettamente
feconda. Ma una di queste cinque varietà, sia che fornisse il padre,
sia che somministrasse la madre, essendo incrociata colla Nicotiana glutinosa,
produceva costantemente ibridi meno sterili di quelli generati dall'incrociamento
delle altre quattro varietà colla N. glutinosa. Ne segue che il sistema
riproduttivo di quest'unica varietà deve essere stato modificato in qualche
modo fino ad un certo grado.
In seguito a questi fatti non può più a lungo sostenersi che le
varietà siano nell'incrociamento sempre interamente feconde. Siccome
è assai difficile di accertare se le varietà allo stato di natura
siano infeconde, poichè ogni varietà sterile anche in grado leggero
sarebbe generalmente considerata come una specie; siccome inoltre l'uomo nelle
sue varietà domestiche non si cura che dei caratteri esterni, e queste
varietà non furono per lunghi periodi esposte ad uniformi condizioni
di vita: così noi possiamo concludere che la fertilità negli incrociamenti
non costituisce una distinzione fondamentale tra le varietà e le specie.
La generale sterilità delle specie incrociate può francamente
considerarsi, non come un particolare acquisto o dotazione, ma come cosa incidentale
connessa alla natura sconosciuta degli elementi sessuali.
CONFRONTO DEGLI IBRIDI COI METICCI(18),
INDIPENDENTEMENTE DALLA LORO FECONDITÀ
Le discendenze delle specie incrociate e delle varietà
incrociate possono confrontarsi tra loro per diversi altri rapporti, indipendentemente
dalla questione della fecondità. Gärtner, che aveva un vivissimo
desiderio di segnare una linea distinta fra le specie e le varietà, non
potè ritrovare che pochissime e, a quanto parmi, affatto insignificanti
differenze, fra la così detta ibrida prole delle specie, e la così
detta prole meticcia delle varietà. D'altronde queste due progenie si
ravvicinano per molte importanti considerazioni.
Discuterò questo argomento con estrema brevità. La distinzione
più importante consiste in ciò, che nella prima generazione i
meticci sono più variabili degli ibridi; ma Gärtner ammette che
gli ibridi di quelle specie che furono coltivate da lungo tempo sono spesso
variabili nella prima generazione: ed io stesso ho notato esempi stringenti
di questo fatto. Inoltre Gärtner ammette che gli ibridi, fra specie molto
affini, sono più variabili di quelli derivanti da specie molto distinte;
e ciò dimostra che la differenza nel grado di variabilità è
graduale, fino al punto in cui scompare. Quando i meticci e gl'ibridi più
fecondi sono propagati per molte generazioni, è noto che nella loro prole
si manifesta molta variabilità; ma abbiamo registrati alcuni pochi casi
in cui gl'ibridi o i meticci hanno conservato lungamente l'uniformità
del carattere. Però nelle successive generazioni la variabilità
dei meticci è forse maggiore di quella degl'ibridi.
Nè mi sembra che questa maggiore variabilità nei meticci che negli
ibridi, abbia a recarci sorpresa. Perchè i parenti dei meticci sono varietà
e per la maggior parte varietà domestiche (assai poche esperienze furono
tentate sulle varietà naturali), e ciò in molti casi implica una
variabilità recente; perciò dobbiamo attenderci che questa variabilità
sia per continuare di sovente, e che vi si aggiunga quella che trasse origine
dal semplice atto dell'incrociamento. Un fatto curioso e che merita di essere
esaminato è la leggera variabilità degli ibridi provenienti da
un primo incrociamento, ossia nella prima generazione, in contrasto colla loro
estrema variabilità nelle generazioni successive. Infatti ciò
sostiene ed avvalora le idee da me espresse sulla cagione della variabilità
ordinaria; cioè che dessa è dovuta al sistema riproduttivo, eminentemente
sensibile ad ogni cambiamento nelle condizioni di vita, rimanendo per tal modo
spesso impotente od almeno incapace a compiere le proprie funzioni di generare
una prole identica alla forma-madre. Ora gli ibridi della prima generazione
discendono da due specie (escluse quelle coltivate da lungo tempo), che non
furono affette in modo alcuno nel loro sistema riproduttivo e che non erano
variabili; ma gl'ibridi stessi hanno i loro sistemi riproduttivi seriamente
modificati e i loro discendenti sono altamente variabili.
Ma per tornare al nostro paragone fra i meticci e gl'ibridi, Gärtner stabiliva
che i meticci sono, più degl'ibridi, soggetti a ricuperare la forma dei
loro genitori; ma quando ciò sussista, non è certamente che una
semplice differenza di grado. Il Gärtner dice inoltre espressamente che
gli ibridi di piante lungamente coltivate tendono più alla riversione
che gli ibridi delle specie allo stato naturale, ciò che forse spiega
le singolari differenze nei risultati dei diversi osservatori. Così Max
Wichura dubita che gli ibridi ritornino giammai alla loro forma-madre, ed ha
fatto degli esperimenti sopra le specie non coltivate di salici; mentre Naudin
sostiene decisamente la forte tendenza degli ibridi alla riversione, ed ha sperimentato
principalmente sulle piante coltivate. Il Gärtner asserisce, inoltre, che
quando due specie anche strettamente affini sono incrociate con una terza, gli
ibridi che ne derivano sono tuttavia tra loro assai diversi, mentre se due varietà
assai diverse siano incrociate con un'altra specie, gli ibridi non sono tra
loro molto diversi. La conclusione però, per quanto io possa giudicare,
è appoggiata ad un unico esperimento e sembra direttamente opposta ai
risultati che il Kölreuter ottenne con molti sperimenti.
Queste sole sono le differenze insignificanti che Gärtner potè scoprire
fra le piante ibride e le meticce. Dall'altro lato, la somiglianza ai loro parenti
rispettivi, che si osserva nei meticci e negli ibridi, e più particolarmente
negl'ibridi prodotti da specie molto affini, segue, secondo il Gärtner,
le stesse leggi. Quando due specie sono incrociate, l'una di esse ha talvolta
un potere prepotente di imprimere una forma somigliante nell'ibrido; e ciò
avviene appunto nelle varietà delle piante. Anche negli animali una varietà
ha spesso certamente una predominante influenza sopra un'atra varietà.
Le piante ibride, prodotte dagl'incrociamenti reciproci, generalmente rassomigliano
molto l'una all'altra; e così dicasi dei meticci provenienti da incrociamenti
reciproci. Tanto gl'ibridi quanto i meticci poi possono ridursi alla loro pura
forma originaria da ripetuti incrociamenti coll'uno o coll'altro progenitore
nelle successive generazioni.
Tutte queste osservazioni sembrano applicabili agli animali; ma in questo caso
il soggetto è eccessivamente complicato, in parte per la esistenza dei
caratteri sessuali secondari, ma più specialmente per la prevalenza di
un sesso sull'altro nel trasmettere le proprie forme alla prole, tanto nel caso
dell'incrociamento di due specie, come in quello dell'incrociamento di due varietà.
Per esempio, credo che ben s'appongano quegli autori che sostengono che l'asino
ha un potere predominante sul cavallo, al punto che sì il mulo che il
bardotto rassomigliano più all'asino che al cavallo; ma questo predominio
è anche maggiore nell'asino che nell'asina, per modo che il mulo, che
viene figliato dall'asino e dalla cavalla, ha una maggiore somiglianza coll'asino
del bardotto, che discende dall'asina e dallo stallone.
Alcuni autori diedero molta importanza al fatto supposto che i soli animali
meticci nascono molto simili ad uno dei loro parenti; ma è facile provare
che ciò avviene talvolta anche negl'ibridi; però, io ne convengo,
molto meno frequentemente in questi che non nei primi. Esaminando i casi, da
me raccolti, di animali derivanti da un incrociamento e assai rassomiglianti
a uno dei loro genitori, pare che codesta somiglianza sia principalmente limitata
a quei caratteri, quasi mostruosi nella loro natura, che si manifestarono improvvisamente;
come l'albinismo, il melanismo, la mancanza di coda o di corna, o le dita addizionali;
nè si estende a quegli altri caratteri che furono lentamente acquistati,
per mezzo della elezione. Per conseguenza, le repentine riversioni al carattere
perfetto di uno dei parenti debbono avvenire più facilmente nei meticci,
che derivano da varietà spesso improvvisamente prodotte e semi-mostruose
nei caratteri, anzichè negli ibridi, che provengono da specie formate
lentamente e naturalmente. Insomma, io consento pienamente col dott. Prospero
Lucas, che, dopo di avere classificato una grande congerie di fatti riguardanti
gli animali, giunge alla conclusione che le leggi di rassomiglianza del figlio
a' suoi parenti sono le medesime, qualunque sia il grado di differenza dei parenti
stessi, vale a dire, comunque si tratti dell'unione di individui appartenenti
ad una stessa varietà, o a varietà diverse, o a specie distinte.
Lasciando in disparte la questione di fecondità e di sterilità,
per tutti gli altri riguardi pare che esista una somiglianza molto stretta e
generale nella progenie delle specie incrociate e delle varietà incrociate.
Ove si considerassero le specie come tante creazioni distinte, e le varietà
come produzioni derivanti da leggi secondarie, codesta somiglianza sarebbe un
fatto sorprendente. Al contrario essa armonizza perfettamente coll'idea che
non vi sia alcuna distinzione essenziale fra le specie e le varietà.
SOMMARIO DEL CAPITOLO
I primi incrociamenti tra le forme abbastanza distinte, da
ritenersi quali specie, e fra i loro ibridi sono in generale, ma non universalmente,
infecondi. La sterilità presenta tutte le gradazioni possibili, ed è
soventi volte tanto leggera, che i due più precisi ed abili esperimentatori
che si conoscano, giunsero a conclusioni diametralmente opposte nel classificare
le forme su questa base. La sterilità è variabile, per attitudine
innata, negl'individui della stessa specie, ed è sommamente suscettibile
di soggiacere all'influenza delle condizioni favorevoli o sfavorevoli. Il grado
di sterilità non corrisponde precisamente all'affinità sistematica,
ma è governato da parecchie leggi curiose e complesse. Generalmente è
diversa, e talora molto diversa, nei reciproci incrociamenti delle medesime
due specie. Nè sempre è uguale nei primi incrociamenti e negli
ibridi che ne derivano.
Come negli alberi innestati l'attitudine di una specie o di una varietà
di legare sopra un'altra è accidentale, perchè dipendente da differenze
generalmente sconosciute nei loro sistemi di vegetazione, così negl'incrociamenti
la maggiore o minore facilità di una specie di unirsi ad un'altra è
incidentale, per differenze pure sconosciute nel loro sistema riproduttivo.
Non vi è maggior fondamento nel credere che le specie siano state particolarmente
dotate di vari gradi di sterilità, per impedire l'incrociamento e le
mescolanze nella natura, che non ve ne abbia nel pensare che gli alberi siano
stati specialmente dotati di vari gradi di difficoltà e talvolta di difficoltà
analoghe negl'innesti scambievoli, per prevenire gl'innesti naturali per contatto
nelle nostre boscaglie.
La sterilità dei primi incrociamenti e della loro progenie ibrida non
fu acquistata colla elezione naturale. Nel caso dei primi incrociamenti la sterilità
sembra dipendere da parecchie circostanze; certe volte principalmente dalla
morte prematura dell'embrione. La sterilità degli ibridi, a quanto pare,
dipende da ciò che la loro intera organizzazione è disturbata
dalla fusione di due forme distinte in una sola; questa sterilità è
affine a quella che colpisce tanto frequentemente le specie pure, quando siano
esposte a condizioni di vita nuove e non naturali. Chi spiegasse questi ultimi
fatti saprebbe spiegare anche la sterilità degli ibridi. Questo modo
di vedere è validamente sostenuto da un parallelismo d'altro genere:
e cioè in primo luogo dal fatto che i leggeri cambiamenti delle condizioni
di vita sono utili pel vigore e per la fecondità di tutti gli esseri
organici: e in secondo luogo dall'osservazione che l'incrociamento di forme,
le quali siano state esposte a condizioni di vita leggermente diverse, o che
abbiano variato, favorisce la grandezza, il vigore e la fecondità dei
discendenti. I fatti esposti relativamente alla sterilità degli accoppiamenti
illegittimi delle piante dimorfe e trimorfe e della loro progenie illegittima
fanno supporre che in tutti i casi un ignoto legame connetta insieme il grado
di fecondità delle prime unioni con quella de' loro discendenti. Le considerazioni
intorno a questi esempi di dimorfismo ed i risultati dei reciproci incrociamenti
ci conducono alla conclusione, che la primaria causa della sterilità
di specie incrociate sia ristretta alle differenze negli elementi sessuali.
Ma noi non sappiamo per quale motivo nelle specie diverse gli elementi sessuali
siano generalmente modificati in modo da produrre la reciproca sterilità;
sembra però che ciò stia in intimo rapporto colla esposizione
delle specie a condizioni di vita pressochè uniformi durante lunghi periodi.
Non deve sorprendere che il grado di difficoltà che si incontra nell'accoppiare
due specie e il grado di sterilità della loro prole ibrida, si corrispondono
generalmente, benchè dovuti a cagioni distinte; perchè ambedue
dipendono dalla quantità delle differenze d'ogni sorta che esistono fra
le specie incrociate. Nè tampoco deve recare meraviglia che la facilità
di effettuare un primo incrociamento, la fecondità degl'ibridi che ne
sorgono e la capacità delle piante di subire gl'innesti, - benchè
quest'ultima capacità evidentemente dipenda da circostanze ben diverse,
- procedono tutte parallele, fino ad una certa estensione, coll'affinità
sistematica delle forme che sono sottoposte all'esperienza; poichè l'affinità
sistematica esprime, per quanto è possibile, ogni sorta di rassomiglianza
fra tutte le specie.
I primi incrociamenti fra le forme conosciute per varietà, o abbastanza
distinte per essere considerate varietà, e la loro prole meticcia sono
generalmente fecondi, ma non lo sono universalmente, come per errore si è
spesso stabilito. Nè codesta quasi generale e perfetta fecondità
può sorprendere, quando rammentiamo come ci troviamo esposti ad argomentare
con un circolo vizioso rispetto alle varietà nello stato di natura; e
quando ricordiamo che le varietà in massima parte vennero prodotte allo
stato di domesticità, per mezzo della elezione delle semplici differenze
esterne, e non furono lungamente esposte ad uniformi condizioni di vita. E giova
specialmente ricordarsi che la domesticità lungamente continuata tende
evidentemente ad eliminare la sterilità e quindi non può produrre
questa medesima qualità. Indipendentemente dalla questione di fecondità,
esiste per ogni altro riguardo la più stretta generale somiglianza fra
gli ibridi ed i meticci, sia nella variabilità, sia nel potere di assorbirsi
a vicenda dopo ripetuti incrociamenti, sia nell'eredità dei caratteri
di ambedue le forme-madri. Infine, sebbene ci sia affatto ignota la vera causa
della sterilità dei primi incrociamenti e degli ibridi, e del fenomeno
che le piante e gli animali diventano sterili, quando siano rimossi dalle loro
condizioni naturali, nondimeno mi sembra che i fatti annoverati in questo capitolo
non siano in contraddizione coll'idea che le specie fossero originariamente
semplici varietà.
CAPO X
SULLA IMPERFEZIONE DELLE MEMORIE
GEOLOGICHE
Sulla mancanza delle forme intermedie fra le varietà attuali - Sulla natura delle varietà intermedie estinte; sul loro numero - Sulla enorme durata dei periodi geologici, dedotta dalle deposizioni e dai denudamenti - Lunghezza del tempo trascorso calcolata per anni - Della scarsezza delle nostre collezioni paleontologiche - Dei denudamenti delle aree granitiche - Della intermittenza delle formazioni geologiche - Denudamento delle superfici granitiche - Dell'assenza delle varietà intermedie in ogni formazione - Della improvvisa comparsa di gruppi di specie - Della subitanea loro comparsa anche nei più antichi strati fossiliferi che si conoscano - Età della terra abitabile.
Nel sesto capitolo enumerai le principali obbiezioni che potevano
giustamente opporsi ai principii sostenuti in questo libro. La maggior parte
di quelle obbiezioni fu da me discussa. Una di esse, cioè la distinzione
delle forme specifiche, senza che si trovino insieme confuse da innumerevoli
legami transitorii, è veramente una difficoltà molto ovvia. Io
addussi le ragioni per cui questi legami non possono comunemente rinvenirsi
nell'epoca presente, sotto circostanze in apparenza più favorevoli alla
loro presenza, vale a dire in una superficie estesa e continua, con condizioni
fisiche graduali. Mi studiai di provare che la vita di ogni specie dipende in
principal modo dalla presenza di altre forme organiche già definite,
anzichè dal clima; e perciò quelle condizioni di vita che realmente
influiscono, come il calore e l'umidità, non variano in modo insensibile.
Cercai anche dimostrare che le varietà intermedie, esistendo in minor
numero che le forme da esse collegate, rimangono in generale dominate e distrutte
nel corso delle ulteriori modificazioni e dei successivi perfezionamenti. La
causa principale, però, che da ogni parte nella natura non si incontrano
legami intermedi innumerevoli consiste nel rigoroso processo di elezione naturale,
per mezzo del quale le nuove varietà incessantemente surrogano ed esterminano
le loro forme-madri. Ma appunto in proporzione di questo processo di esterminio,
che operò sopra una enorme scala, deve essere veramente immenso il numero
delle varietà intermedie che anticamente esistettero sulla terra. Perchè
dunque non è ripieno ogni strato ed ogni formazione geologica di queste
forme intermedie? La geologia certamente non ci ha rivelato ancora questa catena
organica perfettamente graduale; e questa è forse la più facile
ed insieme la più grave obbiezione che possa farsi alla mia teoria. Ma
io credo che ciò si spieghi colla imperfezione estrema delle memorie
geologiche.
In primo luogo, occorre sempre richiamare alla mente di qual sorta sono le forme
intermedie che, secondo la mia teoria, debbono aver esistito nelle età
passate. Nel considerare due specie qualunque, non seppi esimermi dal rappresentare
a me stesso le forme direttamente intermedie fra le medesime. Ma codesta idea
sarebbe completamente erronea; mentre per forme intermedie noi dobbiamo sempre
intendere quelle che esistettero fra ciascuna specie ed un progenitore comune,
ma ignoto; e questo progenitore avrà presentato delle differenze per
qualche rispetto da tutti i suoi discendenti modificati. Per darne una semplice
dimostrazione, il colombo pavone e il colombo gozzuto derivano ambidue dal colombo
torraiuolo; ora se noi possedessimo tutte le varietà intermedie che hanno
esistito, dovremmo avere una serie progressiva fra quei due colombi e il torraiuolo,
ma non potremmo avere delle varietà direttamente intermedie fra il colombo
pavone ed il gozzuto; niuna varietà, ad esempio, che riunisse una coda
in qualche modo più allargata con un gozzo un po' più largo, che
sono appunto i tratti caratteristici di queste due razze. Queste due razze inoltre
furono modificate siffattamente, che quando noi non avessimo qualche notizia
storica o indiretta, riguardo alla loro origine, non sarebbe stato possibile
determinare, dal semplice confronto della loro struttura con quella del colombo
torraiuolo (C. livia), se esse derivassero da questa specie, o da qualche altra
specie affine, come la C. oenas.
Così nelle specie naturali, se noi consideriamo le forme affatto distinte,
per esempio, il cavallo e il tapiro, non abbiamo alcun motivo di supporre che
vi siano mai stati dei legami direttamente intermedi fra le medesime, ma bensì
fra ognuna di esse ed il comune loro progenitore che ci è ignoto. Il
comune progenitore avrà presentato, nell'intera sua organizzazione, molta
rassomiglianza generale col tapiro e col cavallo; ma in alcuni punti della sua
struttura avrà differito notevolmente da ambidue e fors'anche più
di quello che essi diversificano tra loro. Perciò, in tutti i casi analoghi,
noi saremmo incapaci di riconoscere la forma-madre di due o più specie
quali si vogliano, ancorchè noi confrontassimo accuratamente la struttura
del progenitore con quella dei discendenti modificati, senza possedere contemporaneamente
una catena quasi perfetta di forme intermedie.
Ma, secondo la mia teoria, è ben possibile che di due forme viventi una
sia derivata dall'altra; per esempio, il cavallo dal tapiro; e in tal caso bisogna
ammettere nel passato l'esistenza di legami direttamente intermedi fra i medesimi.
Ma questa ipotesi implicherebbe allora che una forma sia rimasta inalterata
per un periodo molto lungo, mentre i suoi discendenti andarono soggetti a una
grande quantità di cambiamenti; e il principio di lotta fra organismo
ed organismo, fra la prole e i parenti, renderà questo evento assai raro;
perchè in ogni caso le forme di vita nuove e perfezionate tenderanno
a prendere il posto delle forme vecchie ed imperfette.
Per mezzo della teoria della elezione naturale, tutte le specie viventi furono
connesse colla specie madre di ogni genere, per differenze che non erano maggiori
di quelle che noi vediamo oggidì fra le varietà di una stessa
specie. Questa specie-madre, ora generalmente estinta, sarà stata alla
sua volta similmente collegata con altre specie più antiche; e così
di seguito, sempre convergendo verso il comune antenato di ogni grande classe.
A tal che il numero delle forme intermedie e transitorie, fra tutte le specie
viventi e le estinte, deve esser stata smisuratamente grande. Ma, se questa
teoria è vera, queste forme debbono certamente aver vissuto sopra la
terra.
SULLA DURATA DEL TEMPO, DEDOTTA DALLE DEPOSIZIONI
E DAI DENUDAMENTI
Indipendentemente dal fatto che noi non troviamo gli avanzi
fossili di queste innumerevoli forme intermedie, potrebbe obbiettarsi che il
tempo non sarà stato sufficiente per una quantità sì grande
di mutamenti organici, sapendosi che tutti i cangiamenti prodotti dall'elezione
naturale sono lentissimi. Non mi è possibile ricordare al lettore, che
non sia geologo pratico, tutti i fatti che guidano la mente a valutare imperfettamente
la lunga durata del tempo. Chiunque abbia letto la grande opera sui Principii
della Geologia di Carlo Lyell, che gli storici futuri riconosceranno come colui
che produsse una rivoluzione nelle scienze naturali, e non ammetta quanto vasti
incomprensibilmente siano stati i periodi passati del tempo, può senz'altro
chiudere questo libro. Nè basta lo studio dei Principii della Geologia,
o la lettura dei trattati speciali dei diversi osservatori sopra formazioni
separate, notando come ogni autore si adoperi per dare un'idea imperfetta della
durata di ogni formazione, od anche di ogni strato. Noi possiamo farci nel miglior
modo un'idea del tempo trascorso, imparando a conoscere le forze che furono
attive, le superfici che vennero denudate e la quantità dei sedimenti
depositati. Come il Lyell ha osservato benissimo, l'estensione e la potenza
delle formazioni sedimentarie di un luogo sono il risultato e la misura della
denudazione che la corteccia terrestre ha sofferto in altro luogo. Per comprendere
in parte la lunghezza del tempo, i cui monumenti vediamo intorno a noi, sarebbe
mestieri esaminare co' propri occhi la immensa potenza degli strati sovrapposti
gli uni agli altri, ed osservare i fiumi che conducono melma, ed il mare mentre
corrode le spiagge.
Sarebbe utile lo aggirarsi lungo le coste del mare, formate di roccie non troppo
dure, ed osservare il processo di degradazione. Le maree in molti casi si avanzano
sopra le coste rocciose, per breve tempo, due volte il giorno, e le onde non
le corrodono che quando sono cariche di sabbia e di ciottoli; perchè
è provato che l'acqua pura non produce alcun effetto nel bagnare le roccie.
Infine la base della roccia viene corrosa al disotto e cadono enormi frammenti,
i quali, rimanendo fissi, sono poi disgregati atomo per atomo, finchè
siano ridotti a tale grandezza da poter essere rotolati dalle onde, e poscia
più facilmente gettati sul lido allo stato di sassi, sabbia o melma.
Ma quanto spesso non vediamo noi, lungo le basi delle coste che si arretrano,
grandi massi arrotondati, tutti ricoperti di fitte produzioni marine, che dimostrano
quanto poco siano stati corrosi e quanto sia raro che vengano smossi e rotolati!
Inoltre se noi percorriamo poche miglia di costa dirupata e rocciosa che subisca
una degradazione, noi troviamo che soltanto qua e là per brevi tratti,
o intorno ad un promontorio, le coste soffrono al presente l'azione distruttiva
del mare. Ma l'apparenza della superficie e la vegetazione dimostrano che sono
scorsi degli anni dacchè le acque lavarono le loro basi.
Noi abbiamo però imparato recentemente dalle osservazioni del Ramsay,
precursore di distinti botanici, come il Jukes, il Geikie, il Croll ed altri,
che la degradazione prodotta dall'aria è assai più importante
di quella prodotta dall'acqua sulle spiagge. Tutta la superficie di un paese
è esposta all'azione chimica dell'aria e dell'acqua piovana contenente
anidride carbonica in soluzione, e nelle zone fredde anche a quella del gelo;
la materia disaggregata, durante le pioggie violente, è portata in basso
lungo le chine anche dolci, e specialmente nelle località aride è
asportata dal vento in quantità maggiore di quella che generalmente si
vorrebbe ammettere; poi è portata più oltre dai fiumi e torrenti,
i quali, se sono rapidi, escavano il letto e triturano i frammenti. Nei giorni
piovosi, anche in una regione dolcemente ondulata, noi vediamo gli effetti della
degradazione prodotti dall'atmosfera nei rivi melmosi che discendono da ogni
china. Ramsay e Whitaker hanno dimostrato, e l'osservazione è assai importante,
che le lunghe pendici nel distretto Wealden e quelle che attraversano l'Inghilterra,
le quali dapprima furono credute antiche coste marine, non vennero formate dall'acqua,
giacchè ogni catena di esse si compone di una medesima formazione, mentre
le coste attuali sono spaccati di formazioni diverse. Noi siamo quindi costretti
ad ammettere che quelle pendici debbano la loro origine al fatto che la roccia,
di cui si compongono, ha resistito meglio della superficie circostante alla
denudazione atmosferica; questa superficie circostante divenne quindi sempre
più bassa, mentre continuarono a sporgere i tratti di roccia più
dura. Non vi ha nulla che ci dia un'idea più potente intorno alla durata
del tempo della convinzione che ne ricaviamo, che cioè gli agenti atmosferici,
i quali apparentemente hanno sì poca forza ed agiscono così lentamente,
abbiano prodotto sì grandi risultati.
Se noi ci siamo fatti un'idea della lentezza, con cui il terreno è corroso
dalla azione dell'aria e dell'acqua, sarà utile, per apprezzare la durata
del tempo trascorso, considerare da un lato la massa di roccie che fu rimossa
da una regione estesa, e dall'altro lato la potenza delle nostre formazioni
sedimentarie. Io mi ricordo di essere stato altamente sorpreso alla vista delle
isole vulcaniche, le quali erano state degradate dalle onde a segno che le loro
pareti perpendicolari si elevavano all'altezza di 1000 a 2000 piedi, mentre
dal debole angolo di cadenza dei torrenti di lava originariamente liquidi si
poteva giudicare, al primo aspetto, fino a quale distanza le roccie compatte
doveano estendersi nell'aperto mare. La medesima storia risulta, spesso anche
più chiaramente, dai dislocamenti, questi grandi crepacci, lungo cui
gli strati si elevano da un lato fino a migliaia di piedi, o si sono abbassati
dall'altro lato; giacchè dopo la rottura della scorza terrestre (sia
avvenuto il sollevamento di repente, oppure, come ammette la maggior parte dei
geologi, lentamente in molti singoli punti), la superficie(19) del terreno fu
perfettamente appianata, così che all'esterno non apparisce traccia dello
ingente dislocamento. La fessura di Graven, ad esempio, ha un'estensione di
trenta miglia inglesi, e su tutta questa linea il dislocamento verticale degli
strati varia dai 600 ai 3000 piedi. Il professore Ramsay ha descritto un abbassamento
di 2300 piedi in Anglesea, e mi dice che nel Merionethshire ve ne ha uno di
12.000 piedi. Eppure in questi casi la superficie del terreno non svela questi
meravigliosi movimenti, essendo stati asportati dall'acqua gli strati che si
elevavano in ambo i lati del crepaccio fino a rendere piana la superficie.
D'altra parte gli ammassi di strati sedimentari sono di meravigliosa potenza
in tutte le parti del mondo. Nelle Cordigliere io ho calcolato che un masso
di conglomerato fosse di diecimila piedi; e sebbene i conglomerati si accumulino
probabilmente con maggiore rapidità che i minuti sedimenti, tuttavia
ciascuno, essendo formato di ciottoli levigati e rotondi, porta l'impronta di
remota antichità: essi servono per dimostrare come quei massi si siano
accumulati lentamente. Il prof. Ramsay mi ha dato la massima grossezza di ogni
formazione nelle diverse parti della Gran Bretagna, in molti casi dalle misure
effettive, in pochi altri casi per approssimazione, e il risultato fu il seguente:
Strati paleozoici (non compr. le roccie ignee)
piedi
57.154
Strati secondari
"
13.190
Strati terziari
"
2.240
che insieme ammontano a 72.584 piedi; vale a dire, molto prossimamente,
a tredici miglia inglesi e tre quarti. Alcune formazioni, che in Inghilterra
sono rappresentate da strati sottili, hanno migliaia di piedi di grossezza nel
continente. Inoltre fra ogni formazione successiva noi abbiamo, secondo la opinione
della maggior parte dei geologi, dei periodi enormemente lunghi, durante i quali
non si ebbe alcuna formazione. Per modo che gl'immensi strati di rocce sedimentarie
dell'Inghilterra non dànno che un'idea inesatta del tempo trascorso per
la loro accumulazione. L'esame di questi molteplici fatti produce sul nostro
spirito la stessa impressione che fa l'inutile tentativo di concepire l'idea
della eternità.
E nondimeno quest'impressione è in parte falsa. Il Croll, in una sua
interessante memoria, dice che noi non erriamo "nel farci un concetto troppo
grande della lunghezza dei periodi geologici", ma nel valutarla con un
numero di anni. Quando i geologi osservano dei fenomeni estesi e complicati,
e poi delle cifre che esprimono parecchi milioni di anni, ambedue fanno un effetto
molto diverso, e le cifre sono tosto dichiarate troppo piccole. Ma a riguardo
della denudazione prodotta dall'atmosfera il Croll, calcolando la nota quantità
di sedimento che annualmente apportano certi fiumi, al confronto delle loro
aree di prosciugamento, dimostra che 1000 piedi di una roccia sciolta dagli
agenti atmosferici possono essere allontanati dal livello medio di un intero
distretto nel corso di sei milioni di anni. Questo risultato desta stupore,
e molte osservazioni fanno credere che la cifra sia troppo alta; ma se anche
fosse divisa per due o per quattro, rimarebbe ancor sempre sorprendente. Però
pochi tra noi sanno che cosa realmente voglia significare un milione. Il Croll
ne dà la seguente illustrazione: si prenda una fettuccia lunga 83 piedi
e 4 pollici, e si distenda lungo la parete di una grande sala; poi si segni
ad una estremità il decimo di pollice; questo decimo di pollice ci rappresenta
un secolo, e l'intera fettuccia un milione di anni. Ma in ordine all'argomento
che trattiamo in questo libro, dobbiamo ora considerare il significato di questi
cento anni, rappresentati in una scala(20) di sufficiente grandezza da una misura
così insignificante. Parecchi distinti allevatori, hanno modificato,
durante il corso di una sola vita, alcuni dei più elevati animali, i
quali si riproducono assai più lentamente della maggior parte degli inferiori
in guisa che hanno costituito ciò che può chiamarsi una nuova
sotto-razza; e pochi uomini hanno coltivato colla necessaria cura per oltre
un mezzo secolo una particolare varietà di animali, per cui i cento anni
ci rappresentano il lavoro di due allevatori che si succedono l'uno all'altro.
Ora non può ammettersi che le specie allo stato di natura si modifichino
così prontamente come le domestiche sotto l'influenza dell'elezione metodica.
Il paragone potrebbe farsi assai meglio sotto ogni aspetto coi risultati della
elezione inconscia, ossia colla conservazione degli animali più utili
e più belli senza l'intento di migliorare la razza; e tuttavia con questo
processo di elezione inconscia furono sensibilmente modificate parecchie razze
nel corso di due o tre secoli.
Le specie però si cambiano probabilmente con maggior lentezza, ed entro
uno stesso distretto solo poche si modificano ad un tempo. La lentezza devesi
attribuire alla circostanza che tutti gli abitanti di una regione sono bene
adattati gli uni agli altri, e che nuovi posti nella natura non si rendono vuoti
che a lunghi intervalli, quando cioè siano apparsi dei cambiamenti di
qualsiasi genere nelle condizioni fisiche od in seguito all'immigrazione di
nuove forme. Oltre ciò suppongo che le variazioni o differenze individuali
di retta natura, colle quali alcuni abitatori si rendano meglio adattati ai
nuovi posti in condizioni mutate, non appariscano sempre e tosto. Sfortunatamente
noi non sappiamo esprimere con un numero di anni il tempo che occorre per modificare
una specie; ma all'argomento del tempo noi dobbiamo ritornare più tardi.
SULLA SCARSEZZA DELLE NOSTRE COLLEZIONI
PALEONTOLOGICHE
Volgiamoci ai nostri più ricchi musei geologici: quale
povertà non vi riscontriamo! Le nostre collezioni paleontologiche sono
imperfette; niuno lo contesta. Non dobbiamo dimenticare l'osservazione del nostro
insigne paleontologo Edoardo Forbes il giovane, vale a dire, che moltissime
delle nostre specie fossili sono conosciute e rappresentate da un solo campione
e spesso da un frammento, od anche da pochi saggi raccolti in un luogo solo.
Soltanto una piccola porzione della superficie del globo fu esplorata geologicamente,
e niuna parte con sufficiente accuratezza, come lo provano le importanti scoperte
che ogni anno si annunciano in Europa. Ogni organismo interamente molle non
può essersi conservato. I molluschi e le ossa si distruggono e scompariscono
quando giacciono nel fondo del mare, ove non si sia formato alcun sedimento.
Io credo che noi ci formiamo un concetto erroneo, quando tacitamente ammettiamo
che il sedimento venga depositato sopra quasi tutto l'intero letto del mare
ed abbastanza sollecitamente da coprire e preservare gli avanzi fossili. Dappertutto
sopra una estensione proporzionatamente enorme dell'oceano, la brillante tinta
azzurra dell'acqua ne dimostra la purezza. I molti casi conosciuti di formazioni
coperte, dopo un enorme intervallo di tempo, da un'altra e più recente
formazione, senza che il letto sottoposto abbia sofferto nell'intervallo alcuna
denudazione, o alcun laceramento, non sembrano potersi spiegare che nell'ipotesi
che il fondo del mare rimanga spesso per lungo tempo in una condizione inalterata.
Se gli avanzi fossili rimangono immersi nella sabbia o coperti di ghiaia, quando
questi strati emergono, generalmente verranno decomposti dalla filtrazione delle
acque di pioggia che sono pregne di acido carbonico. Alcune delle molte sorta
di animali, che vivono sulle coste fra le acque alte e le basse, sembra che
debbano conservarsi di rado. Per es., le varie specie di Chthamalinæ (sotto-famiglia
di cirripedi sessili) ricoprono le rocce di tutto il mondo, in grandissimo numero;
esse abitano esclusivamente il littorale, eccettuata una sola specie del Mediterraneo
che vive nelle acque profonde e che fu trovata fossile in Sicilia; al contrario
niun'altra specie è stata fin qui trovata nelle formazioni terziarie;
pure sappiamo che il genere Chthamalus esisteva nel periodo cretaceo. Finalmente
molti immensi depositi, che hanno richiesto un tempo lunghissimo alla loro formazione,
sono affatto privi di avanzi organici, senza che ne possiamo indicare la causa.
Un esempio dei più notevoli ci è offerto dal flysch che consta
di schisto argilloso ed arenaria, e con una potenza di parecchie migliaia di
piedi (ad es. di seimila piedi), si estende almeno per trecento miglia inglesi
da Vienna fino alla Svizzera. E sebbene questa ingente massa sia stata esaminata
diligentemente, nessun fossile vi fu rinvenuto, ad eccezione di pochi resti
vegetali.
Riguardo alle produzioni terrestri che vivevano nei periodi delle epoche secondaria
e paleozoica, è superfluo dire che gli avanzi fossili non ci somministrano
che nozioni tronche ed imperfette al sommo. Per esempio, non si conosce alcuna
conchiglia terrestre che appartenga ad uno di questi lunghi periodi, tranne
una specie scoperta da C. Lyell e dal dottor Dawson negli strati carboniferi
dell'America settentrionale, della quale conchiglia si raccolsero circa cento
esemplari. Rispetto ai resti dei mammiferi, un solo colpo d'occhio alla tavola
storica, pubblicata nel Supplemento al Manuale di Lyell, basta a provare, meglio
che lunghe pagine di dettagli, quanto sia rara ed accidentale la loro conservazione.
Nè deve recarci sorpresa questa loro rarità, se rammentiamo quale
immensa quantità di ossa appartenenti ai mammiferi terziari fu trovata
nelle caverne e nei depositi lacustri, e che non si conosce una sola caverna
o un vero deposito lacustre che risalga all'epoca delle nostre formazioni secondarie
o paleozoiche.
Ma l'imperfezione delle memorie geologiche risulta manifestamente da un'altra
causa più importante delle precedenti; vale a dire, da ciò, che
le diverse formazioni sono separate l'una dall'altra da lunghi intervalli di
tempo. Questa dottrina è stata calorosamente sostenuta da molti zoologi
e paleontologi, i quali, come E. Forbes, negano affatto la trasformazione delle
specie. Quando noi vediamo le formazioni sulle tavole che troviamo nelle opere
di geologia, od anche allorchè noi le osserviamo in natura, difficilmente
possiamo astenerci dal credere che le medesime siano rigorosamente consecutive.
Così esistono vaste lacune fra le formazioni sovrapposte nella Russia,
come sappiamo dalla grande opera di R. Murchison su quel paese; troviamo altrettanto
nell'America settentrionale e in molte altri parti del mondo. Il geologo più
abile, se avesse portata la sua attenzione esclusivamente sopra uno solo di
questi vasti territori, non avrebbe mai sospettato che durante questi periodi
di inazione e di sterilità nel proprio paese, si deponevano altrove e
si accumulavano grandi strati sedimentari, pieni di nuove e peculiari forme
di vita. E se in ogni territorio separato non si può concepire un'idea
della lunghezza del tempo trascorso fra le consecutive formazioni, possiamo
dedurne che ciò non sia per conseguirsi in qualunque altro luogo. I cambiamenti
grandi e frequenti, nella composizione mineralogica delle formazioni consecutive,
generalmente implicano delle grandi mutazioni della geografia delle terre finitime,
dalle quali furono tratte le materie sedimentarie, in accordo colla ipotesi
degli immensi periodi di tempo, che passarono fra una formazione e l'altra.
Ma io credo che noi possiamo riconoscere il motivo, per cui le formazioni geologiche
di ogni regione sono quasi costantemente intermittenti: cioè non successive
l'una all'altra senza interruzione. Forse niun fatto mi ha prodotto una impressione
uguale a quella che provai nell'esaminare, per molte centinaia di miglia, le
coste dell'America meridionale che furono nell'epoca più recente sollevate
di parecchie centinaia di piedi; mentre notai la mancanza di qualunque deposito
recente abbastanza forte da sussistere, anche per un breve periodo geologico.
Lungo tutta la spiaggia occidentale, che è abitata da una particolare
fauna marina, gli strati terziari sono sviluppati tanto debolmente, che con
ogni probabilità non resterà alcuna memoria delle varie faune
marine successive nelle età future. Ma un po' di riflessione basta a
chiarire perchè in queste coste che si sollevano sul lato occidentale
dell'America meridionale, non possa trovarsi in alcun punto una estesa formazione
con avanzi recenti o terziari: benchè la quantità di sedimento
accumulato nelle epoche trascorse sia stata grande, attesa l'enorme degradazione
delle coste rocciose e per la continua alluvione dei fiumi melmosi che si gettano
nel mare. Senza dubbio, la ragione è che i depositi littorali o sub-littorali
sono continuamente disgregati ed asportati, di mano in mano che, per il sollevamento
lento e graduale della terra, vengono esposti all'azione dissolvente dei flutti
di costa.
Noi possiamo concludere con sicurezza che il sedimento deve essersi accumulato
in masse estremamente profonde, solide ed estese, perchè altrimenti,
durante il primo sollevamento e nelle posteriori oscillazioni di livello, non
avrebbe potuto resistere alla incessante azione dei flutti. Queste considerevoli
ed estese accumulazioni di sedimento possono essersi formate in due modi; o
nelle grandi profondità del mare, nel qual caso, secondo le ricerche
di E. Forbes, il fondo sarebbe abitato da pochi animali; nè le forme
viventi sono bandite da quei recessi, come si è rilevato dagli ultimi
scandagli per il collocamento delle linee telegrafiche; conseguentemente, quando
queste masse emergono, non possono somministrare che imperfette notizie delle
forme che esistettero nell'epoca della deposizione. Oppure può darsi
che il sedimento si sia formato sopra i bassi fondi, qualunque ne sia la potenza
e la estensione, mentre questi bassi fondi si trovano in via di continuo e lento
abbassamento. In tal caso, fintanto che il progredire dell'abbassamento e la
quantità del sedimento deposto si corrisponderanno approssimativamente,
il mare rimarrà poco profondo e favorevole alle forme viventi, e così
si avrà una ricca formazione fossilifera, la quale emergendo sarà
capace di resistere ad ogni degradazione.
Sono convinto che quasi tutte le nostre antiche formazioni, che nella massima
parte della loro grossezza sono ricche di fossili, si sono formate in questo
modo, nei periodi di abbassamento. Dacchè pubblicai le mie vedute su
questo argomento nel 1845, tenni dietro ai progressi della Geologia, e fui sorpreso
dal vedere come gli autori uno dopo l'altro, nel trattare di alcuna grande formazione,
siano arrivati alla conclusione che quegli ammassi si erano deposti durante
l'abbassamento. Aggiungerò che l'unica antica formazione terziaria delle
coste occidentali dell'America del Sud, che era abbastanza grande da resistere
alle degradazioni che dovette sopportare, ma che difficilmente si conserverà
fino ad una lontana epoca geologica, fu certamente depositata durante l'abbassamento
del suolo, ed acquistò così una ragguardevole grossezza.
Tutti i fatti geologici ci dimostrano chiaramente che la superficie terrestre,
in diversi punti, soggiacque a molte oscillazioni di livello che furono lente;
e pare si siano manifestate sopra grandi estensioni. Perciò le formazioni
che sono ricche di fossili e sufficientemente alte ed estese da poter resistere
alle degradazioni posteriori, possono avere avuto origine sovra vasti spazi
nei periodi di abbassamento: ma solamente dove la quantità di sedimento
bastava a conservare il mare poco profondo(21) e a ricoprire e preservare gli
avanzi organici, prima che avessero il tempo di decomporsi. D'altra parte, finchè
il letto del mare fosse rimasto stazionario, non avrebbero potuto accumularsi
dei depositi molto alti nei bassi fondi, che sono i più favorevoli alle
forme viventi. Ciò sarebbe stato anche meno possibile nei periodi alternativi
di sollevamento, o per esprimerci più accuratamente, quei depositi che
si sarebbero accumulati durante l'abbassamento, generalmente sarebbero stati
esposti all'azione distruttiva dei flutti di costa, nel periodo di sollevamento.
Queste osservazioni si applicano principalmente ai depositi littorali e sub-littorali.
Nel caso dei mari poco profondi e molto estesi, come in una gran parte dello
Arcipelago Malese, dove la profondità varia da 30 o 40 a 60 braccia,
può stabilirsi una formazione molto estesa in un periodo di sollevamento,
la quale non soffrirà eccessivamente per la denudazione durante la sua
lenta emersione. Ma l'altezza della formazione non sarebbe molto grande, perchè
avvenuta contemporaneamente al movimento elevatorio, anzi dovrebbe riuscire
minore della profondità del mare, che si è supposta piccola; i
depositi inoltre non sarebbero molto consolidati, non essendo coperti da formazioni
sovrapposte, per modo che correrebbero il rischio di essere escavate e scomposte
nelle posteriori oscillazioni di livello. Fu notato dall'Hopkins che se una
porzione di superficie, dopo un sollevamento, e prima di essere stata denudata,
si abbassasse, quantunque il deposito avvenuto nel movimento ascendente non
fosse molto forte, potrebbe essere protetto dalle nuove accumulazioni, e così
sarebbe preservato per un periodo estremamente lungo.
Hopkins, nello sviluppare questo argomento, stabilisce che sia molto raro il
caso della intera distruzione di un letto di sedimento che abbia una estensione
orizzontale considerevole. Ma tutti i geologi, eccettuati quei pochi che si
avvisano di vedere negli schisti metamorfici e nelle roccie plutoniche il nucleo
primitivo del globo in fusione, ammetteranno probabilmente che le roccie di
questa sorta debbano essere state ampiamente denudate. Perchè non è
possibile che tali roccie siano state solidificate e cristallizzate quando erano
scoperte; ma se l'azione metamorfica ha agito nelle profondità dell'Oceano,
non occorreva che l'antico mantello di protezione fosse molto alto. Ammettendo
che simili roccie, come il gneiss, il micaschisto, il granito, la diorite, ecc.,
fossero un tempo necessariamente ricoperte da altri terreni, come possiamo noi
spiegare le superfici estese e nude che queste roccie presentano in molte parti
del mondo, se non col supporre che furono completamente denudate di tutti gli
strati sovrapposti ad esse? Che queste superfici nude e vaste esistano, non
può rivocarsi in dubbio. La regione granitica di Parime, per esempio,
fu descritta da Humboldt, che le assegnava una superficie uguale almeno a diciannove
volte quella della Svizzera. Al sud del fiume delle Amazzoni, Boué ci
ha delineato un'area, composta di queste roccie, eguale in estensione alla Spagna,
Francia, Italia, parte della Germania colle isole della Gran Bretagna, insieme
riunite.
Questa regione non fu completamente esaminata, ma dalla concorde testimonianza
dei viaggiatori, quest'area granitica deve essere immensa. Così Von Eschwege
dà una sezione dettagliata di queste roccie partendo da Rio Janeiro,
per un tratto di 260 miglia geografiche sul continente in linea retta; ed io
stesso viaggiai per 150 miglia in un'altra direzione e non vidi che roccie granitiche.
Mi furono presentati molti saggi raccolti lungo la costa, fra un punto nelle
vicinanze di Rio Janeiro e la foce della Plata, per una distanza di 1100 miglia
geografiche, e tutti appartenevano a questa classe di roccie. Nell'interno del
continente, per tutta la sponda settentrionale delle Plata, io trovai, oltre
alcuni strati terziari moderni, soltanto una piccola striscia di roccie leggermente
trasformate le quali non formerebbero che una parte del primitivo rivestimento
della serie granitica. Rivolgendoci ora ad una regione bene esplorata, cioè
gli Stati Uniti e il Canadà, come si osserva nella magnifica mappa del
prof. H. D. Rogers, io ho calcolato le aree, tagliando la carta e pesandola,
ed ho riconosciuto che le roccie metamorfiche e granitiche (escluse le semi-metamorfiche,
superano molto, nella proporzione di 19 a 12,5, le misure prese sulle formazioni
paleozoiche più recenti. In molte regioni le superfici metamorfiche e
granitiche sarebbero accresciute grandemente, se potessero levarsi tutti gli
strati di sedimento, che giacciono sopra di esse irregolarmente e che sulla
linea di congiunzione non furono trasformati, restando così evidente
che essi non fecero parte del rivestimento originale, al disotto del quale le
roccie granitiche si cristallizzarono. Quindi è probabile che, in alcune
parti del mondo, intere formazioni, le quali rappresentano almeno i sotto-stadii
delle diverse epoche geologiche successive, siano state denudate completamente,
senza che ne sia rimasta alcuna traccia.
Nè possiamo omettere un'altra osservazione. Nei periodi di sollevamento,
la superficie delle terre e degli adiacenti bassi fondi del mare sarà
stata aumentata, e spesso si saranno aperte nuove stazioni agli esseri viventi;
circostanze che sono favorevoli, come si è detto precedentemente, per
la formazione di varietà e specie nuove; ma per la durata di questi periodi
si troveranno generalmente delle lacune corrispondenti, nelle memorie ed avanzi
geologici. Al contrario nei periodi di abbassamento le aree abitabili e il numero
degli abitanti subiranno una diminuzione (eccettuate le produzioni sulle coste
di un continente, che viene interrotto e cambiato in arcipelago), e per conseguenza
in questi periodi accadranno molte estinzioni e si avranno poche varietà
o specie nuove; ed è appunto durante questi abbassamenti che si sono
accumulati i nostri grandi depositi, ricchi di fossili.
DELL'ASSENZA DELLE VARIETÀ INTERMEDIE
IN OGNI FORMAZIONE
Per tutte le esposte considerazioni, non può dubitarsi
che le memorie geologiche, prese nel loro insieme, siano estremamente imperfette;
ma se noi concentriamo l'attenzione sopra ciascuna formazione, diverrà
assai più malagevole il comprendere per qual motivo non troviamo delle
varietà perfettamente graduali fra quelle specie affini che vissero al
suo principio o alla fine. Abbiamo alcuni casi di una medesima specie avente
delle varietà distinte, nelle parti superiori ed inferiori della stessa
formazione; così il Trautschold cita l'esempio delle ammoniti, e Hilgendorf
ha descritto l'esempio interessantissimo di dieci forme graduate della Planorbis
multiformis negli strati successivi di una formazione di acqua dolce della Svizzera.
Benchè ogni formazione richiedesse indubitamente un grande numero di
anni per la sua deposizione, si potrebbero addurre diverse ragioni per sostenere
che ciascuna non dovrebbe includere una serie graduale di forme, fra quelle
specie che vissero in quel luogo; ma non ho la pretesa di assegnare la loro
importanza relativa alle considerazioni che andrò esponendo.
Quantunque ogni formazione possa rappresentare un lunghissimo corso di anni,
forse questo periodo è breve in confronto di quello che è necessario
per trasformare una specie in un'altra. Egli è ben vero che due paleontologi,
le cui opinioni sono meritevoli di molta considerazione, Bronn e Woodward, hanno
stabilito che la durata media di ogni formazione è il doppio ed il triplo
della durata media di ogni forma specifica. Ma, a quanto parmi, sono insuperabili
le difficoltà che ci vietano di giungere ad una precisa conclusione intorno
a quest'oggetto. Quando noi vediamo che nel mezzo di una formazione si incontra
una specie, sarebbe troppo avventato il giudizio di chi ne concludesse che quella
specie non abbia esistito altrove in antecedenza. Così dicasi, quando
troviamo che una specie scomparve prima della deposizione degli strati più
elevati; sarebbe ugualmente arrischiato il supporre che quella specie fosse
completamente estinta. Noi abbiamo inoltre dimenticato quanto piccola è
la superficie dell'Europa, in confronto del resto del mondo; e che i parecchi
stadii delle singole formazioni non furono coordinati con perfetta accuratezza
in tutta l'Europa.
Rispetto agli animali marini, possiamo con sicurezza conchiudere essere avvenute
molte migrazioni, durante il cambiamento del clima ed in conseguenza altresì
di altri mutamenti; e quando noi in qualche formazione ci scontriamo per la
prima volta in una specie, è probabile soltanto che essa abbia immigrato
in quell'area. È notorio, per esempio, che varie specie si trovano talvolta
prima negli strati paleozoici dell'America del Nord che in quelli d'Europa;
perchè, infatti, sarà stato necessario un certo intervallo di
tempo per la loro migrazione dai mari dell'America a quelli dell'Europa. Nell'esaminare
gli ultimi depositi delle varie parti del mondo si è osservato dappertutto
che alcune poche specie esistenti sono comuni anche a quei depositi, ma che
nei mari immediatamente vicini rimasero estinte; o viceversa, che alcune sono
attualmente abbondanti nel mare vicino, ma sono rare o mancano affatto in questi
particolari depositi. Si ha una lezione eccellente, quando si riflette all'accertata
frequenza delle migrazioni degli abitatori dell'Europa nel periodo glaciale,
che forma una parte solamente di un intero periodo geologico; e parimenti quando
si pensa ai grandi cambiamenti di livello e ai disordinati e grandi cambiamenti
del clima, non che alla prodigiosa lunghezza del tempo, che si verificarono
nel medesimo periodo glaciale. Può nondimeno dubitarsi che in qualche
parte del mondo si siano accumulati dei depositi sedimentari, contenenti avanzi
fossili, nella stessa superficie, per tutta la durata di questo periodo. Non
è supponibile, per esempio, che il sedimento presso la foce del Mississippì
siasi depositato durante tutto il periodo glaciale, nei limiti di profondità
in cui gli animali marini possono prosperare; perchè noi sappiamo che
nelle altre parti dell'America avvennero in quest'epoca grandi mutazioni geografiche.
Quando questi strati, che furono depositati nelle acque basse alla foce del
Mississippì, in qualche fase del periodo glaciale, si saranno sollevati,
gli avanzi organici probabilmente saranno apparsi e poi scomparsi a diverse
altezze, secondo la migrazione delle specie e i cambiamenti geografici. E in
un'epoca avvenire molto remota, se un geologo studierà questi strati,
potrà sentirsi inclinato a concludere che la durata media della vita
dei fossili, colà sepolti, fu più breve di quella del periodo
glaciale, mentre al contrario sarebbe stata realmente più lunga, perchè
avrebbe cominciato prima dell'epoca glaciale e sarebbe arrivata fino all'epoca
attuale.
Quanto al verificarsi una gradazione perfetta fra due forme, nelle parti superiore
ed inferiore di una stessa formazione, il deposito avrebbe in tal caso dovuto
accumularsi per un lunghissimo periodo, onde fosse passato un tempo sufficiente
al lento effetto del processo di variazione; perciò il deposito dovrebbe
generalmente offrire una enorme grossezza: e le specie soggette a modificazione
avrebbero dovuto vivere sulla stessa superficie per tutto quel periodo. Ma noi
abbiamo notato che una formazione molto profonda, la quale sia fossilifera in
tutta la sua altezza, non può essersi accumulata che nel periodo di abbassamento,
e inoltre è necessario che la profondità del mare rimanga prossimamente
costante, perchè la stessa specie possa continuare a vivere nel medesimo
spazio; e quindi fa d'uopo che la quantità progressiva di abbassamento
sia compensata a un dipresso da un continuo deposito. Ma codesto modo di abbassamento
tenderà spesso a restringere l'area da cui il sedimento deriva, e per
conseguenza ne scemerà la quantità, mentre il moto dall'alto al
basso continua. Nel fatto è probabilmente assai raro il caso che si abbia
una quasi esatta compensazione fra la quantità del sedimento e il valore
dell'abbassamento progressivo; perchè fu osservato da più di un
paleontologo che i depositi molto forti sono ordinariamente privi di avanzi
organici, tranne ai loro limiti superiore ed inferiore.
È probabile che ogni formazione separata, come l'intero ammasso delle
formazioni di ogni paese, si siano accumulate in generale con successione intermittente.
Quando vediamo, come spesso avviene, una formazione composta di strati di diversa
composizione mineralogica, possiamo ragionevolmente sospettare che il procedimento
di deposizione fu molte volte interrotto; come generalmente dovranno attribuirsi
a cambiamenti geografici, che esigono un lungo tempo, la deviazione delle correnti
marine e la deposizione di un sedimento di natura diversa. Nè potrebbe
la più rigorosa ispezione di una formazione dare una idea del tempo impiegato
nella sua deposizione. Abbiamo molti esempi di strati che hanno soltanto pochi
piedi di grossezza, quali rappresentano delle formazioni, che altrove hanno
una potenza di ben mille piedi, e che per la loro accumulazione avranno richiesto
un periodo enorme; nondimeno chiunque avesse ignorato questo fatto non avrebbe
potuto immaginare il lunghissimo corso di tempo rappresentato dalla formazione
più sottile. Potrebbero citarsi molti casi di strati inferiori di una
formazione, che furono sollevati, indi denudati, sommersi, ed infine ricoperti
di nuovo dagli strati superiori della stessa formazione, fatti che dimostrano
quanto lunghi furono gli intervalli che occorsero per la sua accumulazione,
benchè spesso non se ne sia tenuto calcolo. In altri casi noi abbiamo
la prova più evidente nei grandi alberi fossili ancora eretti sul terreno
nel quale si svilupparono, dei lunghissimi periodi e dei cangiamenti di livello
che avvennero nel processo di deposizione e di cui non si sarebbe mai avuto
alcun sentore, quando quegli alberi non si fossero fortunatamente conservati.
Così Lyell e Dawson trovarono degli strati carboniferi di 1400 piedi
di altezza nella Nuova Scozia, comprendenti degli strati di radici antiche,
uno sopra l'altro, a non meno di sessantotto livelli diversi. Perciò,
quando una specie si trova al fondo, nel mezzo e nelle parti superiori di una
formazione, è probabile che essa non sia vissuta nel medesimo luogo per
l'intero periodo della deposizione, ma sia scomparsa e ricomparsa, forse molte
volte, durante il medesimo periodo geologico. Per modo che, se queste specie
fossero soggette a un certo complesso di modificazioni, in ogni periodo geologico,
una sezione degli strati non racchiuderebbe probabilmente tutte le insensibili
gradazioni intermedie, che secondo la mia teoria sarebbero esistite fra esse,
ma bensì dei cangiamenti di forma improvvisi, benchè forse leggeri.
Importa soprattutto ricordare che i naturalisti non hanno alcuna regola d'oro
per distinguere le specie dalle varietà; essi attribuiscono qualche piccola
variabilità ad ogni specie, ma quando incontrano qualche maggior quantità
di differenze fra due date forme, le riguardano come specie, a meno che non
giungano a collegarle insieme col mezzo di strette gradazioni intermedie. Ora
ciò può conseguirsi di rado in ciascuna sezione geologica, per
le ragioni ora enumerate. Supponendo infatti che B e C siano due specie e che
una terza specie A si trovi in uno strato più antico e sottoposto: anche
se A fosse direttamente intermedia fra B e C, sarebbe classificata semplicemente
come una terza specie distinta, se non potesse più rigorosamente connettersi
colle due forme contemporaneamente, ovvero con una sola di esse, per mezzo di
varietà intermedie. Nè dobbiamo dimenticare, come abbiamo spiegato
prima, che A può essere progenitore di B e C, e non sarà quindi
necessariamente intermedia fra esse, in ogni punto della sua struttura. Cosicchè
possiamo trovare la specie-madre e i suoi diversi discendenti modificati negli
strati superiore ed inferiore di una formazione, e finchè non otteniamo
molte gradazioni transitorie, non potremmo riconoscere la loro parentela e saremmo
per conseguenza obbligati a classificarli tutti quali specie distinte.
È cosa nota che molti paleontologi hanno fondato le loro specie sopra
differenze eccessivamente piccole, ed essi lo fanno tanto più facilmente
quando gli avanzi sono presi da diversi substrati della medesima formazione.
Alcuni esperti conchigliologi riducono attualmente al rango di varietà
molte delle specie caratterizzate dal D'Orbigny e da altri, e in queste discrepanze
troviamo una prova di quei cambiamenti che, secondo la mia teoria, debbono incontrarsi.
Anche gli ultimi depositi terziari contengono molte conchiglie, credute dalla
maggior parte dei naturalisti identiche alle specie esistenti; ma alcuni dotti
naturalisti, come Agassiz e Pictet, sostengono che tutte queste specie terziarie
sono specificamente distinte dalle attuali, benchè si ammetta che la
differenza è molto leggera. Cosicchè noi abbiamo la maggior prova
delle quasi generali piccole modificazioni di forma, che la teoria suppone;
quando non si voglia credere che questi naturalisti eminenti furono tratti in
errore dalla loro immaginazione: e che queste più recenti specie terziarie
realmente non presentano differenza alcuna dalle loro forme congeneri viventi,
o quando non si pensi che la grande maggioranza dei naturalisti ha torto, e
che le specie terziarie sono tutte perfettamente distinte dalle recenti. Se
noi prendiamo degli intervalli di tempo più estesi, vale a dire le epoche
scorse nell'accumulazione dei distinti e consecutivi strati di una stessa grande
formazione, noi troviamo che i fossili sepolti, benchè quasi universalmente
considerati come specificamente diversi, sono assai più strettamente
collegati fra loro che le specie trovate nelle formazioni più lontane;
per modo che noi abbiamo anche qui una prova incontrastabile dei cambiamenti,
benchè non sia una prova rigorosa delle variazioni, nel senso indicato
dalla mia teoria; ma io mi occuperò di nuovo di questo argomento nel
capo seguente. Abbiamo ancora un'altra considerazione importante: cioè
che vi ha ragione di supporre che in questi animali e in quelle piante che si
propagano rapidamente e non si muovono con facilità, le varietà
siano dapprima locali, come abbiamo già veduto, e che queste varietà
locali non si diffondano molto e non surroghino le loro forme-madri se non quando
sono state modificate e perfezionate in modo considerevole. Secondo questa opinione,
la probabilità di scoprire in una formazione di un dato luogo tutti gli
stadii primitivi di transizione fra due forme è piccola, perchè
si ammette che i cambiamenti successivi furono locali o limitati ad una sola
località. Quasi tutti gli animali marini hanno una grande estensione;
e noi abbiamo veduto che fra le piante, quelle che sono più disseminate
presentano più spesso delle varietà; per modo che i molluschi
ed altri animali marini che furono più ampiamente diffusi, fino ad eccedere
i limiti delle formazioni geologiche conosciute di Europa, furono molto probabilmente
quelli che diedero più spesso origine alle locali varietà ed infine
a nuove specie; ed anche questa circostanza ci renderà assai difficile
il tracciare gli stadii di transizione in ciascuna formazione geologica.
Una considerazione che conduce allo stesso risultato e su cui ha recentemente
insistito il Falconer, è ancora più importante. I periodi di tempo
cioè, durante i quali le specie subirono delle modificazioni, sebbene
appariscano lunghi, se sono espressi con un numero di anni, erano nondimeno
con ogni probabilità brevi, al confronto dei periodi, durante i quali
le medesime specie non soffersero alcun cambiamento.
Non dovrebbe dimenticarsi che, anche attualmente, benchè si abbiano campioni
perfetti da esaminare, non possiamo rannodare che ben di rado due forme, per
mezzo di varietà intermedie, e così dimostrarne la identità(22)
di specie; e ciò perchè non si raccolsero molti di questi oggetti
da paesi diversi; ora, nel caso delle specie fossili, ciò difficilmente
potrebbe farsi dai paleontologi. Ma forse noi potremo intendere viemmeglio la
poca probabilità in cui siamo di giungere a collegare le specie, per
mezzo di numerose forme gradatamente intermedie, quando ci domandiamo, se, per
esempio, i geologi di qualche epoca futura sarebbero capaci di provare che le
nostre razze differenti di buoi, di pecore, di cavalli e di cani siano derivate
da un solo ceppo o da vari stipiti originali; od anche se certe conchiglie marine
che abitano le coste dell'America settentrionale, le quali furono da alcuni
conchigliologi considerate come specie distinte dalle loro omonime di Europa,
e da altri soltanto come varietà, siano realmente varietà, ovvero
siano piuttosto distinte specificamente. Ciò non potrebbe farsi che da
qualche geologo futuro, il quale scoprisse molte gradazioni intermedie nello
stato di fossili; ma questo successo è improbabile al più alto
grado.
