Biblioteca Multimediale Marxista


Carlo Tresca, combattente libertario (1879-1943)



Lo studio che segue è originariamente apparso come introduzione a "Carlo Tresca, L’attentato a Mussolini ovvero Il segreto di Pulcinella", Quaderni Pietro Tresso, n. 48, luglio-agosto 2004, pp. 3-21.

Parecchi anni or sono mi capitò di frequentare regolarmente – e per un periodo abbastanza protratto nel tempo