Si è ripetutamente sostenuto dagli scrittori che credono alla immutabilità
delle specie, che la geologia non ha fornito forme di transizione. Questa asserzione
è del tutto erronea, come vedremo nel prossimo capitolo. "Ogni specie
è un legame fra altre forme affini", disse il Lubbock. Noi lo vediamo
chiaramente, se prendiamo un genere che sia ricco di specie viventi od estinte,
e ne distruggiamo quattro quinti; perchè in tal caso niuno sarà
per dubitare che le rimanenti saranno più distinte fra loro. Se invece
furono le forme estreme di un genere che rimasero così eliminate, il
genere stesso nella pluralità dei casi resterà più distinto
dagli altri generi affini. Ciò che le ricerche geologiche non ci hanno
rivelato, è l'esistenza antica di gradazioni infinitamente numerose,
tanto strette quanto lo sono le nostre varietà, che abbiano collegato
fra loro tutte le specie conosciute. E che a tanto non sia giunta la geologia,
è appunto la più comune delle molte obbiezioni che si sono sollevate
contro la mia teoria.
Sarà quindi utile riassumere le precedenti considerazioni sulle cagioni
della imperfezione delle memorie geologiche, con un esempio ideale. L'Arcipelago
Malese è circa di un'estensione eguale a quella parte d'Europa che si
estende dal Capo Nord al Mediterraneo e dall'Inghilterra alla Russia; e perciò
corrisponde alla superficie di tutte le formazioni geologiche che furono esplorate
con qualche esattezza, eccettuate quelle degli Stati Uniti d'America. Convengo
pienamente col Godwin-Austen che l'Arcipelago Malese, nelle sue presenti condizioni,
colle sue isole grandi e numerose separate da mari estesi e poco profondi, probabilmente
rappresenta l'antico stato dell'Europa, all'epoca in cui la maggior parte delle
nostre formazioni si andavano accumulando. L'arcipelago Malese è una
delle regioni del mondo intero più ricche di esseri organizzati; pure,
se si fossero riunite tutte le specie che sono colà vissute, quanto imperfettamente
non sarebbe in esse raffigurata la storia naturale del mondo!
Noi abbiamo ogni fondamento di ritenere che le produzioni terrestri dell'Arcipelago
non si conserverebbero che in modo assai incompleto nelle formazioni che per
ipotesi colà si accumulassero. È probabile che non rimarrebbero
nel sedimento molti fra gli animali che abitano esclusivamente il littorale,
e neppure molti di quelli che vivono sulle roccie sotto-marine denudate; e quelli
che sono ricoperti di ghiaia o di sabbia, non durerebbero fino ad un'epoca lontana.
Laddove il sedimento non si accumula sul fondo del mare, oppure non si ammassa
in quantità bastante a proteggere i corpi organici dalla decomposizione,
non si conserverebbe avanzo di sorta.
Secondo la regola comune, le formazioni ricche di fossili non si formerebbero
nell'Arcipelago di una conveniente altezza per rimanere inalterate sino ad un'epoca
tanto lontana nell'avvenire, quanto lo sono le formazioni secondarie nel passato,
se non durante i periodi di abbassamento. Questi periodi di abbassamento sarebbero
separati l'uno dall'altro da enormi intervalli, per la durata dei quali l'area
della regione o sarebbe stazionaria, o si solleverebbe. Quando avvenisse il
sollevamento, le formazioni fossilifere delle coste più ripide sarebbero
distrutte, quasi appena depositate, dall'incessante azione dei flutti di costa,
come osserviamo al presente sulle coste dell'America del Sud; ed anche nei mari
estesi e bassi dell'Arcipelago, nei periodi di elevazione, gli strati sedimentari
non potrebbero depositarsi ad una grande altezza, nè potrebbero essere
ricoperti e protetti dai depositi posteriori, tanto da avere qualche probabilità
di conservarsi fino ad un'epoca estremamente lontana. Nei periodi di abbassamento
si avrebbe forse una grande estinzione di forme viventi; mentre in quelli di
sollevamento, molte sarebbero le variazioni, ma gli avanzi fossili e i documenti
geologici sarebbero per l'avvenire assai imperfetti.
Potrebbe dubitarsi se la durata di qualche grande periodo di abbassamento, sopra
tutto l'Arcipelago o sopra una parte di esso, insieme alla contemporanea deposizione
di sedimento, sarebbe per eccedere la durata media delle stesse forme specifiche;
ora queste contingenze sono indispensabili per la conservazione di tutte le
gradazioni transitorie fra due o più specie. Se queste gradazioni non
fossero tutte preservate completamente, le varietà transitorie non sarebbero
considerate che come altrettante specie distinte. È anche supponibile
che ogni grande periodo di abbassamento sarebbe interrotto dalle oscillazioni
di livello, e che anche i piccoli cambiamenti del clima interverrebbero in questi
lunghissimi periodi; in questi casi gli abitanti dell'Arcipelago emigrerebbero
e non resterebbe in ciascuna formazione alcuna memoria rigorosamente progressiva
delle loro modificazioni.
Moltissime specie marine viventi nell'Arcipelago si estendono attualmente per
migliaia di miglia oltre i suoi confini; e l'analogia facilmente ci persuade
che queste specie tanto diffuse dovrebbero produrre più di sovente delle
nuove varietà; queste varietà sarebbero in principio locali o
ristrette ad un solo luogo, ma possedendo un deciso vantaggio ed essendo ulteriormente
modificate e perfezionate, si estenderebbero lentamente e soppianterebbero le
loro forme-madri. Quando queste varietà tornassero alla loro antica dimora,
siccome diversificherebbero dallo stato primitivo quasi uniformemente, benchè
forse in un grado molto leggero, e siccome si troverebbero involte in altri
substrati della stessa formazione, così sarebbero riguardate quali specie
nuove e distinte, dietro i principii seguiti da molti paleontologi.
Se in queste osservazioni abbiamo qualche fondo di verità, non dobbiamo
aspettarci di trovare nelle nostre formazioni geologiche un numero infinito
di queste forme gradatamente transitorie, le quali, secondo la mia teoria, hanno
collegato fra loro le specie attuali colle passate di uno stesso gruppo, in
una lunga catena di forme viventi con diverse ramificazioni. Invece noi non
dobbiamo trovare che pochi esseri intermedi, alcuni più distanti, altri
più prossimi fra loro, come appunto avviene; e queste formazioni intermedie,
per quanto siano vicine, quando si incontrino in strati diversi di una formazione,
saranno classificate tra le specie distinte da molti paleontologi. Tuttavia
io confesso che non avrei mai sospettato che anche la meglio conservata sezione
geologica ci offra sì scarse notizie delle mutazioni degli esseri estinti,
se la difficoltà che si oppone alla scoperta delle innumerevoli forme
transitorie, fra le specie che esistevano al principio e alla fine di ogni formazione,
non si fosse con tanta insistenza sostenuta contro la mia teoria.
SULLA IMPROVVISA COMPARSA DI GRUPPI INTERI DI SPECIE AFFINI
Il modo subitaneo con cui dei gruppi interi di specie inopinatamente
si trovano in certe formazioni, fu riguardato da parecchi paleontologi, per
esempio Agassiz, Pictet e Sedgwick, come una obbiezione ponderosa contro l'ipotesi
della trasformazione delle specie. Se molte specie, appartenenti agli stessi
generi o famiglie, fossero realmente sorte alla vita improvvisamente, il fatto
sarebbe fatale alla teoria delle discendenza lentamente modificata per mezzo
dell'elezione naturale. Perchè lo sviluppo di un gruppo di forme, che
tutte derivarono da qualche antico progenitore, deve essersi compiuto con un
processo estremamente lento; e i progenitori debbono avere vissuto per lunghe
età prima dei loro discendenti modificati. Ma noi continuamente esageriamo
la perfezione delle nostre memorie geologiche e falsamente ne deduciamo, dal
non trovarsi certi generi o famiglie sotto certe formazioni, che essi non esistevano
prima di quegli strati. In tutti i casi le prove positive tratte dalla paleontologia
possono ritenersi fondate; ma al contrario le prove negative sono senza valore,
come l'esperienza lo ha spesso dimostrato. Noi continuamente dimentichiamo quanto
sia grande il mondo in confronto di quella superficie sulla quale le nostre
formazioni geologiche furono accuratamente esaminate; dimentichiamo che possono
esservi stati altrove, per lungo tempo, dei gruppi di specie ed essersi anche
lentamente moltiplicati, prima che invadessero gli antichi arcipelaghi d'Europa
e degli Stati Uniti. Noi non teniamo inoltre in dovuto conto gli enormi intervalli
di tempo che passarono fra le nostre consecutive formazioni, che in molti casi
furono più lunghi del tempo necessario per l'accumulazione di ogni formazione.
Questi intervalli avranno permesso alle specie di moltiplicarsi, partendo da
una sola o da poche forme-madri; nelle formazioni posteriori questi gruppi di
specie appariranno, come se fossero stati creati repentinamente.
Posso richiamare una osservazione fatta da principio, cioè, che debba
richiedersi una lunga successione di età, per adattare un organismo ad
alcune nuove e particolari abitudini di vita, per esempio al volo, per cui le
forme transitorie resteranno spesso limitate per molto tempo ad una data regione;
ma che quando questo adattamento sia stato raggiunto, e alcune poche specie
abbiano così acquistato un grande vantaggio sugli altri organismi, non
sarebbe più necessario che un tempo relativamente breve per la produzione
di molte forme divergenti, che sarebbero acconcie a diffondersi con rapidità
ed estesamente sulla superficie del mondo. Il prof. Pictet, nella sua eccellente
rivista di quest'opera, nel commentare quanto si è detto delle forme
transitorie primitive e prendendo gli uccelli per un esempio, non può
capacitarsi come le successive modificazioni delle estremità anteriori
di un supposto prototipo abbiamo potuto riuscire di qualche utilità.
Ma se poniamo mente ai pinguini dell'Oceano del Sud, non vediamo forse in questi
uccelli le estremità anteriori nel preciso stato intermedio, nè
di vere braccia, nè di vere ali? Nondimeno questi animali mantengono
vittoriosamente il loro posto nella battaglia per la vita; perchè esistono
in grandissimo numero ed in molte razze. Non voglio supporre che noi abbiamo
in essi il grado transitorio effettivo pel quale sono passate le ali degli uccelli;
ma quale speciale difficoltà si trova nel credere che abbia potuto giovare
ai discendenti modificati del pinguino il divenire atti a battere colle ali
la superficie del mare come l'anitra stupida, ed infine giungere a staccarsi
da quella superficie, sostenendosi a volo per l'aria?
Esporrò qui pochi esempi, che serviranno a spiegare le cose dette precedentemente,
e a dimostrare quanto siamo esposti ad errare, nel supporre che interi gruppi
di specie siano stati improvvisamente prodotti. Anche nel breve lasso di tempo
trascorso tra la prima e la seconda edizione della grande opera di Pictet sulla
Paleontologia, pubblicate nel 1844-46 e nel 1853-57: le conclusioni prese intorno
alla prima apparizione ed alla scomparsa di parecchi gruppi di animali furono
grandemente modificate; e siamo persuasi che una terza edizione recherà
ancora nuovi cambiamenti. Io richiamerò questo fatto bene conosciuto,
che nei trattati di geologia pubblicati non sono molti anni, tutta la classe
dei mammiferi si riguardava come apparsa improvvisamente, in sul principio della
serie terziaria; oggi invece una delle più ricche accumulazioni conosciute
di mammiferi fossili, per la sua potenza, appartiene alla metà dell'epoca
secondaria; ed un vero mammifero fu scoperto nella nuova arenaria rossa, quasi
nei primi strati di questa grande formazione. Il Cuvier soleva sostenere non
si trovasse alcuna scimmia negli strati terziari; ma ora le specie estinte delle
scimmie furono scoperte nell'India, nell'America del Sud e nell'Europa, anche
spettanti al periodo eocenico. Senza il raro accidente della conservazione delle
orme dei piedi nella nuova arenaria rossa degli Stati Uniti, chi si sarebbe
azzardato a supporre che, all'infuori dei rettili, esistessero non meno di trenta
razze di uccelli, alcuni dei quali giganteschi, durante questo periodo? Eppure
in questi strati non si rinvenne un solo frammento di osso. Fino a questi ultimi
tempi i paleontologi hanno sostenuto che l'intera classe degli uccelli sia apparsa
d'improvviso nei primordi del periodo eocenico; ma sappiamo, dietro l'autorità
del prof. Owen, che un uccello certamente visse contemporaneamente alla deposizione
dell'arenaria verde superiore; ed in tempo ancora più recente fu scoperto
negli schisti oolitici di Solenhofen quel singolare uccello che è l'Archcæopteryz,
con coda lunga a foggia dei sauri, portante un paio di penne ad ogni articolo,
e con due unghie libere alle ali. Nessuna scoperta dimostra più efficacemente
la nostra ignoranza intorno agli estinti abitatori della terra.
Ma posso citare un altro fatto, che mi ha colpito assai, perchè accaduto
sotto i miei occhi. In una mia Memoria sui Cirripedi sessili fossili io avevo
stabilito che, se i cirripedi sessili esistettero fino dall'epoca secondaria,
essi dovevano essersi conservati e si sarebbero scoperti, ed io lo argomentavo
dal numero grande delle specie viventi e delle estinte, appartenenti all'epoca
terziaria; dalla straordinaria abbondanza degli individui di molte specie sul
mondo intero, partendo dalle regioni artiche fino all'equatore, in varie zone
fra i limiti del flusso e alla profondità di 50 braccia di mare; dalla
perfetta incolumità degli avanzi che furono trovati nei più antichi
letti terziari, e finalmente dalla facilità con cui anche un frammento
di valva può riconoscersi. Siccome poi niuna di queste specie era stata
scoperta negli strati dell'epoca secondaria, io ne traeva la conclusione che
questo grande gruppo si fosse sviluppato subitaneamente, al principio della
serie terziaria. Questo risultato non mi soddisfaceva, perchè così
si aveva un esempio di più della improvvisa comparsa di un grande gruppo
di specie. Ma la mia opera era appena pubblicata che un abile paleontologo,
il Bosquet, mi spediva il disegno di un campione perfetto ed incontestabile
di cirripede sessile, che egli stesso avea estratto dal terreno cretaceo del
Belgio. Il caso non poteva essere più stringente, perchè questo
cirripede sessile era un Chthamalus, genere assai comune, molto sparso e grande,
del quale però non si era trovato alcun resto nemmeno negli strati terziari.
In epoca ancora più recente fu scoperto dal Woodward nella creta superiore
un Pyrgoma, membro di una diversa sottofamiglia dei cirripedi sessili, per cui
ora abbiamo prove sufficienti per sostenere l'esistenza di questo gruppo di
animali durante l'epoca secondaria.
I paleontologi insistono più frequentemente sul caso dei pesci teleostei,
che si trovano, al dire dell'Agassiz, negli strati inferiori del periodo cretaceo,
per confermare l'improvvisa apparizione di un intero gruppo di specie. Questo
gruppo include la maggior parte delle specie esistenti. Ultimamente il prof.
Pictet fece risalire la loro esistenza ad un substrato ancora più lontano;
ed alcuni paleontologi ritengono che certi pesci molto più antichi, le
affinità dei quali sono tuttora conosciute imperfettamente, siano realmente
teleostei. Ove si ammetta, però, che l'intero gruppo apparisca, come
crede l'Agassiz, al principio della formazione cretacea, il fatto sarebbe al
certo sommamente rimarchevole; ma io non saprei vedere in ciò una difficoltà
insuperabile per la mia teoria, almeno finchè non si potesse dimostrare
che le specie di questo gruppo apparvero simultaneamente e d'improvviso, per
tutto il mondo nel medesimo periodo. Riesce quasi superfluo il notare che non
conosciamo alcun pesce fossile al sud dell'equatore; e, scorrendo la Paleontologia
di Pictet, si vedrà che ben poche specie furono scoperte nelle diverse
formazioni dell'Europa. Alcune famiglie di pesci, oggidì, hanno una estensione
molto ristretta; e può darsi che anche i teleostei fossero anticamente
così limitati, e dopo di essersi largamente sviluppati in qualche mare,
si siano in seguito diffusi rapidamente. Inoltre noi abbiamo qualche ragione
di supporre che i mari del mondo non fossero sempre così liberamente
aperti dal sud al nord, come lo sono al presente. Anche oggi, se l'Arcipelago
Malese fosse convertito in continente, le parti tropicali dell'Oceano Indiano
formerebbero un bacino largo e perfettamente chiuso, nel quale potrebbe moltiplicarsi
ogni grande gruppo di animali marini; e quivi rimarrebbero confinati, finchè
alcuna di quelle specie si adattasse ad un clima più freddo e potesse
girare i capi meridionali d'Africa o d'Australia e così recarsi in altri
mari distanti.
Per questi argomenti e per altri analoghi, ma principalmente per la nostra ignoranza
sulla geologia delle altre contrade fuori dei confini dell'Europa e degli Stati
Uniti; e per la rivoluzione che si fece, dopo le scoperte degli ultimi dodici
anni, su molti punti delle nostre idee paleontologiche, mi sembra che siavi
in noi troppa presunzione di sentenziare sulla successione degli esseri organizzati
del mondo intero; come sarebbe avventato quel naturalista che, dopo di essere
sceso a terra per cinque minuti in qualche punto sterile dell'Australia, volesse
discutere del numero e della distribuzione delle produzioni di quella regione.
SULLA IMPROVVISA APPARIZIONE DI GRUPPI DI SPECIE
AFFINI NEGLI INFIMI STRATI FOSSILIFERI CHE SI CONOSCONO
Ora esaminiamo un'altra difficoltà analoga, ma molto
più grave. Io alludo al modo con cui molte specie di uno stesso gruppo
improvvisamente s'incontrano nelle inferiori roccie fossilifere conosciute.
Quasi tutti gli argomenti che mi hanno convinto della discendenza delle specie
viventi del medesimo gruppo da un comune progenitore, si estendono quasi col
medesimo successo alle prime specie conosciute. Per esempio, non è a
dubitarsi che tutti i trilobiti siluriani siano derivati da qualche crostaceo,
che deve aver vissuto molto tempo prima dell'epoca siluriana, e che probabilmente
differiva assai dagli altri crostacei viventi. Alcuni fra i più antichi
animali siluriani, come il Nautilus, la Lingula, ecc., non sono gran fatto diversi
dalle specie attuali; e, secondo la mia teoria, non posso supporre che queste
specie antiche fossero i progenitori di tutte le specie degli ordini a cui appartengono,
perchè tali specie non presentano caratteri in certo modo intermedi ai
medesimi.
Per conseguenza, se la mia teoria è vera, è incontestabile che,
prima che fosse depositato lo strato siluriano inferiore, passarono lunghi periodi,
uguali e forse anche più lunghi dell'intervallo intero che separa l'epoca
siluriana dall'epoca presente; e che in questi estesi periodi di tempo, che
ci sono interamente ignoti, il mondo formicolava di creature viventi. E qui
incontriamo una obbiezione molto seria; imperocchè sia cosa dubbia, che
la terra abbia esistito un tempo abbastanza lungo in tale stato da essere abitabile
pegli organismi. W. Thompson ha conchiuso che la solidificazione della crosta
terrestre difficilmente è avvenuta avanti meno che 20 o più che
400 milioni di anni, ma probabilmente avanti non meno che 90 o non più
che 200 milioni di anni. Questi limiti assai vasti dimostrano quanto siano incerte
le indicazioni del tempo; e probabilmente saranno da introdursi nel problema
altri elementi. Croll calcola il tempo trascorso dopo il periodo cambriano a
circa 60 milioni di anni; ma a giudicare dalla piccola somma di cambiamenti
avvenuta nel mondo organico dopo il principio dell'epoca glaciale, questo tempo
sembra troppo breve per aver prodotto tutti quei molti ed importanti cambiamenti
degli organismi, che di certo sono successi dal periodo cambriano in poi; nè
possono credersi sufficienti i 140 milioni d'anni preceduti, per lo sviluppo
delle svariate forme di vita che già esistevano durante lo stesso periodo
cambriano. Sembra però probabile, come ha fatto osservar W. Thompson,
che la terra nei primi tempi sia stata soggetta a cambiamenti delle fisiche
condizioni più rapide e più violente che non al presente; al certo
tali cambiamenti avrebbero prodotto dei cambiamenti corrispondentemente rapidi
negli esseri organici che allora abitavano il nostro globo.
Intorno alla questione che non troviamo memorie di questi vasti periodi primordiali,
non saprei dare una risposta soddisfacente. Diversi dei più eminenti
geologi, alla testa dei quali si trova R. Murchison, erano convinti, fino a
questi ultimi tempi, che i resti organici dello strato siluriano più
basso costituissero l'alba della vita, sul nostro pianeta. Altri dotti assai
competenti, come Lyell ed E. Forbes il giovane, combattono questa opinione.
Ma non dobbiamo dimenticare che una piccola porzione soltanto del globo è
stata esplorata convenientemente. Di recente il Barrande aggiunse al sistema
siluriano un altro strato anche più depresso, nel quale abbondano specie
nuove e particolari; ed ora l'Hicks ha trovato a profondità ancora maggiore,
nella formazione cambriana inferiore del Wales meridionale, degli strati ricchi
di trilobiti, i quali racchiudono diversi molluschi ed anellidi. La presenza
di noduli fosforosi e di materie bituminose in alcuni degli infimi strati azoici
accenna probabilmente ad una vita in questi periodi, ed è generalmente
ammessa l'esistenza dell'Eozoon nella formazione lorenzina del Canadà.
Vi hanno nel Canadà tre grandi serie di strati sotto al sistema siluriano,
e l'Eozoon fu trovato nell'infimo di essi. W. Logan asserisce essere possibile
"che la complessiva loro potenza superi quella di tutte le roccie successive,
dalla base della serie paleozoica fino al presente. Noi siamo così trasportati
in un periodo così remoto, che al confronto l'apparsa della così
detta fauna primordiale (del Barrande) può considerarsi come un avvenimento
recente". L'Eozoon appartiene alle infime classi del regno animale; ma
pel posto che occupa è bene organizzato; esso viveva in gran numero,
e, al dire del Dawson, si nutriva di altri piccolissimi organismi, che dovevano
esistere numerosi. Le precedenti parole, ch'io scrissi nel 1859 intorno all'esistenza
degli esseri viventi in epoca molto anteriore al sistema cambriano e che concordano
con quelle che di poi espresse il Logan, si sono pienamente confermate. Ma non
ostante questi molteplici fatti, è molto grave la difficoltà di
spiegare la mancanza di vasti ammassi di strati fossiliferi, i quali, secondo
la mia teoria, avrebbero certamente dovuto accumularsi in qualche luogo prima
dell'epoca siluriana. Se questi antichi strati furono pienamente escavati per
denudazione, o distrutti dalla azione del metamorfismo, noi non possiamo trovare
che pochi avanzi delle formazioni immediatamente posteriori, e queste in generale
dovranno trovarsi in una condizione di metamorfismo. Ma le descrizioni che ora
noi possediamo dei depositi siluriani, negl'immensi territori di Russia e dell'America
settentrionale, non vengono in appoggio dell'idea che quanto più antica
è una formazione, essa debba avere subìto sempre maggiore denudamento
e metamorfismo.
Questo caso può presentemente rimanere inesplicabile; e continuerà
a formare un valido argomento da opporre contro i principii che abbiamo sviluppati.
Pure per dimostrare che in seguito potrà ricevere qualche schiarimento,
io farò una ipotesi. Dalla natura degli avanzi organici che non sembra
abbiano abitato mari profondi, nelle varie formazioni dell'Europa e degli Stati
Uniti, e dalla quantità di sedimento, di una potenza di parecchie miglia,
di cui sono composte le formazioni, possiamo dedurre che dal principio alla
fine del periodo dovevano trovarsi, in prossimità dei continenti attuali
dell'Europa e dell'America settentrionale, delle grandi isole o tratti di continente,
dai quali provenne quel sedimento. Ma noi non conosciamo quale fosse lo stato
delle cose negl'intervalli trascorsi fra le formazioni successive; nè
sappiamo se l'Europa e gli Stati Unità esistessero, durante questi intervalli,
come terre emerse o come una superficie sotto-marina presso il continente, sulla
quale non si formava alcun sedimento, o come il letto di un mare aperto e profondo.
Se noi consideriamo gli oceani esistenti, che hanno una superficie tripla di
quella del terreno emerso, noi li vediamo sparsi di molte isole; ma nessuna
isola oceanica non ha finora somministrato qualche resto di una formazione paleozoica
o secondaria. Quindi noi possiamo forse desumere che nei periodi paleozoico
e secondario non esistevano continenti nè isole continentali laddove
ora si estendono i nostri oceani. Se vi fossero stati continenti od isole, le
formazioni paleozoiche e secondarie si sarebbero probabilmente accumulate col
sedimento prodotto dal loro consumo e dalle loro convulsioni e sarebbero stati
sollevati, almeno in parte, dalle oscillazioni di livello che certamente saranno
avvenute in questi periodi enormemente lunghi. Se adunque noi possiamo fare
qualche induzione da questi argomenti, dobbiamo inferirne che dove oggi si estendono
i mari, vi erano anche dai periodi più remoti di cui si abbia memoria;
e d'altra parte che grandi tratti di terre esistevano, dove oggi abbiamo i continenti,
che erano certamente soggetti a grandi oscillazioni di livello, fino dal primo
periodo siluriano. La mappa colorata unita al mio volume sugli scogli di corallo
mi induce a ritenere che i grandi oceani sono, anche presentemente, superfici
di abbassamento, i grandi arcipelaghi aree di oscillazione di livello, e i continenti
superfici di sollevamento. Ma abbiamo noi ragione di ammettere che le cose siano
così rimaste, fino dal principio del mondo? Sembra infatti che i nostri
continenti siano stati formati per la preponderanza della forza di sollevamento
nelle molte oscillazioni del suolo; ma non potrebbero nel corso dei tempi essersi
cambiate le aree in cui questa forza predominava? Nel periodo che precede ad
una distanza immensa ed incommensurabile l'epoca siluriana, possono i continenti
avere occupato, il posto dei nostri mari attuali; e dove oggi stanno i nostri
continenti, potevano allora trovarsi dei mari vasti ed aperti. Nè sapremmo
come giustificare l'opinione che, per esempio, noi fossimo per trovare delle
formazioni più vetuste degli strati siluriani nel letto dell'Oceano Pacifico,
quando questo fosse sollevato e cambiato in continente, supponendo che quelle
formazioni fossero state depositate in epoche più remote; perchè
si sarebbe potuto dare che gli strati, i quali si fossero abbassati di alcune
miglia verso il centro del globo e che fossero stati premuti da un peso enorme
di acque sovrincombenti, avessero soggiaciuto ad un'azione metamorfica più
intensa degli strati che rimasero sempre più vicini alla superficie.
Le superfici immense di roccie metamorfiche nude in certe parti del mondo, per
esempio, nell'America meridionale, le quali debbono essere state riscaldate
sotto una pressione enorme, mi parve sempre che esigessero una speciale spiegazione;
e possiamo credere che forse in queste grandi superfici noi vediamo le molte
formazioni anteriori all'epoca siluriana, in una condizione completamente metamorfica
ed anche denudate affatto.
Le difficoltà che abbiamo discusso sono certamente molto gravi, e sono:
il trovarsi nelle nostre formazioni geologiche molti legami fra le specie che
ora esistono e quelle che vissero in altre epoche, benchè non incontriamo
molte forme transitorie che le rannodino strettamente fra loro; il modo subitaneo
con cui alcuni interi gruppi di specie apparvero la prima volta nelle nostre
formazioni europee; la quasi completa assenza, da quanto fu scoperto fino ad
oggi, delle formazioni fossilifere sotto gli strati siluriani. Noi vediamo che
per questi fatti i più eminenti paleontologi, come Cuvier, Agassiz, Barrande,
Pictet, Falconer, E. Forbes, ecc., e tutti i nostri geologi più insigni,
come Lyell, Murchison, Sedgwick, ecc., hanno unanimemente, e spesso con veemenza,
sostenuta la immutabilità delle specie. Ma io ho dei motivi di pensare
che una grande autorità, Carlo Lyell, dopo nuove e mature riflessioni
conservi dei gravi dubbi su questo soggetto. Io riconosco quanto rischio vi
sia nel dissentire da queste autorità, alle quali, insieme con altre,
noi dobbiamo tutta la nostra scienza. Coloro che considerano le memorie naturali
geologiche come perfette, in certa guisa, e che non danno molto peso ai fatti
ed argomenti d'altra sorta dati in questo volume, certamente respingeranno a
prima vista questa mia teoria. Per mia parte, seguendo una metafora di Lyell,
stimo le memorie geologiche naturali come una storia del mondo conservata imperfettamente,
e scritta in un dialetto variabile; di questa storia noi possediamo il solo
ultimo volume, che si riferisce soltanto a due o tre contrade. Di codesto volume
non ci è rimasto che qualche breve capitolo qua e là; e di ogni
pagina non abbiamo che poche linee sparse. Ogni parola del linguaggio lentamente
- variante, con cui questa storia è scritta, essendo più o meno
diversa nei capitoli successivi, può rappresentare i cambiamenti, apparentemente
improvvisi, delle forme della vita sepolte nelle nostre formazioni consecutive
e interamente separate. Con questi concetti le difficoltà che abbiamo
esaminate sono diminuite grandemente, od anche eliminate del tutto.
CAPO XI
SULLA SUCCESSIONE GEOLOGICA
DEGLI ESSERI ORGANIZZATI
Della comparsa lenta e successiva di nuove specie - Della diversa rapidità dei loro cambiamenti - Le specie che rimangono estinte non ricompariscono - I gruppi di specie seguono, nella loro apparizione o nella loro scomparsa, le medesime leggi generali delle singole specie - Sulla Estinzione - Sui cambiamenti simultanei delle forme viventi per tutto il mondo - Sulle affinità delle specie estinte fra loro e colle specie viventi - Sullo stato di sviluppo delle forme antiche - Sulla successione dei medesimi tipi nelle stesse superfici - Sommario di questo capo e del precedente.
Ora ci sia permesso esaminare se i vari fatti e le regole relative
alla successione geologica degli esseri organizzati, siano meglio in accordo
coll'ipotesi comune della immutabilità delle specie, o con quella delle
loro modificazioni lente e graduali per mezzo della discendenza e della elezione
naturale.
Le nuove specie sono comparse molto lentamente, una dopo l'altra, tanto sulla
terra quanto nelle acque. Il Lyell ha dimostrato che non è possibile
negare questo fatto, nel caso di parecchi strati terziari: ed ogni anno tende
a riempiere le lacune fra le medesime e a rendere più graduale la proporzione
fra le forme perdute e le nuove. In alcuni degli strati più recenti,
quantunque appartengano ad una remota antichità, se si misuri la loro
data cogli anni, una specie o due solamente sono forme estinte, e così
una o due sole forme sono nuove, perchè apparvero colà per la
prima volta, sia in quella speciale località, sia sulla superficie della
terra, per quanto possiamo giudicarne. Le formazioni secondarie sono più
interrotte; ma, come notava il Bronn, nè l'apparizione nè la scomparsa
delle loro molte specie ora estinte furono simultanee in ogni formazione separata.
Le specie dei diversi generi e delle varie classi non si modificarono colla
stessa rapidità e al medesimo grado. Negli strati terziari più
antichi poche conchiglie analoghe alle attuali possono ancora trovarsi nel mezzo
di molte forme estinte. Il Falconer diede un esempio stringente di questo fatto,
allorchè scoperse un coccodrillo uguale ad una specie oggi esistente,
unito a molti strani mammiferi e rettili perduti, nei depositi sub-himalayani.
La Lingula siluriana differisce poco dalle specie viventi di questo genere;
al contrario la maggior parte degli altri molluschi siluriani e tutti i crostacei
di quell'epoca si cambiarono grandemente. Le produzioni terrestri sembrano mutabili
più rapidamente di quelle del mare; di ciò si ebbe recentemente
una prova luminosa in Isvizzera. Vi sono parecchie ragioni per ritenere che
gli organismi, che si considerano come elevati nella scala naturale, variano
più sollecitamente di quelli che sono più bassi: benchè
questa regola soffra delle eccezioni. Come fu osservato dal Pictet, il complesso
degli organici cambiamenti non corrisponde esattamente colla successione delle
nostre formazioni geologiche; cosicchè, fra due formazioni consecutive
qualsiasi, le forme di vita sono di rado cambiate rigorosamente al medesimo
grado. Tuttavia, se noi paragoniamo fra loro le formazioni che hanno i rapporti
più stretti, si troverà che tutte le specie furono soggette ad
alcune modificazioni. Quando una specie è scomparsa una volta dalla superficie
della terra, non abbiamo alcun fondamento per credere che la stessa identica
forma possa mai ripetersi. L'eccezione apparente più forte contro questa
ultima regola consiste nelle così dette colonie del Barrande, le quali
invadono per un dato periodo una formazione più antica, e quindi permettono
alla fauna preesistente di ricomparire; ma la spiegazione di Lyell mi sembra
soddisfacente, vale a dire, che questo è il caso di una temporanea migrazione
da una distinta provincia geografica in un'altra.
Ognuno di questi fatti concorda perfettamente colla mia teoria. Io, infatti,
non credo in una legge fissa di sviluppo, che obblighi tutti gli abitanti di
una regione a trasformarsi subitaneamente e simultaneamente ad un grado uniforme.
Il processo di modificazione deve essere sommamente lento. La variabilità
d'ogni specie è indipendente affatto da quella di tutte le altre. Molte
complesse circostanze determinano se questa variabilità debba produrre
delle modificazioni vantaggiose per l'elezione naturale e se queste variazioni
debbano accumularsi in maggiore o minore quantità, cagionando così
un complesso più o meno grande di modificazioni nelle specie varianti;
infatti queste modificazioni dipendono dalla variabilità che deve essere
benefica, dalla facoltà di incrociamento, dalla prontezza nel propagarsi,
dalle condizioni fisiche lentamente varianti della regione e più particolarmente
dalla natura degli altri abitanti con cui le specie variabili entrano in lotta.
Non deve quindi recare sorpresa che una specie conservi la stessa identica forma
più a lungo di altre; o nel caso che si trasformi, i cambiamenti siano
minori. Noi osserviamo lo stesso fatto nella distribuzione geografica; per esempio,
nei molluschi terrestri e negli insetti coleotteri di Madera che divennero tanto
differenti dai loro più affini del continente d'Europa, mentre i molluschi
marini e gli uccelli non furono alterati. Noi possiamo forse comprendere la
rapidità apparentemente maggiore con cui si modificano le produzioni
terrestri e quelle che hanno un'organizzazione più perfetta, in confronto
delle produzioni marine e delle produzioni inferiori, se riflettiamo alle relazioni
più complesse degli esseri più elevati colle loro condizioni organiche
ed inorganiche di vita, come abbiamo detto in un capitolo precedente. Quando
molti degli abitanti di una regione si sono modificati e perfezionati, è
facile che, in seguito al principio di concorrenza e pei molti importantissimi
rapporti che passano fra un organismo e l'altro, quelle forme, le quali non
furono in certo grado migliorate, corrono rischio di rimanere distrutte. Perciò
possiamo spiegare il motivo per cui tutte le specie di una medesima regione
si modificano, dopo un periodo di tempo abbastanza vasto, mentre quelle che
non si trasformano debbono estinguersi.
La quantità media dei cangiamenti nei membri della stessa classe può
forse essere a un dipresso la medesima in periodi di tempo molto lunghi ed uguali;
ma come l'accumulazione delle formazioni fossilifere che si conservano lungamente
dipende dalle grandi masse di sedimento che venne depositato sulle superfici
nel mentre che si abbassavano, così il complesso dei mutamenti organici
presentati dai fossili che sono involti nelle formazioni consecutive non è
uguale. Ogni formazione quindi, secondo questi concetti, non può segnare
un atto nuovo e completo di creazione, ma solamente una scena accidentale, presa
quasi a caso, in questo dramma lentamente variabile.
Facilmente si può capire per qual motivo una specie, quando sia perduta,
non potrebbe mai ritornare: anche se per avventura si ripetessero le identiche
condizioni di vita organiche ed inorganiche. Perchè quand'anche la progenie
di una specie potesse essere adatta (e certamente ciò avviene in moltissimi
casi) ad occupare il posto preciso di un'altra specie nell'economia della natura,
e così surrogarla: tuttavia le due forme, la vecchia e la nuova, non
sarebbero identicamente le stesse; perchè ambedue dovrebbero quasi certamente
ereditare caratteri diversi dai loro distinti progenitori. Per esempio, è
appunto possibile che, se tutti i nostri colombi-pavone rimanessero distrutti,
gli amatori, sforzandosi per molto tempo di riprodurli, riuscissero a formare
una nuova razza che fosse appena distinguibile dal nostro colombo-pavone attuale;
ma se anche il colombo progenitore, che è il torraiuolo, fosse esterminato,
e noi abbiamo fondati motivi di credere che in natura le forme-madri sono generalmente
supplantate e distrutte dalla loro discendenza perfezionata, sarebbe allora
affatto incredibile che potesse ricavarsi da qualche altra specie di colombo,
il colombo-pavone, od anche dalle altre razze bene stabilite dei piccioni domestici;
perchè il nuovo colombo-pavone erediterebbe certamente dal nuovo suo
progenitore alcune leggiere differenze caratteristiche.
I gruppi di specie, cioè i generi e le famiglie, seguono nella loro apparizione
e nella loro scomparsa le stesse regole generali delle singole specie, trasformandosi
più o meno rapidamente e in grado maggiore o minore. Un gruppo che sia
estinto non può ricomparire; oppure la sua esistenza è continua
per tutta la sua durata. So che vi sono alcune eccezioni apparenti a codesta
regola, ma queste eccezioni sono pochissime e tanto poche che E. Forbes, Pictet
e Woodward (benchè tutti tenacemente contrari ai principii che sono da
me sostenuti) ammettono la sua verità; ma questa regola si accorda esattamente
colla mia teoria. Perchè, posto che tutte le specie di un medesimo gruppo
provengano da una data specie, è chiaro che fintanto che qualche specie
del gruppo si presentò nella successione dei tempi, i suoi membri debbono
aver continuato ad esistere, per generare forme nuove e modificate, ovvero le
stesse forme antiche senza alterazione. Le specie del genere Lingula, ad esempio,
saranno esistite continuamente per un corso non interrotto di generazioni dallo
strato siluriano più profondo fino al presente.
Abbiamo veduto nell'ultimo capitolo che le specie di un gruppo sembrano talvolta
comparse improvvisamente in uno strato, benchè ciò sia falso.
Ho cercato di dare una spiegazione di questo fatto, che sarebbe stato veramente
funesto alla mia teoria. Ma questi casi sono certamente eccezionali; mentre
la regola generale è che il gruppo deve crescere gradatamente in numero,
finchè raggiunga il massimo aumento, indi gradatamente deve diminuire,
più presto o più tardi. Se rappresentiamo il numero delle specie
di un genere o dei generi di una famiglia con una linea verticale di grossezza
variabile, che ascenda frammezzo alle formazioni geologiche successive in cui
le specie si trovano, potrà erroneamente credersi che questa linea cominci
dal suo punto inferiore, non già con un estremo sottile, ma larga fino
dal principio; essa si innalza, crescendo gradatamente in larghezza e spesso
conservando per un determinato intervallo la medesima larghezza, e da ultimo
si assottiglia negli strati superiori, segnando così il decrescimento
e la finale estinzione delle specie. Questo aumento graduale nel numero delle
specie di un gruppo è strettamente conforme alle deduzioni della mia
teoria: poichè le specie di uno stesso genere e i generi di una medesima
famiglia possono crescere soltanto lentamente e progressivamente: perchè
il processo di modificazione e la produzione di un gran numero di forme affini
deve essere lento e graduale. Una specie infatti dà origine dapprima
a due o tre varietà; queste sono lentamente convertite in specie, le
quali alla lor volta producono, per gradi ugualmente lenti, altre specie, e
così di seguito: come le ramificazioni di un grande albero da un solo
tronco, fino a che il gruppo sia divenuto ricco abbastanza.
SULLA ESTINZIONE
Abbiamo discorso soltanto incidentemente della scomparsa delle
specie e dei gruppi di specie. Secondo la teoria della elezione naturale, l'estinzione
delle forme antiche e la produzione di forme nuove e perfezionate sono intimamente
connesse fra loro. La vecchia nozione, che tutti gli abitatori della terra furono
avulsi in periodi successivi da varie catastrofi, è generalmente abbandonata;
anche da quei geologi, come Elia di Beaumont, Murchison, Barrande, ecc., le
cui opinioni generali condurrebbero logicamente a questa conclusione. Al contrario
abbiamo ogni ragione di pensare, dietro lo studio delle formazioni terziarie,
che le specie ed i gruppi di specie si perdono gradatamente, uno dopo l'altro,
prima in un luogo, poi in un altro, e finalmente nel mondo intero. In alcuni
rari casi, però, come per la rottura di un istmo e la conseguente irruzione
di una moltitudine di nuovi abitanti, o per l'immersione di un'isola, l'estinzione
può essere comparativamente pronta. Tanto le singole specie quanto gli
interi gruppi di specie continuano per intervalli di durata diversa; alcuni
gruppi infatti, come vedemmo, si mantennero dalla prima alba della vita fino
al presente; altri scomparvero prima del termine del periodo paleozoico. Non
sembra che esista alcuna legge prestabilita che determini la lunghezza del tempo
in cui deve durare ogni singola specie od ogni singolo genere. Tuttavia pare
che l'estinzione completa della specie di un gruppo segua generalmente un processo
più lento di quello della loro produzione: se l'apparizione e la scomparsa
di un gruppo di specie fossero rappresentate, come precedentemente, da una linea
verticale di larghezza diversa, si troverebbe questa linea più gradatamente
assottigliata nell'estremo superiore, che denoterebbe il processo di estinzione,
di quello che nell'estremo inferiore, che raffigurerebbe la prima comparsa delle
specie e l'aumento del loro numero. In certi casi però la distruzione
di gruppi interi di esseri, come delle ammoniti verso la fine del periodo secondario,
fu straordinariamente improvvisa rispetto a quella della maggior parte degli
altri gruppi.
L'argomento della estinzione delle specie fu involto nei più avventati
misteri. Alcuni autori hanno supposto che, come gli individui hanno una lunghezza
di vita determinata, così le specie debbano avere una durata definita.
Niuno più di me può essersi meravigliato della estinzione della
specie. Quando nella Plata trovai un dente di cavallo sepolto con avanzi di
mastodonte, di megaterio, di toxodonte e di altri mostri estinti, i quali coesistettero
con molluschi viventi ancora nel più recente periodo geologico, fui preso
da molto stupore. Perchè osservando che il cavallo, dacchè fu
introdotto nell'America meridionale dagli Spagnoli, divenne selvaggio in tutto
quel continente e si moltiplicò in un modo sorprendente, chiesi a me
stesso; per quali ragioni potesse essere stato distrutto recentemente l'antico
cavallo, in condizioni di vita che gli sembrano tanto favorevoli. Ma il mio
stupore era completamente infondato! Il prof. Owen tosto decise che il dente,
quantunque tanto simile a quello del cavallo esistente, apparteneva ad una specie
estinta. Ancorchè codesta specie fosse stata subito rara, nessun naturalista
avrebbe fatto gran caso della sua rarità; perchè questa è
propria di moltissime specie di ogni classe, in tutti i paesi. Se noi ci domandiamo
perchè questa o quella specie sia rara, noi attribuiamo qualche effetto
in ciò alle condizioni di vita sfavorevoli; ma non potremo mai stabilire
più precisamente quale sia questa causa. Anche supponendo che il cavallo
fossile abbia esistito come una specie rara, noi saremmo condotti a pensare
dall'analogia di tutti gli altri mammiferi, compreso l'elefante che si propaga
lentamente, e dalla storia della naturalizzazione del cavallo domestico nell'America
meridionale, che sotto le più favorevoli condizioni avrebbe in pochi
anni popolato l'intero continente. Ma noi non avremmo potuto valutare quali
fossero quelle condizioni sfavorevoli che contrastarono il suo accrescimento,
se una sola circostanza o diverse circostanze abbiano agito, e così a
quale periodo della vita del cavallo e in qual grado. Se queste condizioni divennero
sempre meno favorevoli, benchè lentamente, noi al certo non ci saremmo
accorti del fatto; benchè il cavallo fossile sia divenuto sempre più
raro, prima di estinguersi, essendo poi occupato il suo posto da qualche più
fortunato competitore,
È sempre assai difficile il ricordare che l'accrescimento di ogni essere
vivente è costantemente impedito da circostanze nocive impercettibili,
e che queste stesse circostanze sconosciute sono bastevoli a produrre la rarità
e a cagionare da ultimo la estinzione. Questa legge è sì male
interpretata, che spesso si è notato con stupore come sì grandi
mostri, quali sono il mastodonte e i più antichi dinosauri, rimanessero
estinti; quasi che la forza del corpo assicurasse la vittoria nella lotta per
la vita. La grande statura dovrebbe al contrario determinare in certi casi la
distruzione più rapida delle specie, in quanto che richiede una maggiore
quantità di nutrimento. Prima che l'uomo abitasse l'India o l'Africa,
alcune cause debbono essersi opposte alla continua moltiplicazione degli elefanti
che colà esistevano. Uno scienziato molto competente, il Falconer, opina
che attualmente gli insetti, tormentando incessantemente e indebolendo l'elefante,
formino il principale ostacolo al suo accrescimento (come notava Bruce nell'Abissinia).
È certo che insetti di varie sorta, e i pipistrelli che succhiano il
sangue, decidono dell'esistenza dei più grandi quadrupedi, naturalizzati
in diverse parti dell'America meridionale.
In molti casi delle più recenti formazioni terziarie noi osserviamo che
la rarità delle specie precede l'estinzione; e sappiamo che questo appunto
fu il progresso degli eventi in quegli animali che furono distrutti pel fatto
dell'uomo o in una determinata località, o nel mondo intero. Ripeterò
qui ciò che pubblicai nel 1845; ammettere che le specie si facciano più
rare prima di estinguersi e non rimanere meravigliati della rarità di
una specie, mentre si fanno le maggiori meraviglie quando essa ha finito di
esistere, sarebbe precisamente la stessa cosa come supporre che la malattia
nell'individuo sia il precursore della Morte, indi non dimostrare alcuna sorpresa
per la malattia, ma soltanto quando l'ammalato muore, ed in tal caso sospettare
che la morte sia stata violenta, per qualche ignota causa.
La teoria dell'elezione naturale si fonda sulla opinione che ogni nuova varietà,
ed infine ogni nuova specie, si produca e si conservi per avere ottenuto qualche
vantaggio sopra quelle con cui entrò in lotta; e ne deriva la conseguente
estinzione, quasi inevitabile, delle forme meno favorite. Altrettanto avviene
nelle nostre produzioni domestiche; quando si è allevata una varietà
nuova e leggermente perfezionata, essa in sulle prime subentra alle varietà
meno perfezionate negli stessi contorni; quando si perfeziona maggiormente,
viene trasportata più lontano: come abbiamo veduto nei nostri buoi a
corna corte che in molti paesi presero il posto di altre razze. Così
l'introduzione di nuove forme e la scomparsa delle vecchie, sia che avvengano
naturalmente o artificialmente, si limitano scambievolmente. In certi gruppi
prosperosi, il numero delle nuove forme specifiche che furono prodotte in un
dato tempo è probabilmente maggiore di quello delle vecchie forme specifiche
che furono esterminate; ma noi sappiamo altresì che il numero delle specie
non andò crescendo indefinitamente, almeno negli ultimi periodi geologici;
cosicchè, in quanto concerne gli ultimi tempi, possiamo ritenere che
la produzione di forme nuove ha cagionato l'estinzione di un numero quasi uguale
di vecchie forme.
La lotta sarà in generale più severa, come abbiamo spiegato e
dimostrato cogli esempi, fra quelle forme che sono più simili fra loro
sotto ogni rapporto. Perciò i discendenti perfezionati e modificati di
una specie cagioneranno generalmente la distruzione della specie-madre; e se
molte forme nuove si sono sviluppate da una specie qualsiasi, le prossime affini
di questa specie, cioè le specie del medesimo genere, saranno le più
esposte alla distruzione. Per tal modo io credo che un gran numero di specie
nuove, provenienti da una sola specie, il che vale quanto dire un nuovo genere,
arrivino a prendere il posto di un genere antico, appartenente alla medesima
famiglia. Ma spesso sarà avvenuto che una nuova specie spettante ad un
dato gruppo avrà surrogato una specie appartenente ad un gruppo distinto,
e così ne avrà cagionato la distruzione, e se molte forme affini
saranno derivate dal vittorioso invasore, molte altre avranno abbandonato i
loro posti; e generalmente saranno le forme affini che soffriranno in comune
per le inferiorità ereditate. Del resto, sia che le specie appartengano
alla medesima classe o ad una classe distinta, quando sono surrogate da altre
specie che furono modificate e perfezionate, alcune delle medesime possono pure
conservarsi per lungo tempo, per essere dotate di qualche speciale abitudine
di vita e per abitare qualche stazione distante ed isolata, dove possono sfuggire
alla severa concorrenza. Per esempio, una sola specie di Trigonia, grande genere
di conchiglie delle formazioni secondarie, sopravvive nei mari dell'Australia;
e pochi individui del gruppo vasto e quasi estinto dei pesci ganoidi abitano
ancora le nostre acque dolci. Perciò la totale estinzione di un gruppo
è generalmente, come abbiamo veduto, un processo più lento della
sua produzione.
Riguardo alla apparente subitanea distruzione di intere famiglie od ordini,
come delle trilobiti al termine del periodo paleozoico e delle ammoniti nel
fine del periodo secondario, ricorderemo ciò che dicemmo altrove dei
probabili intervalli di riposo fra le nostre formazioni consecutive; e in questi
intervalli possono essere avvenute molte lente distruzioni. Inoltre quando molte
specie di un gruppo nuovo hanno preso possesso di una nuova regione, sia per
una improvvisa immigrazione, sia per uno sviluppo straordinariamente rapido:
esse avranno esterminato in un modo ugualmente sollecito molti degli antichi
abitanti, e le forme così sostituite saranno comunemente affini, partecipando
in comune a qualche svantaggio.
Mi sembra quindi che il procedimento, con cui una singola specie ed interi gruppi
di specie rimangono estinti, armonizzi bene colla teoria della elezione naturale.
Non fa d'uopo che noi ci meravigliamo della loro estinzione: ma bensì
della nostra presunzione, quando immaginiamo per un momento di sapere qualche
cosa delle molte circostanze complesse da cui dipende l'esistenza di ogni specie.
Se noi dimentichiamo che ogni specie tende a moltiplicarsi disordinatamente,
o che qualche ostacolo è sempre in azione, benchè di rado sia
da noi avvertito, tutta l'economia della natura ci diviene completamente oscura.
Finchè non sapremo precisare perchè questa specie possegga un
maggior numero di individui di quella; perchè questa specie e non l'altra
possa naturalizzarsi in un dato paese; allora, e non prima, potremo giustamente
meravigliarci di non sapere spiegare l'estinzione di una data specie o di un
dato gruppo di specie.
DEL CAMBIAMENTO QUASI CONTEMPORANEO DELLE FORME
DELLA VITA IN TUTTO IL MONDO
Forse nessuna scoperta della paleontologia è più
sorprendente di quella, che le forme di vita si trasformano quasi simultaneamente
nel mondo intero. Così la nostra formazione cretacea d'Europa può
riconoscersi in molte parti del mondo assai distanti l'una dall'altra, sotto
i climi più differenti, ed anche dove non può trovarsi un solo
frammento della stessa creta minerale; e specialmente nell'America settentrionale,
nell'America meridionale equatoriale, nella Terra del Fuoco, al Capo di Buona
Speranza e nella penisola dell'India. In questi paesi, infatti, benchè
tanto lontani, gli avanzi organici di certi strati presentano un certo grado
di evidente rassomiglianza con quelli del periodo cretaceo. Non vi si trovano
però le medesime specie; perchè in alcuni casi non vi è
alcuna specie che sia identica, ma appartengono bensì alle medesime famiglie,
generi e sezioni di generi, e talvolta sono caratterizzati analogamente in certi
punti di poca importanza, come la semplice scultura superficiale. Di più
le altre forme, che non fanno parte della creta di Europa, ma che si incontrano
nelle formazioni inferiori o superiori, mancano parimenti in quelle distanti
regioni della terra. Un parallelismo simile nelle forme della vita fu osservato
da alcuni autori in parecchie successive formazioni paleozoiche della Russia,
dell'Europa occidentale e dell'America del Nord: e ciò si avvera anche
in diversi depositi terziari dell'Europa e dell'America del Nord, secondo Lyell.
Ancorchè le nuove specie fossili che sono comuni al Vecchio Mondo e al
Nuovo, fossero messe in disparte, il parallelismo generale nelle forme consecutive
sarebbe pure evidente negli strati dei periodi paleozoici e terziari, e le varie
formazioni potrebbero facilmente trovarsi corrispondenti anche nei loro singoli
substrati.
Queste osservazioni però si riferiscono soltanto agli abitanti del mare
in parti del mondo molto distanti; nè abbiamo dati sufficienti per giudicare
se le produzioni terrestri e d'acqua dolce si trasformino col medesimo parallelismo
in punti molto discosti. Noi anzi possiamo dubitare che esse siansi modificate
in questo modo; perchè se il megaterio, il milodonte, la macrauchenia
e il toxodonte sono stati trasportati dalla Plata in Europa, senza che rimanga
alcuna informazione rispetto alla loro posizione geologica, niuno avrebbe sospettato
che questi animali siano stati contemporanei di alcuni molluschi marini esistenti
ancora. Ma questi mostri anomali convissero insieme al mastodonte e al cavallo,
e quindi potrebbe almeno dedursi che essi esistettero durante una delle ultime
epoche terziarie.
Quando si dice che le forme marine si modificarono simultaneamente per tutto
il mondo, non si deve supporre che questa espressione si riferisca al medesimo
intervallo di mille o di centomila anni, od anche che abbia un significato rigorosamente
geologico. Perchè se tutti gli animali marini che vivono oggi in Europa
e tutti quelli che esistettero in Europa durante il periodo pleistocenico (periodo
enormemente lontano, se si misuri la sua antichità cogli anni e comprendente
tutta l'epoca glaciale) fossero paragonati con quelli che ora stanno nell'America
meridionale o in Australia, il più abile naturalista non sarebbe al certo
capace di decidere se gli abitanti esistenti in Europa o quelli del periodo
pleistocenico siano più somiglianti a quelli dell'emisfero australe.
Così, anche parecchi osservatori dei più competenti credono che
le produzioni attuali degli Stati Uniti siano più strettamente analoghe
a quelle che si trovarono in Europa in alcuni degli ultimi periodi terziari
che non a quelle che presentemente vi abitano; se ciò sussiste, è
evidente che gli strati fossiliferi depositati nell'epoca attuale sulle coste
dell'America settentrionale sarebbero in seguito classificati con altri strati
europei alquanto più antichi. Nondimeno, se guardiamo a un'epoca futura
molto lontana, non potrà sorgere il minimo dubbio che tutte le formazioni
marine più moderne, vale a dire il terreno pliocenico superiore, il pleistocenico
e gli strati completamente moderni dell'Europa, dell'America settentrionale
e meridionale e dell'Australia potranno ragionevolmente considerarsi come simultanei,
nel senso geologico, perchè conterranno avanzi fossili affini sino ad
un certo grado, e perchè non comprenderanno quelle forme che si trovano
soltanto nei depositi inferiori più antichi.
Il fatto delle forme viventi che si modificano simultaneamente, nel senso lato
di cui parlammo, in parti distanti del mondo, fissò grandemente l'attenzione
di due grandi osservatori, De Verneuil e D'Archiac. Dopo di aver trattato del
parallelismo delle forme paleozoiche di vita in vari punti dell'Europa, essi
aggiungono: "Se noi, colpiti da questa strana coincidenza, ci rivolgiamo
all'America settentrionale e quivi scopriamo una serie di fenomeni analoghi,
sembrerà certamente che tutte queste modificazioni di specie, la loro
estinzione, e l'introduzione di specie nuove, non si debbano attribuire alle
sole deviazioni delle correnti marine o ad altre cause più o meno temporarie,
ma dipendano da leggi generali che governano l'intero regno animale". Il
Barrande fece altre gravissime osservazioni per constatare il medesimo effetto.
In realtà sarebbe cosa molto futile il considerare i cambiamenti delle
correnti, del clima, o di altre condizioni fisiche, come la causa di queste
grandi trasformazioni delle forme viventi, per tutto il mondo, sotto i climi
più differenti. Dobbiamo al contrario, come dice Barrande, ricorrere
a qualche legge speciale. Noi lo vedremo più chiaramente allorchè
tratteremo della distribuzione attuale degli esseri organizzati, e dimostreremo
quanto sia piccola la relazione che passa fra le condizioni fisiche delle varie
regioni e la natura dei loro abitanti.
Questo grande fatto della successione parallela delle forme di vita nel mondo
intero, può spiegarsi colla teoria della elezione naturale. Le nuove
specie sono formate con quelle nuove varietà che nascono con qualche
vantaggio sulle forme più antiche; e quelle forme che già sono
dominanti, o posseggono qualche vantaggio sopra le altre forme del loro paese
proprio, dovrebbero naturalmente dare origine più spesso alle varietà
nuove o specie incipienti. Queste ultime debbono riuscire vittoriose in un grado
anche più elevato sia per essere conservate, sia per sopravvivere. A
questo riguardo noi abbiamo una prova evidente nelle piante dominanti, vale
a dire in quelle che sono più comuni e più ampiamente diffuse,
confrontate con altre piante nella loro patria rispettiva, perchè esse
producono un numero più grande di varietà nuove. È inoltre
naturale che le specie dominanti, variabili, e molto sparse, le quali hanno
invaso fino ad una certa estensione i territori di altre specie, sarebbero quelle
che avrebbero la maggiore probabilità di diffondersi anche ulteriormente,
e di dare origine nei nuovi paesi a varietà e specie nuove. Questo processo
di diffusione può essere talvolta molto lento, perchè dipendente
da mutazioni climatologiche e geografiche, o da accidenti straordinari, o infine
dalla graduale acclimazione delle specie nuove ai diversi climi attraverso ai
quali esse debbono passare; ma a lungo andare le forme dominanti generalmente
si estenderanno più facilmente. È probabile che la diffusione
sia più lenta negli abitanti terrestri di distinti continenti, che negli
organismi di mari comunicanti. Noi possiamo però aspettarci di trovare,
come infatti troviamo, un grado meno stretto di successione parallela nelle
produzioni della terra, che nelle produzioni del mare.
Mi sembra quindi che la successione parallela e (in un senso largo) simultanea
delle medesime forme di vita per tutto il mondo, si accordi bene col principio
delle specie nuove, formate per mezzo delle specie dominanti, ampiamente disseminate
e varianti; le nuove specie poi, così prodotte, essendo esse medesime
dominanti pei caratteri ereditati, ed avendo già goduto di qualche vantaggio
sopra i loro progenitori, o sopra altre specie, si diffonderanno di più,
varieranno e daranno origine a specie nuove. Le forme che sono battute e che
lasciano i loro posti alle forme nuove e vittoriose, saranno generalmente affini
per gruppi, ereditando qualche svantaggio in comune; e perciò come i
gruppi nuovi e perfezionati si spargeranno pel mondo, i vecchi gruppi ne scompariranno;
e la successione delle forme in ambe le vie tenderà dappertutto a corrispondersi.
Abbiamo qui a far menzione di un altro fatto, che riguarda questo argomento.
Ho esposto le ragioni che m'inducono a pensare che la maggior parte delle nostre
più grandi formazioni, ricche di fossili, dovette depositarsi nei periodi
di abbassamento; e che gli intervalli di lunga durata, in cui non avveniva alcun
deposito, dovettero verificarsi in quei periodi, nei quali il letto del mare
fu stazionario, oppure si elevò, od anche quando il sedimento non era
abbastanza abbondante e pronto, da rivestire e conservare gli avanzi organizzati.
In queste lunghe lacune suppongo che gli abitanti di ogni regione soggiacessero
ad una considerevole quantità di modificazioni e avvenissero molte estinzioni
e che vi fossero anche molte migrazioni dalle altre parti del mondo. Siccome
abbiamo ragione di credere che vaste superfici del globo subiscano contemporaneamente
il medesimo movimento, gli è probabile che delle formazioni esattamente
simultanee siano state spesso accumulate sopra estesi spazi nella medesima parte
del mondo; ma non possiamo rettamente conchiudere che ciò abbia dovuto
accadere invariabilmente, e che le grandi aree siano state costantemente affette
da movimenti conformi.
Quando due formazioni furono depositate in due regioni quasi, ma non esattamente,
nello stesso periodo: noi dovremmo trovare in ambedue, per le ragioni dimostrate
nei paragrafi precedenti, la medesima successione generale nelle forme di vita,
ma le specie non si corrisponderebbero esattamente; perchè esse avrebbero
disposto di un tempo un po' maggiore nell'una regione che nell'altra per le
modificazioni, l'estinzione e l'immigrazione.
Io credo che in Europa avvengano casi di questo genere. Prestwich, nelle sue
stupende Memorie sui depositi eocenici dell'Inghilterra e della Francia, ha
potuto stabilire uno stretto parallelismo generale fra gli strati successivi
dei due paesi; ma quando egli istituisce il confronto di certe epoche in Inghilterra
con quelle della Francia, benchè egli trovi nei due paesi una curiosa
coincidenza nei numeri delle specie appartenenti ai medesimi generi, nondimeno
le specie stesse differiscono in un modo molto difficile a spiegarsi quando
si consideri la prossimità delle due aree; a meno che non si creda che
un istmo separasse due mari popolati da due forme distinte, ma contemporanee.
Lyell ha fatto delle osservazioni analoghe in alcune delle ultime formazioni
terziarie. Anche Barrande dimostra esservi un preciso parallelismo generale
nei successivi depositi siluriani della Boemia e della Scandinavia; nondimeno
egli trova una grande quantità di differenze nelle specie. Se le diverse
formazioni in queste regioni non furono depositate esattamente negli stessi
periodi, verificandosi talvolta che una formazione di un paese corrisponde a
un intervallo di riposo in un altro, e se in ambe le regioni le specie andarono
lentamente cambiandosi, durante l'accumulazione delle diverse formazioni e nei
lunghi intervalli di tempo che passarono fra una formazione e la successiva;
in tal caso le varie formazioni delle due regioni potrebbero essere disposte
col medesimo ordine, in accordo colla successione generale delle forme di vita
e parrebbe falsamente che questo ordine fosse rigorosamente parallelo; ciò
non ostante le specie non sarebbero tutte le stesse, negli strati in apparenza
corrispondenti delle due regioni.
SULLA AFFINITÀ DELLE SPECIE ESTINTE FRA LORO
E COLLE FORME VIVENTI
Facciamoci ora a considerare le mutue affinità delle
specie estinte colle viventi. Esse cadono tutte insieme in un grande sistema
naturale; e questo fatto può spiegarsi col principio di una comune discendenza.
Quanto più antica è una forma, tanto più differisce generalmente
dalle forme viventi. Ma tutti i fossili, come notava molto tempo fa il Buckland,
possono classificarsi sia comprendendoli nei gruppi ora esistenti, sia collocandoli
fra un gruppo e l'altro. Non può mettersi in dubbio che le forme di vita
estinte concorrano a riempire le ampie lacune esistenti fra i generi, le famiglie
e gli ordini attuali. Infatti, se noi portiamo la nostra attenzione sulle forme
viventi soltanto, ovvero sulle forme estinte, la serie diviene assai meno perfetta
che quando le combiniamo tutte in un sistema generale. Negli scritti del professor
Owen noi troviamo spesso il termine "forme generalizzate" applicato
agli animali estinti, e l'Agassiz parla di tipi profetici o sintetici. Queste
espressioni dicono appunto che tali forme sono in realtà anelli intermediari
o di congiunzione. Un altro distinto paleontologo, il Gaudry, ha dimostrato
che molti mammiferi fossili da lui scoperti nell'Attica tolgono evidentemente
la distanza che separa dei generi attualmente viventi. Il Cuvier considerava
i ruminanti ed i pachidermi come due ordini distintissimi di mammiferi; ma si
scavarono tanti anelli intermedi, che l'Owen ha cambiato l'intera classificazione
ed ha collocato certi pachidermi in uno stesso sottordine con dei ruminanti;
ad esempio, egli ha colmato la lacuna apparentemente grande fra il cignale ed
il camello con forme estinte. Gli ungulati o mammiferi a zoccoli si dividono
ora in bisulci e solipedi; ma la Macrauchenia dell'America meridionale congiunge
insieme in certo grado queste due grandi divisioni. Nessuno può negare
che l'Hipparion si trovi nel mezzo fra il cavallo attuale e certe altre forme
ungulate. Quale meraviglioso anello intermediario nella catena dei mammiferi
non è il Typotherium dell'America meridionale, come lo indica il nome
che gli fu dato dal professor Gervais, e che non trova posto in nessuno degli
ordini ora esistenti dei mammiferi! Le sirene formano un gruppo assai distinto
tra i mammiferi, ed una delle particolarità più notevoli nel dugongo
e nel lamantino, ora viventi, si è la completa mancanza di arti posteriori,
di cui non esiste nemmeno un rudimento. Ma secondo il professore Flower l'estinto
Halitherium aveva un femore ossificato, "il quale articolava in un acetabolo
ben circoscritto della pelvi", e si avvicina così ai quadrupedi
ungulati ordinari, coi quali le sirene sono affini per altri riguardi. I cetacei
o balene sono molto diversi da tutti gli altri mammiferi; tuttavia lo Zeuglodon
e Squalodon dell'epoca terziaria, i quali da alcuni naturalisti sono posti in
un ordine speciale, vengono dall'Huxley considerati indubbiamente come cetacei
che "costituiscono degli anelli di congiunzione coi carnivori acquatici".
Perfino la lacuna tra gli uccelli ed i rettili, come fu dimostrato dal naturalista
predetto, è colmata nel modo(23) più inaspettato, e cioè
per una parte dallo struzzo e dall'Archæopterix, per l'altra parte dal
Compsognathus, un dinosauro, ossia un gruppo che abbraccia le forme gigantesche
dei rettili terrestri. Riguardo agli Invertebrati, il Barrande asserisce, nè
potrebbe citarsi un'autorità più elevata, che ogni giorno si riconosce,
come gli animali paleozoici, quantunque appartenenti ai medesimi ordini, famiglie
e generi di quelli che presentemente esistono, non siano stati separati nelle
epoche primitive in gruppi tanto distinti, come ora li troviamo.
Alcuni scrittori hanno obbiettato che ogni specie estinta od ogni gruppo di
specie estinte non può considerarsi come intermedio fra le specie o gruppi
viventi. Se con questo termine si intende che una forma estinta sia direttamente
intermedia in tutti i suoi caratteri fra due forme viventi, l'obbiezione è
fondata. Ma io pretendo solamente che, in una classificazione perfettamente
naturale, molte specie fossili abbiano a collocarsi fra le specie esistenti,
ed alcuni generi estinti fra i generi viventi, ed anche fra generi appartenenti
a famiglie distinte. Il caso più comune, specialmente riguardo ai gruppi
molto distinti, come i pesci e i rettili, mi sembra sia quello di supporre che
i medesimi siano presentemente distinti fra loro per una dozzina di caratteri
e che gli antichi membri dei medesimi due gruppi fossero invece differenti per
un numero alquanto minore di caratteri; per modo che i due gruppi, benchè
affatto distinti anche anticamente, erano allora un po' più vicini l'uno
all'altro.
È una opinione comune quella che quanto più antica sia una forma,
essa tende maggiormente a collegare, per mezzo di alcuni dei suoi caratteri,
dei gruppi che ora sono interamente separati l'uno dall'altro. Questa osservazione
senza dubbio deve restringersi a quei gruppi che furono soggetti a molti cambiamenti,
nel corso delle epoche geologiche; ma sarebbe difficile provare la verità
di questa proposizione, perchè si incontra qua e là qualche animale
vivente, come la Lepidosirena, che ha delle affinità dirette con gruppi
affatto distinti. Tuttavia se noi paragoniamo i rettili più antichi,
i batraci, i pesci più antichi e i più antichi cefalopodi, nonchè
i mammiferi eocenici, coi membri più recenti delle medesime classi, conviene
ammettere che in questa osservazione vi è qualche fondamento di verità.
Vediamo frattanto come questi fatti diversi e queste deduzioni siano in armonia
colla teoria della discendenza modificata. Essendo il soggetto alquanto complicato,
debbo pregare il lettore a voler richiamare il diagramma del capo quarto. Possiamo
supporre che le lettere numerizzate rappresentino dei generi e le linee punteggiate,
divergenti da quelle, raffigurino le specie di ogni genere. Il diagramma è
troppo ristretto perchè non rappresenta che pochi generi e poche specie,
ma ciò non è di alcuna importanza per noi. Le linee orizzontali
ponno rappresentare le formazioni geologiche successive e tutte le forme al
disotto delle linee superiori si considereranno come estinte. I tre generi esistenti
a14, q14, p14, formeranno una piccola famiglia; b14 ed f14 una famiglia molto
affine o una sotto-famiglia; ed o14, e14, m14 una terza famiglia. Queste tre
famiglie, insieme ai molti generi estinti nelle diverse linee di discendenza
che partono dalla forma-stipite A, formeranno un ordine; perchè tutte
avranno ereditato in comune qualche particolarità del progenitore antico
e comune. A tenore del principio della continua tendenza alla divergenza del
carattere, il quale fu già dimostrato per mezzo del diagramma, tutte
le forme più recenti saranno in generale le più differenti dal
loro antico progenitore. Da ciò possiamo comprendere la regola che i
fossili più antichi sono quelli che maggiormente differiscono dalle forme
esistenti. Noi non dobbiamo però riguardare la divergenza di carattere
come una contingenza necessaria; la medesima opera soltanto allorchè
i discendenti di una specie divengono adatti ad occupare molti posti diversi
nell'economia della natura. Perciò è cosa possibilissima che una
specie, come vedemmo nel caso di alcune forme siluriane, possa leggermente modificarsi
in relazione alle sue condizioni di vita leggermente alterate, e conservare
nondimeno per un vasto periodo le stesse caratteristiche, generali. Nel diagramma
questo caso è raffigurato colla lettera F14.
Tutte le molte forme, estinte e recenti, che provengono da A costituiscono,
come si è detto, un ordine; e quest'ordine, per gli effetti continui
dell'estinzione o della divergenza di carattere, viene diviso in parecchie sotto-famiglie
e famiglie, alcune delle quali si suppongono perite in periodi diversi, ed altre
suppongonsi conservate fino al presente.
Esaminando il diagramma, possiamo riconoscere che se molte forme estinte, avvolte
nelle formazioni successive, fossero scoperte in vari punti inferiori della
serie, le tre famiglie esistenti sulla linea superiore diverrebbero per ciò
meno distinte fra loro. Se, per esempio, i generi a1, a5, a10, f8, m3, m6, m9,
fossero dissotterrati, queste tre famiglie sarebbero tanto strettamente collegate
insieme, che probabilmente dovrebbero unirsi in una sola grande famiglia, quasi
nella stessa guisa come avviene coi ruminanti e con certi pachidermi. Qui però
alcuno potrebbe contestare che i generi estinti possono chiamarsi intermedi
pei caratteri, servendo essi a connettere i generi viventi di tre famiglie,
e non sarebbe fuori di proposito, perchè quei generi non sarebbero intermedi
direttamente, ma bensì per lungo ed involuto andamento attraverso a molte
forme affatto differenti. Se molte forme estinte fossero scoperte sopra una
delle linee orizzontali di mezzo, vale a dire, sopra una delle formazioni geologiche
(per esempio, sopra il num. VI), ma non se ne trovasse alcuna al disotto di
questa linea, allora soltanto le due famiglie a sinistra (cioè a14, ecc.,
b14, ecc.) dovrebbero riunirsi in una sola famiglia; e le altre due famiglie
(cioè a14 ad f14, comprendenti cinque generi, ed o14 ad m14) rimarrebbero
distinte. Queste due famiglie però sarebbero meno distinte fra loro di
quel che fossero prima della scoperta dei fossili. Se, per modo d'esempio, supponiamo
che i generi estinti delle due famiglie differiscano fra loro per una dozzina
di caratteri, in tal caso quei generi avrebbero differito per un numero minore
di caratteri, nel periodo antico segnato col numero VI; perchè, a questo
stadio più remoto di sviluppo, essi non differivano tanto dal comune
progenitore dell'ordine quanto se ne allontanarono posteriormente. Così
è avvenuto che i generi antichi ed estinti sono spesso, di qualche piccolo
grado, intermedi nel carattere fra i loro discendenti modificati o fra i loro
parenti collaterali.
Allo stato di natura questo quadro sarebbe assai più complicato di quello
che apparisce dal diagramma; perchè i gruppi saranno stati molto più
numerosi, avranno durato per intervalli di tempo molto disuguali, e si saranno
modificati in diverso grado. Siccome noi possediamo solamente l'ultimo volume
delle Memorie geologiche e in una condizione molto imperfetta, non abbiamo alcun
motivo di aspettarci, eccettuati pochissimi casi rari, di completare i grandi
vuoti che si hanno nel sistema naturale e così legare insieme le famiglie
e gli ordini distinti. Tutto ciò che noi possiamo sperare si è
di trovare che questi gruppi, i quali in certi noti periodi geologici furono
soggetti a molte modificazioni, si ravvicinano qualche poco fra loro nelle formazioni
più antiche; per modo che i membri più antichi differiscono fra
loro, in alcuni dei loro caratteri, meno dei membri attuali dei medesimi gruppi;
appunto sembra che ciò si verifichi frequentemente, dalla concorde testimonianza
de' migliori nostri paleontologi.
Così, secondo la teoria della discendenza modificata, i fatti principali
che riguardano le mutue affinità delle forme di vita estinte, sia fra
loro, sia colle forme viventi, mi sembra ricevano una soddisfacente spiegazione.
Ma essi sono inesplicabili affatto, secondo qualsiasi altra ipotesi.
Adottando questa teoria, è manifesto che la fauna di ogni grande periodo
della storia terrestre sarà intermedia, nei caratteri generali, fra quella
che la precedette e quella che la seguì. Così quelle specie che
esistettero al sesto grande periodo di discendenza del diagramma sono la posterità
modificata di quelle altre che vissero al quinto periodo e sono le madri di
quelle che rimasero anche ulteriormente modificate nel settimo periodo; quindi
esse non potrebbero certamente mancare di essere approssimativamente intermedie,
nei loro caratteri, fra le forme di vita precedenti e le posteriori. Ma noi
dobbiamo inoltre tener conto dell'intera estinzione di alcune forme anteriori,
e della immigrazione in ciascuna regione di nuove forme provenienti da altre
regioni, e così anche del grande complesso di modificazioni avvenute
nei lunghi intervalli di riposo fra le successive formazioni. Fatte queste restrizioni,
la fauna di ogni periodo geologico è senza dubbio intermedia, nei caratteri,
fra la fauna anteriore e la posteriore. Per darne un solo esempio, basterà
ricordare il modo con cui i fossili del sistema devoniano furono fin da principio,
quando tale sistema fu scoperto, riconosciuti di carattere intermedio fra quelli
degli strati carboniferi sovrapposti e quelli del sottoposto sistema siluriano.
Ma ogni fauna non è di necessità esattamente intermedia, perchè
fra le formazioni consecutive passarono periodi di tempo disuguali.
Alla verità di questo principio, che la fauna cioè di ogni periodo
è nel suo complesso di carattere quasi intermedio fra la fauna precedente
e la susseguente, non si può opporre che certi generi offrono eccezione
alla regola. Per esempio, i mastodonti e gli elefanti furono classificati dal
dott. Falconer in due serie, la prima dietro le loro mutue affinità e
l'altra secondo i periodi della loro esistenza, e queste due serie non sono
disposte in conformità. La specie che possiede un carattere estremo non
è nè la più antica, nè la più recente: e
neppure quelle che hanno un carattere intermedio, sono intermedie per l'età.
Ma posto per un momento, in questo caso e in altri analoghi, che le nostre cognizioni
sulla prima comparsa e sulla estinzione della specie siano perfettamente esatte,
noi non abbiamo alcuna ragione di credere che le forme prodotte successivamente
debbano durare di necessità per intervalli di tempo corrispondenti. Una
forma antichissima può accidentalmente conservarsi più lungamente
di una forma prodotta posteriormente in altro luogo, e specialmente nel caso
di produzioni terrestri che si trovano in distretti separati. Confrontiamo le
cose piccole colle grandi; se le razze principali viventi ed estinte del colombo
domestico fossero disposte nel miglior modo possibile secondo la loro affinità
in serie: questa serie non sarebbe esattamente in accordo coll'ordine dell'epoca
della loro produzione ed anche meno coll'ordine della loro scomparsa; perchè
il loro progenitore, il colombo torraiuolo, vive presentemente: e molte varietà
fra il colombo torraiuolo e il messaggero rimasero estinte; e i messaggeri,
che sono estremi per il carattere importante della lunghezza del becco, hanno
un'origine più antica di quella dei giratori a faccia corta, che sono
all'estremo opposto della serie a questo riguardo.
Il fatto ammesso da tutti i paleontologi che i fossili di due formazioni consecutive
sono assai più connessi fra loro dei fossili di due remote formazioni,
è intimamente collegato col principio che gli avanzi organici di ogni
formazione intermedia hanno in certo grado caratteri intermedi. Pictet ce ne
offre un esempio bene conosciuto nella generale rassomiglianza degli avanzi
organici dei diversi strati della formazione cretacea, benchè le specie
siano distinte in ogni strato. Questo solo fatto, per la sua generalità,
sembra abbia scosso il prof. Pictet dalla sua ferma credenza sulla immutabilità
delle specie. Conoscitore della distribuzione delle specie esistenti sul globo,
egli non cercherà di spiegare la stretta somiglianza delle specie distinte
nelle formazioni consecutive, per mezzo delle condizioni fisiche delle antiche
superfici, essendo queste condizioni rimaste quasi identiche. E qui ricorderemo
che le forme di vita, almeno quelle che abitano il mare, si cambiarono quasi
simultaneamente per tutto il mondo e perciò sotto i climi più
diversi e in condizioni opposte. Basta considerare le prodigiose vicissitudini
del clima durante il periodo pleistocenico, che racchiude l'intero periodo glaciale,
ed osservare quanto poco furono affette le forme specifiche degli abitatori
del mare.
Secondo la teoria della discendenza, è facile comprendere pienamente
il fatto degli avanzi fossili appartenenti a formazioni consecutive che si trovano
in istretti rapporti, quantunque siano riguardati come specie distinte. Siccome
l'accumulazione di ogni formazione è stata spesso interrotta e sono intervenuti
degli intervalli di inazione fra le successive formazioni, non dobbiamo trovare,
come cercai di provare nell'ultimo capitolo, in ciascuna formazione o in due
formazioni tutte le varietà intermedie fra le specie che apparvero al
principio e alla fine di questi periodi; ma solo troveremo ad intervalli molto
lunghi, se misurati cogli anni, e ad intervalli mediocri, se valutati geologicamente,
delle forme strettamente affini o specie rappresentative, come furono chiamate
da alcuni autori; e queste sicuramente si trovano. In breve, noi abbiamo, rispetto
alle lente e quasi insensibili mutazioni delle forme specifiche, tutte quelle
prove che possiamo giustamente aspettarci.
SUL GRADO DI SVILUPPO DELLE ANTICHE FORME
RISPETTO ALLE FORME VIVENTI
Abbiamo veduto nel quarto capo che il grado di differenza e
di specialità delle parti di tutti gli esseri organizzati, quando sono
adulti, è la migliore norma che siasi mai suggerita della loro perfezione
e della loro elevatezza. Abbiamo anche notato che, quando le parti e gli organi
si rendono più speciali per date funzioni, ne deriva un vantaggio ad
ogni essere; per tal modo l'elezione naturale tenderà costantemente a
rendere l'organizzazione di ogni essere più speciale e perfetta e in
questo senso più elevata; essa tuttavia può lasciare e lascia
semplici e immutate molte forme adatte a condizioni di vita molto semplici;
anzi in certi casi essa degraderà e semplificherà l'organizzazione,
lasciando così questi esseri degradati meglio adatti alle nuove loro
circostanze. In altro modo più generale possiamo vedere che, secondo
la teoria della elezione naturale, le forme più recenti tenderanno ad
essere più elevate dei loro progenitori; perchè ogni nuova specie
si forma coll'ottenere qualche vantaggio sulle altre forme preesistenti nella
lotta per l'esistenza. Se gli abitanti eocenici di una parte del mondo, sotto
un clima quasi uguale, fossero entrati in concorrenza cogli abitanti esistenti
nella medesima o qualche altra parte del mondo, la fauna o la flora eocenica
sarebbe certamente stata vinta ed esterminata, e così la fauna secondaria
sarebbe dominata dalla fauna eocenica e la fauna paleozoica dalla secondaria.
Così è per questa prova radicale della vittoria nella lotta per
la vita, come per il grado di specialità degli organi, le forme moderne
debbono essere più elevate delle forme antiche dipendentemente dalla
teoria della elezione naturale. Questo fatto si verifica? La grande maggioranza
dei paleontologi risponderebbe affermativamente; ma dopo aver letto le discussioni
sostenute su questo argomento dal Lyell e le opinioni di Hooker riguardo alle
piante, nel mio apprezzamento credo che ciò avvenga soltanto in una estensione
limitata. Nulladimeno può presumersi che si avranno prove più
decisive nelle future ricerche geologiche.
Contro questa conclusione non vale l'obbiettare che certi brachiopodi non furono
che assai leggermente modificati da un periodo geologico assai remoto in poi;
e che certi molluschi terrestri e di acqua dolce dall'epoca in cui, per quanto
si sappia, sono apparsi per la prima volta, rimasero pressochè inalterati.
Nè può opporsi come difficoltà insuperabile il fatto, su
cui ha insistito il Carpenter, che cioè i foraminiferi dopo la formazione
lorenzina non fecero alcun progresso: imperocchè alcuni organismi debbano
appunto essere adattati a semplici condizioni di vita; e quali potevano esserlo
meglio di quei protozoi di bassa organizzazione? Siffatte obbiezioni sarebbero
fatali alla mia teoria, se includessero un progresso nella organizzazione come
elemento necessario. Le nuocerebbe anche se, ad esempio, potesse provarsi che
i suddetti foraminiferi siano apparsi la prima volta nell'epoca lorenzina, o
i citati brachiopodi nella formazione cambriana; giacchè, se ciò
fosse provato, non vi sarebbe stato il tempo sufficiente a raggiungere quel
grado di sviluppo, a cui di poi questi organismi arrivarono. Quando lo sviluppo
è arrivato ad un certo punto, secondo la teoria della elezione naturale,
non sussiste la necessità che il processo sia continuato; tuttavia gli
organismi saranno leggermente modificati in ciascuna delle età successive,
affinchè possano conservare il loro posto tra le varianti condizioni
di vita. Tutte queste obbiezioni si aggirano intorno alla domanda, se noi realmente
sappiamo quanto vecchio sia il mondo ed in quali periodi le varie forme di vita
siano apparse per la prima volta; e la risposta può ben essere negativa.
Il problema, se l'organizzazione nel complesso sia progredita, è sotto
molti aspetti grandemente intricato. Le memorie geologiche, imperfette in ogni
tempo, non si estendono abbastanza nel passato, a mio avviso, per dimostrare
con evidenza incontrovertibile che, nei limiti della storia conosciuta del mondo,
l'organizzazione ha progredito immensamente. Anche al presente, considerando
i membri di una medesima classe, i naturalisti non sono unanimi nello stabilire
quali sian le forme più elevate: così alcuni riguardano i selaci
come i pesci più perfetti, perchè si avvicinano ai rettili in
alcuni punti importanti della loro struttura; altri invece riguardano come più
elevati i teleostei. I ganoidi sono intermedi fra i selaci e i teleostei; questi
ultimi sono al presente largamente preponderanti in numero; ma anticamente esistevano
soltanto i selaci e i ganoidi; e in tal caso secondo il tipo dl perfezione prescelto,
potrà dirsi che i pesci hanno progredito o regredito nell'organizzazione.
Sembra inutile lo studiarsi di paragonare nella scala progressiva degli esseri
i membri dei tipi distinti; chi vorrà decidere se la seppia sia più
elevata dell'ape - di quell'insetto che il grande Von Baer credeva essere, "in
fatto di una organizzazione più perfetta del pesce, benchè sopra
un atro tipo?". È credibile che nella complessa lotta per la vita
i crostacei, per esempio, anche fra quelli che non sono i più elevati
nella propria classe, possano battere i cefalopodi che sono i più perfetti
fra i molluschi; e questi crostacei, benchè non abbiano uno sviluppo
molto elevato, potrebbero occupare un posto molto alto nella scala degli animali
invertebrati, se si giudicasse dietro il più decisivo di tutti gli altri
indizi, cioè la legge della lotta. Prescindendo dalla difficoltà
che incontriamo nel decidere quali forme siano le più avanzate nella
organizzazione, noi dovremo paragonare fra loro, non solo i membri più
elevati di una classe in due diversi periodi - benchè questo sia certamente
uno dei più importanti elementi e forse il principale nel confronto,
- ma anche tutti gli individui, superiori ed inferiori di questi due periodi.
In un'epoca antica i molluschi più elevati e gli inferiori, vale a dire,
i cefalopodi e i brachiopodi, formicolavano in gran numero; mentre al presente
questi ordini furono ridotti immensamente; quando all'opposto altri ordini,
intermedi nel grado dell'organizzazione, si accrebbero in vaste proporzioni.
Conseguentemente alcuni naturalisti hanno sostenuto che i molluschi erano una
volta assai più sviluppati e perfetti che oggi non siano; ma d'altronde
potrebbe addursi un caso contrario e più fondato, quando si consideri
la grande diminuzione avvenuta nei molluschi inferiori, e tanto più che
i cefalopodi esistenti, benchè sì ristretti in numero, hanno una
organizzazione più elevata dei loro antichi rappresentanti. Inoltre fa
d'uopo considerare i numeri proporzionali rispettivi delle classi superiori
ed inferiori nella popolazione del mondo corrispondenti ai due periodi; se,
per esempio, oggi abbiamo cinquantamila specie di animali vertebrati e se sappiamo
che a un'epoca anteriore non ne esistevano che diecimila, noi dobbiamo ritenere
che codesto aumento nel numero delle classi più elevate implica un grande
spostamento delle forme inferiori; e ciò forma un deciso progresso nell'organizzazione
sul globo. Noi possiamo quindi desumere quanto insormontabile sia la difficoltà
che si opporrà sempre nel confrontare con perfetta esattezza, sotto queste
relazioni estremamente complesse, il grado dell'organizzazione delle faune imperfettamente
conosciute dei successivi periodi della storia terrestre.
Si potrà apprezzare da un punto di vista più importante questa
difficoltà con maggiore chiarezza, esaminando certe faune e flore ora
esistenti. Dal modo veramente straordinario, con cui le produzioni europee si
estesero sopra la Nuova Zelanda ed occuparono luoghi che prima dovevano contenere
altre produzioni, possiamo supporre che, se tutti gli animali e tutte le piante
della Gran Bretagna fossero collocati liberamente nella Nuova Zelanda, una moltitudine
di forme dell'Inghilterra sarebbero nel corso del tempo naturalizzate in quella
regione e distruggerebbero molte delle forme native. D'altra parte possiamo
dubitare, da ciò che vediamo avvenire nella Nuova Zelanda e dal non trovarsi
un solo abitante nell'emisfero meridionale divenuto selvaggio in qualche parte
dell'Europa, che, se tutte le produzioni della Nuova Zelanda fossero allevate
liberamente in Inghilterra, un numero considerevole di esse sarebbe per subentrare
nei luoghi ora occupati dalle nostre piante e dai nostri animali indigeni. Sotto
questo aspetto le produzioni della Gran Bretagna possono dirsi più elevate
di quelle della Nuova Zelanda. Però il più abile naturalista non
avrebbe potuto prevedere questo risultato, dietro l'esame delle specie dei due
paesi.
Agassiz sostiene che gli animali antichi somigliano fino ad una certa estensione
agli embrioni degli animali recenti della stessa classe; ossia che la successione
geologica delle forme estinte è in certo grado parallela allo sviluppo
embriologico delle forme recenti. Questa dottrina si accorda bene colla teoria
dell'elezione naturale. In un prossimo capitolo io cercherò di provare
che l'adulto differisce dal suo embrione, per variazioni sopravvenute nel corso
della vita ed ereditate ad una età corrispondente. Questo processo, mentre
lascia l'embrione quasi inalterato, aggiunge continuamente nuove differenze
coll'adulto nel corso delle generazioni successive. Così l'embrione rimane
come una specie di pittura, preservata dalla natura delle antiche condizioni
meno modificate dell'animale. Questo concetto può essere vero, ma nondimeno
non potrà mai aversene una piena prova. Quando si vede, per esempio,
che i più antichi mammiferi conosciuti, i rettili e i pesci appartengono
rigorosamente alle proprie classi, quantunque alcune di queste forme primitive
siano in piccolo grado meno distinte fra loro dei membri tipici dei medesimi
gruppi attualmente, sarebbe vano il cercare animali aventi il carattere embriologico
comune dei vertebrati, finchè non si scoprano altri strati al disotto
dei letti inferiori del periodo siluriano, - scoperta in vero poco probabile.
SULLA SUCCESSIONE DEI MEDESIMI TIPI NELLE STESSE AREE
NEGLI ULTIMI PERIODI TERZIARI
Clift ha dimostrato, parecchi anni fa, che i mammiferi fossili
delle caverne dell'Australia sono strettamente affini ai marsupiali di questo
continente. Nell'America del Sud tale parentela è manifesta, anche ad
un occhio inesperto, nei frammenti giganteschi di armature simili a quelle dell'armadillo,
trovate in varie parti della Plata; e il prof. Owen ha dimostrato nel modo più
convincente che la maggior parte dei mammiferi fossili sepolti colà in
gran numero, sono analoghi ai tipi dell'America del Sud. Questa affinità
apparisce anche più evidente nella stupenda collezione di ossa fossili
fatta da Lund e Clausen nelle caverne del Brasile. Questi fatti mi fecero tanta
impressione, che nel 1839 e nel 1845 io insistetti a tutt'uomo su questa "legge
della successione dei tipi", - sopra "questa portentosa relazione
nel medesimo continente fra le forme estinte e le viventi". Il prof. Owen
ha poscia estesa la stessa generalizzazione ai mammiferi del vecchio mondo.
Noi osserviamo la medesima legge nelle ricomposizioni, fatte da questo autore,
degli uccelli estinti e giganteschi della Nuova Zelanda: come pure noi lo vediamo
negli uccelli delle caverne del Brasile. Woodward ha provato che la stessa legge
si verifica nelle conchiglie marine; ma per la vasta distribuzione della maggior
parte dei generi dei molluschi essa non sussiste con uguale certezza pei medesimi.
Potrebbero inoltre aggiungersi altri casi, come la relazione fra i molluschi
terrestri estinti e viventi di Madera e fra i molluschi estinti e gli esistenti
delle acque salmastre del mare Aral-Caspio.
Ora che cosa significa questa legge rimarchevole della successione dei medesimi
tipi nelle medesime superfici? Dovrebbe essere un uomo ben ardito colui, che,
dopo di aver confrontato il presente clima dell'Australia e delle parti dell'America
meridionale che hanno la stessa latitudine, tentasse di spiegare, da una parte
colle dissimili condizioni fisiche la dissomiglianza degli abitanti di questi
due continenti, e dall'altra parte la uniformità degli stessi tipi in
ciascuno di essi durante gli ultimi periodi terziari colla parità delle
condizioni fisiche. Nè potrebbe pretendersi che sia una legge invariabile
quella, per cui i marsupiali debbano essere stati principalmente od esclusivamente
propri dell'Australia; o che gli sdentati ed altri tipi americani si siano solamente
prodotti nell'America meridionale. Perchè noi sappiamo che l'Europa nei
tempi antichi era popolata da numerosi marsupiali; ed io ho dimostrato, nelle
pubblicazioni precedentemente citate, che nell'America la legge di distribuzione
dei mammiferi terrestri era anticamente diversa da quella che oggi si osserva.
L'America settentrionale presentava in altri tempi molti dei caratteri attuali
della metà meridionale di questo continente; e la metà meridionale
era una volta più strettamente affine che oggi non sia, alla metà
settentrionale. Così sappiamo dalle scoperte di Falconer e di Cautley,
che i mammiferi dell'India settentrionale erano nei tempi primitivi più
prossimi a quelli dell'Africa che non siano al presente. Abbiamo inoltre dei
fatti analoghi rispetto alla distribuzione degli animali marini.
Secondo la teoria della discendenza con modificazioni, la grande legge della
successione prolungata, ma non immutabile degli stessi tipi sulle medesime regioni,
viene tosto chiarita; perchè gli abitanti di ogni parte del mondo tenderanno
facilmente a rimanere e propagarsi in quelle parti, nei periodi immediatamente
posteriori, lasciando una progenie strettamente affine, benchè modificata
di qualche grado. Se gli abitanti di un continente anticamente erano molto diversi
da quelli di un altro continente, anche i loro discendenti modificati differiranno
quasi nella stessa maniera e al medesimo grado. Ma dopo intervalli di tempo
molto lunghi, e dopo i grandi cambiamenti geografici che permettano molte migrazioni
da una regione all'altra, le forme più deboli cederanno il posto alle
più dominanti, e non vi sarà nulla di immutabile nelle leggi della
distribuzione passata e presente.
Potrebbe chiedersi ironicamente se io supponga che il megaterio ed altri mostri
giganteschi affini abbiano lasciato dietro di sè nell'America meridionale
l'armadillo pigro e il formichiere quali discendenti degeneri. Ciò non
potrebbe ammettersi in modo alcuno. Questi giganteschi animali rimasero estinti
interamente e non lasciarono veruna progenie. Ma nelle caverne del Brasile vi
sono molte specie estinte che sono in relazione intima, per la loro grandezza
e per gli altri caratteri, colle specie che attualmente esistono nell'America
meridionale: e alcuni di questi fossili possono essere i diretti progenitori
delle specie viventi. Nè deve dimenticarsi che, secondo la mia teoria,
tutte le specie di un medesimo genere sono derivate da una sola specie anteriore;
per modo che se si trovassero in una formazione geologica dei generi, comprendenti
otto specie per ciascuno, nella formazione immediatamente vicina si avessero
sei altri generi affini o rappresentativi, col medesimo numero di specie, allora
noi potremmo concludere che una specie sola, di ciascuno dei sei generi precedenti
produsse dei discendenti modificati, che costituirono i sei nuovi generi. Le
altre sette specie di generi antichi si sarebbero spente e non avrebbero lasciato
progenie. Ora, probabilmente, potrebbe avvenire un caso più comune, cioè
che due o tre specie, di due o tre soltanto dei sei generi primitivi, fossero
state i progenitori dei sei nuovi generi: essendosi estinte le altre specie
antiche e tutti gli altri generi primitivi. Negli ordini che sono in decadenza,
i generi e le specie dei quali diminuiscono di numero, come pare sia il caso
degli sdentati dell'America meridionale, saranno anche meno numerosi i generi
e le specie che avranno lasciato dei discendenti diretti modificati.
SOMMARIO DI QUESTO CAPO E DEL PRECEDENTE
Mi sono studiato di provare che le memorie e gli avanzi geologici
sono sommamente imperfetti; che solo una piccola porzione del globo fu esplorata
geologicamente a dovere; che certe classi soltanto di esseri organizzati furono
largamente conservate in uno stato fossile; che il numero degli avanzi fossili
e delle specie che si custodiscono nei nostri musei è assolutamente un
nulla, in confronto del numero incalcolabile di generazioni che debbono essere
passate, anche durante una sola formazione; che enormi intervalli di tempo separano
quasi tutte le nostre formazioni consecutive, per essere l'abbassamento del
suolo quasi necessario perchè si accumulino depositi ricchi di fossili
e abbastanza elevati da resistere alle degradazioni future; che probabilmente
l'estinzione doveva essere maggiore nei periodi di abbassamento, e la variazione
più forte nei periodi di sollevamento, nei quali i resti fossili si saranno
conservati meno perfettamente; che ogni singola formazione non si è accumulata
per mezzo di una deposizione continua; che la durata di ogni formazione forse
è corta in confronto della durata media delle forme specifiche; che la
migrazione ha esercitato una influenza importante sulla prima apparizione di
forme nuove in ogni regione e in ogni formazione; che le specie ampiamente diffuse
sono quelle che variarono maggiormente e che più spesso diedero origine
a nuove specie; e che le varietà furono dapprima semplicemente locali.
E finalmente, sebbene ogni specie abbia dovuto passare per molti stadii transitorii,
è probabile che i periodi, nei quali ciascuna abbia subìto delle
modificazioni, siano stati numerosi e lunghi misurandoli cogli anni, ma invece
brevi se si confrontino coi periodi, nei quali rimase inalterata. Tutte queste
cause insieme possono spiegare in massima parte perchè tra le specie
di un gruppo noi troviamo bensì molte forme intermedie, ma non si rinvengono
infinite serie di varietà che a gradi insensibili collegano insieme le
forme estinte e le attuali. Non si deve poi dimenticare che se fossero trovate
delle varietà intermedie tra due o più forme, esse sarebbero considerate
come altrettante specie nuove e distinte, ove non si potesse stabilire l'intera
catena; giacchè non possiamo sostenere di conoscere un esatto criterio
per distinguere le specie dalle varietà.
Chi respingerà queste idee sulla natura delle memorie geologiche, non
ammetterà per certo la mia teoria. Perchè invano si chiederebbe
dove siano i legami transitorii infiniti che dovettero connettere fin da principio
le specie strettamente affini o rappresentative, trovate nei vari strati di
una stessa grande formazione. Egli potrà negare gli enormi intervalli
di tempo trascorsi fra le nostre formazioni consecutive; egli non terrà
conto dell'importanza degli effetti della migrazione; quando si considerano
isolatamente le formazioni di qualche grande regione, come quelle dell'Europa;
egli potrà da ultimo opporre la venuta improvvisa ed apparente, ma spesso
falsamente apparente, di interi gruppi di specie. Egli chiederà dove
siano gli avanzi di questi organismi infinitamente numerosi che esistettero
molto tempo prima che lo strato più antico del sistema siluriano fosse
depositato. Io non posso rispondere che in via d'ipotesi a quest'ultima questione,
cioè col dire che, per quanto noi possiamo vedere, i nostri oceani rimasero
per un periodo enorme dove oggi si estendono, e che dove ora abbiamo i nostri
continenti oscillanti, questi vi si trovavano fino dall'epoca siluriana; ma
che, assai prima di questo periodo, il mondo può avere presentato un
aspetto interamente diverso; e che i continenti più antichi, composti
di formazioni più vecchie di quelle che conosciamo, possono essere tutti
al presente in uno stato metamorfico, o trovarsi sepolti sotto l'Oceano.
Oltrepassando queste difficoltà, gli altri fatti principali della paleontologia
mi sembrano facili a dedurre dalla teoria della discendenza con modificazioni
per mezzo dell'elezione naturale. Per tal modo noi comprendiamo come si formino
lentamente e successivamente le specie nuove; come le specie delle diverse classi
non debbano di necessità trasformarsi simultaneamente sia colla stessa
rapidità, sia fino ad uno stesso grado, quantunque tutte nel lungo corso
dei tempi siano soggette a modificazioni di qualche importanza. La estinzione
di forme antiche è la conseguenza inevitabile della produzione di nuove
forme. Possiamo comprendere per qual motivo, quando una specie sia scomparsa
una volta, più non ritorni. I gruppi di specie crescono di numero lentamente
e durano per intervalli di tempo disuguali, e così il processo di modificazione
è necessariamente lento e dipende da molte circostanze complesse. Le
specie dominanti dei gruppi più vasti tendono a lasciare molti discendenti
modificati, e così si formano nuovi sotto-gruppi e nuovi gruppi. Quando
questi nuovi gruppi sono formati, le specie dei gruppi meno vigorosi, per la
inferiorità loro trasmessa dal progenitore comune, tendono ad estinguersi
insieme e non lasciano una progenie modificata sulla faccia della terra. Ma
l'estinzione completa di un intero gruppo di specie può spesso avvenire
mediante un processo molto più lento, perchè alcuni discendenti
potranno sopravvivere stentatamente in una situazione isolata e protetta. Quando
un gruppo è scomparso completamente, non può rinnovarsi, per essersi
interrotta la sequela della generazione.
È facile comprendere come le forme di vita dominanti, che sono ampiamente
diffuse e quelle che variano più di sovente, a lungo andare tenderanno
a popolare il mondo coi discendenti affini ma modificati; e questi generalmente
riusciranno a surrogare quei gruppi di specie che sono ad essi inferiori nella
lotta per l'esistenza. Quindi, dopo lunghi intervalli di tempo, le produzioni
del mondo sembreranno cambiate simultaneamente.
Così possiamo arguire come avvenga che tutte le forme di vita antiche
e recenti, formino assieme un grande sistema; perchè tutte sono collegate
per mezzo della generazione. Per la continua tendenza alla divergenza dei caratteri
si spiega per qual motivo quanto più antica è una forma, essa
generalmente differisce tanto più dalle forme attuali. Perchè
le forme antiche ed estinte spesso servono a riempire le lacune fra le forme
viventi, talvolta anche rannodando due gruppi in un solo, mentre prima si riguardavano
come distinti; ma più comunemente soltanto riaccostandoli un po' più
strettamente fra loro. Le forme più antiche apparentemente spiegano più
spesso dei caratteri in certo grado intermedi fra quei gruppi che oggi sono
distinti; perchè quanto più antica è una forma, ha delle
relazioni più strette col progenitore comune dei gruppi, e per conseguenza
ha col medesimo una somiglianza maggiore, essendo poscia divenuta più
divergente. Le forme estinte di rado sono direttamente intermedie fra le forme
esistenti; ma lo sono soltanto dietro un passaggio lungo e tortuoso per molte
altre forme estinte e differenti. È chiara da ciò la ragione del
trovarsi gli avanzi organici delle formazioni immediatamente consecutive più
affini fra loro di quelli delle formazioni separate; perchè le forme
sono più strettamente collegate insieme per mezzo della generazione:
e quindi è evidente che gli avanzi di una formazione intermedia debbono
essere intermedi nei loro caratteri.
Gli abitanti di ogni periodo successivo nella storia del mondo debbono aver
dominato i loro predecessori nella lotta per l'esistenza, essi perciò
sono più elevati nella scala della natura e la loro struttura sarà
divenuta generalmente più speciale ad ogni funzione; e ciò vale
a spiegare l'opinione generalmente professata dai paleontologi, che cioè
l'organizzazione nel suo complesso abbia progredito. Gli animali estinti e geologicamente
antichi somigliano fino ad un certo punto agli embrioni degli animali più
recenti della medesima classe, e questo fatto maraviglioso trova una facile
spiegazione nella nostra teoria. La successione dei medesimi tipi di struttura
sulle medesime superfici negli ultimi periodi geologici non è più
misteriosa e si spiega semplicemente per mezzo della ereditabilità.
Se le memorie geologiche sono dunque imperfette, come molti credono (e potrebbe
almeno dirsi che non è possibile provare che tali memorie siano molto
più perfette), le obbiezioni principali contro la teoria dell'elezione
naturale sono grandemente diminuite e confutate interamente. Del resto tutte
le principali leggi della paleontologia proclamano esplicitamente, a mio avviso,
che le specie furono prodotte per mezzo della generazione ordinaria; le vecchie
forme essendo state supplantate da nuove forme di vita perfezionate, prodotte
dalla variazione e dalla sopravvivenza del più adatto.
CAPO XII
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
La presente distribuzione non può spiegarsi per mezzo delle differenti condizioni fisiche - Importanza delle barriere - Affinità delle produzioni del medesimo continente - Centri di creazione - Mezzi di dispersione per cambiamenti del clima e del livello della terra e per circostanze accidentali - Dispersione avvenuta durante il periodo glaciale - Alternanza dei periodi glaciali al Nord e al Sud.
Considerando la distribuzione degli esseri organizzati sulla
superficie del globo, il primo fatto rilevante che richiama la nostra attenzione
è quello che la somiglianza o la diversità degli abitanti delle
varie regioni non può attribuirsi alle loro condizioni climatologiche,
nè ad altre condizioni fisiche. Quasi tutti gli autori che recentemente
studiarono codesto argomento pervennero a questa conclusione. Il solo caso dell'America
basterebbe a provare la verità di questa proposizione, perchè
se escludiamo le parti settentrionali, in cui le terre circumpolari sono quasi
continue, tutti gli autori convengono che una delle divisioni più fondamentali
nella distribuzione geografica è quella che esiste fra il nuovo mondo
e il vecchio. Però se noi viaggiamo sopra il vasto continente americano,
dalle parti centrali degli Stati Uniti fino all'estremo punto meridionale di
quel continente, noi incontriamo le condizioni più disparate; distretti
umidissimi, aridi deserti, alte montagne, pianure erbose, foreste, paludi, laghi
e grandi fiumi, con tutte le temperature possibili. Nel vecchio continente non
vi è certamente un clima, nè una condizione che non abbia il suo
riscontro nel nuovo mondo, - almeno con quelle relazioni più intime che
generalmente esige la medesima specie; perchè gli è uno dei casi
più rari quello di trovare un gruppo di organismi confinati in un luogo
piccolo, il quale abbia delle condizioni peculiari, anche solo in menomo grado;
per esempio, potrebbero citarsi delle piccole superfici nel vecchio mondo assai
più calde di qualunque altra dell'America, le quali ciò non ostante
non sono abitate da una fauna o da una flora speciale. Nonostante questo parallelismo
nelle condizioni del vecchio mondo e del nuovo, quanto non sono differenti le
loro produzioni attuali!
Quando noi confrontiamo sull'emisfero meridionale dei grandi tratti di terra
dell'Australia, dell'Africa meridionale, e dell'America meridionale occidentale,
fra le latitudini di 25° e 35°, noi troviamo quelle parti estremamente
conformi in tutte le loro condizioni, quantunque non sia possibile indicare
tre faune e tre flore più dissimili. Se facciasi il paragone delle produzioni
dell'America meridionale al 35° di latitudine sud, con quelle al 25°
di latitudine nord, le quali conseguentemente stanno sotto un clima molto diverso,
si osserva che esse sono assai più strettamente connesse fra loro che
non lo siano le produzioni dell'Australia e dell'Africa, sotto un clima quasi
uguale. Altri fatti analoghi si notano rispetto agli abitanti del mare.
Un secondo fatto segnalato che si presenta nella nostra rivista generale è
che le barriere d'ogni sorta e gli ostacoli alla libera migrazione sono in rapporti
stretti ed importanti colle differenze fra le produzioni delle varie regioni.
Noi lo vediamo nella differenza grande di quasi tutte le produzioni terrestri
dei due mondi, tranne le parti settentrionali dove le terre sono quasi congiunte
e dove, sotto un clima leggermente diverso, debbono essere avvenute libere migrazioni
per le forme adatte alle regioni temperate del nord, come oggi può verificarsi
per le produzioni esclusivamente artiche. Lo stesso fatto si osserva nella differenza
notevole esistente fra gli abitanti dell'Australia, dell'Africa e dell'America
meridionale alle medesime latitudini: perchè queste contrade sono isolate
fra loro nel miglior modo possibile. Anche sopra ciascun continente si trova
il medesimo fatto; perchè sui lati opposti di una catena di montagne
alte e continue, sui termini dei grandi deserti, e talora anche alle due sponde
dei larghi fiumi si incontrano produzioni differenti. Ma poichè le catene
di montagne, i deserti, ecc., non sono barriere insormontabili e non esistono
da sì lungo tempo come i mari che si frappongono ai continenti, le differenze
sono in grado inferiore a quelle che riscontransi nei diversi continenti.
Se ora esaminiamo il mare, troviamo la stessa legge. Le faune marine delle coste
orientali ed occidentali dell'America meridionale e centrale sono assai diverse;
assai poche specie di molluschi, di crostacei e di echinodermi sono loro comuni;
il Günther però ha recentemente dimostrato che ai lati opposti dell'istmo
di Panama circa il 30 per 100 delle specie sono le medesime, e questo fatto
ha condotto alcuni naturalisti all'idea che l'istmo fosse prima aperto. A ponente
delle coste di America si estende la vasta superficie di un oceano aperto, senza
un'isola che possa servire di stazione agli emigranti; al di là abbiamo
delle barriere di un'altra fatta e, non appena oltrepassato questo mare, noi
incontriamo nelle isole orientali del Pacifico un'altra fauna totalmente distinta.
Per modo che noi vediamo qui tre faune marine distribuite dal nord al sud in
linee parallele, non lontane l'una dall'altra, e in climi corrispondenti; ma,
essendo separate da barriere insuperabili di terra o di mare aperto, esse sono
affatto distinte. Procedendo poi più verso ponente, oltre le isole orientali
delle parti tropicali del Pacifico, non incontriamo barriere insuperabili ed
invece troviamo innumerevoli isole come luoghi di fermata, o coste continue,
finchè giungiamo alle coste d'Africa dopo di avere traversato un emisfero;
e in questo vasto spazio noi vediamo delle faune marine non bene definite nè
distinte. Benchè sì pochi animali marini siano comuni alle tre
faune prossime, ora nominate, dell'America orientale ed occidentale e delle
isole del Pacifico orientale, pure molti pesci si estendono dal mare Pacifico
fino al mare delle Indie, e molti molluschi sono comuni alle isole orientali
del Pacifico ed alle coste orientali dell'Africa, sotto meridiani quasi esattamente
opposti.
Un terzo fatto grande, che in parte si comprende nei riflessi precedenti, è
l'affinità delle produzioni del medesimo continente o di uno stesso mare,
quantunque le specie siano distinte nei loro vari punti e nelle loro varie stazioni.
È questa una legge della maggiore generalità, ed ogni continente
ne offre innumerevoli esempi. Nondimeno il naturalista viaggiando, per esempio,
dal nord al sud, non può mancare di riflettere al modo, secondo il quale
i gruppi successivi degli esseri specificamente distinti, ed evidentemente affini,
si rimpiazzano l'uno coll'altro. Egli vedrà delle razze distinte di uccelli,
fra loro molto affini, dotati di un canto simile, che costruiscono i loro nidi
in un modo analogo, e che hanno uova colorate quasi nello stesso modo. Le pianure
vicine allo stretto di Magellano sono abitate da una specie di Rhea (struzzo
americano), e al nord delle pianure della Plata vive un'altra specie del medesimo
genere; e non vi si trova alcuno struzzo vero, nè casoar elmuto, i quali
stanno sotto la medesima latitudine in Africa ed in Australia. In queste medesime
pianure della Plata noi vediamo l'Agouti e il Bizcacha, animali che hanno abitudini
quasi uguali a quelle delle nostre lepri e dei nostri conigli e appartengono
al medesimo ordine dei roditori, ma posseggono un tipo d'organizzazione perfettamente
americano. Se ascendiamo gli alti picchi delle Cordigliere, troviamo una specie
alpina di Bizcacha; e se esaminiamo le acque noi non troviamo il castoro o il
tipo muschiato, ma il Coypu ed il Capybara, che sono roditori del tipo americano.
Si potrebbero citare moltissimi altri esempi. Se consideriamo le isole lungo
le coste americane per quanto esse differiscano nella struttura geologica, i
loro abitanti, sebbene possano formare altrettante specie particolari, sono
essenzialmente del tipo americano. Or risaliamo addietro fino alle epoche passate,
e vedremo (come si dimostrò nel capo precedente) che i tipi americani
saranno prevalenti sul continente e nei mari dell'America. In questi fatti noi
ravvisiamo qualche profonda connessione organica, la quale prevale nello spazio
e nel tempo, sopra le regioni terrestri ed acquee, e rimane indipendente dalle
loro condizioni fisiche. Dovrebbe essere ben poco curioso quel naturalista che
non si sentisse ispirato a ricercare quale sia questa relazione.
Secondo la mia teoria, questa connessione è semplicemente la ereditabilità,
la quale produce, per quanto noi sappiamo positivamente, organismi affatto simili,
ovvero, come avviene nel caso delle varietà, quasi simili fra loro. La
dissomiglianza degli abitanti di diverse regioni può attribuirsi alle
modificazioni ottenute mediante l'elezione naturale e, in grado assai minore,
all'influenza diretta delle condizioni fisiche. Il grado di tale dissomiglianza
dipenderà dalla migrazione delle forme di vita più dominanti da
una regione in un'altra, dall'essere avvenuta questa migrazione più o
meno rapidamente e in tempi più o meno remoti, - dalla natura e dal numero
delle forme che più anticamente immigrarono - e dalla loro azione o reazione
nelle mutue loro lotte per l'esistenza, essendo la relazione fra organismo ed
organismo la più rilevante di tutte le relazioni, come ho notato altrove.
Così la grande importanza delle barriere consiste negl'impedimenti che
esse frappongono alla migrazione; sono dunque un elemento non meno essenziale
di quello del tempo, per il lento processo delle modificazioni mediante l'elezione
naturale. Le specie molto estese, ricche di individui, che già trionfarono
contro molti competitori nelle vaste regioni da esse occupate, avranno quindi
una probabilità maggiore di prendere nuovi posti, quando si diffondessero
in nuovi paesi. Nel nuovo loro soggiorno saranno esposte a condizioni nuove,
e frequentemente andranno soggette ad ulteriori modificazioni e perfezionamenti;
per tal modo diverranno sempre più vittoriose e produrranno nuovi gruppi
di discendenti modificati. Con questo principio della ereditabilità delle
modificazioni, è facile intendere perchè alcune sezioni di generi,
come pure dei generi interi, ed anche delle famiglie, siano confinate nelle
stesse aree, come si osserva comunemente.
Io non credo che esista una legge di sviluppo necessario, come notai nell'ultimo
capo. Siccome la variabilità di ogni specie è una facoltà
indipendente, e contribuirà colla elezione naturale al miglioramento
dell'individuo sol quando sia vantaggiosa all'individuo stesso nella sua lotta
complessa per l'esistenza, così il grado di modificazione nelle specie
differenti non sarà uniforme. Se, per esempio, un certo numero di specie,
che sono in concorrenza diretta con tutte le altre, emigrasse in corpo in una
nuova regione la quale in seguito divenisse isolata, esse non sarebbero soggette
a modificazioni che in piccolo grado; perchè nè la migrazione,
nè l'isolamento in sè possono recare alcuna conseguenza. Questi
principii influiscono solamente nel mettere gli organismi in nuove relazioni
scambievoli e, in grado assai minore, per le loro relazioni colle condizioni
fisiche della regione. Nell'ultimo capitolo abbiamo veduto che alcune forme
hanno conservato caratteri quasi uguali, fino da un periodo geologico immensamente
remoto; nello stesso modo certe specie emigrarono sopra vasti paesi e non si
modificarono gran fatto, o rimasero inalterate.
Secondo questi concetti è chiaro che le diverse specie di un medesimo
genere, benchè dimorino nelle parti più distanti del mondo, debbono
in origine essere partite da una stessa sorgente, essere prodotte dal medesimo
progenitore. Rispetto poi a quelle specie, che negli interi periodi geologici
non subirono che piccole modificazioni, non è improbabile che emigrassero
da una stessa regione; perchè nei grandi cambiamenti geografici e climatologici
che avvennero dai tempi più antichi, tali migrazioni poterono effettuarsi.
Ma in molti altri casi, nei quali abbiamo ragione di pensare che le specie di
un genere furono prodotte in epoche relativamente più vicine a noi, questa
difficoltà diviene molto grave. Ora è anche evidente che gl'individui
della medesima specie, benchè oggi si trovino in regioni distanti ed
isolate, debbono essere partiti da un luogo solo, quello cioè in cui
i loro progenitori furono prodotti; perchè, come si disse nell'ultimo
capitolo, è incredibile che individui identici possano essersi formati,
mediante la elezione naturale, da parenti specificamente diversi.
SINGOLI CENTRI DI SUPPOSTA CREAZIONE
Frattanto noi siamo giunti alla questione se le specie siano
state create in un solo punto o in diversi punti della superficie della terra;
questione che è stata ampiamente discussa dai naturalisti. Certamente
vi sono molti casi, nei quali riesce assai difficile il comprendere, come una
medesima specie possa avere emigrato da qualche punto nei diversi luoghi distanti
ed isolati in cui attualmente si trova. Eppure la semplicità dell'idea
che ogni specie fu in origine prodotta in una sola regione appaga lo spirito.
Chi la respinge nega la vera causa della generazione ordinaria, insieme alla
migrazione susseguente, e ricorre all'azione di un miracolo. Generalmente si
ammette che, nella pluralità dei casi, l'area abitata da una specie sia
continua; e quando una pianta o un animale abita due punti tanto lontani l'uno
dall'altro, o separati da un intervallo di tal sorta che non può essere
agevolmente sorpassato colla migrazione, questo fatto si riguarda come una cosa
rimarchevole ed eccezionale. La capacità di emigrare attraverso il mare
è forse limitata più distintamente nei mammiferi terrestri che
in tutti gli altri esseri organizzati; e perciò non abbiamo alcun caso
di mammiferi che abitino luoghi assai distanti sul globo. Non vi sarà
geologo che dubiti, riguardo a questo soggetto, che la Gran Bretagna non fosse
un tempo unita all'Europa, e per questo motivo possieda i medesimi quadrupedi.
Ma se le stesse specie possono essere prodotte in due punti separati, perchè
non troveremo noi un solo mammifero comune all'Europa e all'Australia, o all'America
meridionale? Le condizioni della vita sono quasi uguali, per modo che una moltitudine
di animali europei e di piante furono naturalizzati in America e nell'Australia,
ed alcune di queste piante aborigene sono assolutamente identiche nei luoghi
più distanti dell'emisfero boreale e dell'australe? La risposta, che
credo sia calzante, consiste in ciò, che i mammiferi non sono atti ad
emigrare, e che per l'opposto alcune piante, coi loro diversi mezzi di dispersione,
valicarono gli estesi ed interrotti spazi frapposti. La grande e decisa influenza
che le barriere d'ogni fatta esercitarono sulla distribuzione, si spiega soltanto
nell'ipotesi che la grande maggioranza delle specie avesse origine da una parte
sola, e che non fossero tutte capaci di emigrare dall'altra parte. Alcune poche
famiglie, molte sotto-famiglie, un gran numero di generi e una quantità
anche maggiore di sezioni di generi, sono circoscritte in una sola regione;
e parecchi naturalisti hanno osservato che i generi più naturali, vale
a dire quei generi in cui le specie sono più affini fra loro, generalmente
sono locali, oppure che, ove siano molto estesi, la loro estensione è
continua. Quale strana anomalia non sarebbe, se, discendendo di un grado più
basso nella serie fino agl'individui di una stessa specie, una regola direttamente
opposta prevalesse; e le specie non fossero locali, ma bensì prodotte
in due o più aree affatto distinte!
Quindi mi sembra, e in ciò concordemente con molti altri naturalisti,
che la supposizione più probabile sia che ogni specie sia stata prodotta
in una sola regione, dalla quale abbia poi emigrato di mano in mano che lo permisero
le sue attitudini ad emigrare e i suoi mezzi di esistenza, sotto le condizioni
passate e presenti. Certamente conosciamo molti casi in cui non si sa spiegare
in che modo una medesima specie possa essere passata da un punto ad un altro.
Ma i cambiamenti geografici e climatologici, che avvennero certamente nelle
recenti epoche geologiche, debbono avere interrotta o avere resa discontinua
la estensione di molte specie che in origine era continua. Per modo che noi
siamo ridotti a considerare se le eccezioni alla continuità della estensione
siano tanto frequenti e sì gravi che ci costringano ad abbandonare l'opinione,
resa probabile dalle considerazioni generali, che ogni specie fu prodotta in
una sola area e da quella emigrò fin dove potè giungere. Sarebbe
inutilmente tedioso il discutere tutti i casi eccezionali di quelle specie che
ora vivono in luoghi separati e distinti; nè pel momento pretendo che
possa darsi qualche spiegazione a molti di questi casi. Ma, dopo alcune osservazioni
preliminari, discuterò alquanto sopra parecchie delle più stringenti
categorie di fatti; vale a dire l'esistenza di una stessa specie sulle cime
delle catene di monti molto lontane, e in luoghi distanti delle regioni artiche
ed antartiche; indi (nel capo seguente) la vasta distribuzione delle produzioni
di acqua dolce; in terzo luogo la presenza delle medesime specie terrestri sulle
isole e nei continenti, benchè separate da centinaia di miglia di mare
aperto. Se la esistenza delle stesse specie in punti distanti ed isolati della
superficie terrestre può in molti casi spiegarsi, partendo dal principio
che ogni specie abbia migrato da un solo centro di origine: allora, ove si rifletta
alla nostra ignoranza riguardo agli antichi mutamenti climatologici e geografici
e ai diversi mezzi accidentali di trasporto, mi pare incomparabilmente più
sicura l'opinione che questa sia la regola generale.
Nel discutere questo argomento potremo nel medesimo tempo considerare un punto
ugualmente importante per noi, cioè, se le varie specie distinte di un
genere, le quali secondo la mia teoria sono tutte derivate da un progenitore
comune, possano essersi allontanate dall'area abitata dal loro progenitore (soggiacendo
a modificazioni durante qualche fase della loro migrazione). Se potesse dimostrarsi
che avviene quasi invariabilmente che una regione, in cui la massima parte degli
abitanti si trova in stretti rapporti od appartiene ai medesimi generi delle
specie di una seconda regione, probabilmente ricevette in qualche antico periodo
degli immigranti provenienti da questa regione, la mia teoria ne sarebbe rafforzata;
perchè allora sarebbe assai facile capire, seguendo il principio delle
modificazioni ereditarie, in che modo gli abitanti di una regione potessero
presentare qualche affinità con quelli di un'altra dalla quale trassero
origine. Un'isola vulcanica, per esempio, sollevata e formata a poche centinaia
di miglia dal continente, probabilmente ne riceverebbe nel corso dei tempi alcuni
abitatori, e i loro discendenti, benchè modificati, sarebbero ancora
affini manifestamente, per l'eredità, cogli abitanti di quel continente.
I fatti di tal natura sono comuni e rimangono inesplicabili secondo l'ipotesi
delle creazioni indipendenti, come vedremo in seguito più completamente.
Questa idea delle relazioni esistenti fra le specie di una regione e quelle
di un'altra, non differisce molto (sostituendo alla parola specie la parola
varietà) da quella che recentemente fu esposta in uno scritto ingegnoso
del Wallace, nel quale egli concludeva: "Ogni specie ha avuto un'origine
coincidente, vuoi per il luogo, vuoi per il tempo, con quella di una specie
molto affine". Ed io ora so, per una corrispondenza scambiata con lui,
che egli attribuisce questa coincidenza alla generazione diretta, con successive
modificazioni.
Le precedenti osservazioni sui "centri di creazione singoli e multipli"
non risolvono direttamente un'altra questione congenere, cioè, se tutti
gl'individui di una stessa specie siano provenuti da una sola coppia, o da un
solo ermafrodito, oppure se discendano da molti individui creati simultaneamente,
come alcuni autori hanno supposto. Rispetto a quegli esseri organici che non
s'incrociano mai (quando ciò sussista), seconda la mia teoria, le specie
debbono essersi formate per una successione di varietà perfezionate,
che non si saranno mai congiunte con altri individui o varietà, ma che
si saranno surrogate l'una dopo l'altra; cosicchè, ad ogni successivo
stadio di modificazione e di perfezionamento, tutti gli individui di ogni varietà
sarebbero derivati da un solo parente. Ma nel maggior numero dei casi, cioè
riguardo a tutti quegli organismi che abitualmente si accoppiano per ogni riproduzione
o che spesso si incrociano, io credo che durante il lento processo di modificazione
gl'individui di ogni specie si saranno conservati quasi uniformi coll'incrociamento,
per modo che molti individui si saranno modificati simultaneamente, e tutto
il complesso delle loro modificazioni non dovrà attribuirsi, in ogni
stadio, alla discendenza da un solo progenitore. Per chiarire il mio concetto
dirò che i nostri cavalli inglesi da corsa differiscono leggermente da
quelli delle altre razze; ma essi non debbono la loro differenza e la loro superiorità
alla provenienza da una sola coppia, ma alla cura continua nello scegliere ed
addestrare molti individui nel corso di molte generazioni.
Prima di discutere le tre classi di fatti da me scelti perchè offrono
la maggiore difficoltà nella teoria dei "singoli centri di creazione",
debbo dire poche parole sui mezzi della dispersione.
MEZZI DI DISPERSIONE
C. Lyell ed altri autori trattarono abilmente di questo soggetto.
Qui posso fare soltanto un brevissimo estratto dei fatti più importanti.
Il cambiamento di clima deve avere esercitato una grande influenza sulla migrazione.
Quando il clima era diverso in una regione, la migrazione poteva compiersi in
una grande scala, mentre attualmente il passaggio è impedito; io dovrò
nullameno discutere questo ramo del soggetto con qualche dettaglio. I mutamenti
di livello nel suolo avranno potuto riescire altamente efficaci. Uno stretto
istmo, ad esempio, attualmente separa due faune marine; supponiamo che si sommerga
o che sia stato sommerso in altre epoche e le due faune si mescoleranno o potranno
essersi confuse anticamente. Dove oggi si estende il mare possono essere state
congiunte le isole ed anche i continenti fra loro, e così le produzioni
terrestri erano libere di passare da un luogo all'altro. Nessun geologo contesterà
che nel periodo degli organismi esistenti avvennero grandi oscillazioni di livello.
Edoardo Forbes sostiene che tutte le isole dell'Atlantico erano recentemente
unite all'Europa o all'Africa, e così che l'Europa si congiungeva coll'America.
Alcuni autori hanno anche supposto che esistettero delle terre a guisa di ponti
in ogni mare le quali legavano quasi tutte le isole ai continenti. Se dovessero
confermarsi gli argomenti addotti dal Forbes, si dovrebbe ammettere che non
esiste forse un'isola sola che non fosse in epoca recente unita a qualche continente.
Questa opinione taglia il nodo Gordiano della dispersione delle medesime specie
nei punti più distanti e rimuove molte difficoltà; ma, per quanto
mi è dato giudicare, noi non siamo autorizzati ad ammettere queste enormi
mutazioni geografiche nel periodo recente delle specie attuali. Mi sembra che
non ci manchino molte prove delle grandi oscillazioni di livello dei nostri
continenti; ma non già di cambiamenti così vasti nella loro posizione
ed estensione quali avrebbero per fermo dovuto verificarsi, quando nel periodo
recente essi fossero stati congiunti l'uno coll'altro e colle diverse isole
oceaniche interposte. Io ammetto pienamente l'esistenza primitiva di molte isole
che ora giacciono sotto il mare, le quali possono aver servito come luoghi di
riposo alle piante e a molti animali nella loro migrazione. Nei mari in cui
si produce il corallo, queste isole sommerse sono presentemente indicate dai
banchi circolari di corallo o dagli atolli che lo sormontano. Quando si potrà
stabilire completamente, e credo che un giorno vi giungeremo, che ciascuna specie
è partita da un solo punto di origine, e quando, nel corso del tempo,
noi impareremo qualche cosa di preciso intorno ai mezzi di distribuzione, allora
saremo in caso di speculare con sicurezza quale sia stata la primitiva estensione
delle terre.
Ma non credo che si arriverà mai a provare che i continenti, che sono
al presente affatto separati, abbiano potuto in un'epoca ancora recente essere
uniti fra loro senza interruzione o quasi in continuità; e che si congiungessero
inoltre colle molte isole oceaniche esistenti. Parecchi fatti riguardanti la
distribuzione mi sembrano contrari all'opinione di quelle prodigiose rivoluzioni
geografiche nel periodo recente, considerate necessarie secondo le idee esposte
dal Forbes ed appoggiate dai molti suoi seguaci. Questi fatti sono: la grande
differenza delle faune marine sui lati opposti di ogni continente, l'intima
relazione degli abitanti terziari di parecchie terre ed anche di diversi mari
coi loro abitanti attuali; un certo grado di relazione fra la distribuzione
dei mammiferi e la profondità del mare (come vedremo fra poco), ed altri
fatti analoghi. La natura e le proporzioni relative degli abitanti delle isole
oceaniche mi sembrano pure in opposizione coll'ipotesi dell'antica loro continuità
coi continenti. Anche la loro composizione, quasi universalmente vulcanica,
viene a contrastare coll'idea che esse siano frammenti di continenti sommersi;
e quando esse fossero esistite come catene di monti sulle terre, alcune almeno
di queste isole sarebbero formate di granito, di schisti metamorfici, di antiche
roccie fossilifere ed altre roccie consimili, come le altre elevazioni montuose,
invece di essere semplici coni di materie vulcaniche.
Debbo ore dire qualche cosa di quelli che furono chiamati mezzi accidentali,
e che più propriamente avrebbero a dirsi mezzi occasionali di distribuzione.
Mi limiterò alle sole piante. Nelle opere di botanica certe piante si
riguardano come le più adatte ad una estesa diffusione; ma la maggiore
o minore difficoltà di essere trasportate a traverso del mare può
dirsi quasi completamente ignota. Prima delle poche esperienze da me istituite
coll'aiuto di Berkeley, non si sapeva come i semi delle piante potessero resistere
alla dannosa azione dell'acqua del mare. Con molta sorpresa trovai che, sopra
87 sorta di semi, 64 germogliarono dopo una immersione di 28 giorni, e alcuni
pochi sopravvissero ad una immersione di 137 giorni. Fa d'uopo notare che certi
ordini ne soffrono assai più di altri; si provarono nove leguminose,
le quali resistettero malamente all'acqua salata, ad eccezione di una sola;
sette specie degli ordini affini delle idrofillee e delle polemoniacee rimasero
tutte estinte dopo l'immersione di un mese. Per maggiore sicurezza, avevo scelto
principalmente i semi piccoli, spogliati della loro capsula o del frutto; ma
siccome tutti questi semi scendevano al fondo in pochi giorni, non avrebbero
potuto attraversare grandi tratti di mare galleggiando, sia che rimanessero
offesi dall'acqua del mare, sia che non ne risentissero alcun danno. In seguito
esperimentai alcuni frutti con capsule più grandi ed alcuni galleggiarono
per lungo tempo. È noto che il legno verde sta a galla meno facilmente
del legno secco; e pensai che le onde potevano gettare a terra delle piante
e dei rami e deporli sui banchi ove si sarebbero disseccati; indi una nuova
marea li avrebbe ripresi e restituiti al mare. Perciò feci disseccare
i tronchi e i rami di 94 piante coi loro frutti maturi e li abbandonai all'acqua
del mare. La maggior parte calò a fondo rapidamente, ma alcuni, che quando
erano verdi rimanevano alla superficie per un tempo molto breve, se si disseccavano
vi rimanevano più lungamente; per esempio, delle nocciuole mature si
affondarono immediatamente, ma secche galleggiarono per 90 giorni, indi essendo
piantate germogliarono. Una pianta di asparago colle bacche mature galleggiò
per 23 giorni, se invece era secca galleggiava per 90 giorni, e dopo i suoi
semi germogliavano. I semi maturi di Helosciadium andarono al fondo in due giorni,
ma se erano secchi restavano a galla per circa 90 giorni e in seguito vegetavano.
Infine, sopra 94 piante secche, 18 galleggiarono pei primi 28 giorni ed alcune
di esse stettero alla superficie per un periodo molto più lungo. Così
64/87 semi diversi germogliarono dopo un'immersione di 28 giorni, e 18/94 piante
con frutta mature galleggiarono (ma non tutte appartenenti alla medesima specie,
come nell'esperienza precedente) per 28 giorni circa, dopo il disseccamento;
e per quanto possiamo arguire da un numero sì scarso di fatti, sarebbe
a concludersi che i semi di 14/100 piante di ogni paese possono essere trasportati
dalle correnti del mare per 28 giorni e conservare ad onta di ciò la
loro facoltà di germogliare. Nell'Atlante fisico di Johnston la velocità
media delle varie correnti dell'Atlantico è di 33 miglia al giorno (alcune
di queste correnti percorrono fino a 60 miglia al giorno); e stando a questa
media i semi delle 14/100 piante di un dato paese potrebbero essere trasportati
fino ad una distanza di 924 miglia di mare, verso un'altra regione; e quando
fossero giunti alla spiaggia e un vento di mare li trasportasse in un luogo
favorevole, essi vi germoglierebbero.
Posteriormente alle mie esperienze, Martens ne fece alcune altre consimili,
ma in un modo molto migliore, perchè egli riponeva i semi entro una cassetta
in balìa delle onde, cosicchè si trovavano alternativamente bagnati
ed esposti all'aria, come le piante galleggianti. Egli provò 98 sorta
di semi, quasi tutti diversi da quelli che furono da me sperimentati; ma scelse
molti frutti grossi e semi di piante che vegetano in vicinanza al mare; locchè
deve aver contribuito ad aumentare la durata media del tempo, durante il quale
essi possono galleggiare e resistere all'azione nociva dell'acqua salsa. Ma
egli d'altronde non fece in precedenza disseccare le piante o i rami colle loro
frutta; locchè avrebbe permesso, come abbiamo osservato, ad alcune di
esse il conservarsi alla superficie più lungamente. Ne risultò
che 18/98 di quei semi galleggiarono per 42 giorni e furono poscia capaci di
germogliare. Ma non dubito che le piante esposte ai flutti non debbano galleggiare
per un tempo minore di quelle che nei nostri esperimenti erano protette contro
i moti violenti. Perciò potrebbe forse ammettersi con sicurezza che i
semi di 10/100 delle piante di una flora, dopo di essere stati disseccati, potrebbero
essere trasportati sul mare per uno spazio di 900 miglia e poscia germoglierebbero.
Il fatto che i frutti più grossi spesso galleggiano più lungamente
dei piccoli è interessante, nel riflesso che le piante fornite di semi
o di frutti voluminosi difficilmente potrebbero essere trasportate altrove con
mezzi diversi; e Alfonso De Candolle ha dimostrato che queste piante hanno generalmente
poca estensione.
Ma i semi possono essere occasionalmente trasportati in un altro modo. Dei legni
galleggianti sono gettati dal mare sopra quasi tutte le isole, anche su quelle
che stanno nel mezzo degli oceani più vasti; e i nativi delle isole di
corallo del Pacifico si procurano le pietre, di cui formano i loro utensili,
solamente dalle radici degli alberi che vengono alla spiaggia, e su queste pietre
viene imposta una tassa importante da quei governi. Ho trovato che, se nelle
radici degli alberi sono penetrate delle pietre di forme irregolari, negl'interstizi
si racchiudono spessissimo delle piccole particelle di terra, e con tale perfezione,
che non se ne potrebbe perdere una sola nei tragitti più lunghi. Da una
piccola porzione di terra, così completamente rinchiusa nel tronco di
una quercia dell'età di 50 anni circa, germogliarono tre piante di cotiledoni;
e io sono ben certo dell'accuratezza di questa osservazione. Posso anche dimostrare
che gli uccelli morti, quando sono così trasportati sul mare, sfuggono
talvolta all'immediata distruzione; e molte sorta di sementi conservano per
molto tempo la loro vitalità, nel gozzo di questi uccelli galleggianti.
I piselli e le veccie, per esempio, muoiono in pochi giorni quando siano immersi
nell'acqua del mare; ma alcuni di questi semi che stavano raccolti nel gozzo
di un colombo che aveva galleggiato sopra un'acqua salata artificiale per 30
giorni, con mia meraviglia germogliarono quasi tutti.
Gli uccelli viventi possono certamente essere gli agenti più efficaci
pel trasporto delle sementi. Conosco molti fatti che provano quanto spesso avvenga
che uccelli di molte specie siano trasportati dai venti a grandi distanze sopra
l'oceano. In tali circostanze possiamo fondatamente valutare la rapidità
del loro volo a 35 miglia l'ora, ed alcuni autori credono che sia anche maggiore.
Non ho mai veduto un solo esempio in cui i grani nutrienti passassero inalterati
per gl'intestini di un uccello; ma i semi dei frutti passano intatti anche negli
organi digestivi del tacchino. Nel corso di due mesi raccolsi nel mio giardino
12 sorta di semi, che estrassi dagli escrementi di alcuni piccoli uccelli; tutti
questi semi sembravano perfetti, anzi, avendone seminati alcuni, germogliarono.
Ma conviene riflettere al fatto seguente, che è assai più importante.
Il gozzo degli uccelli non produce succo gastrico e in esso i semi non soffrono
menomamente, come risulta dalle mie esperienze, per cui non perdono la facoltà
di vegetare. Inoltre si conosce positivamente che, quando un uccello ha trovato
e divorato molto nutrimento, tutti i grani non passano nello stomaco che dopo
dodici od anche diciotto ore. In questo intervallo un uccello può facilmente
essere trasportato alla distanza di 500 miglia, e siccome sappiamo che i falchi
assalgono gli uccelli stanchi, può in tal modo spandersi il contenuto
dei loro gozzi lacerati. Alcuni falchi e i gufi mangiano la loro preda senza
metterla in brani, e dopo un intervallo di dodici o di venti ore essi rigettano
le pallottole dei peli e delle penne, le quali racchiudono semi atti a germogliare,
come conosciamo dalle prove fatte nel Giardino Zoologico. Alcuni semi di avena,
di frumento, di miglio comune, di miglio di Canaria, di canapa, di trifoglio
e di bietola germogliarono dopo di essere rimasti per venti o ventun ore negli
stomachi di vari uccelli rapaci: e due semi di bietola si svilupparono dopo
di esservi dimorati per due giorni e quattordici ore. È noto che i pesci
d'acqua dolce si cibano dei semi di molte piante acquatiche e terrestri: i pesci
sono spesso divorati dagli uccelli e in tal modo i semi possono essere trasportati
da un luogo all'altro. Io posi molte sorta di sementi negli stomachi di parecchi
pesci morti, e diedi questi pesci alle aquile pescatrici, alle cicogne e ai
pellicani; questi uccelli dopo un intervallo(24) di molte ore o rigettarono
i semi colle pallottole, o li emisero insieme ai loro escrementi; e diversi
semi conservarono la loro facoltà di germogliare. Certi semi però
erano sempre estinti in questo processo.
Le locuste talvolta vengono portate dal vento a grande distanza da terra; io
stesso ne presi una a 370 miglia dalla costa africana, e mi fu detto che altre
sono state raccolte a distanze ancor maggiori. R. T. Lowe fece sapere a C. Lyell
che nel novembre 1844 stormi di locuste visitarono l'isola di Madera. Esse vi
arrivarono in quantità ingente, così fitte come i fiocconi di
neve durante la più violenta bufera, e si estendevano tanto in alto quanto
portava il telescopio. Per due o tre giorni girarono lentamente intorno all'isola,
disposte in una elisse del diametro di almeno cinque o sei miglia, e si ponevano
di notte sugli alberi più alti che ne erano interamente coperti. Poi
scomparvero sul mare così rapidamente com'erano apparse, e non hanno
di poi mai più visitata l'isola. Nella colonia Natal credesi da alcuni,
ma senza prove sufficienti, che cogli escrementi delle locuste, che visitano
spesso quel paese in grandi stormi, siano introdotti nelle loro praterie dei
semi dannosi di zizzania. Anzi un certo Weale mi ha spedito in una lettera una
piccola quantità di queste pallottole disseccate, ed io ne estrassi al
microscopio parecchi semi, da cui allevai sette piante erbacee, appartenenti
a due specie di due generi. Uno stormo quindi di locuste, come quello che ha
visitato Madera, può essere facilmente il mezzo col quale parecchie specie
di piante giungono in un'isola molto discosta da un continente.
Benchè i becchi ed i piedi degli uccelli siano generalmente molto netti,
pure talvolta la terra vi aderisce. Una volta io levai 61 grani ed un'altra
volta 22 grani di terra secca argillosa dal piede di una pernice, ed in essa
trovai una pietruccia grossa come un seme di veccia. Il seguente esempio è
ancora migliore. Da un amico mi fu spedito il piede di una beccaccia, a cui
aderiva un poco di terra secca, che pesava soli 9 grani, ma questa conteneva
il seme del Juncus bufonius, il quale germogliò e fiorì. Il signor
Swaysland di Brighton, il quale durante gli scorsi quarant'anni ha prestato
molta attenzione ai nostri uccelli di passaggio, mi assicura di avere ucciso
più volte delle cutrettole, dei mignattini e delle sassaiuole al loro
arrivo prima che si poggiassero sopra il terreno inglese, e di aver trovato
più volte ai loro piedi dei piccoli grumi di terra. Molti fatti potrebbero
addursi per dimostrare come il terreno sia dappertutto zeppo di semi. Porterò
un esempio. Il prof. Newton mi mandò la gamba della Caccabis rufa che
era ferita e non poteva volare; intorno alla gamba ferita ed al piede erasi
raccolto un grumo di terra indurita, il quale, quando fu levato, pesava sei
once e mezza. Questa terra era stata conservata per tre anni; e dopo che fu
sminuzzata, annacquata e posta sotto una campana di vetro, spuntarono non meno
di 82 piante. V'erano 12 monocotiledoni, tra cui l'avena comune ed almeno una
graminacea, e 70 dicotiledoni, le quali, a giudicare dalle giovani foglie, appartenevano
almeno a tre diverse specie. Di fronte a questi fatti possiamo noi dubitare
che i molti uccelli che annualmente dalle burrasche vengono portati a grande
distanza sul mare, e che ogni anno migrano, ad esempio, i milioni di quaglie
attraverso al Mediterraneo, portino occasionalmente un paio di semi ai loro
piedi nascosti nel sucidume? Ma tra poco dovrò ritornare su questo argomento.
Sappiamo che i grandi ghiacci galleggianti contengono talvolta terra e sassi,
ed hanno anche trasportato dei rami, delle ossa e dei nidi di uccelli terrestri;
quindi è assai probabile che essi possano trasportare accidentalmente
anche dei semi da una parte all'altra delle regioni artiche ed antartiche come
Lyell osservava; e durante il periodo glaciale da un luogo all'altro delle attuali
regioni temperate. Il numero straordinario di specie di piante che sono comuni
all'Europa e che si trovano nelle isole Azzorre, in confronto delle piante di
altre isole oceaniche più vicine al continente e, come notava il Watson,
il carattere in certo modo settentrionale della flora di quelle isole, rispetto
alla latitudine, mi fece nascere il sospetto che esse siano state parzialmente
popolate da semi portati dai ghiacci nell'epoca glaciale. Dietro un mio suggerimento,
sir C. Lyell scrisse all'Hartung per chiedergli se egli avesse osservato dei
massi erratici sopra queste isole, ed egli rispose di aver trovato dei grandi
frammenti di roccie granitiche e di altre roccie, che non sono proprie dell'Arcipelago.
Quindi noi possiamo fondatamente dedurre che i ghiacci trasportarono nei tempi
primitivi le loro pesanti roccie sulle coste di queste isole, ed è almeno
possibile che essi vi abbiano anche trasportato i semi delle piante nordiche.
Pensando che questi vari mezzi di trasporto, e parecchi altri che senza dubbio
sono a scoprirsi, furono in azione un anno dopo l'altro per secoli e per centinaia
di migliaia d'anni, a mio avviso sarebbe un fatto portentoso se molte piante
non fossero in tal modo ampiamente disseminate. Questi mezzi di trasporto sono
detti talvolta accidentali, ma ciò non è esatto; le correnti del
mare non sono accidentali, nè accidentale è la direzione dei venti
prevalenti. Potrebbe osservarsi che questi mezzi di trasporto non sarebbero
atti a spargere i semi a distanze molto grandi; perchè i semi non conservano
la loro vitalità, quando siano esposti per lungo tempo all'azione dell'acqua
del mare: nè potrebbero conservarsi a lungo nel gozzo o negli intestini
degli uccelli. Questi mezzi però basterebbero per trasporti occasionali,
per tratti di mare di parecchie centinaia di miglia, da un'isola all'altra,
o da un continente alle isole vicine, ma non già fra due continenti lontani.
Le flore di continenti discosi l'uno dall'altro non potrebbero frammischiarsi,
con questi mezzi, ad un alto grado; ma rimarrebbero distinte, come lo sono presentemente.
Le correnti nel loro corso non potrebbero mai trasportare semi dall'America
settentrionale alla Gran Bretagna, quantunque esse li trasportino dall'India
occidentale alle nostre coste occidentali, ove giunti, quando non siano stati
estinti per la lunga immersione nelle acque salate, non possono sostenere il
nostro clima. Quasi ogni anno uno o due uccelli di terra vengono tradotti sopra
l'intero Oceano Atlantico dall'America settentrionale alle coste occidentali
dell'Irlanda o dell'Inghilterra; ma i semi non possono trasportarsi da questi
viaggiatori che con un solo mezzo, cioè uniti alla terra, che si attacca
ai loro piedi, il qual caso è in se stesso molto raro. Ma anche allora,
quanto piccola non sarebbe la probabilità che il seme cadesse sopra un
terreno favorevole, e potesse giungere a maturità! Ma sarebbe un grande
errore l'arguire che un'isola poco popolata non potrebbe ricevere nuovi abitanti
con mezzi analoghi, benchè situata più lontana dal continente,
dal fatto che un'isola bene popolata, come la Gran Bretagna, non ha ricevuto
negli ultimi pochi secoli, per quanto ci è noto, alcuni immigranti dall'Europa
(e ciò sarebbe assai difficile a provarsi) o da qualche altro continente,
per mezzo di occasionali circostanze. Di venti semi od animali trasportati in
un'isola, anche meno popolata di forme della Gran Bretagna, forse uno solo sarebbe
stato adatto alla nuova sua dimora da rimanervi naturalizzato. Ma questo non
sarebbe, mi sembra, un argomento valido contro gli effetti dei mezzi di trasporto
occasionali, nel lungo corso delle epoche geologiche, in un'isola che si fosse
sollevata e prima che il numero de' suoi abitanti fosse divenuto completo. Sopra
qualunque terra sterile, in cui vivano pochi insetti ed uccelli distruggitori,
oppure che ne sia affatto priva, non v'ha dubbio che ogni seme che vi giunga
fortuitamente, se sia adatto al nuovo clima, vi germoglierà e sopravviverà.
DISPERSIONE NEL PERIODO GLACIALE
L'identità di molte piante ed animali sulle cime di
monti separati da centinaia di miglia di pianure, dove queste specie alpine
non potrebbero vivere, è uno dei più segnalati casi noti della
esistenza delle medesime specie in punti distanti, senza che via sia un'apparente
possibilità che esse abbiano emigrato da un sito all'altro. Invero è
un fatto rimarchevole il vedere tante piante della stessa specie vivere sulle
regioni nevose delle Alpi o dei Pirenei, e insieme nelle estreme parti settentrionali
dell'Europa; ma è assai più singolare che le piante delle Montagne
Bianche negli Stati Uniti di America siano tutte uguali a quelle del Labrador,
e quasi le medesime di quelle delle più alte montagne d'Europa, come
osservò il dott. Asa Gray. Fino dal 1747 questi fatti persuasero il Gmelin
che le stesse specie dovevano essere state create indipendentemente, in parecchi
punti distinti; e noi avremmo potuto conservare quest'opinione, se l'Agassiz
ed altri non avessero richiamato la più viva attenzione sul periodo glaciale,
che ci porge una semplice spiegazione di questi fatti, come ora vedremo. Noi
abbiamo ogni sorta di prove immaginabili, nel regno organico e nell'inorganico,
che in un periodo geologico molto recente l'Europa centrale e l'America settentrionale
soggiacquero ad un clima artico. Le rovine di una casa incendiata non ce ne
narrano la storia più esattamente di ciò che vediamo nelle montagne
della Scozia e della Gallia coi loro fianchi striati, colle loro superfici liscie,
e coi loro massi erratici, trasportati dalle correnti di ghiaccio che riempivano
totalmente le vallate vicine. Il clima d'Europa si è cambiato tanto profondamente,
che nell'Italia settentrionale le gigantesche morene, abbandonate dagli antichi
ghiacciai, sono ricoperte di vigne e di grano. Sopra una gran parte degli Stati
Uniti i massi erratici e le roccie striate dai ghiacci galleggianti o da quelli
di costa ci rivelano chiaramente un antico periodo freddo.
La influenza del clima glaciale sulla distribuzione degli abitanti dell'Europa,
quale fu esposta con mirabile chiarezza da Edoardo Forbes fu considerevole.
Ma noi ne seguiremo più facilmente gli effetti supponendo che un nuovo
periodo glaciale sia cominciato e si sia compiuto lentamente, come accadde in
epoca remota. A misura che il freddo aumenterà e che ogni zona più
settentrionale si renderà più adatta agli esseri delle regioni
artiche, e meno acconcia agli antichi abitanti che vi trovavano un clima più
temperato, questi ultimi saranno cacciati dalle artiche produzioni, che occuperanno
il loro posto. Gli abitanti dei paesi più temperati saranno costretti
nel medesimo tempo ad incamminarsi verso il sud, finchè non incontrino
barriere insormontabili, nel qual caso periranno. Le montagne saranno coperte
di neve e di ghiaccio, e i loro antichi abitanti alpini scenderanno nelle pianure.
Per tutto quel tempo in cui il freddo avrà raggiunto il suo massimo grado,
avremo una fauna e una flora artica uniforme, che si estenderà sulle
parti centrali dell'Europa fino al sud delle Alpi e dei Pirenei, e penetrerà
anche nella Spagna. Le attuali regioni temperate degli Stati Uniti saranno pure
invase dalle piante e dagli animali del nord, e questi saranno quasi uguali
a quelli dell'Europa; perchè gli abitanti circumpolari, che noi supponiamo
abbiano viaggiato dappertutto verso il mezzogiorno, sono singolarmente uniformi
tutto all'intorno del globo.
Non appena il caldo ritorni, le forme artiche retrocederanno verso il nord,
e saranno seguite nella loro ritirala dalle produzioni delle regioni più
temperate. E di mano in mano che la neve si scioglierà alle basi dei
monti le forme artiche occuperanno il suolo scoperto e non gelato, ascendendo
nei monti ad altezze sempre maggiori quanto più il calore aumenti, mentre
le altre forme identiche continueranno il loro viaggio al nord. Perciò
quando la temperatura sia ridivenuta completamente calda, le medesime specie
artiche, le quali ultimamente avevano vissuto riunite in corpo sulle pianure
del Vecchio Mondo e del Nuovo, rimarranno isolate sulle cime delle montagne
fra loro distanti (essendo state estinte su tutte le altezze minori) e nelle
regioni artiche dei due emisferi.
Così possiamo spiegare l'identità di molte piante in luoghi tanto
lontani, come le montagne degli Stati Uniti e quelle d'Europa. Inoltre possiamo
intendere il fatto che le piante alpine di ogni catena di monti sono più
specialmente conformi alle specie che vivono in linea retta al nord, o quasi
al nord, delle medesime; perchè la prima migrazione al crescere del freddo,
e la seconda migrazione al ritornare del caldo, generalmente saranno accadute
verso il sud e verso il nord. Le piante alpine di Scozia, per esempio, secondo
H. C. Watson, e quelle dei Pirenei, secondo Ramond, sono più specialmente
affini alle piante della Scandinavia settentrionale, quelle degli Stati Uniti
a quelle del Labrador, e finalmente quelle delle montagne della Siberia alle
specie delle regioni artiche di questo paese. Queste viste essendo appoggiate
sull'avvenimento perfettamente constatato di un antico periodo glaciale, mi
pare che ci spieghino in un modo soddisfacente la presente distribuzione delle
produzioni alpine ed artiche(25) di Europa e d'America; così quando noi
trovassimo in altre regioni le medesime specie sulle cime di monti distanti,
potremmo quasi conchiudere, senza altre prove, che un clima più freddo
permise la loro antica migrazione a traverso dei bassi tratti interposti, divenuti
in seguito troppo caldi per la loro esistenza.
Le forme artiche, durante la loro lunga migrazione al sud e la loro retrogressione
al nord, saranno state esposte ad un clima quasi uguale e si saranno conservate
in corpo tutte insieme, particolarità che merita di essere menzionata.
Per conseguenza le loro mutue relazioni non saranno state molto disturbate e
quindi non saranno andate soggette a molte modificazioni, in accordo ai principii
inculcati in questo libro. Ma il caso sarà stato alquanto diverso nelle
nostre produzioni alpine che rimasero isolate, dopo che il calore cominciò
ad elevarsi, sulle prime al piede dei monti e da ultimo alla loro cima; perchè
non può dirsi ugualmente che tutte le identiche specie del nord siano
restate sulle catene dei monti lontane le une dalle altre, ed abbiano potuto
sopravvivere colà dopo quell'epoca; anzi esse si saranno probabilmente
confuse colle antiche specie alpine, le quali esistevano sulle montagne prima
del principio dell'epoca glaciale, e che durante il periodo più freddo
di quest'epoca saranno state temporaneamente spinte abbasso verso la pianura;
e saranno anche state esposte ad influenze climatologiche alquanto diverse.
Le loro mutue relazioni si saranno quindi turbate in qualche grado; e perciò
avranno subìto delle modificazioni, come troviamo in realtà; mentre
confrontando le attuali piante alpine e gli animali delle varie grandi catene
di montagne dell'Europa, quantunque molte specie siano identicamente le stesse,
alcune presentano delle varietà, altre sono considerate come forme dubbie,
e molte altre specie sono distinte, ma tuttavia strettamente affini o rappresentative.
Nel dimostrare ciò che, a mio avviso, deve essere avvenuto effettivamente
nell'epoca glaciale, supposi che al principio di quest'epoca le produzioni artiche
fossero uniformi, come oggi, intorno alle regioni polari. Ma le considerazioni
che precedono sulla distribuzione non si applicano solamente alle forme artiche,
ma bensì anche a molte forme sub-artiche e ad alcune poche delle zone
temperate settentrionali, perchè alcune di queste sono uguali nelle montagne
più basse e nelle pianure dell'America settentrionale e dell'Europa;
e potrebbe chiedersi con ragione come io dimostri la necessaria uniformità
delle forme sub-artiche e di quelle delle zone settentrionali temperate intorno
al globo, al principio del periodo glaciale. Presentemente le produzioni sub-artiche
e quelle delle zone temperate settentrionali del Vecchio Mondo e del Nuovo sono
disgiunte fra loro dall'Oceano Atlantico e dall'estrema porzione settentrionale
del Pacifico. Durante il periodo glaciale, allorchè gli abitanti dei
due mondi vivevano molto più verso il sud che al giorno d'oggi, essi
dovevano essere anche più completamente separati da mari più vasti.
Io credo che la precedente difficoltà possa togliersi, ove si rifletta
ai più antichi cambiamenti di clima che accaddero in senso opposto. Abbiamo
buoni argomenti per ritenere che nel periodo pliocenico più recente,
prima dell'epoca glaciale, e quando la maggior parte degli abitanti del mondo
erano specificamente i medesimi dell'epoca attuale, il clima era più
caldo dell'odierno. Quindi possiamo supporre che gli organismi ora viventi sotto
il clima della latitudine di 60°, nel periodo pliocenico abitassero molto
più verso il nord, sotto il circolo polare, alla latitudine di 66°
- 67°; e che le produzioni rigorosamente artiche allora vivessero nelle
terre interrotte che sono anche più vicine al polo. Ora se noi guardiamo
una sfera, troveremo che sotto il cerchio polare le terre sono quasi continue
dall'Europa occidentale, per la Siberia, fino all'America orientale. Io attribuisco
a questa continuità delle terre circumpolari e alla conseguente libera
intermigrazione sotto un clima più favorevole, la uniformità necessaria
nelle produzioni sub-artiche e settentrionali delle zone temperate del Vecchio
Mondo e del Nuovo, in un periodo anteriore all'epoca glaciale.
Credendo, per le ragioni alle quali accennai, che i nostri continenti siano
rimasti per lungo tempo in una posizione relativa quasi uguale, benchè
soggetti a grandi e parziali oscillazioni di livello, io sono assai propenso
ad estendere le precedenti idee e a dedurne che durante qualche periodo più
antico e più caldo, come il periodo pliocenico primitivo, un gran numero
delle medesime piante e degli stessi animali abitavano le quasi continue terre
circumpolari; e che queste piante e questi animali, nel vecchio e nel Nuovo
Mondo, cominciarono lentamente a rivolgersi verso il sud, quando il clima diveniva
meno caldo assai prima del periodo glaciale. Io penso che noi ora vediamo i
loro discendenti, quasi tutti in una condizione modificata, nelle parti centrali
dell'Europa e degli Stati Uniti. Con questi concetti possiamo intendere la relazione
di affinità esistente fra le produzioni dell'America settentrionale e
dell'Europa, relazione che è tanto più rimarchevole se si consideri
la distanza dei due continenti e la loro separazione per mezzo dell'Oceano Atlantico.
Ci è facile inoltre spiegare il fatto singolare, avvertito da parecchi
osservatori, che le produzioni dell'Europa e dell'America erano più strettamente
affini fra loro negli ultimi periodi terziari, che nell'epoca attuale; perchè
in questi periodi più caldi le parti settentrionali del Vecchio Mondo
e del Nuovo debbono essere state unite quasi in continuità delle terre,
che avranno servito a guisa di ponte per congiungere le due regioni, finchè
il freddo impedì completamente l'intermigrazione dei loro abitatori.
Durante il calore lentamente diminuente del periodo pliocenico, non appena le
specie che abitavano i due mondi emigrarono in comune al sud del circolo polare,
esse dovettero separarsi interamente le une dalle altre. Questa separazione
deve essersi effettuata in epoca molto remota, per quanto riguarda le produzioni
delle zone più temperate. E siccome queste piante e questi animali migravano
verso il sud, essi saranno stati frammisti in una delle due grandi regioni colle
produzioni native dell'America e avranno lottato con esse; e nell'altra con
quelle del Vecchio Mondo. Perciò qui tutto era favorevole alla produzione
di molte modificazioni, di modificazioni maggiori di quelle che si ebbero nelle
produzioni alpine, rimaste isolate, in un periodo assai più recente,
sopra diverse catene di montagne e sulle terre artiche dei due mondi. Quindi
avviene che se noi confrontiamo le produzioni ora esistenti nelle regioni temperate
del Nuovo Mondo e del Vecchio, noi troviamo pochissime specie identiche (quantunque
Asa Gray abbia ultimamente dimostrato che un maggior numero di piante, di quel
che prima si era supposto, sono identiche); ma noi troviamo in ogni grande classe
molte forme che alcuni naturalisti collocano tra le razze geografiche e che
altri considerano quali specie distinte, ed una schiera di forme strettamente
affini o rappresentative, che sono classificate da tutti i naturalisti come
specificamente distinte.
Come nelle terre, anche nelle acque del mare, una lenta migrazione verso il
sud di una fauna marina che, durante il periodo pliocenico od anche qualche
periodo più remoto, era quasi uniforme lungo le coste continue del circolo
polare, potrebbe dimostrare, secondo la teoria delle modificazioni, in che modo
molte forme strettamente affini vivano attualmente in aree completamente staccate.
Così può anche spiegarsi, a mio avviso, la presenza di molte forme
rappresentative esistenti e terziarie sulle coste orientali ed occidentali dell'America
settentrionale temperata; e il caso anche più singolare di molti crostacei
strettamente affini (come furono descritti nella stupenda opera del Dana), di
alcuni pesci e di altri animali marini nel Mediterraneo e nei mari del Giappone,
mari che ora sono divisi da un continente e da quasi un emisfero di oceano equatoriale.
Questi casi di parentela, senza identità, degli abitanti di mari attualmente
separati, come pure degli abitanti passati e presenti delle terre temperate
dell'America settentrionale e dell'Europa, sono inesplicabili secondo la teoria
della creazione. Non si può dire che essi siano stati creati simili,
in ragione delle condizioni fisiche quasi simili delle aree; perchè se
noi paragoniamo, per esempio, certe parti dell'America meridionale coi continenti
meridionali del Vecchio Mondo, noi vediamo delle contrade perfettamente rispondenti
in tutte le loro condizioni fisiche, ma coi loro abitanti completamente dissimili.
ALTERNANZA DEI PERIODI GLACIALI AL NORD E AL SUD
Ma fa mestieri che noi torniamo al nostro soggetto più
immediato, cioè il periodo glaciale. Sono convinto che l'idea di Forbes
può essere estesa largamente. In Europa noi abbiamo le prove più
evidenti del periodo freddo, dalle coste occidentali della Gran Bretagna fino
alla catena dell'Oural e verso il sud fino ai Pirenei. Dai mammiferi gelati
e dalla natura della vegetazione dei monti, possiamo dedurre che la Siberia
fu colpita nello stesso modo. Nel Libano, secondo il dott. Hooker, le nevi perpetue
coprivano l'asse centrale e nutrivano dei ghiacciai che discendevano nelle vallate
fino a 4000 piedi. Lo stesso osservatore ha trovato recentemente delle grandi
morene, a piccole altezze nella catena dell'atlante dell'Africa settentrionale.
Lungo l'Himalaya, sopra dei punti distanti 900 miglia, i ghiacciai hanno lasciato
i segni dell'antica e lenta loro discesa; e nel Sikkim il dott. Hooker ha veduto
crescere il grano turco sopra antiche morene gigantesche. Al sud dell'equatore
abbiamo qualche prova diretta dell'antica azione glaciale nella Nuova Zelanda;
e le medesime piante, trovate in monti molto lontani nell'isola, ci narrano
la medesima storia. Se si avesse a confermare la verità di una descrizione
che ne è stata fatta, anche nell'angolo sud-est dell'Australia si avrebbe
una diretta constatazione dei fenomeni del periodo glaciale.
Rivolgiamoci all'America; nella metà settentrionale si sono osservati
frammenti di roccia trasportati dai ghiacci sul lato orientale fino ad una latitudine
sud di 36° - 37°, e sulle coste del Pacifico, dove il clima è
al presente tanto diverso, se ne sono trovati fino al 46° di latitudine
sud; si sono anche veduti dei massi erratici sulle Montagne Rocciose. Nelle
Cordigliere dell'America meridionale equatoriale, i ghiacci una volta si estendevano
molto al disotto del loro limite presente. Nel Chilì centrale io ho esaminato
un vasto ammasso di tritumi, che giacciono trasversalmente sulla vallata di
Portillo, e li attribuisco interamente all'azione glaciale; ma noi avremo più
innanzi delle notizie preziose su questo argomento dal(26) dott. Forbes, il
quale mi annunzia di aver trovato sulle Cordigliere da 13° - 30° di
latitudine sud, ad un'altezza di circa 12.000 piedi, delle roccie profondamente
solcate, simili a quelle che egli era solito trovare in Norvegia, e parimenti
delle grandi masse di tritumi che contenevano sassi striati. Su tutto questo
spazio delle Cordigliere ora non esistono veri ghiacciai, anche ad altezze molto
più considerevoli. Molto più al sud da ambe le parti del continente,
fra la latitudine di 41° e la estremità più meridionale, abbiamo
gl'indizi più evidenti dell'antica zona glaciale, nei massi smisurati
che vennero trasportati lungi dalla loro situazione primitiva.
Questi fatti diversi, e cioè che l'effetto del ghiaccio si è esteso
attorno all'emisfero boreale ed all'australe; che questo periodo fu in ambedue
gli emisferi recente in senso geologico; che, a giudicare dagli effetti, esso
è durato lungamente in ambedue; ed infine che ancora recentemente i ghiacciai
sono discesi ad un basso livello lungo tutta la catena delle Cordigliere: -
mi aveano condotto alla conclusione che durante l'epoca glaciale la temperatura
si fosse abbassata contemporaneamente su tutta la superficie terrestre. Ma il
Croll ha dimostrato in una serie di memorie interessantissime che una condizione
glaciale del clima è il risultato di varie cause fisiche, che entrano
in azione per l'aumento delle eccentricità dell'orbita terrestre. Tutte
queste cause tendono allo stesso fine; ma la più potente sembra l'influenza
indiretta delle eccentricità dell'orbita sulle correnti oceaniche. Secondo
il Croll i periodi freddi ritornano regolarmente ogni dieci o quindicimila anni,
ed essi si fanno estremamente severi ad intervalli più lunghi pel concorso
di determinate circostanze, tra cui, come ha dimostrato C. Lyell, la più
importante è la relativa posizione della terraferma e dell'acqua. Il
Croll calcola che l'ultimo grande periodo glaciale risalga a circa 240.000 anni
ed abbia durato con leggiere alterazioni di clima circa 160.000 anni. Quanto
a periodi glaciali più antichi, parecchi geologi furono indotti a ritenere,
da prove dirette, che ne siano esistiti durante le formazioni miocenica ed eocenica,
per non parlare di formazioni più antiche. Ma il risultato per noi più
importante, a cui giunse il Croll, si è questo, che mentre l'emisfero
boreale attraversa un periodo freddo, la temperatura dell'emisfero australe
è di fatto elevata con inverni più miti, principalmente in seguito
al cambiamento nella direzione delle correnti marine. E viceversa ciò
accade nell'emisfero boreale, quando l'australe passa per un periodo glaciale.
Queste conclusioni gettano tanta luce sulla distribuzione geografica, che io
inclino a ritenerle vere. Ma innanzi tutto io voglio esporre i fatti che richiedono
una spiegazione.
Nell'America meridionale, il dott. Hooker ha provato che 40 o 50 specie di piante
fanerogame della Terra del Fuoco, le quali costituiscono una parte non piccola
di quella scarsa flora, sono comuni all'Europa, non ostante la distanza enorme
che separa questi due luoghi; e vi sono anche molte specie strettamente affini.
Sulle più elevate montagne del Brasile il Gardener trovò alcuni
generi europei che non esistono nelle vaste ed ardenti contrade interposte.
Così l'illustre Humboldt trovò, molti anni sono, sulla Sila di
Caracas delle specie di generi caratteristici delle Cordigliere.
Nell'Africa, e precisamente sulle montagne dell'Abissinia, si hanno alcune forme
caratteristiche dell'Europa ed altre poche rappresentative della flora del Capo
di Buona Speranza. Nello stesso Capo di Buona Speranza si trovano alcune specie
europee che non si credono introdotte colà dall'uomo, e sulle montagne
si trovano parecchie forme rappresentative dell'Europa che non furono scoperte
nelle parti intertropicali dell'Africa. Il dott. Hooker ha anche dimostrato
recentemente che parecchie piante viventi nelle parti superiori dell'alta isola
Fernando Po e sugli attigui monti Cameroon nel golfo di Guinea sono strettamente
affini con quelle dei monti dell'Abissinia e con quelli dell'Europa temperata.
A quanto sembra, secondo una comunicazione fattami dal dott. Hooker, R. T. Lowe
avrebbe scoperto alcune di queste forme temperate sui monti delle isole del
Capo Verde. Tale distribuzione delle medesime forme temperate, pressochè
sotto all'equatore, attraverso all'intero continente africano fino ai monti
delle isole del Capo Verde, costituisce uno dei fatti più sorprendenti
che si conoscano intorno alla distribuzione delle piante.
Sull'Himalaya e sulle catene di monti isolate della penisola dell'India, sulle
alture di Ceylan, e sui coni vulcanici di Java, si rinvengono molte piante o
identiche fra loro, o rappresentative le une delle altre e nello stesso tempo
rappresentative di quelle d'Europa, le quali mancano nelle pianure calde frapposte.
Una lista dei generi raccolti sui picchi più elevati di Java presenta
l'immagine di una collezione fatta sopra una collina d'Europa! Anche più
stringente è il fatto che le forme dell'Australia meridionale sono chiaramente
rappresentate dalle piante che crescono sulle sommità delle montagne
di Borneo. Alcune di queste forme australiane, secondo il dott. Hooker, si estendono
lungo le alture della penisola di Malacca e sono rade e sparpagliate da una
parte sopra l'India e dall'altra verso il nord sino al Giappone.
Sulle montagne meridionali dell'Australia il dott. F. Müller ha scoperto
varie specie europee; nelle pianure si trovano delle specie che non furono introdotte
dall'uomo in quella regione; e si potrebbe formare una lunga lista, da quanto
mi comunicò il dott. Hooker, di generi europei trovati in Australia,
ma non nelle intermedie regioni torride. Nella mirabile opera Introduction to
the Flora of New Zealand del dott. Hooker sono citati analoghi fatti importanti,
riguardo alle piante di questa grande isola. Per conseguenza noi osserviamo
che per tutto il mondo le piante che si sviluppano sulle montagne più
alte e sulle pianure temperate dello emisfero boreale e dell'australe sono talvolta
identiche. Sarebbe da notarsi che queste piante non sono strettamente artiche,
giacchè, come ha osservato recentemente H. C. Watson, "nel retrocedere
dalle latitudini polari alle equatoriali, le flore alpine o dei monti realmente
divengono sempre meno artiche". Oltre queste forme identiche e strettamente
affini molte specie che abitano distretti tra loro molto discosti appartengono
a generi che più non si rinvengono nelle interposte pianure tropiche.
Questo breve ragionamento si applica alle sole piante; ma potrebbero esporsi
alcuni fatti analoghi sulla distribuzione degli animali terrestri. Nelle produzioni
marine si trovano dei casi consimili; così, per esempio, posso citare
un'osservazione tratta dalla più alta autorità, il prof. Dana,
cioè che "certamente è un fatto straordinario che nella Nuova
Zelanda si abbiano crostacei assai più somiglianti a quelli della Gran
Bretagna, sua antipode, che a quelli di ogni altra parte del mondo". Anche
J. Richardson parla della ricomparsa di forme nordiche di pesci sulle coste
della Nuova Zelanda, della Tasmania, ecc. E il dott. Hooker mi narrava che venticinque
specie di alghe sono comuni alla Nuova Zelanda ed all'Europa, ma non sono state
trovate nei mari tropicali intermedi.
Stando ai fatti suesposti, e cioè alla presenza di forme temperate sulle
alture traverso tutta l'Africa equatoriale, e lungo la penisola dell'India,
il Ceylan e l'Arcipelago Malese, e in modo meno marcato traverso il vasto spazio
dell'America meridionale tropicale, sembra cosa quasi certa, che in un periodo
passato e precisamente durante la parte più fredda dell'epoca glaciale
le pianure di questi grandi continenti sotto all'equatore siano state abitate
da un numero considerevole di forme temperate. In quell'epoca il clima equatoriale
al livello del mare era probabilmente uguale a quello che ora domina alle stesse
latitudini ad un'altezza di cinque a seimila piedi, e forse anche più
freddo. Durante quel tempo freddissimo le pianure sotto all'equatore saranno
state vestite di una vegetazione mista, tropica cioè e temperata, simile
a quella descritta dall'Hooker, che ora prospera sulle basse pendici dell'Himalaya
ad un'altezza di quattro a cinquemila piedi, solo che in quella v'era forse
maggiore prevalenza delle forme temperate. Anche il Mann ha trovato che nell'isola
montuosa Fernando Po nel golfo di Guinea ad un'altezza di circa cinquemila piedi
incominciano a comparire le forme temperate europee. Sui monti del Panama il
dott. Seemann ha trovato ad un'altezza di soli duemila piedi la vegetazione
uguale a quella del Messico, "forme della zona torrida armonicamente unite
con quelle della temperata".
Ora vogliamo vedere se la conclusione del Croll, secondo cui nel tempo, nel
quale l'emisfero boreale era dominato dal maggior freddo dell'epoca glaciale,
lo emisfero australe era in fatto più caldo, rischiari alquanto la presente,
apparentemente inesplicabile, distribuzione geografica di diversi organismi
nelle parti temperate d'ambedue gli emisferi e sulle montagne dei tropici. L'epoca
glaciale, misurata con un numero di anni, deve aver durato lungamente; e se
pensiamo che alcune piante ed animali naturalizzati in pochi secoli si sono
estesi sopra vaste superfici, quel tempo apparirà lungo abbastanza per
qualsiasi grado di migrazione. Man mano che il freddo aumentava, le forme artiche
invadevano le regioni temperate; e pei fatti su citati non può sussistere
alcun dubbio che alcune delle forme dominanti temperate più vigorose
e più diffuse abbiano invaso le bassure equatoriali. Allo stesso tempo
gli abitanti di queste bassure calde saranno migrati verso le regioni tropiche
e subtropiche del Sud, giacchè in quel periodo l'emisfero australe era
più caldo. Non appena col declinare dell'epoca glaciale i due emisferi
riacquistarono la primitiva temperatura, le forme nordiche temperate, le quali
abitavano nelle bassure sotto all'equatore, saranno state cacciate nell'antica
loro patria, o saranno state distrutte, e sostituite dalle forme equatoriali
reduci dal Sud. Frattanto alcune delle forme nordiche temperate avranno quasi
certamente, ascendendo, raggiunto il più vicino altipiano, e se questo
era sufficientemente elevato, vi si saranno lungamente conservate, a guisa delle
forme artiche sulle montagne dell'Europa. E saranno sopravvissute anche colà,
dove il clima non era loro interamente favorevole; imperocchè il mutamento
di temperatura sarà avvenuto assai lentamente, e senza dubbio le piante
posseggono una certa capacità di acclimazione, come risulta dal fatto
ch'esse trasmettono ai loro discendenti un diverso potere costituzionale di
resistere al caldo ed al freddo.
Secondo il corso regolare delle cose, l'emisfero australe sarà alla sua
volta soggetto ad un intenso periodo glaciale, mentre il boreale si renderà
più caldo; allora, inversamente, saranno le forme temperate australi
che immigreranno nelle bassure equatoriali. Le forme nordiche, le quali erano
rimaste sulle montagne, discenderanno e si mescoleranno colle forme meridionali.
Queste ultime, ritornato il caldo, si saranno recate nell'antica loro patria,
lasciando sulle montagne alcune poche specie, e conducendo seco verso il Sud
alcune forme nordiche temperate che erano discese dalle loro stazioni montuose.
Noi troveremo quindi identiche alcune poche specie nelle zone temperate nordiche
ed australi e sulle montagne delle regioni tropiche interposte. Ma le specie
lasciate per lungo tempo su questi monti o sugli opposti emisferi avranno dovuto
lottare con molte forme nuove, e saranno state esposte a condizioni fisiche
alquanto diverse; avranno quindi subìto delle modificazioni in alto grado,
ed appariranno in generale come varietà o come specie rappresentative,
ciò che appunto succede. Nè dobbiamo dimenticare che già
prima in ambedue gli emisferi vi furono dei periodi glaciali, da che potremo
comprendere, come, in accordo colle idee suesposte, avvenga che tante specie
affatto distinte abitino le stesse aree ampiamente separate ed appartengano
a certi generi che ora non si rinvengono più nelle zone torride intermedie.
Abbiamo un fatto rimarchevole, sul quale insistettero assai il dottore Hooker
riguardo all'America e Alfonso De Candolle rispetto all'Australia, cioè
che sembra molto maggiore il numero delle piante identiche e dalle forme affini
che migrarono dal Nord al Sud, di quelle che seguirono una direzione opposta.
Perciò noi vediamo solamente poche forme vegetali del Sud sui monti di
Borneo e dell'Abissinia. Io penso che questa migrazione preponderante dal Nord
al Sud sia dovuta alla maggiore estensione delle terre del Nord ed all'essere
state più copiose nella loro patria le forme nordiche e quindi all'avere
le medesime progredito, per mezzo della elezione naturale e della concorrenza
fino ad un grado più elevato di perfezione od una facoltà di predominio
più forte di quelle forme meridionali. Per conseguenza, quando le medesime
nel periodo glaciale furono frammiste colle altre, le forme settentrionali saranno
state più capaci di vincere le forme meridionali meno vigorose. Precisamente
come oggi noi osserviamo che molte produzioni europee coprono il terreno della
Plata e in grado minore quello dell'Africa, avendo fino ad una certa estensione
battuto le produzioni indigene; al contrario, pochissime forme del mezzogiorno
si sono naturalizzate in qualche parte di Europa, benchè delle pelli,
della lana ed altri oggetti facili a trasportare semi siano stati largamente
importati nell'Europa dalla Plata negli ultimi due o tre secoli e dall'Australia
negli ultimi trenta o quarant'anni. Qualche cosa di consimile deve essere avvenuto
sulle montagne intertropicali. Senza dubbio prima del periodo glaciale quelle
montagne erano popolate di forme alpine indigene; ma queste dovettero quasi
dappertutto cedere il posto alle forme più dominanti, sorte nelle superfici
più vaste e nelle contrade più produttive del settentrione. In
molte isole le produzioni native sono quasi uguagliate od anche sorpassate dalle
produzioni naturalizzate; e se le native non sono state totalmente distrutte,
però furono grandemente ridotte di numero, e questo è il primo
stadio verso l'estinzione. Un monte è un'isola sul continente; e le montagne
intertropicali debbono essere state completamente isolate prima del periodo
glaciale; ed io credo che le produzioni di queste isole sul continente cedettero
ad altre, generate nelle regioni più estese del Nord, esattamente nella
stessa guisa con cui le produzioni delle isole furono recentemente surrogate
in ogni luogo dalle forme continentali naturalizzate per opera dell'uomo.
I medesimi principii servono anche a spiegare la distribuzione degli animali
terrestri e dei prodotti marini nelle zone temperate nordica e meridionale e
sulle montagne intertropicali. Se durante il culmine del periodo glaciale le
correnti marine erano molto diverse dalle attuali, alcuni abitatori dei mari
temperati possono bene aver raggiunto l'equatore; di essi alcuni pochi, giovandosi
delle correnti più fredde, avranno forse potuto migrare verso il Sud,
mentre gli altri avranno cercato i fondi più freddi e vi saranno sopravvissuti
finchè l'emisfero australe alla sua volta sarà stato soggetto
ad un clima glaciale ed avrà permesso il loro progresso; nello stesso
modo circa, come, al dire del Forbes, esistono anche oggi nelle maggiori profondità
dei mari temperati boreali degli spazi isolati abitati da forme artiche.
Sono ben lontano dal supporre che siano eliminate tutte le difficoltà
per le considerazioni qui esposte, riguardo alla distribuzione e alle affinità
delle specie affini che vivono nelle zone temperate settentrionali e meridionali,
e sulle montagne delle regioni intertropicali. Restano ancora molte obbiezioni
da risolvere. Nè pretendo descrivere le linee esatte e i mezzi delle
migrazioni o le ragioni per cui certe specie emigrano ed altre no; o per qual
motivo certe specie si sono modificate ed hanno dato origine a nuovi gruppi
di forme ed altre rimasero inalterate. Noi non possiamo sperare di spiegare
questi fatti, finchè non sapremo dire come si naturalizzi una specie
e non un'altra, per fatto dell'uomo, in una regione nuova; e come l'una si estenda
il doppio o il triplo, od anche sia più comune e numerosa due o tre volte
dell'altra, nelle loro dimore naturali.
Restano tuttora da risolversi molte difficoltà; come, ad esempio, la
presenza, dimostrata dal dott. Hooker, di specie identiche in luoghi tanto lontani
tra loro, come la Terra di Kerguelen, la Nuova Zelanda e la Terra del Fuoco;
ma credo che verso la fine del periodo glaciale, i ghiacci abbiano contribuito
in gran parte alla loro dispersione, come fu notato da Lyell. Ma l'esistenza
di parecchie specie affatto distinte, appartenenti a generi esclusivamente confinati
nel mezzogiorno, in questi ed altrettanti punti distanti dell'emisfero meridionale,
è una difficoltà assai più notevole, secondo la mia teoria
della discendenza modificata. Perchè alcune di codeste specie sono tanto
distinte, che non possiamo supporre che il tempo trascorso dal principio del
periodo glaciale fosse sufficiente per le loro migrazioni e per le consecutive
modificazioni fino al grado necessario. Mi sembra che i fatti indichino che
le specie particolari e molto distinte partirono da qualche centro comune, spandendosi
intorno a guisa di raggi da quel centro. Sono poi disposto ad ammettere nell'emisfero
boreale e nell'australe un antico periodo più caldo, anteriore all'epoca
glaciale, in cui le terre antartiche, oggi coperte di ghiaccio, alimentarono
una flora affatto speciale ed isolata. Io suppongo che, prima che questa flora
fosse distrutta dall'epoca glaciale, alcune di queste forme fossero disperse
fino a raggiungere diversi punti dell'emisfero australe, con mezzi occasionali
di trasporto e coll'aiuto di isole già esistenti ed ora sommerse, che
servirono da luoghi di riposo. Con questi mezzi credo che le coste meridionali
dell'America, dell'Australia e della Nuova Zelanda prendessero un carattere
leggermente analogo, mediante le medesime forme particolari di vita vegetativa.
C. Lyell, in un passo importante, ha trattato, con un linguaggio quasi identico
al mio, degli effetti delle grandi alternative del clima sopra la distribuzione
geografica. E noi abbiamo visto, come le conclusioni del Croll, che cioè
i successivi periodi glaciali di un emisfero coincidevano con periodi più
caldi nell'opposto emisfero, unitamente alle modificazioni effettuate dalla
elezione naturale, possano aiutarci a spiegare una moltitudine di fatti nella
distribuzione attuale delle stesse forme di vita e delle forme affini. I flutti
della vita durante un periodo sono partiti dal Nord, durante un altro periodo
dal Sud, ed in ambedue i casi hanno raggiunto l'equatore; ma essi scorsero con
maggior impeto dal Nord, in modo da inondare liberamente il Sud. Come il flusso
depone in linee orizzontali le materie che trasporta, benchè elevate
a maggior altezza in quelle coste in cui la marea è più forte,
così anche le onde viventi lasciarono i loro depositi animati sopra le
cime dei nostri monti, seguendo una linea che insensibilmente si innalza dalle
pianure artiche ad una grande altezza sotto l'equatore. I vari esseri, così
abbandonati a diverse altezze, possono paragonarsi alle razze selvagge dell'uomo,
che furono cacciate sui monti di quasi tutti i paesi in cui si trovano e colà
sopravvivono servendoci di memoria, piena d'interesse per noi, degli antichi
abitatori delle pianure circonvicine.
CAPO XIII
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
(continuazione)
Distribuzione delle produzioni d'acqua dolce - Degli abitanti delle isole oceaniche - Assenza dei batraci e dei mammiferi terrestri - Sulla relazione degli abitanti delle isole con quelli dei continenti più vicini - Sulle colonie provenienti dalla sorgente più vicina, colle modificazioni susseguenti - Sommario del presente capo e del precedente.
PRODUZIONI DI ACQUA DOLCE
Siccome i laghi e i sistemi dei fiumi sono separati fra loro
da barriere di terra, si potrebbe ritenere che le produzioni d'acqua dolce non
si fossero estese ampiamente niella stessa regione; e sembrando che il mare
sia una barriera anche più insuperabile, si potrebbe credere che quelle
produzioni non siano mai state estese in paesi lontani. Ma i fatti provano esattamente
il contrario. Non solamente molte specie di acqua dolce, appartenenti a classi
affatto differenti, hanno una enorme estensione, ma alcune delle specie affini
prevalgono in un modo singolare per tutto il mondo. Io ricordo ancora da quanta
meraviglia fui preso, quando, raccogliendo per la prima volta degli animali
nelle acque dolci del Brasile, trovai tanta somiglianza negli insetti, molluschi,
ecc., con quelli della Gran Bretagna; mentre le specie terrestri di quei contorni
erano molto differenti.
Ma questa facoltà che posseggono le produzioni d'acqua dolce, di estendersi
ampiamente, benchè inaspettata, può in molti casi spiegarsi considerando
che esse divennero più atte, in una maniera molto utile ad esse, alle
migrazioni brevi e frequenti da stagno a stagno o da corrente a corrente. Questa
attitudine alla dispersione produce, come conseguenza quasi necessaria, la diffusione
delle specie. Possiamo ora esaminare soltanto pochi casi, tra cui i pesci ne
offrono alcuni di difficilissima spiegazione. Si riteneva, prima, che la medesima
specie di acqua dolce non si trovi mai in due continenti tra loro molto distanti.
Ma il dott. Günther ha dimostrato recentemente che il Galaxias attenuatus
vive nella Tasmania, nella Nuova Zelanda, nelle isole Falkland e sul continente
dell'America meridionale. È questo un caso maraviglioso, il quale probabilmente
accenna ad una dispersione da un centro antartico durante un caldo periodo passato.
Questo uso è reso però alquanto meno sorprendente dal fatto che
le specie di questo genere hanno la facoltà di attraversare, con mezzi
non conosciuti, considerevoli spazi di mare; così trovasi una specie
che è comune alla Nuova Zelanda ed alle isole Aukland, che ne distano
circa 230 miglia inglesi. Talvolta i pesci di acqua dolce hanno una vasta e
quasi capricciosa distribuzione sullo stesso continente, così che due
sistemi di fiumi hanno comune una parte de' loro pesci, mentre l'altra parte
è diversa. È probabile che siano occasionalmente trasportati con
quei mezzi che chiamiamo accidentali. Così non raramente i pesci sono
trasportati in luoghi distanti dai turbini, ed è noto che le uova conservano
la loro vitalità lungo tempo dopo essere state levate dall'acqua. Ma
la loro dispersione devesi principalmente attribuire a cambiamenti nel livello
della terraferma durante l'attuale periodo, in seguito a cui alcuni fiumi confluirono
in uno. Si può anche dimostrare con esempi che ciò è avvenuto,
senza cambiamento di livello, per effetto delle inondazioni. La grande diversità
fra i pesci che vivono ai versanti opposti di catene di montagne, le quali sono
continue ed hanno perciò da tempi remoti impedito la confluenza dei loro
fiumi, conduce allo stesso risultato. Alcuni pesci di acqua dolce discendono
da forme assai antiche, e quindi il tempo a grandi cambiamenti geografici non
è mancato, e quelle forme hanno quindi avuto il tempo ed i mezzi per
diffondersi ampiamente colle migrazioni. Oltreciò il dott. Günther
fu recentemente, da diverse considerazioni, indotto a ritenere, che nei pesci
le stesse forme abbiano una lunga durata. I pesci marini possono lentamente
essere abituati all'acqua dolce, e secondo il Valenciennes non vi ha forse gruppo
di pesci limitato unicamente a questo ambiente, cosicchè una forma marina
appartenente a un gruppo di acqua dolce può migrare lungo una costa di
mare, e divenire senza grande difficoltà adattata a vivere nelle acque
dolci di una terra lontana.
Alcune specie di molluschi d'acqua dolce hanno una estensione molto grande e
le specie affini che, secondo la mia teoria, sono discese da un progenitore
comune e debbono derivare da una sola sorgente, prevalgono sopra tutto il globo.
La loro distribuzione mi fece sulle prime rimanere molto perplesso, mentre le
loro uova non sono facilmente trasportate dagli uccelli ed esse sono immediatamente
uccise dall'acqua del mare, come gli adulti. Nè potevo rendermi ragione
del modo con cui alcune specie naturalizzate si sono diffuse rapidamente nella
medesima regione. Ma due fatti da me osservati spargono qualche luce su questo
argomento (e certamente molti altri fatti analoghi si scopriranno). Io ho veduto
per due volte un'anitra uscire improvvisamente da uno stagno coperto di lenti
palustri, rimanendo queste piccole piante attaccate al suo dorso; ora mi è
avvenuto che nel levare da un acquario una piccola lente palustre per metterla
in un altro, involontariamente ho popolato quest'ultimo coi molluschi di acqua
dolce del primo. Ma un'altra influenza è forse più efficace; io
ho sospeso una zampa di anitra in un acquario in cui stavano schiudendosi molte
uova di molluschi di acqua dolce e trovai che un grandissimo numero di molluschi,
estremamente piccoli ed appena sbucciati dall'uovo, si erano portati sul piede
e vi stavano attaccati con tanta forza che anche scuotendoli fuori dell'acqua
non potevano levarsi, quantunque se fossero stati di un'età più
adulta si sarebbero lasciati cadere spontaneamente. Questi molluschi appena
sviluppati, benchè acquatici per natura, sopravvissero sul piede dell'anitra
nell'aria umida, da dodici a venti ore; in questo intervallo di tempo un'anitra,
o un airone può volare ad una distanza di sei o settecento miglia e non
mancherebbe di arrestarsi sopra uno stagno o presso un ruscello di un'isola
oceanica o di qualunque altro luogo distante, in cui il vento lo trasportasse
attraverso l'oceano. Sir Carlo Lyell mi ha narrato che un Dyticus è stato
colto nel mentre trasportava un Ancylus (mollusco d'acqua dolce simile alle
patelle) che fortemente aderiva al primo; e un coleottero acquatico della stessa
famiglia, un Colymbetes, volò una volta a bordo del Beagle che era lontano
45 miglia dalla terra più vicina; ora niuno potrebbe indovinare a quale
distanza sarebbe giunto, quando fosse stato secondato dal vento.
Riguardo alle piante, tutti sanno da lungo tempo quanto sia enorme l'estensione
di molte specie d'acqua dolce ed anche di quelle delle paludi, tanto nei continenti,
quanto sulle isole oceaniche più lontane. Questo fatto, come fu notato
da Alfonso De Candolle, si osserva segnatamente in quei grandi gruppi di piante
terrestri, i quali non hanno che specie acquatiche; perchè pare che queste
ultime acquistino immediatamente una estensione molto vasta, come se fosse una
conseguenza diretta. A mio avviso i mezzi favorevoli di dispersione bastano
a spiegare il fatto. Ho già ricordato prima che la terra, sebbene di
rado, pure occasionalmente si attacca ai piedi e ai becchi degli uccelli. Ora
le gralle che frequentano le sponde melmose delle paludi, se prendono la fuga
improvvisamente, esporteranno più facilmente la melma coi loro piedi.
E può dimostrarsi che gli uccelli di quest'ordine sono quelli che viaggiano
più degli altri, e si trovano talvolta sulle isole più remote
e più sterili, in alto mare. Essi non possono posarsi sulla superficie
del mare, per cui il fango non potrebbe essere sciolto dall'acqua che ne laverebbe
le zampe; e quando prendessero terra, essi certamente volerebbero ai naturali
serbatoi d'acqua dolce, che sogliono preferire. Non credo che i botanici sappiano
di quanti semi sia pieno il pantano delle paludi; ho fatto alcuni esperimenti,
ma non esporrò in questa occasione che il risultato più notevole.
Nel mese di febbraio io ho preso tre cucchiaiate di melma sotto l'acqua da tre
punti diversi, sul margine di un piccolo stagno; questo fango secco pesava soltanto
sei oncie e tre quarti; lo conservai coperto nel mio studio per sei mesi, staccando
e contando ogni pianta che nasceva. Le piante appartenevano a molte specie e
salirono al numero di 537; eppure la melma densa, che le conteneva tutte, stava
in una tazza! Considerando questi fatti, mi parrebbe invero una circostanza
inesplicabile se avvenisse che gli uccelli acquatici non trasportassero i semi
delle piante d'acqua dolce a grandi distanze, e che per conseguenza l'estensione
di queste piante non fosse immensa.
I medesimi risultati possono attendersi anche riguardo alle uova di alcuni degli
animali più piccoli d'acqua dolce.
Ma probabilmente altre cause ignote avranno anche la loro influenza. Io ho detto
che i pesci d'acqua dolce mangiano certe sorta di semi, sebbene ne rigettino
molte altre specie dopo averli ingoiati; anche i piccoli pesci mangiano semi
di moderate dimensioni, come quelli del giglio d'acqua giallo e del Potamogeton.
Gli aironi ed altri uccelli vanno tutti i giorni alla caccia dei pesci; essi,
dopo di averli mangiati, riprendono il volo e si volgono verso altre acque o
sono trasportati dal vento a traverso del mare. Abbiamo veduto che i semi conservano
la loro facoltà germinativa dopo molte ore, quando sono emessi colle
pallottole, ovvero negli escrementi. Quando io vidi la grandezza dei semi dell'elegante
giglio d'acqua, il Nelembium, e mi ricordai le osservazioni di Alfonso de Candolle
su questa pianta, io pensavo che la distribuzione di essa dovesse rimanere affatto
inesplicabile; ma Audubon dichiara di aver trovato i semi del gran giglio acquatico
meridionale (probabilmente il Nelumbium luteum, secondo il dott. Hooker) nello
stomaco di un airone. Quantunque io non abbia constatato il fatto, pure l'analogia
mi fa credere che un airone, volando da una palude all'altra e prendendo un
pasto abbondante di pesci, probabilmente rigetterà dal suo stomaco una
pallottola contenente dei semi di Nelumbium non digeriti; oppure che i semi
possano cadere, mentre quest'uccello alimenta i suoi piccoli, nello stesso modo
con cui talvolta cadono i pesci.
Riflettendo a questi vari mezzi di distribuzione, non deve dimenticarsi che
quando uno stagno o un fiume si formano per la prima volta, per esempio sopra
un'isoletta nascente, non vi sarà alcuna produzione; ed ogni seme od
uovo che vi cada avrà una forte probabilità di prosperare. Sebbene
vi abbia sempre la lotta per l'esistenza fra gli individui delle varie specie,
per quanto siano scarse, in ogni stagno già occupato, pure essendo piccolo
il numero delle specie in confronto di quelle della terra, la concorrenza sarà
probabilmente meno severa fra le specie acquatiche che fra le terrestri; per
conseguenza una forma venuta dalle acque di un'altra regione avrà maggiore
probabilità di stabilirsi nella nuova dimora di quel che non abbiano
i coloni terrestri. Fa d'uopo inoltre rammentare che molte produzioni d'acqua
dolce sono molto basse nella scala della natura e che vi sono motivi di ritenere
che questi esseri inferiori si trasformino o restino modificati meno rapidamente
degli esseri elevati; per cui la stessa specie acquatica disporrà di
un tempo più lungo per le sue migrazioni. Non dobbiamo poi dimenticare
che probabilmente molte specie, anticamente disseminate sopra una immensa estensione
continua, siano rimaste estinte nelle regioni intermedie. Ma credo che la vasta
distruzione delle piante di acqua dolce e degli animali inferiori, sia che conservino
la stessa identica forma, sia che si modifichino di qualche grado, dipenda in
principal modo dalla dispersione grande dei loro semi e delle uova fatte dagli
animali e più specialmente dagli uccelli d'acqua dolce che hanno molta
potenza di volo: i quali naturalmente passano da un bacino d'acqua all'altro.
SUGLI ABITANTI DELLE ISOLE OCEANICHE
Passiamo ora all'ultima delle tre classi di fatti da me prescelti,
come quelle che presentano le obbiezioni più forti contro l'ipotesi che
tutti gli individui d'una medesima specie e delle specie affini siano derivati
da un solo progenitore; e perciò siano tutti usciti da un luogo di origine
loro comune, nonostante che nel corso del tempo essi siano giunti ad abitare
dei punti distanti del globo. Ho già dichiarato che non potrei ammettere
l'idea di Forbes sulle estensioni continentali, opinione che quando fosse razionalmente
abbracciata ci condurrebbe a stabilire che, in un periodo recente, tutte le
isole esistenti erano più o meno perfettamente congiunte a qualche continente.
Questa opinione eliminerebbe molte difficoltà, ma non servirebbe a spiegare
tutti i fatti che riguardano le produzioni isolane. Nelle considerazioni che
seguono non mi limiterò alla sola questione della dispersione, ma tratterò
di alcuni altri fatti che possono determinare la verità di una delle
due teorie, cioè di quella delle creazioni indipendenti, o dell'altra
della discendenza con modificazioni.
Le specie d'ogni sorta che stanno nelle isole oceaniche sono poche, in confronto
di quelle che abitano sopra una uguale superficie continentale; Alfonso De Candolle
ammette questo fatto rispetto alle piante, e Wollaston in quanto agli insetti.
Se noi riflettiamo alla vasta superficie e alle svariate regioni della Nuova
Zelanda, la quale si estende per 780 miglia di latitudine; e paragoniamo le
sue piante fanerogame, che sono soltanto 750, con quelle esistenti sopra un'area
uguale al Capo di Buona Speranza o in Australia, dobbiamo pur convenire che
qualche causa ha prodotto una tale differenza nel numero, indipendentemente
affatto da qualunque differenza nelle condizioni fisiche. Anche la contea uniforme
di Cambridge ha 847 piante, e la piccola isola di Anglesea ne possiede 764;
ma alcune felci ed altre piante introdotte sono comprese in questi numeri, e
quindi il confronto, anche per qualche altro rapporto, non è interamente
completo ed esatto. Si hanno delle prove che l'isola sterile dell'Ascensione
possedeva una mezza dozzina di piante fanerogame; tuttavia molte altre piante
si naturalizzarono in quella isola, come lo furono nella Nuova Zelanda e in
ogni altra isola oceanica che possa nominarsi. Si crede che a Sant'Elena le
piante e gli animali che vi furono introdotti distrussero interamente o quasi
interamente molte produzioni indigene. Colui che adotta la teoria della creazione
di ogni specie distinta, dovrà ammettere che non fu creato un numero
sufficiente di piante e animali meglio adatti sopra le isole oceaniche; perchè
l'uomo ha involontariamente popolato quelle isole da varie sorgenti assai più
completamente e perfettamente che non fece la natura.
Sebbene il numero delle specie degli abitanti nelle isole oceaniche sia scarso,
la proporzione delle specie endemiche (cioè di quelle che non si trovano
in qualunque altra parte del mondo) è, spesso estremamente grande. Se
noi paragoniamo, per esempio, il numero dei molluschi terrestri endemici di
Madera o degli uccelli endemici dell'Arcipelago Galapagos col numero delle specie
trovate in un continente, e si paragoni la superficie di quelle isole con quella
del continente stesso, vedremo quanto sia fondata questa proposizione. Questo
fatto poteva prevedersi, seguendo la mia dottrina, perchè, come spiegai
altrove, quelle specie che dopo lunghi intervalli arrivano occasionalmente in
un distretto nuovo ed isolato, e debbono competere con altre specie associate,
saranno soggette a modificazioni in modo eminente, e daranno spesso origine
a gruppi di discendenti modificati. Ma perchè in un'isola quasi tutte
le specie di una classe sono peculiari, non ne segue che quelle di un'altra
classe, o di un'altra sezione della medesima classe siano pure particolari a
quella regione. Questa differenza sembra dipendere in parte dall'aver immigrato
con facilità ed in massa quelle specie che non si erano modificate: per
modo che le loro mutue relazioni non furono molto turbate; ed in parte dal frequente
arrivo di immigranti non modificati dalla madre-patria e dal loro conseguente
incrociamento con essi. Rispetto agli effetti di questo incrociamento, deve
ricordarsi che la progenie che ne nasce quasi certamente acquista maggior vigore;
cosicchè anche un incrociamento occasionale produrrà un effetto
maggiore di quello che dapprima poteva aspettarsi. Diamone alcuni esempi. Nelle
isole Galapagos vi sono 26 uccelli terrestri; 21 di questi (e forse 23) sono
particolari di quelle isole; al contrario sopra 11 uccelli marini, 2 soli sono
peculari; ed è ovvio che gli uccelli marini possono giungere più
facilmente a queste isole degli uccelli terrestri. La Bermuda, dall'altra parte,
che giace quasi alla medesima distanza dall'America settentrionale, come le
isole Galapagos dall'America meridionale, e che ha un suolo affatto particolare,
non possiede alcun uccello terrestre endemico. E noi sappiamo dalla mirabile
descrizione della Bermuda di J. M. Jones che moltissimi uccelli dell'America
settentrionale, nelle loro grandi migrazioni annue, visitano quest'isola o periodicamente,
o accidentalmente. Anche Madera non possiede alcun uccello speciale, e tuttavia
molti uccelli europei ed africani sono quasi tutti gli anni trasportati colà,
come ho saputo da E. V. Harcourt. L'isola è abitata da 99 specie di uccelli,
di cui una sola è propria dell'isola, ma strettamente affine con una
forma europea; 3-4 altre sono limitate ad essa ed alle isole Canarie. Per modo
che queste due isole, la Bermuda e Madera, furono popolate da uccelli, i quali
per lunghe età avevano lottato insieme nelle antiche loro dimore e divennero
scambievolmente adatti fra loro; e quando si stabilirono nelle nuove regioni,
ogni razza sarà stata mantenuta dalle altre nel proprio posto e in conformità
delle sue abitudini, e quindi sarà stata poco soggetta a modificazioni.
Qualunque tendenza a modificarsi sarà anche stata impedita dagli incrociamenti
cogli immigranti non alterati della madre-patria. Madera è anche abitata
da un numero portentoso di molluschi terrestri particolari, al contrario nessuna
specie di conchiglie marine è confinata nelle sue coste. Ora, sebbene
non sappiamo come siansi disperse colà le conchiglie marine, pure si
può presumere che le loro uova o le larve, attaccate forse alle piante
marine o ai legni galleggianti, ovvero ai piedi delle gralle, siano trasportate
più facilmente delle conchiglie terrestri fino a 300 o 400 miglia di
alto mare. I differenti ordini d'insetti di Madera presentano, a quanto sembra,
dei fatti analoghi.
Alle isole oceaniche mancano talvolta animali di intere classi, ed i loro posti
sono occupati da altre classi; nelle isole Galapagos i rettili e nella Nuova
Zelanda gli uccelli giganteschi senz'ali stanno nel posto dei mammiferi. Sebbene
qui la Nuova Zelanda sia menzionata tra le isole oceaniche, è dubbio
se ad esse appartenga, poichè è di grandezza ragguardevole e non
separata dall'Australia da un mare profondo. Stando al suo carattere geologico
ed alla direzione delle catene di montagne W. B. Clarke ha recentemente sostenuto
che quest'isola, insieme colla Nuova Caledonia, debbasi considerare come un'appendice
all'Australia. Quanto alle isole Galapagos il dott. Hooker ha dimostrato che
i numeri proporzionali dei diversi ordini di piante differiscono assai da quelli
che si hanno altrove. Questi fatti si attribuiscono generalmente alle condizioni
fisiche delle isole; ma questa spiegazione mi pare molto incerta. Mi sembra
che la facilità delle immigrazioni debba riguardarsi almeno altrettanto
importante, come la natura delle condizioni locali.
Potrebbero citarsi molti fatti singolari concernenti gli abitanti d'isole molto
lontane. Così in certe isole, non abitate dai mammiferi, alcune piante
endemiche hanno dei magnifici semi ad uncini; eppure poche relazioni sono più
sorprendenti della proprietà dei semi ad uncini di essere trasportati
dalla lana o dal pelo dei quadrupedi. Questo caso, secondo le mie idee, non
offre alcuna difficoltà, perchè un seme ad uncini può essere
tradotto in un'isola con alcuni altri mezzi; e anche se la pianta si modifichi
leggermente, ma conservi ancora i suoi semi ad uncini, formerebbe una specie
endemica dotata di un'appendice inutile, come lo sarebbe un organo rudimentale,
per esempio come lo sono le ali ripiegate sotto le elitre saldate di molti coleotteri
isolani. Le isole posseggono spesso alberi ed arbusti appartenenti ad ordini
che altrove non comprendono che specie erbacee; ora gli alberi generalmente
hanno una estensione molto ristretta, qualunque ne sia la cagione, come ha dimostrato
Alfonso De Candolle. Perciò gli alberi sono poco adatti ad emigrare verso
lontane isole oceaniche; ed una pianta erbacea, sebbene abbia poca probabilità
di competere con successo in statura con un albero pienamente sviluppato, quando
si stabilisca in un'isola ed abbia a lottare colle sole piante erbacee, può
facilmente ottenere un vantaggio su queste, crescendo ad una maggiore altezza
e superando le altre piante. Se l'elezione naturale deve tendere in tal modo
ad accrescere la statura delle piante erbacee che si sviluppano in un'isola
oceanica, a qualunque ordine appartengano, essa può cambiarle prima in
arbusti e infine formarne degli alberi.
MANCANZA DEI BATRACI E DEI MAMMIFERI TERRESTRI
NELLE ISOLE OCEANICHE
In quanto alla mancanza di ordini interi sulle isole oceaniche,
Bory de Saint-Vincent da molto tempo ha osservato che i batraci (rane, rospi,
salamandre) non furono mai trovati sopra alcune delle molte isole che sono sparse
in tutti i grandi oceani. Mi sono impegnato a verificare questa asserzione ed
ho constatato che sussiste pienamente, se si prescinde dalla Nuova Zelanda,
dalla Nuova Caledonia, dalle isole Andaman e forse dalle isole di Salomone e
dalle Seychelles. Ma dissi già essere cosa dubbia, se la Nuova Zelanda
e la Nuova Caledonia possansi annoverare tra le isole oceaniche, e maggiore
è ancora il dubbio a riguardo del gruppo delle Andaman e di Salomone
e delle Seychelles. Questa generale assenza delle rane, dei rospi e delle salamandre
in tante isole oceaniche non potrebbe attribuirsi alle loro condizioni fisiche;
infatti sembra che le isole siano particolarmente convenienti a questi animali:
perchè le rane furono introdotte a Madera, nelle Azzorre e all'Isola
Maurizio, e vi si moltiplicarono in modo da divenire dannose. Ma sapendosi che
questi animali e le loro uova fecondate sono immediatamente uccisi dall'acqua
del mare, deve essere assai difficile il loro trasporto a traverso del mare,
e da ciò risulta, secondo le mie idee, il motivo per cui non esistono
in ogni isola oceanica. Del resto sarebbe molto arduo lo spiegare per quale
ragione non siano state create colà, seguendo la teoria delle creazioni
indipendenti.
I mammiferi presentano un altro caso simile. Ho riveduto diligentemente i viaggi
più antichi e non ho ancora compiute le mie ricerche, ma non ho finora
trovato un solo esempio bene accertato di mammiferi terrestri (eccettuati gli
animali domestici che si conservano dagli abitanti) che abitano un'isola situata
a 300 miglia da un continente o da una grande isola continentale; e molte isole
che sono ad una distanza molto minore ne sono prive. Le isole Falkland, che
sono abitate da una volpe simile al lupo, formano quasi una eccezione; ma questo
gruppo non può riguardarsi come oceanico, mentre poggia sopra un banco
legato col continente e distante dal medesimo 280 miglia circa; inoltre i ghiacci
galleggianti trasportarono anticamente dei massi di roccie sulle loro coste
occidentali e quindi possono anche avervi depositato delle volpi, come accade
spesso anche al presente nelle regioni artiche. Nondimeno non potrebbe asserirsi
che le isole piccole non possono dar ricetto ai piccoli mammiferi, perchè
questi si trovano in molte parti del mondo sopra piccolissime isolette, in prossimità
dei continenti; nè può citarsi un'isola sola in cui i nostri minori
mammiferi non siano stati naturalizzati e non si siano moltiplicati grandemente.
Nè potrebbe dirsi, in base dell'opinione comunemente adottata delle creazioni,
che in quei luoghi mancasse il tempo per la creazione dei mammiferi; molte isole
vulcaniche infatti sono abbastanza antiche, come lo provano le meravigliose
degradazioni che soffrirono e i loro strati terziari; vi fu inoltre del tempo
sufficiente per la produzione di specie endemiche appartenenti ad altre classi;
ed è cosa nota che sui continenti i mammiferi appariscono e si perdono
più rapidamente degli altri animali inferiori. Sebbene non si incontrino
mammiferi terrestri nelle isole oceaniche, pure in quasi tutte queste isole
si osservano dei mammiferi volanti. La Nuova Zelanda possiede due pipistrelli
che non si trovano in qualsiasi altra parte del mondo; l'isola Norfolk, l'Arcipelago
Viti, le isole Bouin, gli arcipelaghi delle Caroline e delle Marianne e l'Isola
Maurizio, posseggono tutte i loro pipistrelli speciali. Ora potrebbe domandarsi,
come la supposta forza creatrice abbia formato su quelle isole remote soli pipistrelli
e non altri mammiferi? Secondo il mio modo di vedere, a quest'interrogazione
può rispondersi agevolmente; perchè niun mammifero terrestre può
essere trasportato sopra grandi spazi di mare, ma i pipistrelli possono facilmente
volare fino a quelle isole. Si sono veduti pipistrelli che erravano di giorno
sull'Oceano Atlantico a molta distanza dalle terre, e due specie dell'America
settentrionale sia regolarmente, sia accidentalmente visitano la Bermuda alla
distanza di 600 miglia dal continente. Ho appreso dal Tomes, che ha studiato
particolarmente questa famiglia, che molte di queste specie hanno una estensione
enorme e si trovano sui continenti e sulle isole più lontane. Conseguentemente
non ci resta che da supporre che queste specie erranti siano state modificate,
mediante l'elezione naturale nelle loro nuove dimore, in relazione alla nuova
loro posizione: e allora facilmente capiremo la presenza dei pipistrelli endemici
sulle isole, colla mancanza di tutti gli altri mammiferi terrestri.
Oltre l'assenza dei mammiferi terrestri, in relazione alla distanza delle isole
dai continenti, vi è anche un'altra relazione, fino ad un certo punto
indipendente dalla distanza, fra la profondità del mare che separa un'isola
dal continente più vicino e la presenza in entrambi della medesima specie
di mammiferi o di specie affini, in condizioni più o meno modificate.
Windsor Earl ha fatto alcune notevoli osservazioni, a questo riguardo, sul grande
Arcipelago Malese che è attraversato presso Celebes da una striscia di
mare molto profondo; questo spazio divide due faune mammologiche completamente
diverse. Da un lato di questo spazio le isole giacciono sopra banchi sottomarini
non molto profondi e sono abitate da quadrupedi identici, o almeno molto affini.
Senza dubbio in questo grande arcipelago si notano alcune anomalie, e in certi
casi è molto difficile formare un giudizio intorno alla probabile naturalizzazione
di alcuni mammiferi e decidere se abbia da attribuirsi all'opera dell'uomo;
ma noi avremo presto molte notizie sulla storia generale di quell'arcipelago,
per le ricerche e lo zelo mirabile del Wallace. Io non ebbi ancora tempo di
continuare l'esame di tale soggetto per tutte le parti del mondo; ma per quanto
potei osservare, la relazione ora detta generalmente si verifica. Noi vediamo
la Gran Bretagna separata dall'Europa mediante un Canale poco profondo e i mammiferi
sono i medesimi da ambe le parti dello stretto; e troviamo dei fatti analoghi
sopra molte isole divise dall'Australia per mezzo di consimili canali. Le isole
delle Indie Occidentali giacciono sopra un banco sommerso, alla profondità
di 1000 braccia, e vi troviamo le forme americane; ma le specie ed anche i generi
sono molto distinti. Siccome il complesso delle modificazioni in ogni caso dipende
fino ad un certo grado dal tempo trascorso, ed è chiaro che nei cambiamenti
di livello le isole separate da canali poco profondi possono essere state unite
più facilmente in continuità della terraferma in un periodo recente
di quelle isole che sono separate da canali profondi, ci sarà facile
intendere la frequente relazione che si nota fra la profondità del mare
e il grado di affinità dei mammiferi abitanti le isole con quelli del
continente più vicino, - relazione che sarebbe inesplicabile secondo
la teoria degli atti indipendenti di creazione.
Tutte le precedenti considerazioni sugli abitanti delle isole oceaniche, vale
a dire la scarsezza delle specie, - la ricchezza delle forme endemiche in particolari
classi o sezioni di classi, - la mancanza di interi gruppi, come di quello dei
batraci e dei mammiferi terrestri, non ostante la presenza dei pipistrelli,
- le proporzioni singolari di certi ordini di piante, - lo sviluppo delle forme
erbacee in alberi, ecc.,- mi sembra che concordino meglio coll'idea dei mezzi
occasionali di trasporto, i quali ebbero una grande influenza nel lungo corso
dei tempi, di quello che coll'opinione che tutte le isole oceaniche siano state
anticamente unite per mezzo di terre continue col continente più vicino;
perchè in questa seconda ipotesi la migrazione probabilmente sarebbe
stata assai più completa; e se si ammettano le modificazioni, tutte le
forme viventi sarebbero state più equabilmente modificate, in tal caso,
in ragione della importanza superiore delle relazioni fra organismo ed organismo.
Non nego che esistano ancora molte e gravi difficoltà per dimostrare
in che modo diversi abitanti delle isole più remote possano essere giunti
nelle loro attuali dimore, sia conservando ancora la stessa forma specifica,
sia modificandosi dopo il loro arrivo. Ma non deve trascurarsi la probabilità
dell'antica esistenza di molte isole come luoghi di stazione, delle quali non
rimane oggi alcun avanzo. Darò qui un solo esempio di questi casi difficili.
Quasi tutte le isole oceaniche, anche le più isolate e le più
piccole, contengono dei molluschi terrestri che generalmente appartengono a
specie endemiche, ma talvolta anche a specie che trovansi altrove. Il dott.
Augusto A. Gould ha esposto vari fatti interessanti riguardo ai molluschi terrestri
delle isole del Pacifico. Ora è cosa nota che i molluschi terrestri sono
facilmente uccisi dall'acqua salata; le loro uova, quelle almeno che furono
da me sperimentate, si affondano nell'acqua del mare e vi muoiono. Devono dunque
esistere, secondo la mia teoria, alcuni mezzi ignoti ma altamente efficaci pel
trasporto delle medesime. Non potrebbero i giovani molluschi, appena usciti
dall'uovo, accidentalmente arrampicarsi e restare attaccati ai piedi degli uccelli
che si fermarono sul terreno ed essere così trasportati da essi? Mi sono
immaginato che i molluschi terrestri, quando passano l'inverno ed hanno la bocca
della loro conchiglia munita di un opercolo membranoso, possano trovarsi nascosti
nelle fessure dei legni galleggianti e traversare dei bracci di mare di qualche
larghezza. Ho trovato che varie specie possono sostenere, senza danno, in questo
stato un'immersione di sette giorni nell'acqua del mare; uno di questi molluschi
era l'Helix pomatia, la quale, dopo un riposo invernale, venne immersa di nuovo
per venti giorni nell'acqua marina e la ricuperai in uno stato perfetto. In
questo tempo essa avrebbe potuto essere trasportata da una corrente marina di
mediocre celerità fino alla distanza di 600 miglia geogr. Siccome questa
specie di Helix possiede un grosso opercolo calcareo, lo levai, ed appena se
ne era formato un altro membranoso, la sommersi di nuovo per quattordici giorni
nell'acqua marina, dopo di che si riebbe perfettamente e se ne andò.
Simili esperimenti fece di recente il barone Aucapitaine; egli mise 100 lumache
terrestri, appartenenti a 10 specie, in una cassa munita di fori, e le sommerse
durante quattordici giorni nell'acqua marina. Delle 100 lumache ne camparono
ventisette. La presenza dell'opercolo sembra essere stata importante, poichè
dei dodici esemplari della Cyclostoma elegans, la quale ha un opercolo, 11 si
conservarono vivi. Se considero che la Helix pomatia, con cui io ho sperimentato,
ha resistito sì bene all'acqua marina, è rimarchevole che dei
55 esemplari appartenenti a quattro specie di Helix, co' quali ha sperimentato
l'Aucapitaine, neppure uno siasi conservato. Del resto non è probabile
che le lumache terrestri siano state spesso trasportate in questo modo; i piedi
degli uccelli sono un mezzo di trasporto più probabile.
RELAZIONE DEGLI ABITANTI DELLE ISOLE
CON QUELLI DEI CONTINENTI PIÙ VICINI
Il fatto per noi più importante e singolare, riguardo
agli abitanti delle isole, sta nella loro affinità con quelli dei continenti
più vicini, quantunque non siano le medesime specie. Potrebbero citarsi
moltissimi esempi di questa legge. Ne prenderò un solo dall'Arcipelago
Galapagos, posto sotto l'equatore fra 500 e 600 miglia dalle coste dell'America
meridionale. Quivi quasi tutte le produzioni terrestri ed acquatiche portano
l'impronta evidente del continente americano. Vi sono ventisei uccelli di terra
e di questi, ventuno o forse ventitre sono classificati come specie distinte,
e si suppone che siano state create colà; eppure la stretta affinità
di questi uccelli colle specie americane in ogni carattere, nelle loro abitudini,
nel portamento, nel suono della voce, è manifesta. Altrettanto deve dirsi
degli altri animali, e di quasi tutte le piante, come fu dimostrato dal dott.
Hooker nella sua stupenda Memoria sulla flora di quell'arcipelago. Il naturalista,
esaminando gli abitanti di queste isole vulcaniche del Pacifico che sono lontane
per alcune centinaia di miglia dal continente, sente tuttavia di essere ancora
sulla terra americana. Per qual motivo ciò avviene? Per qual motivo dovrebbero
le specie conservare l'impronta così palese dell'affinità che
le connette a quelle create in America, se supponiamo che quelle specie siano
state create nell'Arcipelago Galapagos? Nelle condizioni di vita di queste isole,
nella loro geologica natura, nella loro altezza, nel loro clima e nelle proporzioni
con cui le varie classi sono insieme associate, qui non abbiamo nulla che somigli
alle condizioni delle coste dell'America meridionale; anzi in fatto abbiamo
una dissomiglianza considerevole per tutti questi rispetti. Al contrario havvi
un grado notevole di somiglianza nella natura vulcanica del suolo, nel clima,
nell'altezza e nella grandezza delle isole, fra l'Arcipelago Galapagos e quello
del Capo Verde. Ma quale intera ed assoluta differenza non si riscontra nei
loro abitanti! Gli abitanti delle isole di Capo Verde hanno con quelli d'Africa
rapporti analoghi a quelli che passano fra gli abitanti delle isole Galapagos
e quelli d'America. Io credo che tali fatti non possano ricevere alcuna spiegazione,
secondo l'opinione ordinaria delle creazioni indipendenti; all'opposto, secondo
le idee da me propugnate, è facile vedere che le isole Galapagos potevano
ricevere coloni dall'America, sia mediante mezzi occasionali di trasporto, oppure
(dottrina alla quale non credo) per mezzo di una terra che anticamente legava
queste isole al continente; parimenti le isole di Capo Verde li avrebbero ricevuti
dall'Africa. Questi coloni sarebbero stati soggetti a modificazioni: ma il principio
d'eredità tradisce ancora la loro patria originale.
Potrebbero constatarsi molti altri fatti analoghi; ma è questa una regola
quasi universale, che cioè le produzioni endemiche delle isole hanno
molti rapporti con quelle dei continenti vicini o delle altre isole prossime.
Le eccezioni sono poche e la maggior parte può spiegarsi. Così
le piante della terra di Kerguelen, benchè questa regione sia più
vicina all'Africa che all'America, sono maggiormente affini a quelle dell'America,
come si conosce dalle descrizioni del dott. Hooker; ma quando si ammetta che
quest'isola sia stata popolata principalmente di semi misti alla terra e alle
pietre trasportate dai ghiacci galleggianti condotti dalle correnti predominanti,
quest'anomalia scompare. Le piante endemiche della Nuova Zelanda sono in affinità
più stretta coll'Australia, che è il continente più vicino,
che con qualsiasi altra regione: ciò è naturale e doveva prevedersi;
ma esse hanno anche una evidente affinità con l'America meridionale,
la quale, sebbene sia il continente più vicino dopo l'Australia, è
tanto distante che il fatto diventa anomalia. Ma codesta difficoltà è
quasi eliminata quando si rifletta che la Nuova Zelanda, l'America meridionale
ed altre isole meridionali furono, in epoca remota, popolate parzialmente da
un punto quasi intermedio ma lontano, cioè dalle isole antartiche, quando
esse erano coperte di vegetazione prima che cominciasse il periodo glaciale.
L'affinità fra la flora dell'angolo sud-ovest dell'Australia e quella
del Capo di Buona Speranza, la quale, sebbene sia poca, pure è reale,
come mi assicurò il dott. Hooker, è un fatto assai più
rimarchevole e presentemente non può darsene alcuna spiegazione; ma questa
affinità si limita alle sole piante e certamente potrà in seguito
esserne rivelata la cagione.
La legge per cui gli abitanti di un arcipelago, quantunque distinti specificamente,
sono strettamente affini a quelli del continente più vicino, talvolta
si applica in una piccola scala, benchè in una maniera più interessante;
nei limiti del medesimo arcipelago. Così le diverse isole dell'Arcipelago
Galapagos sono occupate da specie che sono in rapporti molto stretti in modo
meraviglioso, come altrove ho dimostrato; cosicchè gli abitanti di ogni
isola separata, sebbene distinti in gran parte, sono connessi fra loro in grado
incomparabilmente maggiore di quello che cogli abitanti di ogni altra parte
del mondo. E ciò doveva precisamente prevedersi, secondo le mie idee,
perchè quelle isole sono così vicine, che debbono quasi inevitabilmente
ricevere degli immigrati dalla stessa sorgente originale, o l'una dall'altra.
Ma questa dissomiglianza fra gli abitanti endemici delle isole può usarsi
come un argomento contrario alla mia teoria; perchè potrebbe chiedersi
come mai sia avvenuto che in diverse isole, situate a poco distanza fra loro,
aventi la stessa natura geologica, la stessa altezza, il medesimo clima, ecc.,
molti immigranti sieno stati modificati differentemente, benchè soltanto
leggermente. Questa mi è sembrata per molto tempo una grave obbiezione:
ma essa è fondata principalmente sull'errore, profondamente radicato,
di considerare le condizioni fisiche di un paese come le più importanti
per i suoi abitatori; al contrario credo non possa contrastarsi che la natura
degli abitanti, coi quali ogni altro deve lottare, sia un elemento di successo
almeno ugualmente importante e in generale assai più influente. Ora se
noi consideriamo quegli abitanti delle isole Galapagos che trovansi in altre
parti del mondo (lasciando in disparte pel momento le specie endemiche, che
non possono comprendersi qui rettamente, mentre dobbiamo ricercare come esse
si siano modificate dopo il loro arrivo), noi troviamo un complesso considerevole
di differenza nelle varie isole. Questa differenza doveva infatti ammettersi
secondo l'ipotesi che le isole siano state popolate con mezzi occasionali di
trasporto; un seme di una pianta, per esempio, essendo stato portato sopra una
di quelle isole e quello di un'altra sopra un'isola diversa. Quindi allorchè
nei tempi antichi una specie immigrante si stabilì in una di queste isole
o in parecchie, ovvero quando posteriormente si sparse da un'isola all'altra,
si sarà trovato esposto certamente a condizioni di vita diverse nelle
differenti isole, perchè avrà dovuto competere con differenti
gruppi di organismi. Una pianta, per esempio, avrà trovato un terreno
più conveniente per essa, occupato più completamente da piante
distinte in un'isola che nell'altra, e sarà stata in balìa degli
attacchi di nemici alquanto differenti. Se quindi essa variava, l'elezione naturale
avrà favorito probabilmente delle varietà diverse nelle varie
isole. Alcune specie però poterono estendersi e conservare non pertanto
il medesimo carattere in tutto il gruppo, precisamente come si osserva nei continenti
in cui certe specie si diffondono assai e rimangono inalterate.
Il fatto in realtà sorprendente, che si nota nelle isole dell'Arcipelago
Galapagos e in grado minore in alcuni altri casi analoghi, è che le nuove
specie formate in ogni isola separata non si sono rapidamente sparse nelle altre
isole. Ma queste isole, sebbene siano in vista l'una dell'altra, sono divise
da profondi canali, in molti punti più larghi del canale della Manica,
e non abbiamo ragione di supporre che in un periodo antico siano state congiunte.
Le correnti del mare sono rapide e traversano l'arcipelago, e i venti forti
vi sono molto rari; per cui queste isole sono in fatto molto più efficacemente
separate fra loro di quel che apparisce dalla carta geografica. Nondimeno un
buon numero di specie, sia di quelle che trovansi anche in altre parti del mondo,
sia di quelle che sono confinate nell'arcipelago, sono comuni a diverse isole;
e possiamo dedurre da certi fatti che queste specie probabilmente passarono
da qualcuna di esse nelle altre. Ma noi ci facciamo spesso, io credo, un concetto
erroneo della probabilità che le specie affini invadano i territori delle
altre, quando si stabilisca fra le medesime una libera comunicazione. Senza
dubbio se una specie ha un vantaggio qualunque sopra un'altra, essa in breve
tempo la soppianterà interamente, o almeno in parte; ma se ambedue sono
ugualmente bene adatte ai loro posti rispettivi nella natura, esse probabilmente
vi rimarranno e si conserveranno separate quasi indefinitamente. Essendoci familiare
il fatto che molte specie, naturalizzate per opera dell'uomo, si sono sparse
con meravigliosa rapidità sopra nuovi paesi, siamo disposti ad inferirne
che la maggior parte delle specie debba diffondersi così; ma dovremmo
rammentare che le forme naturalizzate in nuove regioni non sono generalmente
molto affini cogli abitanti indigeni, ma sono specie molto distinte, appartenenti
a generi distinti nella pluralità dei casi, come fu dimostrato da Alfonso
De Candolle. Anche molti uccelli dell'Arcipelago Galapagos, sebbene tanto adatti
per volare da un'isola all'altra, sono distinti in ciascuna di esse; così
vi sono tre specie strettamente affini di tordo poliglotto, ciascuna delle quali
è confinata nella propria isola. Ora ci sia permesso supporre che il
tordo poliglotto dall'isola Chatham sia spinto dal vento sull'isola Charles,
che ha il proprio tordo poliglotto; per qual motivo riuscirà a stabilirsi
nella nuova dimora? Noi possiamo sicuramente sostenere che l'isola Charles è
ben popolata colla specie propria, perchè annualmente questa depone uova
in quantità maggiore di quelle che possono essere allevate; e possiamo
anche inferire che il tordo poliglotto speciale dell'isola Charles sia almeno
tanto adatto alla sua patria, quanto lo è la specie particolare all'isola
Chatham.
C. Lyel e Wollaston mi hanno comunicato un fatto rimarchevole che si riferisce
a questo argomento; vale a dire, che Madera e la vicina isoletta di Porto Santo
possiedono molti molluschi terrestri distinti ma rappresentativi, alcuni dei
quali vivono nei crepacci delle roccie, e sebbene una quantità considerevole
di questi sia trasportata annualmente da Porto Santo a Madera, pure in quest'ultima
isola non si è colonizzata la specie di Porto Santo; ciò non ostante
le due isole ricevettero alcuni molluschi terrestri europei, i quali certamente
hanno qualche vantaggio sopra le specie indigene. Io credo che dietro questi
riflessi noi non dobbiamo farci le meraviglie se le specie endemiche e rappresentative
dell'Arcipelago Galapagos non si sono sparse da un'isola all'altra. In molti
altri casi, come in vari distretti di un medesimo continente, le prime occupazioni
avranno probabilmente esercitato un'influenza importante, coll'impedire la mescolanza
delle specie sotto le medesime condizioni di vita. Così gli angoli sud-est
e sud-ovest dell'Australia sono in condizioni fisiche quasi identiche e sono
congiunti da una terra continua, però sono abitati da un grande numero
di mammiferi, di uccelli e di piante distinte; e secondo il Bates la stessa
cosa avviene coi lepidotteri, e cogli altri animali che abitano la vallata grande,
aperta e continua del fiume delle Amazzoni.
Il principio che determina il carattere generale della fauna e della flora delle
isole oceaniche, cioè, che gli abitanti, quando non sono identici, sono
tuttavia evidentemente connessi cogli altri abitanti di quella regione dalla
quale possono più prontamente essere venuti i coloni, essendo poi questi
successivamente modificati e meglio conformati alle nuove loro dimore, questo
principio è applicabile universalmente a tutta la natura. Noi vediamo
che ciò si verifica in ogni montagna, in ogni lago e in ogni palude.
Perchè le specie alpine sono affini a quelle delle pianure che le circondano,
eccettuate però quelle forme, principalmente di piante, che si sono disseminate
ampiamente per tutto il mondo nella recente epoca glaciale; così abbiamo
nell'America meridionale i colibri alpini, i roditori alpini, le piante alpine,
ecc., tutti di forme esclusivamente americane; ed è manifesto che una
montagna, di mano in mano che lentamente si sollevava, doveva naturalmente essere
colonizzata dalle pianure circonvicine. Altrettanto dicasi degli abitanti dei
laghi e degli stagni, colla riserva che le grandi facilitazioni dei trasporti
diedero le medesime forme generali al mondo intero. Noi vediamo il medesimo
principio in alcuni animali ciechi che abitano nelle caverne dell'America e
dell'Europa.
Potrebbero anche citarsi altri fatti analoghi. Infine io credo si riconoscerà
universalmente la verità del fatto, che quando in due regioni, a qualsiasi
distanza si trovino, si incontrano molte specie strettamente affini o rappresentative,
vi si dovranno trovare ugualmente alcune specie identiche; e laddove si trovano
molte specie affini, si incontreranno molte forme che alcuni naturalisti considerano
quali specie distinte ed altri quali varietà; queste forme dubbie ci
rappresentano i diversi gradi del processo di modificazione.
Questa relazione fra la facoltà di emigrare e l'estensione delle migrazioni
di una specie, sia nel tempo attuale, sia in qualche antico periodo sotto condizioni
fisiche differenti, colla esistenza in punti distanti del mondo di altre specie
affini si prova anche in un altro modo più generale. Il Gould mi ha fatto
osservare da molto tempo che in quei generi d'uccelli che sono molto estesi
pel mondo, molte specie hanno pure una grande diffusione. Non dubito che questa
regola sia generalmente fondata, ma sarebbe difficile provarla. Fra i mammiferi
la vediamo chiaramente spiegata nei pipistrelli, e in grado minore nei felidi
e nei canidi. Noi la riscontriamo anche se paragoniamo la distribuzione delle
farfalle e dei coleotteri. Essa si applica altresì alla maggior parte
delle produzioni d'acqua dolce, di cui tanti generi sono sparsi sopra tutto
il globo; e molte specie hanno una estensione enorme. Ciò non vuol dire
che nei generi sparsi pel mondo intero tutte le specie abbiano una vasta estensione,
od anche in media siano molto estese; ma solamente che alcune di esse hanno
la prerogativa di spargersi ampiamente; perchè la facilità con
cui le specie largamente sparse variano e danno origine a nuove forme deve in
gran parte determinare la loro media estensione. Per esempio, due varietà
di una medesima specie abitano l'America e l'Europa, e la specie ha perciò
una immensa estensione; ma se la variazione fosse stata un po' più forte,
le due varietà sarebbero state riguardate come specie distinte, e l'estensione
comune sarebbe stata grandemente diminuita. Nè tanto meno si vuol significare
che una specie, la quale evidentemente sia dotata della facoltà di attraversare
le barriere e di estendersi in vaste proporzioni, come sarebbe il caso di certi
uccelli, che hanno un volo portentoso, debba di necessità diffondersi
ampiamente; perchè non bisogna mai dimenticare che una vasta estensione
non suppone soltanto la facoltà di oltrepassare le barriere, ma l'altra
facoltà più importante di ottenere la vittoria in lontane regioni
nella lotta per l'esistenza coi nuovi competitori. Partendo dal principio che
tutte le specie di un genere sono derivate da un solo progenitore, quantunque
al presente esse siano distribuite nei luoghi più distanti del mondo,
noi dobbiamo trovare, e credo che in regola generale troveremo, che almeno alcune
di queste specie si estendono grandemente.
Non dobbiamo dimenticare che molti generi di tutte le classi sono estremamente
antichi, per cui in tali casi vi fu il tempo sufficiente per la dispersione
e per una successiva modificazione. Vi sono anche alcune ragioni fondate sulle
prove geologiche per credere che gli organismi di ogni grande classe, inferiori
nella scala naturale, generalmente si modificano con minore prontezza delle
forme superiori; e quindi le forme inferiori avranno una probabilità
più grande di estendersi largamente e di conservare altresì il
medesimo carattere specifico. Questo fatto, unito all'altro che i semi e le
uova di molte forme inferiori sono assai piccoli e meglio adatti ai trasporti
in luoghi lontani, probabilmente serve a chiarire la legge, conosciuta già
da lungo tempo e che fu recentemente discussa con grande scienza da Alfonso
De Candolle rispetto alle piante, vale a dire, che quanto più un gruppo
di organismi è basso nella scala naturale, tanto più è
atto ad estendersi ampiamente.
Le relazioni fin qui esaminate, cioè - che gli organismi inferiori che
si modificano lentamente prendono una estensione maggiore degli organismi elevati;
- che alcune specie di generi molto estesi si diffondono grandemente; - che
le produzioni alpine, lacustri e quelle degli stagni sono in rapporti d'affinità
con quelle delle pianure vicine e delle terre secche; - che esiste un'intima
connessione fra le specie distinte che vivono nelle isole di uno stesso arcipelago;
- e specialmente che si nota una relazione singolare fra gli abitanti di ogni
intero arcipelago o di ogni isola e quelli del continente più vicino;
tutte queste relazioni sono, a mio credere, completamente inesplicabili, secondo
l'opinione ordinaria della creazione indipendente di ogni specie, ma sono invece
suscettibili di spiegazione nell'ipotesi della colonizzazione dalla sorgente
più vicina e più pronta, combinata colle modificazioni susseguenti
e coll'adattamento migliore dei coloni alle nuove loro dimore.
SOMMARIO DI QUESTO CAPO E DEL PRECEDENTE
In questi due capi io mi sono studiato di dimostrare che se
facciamo il debito calcolo della nostra ignoranza sugli effetti complessivi
di tutti i cambiamenti nel clima e nell'altezza delle terre, che certamente
avvennero nel periodo recente, e degli altri cambiamenti consimili che possono
essersi verificati nel medesimo periodo; se noi ricorderemo come siamo profondamente
ignoranti rispetto ai molti mezzi curiosi di trasporto occasionale, - soggetto
sul quale non si istituirono ancora esperienze accurate; se riflettiamo (e questa
è una riflessione importante) che una specie può spesso essersi
estesa senza interruzione sopra una vasta superficie, e quindi essere rimasta
estinta in alcuni tratti intermedi, non sono più insuperabili le difficoltà
che si oppongono all'opinione che tutti gli individui di una medesima specie,
comunque disposti in qualsiasi luogo, sono derivati dai medesimi parenti. E
noi giungiamo a questa conclusione che fu già adottata da molti naturalisti
sotto la denominazione di "centri singoli di creazione", mediante
alcune considerazioni generali e segnatamente desunte dall'importanza delle
barriere e dalla distribuzione analoga dei sotto-generi, dei generi e delle
famiglie.
Riguardo alle specie distinte del medesimo genere, le quali, secondo la mia
teoria, debbono essere state prodotte da una sola sorgente paterna; quando si
facciano le stesse riflessioni, come sopra, sulla nostra ignoranza e si ricordino
che alcune forme di vita si trasformano più lentamente, richiedendo così
degli enormi periodi di tempo per le loro migrazioni, non credo che le difficoltà
siano invincibili; sebbene queste difficoltà siano in tal caso molto
gravi, come in quello della dispersione degl'individui di una medesima specie.
Per chiarire con un esempio gli effetti dei mutamenti climatologici sulla distribuzione,
ho cercato di dimostrare come sia stata efficace l'influenza del periodo glaciale
moderno, che io sono pienamente convinto agisse simultaneamente sul mondo intero,
o almeno sopra grandi zone longitudinali. Per dimostrare quanto siano diversi
i mezzi di trasporto occasionali, ho discusso con qualche ampiezza i mezzi di
dispersione delle produzioni d'acqua dolce.
Se non si trovasse alcuna difficoltà invincibile nell'ammettere che gl'individui
di una medesima specie e delle specie affini, nel lungo corso dei tempi, procedettero
da una stessa sorgente; allora tutti i fatti principali della distribuzione
geografica potrebbero spiegarsi colla teoria delle migrazioni, in uno colle
modificazioni posteriori e colla moltiplicazione delle forme nuove. Possiamo
così valutare l'alta importanza delle barriere, sì di terra che
d'acqua, le quali dividono le nostre varie provincie zoologiche e botaniche.
Possiamo inoltre spiegare la localizzazione dei sotto-generi, dei generi e delle
famiglie; e come avvenga che sotto latitudini diverse, per esempio, nell'America
meridionale, gli abitanti delle pianure e delle montagne, delle foreste, degli
stagni e dei deserti, siano in modo tanto misterioso collegati insieme per un
certo grado di affinità, e siano parimenti connessi agli esseri estinti
che anticamente esistevano sul medesimo continente. Richiamando alla mente che
le mutue relazioni da organismo ad organismo sono della più alta importanza,
possiamo riconoscere perchè due superfici, poste in condizioni fisiche
quasi uguali, siano di sovente abitate da forme di vita affatto differenti.
Imperocchè, a seconda della lunghezza del tempo trascorso, dacchè
i nuovi abitanti si introdussero in una regione; a seconda della natura della
comunicazione che permetteva il passaggio a certe forme e non ad altre, in maggiore
o minor numero; secondochè gli immigranti entrarono o no in una lotta
più o meno diretta gli uni cogli altri e cogli indigeni; ed anche secondo
che gli immigranti furono capaci di variare più o meno rapidamente, dovettero
seguirne nelle differenti regioni, indipendentemente dalle loro condizioni fisiche,
delle condizioni di vita infinitamente diverse, - e un insieme quasi infinito
di azioni e di reazioni organiche; - e noi dobbiamo trovare, come infatti troviamo,
nelle varie grandi provincie geografiche del mondo, alcuni gruppi di esseri
modificati in sommo grado ed altri soltanto leggermente, alcuni sviluppati ed
estesi con grande vigore, altri invece esistenti in piccolo numero.
In base di questi medesimi principii possiamo intendere, come ho tentato di
dimostrare, per qual motivo le isole oceaniche debbano possedere pochi abitanti,
la maggior parte dei quali debba essere endemica o particolare; e così
per qual ragione, rispetto ai mezzi di migrazione, un gruppo di esseri, anche
restrittivamente ad una sola classe, debba avere tutte le sue specie endemiche
e un altro gruppo invece le abbia comuni con altre parti del mondo. Possiamo
dimostrare come interi gruppi di organismi siano assenti dalle isole oceaniche,
ad esempio, i batraci e i mammiferi terrestri, mentre le isole più appartate
posseggano le loro specie di mammiferi volanti o pipistrelli. Possiamo dimostrare
come vi sia qualche relazione fra la presenza dei mammiferi, in una condizione
più o meno modificata, e la profondità del mare fra un'isola e
il continente. Noi possiamo vedere chiaramente in che modo tutti gli abitanti
di un arcipelago, sebbene specificamente distinti sulle diverse isole che lo
compongono, siano strettamente affini fra loro e parimenti siano in qualche
rapporto, meno intimo, con quelli del continente più vicino o probabilmente
di quell'altra sorgente da cui gli immigranti sono probabilmente partiti. Infine
sappiamo dire come avvenga che in due regioni, comunque distanti fra loro, vi
sia una correlazione nella presenza di specie identiche, di varietà,
di specie dubbie e di specie distinte, ma rappresentative.
Havvi un parallelismo stupendo fra le leggi della vita nel tempo e nello spazio,
sul quale spesso ha insistito Edoardo Forbes; le leggi che governarono la successione
delle forme nei tempi passati essendo quasi identiche a quelle che reggono presentemente
le differenze che si trovano nelle diverse regioni. Noi vediamo questa analogia
in molti fatti. La durata di ogni specie e di ogni gruppo di specie è
continua nella successione dei secoli; perchè le eccezioni a questa regola
sono tanto poche, che possono a ragione attribuirsi al non essersi peranco scoperte
in un deposito intermedio le forme che vi mancano, ma che s'incontrano, nelle
formazioni inferiori e superiori. Così, quanto allo spazio, è
al certo una regola generale che la superficie abitata da una sola specie, o
da un gruppo di specie, è continua; e le eccezioni, che non sono rare,
possono spiegarsi, come mi sono adoperato a dimostrare, colle migrazioni in
qualche antico periodo sotto condizioni differenti, e coi mezzi occasionali
di trasporto, essendosi estinta la specie nei tratti intermedi. Nel tempo e
nello spazio, le specie e i gruppi di specie hanno i loro punti di massimo sviluppo.
I gruppi di specie che appartengono ad un certo periodo di tempo, o ad una certa
superficie, sono spesso caratterizzati da particolarità poco importanti
che sono comuni a essi, come le forme esterne e il colore. Nel riflettere alla
lunga successione delle età, come nell'esaminare le provincie lontane
del globo, noi troviamo che parecchi organismi differiscono poco, mentre altri
appartenenti a classi differenti, o ad un ordine diverso od anche soltanto ad
una famiglia diversa del medesimo ordine, differiscono grandemente. Nel tempo
come nello spazio i membri inferiori di ogni classe generalmente si modificano
meno dei superiori; ma in ambi i casi vi sono delle forti eccezioni alla regola.
Secondo la mia teoria, queste varie relazioni corrispondenti sia per il tempo,
sia per lo spazio, si spiegano facilmente; perchè se consideriamo le
forme di vita che si cambiarono nelle epoche successive nella medesima parte
del mondo, e quelle che si cambiarono dopo di avere migrato in luoghi distanti,
nell'uno e nell'altro caso le forme di ciascuna classe furono collegate dal
medesimo processo della generazione ordinaria, e quanto più due forme
qualsiasi sono prossime fra loro, pel grado di parentela, esse saranno anche
generalmente più vicine fra loro, nel tempo e nello spazio; in ambi i
casi le leggi della variazione saranno state le medesime, e le modificazioni
saranno state accumulate dal medesimo potere della elezione naturale.
CAPO XIV
MUTUE AFFINITÀ DEGLI ESSERI ORGANIZZATI
MORFOLOGIA - EMBRIOLOGIA
ORGANI RUDIMENTALI
Classificazione; gruppi subordinati ad altri gruppi - Sistema naturale - Regole e difficoltà della classificazione, spiegate per mezzo della teoria della discendenza con modificazioni - Classificazione delle varietà - La discendenza sempre impiegata nelle classificazioni - Caratteri di analogia o di adattamento - Affinità generali, complesse e divergenti - L'estinzione separa e definisce i gruppi - Morfologia; fra i membri di una stessa classe, fra le parti di un medesimo individuo - Embriologia; sue leggi spiegate per mezzo di quelle variazioni che non hanno luogo nella prima età e che vengono ereditate ad un'età corrispondente - Organi rudimentali; loro origine spiegata - Sommario.
CLASSIFICAZIONE
Dalla prima alba della vita tutti gli esseri organizzati rassomigliano
gli uni agli altri secondo gradi discendenti, per cui possono classificarsi
in gruppi subordinati ad altri gruppi. Questa classificazione evidentemente
non è arbitraria, come quella dei gruppi di stelle nelle costellazioni.
L'esistenza dei gruppi non avrebbe avuto che un significato molto semplice,
se un gruppo fosse stato destinato esclusivamente ad abitare la terra ed un
altro a vivere nelle acque: uno a nutrirsi di carne, un altro di materie vegetali,
e così di seguito. Ma ciò non ha luogo menomamente nella natura:
perchè tutti sanno che comunemente anche i membri del medesimo sotto-gruppo
hanno abitudini differenti. Nei Capi secondo e quarto sulle Variazioni e sulla
Elezione naturale ho procurato di dimostrare che in qualsiasi paese le specie
più variabili sono quelle che si estendono ampiamente, che sono molto
diffuse e comuni, in una parola le specie dominanti, appartenenti ai generi
più ricchi di ogni classe. Io credo che le varietà o specie incipienti,
così prodotte, da ultimo divengano specie nuove e distinte; e queste,
pel principio di eredità, tendano a produrre altre specie nuove e dominanti.
Perciò quei gruppi che sono ricchi, e che generalmente comprendono molte
specie dominanti, tendono ad aumentare. Ho cercato inoltre di provare che, in
seguito ai continui sforzi dei discendenti variabili di ogni specie per occupare
il maggior numero possibile di posti differenti nell'economia della natura,
i loro caratteri hanno una tendenza costante a divergere. Questo risultato emergeva
dal considerare la diversità grande delle forme di vita, le quali in
ogni piccola superficie si fanno una concorrenza molto viva, e dalla cognizione
di certi fatti nella naturalizzazione.
Mi sono anche adoperato a constatare che nelle forme, le quali aumentano di
numero e divergono nei caratteri, vi è una tendenza costante a surrogare
ed esterminare le forme meno divergenti, meno perfezionate e più antiche.
Prego il lettore ad esaminare di nuovo il diagramma che descrive l'azione di
questi vari principii, come fu spiegato precedentemente, ed egli si accorgerà
che il risultato inevitabile consiste in ciò, che i discendenti modificati,
procedenti da un solo progenitore, rimarranno spezzati in gruppi subordinati
ad altri gruppi. Ogni lettera della linea superiore di quella figura può
rappresentare un genere comprendente varie specie; e tutti i generi di questa
stessa linea formano insieme una classe, perchè tutti sono provenienti
da un antico parente e per conseguenza ereditarono qualche cosa in comune. Ma
i tre generi della parte sinistra hanno, pel medesimo principio, molte particolarità
comuni, e formano una sotto-famiglia, distinta da quella che comprende i due
generi immediatamente vicini sulla destra, i quali si scostarono dal parente
comune al quinto stadio della progenie. Questi cinque generi hanno ancora qualche
carattere comune e formano insieme una famiglia distinta da quella di cui fanno
parte i tre generi che si trovano anche più a destra, i quali cominciarono
a divergere in un'epoca più antica. Tutti questi generi poi derivati
da A formano un ordine distinto da quello dei generi derivati da I. Per cui
noi abbiamo qui molte specie discendenti da un solo progenitore aggruppate in
generi; e questi generi sono pur essi compresi e subordinati a sotto-famiglie,
famiglie e ordini tutti riuniti in una sola classe. Così a mio giudizio
rimane chiarito il grande fatto della storia naturale, della subordinazione
dei gruppi sotto altri gruppi, fatto sul quale non portiamo sempre sufficiente
attenzione, perchè ci è molto familiare. Gli esseri organici,
come tutti gli altri oggetti, si lasciano senza dubbio disporre a gruppi in
varia guisa, sia artificialmente col mezzo di singoli caratteri, od in modo
più naturale col mezzo di un complesso di caratteri. Noi sappiamo che
così si possono classificare i minerali e perfino le sostanze elementari.
In questo caso la classificazione non ha alcuna attinenza alla successione genealogica,
ed al presente non può indicarsi la causa, per cui si scindono in gruppi.
Ma negli esseri organici le cose stanno ben diversamente, ed il suesposto concetto
ci dà la ragione della suddivisione in gruppi e sotto-gruppi, nè
altra spiegazione fu mai tentata.
I naturalisti si studiano di coordinare le specie, i generi e le famiglie di
ogni classe in un sistema naturale. Ma che cosa significa questo sistema? Alcuni
autori lo riguardavano puramente come uno schema per disporre insieme quegli
esseri viventi che sono più somiglianti e per separare quelli che sono
più differenti: oppure anche come un mezzo artificiale di enunciare,
colla maggiore brevità possibile, certe proposizioni generali, cioè
di raccogliere con una sola sentenza i caratteri comuni a tutti i mammiferi,
per esempio, e di dare con un'altra proposizione quelli comuni a tutti i carnivori,
con un'altra quelli comuni al genere cane, ed infine, aggiungendo una sola sentenza,
fare una descrizione completa di ogni razza dei cani. La semplicità e
l'utilità di questo sistema sono incontestabili. Ma molti naturalisti
pensano che l'espressione "Sistema naturale" denoti qualche cosa di
più; essi credono che riveli il piano del Creatore; però finchè
non sia meglio specificato se le parole "il piano del Creatore" significano
l'ordine nel tempo o nello spazio, o in ambedue, ovvero denotino qualche altra
cosa, mi sembra che con esse nulla si aggiunga alla nostra scienza. Tali espressioni
che noi incontriamo spesso, sotto una forma più o meno oscura, come quel
famoso detto di Linneo, che "i caratteri non formano il genere, ma che
il genere fornisce i caratteri", mi sembra che nelle nostre classificazioni
implicitamente includano qualche cosa di più della semplice rassomiglianza.
Credo che infatti si sottintenda qualche cosa e che la prossimità di
discendenza, - la sola causa conosciuta della somiglianza degli esseri organizzati,
- sia il legame che in parte è manifestato dalle nostre classificazioni,
e che ci è nascosto dai diversi gradi di modificazione.
Veniamo ora a considerare le norme seguite nella classificazione e le difficoltà
che si incontrano, nel supposto che la classificazione ci presenti qualche ignoto
piano di creazione, ovvero altro non sia che uno schema per enunciare delle
proposizioni generali e per collocare insieme le forme più somiglianti
fra loro. Si potrebbe forse ammettere (e negli antichi tempi si ammetteva) che
quelle parti della struttura che determinano le abitudini della vita e la situazione
generale di ogni essere nell'economia della natura siano di una grande importanza
nella classificazione. Nulla può esservi di più falso. Niuno riguarda
come di qualche importanza la somiglianza esterna del sorcio col topo-ragno,
del ducongo colla balena, della balena col pesce. Queste rassomiglianze, sebbene
intimamente connesse colla vita intera dell'essere, sono considerate semplicemente
come "caratteri analogici o di adattamento"; ma avremo occasione di
ritornare su queste relazioni. Potrebbe anzi porsi come regola generale che
quanto meno una parte dell'organismo è destinata a scopi ed abitudini
speciali, tanto più diviene importante per la classificazione. Per darne
un esempio, Owen, trattando del ducongo, si esprime in questi termini: "Gli
organi della generazione, essendo quelli che hanno le relazioni più lontane
colle abitudini e col nutrimento di un animale, furono sempre riguardati da
me come i più confacenti a fornire delle indicazioni chiare sulle sue
vere affinità. Nelle modificazioni di questi organi siamo meno esposti
a scambiare un carattere essenziale con un carattere di semplice adattamento".
Così nelle piante; quanto è rimarchevole il fatto che gli organi
di vegetazione, da cui dipende la loro vita intera, sono di poca significazione,
mentre gli organi riproduttivi, coi loro prodotti, il seme e l'embrione, sono
della massima importanza! Parlando delle differenze morfologiche, le quali non
sono di alcuna importanza fisiologica, noi abbiamo visto come siano spesso del
massimo valore per la classificazione. Ciò dipende dalla costanza con
cui appariscono in molti gruppi affini; e tale costanza, alla sua volta, dipende
da ciò che le eventuali leggere variazioni di struttura in siffatte parti
non sono conservate ed aumentate dalla elezione naturale, la quale agisce solamente
sui caratteri utili.
Che, la sola importanza fisiologica di un organo non valga a determinare il
suo pregio nella classificazione, è quasi dimostrato dal fatto che nei
gruppi affini, in cui il medesimo organo ha quasi il medesimo valore fisiologico,
come abbiamo ogni ragione di ammettere, il valore di classificazione è
interamente diverso. Niun naturalista può essersi occupato di qualche
gruppo speciale senza rimanere colpito da questo fatto, che fu espressamente
notato negli scritti di quasi tutti gli autori. Basterà citare l'autorità
più stimata, Roberto Brown, il quale, nel parlare di certi organi delle
proteacee, dice che la loro importanza generica, "come quella di tutte
le loro parti, non solamente in questa, ma credo in quasi tutte le famiglie
naturali, è molto disuguale ed in certi casi mi sembra completamente
nulla". Anche in un'altra opera dice che i generi delle connaracee "differiscono
nel possedere uno o più ovari, nella presenza o mancanza di albume, nella
estivazione embriciata o valvare. Ognuno di questi caratteri, preso isolatamente,
è spesso di una importanza più che generica, quantunque anche
quando si prendano tutti in una volta sembrino insufficienti a separare il Cnestis
dal Connarus". Per darne un esempio negli insetti, in una grande divisione
degli imenotteri, le antenne sono le più costanti nella struttura, come
ha osservato Westwood; in un'altra divisione esse differiscono assai e le loro
differenze sono di un valore affatto secondario nella classificazione; eppure
niuno probabilmente potrebbe dire che le antenne siano di un'importanza fisiologica
diversa in queste due divisioni del medesimo ordine. Ma potrebbero darsi moltissimi
esempi della importanza variabile di un medesimo organo essenziale in un gruppo
di esseri, rispetto alla classificazione.
Così niuno potrà sostenere che gli organi rudimentali od atrofizzati
siano di un alto valore fisiologico o vitale; ciò non ostante alcuni
organi in questa condizione sono spesso di una grande importanza nella classificazione.
Niuno contesterà che il dente rudimentale della mascella superiore dei
ruminanti giovani e certe ossa rudimentali delle loro gambe non siano altamente
utili per stabilire la stretta affinità che esiste fra i ruminanti e
i pachidermi. Roberto Brown ha sostenuto con molta forza il fatto che la posizione
dei fiori imperfetti è della più alta significazione nella classificazione
delle graminacee.
Si hanno parecchi casi nei quali certi caratteri, tratti da quelle parti che
debbono considerarsi di pochissima importanza fisiologica, sono generalmente
riconosciuti di una utilità immensa nella definizione di gruppi interi.
Per esempio, se esista o no una comunicazione libera fra le narici e la bocca,
carattere che secondo Owen è il solo che distingue assolutamente i pesci
dai rettili. - l'inflessione del margine inferiore della mascella inferiore
nei marsupiali, - il modo con cui sono ripiegate le ali degli insetti, - lo
sbiadito colore di certe alghe, - la pubescenza di certe parti del fiore delle
graminacee, - la natura della veste dermica, come il pelo o le penne, dei vertebrati.
Se l'ornitorinco fosse stato coperto di penne, anzichè di peli, questo
carattere esterno e di poco rilievo sarebbe stato riguardato dai naturalisti
come un importante aiuto, per determinare il grado di affinità di questa
singolare creatura cogli uccelli.
La importanza dei caratteri meno rilevanti, in relazione alla classificazione,
dipende principalmente dai loro rapporti con vari caratteri di maggiore o minore
conseguenza. Infatti, nella storia naturale è evidente l'importanza di
un certo aggregato di caratteri. Quindi, come spesso fu notato, una specie può
allontanarsi dalle sue affini per certe particolarità, che sono di un
alto valore fisiologico e di una prevalenza quasi universale, e tuttavia non
lasciarci alcun dubbio sul posto che la medesima deve occupare. Perciò
si è anche osservato che una classificazione stabilita sopra qualche
carattere isolato, per quanto importante, pure non può mai sussistere;
perchè nessuna parte dell'organizzazione è costante universalmente.
L'importanza di un cumulo di caratteri, anche quando niuno di essi è
importante, può solo spiegare l'aforisma di Linneo, che "i caratteri
non danno il genere, ma il genere fornisce i caratteri"; perchè
questa sentenza sembra fondata sopra un apprezzamento di molti piccoli punti
di rassomiglianza, troppo insignificanti per essere definiti. Certe piante,
appartenenti alle malpighiacee, portano contemporaneamente dei fiori perfetti
e dei fiori rudimentali; riguardo a questi ultimi, come opinava A. De Jussieu,
"il maggior numero dei caratteri propri della specie, del genere, della
famiglia, della classe scompariscono, e così ci guastano la nostra classificazione".
Ma allorchè l'Aspicarpa produsse in Francia per diversi anni soltanto
dei fiori degeneri, allontanandosi in un modo tanto straordinario per moltissimi
dei più importanti punti di struttura dal tipo dell'ordine, pure M. Richard
sagacemente osservava col Jussieu che questo genere poteva rimanere nel gruppo
delle malpighiacee. Questo fatto mi pare molto acconcio a provare con quale
metodo siano talvolta formate le nostre classificazioni.
Praticamente i naturalisti non si preoccupano del valore fisiologico dei caratteri
che intendono impiegare per definire un gruppo o per assegnare un posto a qualche
specie particolare. Se essi trovano un carattere quasi uniforme e comune ad
un gran numero di forme e non comune alle altre, gli attribuiscono molta importanza;
se invece non sia comune che a un numero minore di forme, lo giudicano di un
valore secondario. Questo principio fu apertamente dichiarato come il solo da
seguirsi; e niuno lo espose con più chiarezza dell'illustre botanico
Aug. St-Hilaire. Se certi caratteri si trovano sempre in relazione con altri,
quantunque non possa scoprirsi una connessione palese fra essi, si ritengono
di un valore speciale. Così trovandosi in quasi tutti i gruppi di animali
certi organi importanti quasi uniformi, come quelli che servono alla circolazione
o alla respirazione o alla riproduzione, si considerano molto utili per la classificazione;
ma in altri gruppi di animali tutti questi organi, della massima importanza
vitale, offrono soltanto dei caratteri di un valore secondario. Fritz Müller
ha osservato recentemente che entro lo stesso gruppo di crostacei la Cypridina
è fornita di un cuore, mentre manca in due generi affini, Cypris e Cytherea;
una specie di Cypridina possiede branchie, le quali mancano in altre specie.
È facile riconoscere che i caratteri desunti dall'embrione debbono presentare
un'importanza uguale a quelli che si desumono dall'adulto, perchè le
nostre classificazioni, naturalmente, comprendono tutte le età delle
specie. Ma non è ugualmente chiaro, secondo le opinioni comunemente accettate,
come la struttura dell'embrione possa essere più importante, a questo
scopo, di quella dell'adulto, il quale soltanto compie interamente il proprio
ufficio nell'economia della natura. Pure due naturalisti eminenti, Milne Edwards
e Agassiz, hanno vivamente propugnato il principio che i caratteri embrionali
siano i più importanti di tutti nella classificazione degli animali;
e questo fu generalmente ammesso. Ma la loro importanza venne talvolta esagerata,
giacchè non furono esclusi i caratteri di adattamento delle larve; così
Fritz Müller, per dimostrarlo, ha classificato la grande classe dei crostacei
unicamente secondo le differenze embriologiche, ed ha trovato che tale classificazione
non sarebbe naturale. Però in generale può sostenersi che i caratteri
desunti dall'embrione sono di grandissimo valore non solo negli animali, ma
anche nelle piante. Il medesimo fatto si verifica nelle piante fanerogame, delle
quali le due principali divisioni vennero fondate sui caratteri tratti dall'embrione,
- sul numero e sulla posizione delle foglie embrionali o dei cotiledoni, e sul
modo di svilupparsi della piumetta e della radichetta. Nella nostra discussione
sull'embriologia vedremo per quale motivo questi caratteri siano di tanta importanza,
nel concetto che la classificazione tacitamente include l'idea della discendenza.
Le nostre classificazioni sono spesso influenzate manifestamente dalla catena
delle affinità. Nulla può essere più facile del definire
un certo numero di caratteri comuni a tutti gli uccelli; ma nel caso dei crostacei
questa definizione si è finora trovata impossibile. Vi sono crostacei
agli estremi opposti della serie che hanno a stento un solo carattere comune.
Ciò non ostante le specie che sono a questi punti estremi, essendo chiaramente
affini ad altre e queste ad altre ancora, e così di seguito, possono
senza alcun equivoco riconoscersi come appartenenti a questa e non ad altra
classe degli articolati.
La distribuzione geografica è stata usata spesso, sebbene forse non troppo
logicamente, nella classificazione; e più specialmente nei gruppi molto
vasti di forme strettamente affini. Temminck insistè sull'utilità
e sulla necessità di questo metodo per certi gruppi d'uccelli; ed alcuni
entomologi e botanici vi si attennero.
Da ultimo, rispetto al valore comparativo dei vari gruppi di specie, come ordini,
sotto-ordini, famiglie, sotto-famiglie, e generi, pare che, almeno presentemente,
esso sia quasi arbitrario. Parecchi dei migliori botanici, come il Bentham ed
altri, hanno vivamente sostenuto che questo loro valore è appunto incerto.
Si potrebbero citare degli esempi, tanto nelle piante quanto negli insetti,
di un gruppo di forme, prima classificate dai naturalisti pratici come generi
e poscia innalzate al rango di sotto-famiglie o di famiglie; e ciò non
deve attribuirsi all'essersi scoperte importanti differenze di struttura, dietro
ulteriori ricerche, differenze che prima si erano trascurate, ma bensì
alla scoperta posteriormente fatta di molte specie affini con gradi leggieri
di differenza.
Tutte le regole precedenti, non che le norme e difficoltà della classificazione
si spiegano, se non mi inganno, coll'ipotesi che il sistema naturale sia fondato
sulla discendenza con modificazioni; che quei caratteri, che sono riguardati
dai naturalisti come tali da provare la vera affinità esistente fra due
o più specie, sono stati ereditati da un progenitore comune, e sotto
questo aspetto ogni classificazione esatta è genealogica; che la discendenza
comune è il segreto legame che i naturalisti vanno cercando inavvertitamente
e non già qualche ignoto piano di creazione, ovvero l'enunciato di proposizione
generali, o il solo scopo di riunire insieme e di separare oggetti più
o meno simili.
Ma fa d'uopo che io dimostri più ampiamente il mio concetto. Io credo
che la disposizione dei gruppi in ogni classe, essendo subordinata e relativa
ad altri gruppi, debba essere anche strettamente genealogica per essere naturale;
ma che il complesso delle differenze nei diversi rami o gruppi, benchè
affini per qualche grado di consanguineità al loro comune progenitore,
possa variare assai, dipendendo dai diversi gradi di modificazione a cui furono
soggetti; ciò si ammette quando si classificano le forme sotto diversi
generi, famiglie, sezioni od ordini. Il lettore intenderà meglio il mio
concetto, se si prenderà la pena di consultare di nuovo il diagramma
del capo quarto. Supponiamo che le lettere da A ad L rappresentino dei generi
affini, che vissero nell'epoca siluriana, e che questi siano provenuti da una
specie esistente in un periodo anteriore ignoto. Le specie di tre generi fra
questi (cioè A, F ed I) trasmisero dei discendenti modificati all'epoca
presente, che sono raffigurati nei 15 generi (a14 a z14) della linea orizzontale
superiore. Ora tutti questi discendenti modificati, derivanti da una sola specie,
sono rappresentati come affini di sangue o di progenie nel medesimo grado; potrebbero
metaforicamente dirsi cugini allo stesso milionesimo grado; tuttavia essi differiscono
grandemente e in grado diverso fra loro. Le forme derivanti da A, ora divise
in due o tre famiglie, costituiscono un ordine distinto da quelle che partirono
da I, e che sono pure spezzate in due famiglie. Le specie esistenti, che discesero
da A, non possono collocarsi nel medesimo genere della madre-specie A; nè
quelle provenienti da I colla forma madre I. Ma possiamo supporre che il genere
F14 sia stato leggermente modificato e possa ancora collocarsi nella classificazione
presso il genere originario F; appunto come è avvenuto di pochi esseri
organizzati ora esistenti che appartengono ai generi siluriani. Per modo che
l'insieme, o il valore, delle differenze esistenti fra gli esseri organizzati
che sono tutti affini fra loro nello stesso grado di consanguineità,
è divenuto molto differente. Ciò non ostante la loro disposizione
genealogica rimane rigorosamente esatta, non solo nei tempi attuali, ma anche
ad ogni periodo successivo della discendenza. Tutti i discendenti di A modificati,
avranno ereditato qualche cosa in comune dal loro parente primitivo, come pure
tutti i discendenti di I; ed altrettanto sarà avvenuto in ogni ramo subordinato
di discendenti, ad ogni periodo successivo. Se però noi preferiamo di
supporre che qualcuno dei discendenti di A o di I si siano modificati, al punto
da perdere più o meno completamente le traccie della loro parentela,
in tal caso i loro posti mancheranno, più o meno completamente, nella
classificazione naturale, come sembra sia avvenuto talvolta negli organismi
esistenti. Ora si è supposto che tutti i discendenti del genere F, per
tutta la linea genealogica, siano stati modificati solo leggermente, ed essi
formano perciò un solo genere. Ma questo genere, sebbene molto isolato,
conserverà tuttora la sua posizione intermedia; perchè F era in
origine intermedio pei suoi caratteri fra A ed I, e i vari generi derivati da
questi ultimi avranno ereditato, fino ad una certa estensione, i loro caratteri.
Questa naturale distribuzione viene raffigurata sul diagramma, per quanto può
farsi in una figura dimostrativa, però in una maniera troppo semplice.
Se non si fosse impiegato un diagramma a ramificazioni e si fossero scritti
soltanto i nomi dei gruppi in una serie lineare, sarebbe stato anche meno possibile
il disporli secondo il sistema naturale; e sappiamo essere impossibile il rappresentare
sopra una superficie piana, mediante una serie, le affinità che scopriamo
nella natura presso gli esseri di uno stesso gruppo. Così, secondo le
mie idee, il sistema naturale è ramificato nella sua disposizione, come
una genealogia; ma i gradi di modificazione, che i diversi gruppi hanno subìto,
debbono esprimersi ordinandoli sotto differenti generi, sotto-famiglie, famiglie,
sezioni, ordini e classi.
Non sarà senza qualche utilità lo spiegare questo concetto sulla
classificazione, prendendo il caso delle lingue. Se noi possedessimo una genealogia
perfetta della stirpe umana, una disposizione genealogica delle razze umane
ci darebbe la migliore classificazione delle diverse lingue attualmente parlate
in tutto il mondo; e quando tutte le lingue estinte e tutti i dialetti intermedi
e lentamente variabili vi fossero compresi, questa disposizione sarebbe la più
completa. Però potrebbe darsi che qualche lingua molto antica si fosse
poco alterata e che non avesse dato origine che a poche lingue nuove, mentre
altre lingue, avendo variato grandemente, avrebbero prodotto molte lingue e
molti dialetti nuovi (in seguito alla diffusione e all'isolamento successivo
delle diverse razze, derivanti da una razza primitiva, non che pel loro stato
di civiltà). I vari gradi di differenza nelle lingue di un medesimo stipite
sarebbero espressi per mezzo di gruppi subordinati ad altri gruppi; ma la disposizione
più conveniente, od anzi la sola possibile, sarebbe la genealogica. Questa
disposizione sarebbe rigorosamente naturale, in quanto collegherebbe fra loro
tutte le lingue estinte e moderne mediante le affinità più strette
e ci darebbe la figliazione e l'origine di ogni lingua.
A conferma di queste opinioni, diamo uno sguardo alla classificazione delle
varietà, che si credono, o si conoscono, derivate da qualche specie.
Queste varietà sono raccolte sotto le specie, come le sotto-varietà
sono riunite sotto le varietà. Nelle nostre produzioni domestiche si
richiedono diversi altri gradi di differenza, come abbiamo veduto nei colombi.
L'origine dell'esistenza di gruppi subordinati ad altri gruppi è la medesima
per le varietà come per le specie, cioè la prossimità della
discendenza con diversi gradi di modificazione. Nel classificare le varietà
si seguono quasi le stesse norme come nel classificare le specie. Alcuni autori
hanno insistito sulla necessità di classificare le varietà secondo
un sistema naturale, invece di seguire un sistema artificiale. Così noi
ci guardiamo, per esempio, dal collocare insieme due varietà di ananasso,
semplicemente pel riflesso che il loro frutto, benchè sia la parte più
importante, si trova quasi identico; e niuno porrà insieme la rapa svedese
e la rapa comune, quantunque i grossi steli alimentari siano tanto simili. Quella
parte che si trova essere la più costante viene scelta nel classificare
le varietà: perciò il grande agricoltore Marshall dice che le
corna sono molto utili per la classificazione del bestiame, in quanto che sono
meno variabili della forma o del colore del corpo, ecc.; al contrario nelle
pecore le corna sono molto meno utili, perchè meno costanti. Nel classificare
le varietà, io ritengo che se noi avessimo la discendenza reale, sarebbe
universalmente preferita una classificazione genealogica, come tentarono di
fare alcuni autori. Perchè noi potremmo essere sicuri che, a onta di
qualsiasi modificazione, il principio dell'eredità conserverebbe tra
loro unite quelle forme che erano affini nel maggior numero di punti. Nei colombi
giratori, sebbene alcune varietà differiscano dalle altre pel carattere
importante di avere un becco più lungo, pure sono tutte conservate nello
stesso gruppo, in causa della comune abitudine di fare il capitombolo; ma le
razze a faccia corta hanno quasi perduta od anche interamente perduta quest'abitudine;
ciò non ostante, senza altri ragionamenti o riflessioni su questo soggetto,
questi colombi giratori si lasciano nel medesimo gruppo, perchè consanguinei
e somiglianti per certi altri rapporti.
Riguardo alle specie nello stato di natura, ogni naturalista introduce sempre
la discendenza nelle sue classificazioni; perchè egli include i due sessi
nel grado più basso, cioè in quello della specie; eppure tutti
i naturalisti sanno quanto sia grande talvolta la differenza dei due sessi nei
caratteri più importanti. A stento conosciamo un solo caso di un attributo
comune ai maschi e agli ermafroditi di certi cirripedi adulti, e nondimeno niuno
sogna di separarli. Non appena si riconobbe che le tre forme di orchidee Monachanthus,
Myanthus e Catasetum, le quali si erano precedentemente classificate come tre
generi distinti, sono talvolta prodotte sulla medesima pianta, furono tosto
considerate come varietà; ma mi fu impossibile dimostrare che rappresentano
le forme maschile, femminile ed ermafroditica di una medesima specie. Il naturalista
comprende in una sola specie i diversi stadii di larva di uno stesso individuo,
per quanto possano differire fra loro e dall'animale adulto; così egli
vi comprende le così dette generazioni alternanti di Steenstrup, le quali
possono considerarsi come appartenenti al medesimo individuo soltanto nel senso
tecnico. Egli vi include i mostri; vi include le varietà, non solo perchè
rassomigliano strettamente alla madre-forma, ma perchè derivano da essa.
Come la genealogia è stata generalmente adoperata per classificare insieme
gli individui della medesima specie, sebbene i maschi, le femmine e le larve
siano qualche volta estremamente differenti; e come si è anche impiegata
per classificare delle varietà che furono soggette ad una certa quantità
e talvolta a un grande complesso di modificazioni: non potrebbe forse questo
medesimo elemento della discendenza essere stato usato inconsciamente, nel riunire
le specie sotto i generi e i generi sotto gruppi più elevati, benchè
in questi casi la modificazione sia stata più forte ed abbia impiegato
un tempo più lungo per effettuarsi? Io credo che appunto questo elemento
si sia seguìto inavvertentemente; e soltanto in questo modo io posso
intendere le varie regole e norme che si sono adottate dai migliori nostri sistematici.
Noi non abbiamo scritto delle genealogie; noi abbiamo dedotta la discendenza
comune dalle rassomiglianze di ogni sorta. Perciò preferiamo quei caratteri
che, a nostro giudizio, debbono essere stati meno facilmente modificati, in
relazione alle condizioni di vita, a cui ogni specie fu esposta recentemente.
Sotto questo aspetto gli organi rudimentali sono ugualmente utili e talvolta
anche migliori di altre parti dell'organizzazione. Noi non ci occupiamo della
poca importanza di un carattere; - come la sola inflessione dell'angolo della
mascella, il modo con cui è piegata l'ala di un insetto, e così
se la pelle sia coperta di peli o, di penne: - ma se esso prevalga in molte
specie differenti, e specialmente in quelle aventi abitudini di vita molto diverse,
assume un alto valore; perchè noi non possiamo spiegare la sua presenza
in tante forme dotate di abitudini sì diverse, che per mezzo della eredità
da un progenitore comune. Possiamo errare a questo riguardo in alcuni punti
della struttura, ma quando parecchi caratteri, anche poco rilevanti, si presentano
riuniti in un vasto gruppo di esseri dotati di abitudini differenti, possiamo
rimanere quasi certi, per la teoria della discendenza, che questi caratteri
furono ereditati da un antenato comune. E sappiamo che questi caratteri accumulati
e correlativi hanno una speciale importanza nella classificazione.
Possiamo anche intendere in che modo una specie, o un gruppo di specie, possa
allontanarsi, in parecchie delle sue caratteristiche più importanti,
dalle specie affini ed essere nullameno classificato colle medesime. Questa
classificazione può farsi con sicurezza e spesso viene adottata finchè
un numero sufficiente di caratteri, anche di pochissima importanza, tradisce
il nascosto legame della discendenza comune. Ove due forme non abbiano un solo
carattere comune, ma nondimeno queste due forme estreme siano connesse fra loro
da una serie di gruppi intermedi, possiamo inferirne la comune loro discendenza
e porle tutte nella medesima classe. Siccome troviamo che gli organi del più
alto valore fisiologico, quelli che servono a preservare la vita sotto le condizioni
di esistenza più diverse, sono generalmente i più costanti, noi
annettiamo ai medesimi una speciale importanza; ma se questi medesimi organi
in un altro gruppo o in una sezione di esso si presentano molto differenti,
noi attribuiamo ai medesimi una importanza minore nella nostra classificazione.
Sono d'avviso che noi potremo perciò chiaramente riconoscere come i caratteri
embriologici siano di tanta importanza nella classificazione. Anche la distribuzione
geografica può giovarci talvolta, nel classificare i generi ricchi ed
ampiamente sparsi, perchè tutte le specie del medesimo genere, le quali
abitano una regione distinta ed isolata, sono derivate probabilmente dai medesimi
parenti.
SOMIGLIANZE ANALOGHE
Secondo queste idee, ci è facile spiegare la disposizione
importante che passa fra le affinità reali e le rassomiglianze analogiche
o di adattamento. Il Lamarck pel primo pose in rilievo codesta distinzione e
venne seguito abilmente dal Macleay e da altri. La rassomiglianza nella forma
del corpo e nelle estremità anteriori foggiate a guisa di pinne, fra
il ducongo, animale che offre qualche affinità coi pachidermi, e la balena,
non che fra questi due mammiferi e i pesci è soltanto analogica. Così
pure è analogica la somiglianza che esiste fra un topo ed un musaragno
(Sorex), i quali appartengono ad ordini diversi; e dicasi altrettanto di un'altra
somiglianza, su cui ha insistito il Mivart, fra un topo ed un piccolo marsupiale
dell'Australia (Antechinus). A quanto mi sembra, queste ultime somiglianze si
possono spiegare coll'adattazione a movimenti in simil modo attivi traverso
le folte macchie e i luoghi erbosi, ed a nascondersi davanti ai nemici.
Negli insetti si trovano innumerevoli esempi di questo genere: così il
Linneo, sedotto dall'apparenza esterna, ha classificato un omottero tra le tignuole.
Qualche cosa di simile noi troviamo presso le nostre varietà coltivate
nella forma del corpo sorprendentemente simile del maiale cinese e del maiale
comune, e nel caule ingrossato della rapa comune e della rapa svedese. La somiglianza
tra il levriere ed il corsiere inglese è difficilmente più bizzarra
delle analogie che alcuni autori hanno stabilito tra animali fra loro molto
discosti.
Secondo il mio concetto, che i caratteri sono di una importanza reale per la
classificazione solo in quanto essi ci fanno conoscere la discendenza, possiamo
facilmente intendere, come avvenga che i caratteri analogici o di adattamento
siano quasi in niun valore pei sistematici, sebbene siano della massima importanza
per la prosperità dell'essere. Perchè gli animali appartenenti
a due linee di discendenza delle più distinte possono rapidamente uniformarsi
a condizioni simili, ed assumere per conseguenza una forte rassomiglianza esterna;
ma queste rassomiglianze non ci riveleranno la loro consanguineità colle
proprie linee di discendenza, che anzi tenderanno a celarla. Così sapremo
anche risolvere il paradosso apparente che gli stessi caratteri sono analogici,
quando si confronta una classe o un ordine con un altro, ma ci danno invece
delle vere affinità quando si paragonino fra loro i membri di una classe
o di un ordine. Per tal modo la forma del corpo e le estremità foggiate
a guisa di natatoie sono soltanto analogiche, quando si confrontino le balene
coi pesci, non essendo che opportuni adattamenti in ambe le classi per muoversi
a nuoto nell'acqua; ma la forma del corpo e le estremità simili alle
pinne servono come caratteri che stabiliscono una vera affinità tra i
diversi membri dell'intera famiglia: perchè questi cetacei sono conformi
in tanti caratteri, grandi e piccoli, per cui non può dubitarsi che abbiano
ereditato la loro forma generale del corpo e la struttura delle estremità
da un progenitore comune. Altrettanto si osserva riguardo ai pesci.
Si potrebbero citare numerosi esseri affatto distinti che offrono una somiglianza
sorprendente in singole parti od organi che furono adattati ad una medesima
funzione. Un buon esempio ci è dato dalla grande somiglianza delle mascelle
nel cane e nel lupo della Tasmania (Thylacinus), animali che trovansi molto
discosti fra loro nel sistema naturale. Ma questa somiglianza è limitata
all'apparenza generale, cioè alla prominenza dei canini ed alla forma
tagliente dei molari. In realtà i denti diversificano molto in quei due
animali; così il cane porta in ciascun lato della mascella superiore
quattro molari spurii e solamente due molari veri, mentre il Thylacinus possiede
tre molari spurii e quattro veri. I molari nei due animali differiscono anche
nella relativa grandezza e nella struttura. Alla dentiera stabile precede una
dentiera caduca assai diversa. Naturalmente, ognuno può negare in ambedue
i casi che i denti siano stati adattati alla dilaniazione delle carni colla
scelta naturale di variazioni successive; ma se ciò si ammetta per un
caso, non si comprende come lo si possa negare per l'altro. Vedo con piacere
che un uomo così autorevole come il Flower è arrivato alla medesima
conclusione.
Gli esempi straordinari citati in un campo precedente, che cioè pesci
molto diversi possiedono organi elettrici, che insetti molto differenti hanno
organi luminosi, e che le orchidee e le asclepiadee portano delle masse polliniche
con dischi viscidi, appartengono alla stessa categoria delle somiglianze analoghe.
Ma questi esempi sono così maravigliosi, che furono citati come difficoltà
od obbiezioni alla mia teoria. In tutti questi casi può dimostrarsi che
esistono determinate differenze fondamentali nell'accrescimento, o nello sviluppo
delle parti, ed in generale anche nella struttura maturata. Lo scopo che deve
essere raggiunto è il medesimo, ma i mezzi sono sostanzialmente diversi,
sebbene possano apparire uguali all'esame superficiale. Il principio già
menzionato sotto il nome di "variazione analoga" ha probabilmente
avuto una parte in questi casi, voglio dire che i membri di una medesima classe,
benchè siano di lontana parentela, hanno ereditato tanto di comune nella
loro costituzione, che sotto l'azione di cause simili tendono a variare in modo
simile; e ciò evidentemente favorirà l'acquisto, a mezzo dell'elezione
naturale, di parti ed organi, che tra loro si somigliano in modo manifesto,
indipendentemente da una diretta eredità da un comune progenitore.
Siccome i membri di classi distinte sono stati spesso adattati, per mezzo di
piccole modificazioni successive, a vivere sotto circostanze quasi consimili,
- ad abitare, per esempio, la terra, l'aria e l'acqua, così potremo forse
spiegare come avvenga che talvolta si osserva un parallelismo numerico fra i
sottogruppi di classi distinte. Un naturalista, colpito da un tale parallelismo
in una classe qualsiasi, alzando o abbassando arbitrariamente il valore dei
gruppi in altre classi (e tutta la nostra esperienza dimostra che questa valutazione
è stata fin qui arbitraria), può facilmente estendere il parallelismo
sopra una vasta scala; ed in tal modo si sono formate probabilmente le classificazioni
settenarie, quinarie, quaternarie e ternarie.
Vi ha un'altra ed interessante classe di casi, ne' quali una grande somiglianza
esterna non dipende da adattamento a simili abitudini di vita, ma fu acquistata
allo scopo di protezione. Alludo al modo maraviglioso, col quale certe farfalle
imitano altre specie molto diverse, come pel primo ci fece conoscere il Bates.
Questo distinto osservatore ha trovato che in alcuni distretti dell'America
meridionale, dove, ad esempio, una Ithomia abbonda in magnifici stormi, un'altra
farfalla del genere Leptalis si rinviene mescolata nello stormo, e talmente
somiglia ad una Ithomia in ogni gradazione e dettaglio di colore, che il Bates,
sebbene avesse l'occhio esercitato colla pratica di undici anni e facesse sempre
grande attenzione, fu nondimeno continuamente ingannato. Se le forme imitanti
ed imitate siano prese e tra loro confrontate, si vede che diversificano assai
nella struttura essenziale, ed appartengono non solo ad altri generi, ma spesso
perfino ad altre famiglie. Se questo mimismo fosse occorso solamente una o due
volte, si avrebbe potuto considerarlo come una singolare coincidenza e passarvi
sopra. Ma se ci allontaniamo da un distretto, in cui una Leptalis imita una
Ithomia, si troverà un'altra forma imitata da una imitante, comprese
negli stessi due generi, ed ugualmente simili tra di loro. In complesso si citano
non meno di dieci generi, i quali comprendono delle specie che imitano farfalle.
La forma imitata e la imitante abitano sempre la medesima regione; non conosciamo
alcuna forma imitante che abiti a distanza dalla imitata. Le forme imitanti
sono quasi senza eccezione insetti rari; le imitate vivono quasi sempre a grandi
stormi. Nello stesso distretto, in cui una Leptalis imita una Ithomia, trovansi
talvolta altri lepidotteri che imitano la stessa Ithomia; così che nella
stessa località si possono trovare specie di tre generi di farfalle,
e perfino di una tignuola, le quali tutte somigliano in modo straordinario ad
una specie di un quarto genere. Merita qui di essere particolarmente notato,
che tanto molte delle forme imitanti di Leptalis, come molte delle forme imitate
possono essere riconosciute col mezzo delle serie graduate come semplici varietà
di una medesima specie, mentre altre sono senza dubbio specie distinte. Ma perchè,
potrà domandarsi, certe forme sono considerate come imitate, ed altre
come imitanti? Il Bates risponde a questa domanda in modo soddisfacente, dicendo
che la forma imitata conserva l'abito generale del gruppo cui appartiene; mentre
la imitante ha cambiato il suo abito e non somiglia più ai suoi prossimi
parenti.
Ora si tratta di sapere a quale causa si possa ascrivere che certe farfalle
e tignuole assumono sì spesso l'abito di altre forme affatto distinte;
per quale motivo la natura, a confusione del naturalista, si abbassi a manovre
da scena! Il Bates ha dato senza dubbio la vera spiegazione. Le forme imitate,
che vivono sempre assai numerose, devono in generale sfuggire in alto grado
alla distruzione, altrimenti non potrebbero apparire in tali stormi; le numerose
prove ora raccolte ci dicono che gli uccelli ed altri animali insettivori hanno
per esse ripugnanza. Al contrario le forme imitanti, che abitano il medesimo
distretto, sono relativamente rare, ed appartengono a gruppi rari. Esse devono
quindi ordinariamente essere esposte ad una certa distruzione, perchè
altrimenti, giudicando dal numero delle uova che depongono tutte le farfalle,
dopo tre o quattro generazioni si troverebbero a stormi nell'intera regione.
Se quindi un membro di un gruppo perseguitato e raro assumesse tale abito da
somigliare ad una specie ben protetta, a segno da ingannare continuamente l'occhio
esperto di un entomologo, esso ingannerebbe al certo spesso anche gli uccelli
da preda e gli insetti, e sfuggirebbe quindi a completa distruzione. Si può
quasi dire che il Bates ha veramente spiato il processo, col quale la forma
imitante diventa nei caratteri esterni così simile alla imitata, poichè
ha osservato che alcune tra le forme di Leptalis, le quali imitano parecchie
altre farfalle, variano assai. In un distretto hannovi parecchie varietà,
delle quali una sola somiglia in un certo grado alla comune Ithomia dello stesso
distretto. In un altro distretto vivono due o tre varietà, di cui una
è molto più frequente dell'altra e somiglia assai ad un'altra
forma di Ithomia. Da questi fatti il Bates conclude che la Leptalis ha dapprima
variato, e che una varietà, la quale accidentalmente somigliava fino
ad un certo grado ad una farfalla dello stesso distretto, in seguito a tale
somiglianza con una specie fiorente e poco perseguitata, aveva maggiore probabilità
di sfuggire alla distruzione prodotta dagli uccelli da preda e dagli insetti,
e fu quindi più spesso conservata; "i gradi meno perfetti di somiglianza
saranno stati eliminati nel corso delle generazioni, e solo gli altri saranno
stati preservati per la propagazione della specie". Noi abbiamo quindi
nel fatto presente un bell'esempio di elezione naturale.
Anche il Wallace ed il Trimen hanno descritto parecchi casi ugualmente stringenti
di imitazione nei lepidotteri dell'Arcipelago Malese, ed in alcuni altri insetti.
Il Wallace ha scoperto un esempio di imitazione anche negli uccelli; ma nei
mammiferi maggiori nulla fu trovato di questo genere. La maggiore frequenza
della imitazione degli insetti, di fronte ad altri animali, è probabilmente
dipendente dalla loro minore statura; gli insetti non possono difendersi da
sè, eccettuate le specie che sono armate di pungiglione, ed io non ho
mai udito che un tale insetto imiti un'altra forma, sì bene che sia imitato.
Gli insetti non possono sfuggire agli animali maggiori col volo, e quindi, come
il maggior numero delle creature deboli, devono ricorrere all'artifizio ed alla
simulazione.
Si deve notare che il processo di imitazione probabilmente non ha mai cominciato
in forme tra loro molto dissimili nel colore. Ma se incomincia in specie tra
loro già simili, la massima somiglianza, se è utile, può
facilmente essere raggiunta coi mezzi su descritti; e se la forma imitata subisse
in seguito per qualsiasi causa delle lente modificazioni, la forma imitante
dovrebbe percorrere la medesima via e cambiarsi ampiamente, cosicchè
in fine avrà un aspetto o colore affatto diverso da quello degli altri
membri della famiglia cui appartiene. Qui, però, si presenta qualche
difficoltà, giacchè è necessario supporre che in alcuni
casi gli antichi membri, appartenenti a parecchi gruppi distinti, prima di divergere
tra loro nella estensione presente, somigliassero accidentalmente ad un membro
di un altro gruppo, protetto in grado sufficiente, per ottenere una leggiera
protezione. E questo fu il punto di partenza per giungere più tardi alla
perfetta somiglianza.
NATURA DELLE AFFINITÀ CHE COLLEGANO INSIEME
GLI ESSERI ORGANICI
I discendenti modificati delle specie dominanti, che appartengono
ai generi più ricchi, avendo la tendenza di ereditare quei vantaggi che
rendono vasti i gruppi delle medesime e che rendono dominanti i loro parenti,
sono quasi certi di diffondersi ampiamente e di occupare dei luoghi sempre più
vasti nell'economia della natura. I gruppi più estesi e più dominanti
d'ogni classe tenderanno quindi ad aumentare ulteriormente: e per conseguenza,
soppianteranno molti gruppi più piccoli e più deboli. Così
possiamo dare la spiegazione del fatto, che tutti gli organismi, recenti ed
estinti, sono compresi in pochi ordini grandi e sotto un numero di classi anche
minore, e infine in un solo grande sistema naturale. A provare quanto sia piccolo
il numero dei gruppi più elevati e come siano ampiamente sparsi per tutto
il mondo, abbiamo il fatto rimarchevole che la scoperta dell'Australia non aggiunse
un solo insetto che spettasse ad una classe nuova; e che nel regno vegetale,
come imparai dal dott. Hooker, si aggiunsero soltanto due o tre famiglie poco
estese.
Nel capo della Successione geologica ho voluto dimostrare, appoggiandomi al
principio che ogni gruppo si fa generalmente assai divergente nel suo carattere,
durante il processo di modificazione lungamente continuato, da che cosa provenga
che le più antiche forme di vita presentano spesso dei caratteri in qualche
lieve grado intermedi fra i gruppi esistenti. Una piccola quantità di
forme primitive, antiche ed intermedie, essendo stata trasmessa fino all'epoca
attuale occasionalmente, ci darà i così detti gruppi oscillanti
od aberranti. Quanto più aberrante è una data forma, tanto maggiore
deve essere il numero delle forme intermedie di collegamento, le quali, secondo
la mia teoria, furono esterminate e perdute completamente. Abbiamo qualche prova
che le forme aberranti hanno sofferto gravemente gli effetti della estinzione,
perchè esse sono generalmente rappresentate da pochissime specie, e queste
specie sono in generale molto distinte fra loro, il che suppone che l'estinzione
di altre forme sia avvenuta. I generi ornitorinco e lepidosirena, per esempio,
non sarebbero meno aberranti, se ognuno di essi fosse rappresentato da una dozzina
di specie invece di una sola; ma questa abbondanza di specie, come ho trovato
dopo alcune investigazioni, non si trova comunemente nei generi aberranti. Io
credo che possiamo dar ragione di questo fatto solo col riguardare le forme
aberranti come gruppi in decadenza, conquistati da competitori più fortunati,
dei quali solo pochi membri furono conservati, per qualche coincidenza straordinaria
di circostanze favorevoli.
Il Waterhouse ha osservato che, quando un individuo appartenente ad un gruppo
di animali offre qualche affinità con un gruppo affatto distinto, quest'affinità
in molti casi è generale, anzichè speciale; così, secondo
Waterhouse, il Bizcacha è, fra tutti i roditori, il più affine
ai marsupiali; ma nei punti in cui si avvicina a quest'ordine le sue relazioni
sono generali e non già connesse a qualche data specie di marsupiali
piuttosto che ad un'altra. Siccome i punti di affinità del Bizcacha coi
marsupiali si credono reali e non di semplice adattamento, essi debbonsi attribuire,
secondo la mia teoria, all'eredità comune. Perciò fa d'uopo supporre
o che tutti i roditori, compreso il Bizcacha, si siano diramati da qualche marsupiale
molto antico, che avrà posseduto un carattere molto antico in qualche
grado intermedio, riguardo a tutti i marsupiali esistenti; oppure che i roditori
e i marsupiali siano derivati da un progenitore comune e che questi due gruppi
fossero poi soggetti a molte modificazioni in direzioni divergenti. In ambe
le ipotesi possiamo ritenere che il Bizcacha ha conservato per l'eredità
maggiori rassomiglianze al carattere dell'antico progenitore che gli altri roditori;
e perciò non avrà speciali rapporti con ciascuno dei marsupiali
esistenti, ma indirettamente con tutti o quasi tutti i marsupiali stessi, avendo
in parte serbato il carattere del loro progenitore comune o di un antico individuo
del gruppo. D'altra parte di tutti i marsupiali, come fu notato dal Waterhouse,
il Phascolomys ha una rassomiglianza più stretta non ad una data specie,
ma a tutto l'ordine generale dei roditori. In tal caso però può
nascere il sospetto che la rassomiglianza sia semplicemente analogica, e dipenda
dall'essersi il Phascolomys adattato ad abitudini consimili a quelle di un roditore.
Il vecchio De Candolle ha fatto delle osservazioni quasi simili sulla natura
generale delle affinità di famiglie distinte di piante.
Partendo dal principio della moltiplicazione e della graduale divergenza nei
caratteri delle specie derivanti da un parente comune, mentre esse conservano
per eredità alcuni caratteri in comune, possiamo giungere a spiegare
le affinità eccessivamente complesse e divergenti, per mezzo delle quali
tutti i membri di una stessa famiglia, o di un gruppo più elevato, sono
collegati insieme. Perchè il parente comune di un'intera famiglia di
specie, ora spezzata per la estinzione in gruppi e sotto-gruppi, avrà
trasmesso alcuni de' suoi caratteri, modificati in vari modi e in diversi gradi
a tutti; e le varie specie saranno per conseguenza collegate l'una coll'altra
per mezzo di linee tortuose di affinità, linee di varia lunghezza (come
può vedersi nel diagramma sì di sovente da noi citato), le quali
risalgono passando per mezzo ai molti predecessori. Come riesce difficile dimostrare
la parentela esistente fra la numerosa progenie di un'antica e nobile famiglia,
anche coll'aiuto di un albero genealogico, ed è quasi impossibile farlo
senza questa scorta: ne possiamo dedurre l'immensa difficoltà che i naturalisti
incontrano, nel descrivere, senza l'aiuto di un diagramma, le varie affinità
che essi riscontrano fra i molti membri viventi ed estinti di una stessa grande
classe naturale.
Abbiamo veduto nel capo quarto che l'estinzione ebbe una parte importante nel
definire ed estendere gli intervalli fra i diversi gruppi d'ogni classe. Così
noi possiamo spiegare la separazione esistente fra certe classi, per esempio,
quella che si osserva fra gli uccelli e tutti gli altri animali vertebrati,
- colla ipotesi che si sono perdute interamente molte antiche forme di vita,
le quali servivano anticamente a collegare i primi progenitori degli uccelli
con quelli delle altre classi dei vertebrati. Sembra che l'estinzione sia stata
meno completa fra le forme di vita che rannodavano una volta i pesci coi batraci;
e sarà stata anche più ristretta in certe altre classi, come in
quella dei crostacei, perchè le forme più diverse vi sono ancora
legate insieme da una catena di affinità lunga, sebbene discontinua.
La estinzione ha separato i gruppi: essa non li ha formati; perchè se
ogni forma che un giorno esistette sulla terra fosse improvvisamente ricomparsa,
quantunque sarebbe stato affatto impossibile il dare definizioni per le quali
ogni gruppo potesse distinguersi dagli altri gruppi, mentre si confonderebbero
insieme per gradazioni tanto minute, quanto lo sono quelle che vediamo fra le
varietà esistenti, ciò nonostante potrebbe farsi una classificazione
naturale o almeno una disposizione naturale. Sarà facile dimostrarlo
avendo sott'occhio il diagramma. Le lettere da A ad L possono rappresentare
undici generi siluriani, dei quali alcuni produssero vasti gruppi di discendenti
modificati; ogni forma intermedia fra questi undici generi e il loro parente
primordiale, e così ogni legame intermedio in ogni ramo e sotto-ramo
dei loro discendenti, può supporsi ancora vivente; e può ammettersi
che tali legami siano tanto insensibili come quelli che troviamo tra le varietà
più strette. In tal caso sarebbe affatto impossibile il dare qualunque
definizione, con cui potessero distinguersi i vari membri dei diversi gruppi
dai loro parenti più immediati; oppure questi parenti dal loro antico
ed ignoto progenitore. Tuttavia la disposizione naturale del diagramma sarebbe
ancora giusta; e tutte le forme derivanti da A o da I dovrebbero, pel principio
di eredità, avere qualche cosa di comune. In un albero possiamo specificare
questo o quel ramo, sebbene siano tutti uniti e frammisti nella biforcazione
dal tronco. Noi non potremmo definire, come dissi, i diversi gruppi; ma potremmo
bensì scegliere dei tipi o delle forme che riunissero la maggior parte
dei caratteri d'ogni gruppo, grande o piccolo, e dare in tal modo un'idea generale
del valore delle differenze che passano fra gli uni e gli altri. Noi potremmo
giungere a ciò, se riuscissimo a raccogliere tutte le forme di ogni classe
che vissero in tutti i tempi nello spazio. Noi certamente non arriveremo giammai
a fare una collezione così perfetta: nondimeno in certe classi si tende
a questo risultato; e Milne Edwards ha ultimamente insistito, in un pregevole
scritto, sull'alta importanza dello studio dei tipi, possano o no separarsi
o definirsi i gruppi a cui questi tipi appartengono.
Finalmente abbiamo veduto che l'elezione naturale, che deriva dalla lotta per
l'esistenza, e che quasi inevitabilmente produce l'estinzione di alcune specie
e la divergenza del carattere in molti discendenti di una madre-specie dominante,
spiega la grande caratteristica universale delle affinità di tutti gli
esseri organizzati, vale a dire la loro distribuzione in gruppi subordinati
ad altri gruppi. Noi ci serviamo dell'elemento della discendenza nel classificare
gli individui di ambi i sessi e di tutte le età sotto una sola specie,
sebbene abbiano pochi caratteri comuni; impieghiamo anche lo stesso elemento
della discendenza nel classificare le varietà conosciute, per quanto
siano differenti dal loro progenitore; ed io credo che questo elemento della
discendenza sia il segreto anello di congiunzione che i naturalisti vanno cercando
col termine Sistema naturale. Secondo questa idea che il sistema naturale, per
quanto potè perfezionarsi, è genealogico nelle sue disposizioni,
con vari gradi di differenza fra i discendenti da un parente comune, che vennero
espressi mediante le parole generi, famiglie, ordini, ecc., possiamo intendere
le regole che siamo costretti a seguire nelle nostre classificazioni. Possiamo
spiegare i motivi per cui valutiamo certe rassomiglianze più di certe
altre; come ci permettiamo di servirci di certi organi rudimentali ed inutili,
o di altri organi di poca importanza fisiologica; come nel paragonare un gruppo
con altro gruppo distinto, noi trascuriamo sommariamente i caratteri analogici
o di adattamento, e ciò non pertanto adoperiamo gli stessi caratteri
nei limiti di uno stesso gruppo. Possiamo infine dimostrare con evidenza come
avvenga che tutte le forme viventi ed estinte possano riunirsi insieme in un
grande sistema; e come i diversi individui d'ogni classe siano collegati fra
loro dalle linee di affinità più complesse o divergenti. Probabilmente
non potremo mai svolgere la tela inestricabile delle affinità esistenti
fra i membri di ogni classe; ma quando noi abbiamo in vista un oggetto distinto,
senza ricorrere a qualche ignoto piano di creazione, possiamo sperare di fare
dei progressi lenti ma sicuri.
Il prof. Häekel, nella sua Morfologia generale ed in parecchie altre opere,
ha impiegato recentemente la grande sua scienza ed abilità per rintracciare
la filogenesi, ovvero le linee di discendenza di tutti gli esseri organici.
Nel seguire le singole serie egli si affida principalmente ai caratteri embriologici,
ma si giova anche degli organi omologhi e rudimentali, e dei periodi, durante
i quali si ammette che le diverse forme di vita siano successivamente apparse
nelle nostre formazioni geologiche. Egli fece così un primo grande tentativo,
e ci mostrò come in avvenire la classificazione dovrà essere trattata.
MORFOLOGIA
Abbiamo veduto che i membri di una medesima classe, indipendentemente
dalle loro abitudini di vita, si rassomigliano nel piano generale della loro
organizzazione. Questa rassomiglianza viene spesso indicata col termine Unità
di tipo, oppure col dire che le varie parti ed organi sono omologhi nelle differenti
specie della classe. Questo argomento si abbraccia interamente col nome generale
di Morfologia. Questa è la parte più interessante della storia
naturale, e potrebbe dirsi che ne è l'anima. Quale cosa potrebbe essere
più singolare della mano dell'uomo fatta per afferrare, della zampa della
talpa destinata a scavare la terra, della gamba del cavallo, della natatoia
della testuggine marina, e delle ali del pipistrello, organi che furono tutti
costrutti sullo stesso modello e che sono formati di ossa consimili e disposte
similmente le une rispetto alle altre? E per citare un esempio pure interessante,
benchè di minore importanza, non è forse degno di considerazione
il fatto che il piede posteriore del canguro, il quale è atto a saltare
nelle aperte pianure, e quello del caola rampicante e fillofago, il quale è
atto ad abbracciare i rami, come anche quello del bandicoot che vive al suolo
e si nutre di insetti e di radici, e quello di alcuni altri marsupiali australesi
sono conformati sul medesimo tipo straordinario, e cioè colle falangi
del secondo e terzo dito assai sottili ed involte nella medesima cute, cosicchè
sembrano formare un dito solo finito da due artigli? Malgrado questa somiglianza
di costruzione, i piedi posteriori di questi animali assai diversi sono evidentemente
impiegati agli scopi più differenti che si possano immaginare. L'esempio
è tanto più sorprendente, perchè gli opossum dell'America,
i quali hanno quasi le stesse abitudini di vita come alcuni de' loro parenti
australesi, hanno i piedi conformati secondo il tipo ordinario. Il prof. Flower,
cui devo queste notizie, osserva nella conclusione: "noi possiamo ciò
chiamare uniformità di tipo, con che non ci accostiamo molto alla spiegazione
del fenomeno"; e poi soggiunge "non ci suggerisce questo fenomeno
con molta forza l'idea di una reale affinità, di una eredità da
un comune antenato?".
Geoffroy St-Hilaire ha sostenuto con tutto lo zelo l'alta importanza della connessione
relativa degli organi omologhi; le parti possono cambiare quasi indefinitamente
nella forma e nella grandezza, quantunque rimangano sempre insieme collegate
e riunite nel medesimo ordine. Noi non troviamo mai, per esempio, che siano
collocate inversamente le ossa del braccio e dell'avambraccio, o quelle della
coscia e della gamba. Quindi si danno gli stessi nomi alle ossa omologhe di
animali completamente diversi. Noi osserviamo la stessa grande legge nella costruzione
della bocca degli insetti. Che cosa infatti potrebbe darsi di più differente
della proboscide spirale immensamente lunga di un lepidottero crepuscolario,
del rostro rivolto indietro in modo particolare della cimice e delle grandi
mascelle del cervo volante? - eppure tutti questi organi, inservienti a scopi
tanto diversi, sono formati da modificazioni infinitamente numerose di un labbro
superiore, delle mandibole e di due paia di mascelle. Analoghe leggi governano
la conformazione della bocca e delle estremità dei crostacei; e si osservano
altresì nei fiori delle piante.
Sarebbe affatto inattendibile l'indagare la somiglianza delle forme nei membri
di una medesima classe, cercando di spiegarla colla loro utilità o mediante
la dottrina delle cause finali. L'impossibilità di raggiungere questo
intento fu ammessa chiaramente dall'Owen, nella sua opera, assai interessante,
intitolata Nature of Limbs. Secondo l'opinione ordinaria della creazione indipendente
di ogni essere, non possiamo far altro che constatare il fatto: e dire - che
piacque al Creatore di costruire in questo modo ogni animale ed ogni pianta.
Invece, stando alla teoria della elezione naturale di piccole modificazioni
successive, la spiegazione di questo fatto è chiara, perchè ogni
modificazione è vantaggiosa in qualche modo alla forma modificata, ma
spesso agisce anche sopra altre parti dell'organizzazione, in seguito alla correlazione
di sviluppo. Nei cambiamenti di tal natura vi sarà poca o nessuna tendenza
a modificare il modello originale ed a traslocare le varie parti. Le ossa di
un arto possono essere accorciate od ingrossate in ogni proporzione ed anche
rimanere a poco a poco avviluppate da una grossa membrana, in modo da servire
come una natatoia; ovvero possono allungarsi tutte le ossa, o soltanto certe
ossa di un piede palmato, in modo che la membrana che le congiunge si allarghi
al punto da servire a guisa di un'ala; nondimeno in questo grande complesso
di modificazioni non vi sarà alcuna tendenza ad alterare il sistema delle
ossa o la disposizione e connessione relativa delle diverse parti. Se noi supponiamo
che l'antico progenitore, l'archetipo, come potrebbe chiamarsi, di tutti i mammiferi,
avesse le sue estremità costrutte sul modello generale attuale, qualunque
ne fosse l'uso, possiamo tosto comprendere la significazione chiara della costruzione
omologa delle membra in tutta la classe. Così riguardo alla bocca degl'insetti,
non abbiamo che da supporre che il loro comune progenitore avesse un labbro
superiore, delle mandibole e due paia di mascelle, queste parti essendo forse
molto semplici nella forma; e allora la elezione naturale ci renderà
conto della infinita diversità nella struttura e nelle funzioni della
bocca degl'insetti. Tuttavia può concepirsi che il piano generale di
un organo può rimanere oscurato, al punto che se ne perda ogni traccia,
per mezzo dell'atrofia, ed infine per il completo assorbimento di certe parti,
per la fusione di altre parti e pel raddoppiamento o la moltiplicazione di altre,
- variazioni che sappiamo essere nei limiti della possibilità. Nelle
natatoie degli estinti sauri marini giganteschi (Ichthyosaurus) e nella bocca
di certi crostacei succhianti, sembra che il sistema generale sia stato in questo
modo alterato fino ad un certo punto.
Ora passiamo ad un altro ramo di questo soggetto, il quale è ugualmente
notevole; cioè il confronto che può istituirsi, non più
fra le parti omologhe dei vari membri della classe, ma fra le diversi parti
e gli organi diversi di uno stesso individuo. Si crede dalla maggior parte dei
fisiologi che le ossa del cranio siano omologhe colle parti elementari di un
certo numero di vertebre, - cioè siano corrispondenti nel numero e nella
situazione rispettiva. Le estremità anteriori e posteriori in ogni individuo
delle classi dei vertebrati sono evidentemente omologhe. La stessa legge ha
luogo, se poniamo a confronto le mascelle tanto complicate e le zampe dei crostacei.
Quasi tutti sanno che in un fiore la posizione relativa dei sepali, dei petali,
degli stami e dei pistilli, non meno che la loro struttura interna, possono
spiegarsi dal punto di vista che queste parti risultano da foglie metamorfosate,
disposte in una spirale. Nelle piante mostruose abbiamo una prova diretta delle
possibilità che un organo sia trasformato in un altro; e ci sarà
facile ravvisare negli embrioni dei crostacei e in molti altri animali, non
che nei fiori, che alcuni organi, i quali quando sono interamente sviluppati
sono molto differenti, nel primo stadio di sviluppo sono invece esattamente
simili.
Questi fatti non sono forse inesplicabili, partendo dall'ipotesi ordinaria della
creazione? Per quale motivo è racchiuso il cervello in una scatola, composta
di tanti pezzi d'osso; sì stranamente conformati? Come fu notato dall'Owen,
l'utile derivante dallo spostamento di pezzi separati, nell'atto del parto dei
mammiferi, non serve a spiegare la stessa costruzione nei cranii degli uccelli.
Come dovrebbero essere state create delle ossa consimili a quelle di altri mammiferi
nella formazione dell'ala e della gamba del pipistrello, mentre sono destinate
ad usi totalmente diversi. Come potrebbe darsi che un crostaceo che abbia una
bocca estremamente complessa, formata di molte parti, debba sempre avere, per
conseguenza, un numero minore di zampe; oppure inversamente, quelli che posseggono
molte zampe, debbano presentare delle bocche più semplici? Perchè
dovrebbero i sepali, i petali, gli stami ed i pistilli di ogni fiore individuale
essere tutti costrutti secondo il medesimo sistema, sebbene siano destinati
ad uno scopo affatto diverso?
Al contrario, in base della teoria dell'elezione naturale, potremo rispondere
in modo soddisfacente a codeste questioni. Nei vertebrati noi osserviamo una
serie di vertebre interne che portano certi processi e certe appendici; negli
annulosi noi vediamo il corpo diviso in una serie di segmenti che sostengono
delle appendici esterne; e nelle piante fanerogame troviamo una serie di foglie
successive, a spirale. Una ripetizione indefinita della stessa parte o del medesimo
organo è la caratteristica comune di tutte le forme inferiori o poco
modificate (come fu osservato dall'Owen); perciò noi possiamo ragionevolmente
supporre che l'ignoto progenitore dei vertebrati avesse molte vertebre: l'ignoto
progenitore degli annulosi molti segmenti: e quello delle piante fanerogame
molte foglie, inserite sopra una linea spirale. Abbiamo veduto superiormente
che le parti ripetute molte volte sono eminentemente soggette a variare di numero
e di struttura; è quindi assai probabile che l'elezione naturale, durante
il lungo e continuo processo di modificazione, siasi esercitata sopra un certo
numero di elementi che erano somiglianti da principio, e ripetuti molte volte,
e li abbia resi atti agli uffici più differenti. E siccome l'intero insieme
delle modificazioni si sarà effettuato per gradazioni lente e successive,
non dobbiamo stupirci di rinvenire in queste parti ed in questi organi un certo
grado di rassomiglianza fondamentale, che fu conservata pel principio di eredità.
E tale somiglianza sarà tanto più conservata, perchè le
variazioni, le quali costituiscono la base delle susseguenti modificazioni col
mezzo della elezione naturale, tendono ad essere simili fino dal principio,
essendo uguali le parti in uno stadio precoce di sviluppo, ed esposte a condizioni
quasi identiche. Siffatte parti, siano più o meno modificate, presenteranno
delle serie omologhe, a meno che la comune origine non sia interamente celata.
Nella grande classe dei molluschi, sebbene possiamo omologare le parti di una
specie con quelle di un'altra specie distinta, non riscontriamo che poche omologie
di serie; cioè di rado siamo capaci di dire che una parte o un organo
sia omologo con un altro del medesimo individuo. Questo fatto può comprendersi
facilmente; perchè nei molluschi, anche nei membri più bassi della
classe, non troviamo quasi mai tante ripetizioni indefinite di qualche organo,
quante ne troviamo nelle altre grandi classi dei regni animale e vegetale.
La morfologia peraltro è un argomento assai più complicato di
quanto possa sembrare a prima vista, come ha dimostrato recentemente Ray Lankester
in una memoria interessante. Egli stabilisce un limite importante fra certe
classi di casi che sono dai naturalisti indistintamente classificati tra le
omologie. E propone di chiamare omogene quelle strutture che nei diversi animali
si somigliano per effetto della discendenza da un comune progenitore con susseguente
modificazione; ed omoplastiche quelle somiglianze che non possono essere spiegate
nel modo citato. Egli crede, ad esempio, che il cuore degli uccelli e quello
dei mammiferi siano omogenei, ossiano derivati da un comune progenitore; ma
considera le quattro cavità in quelle due classi come omoplastiche, cioè
come sviluppatesi indipendentemente. Il Lankester menziona anche la grande somiglianza
delle parti al lato destro ed al lato sinistro del corpo, ed i segmenti che
si succedono in un medesimo individuo; ed in tali casi trattasi di parti che
generalmente si chiamano omologhe, che non hanno alcuna relazione colla discendenza
di specie diverse da un comune progenitore. Le strutture omoplastiche sono quelle
che io, in modo imperfetto, ho classificato come modificazioni o somiglianze
analoghe. La loro formazione può attribuirsi in parte a ciò che
organismi diversi o diverse parti di un medesimo organismo hanno variato in
modo analogo; in parte a ciò che le simili modificazioni furono conservate
allo stesso scopo generale od alla medesima funzione, come potrebbe dimostrarsi
con molti esempi.
I naturalisti parlano frequentemente del cranio, come costituito di vertebre
trasformate; riguardano le mascelle dei granchi quali zampe trasformate; gli
stami e i pistilli dei fiori quali foglie trasformate; ma in questi casi sarebbe
necessario esprimersi con maggiore esattezza, come osservava il prof. Huxley,
parlando del cranio e delle vertebre, delle mascelle e delle zampe, ecc. - come
di membri trasformati, derivanti da uno stesso elemento comune, anzichè
prodotti l'uno dall'altro. Nullameno i naturalisti adoprano queste frasi soltanto
in un senso metaforico; essi sono bene lontani dal voler significare che, in
un lungo tratto della discendenza, gli organi primordiali d'ogni fatta - le
vertebre in un caso, le zampe nell'altro caso - siano stati effettivamente trasformati
in crani ed in mascelle. Pure la verosimiglianza del fatto, che siano avvenute
modificazioni di tal sorta, è sì forte, che i naturalisti non
possono evitare di impiegare delle espressioni che abbiano questo evidente significato.
Secondo le mie idee, questi termini possono usarsi alla lettera; e viene spiegato
il fatto meraviglioso, per esempio, delle mascelle di un granchio, le quali
conservano molti caratteri, probabilmente trasmessi mediante la eredità,
se furono realmente trasformate nel lungo corso della discendenza per metamorfosi
di zampe vere, sebbene straordinariamente semplici.
SVILUPPO ED EMBRIOLOGIA
Questo è uno degli argomenti più importanti nel
campo della storia naturale. Le metamorfosi degli insetti, come ognuno sa, sono
generalmente percorse in modo rapido, con un paio di stadii; ma le trasformazioni,
benchè siano nascoste, sono in realtà numerose e graduate. Così
il Lubbock ha dimostrato che un certo insetto effemero (Chloëon) cambia
più che venti volte la cute durante il suo sviluppo, ed ogni volta subisce
un certo grado di cambiamenti; in tale caso abbiamo innanzi a noi la metamorfosi
nel suo corso primitivo e graduale. Quanto siano grandi i cambiamenti di struttura
che percorrono alcuni animali durante il loro sviluppo, ce lo dimostrano molti
insetti, e più chiaramente ancora molti crostacei. Siffatti cambiamenti
raggiungono il loro apice nella così detta metagenesi di alcuni animali
inferiori. Che cosa può destare la maraviglia maggiormente di un corallario
delicato e ramoso, portante dei polipi e fissato sopra una roccia sottomarina,
il quale dapprima per gemmazione e poi per divisione trasversale produce una
quantità di grandi libere meduse, le quali generano uova, da cui dapprima
nascono animaletti liberamente nuotanti che si fissano sulle pietre e diventano
polipai ramificati, e così di seguito in cicli senza fine? L'idea della
sostanziale identità della metagenesi colla comune metamorfosi trovò
recentemente un valido appoggio nella scoperta del Wagner, secondo cui la larva
di una cecidomia, ossia di un moscherino, genera in via organica altre larve,
e queste altre ancora, le quali in fine si trasformano in maschi e femmine mature
che riproducono la specie nel solito modo col mezzo delle uova.
Credo opportuno menzionare, che quando si conobbe la scoperta del Wagner, io
venni domandato, come si possa spiegare che le larve di queste mosche hanno
la facoltà di riprodursi per via agamica. Finchè non si conosceva
che un unico caso, non poteva darsi alcuna risposta. Ma il Grimm ha ora dimostrato
che un'altra mosca, un Chironomus, si riproduce in modo affatto simile; ed egli
crede che ciò avvenga spesso nello stesso ordine. Si è la crisalide,
e non la larva del Chironomus che ha tale facoltà; ed il Grimm dimostra
inoltre che questo caso congiunge insieme quello della cecidomia colla partenogenesi
dei coccidi, ritenendo come partenogenesi quel fenomeno, in seguito a cui le
femmine mature dei coccidi possono deporre uova feconde senza l'intervento dei
maschi. Si conoscono ora parecchi animali, appartenenti a classi diverse, che
possiedono la facoltà di riprodursi nel solito modo in età molto
precoce. Se noi facciamo risalire la riproduzione partenogenetica per mezzo
di stadii graduati ad un'età sempre più giovane - offrendoci il
Chironomus colla sua crisalide uno stadio quasi esattamente intermedio, - noi
possiamo forse spiegare il fenomeno maraviglioso della cecidomia.
Fu già notato incidentemente che certi organi sono nell'embrione esattamente
simili, quantunque, allorchè sono perfettamente sviluppati, divengano
affatto differenti e servano a diversi usi. Anche gli embrioni di animali distinti
di una stessa classe sono spesso singolarmente simili. Non se ne potrebbe addurre
una prova migliore di quella che si contiene nelle seguenti dichiarazioni di
Von Baer, vale a dire, che "gli embrioni dei mammiferi, degli uccelli,
dei rettili e serpenti, e probabilmente anche dei chelonii sono perfettamente
somiglianti l'uno all'altro, tanto nel complesso delle loro parti quanto nel
modo di svilupparsi delle medesime; a tal punto, che in pratica spesso non possiamo
distinguere gli embrioni se non dalla loro grandezza. Io posseggo due piccoli
embrioni nell'alcool, cui ho dimenticato di attaccare i nomi, ed ora sono affatto
incapace di dire a quale classe appartengano. Questi embrioni possono essere
lucertole o piccoli uccelli, o mammiferi assai giovani, tanto è completa
la somiglianza nel modo di formazione della testa e del tronco di questi animali.
Però in essi mancano anche le estremità. Ma supposto che le medesime
vi fossero, nello stadio primitivo del loro sviluppo, non ci indicherebbero
nulla; perchè il piede delle lucertole e dei mammiferi, le ali ed i piedi
degli uccelli, non meno delle mani e dei piedi dell'uomo, derivano tutti dalla
medesima forma fondamentale". Le larve dei crostacei si somigliano assai
tra loro negli stadii corrispondenti di sviluppo, comunque grande sia la differenza
tra le forme adulte; ed altrettanto avviene in molti altri animali. Talvolta
appare anche in una più tarda età qualche traccia della legge
della rassomiglianza embrionale: così gli uccelli del medesimo genere,
o di generi strettamente affini, spesso si rassomigliano fra loro, nel loro
primo e secondo abito giovanile, come vediamo nelle penne macchiate del gruppo
dei tordi. Nella famiglia dei gatti la maggior parte delle specie sono rigate
o macchiate a linee punteggiate; queste righe e macchie si distinguono chiaramente
nei leoncini e nei piccoli puma. Talvolta, quantunque di rado, si osserva alcun
che di tal sorta nelle piante: così le prime foglie dell'Ulex e le prime
foglie delle acacie della Nuova Olanda, che invecchiando non producono che fillodi,
sono pennate o divise, come le foglie ordinarie delle leguminose.
Quei punti della struttura, in cui gli embrioni di animali della stessa classe
interamente diversi si rassomigliano, non hanno spesso alcuna relazione diretta
colle loro condizioni di esistenza. Per esempio, non possiamo supporre che negli
embrioni dei vertebrati gli archi branchiali arteriosi, scorrenti lungo le fessure
branchiali, siano in relazione colle condizioni di vita consimili, nel giovane
mammifero che si nutre nell'utero della madre, nell'uovo dell'uccello che viene
covato nel nido, e nelle uova della rana sotto l'acqua. Noi non abbiamo maggiori
motivi di ammettere questa relazione, di quello che se ne abbiano a credere
che le ossa simili nella mano dell'uomo, nell'ala del pipistrello e nella natatoia
di una testuggine siano riferite a condizioni di vita analoghe. Non vi sarà
alcun osservatore abile che supponga che le righe dei leoncini, o le macchie
del merlo giovine, siano di qualche utilità a questi animali.
Il caso però è diverso quando un animale, in qualche fase della
sua vita embrionale, è attivo e deve provvedere a se stesso. Il periodo
di attività può subentrare più o meno presto nella vita:
ma in qualunque fase avvenga l'adattamento della larva alle sue condizioni vitali,
esso è perfetto ed ammirabile, quanto in un animale adulto. Il modo importante,
col quale ciò avviene, fu recentemente dimostrato dal Lubbock nelle sue
osservazioni sulla grande somiglianza delle larve appartenenti ad insetti di
ordini assai diversi, e sulla dissomiglianza di altre larve di uno stesso ordine
di insetti per effetto delle abitudini di vita. In seguito a questi speciali
adattamenti, la somiglianza delle larve o degli embrioni attivi degli animali
affini tra loro, è talvolta molto diminuita; e si potrebbero citare dei
casi di alcune larve, appartenenti a due specie o a due gruppi di specie, le
quali differiscono fra loro non meno dei loro parenti adulti od anche maggiormente.
Nella pluralità dei casi, però, le larve, quantunque attive, obbediscono
ancora, più o meno rigorosamente, alla legge della comune rassomiglianza
embrionale. I cirripedi ce ne somministrano un ottimo esempio: anche l'illustre
Cuvier non si accorse che il Lepas fosse un crostaceo, com'è di fatto;
ma basta uno sguardo sulla larva per dimostrare questa verità in modo
incontrastabile. Così anche le due principali divisioni dei cirripedi,
cioè i peduncolati ed i sessili, che differiscono immensamente nella
loro esterna apparenza, hanno le larve in tutti i loro stadii appena distinguibili.
Nel processo di sviluppo l'embrione generalmente si eleva nell'organizzazione;
io mi valgo di questa espressione, quantunque sia certo che non è possibile
definire chiaramente che cosa s'intenda per organizzazione superiore od inferiore.
Nessuno probabilmente disputerà che la farfalla sia più elevata
della crisalide. In alcuni casi però l'animale adulto si ritiene generalmente
inferiore alla sua larva nella scala naturale, come in certi crostacei parassiti.
Tornando ancora ai cirripedi, le larve, nel primo stadio, hanno tre paia di
gambe, un solo occhio semplice e una bocca a forma di proboscide, colla quale
esse si nutrono abbondantemente, per crescere molto in grandezza. Nel secondo
stadio, corrispondente allo stadio di crisalide delle farfalle, esse hanno sei
paia di piedi natatorii stupendamente costrutti, un paio di occhi mirabilmente
composti e delle antenne estremamente complicate; ma esse hanno allora una bocca
chiusa ed imperfetta, e non possono prendere alimento. La loro funzione in questo
stadio è di cercare coi loro organi sensitivi molto sviluppati un luogo
conveniente al quale fissarsi, per compiere la loro metamorfosi ultima, e di
giungervi per mezzo della loro grande attitudine al nuoto. Allorchè questa
fase è compiuta, esse rimangono attaccate nel luogo scelto per tutta
la vita: le loro natatoie si cambiano in organi da presa; riacquistano una bocca
bene costrutta; ma non hanno antenne e i loro due occhi si trasformano di nuovo
in un occhio solo, piccolo o molto semplice a guisa di un punto. In quest'ultimo
stadio completo i cirripedi possono essere considerati indifferentemente come
dotati di un'organizzazione più elevata od inferiore a quella che presentano
nella condizione di larve. Ma in alcuni generi le larve producono degli ermafroditi
che hanno la struttura ordinaria, oppure quei maschi che furono da me chiamati
complementari e in questi lo sviluppo diviene certamente retrogrado; perchè
il maschio è un semplice sacco che vive per poco tempo, ed è privo
di bocca, di stomaco e di altri organi importanti, eccettuati quelli della riproduzione.
Noi siamo tanto abituati a trovare delle differenze di struttura fra l'embrione
e l'adulto, come pure una stretta somiglianza negli embrioni di animali affatto
differenti nella medesima classe, che possiamo essere indotti a considerare
questi fatti come una contingenza necessaria, dipendente in qualche modo dallo
sviluppo. Ma non abbiamo alcuna ragione plausibile per spiegare, ad esempio,
per qual motivo l'ala del pipistrello, o la natatoia della testuggine marina
non abbia ad essere scolpita nella debita proporzione con tutte le sue parti,
tosto che qualche struttura diviene visibile nell'embrione. In alcuni gruppi
interi di animali ed in certi individui d'altri gruppi l'embrione non differisce
molto dall'adulto in alcun periodo; Owen ha osservato questo fatto nei cefalopodi,
"nei quali non si ha metamorfosi alcuna, e il carattere di cefalopode si
manifesta molto tempo prima che l'embrione sia completo". I molluschi terrestri
ed i crostacei di acqua dolce nascono colla forma loro propria, mentre le specie
marine di queste due grandi classi subiscono spesso nel loro sviluppo dei cambiamenti
notevoli od anche assai rilevanti. Inoltre, nemmeno i ragni vanno veramente
soggetti ad una metamorfosi. Le larve degli insetti, siano esse adatte alle
abitudini attive più differenti, siano affatto inattive, essendo nutrite
dai loro parenti o trovandosi in mezzo al proprio nutrimento, pure passano quasi
tutte per uno stadio vermiforme; ma in alcuni casi, per esempio in quello degli
afidi, come risulta dalle figure mirabili del professore Huxley, colle quali
descrisse lo sviluppo di questi insetti, non troviamo alcuna traccia di uno
stadio vermiforme.
In alcuni casi mancano solamente i primi stadii di sviluppo. Così Fritz
Müller ha fatto l'interessante scoperta che alcuni crostacei affini al
Penœus si mostrano dapprima nella semplice forma di Nauplius, poi attraverso
due o tre stadii di Zoea, poi quello di Mysis, ed infine raggiungono la forma
matura. Ora nell'intera grande classe dei malacostracei, a cui questi crostacei
appartengono, non si conosce alcuna specie che dapprima apparisca colla forma
di Nauplius, sebbene molti si presentino in quella di Zoea. Nondimeno il Müller
sostiene con argomenti che tutti i crostacei comparirebbero sotto forma di Nauplii,
se non avvenisse alcuna soppressione nello sviluppo.
Come possiamo noi spiegare tutti questi fatti dell'embrologia? cioè -
la differenza molto generale, ma non universale, fra la struttura dell'embrione
e quella dell'adulto; - il fatto che alcune parti dell'embrione medesimo individuale
divengono infine dissimili e servono per uno scopo diverso, mentre nel primo
periodo dello sviluppo erano consimili; - la scambievole rassomiglianza degli
embrioni delle differenti specie e di una medesima classe, rassomiglianza che
si trova in generale, ma non sempre; - la struttura dell'embrione, la quale
non è in relazione stretta colle sue condizioni d'esistenza, quando se
ne eccettui qualche periodo della vita, in cui esso diviene attivo e provvede
al proprio sostentamento; - quei casi in cui l'embrione presenta una organizzazione
più elevata dell'animale adulto nel quale si trasforma. Io credo che
tutti questi fatti possano spiegarsi, partendo dal principio della discendenza
modificata.
Comunemente si pensa che le piccole variazioni necessariamente si producono
nelle prime fasi dell'embrione, forse perchè le mostruosità si
manifestano nell'embrione in questo periodo primitivo. Ma questo fatto non è
abbastanza fondato; al contrario abbiamo delle prove maggiori nel senso opposto:
mentre sappiamo che gli allevatori dei bovini, dei cavalli e di parecchi animali
di lusso, non possono stabilire positivamente, se non qualche tempo dopo la
nascita, quali saranno i pregi o la forma definitiva di un animale. Noi lo vediamo
manifestamente nei nostri stessi fanciulli; infatti non possiamo mai conoscere
se diverranno grandi o piccoli, nè quali saranno le loro fattezze precise.
La questione non consiste nel sapere a quale periodo della vita ogni variazione
sia stata prodotta, ma bensì quando si sia spiegata interamente. La causa
può aver agito, e credo che in generale abbia agito anche prima che l'embrione
fosse formato; e la variazione può attribuirsi all'azione delle condizioni,
alle quali l'uno o l'altro parente, od anche i loro antenati furono esposti,
sugli elementi sessuali del maschio e della femmina. Deve essere affatto indifferente
pel benessere di un animale giovane che egli acquisti la maggior parte de' suoi
caratteri un poco prima od un poco più tardi nella sua vita, finchè
egli rimane nell'utero della madre o nell'uovo, e finchè viene nutrito
e protetto da' suoi genitori. Non sarebbe, per esempio, di alcuna importanza
per un uccello, che prende più facilmente il proprio alimento quanto
più lungo ne sia il becco, il possedere o no un becco di questa lunghezza
particolare, finchè continuano a nutrirlo i suoi genitori.
Nel primo capo fu detto che si hanno delle prove per ritenere probabile che,
in qualunque età si produca per la prima volta una variazione nei genitori,
essa tenda a ripetersi nella prole all'età corrispondente. Certe variazioni
possono apparire soltanto in età corrispondenti, come, per esempio, le
particolarità della farfalla del baco da seta, allo stato di bruco e
di crisalide; od anche quelle delle corna del bestiame quasi completamente sviluppato.
Ma oltre tutto questo, le variazioni che, per quanto si conosce, possono manifestarsi
prima o dopo nel corso della vita, tendono a riapparire in un'età corrispondente
nella prole e nei parenti. Ciò non ostante io sono alieno dall'ammettere
che questo fatto si verifichi costantemente; e potrei citare molti casi indubitati
di variazioni (prendendo questa parola pel suo senso più largo) che sopravvennero
più presto nei figli che nei genitori.
Quando fosse riconosciuta la verità di questi due principii, credo che
si dimostrerebbero facilmente tutti i fatti principali della embriologia precedentemente
enumerati. Ma consideriamo prima alcuni casi analoghi delle varietà domestiche.
Alcuni autori che scrissero intorno al cane, hanno sostenuto che il levriere
e l'alano, quantunque sembrino tanto differenti, sono realmente due varietà
molto affini, e probabilmente traggono origine dal medesimo stipite selvaggio,
quindi io era bramoso di vedere se i loro piccoli differiscano molto fra loro.
Gli allevatori mi assicuravano che differiscono appunto quanto i loro genitori,
e giudicando coll'occhio mi pareva quasi che così fosse; ma, per le misure
prese accuratamente sui cani adulti e sui loro cagnolini di sei giorni, mi accorsi
che questi non possedevano tutte le loro differenze proporzionali. Inoltre mi
era stato detto che i puledri dei cavalli da tiro e da corsa fossero differenti,
come quando questi animali raggiungono il loro sviluppo completo; ciò
mi sorprendeva grandemente, ritenendo probabile che la differenza fra queste
due razze fosse dovuta interamente alla elezione, nello stato di domesticità;
ma avendo fatto del rilievi precisi sopra una cavalla e sopra un puledro di
tre giorni di una razza di cavalli da corsa e di un'altra razza di pesanti cavalli
da tiro, trovai che i puledri non avevano acquistato tutto l'insieme delle loro
differenze proporzionali.
Parendomi concludenti le prove della discendenza delle varie razze domestiche
di colombi da una sola specie selvatica, paragonai i colombi giovani di varie
razze, entro le dodici ore dopo la nascita; ne misurai accuratamente le proporzioni
(ma non darò qui alcun dettaglio) del becco, lo squarcio della bocca,
la lunghezza delle narici e delle palpebre, la grandezza dei piedi e la lunghezza
delle gambe nella specie selvatica originale, nel colombo gozzuto, nel colombo
pavone, nel romano, nel barbo, nel colombo dragone, nel messaggere e nel colombo
giratore. Ora alcuni di questi uccelli, quando sono adulti, presentano delle
differenze tanto straordinarie, nella lunghezza e nella forma del becco, che
dovrebbero certamente classificarsi in generi distinti, se fossero produzioni
naturali. Ma quando gli uccelli nidiaci di queste razze diverse furono posti
l'uno presso l'altro in una linea, sebbene la maggior parte di essi potesse
distinguersi, pure le loro differenze proporzionali, nei diversi punti sopra
specificati, erano incomparabilmente minori che nei colombi interamente sviluppati.
Certi punti caratteristici di differenza - per esempio quella dello squarcio
della bocca - possono a stento scoprirsi nei colombi presi dal nido. Ma si riscontra
una notevole eccezione a questa regola, perchè i figli del colombo giratore
a faccia corta differiscono da quelli del piccione torraiuolo selvatico e delle
altre razze, in tutte le proporzioni, quasi esattamente quanto diversificano
gli adulti.
I due principii, precedentemente esposti, mi pare che spieghino questi fatti,
riguardo all'ultimo stadio embrionale delle nostre varietà domestiche.
Gli amatori scelgono i loro cavalli, i loro cani e i loro colombi per la riproduzione,
quando questi animali sono quasi completamente sviluppati; per essi è
indifferente che le qualità e le strutture desiderate siano state acquistate
nei primi o negli ultimi periodi della vita dell'animale, purchè le possegga
quando sia giunto alla età matura. Gli esempi che abbiamo dati, e più
particolarmente quello dei colombi, dimostrano che le differenze caratteristiche,
le quali accrescono il pregio di ogni razza e furono accumulate mediante l'elezione
dell'uomo, non comparvero in generale nel primo periodo della vita, ma furono
ereditate dalla prole ad un'epoca corrispondente ed ugualmente inoltrata. Il
caso del colombo giratore a faccia corta, che dodici ore dopo la nascita assume
le proprie proporzioni, prova che codesta regola non è universale; perchè
le differenze caratteristiche debbono essersi manifestate prima del periodo
ordinario in cui hanno luogo, oppure debbono essere state ereditate in un'età
tenera, anzichè in quella corrispondente.
Ora applichiamo alle specie che vivono nello stato di natura questi fatti ed
i due principii precedenti, l'ultimo dei quali, sebbene non possa provarsene
la verità, può dimostrarsi probabile. Prendiamo un genere di uccelli
derivanti, secondo la mia teoria, da una sola specie-madre, della quale le varie
specie nuove si modificarono, mediante l'elezione naturale, in relazione alle
diverse loro abitudini. In seguito ai molti gradi piccoli e consecutivi delle
variazioni, sopraggiunte in un'età più avanzata, ed ereditate
in un'età corrispondente, gl'individui giovani delle nuove specie del
nostro genere supposto, tenderanno manifestamente a rassomigliarsi l'uno all'altro
assai più strettamente degli adulti, come appunto abbiamo verificato
nel caso dei colombi. Noi possiamo estendere l'idea ad intere famiglie od anche
alle intere classi. Le estremità, per esempio, che fanno l'ufficio di
gambe nella specie-madre, possono essersi trasformate, per un lungo processo
di modificazioni, in uno dei discendenti, in modo da agire come mani, in un
altro come natatoie, in un altro come ali; e partendo dai due principii menzionati,
- cioè, che ogni modificazione successiva si manifesta in una età
inoltrata, e che si eredita in una età avanzata corrispondente, - le
estremità anteriori negli embrioni dei diversi discendenti della specie-madre
dovranno essere molto rassomiglianti, perchè non ancora modificate. E
perciò in ciascuna delle nostre specie nuove le estremità anteriori
dell'embrione differiranno grandemente da quelle dell'animale adulto; perchè
in quest'ultimo le estremità furono soggette a molte modificazioni in
un periodo avanzato della vita e furono conseguentemente cambiate in mani, in
natatoie o in ali. Qualunque sia l'influenza che l'esercizio lungamente continuato
o l'uso da una parte e il non-uso dall'altra possono avere nel modificare un
organo, questa influenza si risentirà principalmente dall'animale maturo,
il quale acquistò tutte le sue forze attive e deve provvedere alla propria
esistenza; e gli effetti così prodotti saranno ereditati nell'età
matura corrispondente. Al contrario l'embrione o l'animale giovane resterà
inalterato; o sarà modificato in grado minore, per gli effetti dell'uso
e del non-uso.
In certi casi i successivi gradi di variazioni possono derivare da cause che
ci sono ignote completamente, nella prima fase della vita; oppure ogni grado
di variazione può ereditarsi in un periodo anteriore a quello in cui
dapprima si manifestò. In ambe le ipotesi (come nel colombo giratore
a faccia corta), l'animale giovane o l'embrione sarebbe molto somigliante alla
madre-forma adulta. Abbiamo veduto che questa è la regola dello sviluppo
di certi gruppi interi di animali, come nelle seppie, nei molluschi terrestri,
nei crostacei di acqua dolce, nei ragni, e in alcuni membri della grande classe
degli insetti. Rispetto alla causa finale per cui il giovane in questi casi
non soggiace ad alcuna metamorfosi o rassomiglia perfettamente ai suoi genitori
fino dalla prima età, possiamo ritenere che ciò risulti dalle
due circostanze che seguono: primieramente perchè l'animale giovane,
nel corso delle modificazioni subite dalla specie per molte generazioni, dovette
provvedere ai propri bisogni fino dai primi stadii dello sviluppo, e in secondo
luogo perchè gli animali debbono seguire esattamente le stesse abitudini
di vita dei loro genitori; mentre in tal caso sarebbe indispensabile per l'esistenza
della specie che i piccoli animali si modifichino nella prima età in
una maniera identica a quella con cui si modificarono i loro genitori, in consonanza
delle loro abitudini simili. Quanto al fatto singolare che tante forme terrestri
o di acqua dolce non subiscono alcuna metamorfosi, mentre le specie marine degli
stessi gruppi soggiacciono a parecchi cambiamenti, Fritz Müller ha manifestato
la supposizione che il processo di lenta modificazione e di adattamento di un
animale alla vita in terraferma o nell'acqua dolce, anzichè nel mare,
sia notevolmente semplificato colla soppressione dello stadio larvale; imperocchè
non è probabile che vi siano in natura molti posti disoccupati o male
occupati da altri organismi; adatti tanto per le larve come per le immagini,
in condizioni di vita sì nuove e notevolmente cambiate. In tal caso l'acquisto
graduato della struttura adulta in età sempre più tenera sarebbe
favorito dall'elezione naturale, e tutte le traccie di un'antica metamorfosi
sarebbero alfine cancellate.
Se, d'altra parte, sia utile per la forma giovanile differire alquanto dai genitori
nelle abitudini di vita, ed avere in conseguenza una struttura alquanto diversa;
oppure se per le larve, che già differiscono dai loro genitori, torni
di vantaggio differire maggiormente, il giovane o la larva, secondo il principio
della eredità in epoche di vita corrispondenti, potranno col mezzo della
elezione naturale differire sempre più dai loro genitori fino ad un grado
considerevole. Le differenze nelle larve possono essere correlative con quelle
delle fasi successive di sviluppo, così che la larva alla prima fase
può differire assai da quella della seconda fase, come avviene in molti
animali. Anche l'adulto può acquistarsi stazioni ed abitudini, in cui
gli organi di locomozione, dei sensi ed altri gli siano inutili, nel qual caso
la metamorfosi potrebbe dirsi regressiva.
Secondo le osservazioni ora esposte può comprendersi come coi cambiamenti
di struttura dei giovani, combinati colla trasmissione in epoche di vita corrispondenti,
gli animali possono giungere a percorrere delle fasi di sviluppo affatto diverse
dallo stato primitivo dei loro genitori adulti. Le migliori nostre autorità
sono ora concordi nel ritenere che i diversi stadii di larva e di crisalide
degli insetti siano apparsi in tale modo per adattamento, e non per eredità
da una forma antica. L'esempio interessante della Sitaris, di un coleottero
che percorre certe fasi non comuni di sviluppo, può chiarire come ciò
avvenga. La prima forma larvale, come ce la descrisse il Fabre, è un
insetto piccolo, vivace, con sei piedi, due lunghe antenne e quattro occhi.
Queste larve nascono in un'arnia, ed appena i fuchi escono in primavera dalle
loro cellule, ed escono prima delle femmine, vi si attaccano, e passano poi
sulle femmine durante l'accoppiamento. Quando queste depongono le uova sul miele
che si trova nelle cellule, la larva passa sull'uovo e lo divora. Più
tardi essa subisce un cambiamento completo; gli occhi scompariscono, i piedi
e le antenne diventano rudimentali, e la medesima si pasce di miele. A questo
punta essa somiglia ad una solita larva di insetto. Infine subisce altri mutamenti
e si fa coleottero perfetto. Se un insetto con metamorfosi simile a quella della
Sitaris divenisse il progenitore di una nuova classe di insetti, il corso generale
dello sviluppo e soprattutto delle prime fasi sarebbe probabilmente assai diverso
da quello degli insetti ora esistenti; ed al certo i primi stadii di larva non
rappresenterebbero la passata condizione di una forma adulta ed antica.
Dall'altro canto è assai probabile che in molti gruppi di animali gli
stadii embrionali o larvali ci mostrino più o meno completamente la forma
adulta del progenitore dell'intero gruppo. Nell'immensa classe dei crostacei
le forme più diverse, come i parassiti succhianti, i cirripedi, gli entomostracei
e perfino i malacostracei appariscono al loro primo stadio larvale sotto la
forma simile del Nauplius; e siccome queste larve si nutrono e vivono in aperto
mare e non sono adatte a peculiari condizioni di vita, è probabile, anche
per altre ragioni esposte da Fritz Müller, che in una lontana epoca trascorsa
sia esistito un animale adulto indipendente simile al Nauplius, ed abbia generato
su molte linee divergenti di discendenza i succitati grandi gruppi di crostacei.
È anco probabile, in seguito a quanto abbiamo detto intorno agli embrioni
dei mammiferi, degli uccelli, dei pesci e dei rettili, che questi animali siano
i discendenti modificati di un antico progenitore, il quale allo stato adulto
era fornito di branchie, di una vescica natatoria, di quattro arti pinniformi
e di una coda lunga, organi tutti utili per un animale acquatico.
Siccome tutti gli esseri organizzati, estinti e recenti, che esistettero sulla
terra debbono classificarsi insieme in un solo sistema e furono tutti collegati
da fine gradazioni, se le nostre collezioni fossero perfette, la disposizione
migliore ed anzi la sola possibile sarebbe la genealogica; essendo la discendenza
il segreto legame di connessione, secondo le mie idee; quello che i naturalisti
hanno cercato sotto la denominazione di sistema naturale. Sotto questo aspetto
noi possiamo intendere come avvenga che, per la maggior parte dei naturalisti,
la struttura dell'embrione sia anche più importante di quella dell'adulto
nella classificazione. Perchè l'embrione è l'animale nel suo stato
meno modificato: e quindi ci fa conoscere la struttura del suo progenitore.
Quando due gruppi d'animali, per quanto differiscano attualmente fra loro nella
struttura o nelle abitudini, passano per i medesimi o per consimili stadii embrionali,
possiamo ritenere per certo che entrambi sono provenuti dai medesimi o da quasi
simili progenitori e sono per conseguenza nel medesimo grado di affinità.
Così la struttura embrionale comune rivela una comune discendenza, ed
essa rivela questa comune discendenza, anche se la struttura dell'adulto sia
stata modificata ed alterata grandemente; abbiamo veduto, per esempio, che a
prima vista i cirripedi possono riconoscersi, per mezzo delle loro larve, come
appartenenti alla grande classe dei crostacei. Siccome lo stato embrionale di
ogni specie e di ogni gruppo di specie ci dimostra in parte la struttura dei
loro antichi progenitori meno modificati, ci è facile desumere la ragione
per cui le forme di vita antiche ed estinte debbono rassomigliare agli embrioni
dei loro discendenti(27), - cioè delle nostre specie esistenti. Agassiz
crede che questa sia una legge di natura; ma io mi limito a dichiarare che spero
di vedere in seguito confermata la verità di questa legge. Essa può
provarsi soltanto in quei casi in cui lo stato antico che ora si suppone rappresentato
dagli embrioni esistenti, non sia stato mascherato dalle successive variazioni,
avvenute in una prima fase dello sviluppo, durante una lunga sequela di modificazioni;
oppure per le variazioni ereditate in un periodo anteriore a quello in cui si
produssero per la prima volta. Non devesi però dimenticare che la supposta
legge di rassomiglianza delle antiche forme di vita alle fasi embrionali delle
forme recenti può essere vera, e nullameno restare per lungo tempo od
anche per sempre senza alcuna dimostrazione, per non essere le nostre memorie
geologiche abbastanza estese nelle epoche trascorse. In alcuni casi la legge
non si troverà confermata, quando cioè in una forma antica nel
suo stato di larva si è adattata ad una speciale condizione di vita,
ed ha trasmesso il medesimo stato larvale ad un intero gruppo di discendenti,
imperocchè questi allo stadio di larva non somiglieranno allo stato adulto
di una forma ancor più antica.
I fatti principali dell'embriologia, che non sono inferiori a qualunque altro
fenomeno nella storia naturale, mi sembrano dunque chiariti mediante il principio
delle leggere modificazioni, le quali non si manifestano nei molti discendenti
di qualche antico progenitore nel primo periodo della vita dei medesimi, sebbene
le loro cause abbiano agito fin dal principio; modificazioni che furono ereditate
ad un periodo corrispondente della vita, anzichè nelle prime fasi di
essa. L'embriologia presenta quindi un interesse maggiore, quando noi consideriamo
in tal modo un embrione come una pittura, più o meno offuscata, della
madre-forma comune di ogni grande classe d'animali.
ORGANI RUDIMENTALI, ATROFIZZATI OD ABORTITI
Gli organi o le parti che si trovano in questa strana condizione,
e che portano l'impronta della loro inutilità, sono estremamente comuni
in tutta la natura. È impossibile citare alcuno degli animali superiori
in cui non si rinvenga una qualche parte in istato rudimentale. Per esempio,
le mammelle rudimentali sono molto generali nei maschi dei mammiferi; nei serpenti
un polmone è rudimentale; e l'ala spuria di alcuni uccelli può
sicuramente riguardarsi come un dito in uno stato rudimentale; ed in alcune
specie tutta l'ala è così rudimentale che non può essere
impiegata al volo. Alcuni casi di organi rudimentali sono molto curiosi; per
esempio, la presenza dei denti nei feti delle balene, che, quando sono sviluppate,
non hanno un solo dente nella loro bocca; e così la presenza dei denti
che non escono mai dalle gengive nelle mascelle superiori dei nostri vitelli,
prima della nascita.
Il significato degli organi rudimentali spesso è evidente: vi sono, per
esempio, dei coleotteri di un medesimo genere (od anche di una medesima specie),
che si rassomigliano perfettamente per ogni rispetto; uno dei quali ha delle
ali pienamente sviluppate ed un altro presenta dei semplici lobi membranosi;
qui sarebbe impossibile dubitare che tali rudimenti non rappresentino le ali.
Gli organi rudimentali conservano talvolta la loro potenzialità e mancano
semplicemente di sviluppo: come sarebbe il caso delle mammelle dei mammiferi
maschi, ricordandosi molti esempi del completo sviluppo di questi organi in
maschi adulti, fino al punto da secernere il latte. Così nelle mammelle
del genere Bos, vi sono normalmente quattro capezzoli sviluppati e due rudimentali;
ma nelle nostre vacche domestiche anche questi ultimi sono talvolta sviluppati
e producono latte. Nelle piante di una medesima specie i petali ora sono semplici
rudimenti e ora sono interamente sviluppati. Nelle piante a sessi separati i
fiori maschi spesso hanno un pistillo rudimentale; e Kölreuter scoperse
che, incrociando queste piante maschi con una specie ermafrodita, il rudimento
del pistillo cresce di grandezza nella prole ibrida; ciò prova che il
rudimento del pistillo ed il pistillo perfetto sono essenzialmente simili per
natura. Un animale può possedere diverse parti che siano in istato perfetto,
ed in un certo senso nondimeno rudimentali, perchè inutili. Così
G. H. Lewes osserva che la larva del tritone comune possiede "delle branchie
e passa la sua vita nell'acqua, ma la Salamandra atra, la quale vive nell'alta
montagna, genera dei figli perfettamente sviluppati. L'animale non va mai nell'acqua".
Tuttavia, se noi apriamo una femmina gravida, vi troviamo dentro delle larve
con branchie distintamente pinnate, e se queste larve siano poste nell'acqua,
esse nuotano così bene come quelle del tritone. Evidentemente questa
organizzazione per una vita acquatica non allude alla vita futura dell'animale,
nè è un adattamento ad una condizione embrionale; essa si riferisce
solamente agli adattamenti degli avi, e ripete una fase di sviluppo dei progenitori.
Un organo che adempie a due funzioni può divenire rudimentale o abortire
completamente per una di esse, anche se sia la più importante, e rimanere
perfettamente efficace per l'altra. Così nelle piante l'ufficio del pistillo
è quello di permettere ai tubi del polline di penetrare negli ovuli protetti
nella sua base dall'ovario. Il pistillo è costituito di uno stimma sostenuto
da uno stilo; ma in alcune composte i fiori maschi, che naturalmente non potrebbero
essere fecondati, hanno un pistillo in uno stato rudimentale, perchè
non è sormontato da uno stimma; ma lo stilo rimane bene sviluppato ed
è rivestito di peli, come nelle altre composte, all'oggetto di staccare
il polline dalle antere vicine. Un organo può anche divenire rudimentale
per la funzione a cui è destinato e servire per un uso differente: in
certi pesci la vescica natatoria sembra quasi rudimentale per la propria funzione,
di aiutare i movimenti dell'animale rendendolo specificamente più leggero,
e trasformata in un organo respiratorio o polmone. Potrebbero citarsi altri
esempi consimili.
Gli organi che sono utili, per quanto piccolo sia il loro sviluppo, non potrebbero
riguardarsi come rudimentali: essi possono chiamarsi organi nascenti, e possono
acquistare, mediante l'elezione naturale, uno sviluppo ulteriore. Al contrario,
gli organi rudimentali sono affatto inutili essenzialmente, come quei denti
che mai non forano le gengive. Siccome sarebbero anche più inutili, se
fossero in una condizione di minore sviluppo, quegli organi non possono, nello
stato presente delle cose, essere stati formati per mezzo dell'elezione naturale,
che agisce soltanto per la conservazione delle modificazioni utili. Quindi essi
debbono avere qualche rapporto con una condizione più antica del loro
attuale possessore, essendosi pur conservati per eredità, come esporremo.
È difficile conoscere quali siano gli organi nascenti; se si consideri
l'avvenire, non possiamo stabilire in che modo qualche parte si svilupperà
e se ora quella parte sia nascente; se guardiamo al passato, la creature dotate
di un organo in uno stato nascente saranno state generalmente soppiantate e
distrutte dai loro successori, provvisti di quell'organo in una condizione più
perfetta e maggiormente sviluppato. L'ala del pinguino è molto utile,
esso l'adopera come una natatoia; potrebbe perciò rappresentare lo stato
nascente delle ali degli uccelli. Non già che io creda che ciò
sussista, anzi è più probabile che sia un organo ridotto e modificato,
per una nuova funzione; l'ala dell'apterice gli è inutile ed è
veramente rudimentale. Le glandole mammarie dell'ornitorinco possono forse considerarsi
come in uno stato nascente, in confronto alle poppe della vacca; ed i ferni
ovigeri di certi cirripedi, che sono leggermente sviluppati e che più
non servono a trattenere le uova, sono branchie nascenti.
Gli organi rudimentali degl'individui d'una medesima specie sono molto soggetti
a variare nel grado del loro sviluppo e per altri rapporti. Di più, nelle
specie strettamente affini, lo stesso organo si rese rudimentale, in gradi talvolta
assai diversi. Quest'ultimo fatto si verifica, per es., nello stato delle ali
delle farfalle notturne di certi gruppi. Gli organi rudimentali possono anche
abortire completamente; e ciò deve supporsi quando non troviamo in un
animale o in una pianta alcuna traccia di un organo che l'analogia ci avrebbe
indicato e che occasionalmente si incontra negli individui mostruosi della specie.
Così nella bocca di leone (Antirrhinum) non si trova generalmente il
rudimento di un quinto stame, pure qualche volta questo rudimento esiste. Nella
ricerca delle omologie di una stessa parte, nei diversi membri di una stessa
classe, nulla è più comune o più necessario dell'uso e
della scoperta dei rudimenti. Ciò viene dimostrato evidentemente nei
disegni dati dall'Owen delle ossa della gamba del cavallo, del bue e del rinoceronte.
È molto importante il fatto, che alcuni organi rudimentali si scoprano
spesso nell'embrione, mentre in seguito scompariscono interamente, come i denti
delle mascelle superiori delle balene e dei ruminanti. Io credo che sia anche
una regola universale quella, che le parti o gli organi rudimentali sono di
una grandezza maggiore, relativamente alle parti vicine, nell'embrione che nell'adulto;
per modo che questi organi nella prima età sono meno rudimentali od anche
può dirsi che non lo sono menomamente. Perciò suol dirsi che un
organo rudimentale ha conservato nell'adulto la sua condizione embrionale.
Noi abbiamo esposto i fatti principali riguardanti gli organi rudimentali, Riflettendo
ai medesimi, ognuno deve rimanerne compreso di meraviglia; perchè quel
medesimo ragionamento, il quale ci attesta con tanta chiarezza che quasi tutte
le parti e quasi tutti gli organi sono stupendamente adatti a certe funzioni,
ci dimostra con uguale semplicità l'imperfezione o l'inutilità
degli organi rudimentali, od atrofizzati. Nelle opere di storia naturale generalmente
si legge che gli organi rudimentali sono stati creati "per amore di simmetria"
o pel fine di "completare lo schema della natura"; ma codesta non
mi pare una spiegazione, bensì una semplice riconferma del fatto. Nè
può sostenersi a rigore di logica; così il Boa constrictor possiede
i rudimenti degli arti posteriori e della pelvi e se si dice che queste ossa
siano state conservate "per completare lo schema della natura"; perchè,
domanda il Weismann, non si conservarono in altri serpenti che non ne hanno
nemmeno una traccia? Si crederebbe forse sufficiente il dichiarare che, siccome
i pianeti si muovono in orbite elittiche intorno al sole, i satelliti seguono
un andamento consimile intorno ai pianeti, per amore di simmetria e per completare
lo schema della natura? Un fisiologo eminente spiega la presenza degli organi
rudimentali, supponendo che servano ad eliminare le materie eccedenti o dannose
al sistema; ma potremo noi supporre che le minute papille, che spesso rappresentano
il pistillo nei fiori maschi e che sono formate semplicemente di tessuto cellulare,
abbiano questo scopo? Possiamo noi supporre che i denti rudimentali, che rimangono
assorbiti posteriormente, possano essere, per effetto della secrezione del prezioso
fosfato di calce, di qualche utilità al vitello che nello stato di embrione
rapidamente si sviluppa? Quando le dita dell'uomo vengono amputate, talvolta
sulle estremità monche appariscono delle unghie imperfette; ora si potrebbe
credere, con uguale ragione, che queste traccie di unghie si siano formate per
la secrezione della materia cornea, come che per questo scopo siano fatte le
unghie rudimentali che crescono sulle natatoie del manato.
Secondo la mia teoria della discendenza modificata, l'origine degli organi rudimentali
è molto semplice. Noi abbiamo una quantità di casi di organi rudimentali
nelle nostre produzioni domestiche, - come il moncone di una coda nelle razze
prive di coda, - la traccia di un orecchio nelle razze che non hanno orecchie,
- il ritorno di piccole corna pendenti nelle razze dei bestiami senza corna
e in particolare, secondo Yonatt, negli animali giovani, - e lo stato generale
del fiore intero nel cavolo-fiore. Spesso noi osserviamo nei mostri i rudimenti
di varie parti. Ma io dubito che alcuno di questi casi possa spargere qualche
luce sulla origine degli organi rudimentali nello stato di natura, oltre la
prova che ne ricaviamo che i rudimenti si producono: perchè se si pesino
bene le ragioni da un lato e dall'altro si propenderà a ritenere che
allo stato di natura le specie non subiscano mai dei cambiamenti grandi e repentini.
Dallo studio poi dei nostri prodotti domestici noi impariamo che il non-uso
delle parti conduce ad una riduzione della grandezza, e che questo risultato
è trasmissibile per eredità.
A quanto pare, si fu principalmente il non-uso che rese gli organi rudimentali.
Dapprima egli conduce gli organi a lenti passi ad una riduzione sempre crescente,
finchè diventano rudimentali. Ciò è accaduto cogli occhi
degli animali viventi in oscure caverne, e colle ali degli uccelli che abitavano
isole oceaniche, dove raramente venivano costrette dai carnivori a volare, e
perdettero in fine completamente questa facoltà. Inoltre un organo, utile
in determinate condizioni, può in altre diventare perfino dannoso; così
le ali degli insetti che abitano in isole piccole ed aperte. In tale caso l'elezione
naturale tenderà a ridurre lentamente questo organo, fino a renderlo
innocuo e rudimentale.
Ogni cambiamento di funzione che possa effettuarsi per gradi insensibilmente
piccoli entra nel dominio della elezione naturale; per modo che un organo, reso
inutile o dannoso per un dato scopo, per le cambiate abitudini di vita, può
essere modificato ed impiegato ad un fine diverso. Oppure un organo può
essere conservato per una sola delle sue funzioni primitive. Se un organo divenga
inutile, può essere molto variabile, perchè le sue variazioni
non sarebbero contrastate dalla elezione naturale. Qualunque sia il periodo
della vita, in cui il non-uso o la elezione riduca un organo a minori dimensioni
(e ciò si verificherà generalmente quando l'individuo giunse a
maturità e nella sua piena facoltà di agire), il principio di
eredità nelle età corrispondenti riprodurrà nella stessa
fase della vita quest'organo nel suo stato ridotto; e per conseguenza, non potrà
alterarlo o ridurlo nell'embrione che assai di rado. In questo modo possiamo
intendere come si abbia una maggiore grandezza relativa degli organi rudimentali
nell'embrione, una minore grandezza relativa dei medesimi nell'adulto. Se, ad
esempio, un dito negli animali adulti di una specie sia stato sempre meno adoperato
in molte generazioni in seguito a qualche cambiamento nelle abitudini, o se
un organo o ghiandola abbia funzionato con intensità decrescente, noi
possiamo aspettarci di trovare quella parte ridotta di grandezza(28) nei discendenti
adulti della specie, e pressochè allo stato originale di sviluppo nell'embrione.
Ma sussiste ancora una difficoltà. Se un organo non è più
oltre adoperato e per ciò viene notevolmente ridotto, come accade che
la riduzione continua, finchè dell'organo non rimane che un vestigio,
e come può finalmente scomparire affatto? Non sembra possibile che il
non-uso eserciti ancora una influenza, quando un organo sia reso inattivo. Qui
è necessaria una ulteriore spiegazione ch'io non posso dare. Se, ad esempio,
potesse provarsi che ogni parte della organizzazione tenda a variare piuttosto
verso una diminuzione di grandezza che verso un aumento, noi potremmo comprendere
in quale modo un organo reso inutile possa farsi rudimentale, indipendentemente
dagli effetti del non-uso, ed in fine, scomparire, imperocchè le variazioni
conducenti ad una diminuzione di grandezza non sarebbero ulteriormente inceppate
nel cammino dalla elezione naturale. Il principio di economia, di cui parlai
in un capitolo precedente, e secondo il quale sono risparmiati i materiali che
sarebbero necessari per la formazione di un organo inutile al possessore, ha
forse una qualche parte nel rendere rudimentali le parti superflue. Ma questo
principio sarà limitato alle prime fasi del processo di riduzione; imperocchè
non possiamo ammettere che, ad esempio, una piccolissima papilla, la quale in
un fiore maschile rappresenta il pistillo del fiore femminile e consta di tessuto
cellulare, sia più oltre ridotta od assorbita per risparmiare nutrimento.
Siccome gli organi rudimentali, quali che siano i gradini pei quali furono degradati
fino alla presente inutile loro condizione, ci raccontano lo stato passato delle
cose e furono conservati solamente in forza del potere della ereditarietà:
- ci sarà facile riconoscere, nel concetto che ogni classificazione debba
essere genealogica, per qual motivo i sistematici abbiano trovate le parti rudimentali
altrettanto utili e forse più utili di quelle parti che sono di un'alta
importanza fisiologica. Gli organi rudimentali potrebbero paragonarsi alle lettere
di una parola, che si conservano nel compitare, ma non vengono pronunciate,
le quali tuttavia ci guidano nella ricerca della sua etimologia. Possiamo concludere,
in base della dottrina della discendenza con modificazioni, che l'esistenza
di organi in una condizione rudimentale, imperfetta ed inutile, oppure di organi
pienamente abortiti, lungi dal presentare una difficoltà insuperabile,
come sicuramente sarebbe secondo la teoria ordinaria delle creazioni indipendenti,
si sarebbe potuta prevedere; e trova una spiegazione nelle leggi di eredità.
SOMMARIO
Nel presente capo mi sono studiato di dimostrare che la subordinazione
di un gruppo all'altro, in tutti gli organismi e in ogni tempo, la natura delle
affinità per mezzo delle quali tutti gli esseri viventi ed estinti sono
congiunti in un grande sistema da relazioni complesse, divergenti ed involute;
le regole adottate e le difficoltà incontrate dai naturalisti nelle loro
classificazioni; il valore attribuito ai caratteri più costanti e prevalenti,
siano essi di alta importanza vitale o di poca entità; la differenza
grandissima di valore fra i caratteri analogici e di adattamento e quelli di
vera affinità, ed altrettali regole - derivano tutte naturalmente dall'ipotesi
della parentela comune di quelle forme che i naturalisti considerano come affini,
combinata colle loro modificazioni per elezione naturale, colle loro contingenze
d'estinzione e colla divergenza dei caratteri. Riflettendo a queste idee sulla
classificazione, fa d'uopo ricordare che l'elemento della discendenza fu impiegato
universalmente nel disporre insieme i sessi, le età e le varietà
conosciute di una specie, per quanto possano essere differenti nella struttura.
Se si estendesse l'uso di questo elemento della discendenza, - la sola causa
certamente conosciuta della somiglianza degli esseri organizzati, - non giungeremmo
a spiegare il significato delle parole sistema naturale; questo sistema è
genealogico nella disposizione che si va cercando, e i gradi delle differenze
acquistate sono espressi coi termini varietà, specie, generi, famiglie,
ordini e classi.
Partendo da questo principio della discendenza modificata, tutti i grandi fatti
della morfologia divengono facili ad intendersi, - sia che si consideri il medesimo
piano applicato negli ordini omologhi delle diverse specie di una classe, qualunque
sia la funzione che compiono; sia che si considerino le parti omologhe, disposte
secondo un sistema uniforme in ogni animale e in ogni pianta.
Il principio delle variazioni leggiere e successive, che non sopravvengono necessariamente,
nè generalmente nella prima età della vita e sono ereditati in
periodo corrispondente dai discendenti, porta molta luce sui fatti più
rilevanti della embriologia; vale a dire con esso si può spiegare la
rassomiglianza delle parti omologhe di un embrione individuale, le quali, quando
siano pienamente sviluppate, divengono affatto differenti fra loro nella struttura
e nelle funzioni: e la rassomiglianza delle parti ed organi omologhi nelle differenti
specie di una classe, sebbene appropriate negli individui adulti alle funzioni
più disparate. Le larve sono embrioni attivi che si modificarono specialmente
in relazione alle loro abitudini di vita, mediante il principio della trasmissione
delle modificazioni ad un'età corrispondente. Per questo principio la
presenza degli organi rudimentali e il loro aborto finale non ci offrono alcuna
difficoltà inesplicabile; quando si pensi che se gli organi si atrofizzano
pel non-uso o per l'elezione ciò avverrà generalmente in quel
periodo della vita in cui l'individuo deve provvedere ai propri bisogni, e si
tenga conto della grande efficacia del principio di eredità; - al contrario,
la loro presenza deve prevedersi. L'importanza dei caratteri embriologici e
degli organi rudimentali nella classificazione emerge dal concetto che una classificazione
è naturale solo in quanto è genealogica.
Finalmente mi sembra che le varie classi di fatti, da noi trattati in questo
capo, stabiliscano che le innumerevoli specie, i molti generi e le famiglie
degli esseri organizzati (dei quali è popolato il mondo) sono derivati
tutti da progenitori comuni, ciascuno nella propria classe o nel proprio gruppo,
e tutti furono modificati nel corso della discendenza; e ciò si dimostra
con tanta chiarezza, che io adotterei senza esitazione questa teoria, anche
se non fosse sostenuta da altri fatti ed argomenti.
CAPO XV
RICAPITOLAZIONE E CONCLUSIONE
Ricapitolazione delle difficoltà che si oppongono alla teoria della Elezione naturale - Ricapitolazione delle circostanze generali e speciali in favore di essa - Cagioni della credenza generale nella immutabilità delle specie - Come possa estendersi la teoria dell'Elezione naturale - Effetti dell'adozione di essa nello studio della Storia naturale - Osservazioni finali.
Non essendo questo volume che una lunga argomentazione, il
lettore potrà desiderare una breve ricapitolazione dei fatti e delle
deduzioni principali.
Non posso negare che si sono sollevate molte gravi obbiezioni contro la teoria
della discendenza modificata mediante l'elezione naturale. Io mi sono ingegnato
di dare a queste obbiezioni tutta la loro forza. Non vi ha certamente cosa che
si possa ammettere più difficilmente di quella, che gli organi e gli
istinti più complessi non siano stati perfezionati con mezzi che sono
superiori alla ragione dell'uomo, sebbene analoghi alla medesima, ma invece
mediante l'accumulazione di piccole variazioni, ciascuna delle quali fosse proficua
all'individuo che la possiede. Ciò non ostante questa difficoltà,
quantunque sembri insuperabile alla nostra immaginazione, non può considerarsi
di qualche valore, se si accettino le seguenti proposizioni: cioè, che
gli organi e gli istinti sono variabili in grado leggero quanto si voglia, -
che esiste una lotta per l'esistenza, la quale conduce alla conservazione di
ogni deviazione di struttura o d'istinto che sia vantaggiosa, - e infine, che
vi sono state delle gradazioni nel perfezionamento di ogni organo, le quali
erano utili alla specie. Io credo che la verità di queste proposizioni
non possa impugnarsi.
Certamente è assai difficile congetturare quali fossero le gradazioni
per mezzo delle quali molte strutture si perfezionarono, più specialmente
nei gruppi degli esseri organizzati che sono interrotti e in decadenza, e che
soffrirono molte estinzioni; ma noi osserviamo nella natura tante straordinarie
gradazioni, che dobbiamo essere molto guardinghi nell'affermare che un organo
od istinto, od anche un individuo completo non potrebbe essere giunto al suo
stato presente, per mezzo di molti cambiamenti graduali. Bisogna convenire che
nella teoria della elezione naturale vi sono alcuni casi di una speciale difficoltà;
uno dei più curiosi è l'esistenza di due o tre caste definite
sterili o di operaie, nella stessa colonia di formiche; tuttavia ho procurato
di far vedere come si possano vincere.
Riguardo alla quasi universale sterilità delle specie quando si incrociano,
la quale forma un contrasto tanto rimarchevole colla fecondità quasi
universale delle varietà incrociate, debbo richiamare alla mente del
lettore la ricapitolazione dei fatti posti sulla fine del capo nono, che mi
sembra valga a dimostrare concludentemente che la sterilità non è
una qualità speciale innata, più di quello che lo sia l'incapacità
dell'innesto fra due alberi; ma che dipende da differenze incidentali o costituzionali
nei sistemi riproduttivi delle specie incrociate. La verità di questa
conclusione emerge dalla vasta differenza nel risultato degli incrociamenti
reciproci delle medesime due specie; vale a dire, quando da ciascuna delle due
specie si prende prima il padre, indi la madre. Lo studio delle piante dimorfe
e trimorfe ci conduce per analogia alla medesima conclusione; imperocchè
le forme che vengono fecondate in modo illegittimo non danno semi, oppure ne
danno pochi, e i discendenti sono più o meno sterili; e tali forme appartengono
indubbiamente ad una medesima specie, nè differiscono tra loro altrimenti
che negli organi e nelle funzioni della riproduzione.
Quantunque molti autori abbiano affermato che la fecondità delle varietà,
quando sono incrociate, e della loro prole meticcia, è generale, non
si può ritenere esatta questa opinione, dopo i fatti citati sull'autorità
di Gärtner e di Kölreuter. La maggior parte delle varietà,
sulle quali si fecero esperienze, furono prodotte allo stato di domesticità;
ed appunto perchè la domesticità (non intendo la sola reclusione)
tende ad eliminare la sterilità, la quale, a giudicare dall'analogia,
avrebbe colpito le specie-madri al loro incrociamento, non dobbiamo aspettarci
che essa produca sterilità nell'incrociamento dei loro discendenti modificati.
La sterilità poi, a quanto pare, viene tolta dalla stessa causa, la quale
permette ai nostri animali domestici di riprodursi ampiamente sotto svariate
circostanze; e ciò sembra dipendente dal fatto che essi animali si abituano
gradatamente a frequenti cambiamenti delle condizioni di vita.
Due serie parallele di fatti sembrano gettare un po' di luce sulla sterilità
delle specie al loro primo incrociamento e sui discendenti ibridi. Da un lato
abbiamo buone ragioni per credere che i leggeri cambiamenti nelle condizioni
di vita diano forza e fecondità agli esseri organici; noi sappiamo anche
che l'incrociamento fra individui diversi di una medesima varietà e fra
varietà diverse accresce il numero dei discendenti e reca loro certamente
un aumento di vigore e di statura. Ciò dipende principalmente dal trovarsi
esposte le forme incrociate a condizioni di vita alquanto diverse; imperocchè
io mi sono accertato con una serie di difficili esperimenti che, se tutti gl'individui
di una stessa varietà sono esposti per parecchie generazioni alle medesime
condizioni, il vantaggio dell'incrociamento è spesso scemato od anche
tolto. Questo è un lato della questione. Dall'altro canto, noi sappiamo
che le specie, le quali per lungo tempo siano state esposte a condizioni pressochè
uniformi, ed in captività vengano sottoposte a condizioni nuove e notevolmente
cambiate, o periscono, oppure, se restano in vita, si fanno sterili, benchè
altrimenti siano perfettamente sane. Ciò non avviene, oppure avviene
in grado leggero, nei nostri prodotti domestici, i quali lungamente sono stati
esposti a condizioni fluttuanti. Se quindi gli ibridi, i quali derivano dall'incrociamento
di due specie diverse, sono scarsi di numero, perchè muoiono subito dopo
la concezione od in età assai precoce, e perchè, anche vivendo,
sono più o meno sterili, la ragione assai probabile è questa,
che essi, essendo il prodotto di due organizzazioni diverse confuse insieme,
furono assoggettati ad un grande cambiamento nelle condizioni di vita. Chi sapesse
spiegare in modo preciso perchè, ad esempio, un elefante od una volpe
nella loro patria non si riproducano allo stato di captività, mentre
il maiale ed il cane generano riccamente nelle più diverse condizioni,
quello saprà dare una risposta precisa anche alla domanda, perchè
due distinte specie nel loro incrociamento ed i loro discendenti ibridi siano
più o meno colpiti dalla sterilità, mentre due varietà
domestiche nel loro incrociamento ed i loro figli meticci sono perfettamente
fecondi.
Passando alla distribuzione geografica, le difficoltà che si incontrano
nella teoria della discendenza modificata sono abbastanza serie. Tutti gli individui
della stessa specie e, tutte le specie del medesimo genere e perfino i gruppi
più elevati debbono derivare da parenti comuni; e perciò per quanto
distanti ed isolate siano le parti del mondo in cui si trovano attualmente,
essi debbono essere passati, nel corso delle generazioni successive, da un qualche
luogo a tutti gli altri. Spesso siamo affatto incapaci di congetturare come
questo passaggio possa essere avvenuto. Tuttavia abbiamo dei motivi di credere
che qualche specie conservasse la medesima forma specifica per lunghi periodi,
per epoche enormemente lunghe, se misurate cogli anni, e quindi non dobbiamo
dare troppa importanza alla vasta diffusione occasionale di una medesima specie;
perchè nei periodi molto lunghi vi sarà sempre stata una maggiore
probabilità per le grandi migrazioni, con mezzi d'ogni sorta. Una estensione
discontinua ed interrotta può spiegarsi frequentemente coll'estinzione
delle specie nelle regioni intermedie. Non si potrà negare che noi siamo
tuttora molto ignoranti quanto alla portata dei diversi cambiamenti climatologici
e geografici che si fecero sulla terra nei periodi moderni; questi cambiamenti
avranno facilmente agevolato le migrazioni. Ho voluto darne un esempio, procurando
di dimostrare quanto sia stata efficace la influenza del periodo glaciale sulla
distribuzione delle medesime specie e delle specie rappresentative in tutto
il mondo. Ma ci sono ancora affatto ignoti i molti mezzi occasionali di trasporto.
Riguardo poi alle specie distinte che abitano in regioni molto distanti ed isolate,
siccome il processo di modificazione fu necessariamente assai lento, tutti i
mezzi di migrazione saranno stati possibili, durante un periodo di tempo molto
lungo; per conseguenza la difficoltà della vasta diffusione delle specie
di uno stesso genere viene alquanto diminuita.
Nella teoria dell'elezione naturale si suppone che sia esistito un numero interminabile
di forme intermedie, le quali collegavano insieme tutte le specie di ogni gruppo,
per mezzo di gradazioni tanto minute quanto le nostre varietà attuali.
Ora potrebbe domandarsi: perchè non troviamo queste forme transitorie
intorno a noi? Perchè tutti gli esseri organizzati non sono commisti
fra loro in un caos inestricabile? Quanto alle forme esistenti, ricorderemo
che non abbiamo alcuna ragione per sperare (eccettuati alcuni casi rari) di
scoprire i legami che direttamente le connettono, ma soltanto quelli che le
congiungevano a qualche forma estinta o soppiantata. Anche in un'area molto
estesa, che rimase continua per un lungo periodo, e nella quale il clima e le
altre condizioni di vita variano insensibilmente, quando si passa da un distretto
occupato da una data specie in un altro distretto abitato da una specie strettamente
affine, non possiamo ragionevolmente aspettarci di trovare spesso delle varietà
intermedie nella zona intermedia. Perchè abbiamo qualche fondamento di
credere che soltanto poche specie di un genere siano quelle soggette a cambiamenti;
mentre le altre specie si estinguono interamente e non lasciano altre progenie
modificata. Di quelle specie che si trasformano, poche si cambiano contemporaneamente
nello stesso paese; e tutte le modificazioni si effettuano lentamente. Ho anche
dimostrato che le varietà intermedie, dapprima esistenti probabilmente
nelle zone intermedie, saranno state surrogate dalle forme affini da una parte
e dall'altra; queste ultime, trovandosi in maggior numero, si saranno modificate
e perfezionate generalmente, molto più presto delle varietà intermedie
che erano più scarse; per modo che le varietà intermedie, a lungo
andare, saranno state soppiantate ed esterminate.
Ammessa questa dottrina della distruzione di una infinità di legami intermedi
fra gli abitanti viventi e gli estinti del mondo: e in ogni periodo successivo
fra le specie estinte e le specie anche più antiche, perchè ogni
formazione geologica non contiene queste forme transitorie? Perchè tutte
le collezioni di avanzi fossili non presenteranno le prove evidenti della gradazione
e del mutamento delle forme di vita? Quantunque le ricerche geologiche abbiano
certamente rivelato la esistenza anteriore di molte forme transitorie, che riuniscono
più strettamente fra loro molte forme di vita; esse non ci dànno
le gradazioni insensibili ed infinite fra le specie passate e presenti che si
richiedono nella mia teoria, e quest'obbiezione è la più ovvia
e la più rilevante di quelle che possono sollevarsi contro di essa. Come
avviene che certi gruppi di specie affini si mostrano talvolta apparentemente
d'improvviso (ed è spesso certamente una falsa apparenza) nei diversi
strati geologici? Siccome è noto che la vita organica su questa terra
è apparsa in un tempo incalcolabilmente remoto, assai anteriore alla
deposizione degli intimi strati cambriani, perchè non troviamo noi dei
grandi depositi sotto questo sistema, pieni di avanzi dei progenitori dei gruppi
di fossili cambrici? Imperocchè questi strati debbono essere stati depositati
altrove, secondo la mia teoria, in quelle epoche antiche ed affatto ignote della
storia del mondo.
A codeste questioni ed obbiezioni io rispondo solamente col supporre che le
memorie geologiche sono assai più imperfette di quel che pensi la maggior
parte dei geologi. Il numero degli oggetti che si conservano nei nostri musei
è assolutamente un nulla in confronto delle innumerevoli generazioni
di specie innumerevoli, che senza dubbio esistettero. La madre-forma di due
o più specie non sarebbe in tutti i suoi caratteri direttamente intermedia
fra i vari suoi discendenti modificati, più di quello che lo sia il colombo
gozzuto ed il colombo pavone. Noi non saremmo capaci di riconoscere una specie
come lo stipite di un'altra, anche se potessimo esaminarle accuratamente, finchè
non possedessimo parimenti molte delle forme intermedie fra il loro stato passato
e l'attuale; ora non possiamo sperare di scoprire queste forme, attesa la imperfezione
degli avanzi geologici. Se due, tre o più forme transitorie fossero scoperte,
sarebbero riguardate semplicemente come altrettante specie nuove, tanto più
se trovate in differenti substrati geolologici, anche se le loro differenze
fossero leggere. Potrebbero nominarsi molte forme dubbie esistenti, le quali
non sono probabilmente che semplici varietà; ma chi vorrà sostenere
che nelle età future si scopriranno tante forme transitorie fossili che
i naturalisti arriveranno a stabilire, secondo le regole comuni, se queste forme
dubbie siano varietà? Soltanto una piccola porzione del mondo è
stata geologicamente esplorata. Inoltre i soli esseri organizzati di certe classi
possono essere conservati nello stato di fossili, almeno in una quantità
abbastanza grande. Molte specie, una volta formate, non subiscono mai ulteriori
cambiamenti, ma si estinguono senza lasciare dei discendenti modificati; e i
tempi, durante i quali le specie soggiacquero a certe modificazioni, furono
lunghi sì, se calcolati con un numero di anni, ma probabilmente corti
al confronto di quelli, durante i quali le specie rimasero inalterate. Le specie
molto sparse variano più delle altre, e di sovente le varietà
sono dapprima locali, - e queste due cause rendono meno facile la scoperta delle
forme intermedie. Le varietà locali non si diffondono in altre regioni
lontane, finchè non siano state modificate e perfezionate notevolmente;
e quando passano in nuove contrade, e che vi siano poi scoperte in una formazione
geologica, si crederà che vi fossero create improvvisamente e saranno
classificate semplicemente quali specie nuove. Le formazioni furono in generale
intermittenti nella loro accumulazione; ed io sarei per vedere che la loro durata
fosse più breve della durata media delle forme specifiche. Le formazioni
successive sono separate generalmente l'una dall'altra da periodi enormi in
cui non avveniva alcuna deposizione; perchè le formazioni fossilifere
abbastanza profonde da resistere alle future corrosioni possono generalmente
accumularsi soltanto là dove si depone molto sedimento, sul letto del
mare che si abbassa. Negli alterni periodi di elevazione e di livello stazionario,
le memorie geologiche generalmente mancano. In questi ultimi periodi si avrà
probabilmente maggiore variabilità nelle forme viventi; mentre in quelli
di abbassamento sarà maggiore l'estinzione.
Quanto all'assenza di formazioni fossilifere sotto gli strati cambriani, mi
basterà richiamare l'ipotesi fatta nel capo nono: sebbene cioè
i nostri continenti ed oceani abbiano passato un tempo lunghissimo nelle relative
loro posizioni quasi uguali alle presenti, non abbiamo ragioni per ammettere
che queste fossero sempre tali; per conseguenza sotto al grande Oceano possono
trovarsi sepolte delle formazioni assai più antiche che qualsiasi altra
di quelle che oggi conosciamo. Relativamente all'obbiezione che il tempo trascorso
dopo la solidificazione del nostro pianeta non sia stato sufficiente a produrre
tanta somma di cambiamenti organici - obbiezione su cui ha insistito V. Thompson,
e che è una delle più gravi! - io posso solamente rispondere,
in primo luogo, che noi non sappiamo con quanta prestezza, misurata cogli anni,
le specie si cambino; in secondo luogo che molti filosofi non vogliono ammettere
che noi sappiamo tanto intorno alla costituzione dell'universo e quella della
terra per giudicare della loro trascorsa durata.
Tutti ammetteranno la imperfezione delle memorie geologiche; ma pochi saranno
disposti a convenire che siano imperfette al punto che si richiede dalla mia
teoria. Se si considerino degl'intervalli di tempo abbastanza lunghi; la geologia
manifestamente dichiara che tutte le specie si sono cambiate: e che si sono
trasformate nel modo stabilito dalla mia teoria, perchè si cambiarono
lentamente e gradatamente. Questo fatto risulta chiaramente dall'osservazione
che gli avanzi fossili delle formazioni consecutive sono invariabilmente assai
più affini fra loro, di quelli delle formazioni separate da un lungo
periodo.
Sono queste in somma le diverse obbiezioni e difficoltà principali che
possono giustamente sollevarsi contro la mia teoria; ed io ho esposto brevemente
le risposte e le spiegazioni che si possono fare. Ho sentito per molti anni
troppo profondamente queste difficoltà per dubitare del loro peso. Ma
fa d'uopo riflettere che le obbiezioni più importanti si riferiscono
a questioni, sulle quali noi confessiamo la nostra ignoranza, nè sappiamo
quanto essa sia. Noi non conosciamo tutte le gradazioni transitorie possibili
fra gli organi più semplici e i più perfetti; nè possiamo
pretendere di sapere tutti i mezzi variati della distribuzione nel lungo corso
degli anni, e quanto siano imperfette le memorie geologiche. Sebbene queste
difficoltà siano molto gravi, esse non sono tali, a mio avviso, da rovesciare
la teoria della discendenza da poche forme primordiali con modificazioni consecutive.
Ora passiamo all'altro lato della questione. Nello stato di domesticità
noi troviamo una grande variabilità. Sembra che ciò debba attribuirsi
principalmente al sistema riproduttivo, il quale è assai sensibile ai
cambiamenti delle condizioni esterne della vita; per modo che questo sistema,
quando non sia divenuto impotente, non riproduce più una prole esattamente
simile alla madre-forma. La variabilità è diretta da molte leggi
complesse, - dalla correlazione di sviluppo, dall'uso e dal non-uso, e dall'azione
diretta delle condizioni fisiche della vita. È assai difficile il constatare
a quante modificazioni siano andate soggette le nostre produzioni domestiche;
ma possiamo inferire con sicurezza che l'insieme di queste modificazioni fu
molto grande e che esse sono ereditabili per lunghi periodi. Finchè le
condizioni della vita rimangono inalterate, abbiamo ragione di credere che una
modificazione, già ereditata per molte generazioni, possa continuare
ad essere trasmessa per un numero quasi infinito di generazioni. D'altra parte,
noi abbiamo delle prove che la variabilità, quando si sia manifestata
una volta, non cessa interamente, perchè anche le nostre più antiche
produzioni domestiche producono occasionalmente delle varietà nuove.
L'uomo non produce effettivamente la variabilità; egli espone soltanto
inavvertitamente gli esseri organizzati a nuove condizioni di vita, e allora
la natura agisce sull'organizzazione e cagiona la variabilità. Ma l'uomo
può scegliere e sceglie di fatto le variazioni che la natura gli presenta,
e così le accumula in una data direzione. Egli adatta quindi gli animali
e le piante al proprio vantaggio o diletto. Egli può farlo metodicamente,
od anche inavvertitamente, preservando quegli individui che gli sono maggiormente
utili, senza alcuna intenzione di alterare la razza. È indubitato che
egli può trasformare i caratteri di una specie, scegliendo in ogni generazione
successiva delle differenze individuali tanto piccole da sfuggire persino agli
occhi esperti. Questo procedimento di elezione è stato l'agente principale
nella produzione delle razze domestiche più distinte e più utili.
Che molte delle razze prodotte dall'uomo abbiano in gran parte il carattere
di specie naturali, risulta dagl'inestricabili dubbi, in cui cadono i naturalisti,
se esse siano varietà o specie originali distinte.
Non esiste alcun motivo plausibile per ritenere che i principii, che agirono
con tanta efficacia nello stato di domesticità, non abbiano agito anche
nello stato di natura. Noi vediamo il più potente mezzo, sempre attivo,
di elezione nella conservazione degli individui e delle razze favorite, durante
la lotta per l'esistenza che continuamente si rinnova. La lotta per l'esistenza
deriva immancabilmente dalla ragione geometrica di accrescimento, con cui si
moltiplicano tutti gli esseri organizzati. Questo rapido aumento è provato
dal calcolo, - e dall'osservazione della pronta propagazione di molti animali
e di molte piante, in una successione di stagioni particolarmente favorevoli,
o quando siano naturalizzati in una nuova regione. Nascono assai più
individui di quanti ne possono vivere. Un solo grano nella bilancia deciderà
quale individuo debba campare e quale debba morire, - quale varietà o
specie crescerà di numero e quale altra diminuirà o finalmente
rimarrà estinta. Siccome gli individui della medesima specie entrano
fra loro per tutti i rapporti nella più stretta concorrenza, la lotta
sarà in generale assai severa fra i medesimi; questa lotta sarà
quasi ugualmente viva fra le varietà della medesima specie ed un po'
meno severa fra le specie del medesimo genere. Ma la lotta sarà spesso
assai forte anche fra gli esseri che sono molto lontani nella scala naturale.
Il più piccolo vantaggio in favore di un essere, in qualunque età
e in ogni stagione, sopra quello con cui egli si trova in lotta, oppure un migliore
adattamento alle condizioni fisiche, anche in grado leggero, farà traboccare
la bilancia.
Negli animali aventi sessi separati avrà luogo generalmente una lotta
fra i maschi pel possedimento delle femmine. Gli individui più vigorosi,
o quelli che lottarono con maggiore successo contro le loro condizioni di vita,
lasceranno in generale una progenie più numerosa. Ma tale risultato dipenderà
spesso dalla presenza di armi speciali o di mezzi difensivi, od anche dalle
attrattive dei maschi; il più piccolo vantaggio assicurerà la
vittoria.
Siccome la geologia dimostra evidentemente che ogni paese fu soggetto a grandi
cambiamenti fisici, noi possiamo prevedere che gli esseri organizzati avranno
variato nello stato di natura, allo stesso modo con cui generalmente variarono
sotto le mutate condizioni di domesticità. Ora se vi abbia qualche variabilità
allo stato di natura, sarebbe un fatto strano che l'elezione naturale non avesse
agito. Si è affermato di sovente, quantunque l'asserzione sia destituita
di prove, che la quantità delle variazioni allo stato di natura è
rigorosamente limitata. L'uomo, sebbene agisca soltanto pei caratteri esterni
e spesso a capriccio, può ottenere in breve tempo un grande risultato
aggiungendo delle semplici differenze individuali alle sue produzioni domestiche;
e tutti ammetteranno che nelle specie allo stato di natura vi sono almeno delle
differenze individuali. Ma oltre queste differenze, tutti i naturalisti hanno
riconosciuto esistere anche delle varietà che furono considerate abbastanza
distinte da meritare una speciale menzione nelle loro opere sistematiche. Nessuno
può tracciare una chiara distinzione fra le differenze individuali e
le piccole varietà poco distinte, oppure fra le diverse varietà
bene distinte, le sottospecie e le specie. Nei diversi continenti, o nelle diverse
parti di un medesimo continente separate tra loro da barriere di qualsiasi genere,
e sulle isole prossime ad un continente, quante forme non esistono che alcuni
esperti naturalisti considerano come semplici varietà, altri come razze
geografiche o sottospecie, altri ancora come specie distinte sebbene affini!
Se dunque gli animali e le piante variano realmente, sia pure con lentezza ed
in grado leggero, perchè dubiteremo che col mezzo della elezione naturale
o sopravvivenza del più adatto possano preservarsi, accumularsi ed ereditarsi
quelle variazioni o differenze individuali che riescono in qualche modo utili
agli esseri? Perchè la natura non potrà giungere a scegliere le
variazioni vantaggiose ai suoi prodotti, viventi in condizioni di vita mutabili,
quando l'uomo è in facoltà di prescegliere colla pazienza le variazioni
che gli recano qualche utilità? Qual limite possiamo noi assegnare a
questo potere che opera per lunghe epoche e scruta rigorosamente l'intera costituzione,
la struttura e le abitudini di ogni creatura, - favorendo il buono e rigettando
il dannoso? Io non saprei vedere alcun confine a questo potere, nello adattare
con lentezza e mirabilmente ogni forma alle più complesse relazioni della
vita. La teoria dell'elezione naturale, anche senza inoltrarci maggiormente
in queste considerazioni, mi sembra probabile in se stessa. Ho già ricapitolato
le difficoltà ed obbiezioni affacciate, colla maggiore precisione che
potei: ora veniamo ai fatti speciali ed agli argomenti in favore della teoria.
Dal punto di vista che le specie non sono altro che varietà molto distinte
e permanenti, e che ogni specie esistette dapprima come varietà, possiamo
riconoscere come non si possa stabilire alcuna linea di demarcazione fra le
specie, che comunemente si suppongono prodotte da atti speciali di creazione,
e le varietà, la cui formazione si attribuisce a leggi secondarie. Dietro
questa ipotesi possiamo anche spiegare il fatto, che laddove ebbero origine
molte specie di un genere, e dove esse presentemente fioriscono, queste medesime
specie debbono presentare molte varietà; perchè nei luoghi in
cui la formazione delle specie fu molto attiva, dobbiamo ritenere, come regola
generale, che sia tuttora in azione; e ciò appunto si verifica, se le
varietà sono specie incipienti. Inoltre le specie dei generi più
ricchi, che contengono un numero maggiore di varietà o specie incipienti,
conservano fino ad un certo grado il carattere di varietà; perchè
esse differiscono fra loro per un insieme di differenze minore di quello che
esiste fra le specie dei generi più scarsi. Anche le specie strettamente
affini dei generi più grandi hanno in apparenza un'estensione più
limitata, e nelle loro affinità sono raccolte in piccoli gruppi intorno
ad altre specie, - rispetto alle quali esse rassomigliano alle varietà.
Queste relazioni sono strane, se si crede che ogni specie sia stata creata indipendentemente,
ma divengono chiare se tutte le specie siano già esistite quali varietà.
Siccome ogni specie tende ad aumentare straordinariamente per la sua riproduzione
in ragione geometrica, e siccome i discendenti modificati di ogni specie si
moltiplicheranno tanto più, quanto diversificheranno maggiormente nelle
abitudini e nella struttura, e diverranno atti ad occupare molti posti, affatto
differenti, nell'economia della natura; vi sarà nell'elezione naturale
una tendenza costante di preservare la prole più divergente di ogni specie.
Perciò, durante un corso prolungato di modificazioni, le piccole differenze
caratteristiche delle varietà di una medesima specie tenderanno ad aumentare,
fino a divenire le differenze più grandi che caratterizzano le specie
del medesimo genere. Le varietà nuove e perfezionate soppianteranno inevitabilmente
e distruggeranno quelle meno perfette ed intermedie; e così le specie
diveranno oggetti meglio definiti e distinti. Le specie dominanti, appartenenti
ai gruppi più ricchi in ogni classe, tenderanno a dare origine a nuove
forme dominanti; per modo che ogni gruppo grande tenderà a farsi sempre
maggiore e simultaneamente più divergente nel carattere. Ma tutti i gruppi
non possono riuscire ugualmente ad estendersi in questo modo, perchè
il mondo non potrebbe contenerli, e per conseguenza i gruppi più dominanti
abbattono i meno dominanti. Questa tendenza nei gruppi più ricchi di
espandersi e divergere nel carattere, congiunta colla conseguenza quasi immancabile
di molte estinzioni, spiega la disposizione di tutte le forme della vita in
gruppi subordinati ad altri gruppi, tutti in poche grandi classi che prevalsero
in ogni tempo. Questo grande fatto della classificazione dei gruppi di tutti
gli esseri organizzati è affatto inesplicabile secondo la teoria delle
creazioni.
Siccome l'elezione naturale agisce soltanto accumulando delle variazioni piccole,
successive e favorevoli, non può produrre modificazioni grandi od improvvise;
essa non può operare che per gradi molto brevi e molto lenti. Perciò
il canone Natura non facit saltum, che viene confermato da ogni nuova conquista
della nostra scienza, s'intende facilmente secondo questa teoria. Noi possiamo
inoltre comprendere perchè in natura lo stesso scopo generale sia raggiunto
con una infinita varietà di mezzi, imperocchè ogni particolarità,
acquistata che sia, è per lungo tempo trasmessa per eredità, e
le strutture in varia guisa modificate devono essere adottate allo stesso scopo
generale. In breve, noi comprendiamo perchè la natura sia prodiga di
varietà, sebbene parca d'innovazioni. Ma niuno potrebbe spiegare come
questa sia una legge di natura, nell'ipotesi che ogni specie sia stata creata
indipendentemente.
Mi sembra che molti altri fatti siano facili a spiegarsi in questa teoria. Quanto
non sarebbe strano che un uccello, della forma del picchio, sia stato creato
per nutrirsi di insetti colti sul terreno; che l'oca terrestre, la quale non
nuota mai, o almeno assai di rado, sia stata provvista di piedi palmati; che
sia stato creato un merlo che si tuffa nell'acqua e si ciba di insetti acquatici,
e che si trovi una procellaria creata colle abitudini e la struttura convenienti
alla vita di un pinguino! E così dicasi di infiniti altri casi. Ma nel
concetto, secondo il quale ogni specie tende costantemente ad aumentare di numero,
e la elezione naturale è sempre pronta ad adattare i discendenti lentamente
variabili di ciascuna specie ad ogni posto vuoto o imperfettamente occupato
nella natura, questi fatti perdono la loro singolarità, ed anzi si sarebbero
potuti prevedere.
Noi possiamo comprendere perchè in generale nella natura esista quella
bellezza che vi regna, giacchè nel complesso noi possiamo considerarla
come un effetto della elezione naturale. Che la bellezza, secondo le nostre
idee, soffra delle eccezioni, nessuno negherà il quale voglia dare uno
sguardo a certi serpenti velenosi, ad alcuni pesci, e a qualche schifoso pipistrello
avente una somiglianza contraffatta con un volto umano. Presso molti uccelli,
lepidotteri ed altri animali la elezione sessuale ha dato al maschio, talvolta
ad ambedue i sessi, i colori più brillanti ed altri ornamenti. Essa ha
reso anche la voce di molti uccelli maschi armoniosa per le loro femmine, nonchè
pel nostro orecchio. I fiori ed i frutti risaltano pe' loro magnifici colori
di fronte alle foglie verdi, affinchè i fiori siano visti, visitati e
fecondati dagli insetti, ed affinchè i semi dei frutti siano dispersi
dagli uccelli. La ragione per la quale certi colori, suoni o forme producono
piacere nell'uomo e nei sottoposti animali - ossia come dapprima sia stato raggiunto
il sentimento della bellezza nella sua forma più semplice, - è
cosa non meno oscura del modo col quale dapprincipio certi odori e sapori furono
resi grati.
Posto che la elezione naturale agisca per mezzo della concorrenza, essa adatta
e perfeziona gli abitanti d'ogni paese solo in relazione a quelli che convivono
con essi, per modo che non dobbiamo fare le meraviglie se gli abitanti di qualche
paese, quantunque secondo l'opinione ordinaria siano stati specialmente creati
in rapporto col paese stesso, saranno battuti e sostituiti dalle produzioni
naturalizzate importate da un'altra regione. Inoltre non possiamo meravigliarci
se tutte le combinazioni della natura non sono perfette, almeno per quanto può
desumersi dal nostro giudizio, e se alcune di queste disposizioni naturali ripugnano
alle nostre idee sull'adattamento delle forme. Nè ci sorprenderà
che l'aculeo dell'ape cagioni la morte dell'ape stessa; che i fuchi siano prodotti
in sì gran numero per un solo atto, e che la maggior parte di essi sia
uccisa dalle sterili operaie; che le nostre conifere producano una quantità
enorme di polline; che l'ape regina abbia un odio istintivo per le proprie figlie
feconde; che l'icneumone si nutra del corpo vivente dei bruchi; ed altri casi
analoghi. Al contrario, secondo la teoria dell'elezione naturale, noi dovremmo
stupirci di non trovare un maggior numero di casi, in cui manchi l'assoluta
perfezione di adattamento.
Le leggi complesse e poco note che governano le variazioni sono, per quanto
ci è dato giudicare, le medesime di quelle che governano la produzione
delle forme specifiche. Nell'uno e nell'altro caso pare che le condizioni fisiche
abbiano prodotto un effetto diretto di poca entità: tuttavia quando le
varietà entrano in una zona, esse assumono occasionalmente alcuni dei
caratteri delle specie proprie di questa zona. Nelle varietà come nelle
specie, qualche risultato deve attribuirsi all'uso ed al non-uso; perchè
quando si consideri, per esempio, il microttero di Eyton, le ali del quale sono
inette al volo quasi nel medesimo stato di quelle dell'anitra domestica; e quando
si pensi al tucotuco che vive sotterra ed è cieco occasionalmente, e
a certe talpe che sono cieche abitualmente ed hanno i loro occhi rudimentali
coperti dalla pelle, oppure si rifletta agli animali ciechi che abitano nelle
caverne oscure dell'America e dell'Europa, è d'uopo riconoscere la efficacia
di questo principio. Tanto nelle varietà quanto nelle specie, sembra
che la correlazione di sviluppo abbia esercitato un'influenza più grande,
in tal modo che quando una parte rimase modificata, le altre parti si modificarono
necessariamente. Nelle varietà e nelle specie avvengono delle riversioni
a caratteri perduti da lungo tempo. Secondo la teoria delle creazioni, quanto
non è inesplicabile la comparsa delle righe sulle spalle e sulle gambe
di diverse specie del genere cavallo e su quelle dei loro ibridi! Invece con
quanta semplicità non spieghiamo noi questo fatto, quando ammettiamo
che tutte queste specie sono derivate da un animale rigato, nella stessa maniera
con cui le varie razze di colombi domestici provengono dal piccione torraiuolo
ceruleo e rigato!
Secondo l'opinione ordinaria della creazione indipendente di ogni specie, perchè
dovrebbero i caratteri specifici, o quelli per cui le specie di uno stesso genere
differiscono fra loro, essere più variabili dei caratteri generici che
sono comuni alle medesime? Per qual motivo, per esempio, il colore di un fiore
sarebbe più soggetto a variare in qualche specie di un genere, se le
altre specie, che suppongonsi create indipendentemente, hanno fiori diversamente
colorati, di quello che se tutte le specie del genere producono fiori dello
stesso colore? Se le specie non sono altro che varietà ben marcate, i
caratteri delle quali divennero permanenti in alto grado, ci sarà facile
intendere questo fatto; perchè esse variarono già in certi caratteri
fino dall'epoca in cui si staccarono dal progenitore comune, e per queste modificazioni
divennero specificamente distinte fra loro; e per conseguenza codesti caratteri
sono più facilmente soggetti a nuove variazioni che i caratteri generici,
i quali furono trasmessi per eredità senza cambiamenti, per un periodo
enorme. Attenendoci alla dottrina delle creazioni, rimane inesplicabile come
sia eminentemente suscettibile di variazione una parte sviluppata in modo straordinario
in qualche specie di un genere, e perciò sia di grande importanza per
la medesima specie, come si può naturalmente inferire; ma secondo la
mia teoria questa parte, dacchè le diverse specie si diramarono dal progenitore
comune, dovette subire un insolito complesso di variabilità e di modificazioni,
e quindi possiamo arguire che questa parte sia in generale variabile ancora.
Ma una data parte può svilupparsi nel modo più anormale, come
l'ala del pipistrello, e nondimeno non essere più variabile di qualsiasi
altra struttura, se quella parte sia comune a molte forme subordinate, vale
a dire, se sia stata ereditata per un periodo molto lungo; dappoichè
in tal caso sarà divenuta costante, per la elezione naturale continuata
per lungo tempo.
Se ora passiamo agli istinti, alcuni dei quali sono tanto meravigliosi, essi
non presentano una maggiore difficoltà di quella che possiamo trovare
nelle strutture organiche per le modificazioni piccole o consecutive, ma vantaggiose
che si presuppongono nella teoria dell'elezione naturale. Possiamo quindi farci
un'idea del processo seguito dalla natura, per mezzo di lente gradazioni, nel
dotare i differenti animali della stessa classe dei loro vari istinti. Ho procurato
di far conoscere in quanta luce possano mettersi le mirabili facoltà
architettoniche dell'ape domestica, mediante il principio del perfezionamento
graduale. Senza dubbio l'abitudine influisce tal volta nel modificare gli istinti;
ma essa non è certamente indispensabile, come si osserva negli insetti
neutri che non lasciano alcuna progenie che erediti gli effetti dell'abitudine
lungamente continuata. Secondo l'opinione che tutte le specie del medesimo genere
derivano da uno stipite comune ed hanno ereditato molti caratteri in comune,
possiamo spiegare come avvenga che le specie affini, quando sono poste in condizioni
di vita notevolmente diverse, pure seguono i medesimi istinti; e per qual motivo,
per esempio, il merlo dell'America meridionale rivesta il suo nido col fango,
come le nostre specie inglesi. Se gli istinti si acquistano lentamente, per
mezzo della elezione naturale, non dobbiamo meravigliarci che alcuni siano ancora
imperfetti e soggetti ad errori, e che molti siano dannosi ad altri animali.
Quando le specie altro non siano che varietà bene distinte e permanenti,
vedremo immediatamente per quale ragione la loro prole incrociata debba seguire
le medesime leggi complesse nel grado di rassomiglianza ai parenti, nel rimanere
assorbita dall'una o dall'altra specie-madre, per gl'incrociamenti successivi
ed in altri punti analoghi, come la prole incrociata delle varietà conosciute.
Questi fatti sarebbero al contrario molto strani, se le specie fossero state
create indipendentemente, e le varietà fossero state prodotte da leggi
secondarie.
Se noi ammettiamo che le memorie geologiche sono imperfette in estremo grado,
allora quei fatti che esse ci presentano sono in armonia colla dottrina della
discendenza modificata. Le nuove specie sono state formate lentamente e ad intervalli
successivi; e la quantità delle modificazioni, dopo uguali intervalli
di tempo, è affatto diversa nei differenti gruppi. L'estinzione delle
specie e di interi gruppi di specie, che ebbe una parte tanto cospicua nella
storia del mondo organico, segue quasi necessariamente dal principio della elezione
naturale; perchè le forme antiche saranno sostituite da forme nuove e
perfezionate. Nè le singole specie, nè i gruppi delle specie riappariranno,
quando siasi interrotta una volta la catena della generazione ordinaria. La
diffusione graduale delle forme dominanti e le modificazioni lente dei loro
discendenti fanno sì che, dopo lunghi intervalli di tempo, le forme della
vita sembrano cambiate simultaneamente per tutto il mondo. Il fatto di quegli
avanzi fossili di ogni formazione, che sono in qualche grado intermedi di carattere
fra i fossili della formazione anteriore e della posteriore, viene spiegato
con semplicità per la posizione intermedia nella catena della discendenza.
Il gran fatto che tutti gli esseri organizzati estinti appartengono al medesimo
sistema degli esseri recenti e si trovano o nello stesso gruppo, o in gruppi
intermedi, deriva dall'essere tanto gli esseri viventi, quanto gli estinti la
progenie di parenti comuni. Siccome i gruppi che derivano da un antico progenitore
si allontanarono generalmente pei loro caratteri, così il progenitore
co' suoi primi discendenti sarà di sovente intermedio nel carattere rispetto
agli ultimi suoi discendenti; e così siamo in grado di desumere la ragione
del fatto che quanto più antico è un fossile, esso presenta più
spesso una struttura intermedia fra i gruppi esistenti ed affini. Le forme recenti
si considerano generalmente come più elevate delle forme antiche ed estinte,
nel loro insieme, e le medesime sono tanto più elevate in quanto che
le forme più recenti e più perfezionate distrussero gli esseri
più antichi e meno perfetti, nella lotta per l'esistenza; esse avranno
anche in generale i loro organi più specialmente destinati alle singole
diverse funzioni. Questo fatto è perfettamente compatibile cogli esseri
numerosi che conservano tuttora una organizzazione semplice e poco avanzata,
conveniente a condizioni di vita molto semplice; inoltre è compatibile
con alcune forme che retrocedettero nell'organizzazione, sebbene in ogni grado
della discendenza divenissero più adatte alle loro abitudini di vita
cambiate e degradate. Da ultimo, la legge della lunga durata delle forme affini
sul medesimo continente, - dei marsupiali in Australia, degli sdentati in America,
ed altrettali casi, diviene facile a concepirsi, perchè in una regione
isolata le forme recenti e le estinte saranno affini naturalmente a cagione
della discendenza.
Considerando la distribuzione geografica, se si ammetta che nel lungo corso
della età fuvvi molta migrazione da una parte del mondo all'altra, dovuta
agli antichi cambiamenti climatologici e geografici, ed ai molti mezzi occasionali
ed occulti di dispersione, allora possiamo spiegare la maggior parte dei principali
fatti della Distribuzione, seguendo la teoria della discendenza con modificazioni.
Possiamo riconoscere perchè vi sia un parallelismo tanto singolare fra
la distribuzione degli esseri organizzati nello spazio e la loro successione
geologica nel tempo; poichè in ambi i casi gli esseri furono congiunti
dal legame della generazione ordinaria, e i mezzi di modificazione furono i
medesimi. Noi troviamo la piena significazione del fatto meraviglioso che deve
essere stato notato da ogni viaggiatore, vale a dire, che sullo stesso continente,
nelle condizioni le più diverse, in climi caldi o freddi, sulle montagne
e nelle pianure, nei deserti e nelle paludi, quasi tutti gli abitanti di ogni
grande classe hanno rapporti manifesti fra loro; perchè essi saranno
in generale i discendenti dei medesimi progenitori e delle prime colonie. Con
questo principio della migrazione anteriore, associato nella pluralità
dei casi con quello delle modificazioni, possiamo spiegare insieme la identità
di alcune piante, e la stretta affinità di molte altre sulle montagne
più lontane nei climi più differenti, ricorrendo anche all'azione
del periodo glaciale; e parimenti possiamo intendere come esista una mutua affinità
in certi abitanti del mare nelle zone temperate settentrionali e meridionali,
quantunque separate dall'intero oceano intertropicale. Sebbene due regioni possano
presentare delle condizioni fisiche tanto simili quanto lo richieda la esistenza
delle medesime specie, non dobbiamo farci caso che i loro abitanti siano interamente
diversi, se furono separati gli uni dagli altri per un lungo periodo; perchè
essendo la relazione di un organismo all'altro la più importante di tutte
le relazioni, siccome le due regioni saranno state popolate da coloni provenienti
da un terzo punto, ovvero l'una dall'altra, in diversi periodi e con proporzioni
diverse, il processo di modificazione delle due aree deve essere stato differente
inevitabilmente.
Il principio di migrazione, colle modificazioni susseguenti, ci servirà
a spiegare perchè le isole oceaniche siano abitate da poche specie, molte
delle quali sono affatto particolari e proprie di quelle isole. Noi vediamo
chiaramente perchè questi animali che non possono attraversare grandi
spazi di mare, come i batraci ed i mammiferi terrestri, non si trovino nelle
isole oceaniche; e perchè, d'altra parte, nuove e particolari specie
di pipistrelli, animali che possono portarsi al di là dei mari, si incontrino
tanto spesso sulle isole più lontane dai continenti. Questi fatti, non
meno che la presenza di peculiari specie di pipistrelli e l'assenza di altri
mammiferi sulle isole dell'oceano, sono affatto inesplicabili nella teoria degli
atti indipendenti di creazione.
L'esistenza di specie molto affini o rappresentative, in due regioni qualsiasi,
implica, secondo la teoria della discendenza modificata, che le stesse forme-madri
abitassero anticamente nelle due regioni, e noi troviamo quasi costantemente
che, quando in due aree lontane si incontrano molte specie strettamente affini,
vi esistono altresì alcune specie identiche, comuni ai due luoghi. In
tutti quei paesi in cui stanno delle specie molto affini, quantunque distinte,
si presentano anche molte forme dubbie e varietà della medesima specie.
Dobbiamo poi considerare come una regola molto generale quella, che gli abitanti
d'ogni regione hanno qualche rapporto con quelli della sorgente più vicina,
da cui gl'immigranti possono essere partiti. Noi osserviamo questa regola in
tutte le piante e negli animali dell'Arcipelago Galapagos, di Juan Fernandez
e delle altre isole dell'America, che sono affini, nel modo più evidente,
alle piante e agli animali del vicino continente americano; e quelli dell'arcipelago
di Capo Verde e delle altre isole africane agli altri del continente africano.
Bisogna ammettere che questi fatti non trovano alcuna spiegazione nella teoria
delle creazioni.
Il fatto, che abbiamo constatato, che tutti gli esseri passati e presenti costituiscono
un solo grande sistema naturale, formato di gruppi subordinati ad altri gruppi,
i gruppi estinti del quale cadono spesso fra i gruppi recenti, si spiega nella
teoria dell'elezione naturale colle sue contingenze dell'estinzione della divergenza
dei caratteri. Per questi medesimi principii noi dimostriamo come siano tanto
complesse ed involute le mutue affinità delle specie e dei generi di
ogni classe. Noi vediamo la ragione, per cui certi caratteri sono assai più
vantaggiosi di alcuni altri per la classificazione; come i caratteri di adattamento
siano di ben poca importanza per la classificazione, sebbene siano di una importanza
rilevante per l'individuo; come i caratteri desunti dalle parti rudimentali,
quantunque non siano in alcun modo utili all'essere, sono spesso di molto valore
nella classificazione; e infine come i più importanti fra tutti i caratteri
siano gli embriologici. Le affinità reali di tutti gli esseri organizzati
sono dovute all'eredità, ossia alla discendenza comune. Il sistema naturale
è una disposizione genealogica, nella quale noi dobbiamo scoprire le
linee di discendenza mediante i caratteri più permanenti, comunque sia
piccola la loro importanza vitale.
La disposizione delle ossa essendo simile nella mano dell'uomo, nell'ala del
pipistrello, nella natatoia della testuggine marina e nella gamba del cavallo,
- lo stesso numero di vertebre formando il collo della giraffa e quello dell'elefante,
- questi e moltissimi altri fatti analoghi si spiegano tosto da se stessi, secondo
la teoria della discendenza, con successive modificazioni piccole e lente. La
somiglianza nel modello dell'ala e della gamba di un pipistrello, sebbene usate
per fini diversi, - delle mascelle e delle zampe di un granchio, - e così
quella dei petali, stami e pistilli di un fiore, si intende parimenti, quando
si pensi alle modificazioni graduali delle parti o degli organi, che erano consimili
nel primo progenitore di ogni classe. Partendo dal principio delle variazioni
successive, che non si manifestano sempre nella prima età e che si ereditano
nell'età corrispondente e non già nel periodo primiero della vita,
noi possiamo spiegare chiaramente il fatto che gli embrioni dei mammiferi, degli
uccelli, dei rettili e dei pesci sono tanto somiglianti, mentre le forme adulte
sono affatto diverse. Finalmente dobbiamo desistere dal maravigliarci di trovare
nell'embrione di un mammifero o di un uccello a respirazione aerea, delle aperture
branchiali e degli archi branchiali arteriosi simili a quelli del pesce, che
deve respirare l'aria sciolta nell'acqua, coll'aiuto di branchie bene sviluppate.
Il non-uso, in concorso talvolta della elezione naturale, tenderà spesso
a diminuire un organo, quando questo sia divenuto inutile per le abitudini cambiate,
oppure per le mutate condizioni di vita; da questo punto di vista rileveremo
chiaramente il significato degli organi rudimentali. Ma il non-uso e l'elezione
agiranno generalmente sopra ogni creatura, quando essa sia giunta a maturità
e cominci a prendere molta parte nella lotta per l'esistenza e non avranno quindi
che pochissima influenza sopra qualche organo nella prima età; perciò
un organo non sarà ridotto, nè reso rudimentale in questa medesima
età. Il vitello, per esempio, ha ereditato dei denti che mai non forano
le gengive della mascella superiore, da un progenitore antico che aveva i suoi
denti bene sviluppati; e possiamo ritenere che i denti dell'animale adulto furono
ridotti, nelle successive generazioni, dal non-uso o dalla modificazione della
lingua e del palato od anche delle labbra, organi che mediante l'elezione naturale
si resero più adatti a masticare, senza il loro aiuto; al contrario nel
vitello i denti rimasero inalterati dall'elezione e dal non-uso; e pel principio
di eredità nelle età corrispondenti, furono ereditati da un periodo
remoto fino al presente. Se invece si volesse ammettere che ogni essere organizzato
ed ogni organo separato sia stato particolarmente creato, sarebbe completamente
inesplicabile la presenza di tali parti, come i denti del vitello embrionale
e le ali ripiegate sotto le elitre insieme congiunte di alcuni coleotteri, le
quali portano con tanta frequenza l'evidente impronta della inutilità.
Può affermarsi che la natura abbia cercato di rivelarci il suo schema
di modificazione, per mezzo degli organi rudimentali e delle strutture omologhe,
mentre sembra che per parte nostra ostinatamente non si voglia comprendere.
Ormai ho ricapitolato i fatti e le considerazioni principali
che mi convinsero profondamente che le specie sono state modificate nel lungo
corso delle generazioni. Ciò avvenne principalmente in seguito alla elezione
naturale delle numerose variazioni utili, successive, leggere, aiutata in modo
efficace dagli effetti ereditari dell'uso e non-uso delle parti ed in modo meno
importante, in relazione cioè alle strutture di adattamento, indifferentemente
se ora od in passato, dalla diretta azione delle condizioni esterne e dall'apparsa
delle variazioni che alla nostra ignoranza apparisce spontanea. Sembra ch'io
abbia prima troppo poco apprezzato la frequenza ed il valore di queste ultime
forme di variazioni, non considerandole capaci di condurre a modificazioni stabili
di struttura, indipendentemente dalla elezione naturale. Ma siccome le mie deduzioni
furono di recente mal comprese, e si è affermato che io attribuisca la
modificazione delle specie esclusivamente alla elezione naturale, mi sia permesso
di citare le seguenti mie parole che trovansi nella prima edizione dell'opera
in luogo molto emergente, e cioè alla fine della introduzione: "io
sono convinto che l'elezione naturale è, se non l'unico, almeno il principale
mezzo di modificazione". Ma ciò non valse. Grande è la forza
della erronea interpretazione, ma la storia della scienza c'insegna che fortunatamente
questa forza non persiste a lungo.
Non posso credere che una teoria falsa valga a spiegare le diverse grandi classi
di fatti che abbiamo specificati superiormente, come può farsi, a mio
avviso, colla teoria dell'elezione naturale. Si è detto recentemente
che questo sia un modo incerto di argomentazione; ma è il metodo che
si impiega nel giudicare gli avvenimenti comuni della vita, e di cui spesso
si valsero i più eminenti naturalisti. Per tali vie si giunse alla teoria
ondulatoria della luce, e fino a questi ultimi tempi l'idea della rivoluzione
della terra intorno al proprio asse, difficilmente poteva sostenersi con una
prova diretta. Non si può opporre l'obbiezione che la scienza nello stato
attuale non getta alcuna luce sul problema assai più elevato dell'essenza
o dell'origine della vita. Chi giungerà a scoprire quale sia l'essenza
dell'attrazione di gravità? Ma non vi ha alcuno che non accetti i risultati
che emergono da codesto ignoto elemento dell'attrazione; non ostante che Leibnitz
accusasse Newton di introdurre "nella filosofia delle qualità occulte
e dei miracoli".
Io non trovo alcuna ragione per pensare che le opinioni espresse in questo volume
possano ferire i sentimenti religiosi di chicchessia. Del resto per dimostrare
quanto siano fugaci queste impressioni, ci piace ricordare che la più
grande scoperta che sia mai stata fatta dall'uomo, vale a dire la legge dell'attrazione
di gravità, fu anche attaccata dal Leibnitz "come sovversiva della
religione naturale e, conseguentemente, della religione rivelata". Un celebre
autore ed eminente teologo mi scrisse "che egli aveva gradatamente imparato
a riconoscere che possiamo formarci un giusto e nobile concetto della Divinità,
pensando che Essa abbia create poche forme originali, capaci di svilupparsi
da se stesse in altre forme utili, anzichè professando l'opinione che
Essa debba ricorrere a nuovi atti di creazione, per riempiere i vuoti cagionati
dall'azione delle sue leggi".
Potrebbe chiedersi quale sia il motivo, per cui tutti i più grandi naturalisti
e geologi viventi respingano l'idea della mutabilità delle specie. Non
può sostenersi che gli esseri organizzati nello stato di natura non vadano
soggetti ad alcuna variazione; nè può provarsi che l'insieme delle
variazioni, prodotte nel corso di lunghe età, sia limitato nella quantità;
non si è posta, nè poteva porsi, alcuna distinzione chiara fra
le specie e le varietà bene marcate. Così non può ammettersi
che le specie, quando sono incrociate, sono sterili invariabilmente, e le varietà
sono in tal caso costantemente feconde, o pure che la sterilità è
una dote speciale e un segno della creazione indipendente. La credenza che le
specie fossero produzioni immutabili era quasi inevitabile, finchè si
ritenne che la storia del mondo fosse di una breve durata; ma ora che abbiamo
acquistato qualche idea del corso dei tempi, noi non siamo troppo disposti a
credere, senza prove, che le memorie geologiche siano abbastanza complete da
fornirci una chiara dimostrazione della trasformazione delle specie, se queste
furono soggette a variazioni.
Ma la cagione principale della nostra ripugnanza naturale nell'ammettere che
una specie abbia dato origine ad un'altra specie distinta, è quella che
noi siamo sempre poco facili a credere ad ogni grande cambiamento, di cui non
si vedano i gradi intermedi. Tale difficoltà è simile a quelle
che molti geologi esternarono, quando Lyell per il primo stabiliva che le lunghe
catene di roccie interne sui continenti furono formate dall'azione lenta dei
flutti contro le coste, e che questi flutti stessi escavarono le grandi vallate.
La mente non può farsi un concetto adeguato dell'espressione, cento milioni
d'anni; nè può riunire e percepire gli effetti complessivi di
molte piccole variazioni accumulate per un numero quasi infinito di generazioni.
Quantunque io sia pienamente convinto della verità delle idee esposte
in questo libro sotto forma di compendio, non ho alcuna speranza di convincere
gli abili naturalisti che hanno la mente preoccupata da una moltitudine di fatti
considerati, per molti anni, da un punto di vista direttamente opposto al mio.
Egli è tanto facile capire la nostra ignoranza, nelle espressioni analoghe
a queste: il piano della creazione, l'unità di tipo, ecc., e credere
per questo di dare una spiegazione, quando invece altro non si fa che constatare
un fatto. Chiunque propende ad ammettere un peso maggiore alle difficoltà
non spiegate, che alla dimostrazione di un certo numero di fatti, respingerà
senza dubbio la mia teoria. Pochi naturalisti soltanto, dotati di molta flessibilità
di spirito, e che hanno già cominciato a dubitare dell'immutabilità
delle specie, possono tener conto di questo libro; ma io guardo con calma e
fiducia l'avvenire, e quei giovani naturalisti che ora si formano, i quali saranno
capaci di esaminare ambi i lati della questione con imparzialità. Coloro
che professano i principii della mutabilità delle specie presteranno
un ottimo servigio esprimendo coscienziosamente la loro opinione; perchè
in questo modo soltanto potranno dissipare tutti i pregiudizi che circondano
questo argomento.
Parecchi naturalisti eminenti hanno pubblicato recentemente l'opinione che una
quantità di specie credute tali in ogni genere non sono specie reali;
ma che altre specie sono appunto reali, vale a dire, sono state create indipendentemente.
Mi pare che questa conclusione sia singolare. Essi ammettono che una moltitudine
di forme, le quali fino ad ora essi avevano riguardate quali creazioni speciali
che anche la maggior parte dei naturalisti considerano tuttora come tali, le
quali hanno per conseguenza ogni esterna apparenza caratteristica di vere specie,
- essi ammettono che queste forme siano state prodotte per mezzo della variazione,
ma ricusano di estendere il medesimo concetto alle altre forme leggermente diverse.
Tuttavia essi non pretendono di poter definire o congetturare quali siano le
forme della vita create, e quali quelle prodotte da leggi secondarie. Essi ammettono
la variazione come una vera causa nell'un caso, ma la respingono arbitrariamente
nell'altro, senza porre alcuna distinzione fra i due casi. Verrà un giorno
in cui questa idea sarà riguardata come un comico esempio della cecità
delle opinioni preconcette. Questi autori non mi sembrano maggiormente sorpresi
da un atto miracoloso di creazione, che da una nascita ordinaria. Ma credono
essi realmente che, nei periodi innumerevoli della storia della terra, certi
atomi elementari siano stati improvvisamente riuniti a formare dei tessuti viventi?
Credono essi che ad ogni supposto atto di creazione si sia prodotto un solo
individuo ovvero molti? Tutte le innumerevoli sorta di animali e di piante furono
create allo stato di uova e di semi, oppure interamente sviluppate? Nel caso
dei mammiferi, dobbiamo credere che questi fossero creati coi falsi contrassegni
degli organi, per mezzo dei quali traggono il loro nutrimento dall'utero della
madre? Senza dubbio codeste questioni non possono risolversi nemmeno da coloro
che, nello stato presente della scienza, credono alla creazione di poche forme
originali od anche di una forma di vita qualsiasi. Fu detto da diversi autori
che non è meno facile il credere alla creazione di cento milioni di esseri,
che a quella di uno solo; ma l'assioma filosofico di Maupertuis della minima
azione dispone lo spirito ad accogliere più volentieri il numero più
piccolo; e certamente non dobbiamo pensare che gli esseri innumerevoli di ogni
grande classe siano stati creati con caratteri evidenti, ma ingannevoli, che
proverebbero la loro provenienza da un solo parente.
Come ricordo ad uno stato passato di cose io ho conservato nei paragrafi che
precedono ed altrove parecchie proposizioni, da cui risulta che i naturalisti
credono ad una separata creazione di ciascuna specie, e fui molto censurato
perchè così mi espressi. Ma tale era indubbiamente l'opinione
generale, quand'io pubblicai la prima edizione dell'opera presente. Io avevo
parlato prima con molti naturalisti sul tema della evoluzione, e non avevo trovato
nemmeno una simpatica accoglienza. Probabilmente alcuni credevano allora ad
una evoluzione; ma, o se ne tacquero, o si espressero in modo così ambiguo,
che tornava difficile capire le loro idee. Ora le cose sono affatto cambiate,
e quasi ogni naturalista ammette il grande principio della evoluzione. Ve ne
hanno tuttavia ancora alcuni, i quali ritengono che le specie abbiano potuto
produrre repentinamente, con mezzi del tutto sconosciuti, delle forme affatto
diverse; ma come io ho dimostrato, si possono opporre delle prove valenti all'idea
di modificazioni grandi e repentine. La ipotesi che nuove forme siansi sviluppate
dalle vecchie e interamente diverse in modo subitaneo e con mezzi sconosciuti,
considerata come punto di vista scientifico e come introduzione ad ulteriori
indagini, non può recare che un ben piccolo vantaggio di fronte alla
credenza che le specie siano nate dal fango della terra.
Potrebbe chiedersi quale sia l'estensione che io attribuisco alla dottrina della
modificazione delle specie. A tale questione difficilmente può rispondersi,
perchè quanto più distinte sono le forme da noi considerate, tanto
più gli argomenti divengono deboli. Ma certi argomenti del massimo valore
si estendono assai. Tutti i membri di intere classi possono collegarsi insieme
con vincoli di affinità, e tutti possono classificarsi, pel medesimo
principio, in gruppi subordinati ad altri gruppi. Gli avanzi fossili tendono
talvolta a riempire le vaste lacune che si trovano fra gli ordini esistenti.
Gli organi rudimentali dimostrano evidentemente che un antico progenitore li
possedeva in uno stato di completo sviluppo; e ciò implica in alcuni
casi una enorme quantità di modificazioni nei discendenti. In certe classi
varie strutture sono formate col medesimo sistema, e nell'età embrionale
le specie si rassomigliano molto fra loro. Perciò non posso dubitare
che la teoria della discendenza modificata abbracci tutti i membri della medesima
classe. Io credo che gli animali derivino da quattro o cinque progenitori al
più e le piante da un numero uguale o minore di forme.
L'analogia mi condurrebbe anche più avanti, cioè alla opinione
che tutti gli animali e le piante derivino da un solo prototipo. Ma l'analogia
può essere una guida ingannevole. Nondimeno tutti gli esseri viventi
hanno molte qualità comuni, - la loro composizione chimica, la loro struttura
cellulare, le leggi del loro sviluppo e la facoltà di essere affetti
dalle influenze dannose. Noi lo vediamo anche nelle circostanze meno importanti;
per esempio, il medesimo veleno colpisce ugualmente le piante e gli animali;
eppure il veleno che si depone dal Cynips produce delle protuberanze mostruose
nei rosai e nelle quercie. In tutti gli esseri organizzati la unione di cellule
elementari del maschio e della femmina sembra necessaria occasionalmente per
la formazione di un essere nuovo. In tutti, per quanto oggi sappiamo, la vescichetta
germinativa è la stessa. Per modo che ogni essere organico individuale
parte da un'origine comune. Anche se consideriamo le due divisioni principali,
- cioè il regno animale e il regno vegetale, - certe forme inferiori
sono intermedie pei loro caratteri, al punto che i naturalisti disputarono a
quale dei due regni dovessero riferirsi; e come osservò il professore
Asa Gray, "le spore ed altri corpi riproduttivi di molte alghe inferiori
possono condurre sulle prime una vita decisamente animale, indi una indubitata
esistenza vegetale". Perciò, secondo il principio della elezione
naturale colla divergenza di carattere, non può sembrare incredibile,
che da una di queste forme inferiori ed intermedie siano sorti gli animali e
le piante; e se noi ammettiamo ciò, dobbiamo anche concedere che tutti
gli esseri organizzati, che esistettero sulla terra, possono essere stati prodotti
da una qualche forma primordiale. Ma questa deduzione è principalmente
fondata sull'analogia e poco monta che sia accettata o respinta. Il caso è
differente nei membri di ogni grande classe, come i vertebrati, gli articolati,
ecc., perchè qui, come abbiamo osservato, abbiamo nelle leggi della omologia
e della embriologia, ecc., diverse prove, che tutti sono provenuti da un solo
stipite.
Quando le idee da me esposte in questo libro e sostenute da Wallace nel Linnean
Jornal, o idee analoghe sull'origine delle specie, saranno generalmente accettate,
possiamo vagamente prevedere che avverrà una notevole rivoluzione nella
storia naturale. I sistematici potranno continuare i loro lavori come al presente;
ma essi non saranno più molestati continuamente dal dubbio insolubile
se questa o quella forma sia in essenza una specie. Sono certo, e parlo per
esperienza, che questo non sarà un piccolo vantaggio. Si porrà
fine alle molte discussioni che si sono fatte, per decidere se una cinquantina
di rovi inglesi siano vere specie. I sistematici avranno solo da decidere (e
ciò non sarà sempre facile) se ogni data forma sia abbastanza
costante e distinta dalle altre forme, da essere suscettibile di una definizione;
e quando possa definirsi, se le differenze siano abbastanza importanti da meritare
un nome specifico. Quest'ultimo punto diverrà una considerazione assai
più essenziale che oggi non sia; perchè le differenze, per quanto
piccole, fra due forme qualsiasi, quando non siano connesse da gradazioni intermedie,
sono considerate dalla maggior parte dei naturalisti come sufficienti ad elevare
le due forme al rango di specie. Quindi noi saremo costretti a riconoscere che
la sola distinzione possibile fra le specie e le varietà ben marcate
consiste in ciò: che queste ultime sono attualmente collegate da gradazioni
intermedie, mentre al contrario le specie furono in tal guisa collegate in epoca
più antica. Per conseguenza, senza rigettare la considerazione della
esistenza presente di gradazioni intermedie fra due forme qualsiansi, noi saremo
condotti a pesare con maggior accuratezza e a dare un valore più forte
all'attuale complesso delle differenze che passano fra le medesime. Egli è
molto probabile che le forme, ora conosciute generalmente come semplici varietà,
possono in seguito meritare un nome specifico, come la Primula vulgaris e la
Primula veris; ed in tal caso il linguaggio comune ed il linguaggio scientifico
saranno in armonia. In somma avremo da trattare le specie come si trattano i
generi da quei naturalisti che ammettono essere i generi combinazioni puramente
artificiali, fatte per comodità. Questa non può essere una prospettiva
molto lieta; ma noi almeno saremo liberi dalla vana ricerca dell'essenza ignota
del termine specie.
Gli altri rami più generali della storia naturale presenteranno allora
un interesse maggiore. I termini impiegati dai naturalisti, come: affinità,
parentela, unità di tipo comune, paternità, morfologia, caratteri
di adattamento, organi rudimentali ed abortiti, ecc., non saranno più
metaforici, ma avranno un significato evidente. Quando non riguarderemo più
un essere organizzato nel modo con cui un selvaggio considera un vascello come
una cosa interamente superiore alla sua intelligenza; quando conosceremo(29)
che ogni produzione della natura ebbe la sua storia; quando contempleremo ogni
struttura complicata ed ogni istinto come il risultato di molti adattamenti,
ciascuno dei quali fu vantaggioso all'individuo, quasi nella stessa guisa con
cui consideriamo ogni grande invenzione meccanica come il prodotto del lavoro,
dell'esperienza, della ragione ed anche degli errori di numerosi operai; quando
noi prendiamo ad esaminare ogni essere organizzato da questo punto di vista,
posso dirlo per esperienza, quanto diverrà più interessante lo
studio della storia naturale!
Un vasto campo di osservazione, quasi inesplorato, sarà
aperto sulle cause e sulle leggi della variazione, sulla correlazione di sviluppo,
sugli effetti dell'uso e del non-uso, sull'azione diretta delle condizioni esterne,
ecc. Lo studio delle produzioni domestiche crescerà di valore immensamente.
Una varietà nuova, allevata dall'uomo, formerà un soggetto più
importante ed interessante di studio che una specie di più, aggiunta
alla moltitudine di specie già conosciute. Le nostre classificazioni
diverranno, per quanto si potrà fare, altrettante genealogie; e così
ci daranno veramente ciò che può chiamarsi il piano della creazione.
Quando avranno in vista un oggetto definito, le regole di classificazione diverranno
certamente più semplici. Noi non abbiamo in tal caso nè alberi
genealogici, ne prosapie araldiche; e dobbiamo scoprire e tracciare le molte
linee divergenti della discendenza delle nostre genealogie naturali, per mezzo
dei caratteri d'ogni sorta che furono ereditati da lungo tempo. Gli organi rudimentali
ci indicheranno infallibilmente la natura delle strutture perdute in epoche
remote. Le specie e gruppi di specie, dette aberranti, e che possono fantasticamente
chiamarsi fossili viventi, ci aiuteranno a compiere il disegno delle antiche
forme della vita. L'embriologia ci rivelerà la struttura, che rimase
alterata, dei prototipi di ogni grande classe.
Quando potremo essere certi che tutti gli individui della medesima specie e
tutte le specie strettamente affini della maggior parte dei generi, sono derivate
in un periodo non molto lontano da un solo progenitore ed emigrarono da un dato
luogo di origine; e quando saremo più addentro nella cognizione dei molti
mezzi di migrazione, allora, pei lumi che ci fornisce attualmente e che continuerà
a fornirci la geologia, sugli antichi cambiamenti di clima e di livello delle
terre, noi saremo in grado sicuramente di seguire, in un modo mirabile, le antiche
migrazioni degli abitanti del mondo intero. Anche al presente paragonando le
differenze che presentano gli animali marini sui lati opposti di un continente
e la natura dei diversi abitanti del continente stesso, in relazione ai loro
mezzi apparenti di migrazione, potrà darsi qualche nozione sull'antica
geografia.
La nobile scienza della geologia perde la sua gloria per l'estrema imperfezione
delle memorie. La crosta della terra, co' suoi avanzi sepolti, non deve riguardarsi
come un museo completo, ma come una scarsa collezione fatta a caso o ad intervalli
rari. Si riconoscerà che l'accumulazione di ogni grande formazione fossilifera
dovette dipendere da uno straordinario concorso di circostanze e che gl'intervalli
di riposo e di inazione fra gli stadii successivi furono di una lunga durata.
Ma noi giungeremo ad apprezzare la durata di questi intervalli con qualche sicurezza,
facendo il confronto fra le forme organizzate anteriori e le posteriori. Noi
dobbiamo essere molto cauti nel cercare di stabilire una correlazione di esatta
contemporaneità fra due formazioni, le quali racchiudono poche specie
identiche, mediante la successione generale delle loro forme di vita. Siccome
le specie si producono e si estinguono, per cause che agiscono lentamente e
che esistono ancora, e non già per atti miracolosi di creazione e col
mezzo di catastrofi: e siccome la più importante di tutte le cause dei
cambiamenti organici è quasi indipendente dalle condizioni fisiche alterate,
e forse anche improvvisamente alterate, voglio dire, la mutua relazione di un
organismo all'altro, - poichè il perfezionamento di un essere determina
il perfezionamento o l'esterminio degli altri; ne segue che l'insieme dei cambiamenti
organici nei fossili delle formazioni consecutive, probabilmente può
darci una precisa misura della durata del tempo che effettivamente trascorse.
Tuttavia un certo numero di specie, che si conservano riunite, possono continuare
per un lungo periodo senza modificarsi; mentre durante il medesimo periodo alcune
di queste specie, emigrando in nuovi paesi ed entrando in concorrenza colle
specie straniere associate ad esse, possono subire delle modificazioni; per
modo che non dobbiamo esagerare l'applicazione dei mutamenti organici nella
misura del tempo.
In un lontano avvenire io veggo dei campi aperti alle più importanti
ricerche. La psicologia sarà fondata sopra il principio già bene
propugnato da Herbert Spencer, che cioè ogni facoltà e capacità
mentale siasi necessariamente sviluppata a gradi. Si spanderà una viva
luce sull'origine dell'uomo e sulla sua storia.
Alcuni autori fra i più eminenti sembrano pienamente soddisfatti dell'opinione
che ogni specie sia stata creata indipendentemente. Nel mio concetto, si accorda
meglio con ciò che noi sappiamo, intorno alle leggi impresse dal Creatore
alla materia, l'idea, che la produzione e l'estinzione degli abitanti passati
e presenti del mondo siano dovute a cagioni secondarie, simili a quelle che
determinano la nascita e la morte degl'individui. Allorquando io riguardo tutti
gli esseri non come creazioni speciali, ma come i discendenti diretti di pochi
esseri, che esistettero molto tempo prima che si formasse lo strato più
antico del sistema siluriano, mi sembra che quegli esseri si nobilitino. Giudicando
dal passato, possiamo inferire con sicurezza che niuna delle specie viventi
trasmetterà la sua configurazione identica alle future età. Pochissime
specie, ora esistenti, trasmetteranno una progenie qualsiasi alle epoche avvenire;
perchè il modo con cui tutti gli esseri organizzati sono insieme congiunti,
dimostra che la maggior parte delle specie di ciascun genere e tutte le specie
appartenenti a molti generi, non hanno lasciato alcun discendente, ma rimasero
interamente estinte. Noi possiamo anche penetrare nel futuro, con uno sguardo
profetico, fino a predire che le specie comuni e più ampiamente diffuse,
appartenenti ai gruppi più vasti e dominanti di ogni classe, saranno
quelle che in ultimo prevarranno e procreeranno delle specie nuove e dominanti.
Siccome tutte le forme viventi della vita sono i discendenti diretti di quelle
che esistettero molto tempo prima dell'epoca siluriana, possiamo essere certi
che la successione ordinaria, per mezzo della generazione, non è mai
stata interrotta e che nessun cataclisma non venne mai a desolare il mondo intero.
Quindi possiamo pensare con qualche confidenza ad un tranquillo avvenire, di
una lunghezza egualmente incalcolabile. Se riflettiamo che l'elezione naturale
agisce soltanto per il vantaggio di ogni essere, col mezzo delle variazioni
utili, tutte le qualità del corpo e dello spirito tenderanno a progredire
verso la perfezione.
È cosa molto interessante il contemplare una spiaggia ridente, coperta
di molte piante d'ogni sorta, cogli uccelli che cantano nei cespugli, con diversi
insetti che ronzano da ogni parte e coi vermi che strisciano sull'umido terreno:
ed il considerare che queste forme elaborate con tanta maestria, tanto differenti
fra loro e dipendenti l'una dall'altra, in maniera così complicata, furono
tutte prodotte per effetto delle leggi che agiscono continuamente intorno a
noi. Queste leggi, prese nel senso più largo, sono: lo Sviluppo colla
Riproduzione; l'Eredità che è quasi implicitamente compresa nella
Riproduzione; la Variabilità derivante dall'azione diretta e indiretta
delle condizioni esterne della vita e dall'uso o dal non-uso; la legge di Moltiplicazione
in una proporzione tanto forte da rendere necessaria una Lotta per l'Esistenza,
dalla quale deriva l'Elezione naturale, la quale richiede la Divergenza del
Carattere e l'Estinzione delle forme meno perfezionate. Così dalla guerra
della natura, dalla carestia e dalla morte segue direttamente l'effetto più
stupendo che possiamo concepire, cioè la produzione degli animali più
elevati. Vi ha certamente del grandioso in queste considerazioni sulla vita
e sulle varie facoltà di essa, che furono in origine impresse dal Creatore
in poche forme od anche in una sola; e nel pensare che, mentre il nostro pianeta
si aggirò nella sua orbita, obbedendo alla legge immutabile della gravità,
si svilupparono da un principio tanto semplice, e si sviluppano ancora infinite
forme, vieppiù belle e meravigliose.
FINE
INDICE
SUNTO STORICO DEI RECENTI PROGRESSI DELLA DOTTRINA SULL'ORIGINE DELLE SPECIE
INTRODUZIONE
CAPO I
VARIABILITÀ ALLO STATO DOMESTICO.
Cause della variabilità - Effetti dell'abitudine e dell'uso o non-uso degli organi - Correlazione di sviluppo - Ereditabilità - Caratteri delle varietà domestiche - Difficoltà di distinguere le varietà dalle specie - Origine delle varietà domestiche da una o più specie - Colombi domestici, loro differenze e loro origine - Principio di elezione applicato da lungo tempo e suoi effetti - Elezione metodica e inconscia - Origine ignota delle nostre produzioni domestiche - Circostanze favorevoli al potere elettivo dell'uomo.
CAPO II
VARIAZIONE ALLO STATO DI NATURA
Variabilità - Differenze individuali - Specie dubbie - Le specie molto estese, molto diffuse e comuni variano assai - Le specie dei grandi generi in ogni paese variano più delle specie dei generi piccoli - Molte specie dei generi grandi rassomigliano a varietà per essere strettamente e diversamente affini fra loro o geograficamente assai circoscritte.
CAPO III
LOTTA PER L'ESISTENZA
È sostenuta dall'elezione naturale - Questo termine deve impiegarsi in un senso largo - Progressione geometrica d'accrescimento - Rapido accrescimento degli animali e delle piante naturalizzate - Natura degli ostacoli all'accrescimento - Concorrenza universale - Effetti del clima - Protezione derivante dal numero degl'individui - Rapporti complessi degli animali e dei vegetali nella natura - Lotta per l'esistenza più severa fra gli individui e le varietà di una medesima specie; spesso anche fra le specie del medesimo genere - I rapporti più importanti sono quelli che passano da uno ad altro organismo.
CAPO IV
ELEZIONE NATURALE, O SOPRAVVIVENZA DEL PIÙ ADATTO
Elezione naturale; confronto del suo potere col potere elettivo dell'uomo - Sua azione sopra caratteri di poca importanza - Sua forza in ogni età e sui due sessi - Elezione sessuale - Della generalità degli incrociamenti fra individui della medesima specie - Circostanze favorevoli e contrarie all'elezione naturale, come gli incrociamenti, l'isolamento o il numero degli individui - Azione lenta - Estinzione prodotta dall'elezione naturale - Divergenza dei caratteri in relazione colla diversità degli abitanti d'ogni regione ristretta e colla naturalizzazione - Effetti dell'elezione naturale sui discendenti di un comune progenitore per la divergenza dei caratteri e l'estinzione delle specie - Essa spiega la classificazione degli esseri organizzati - Progressi dell'organizzazione - Persistenza delle forme inferiori - Convergenza dei caratteri - Moltiplicazione infinita delle specie - Sommario.
CAPO V
LEGGI DELLE VARIAZIONI
Effetti delle condizioni esterne - Uso e non-uso degli organi combinato coll'elezione naturale; organi del volo e della vista - Acclimazione - Correlazione di sviluppo - Compensazione ed economia di sviluppo - False correlazioni - Le strutture multiple, rudimentali ed inferiori sono variabili - Le parti sviluppate in modo insolito sono assai variabili: i caratteri speciali sono più variabili dei caratteri generici: i caratteri sessuali secondari sono variabili - Le specie di un medesimo genere variano analogamente - Riversioni a caratteri molto antichi - Sommario.
CAPO VI
Difficoltà contro la teoria della discendenza con modificazioni - Assenza
o rarità delle varietà intermedie - Transizioni nelle abitudini
della vita - Abitudini diverse nella stessa specie - Specie dotate di abitudini
affatto differenti da quelle delle specie affini - Organi di estrema perfezione
- Mezzi di transizione - Casi difficili - Natura non facit saltum - Organi di
poca importanza - Organi non sempre assolutamente perfetti - Le leggi dell'Unità
di tipo e delle Condizioni d'esistenza sono comprese nella teoria dell'Elezione
naturale.
CAPO VII
OBBIEZIONI DIVERSE CONTRO LA TEORIA DELL'ELEZIONE NATURALE.
Longevità - Le modificazioni non sono necessariamente contemporanee - Modificazioni che non sembrano di utilità diretta - Sviluppo progressivo - I caratteri di lieve importanza funzionale sono i più costanti - L'elezione naturale ritiensi insufficiente a spiegare gli stadii incipienti delle strutture utili - Cause che disturbano l'acquisto delle strutture utili a mezzo dell'elezione naturale - Gradazioni di struttura nei cambiamenti di funzione - Organi molto diversi nei membri di una medesima classe sviluppatisi dalla stessa sorgente - Ragioni che impediscono di ammettere le modificazioni grandi e repentine.
CAPO VIII
DEGLI ISTINTI
Istinti paragonabili alle abitudini, ma diversi nella loro origine - Istinti graduali - Afidi e formiche - Istinti variabili - Istinti degli animali domestici, loro origine - Istinti naturali del cuculo, del Molothrus - dello struzzo e delle api parassite - Formiche che tengono schiavi - Api domestiche; loro istinto costruttore di celle - Le modificazioni di istinto e di struttura non sono necessariamente simultanee - Difficoltà della teoria dell'Elezione Naturale rapporto agli istinti - Insetti neutri e sterili - Sommario.
CAPO IX
IBRIDISMO
Distinzione fra la sterilità dei primi incrociamenti e quella degl'ibridi - Sterilità varia in diversi gradi, non universale; aumentata da incrociamenti stretti, diminuita per mezzo della domesticità - Leggi che governano la sterilità degli ibridi - La sterilità non è una dote speciale, ma incidentale per altre differenze organiche - Cagioni della sterilità dei primi incrociamenti e di quella degl'ibridi - Parallelismo fra gli effetti delle mutate condizioni di vita e degli incrociamenti - Fecondità delle varietà incrociate e della loro prole meticcia; essa non è generale - Ibridi e meticci paragonati, indipendentemente dalla loro fecondità - Sommario.
CAPO X
SULLA IMPERFEZIONE DELLE MEMORIE GEOLOGICHE
Sulla mancanza delle forme intermedie fra le varietà attuali - Sulla natura delle varietà intermedie estinte; sul loro numero - Sulla enorme durata dei periodi geologici, dedotta dalle deposizioni e dai denudamenti - Lunghezza del tempo trascorso calcolata per anni - Della scarsezza delle nostre collezioni paleontologiche - Dei denudamenti delle aree granitiche - Della intermittenza delle formazioni geologiche - Denudamento delle superfici granitiche - Dell'assenza delle varietà intermedie in ogni formazione - Della improvvisa comparsa di gruppi di specie - Della subitanea loro comparsa anche nei più antichi strati fossiliferi che si conoscano - Età della terra abitabile.
CAPO XI
SULLA SUCCESSIONE GEOLOGICA
DEGLI ESSERI ORGANIZZATI
Della comparsa lenta e successiva di nuove specie - Della diversa rapidità dei loro cambiamenti - Le specie che rimangono estinte non ricompariscono - I gruppi di specie seguono, nella loro apparizione o nella loro scomparsa, le medesime leggi generali delle singole specie - Sulla Estinzione - Sui cambiamenti simultanei delle forme viventi per tutto il mondo - Sulle affinità delle specie estinte fra loro e colle specie viventi - Sullo stato di sviluppo delle forme antiche - Sulla successione dei medesimi tipi nelle stesse superfici - Sommario di questo capo e del precedente.
CAPO XII
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
La presente distribuzione non può spiegarsi per mezzo delle differenti condizioni fisiche - Importanza delle barriere - Affinità delle produzioni del medesimo continente - Centri di creazione - Mezzi di dispersione per cambiamenti del clima e del livello della terra e per circostanze accidentali - Dispersione avvenuta durante il periodo glaciale - Alternanza dei periodi glaciali al Nord e al Sud.
CAPO XIII
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
(continuazione)
Distribuzione delle produzioni d'acqua dolce - Degli abitanti delle isole oceaniche - Assenza dei batraci e dei mammiferi terrestri - Sulla relazione degli abitanti delle isole con quelli dei continenti più vicini - Sulle colonie provenienti dalla sorgente più vicina, colle modificazioni susseguenti - Sommario del presente capo e del precedente.
CAPO XIV
MUTUE AFFINITÀ DEGLI ESSERI ORGANIZZATI
MORFOLOGIA - EMBRIOLOGIA
ORGANI RUDIMENTALI
Classificazione; gruppi subordinati ad altri gruppi - Sistema naturale - Regole e difficoltà della classificazione, spiegate per mezzo della teoria della discendenza con modificazioni - Classificazione delle varietà - La discendenza sempre impiegata nelle classificazioni - Caratteri di analogia o di adattamento - Affinità generali, complesse e divergenti - L'estinzione separa e definisce i gruppi - Morfologia; fra i membri di una stessa classe, fra le parti di un medesimo individuo - Embriologia; sue leggi spiegate per mezzo di quelle variazioni che non hanno luogo nella prima età e che vengono ereditate ad un'età corrispondente - Organi rudimentali; loro origine spiegata - Sommario.
CAPO XV
RICAPITOLAZIONE E CONCLUSIONE
Ricapitolazione delle difficoltà che si oppongono alla teoria della Elezione naturale - Ricapitolazione delle circostanze generali e speciali in favore di essa - Cagioni della credenza generale nella immutabilità delle specie - Come possa estendersi la teoria dell'Elezione naturale - Effetti dell'adozione di essa nello studio della Storia naturale - Osservazioni finali.
NOTE:
(1) Nell'originale "cani di". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(2) Nell'originale " una contrasto singolare". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(3) Nell'originale "protrebbero". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(4) Nell'originale "mi manifestano". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(5)Nell'originale dopo "selvaggi" c'è una parentesi tonda di
chiusura. [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(6) Nell'originale "Le geologia". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(7) Nell'originale "Frizt". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(8) Nell'originale "Mai".[Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(9) Nell'originale "calore".[Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(10) Nell'originale "somigliaza".[Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(11) Nell'originale "ottiologia".[Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(12) Nell'originale "indivividui".[Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(13) Nell'originale "innnocuo". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(14) Nell'originale "descriscrizione". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(15) Nell'originale "Perciò". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(16) Nell'originale "lo". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(17) Nell'originale "le fecondità". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(18) Nell'originale "METICCCI". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(19) Nell'originale "supeficie". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(20) Nell'originale "sala". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(21) Nell'originale "pronfondo". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(22) Nell'originale "idendità". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(23) Nell'originale "mondo". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(24) Nell'originale "un'intervallo". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(25)Nell'originale "antiche" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(26) Nell'originale "del" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(27) Nell'originale "discedenti" [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(28) Nell'originale "grandeza". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(29) Nell'originale "conosceranno". Corretto dopo confronto con il
testo inglese. [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]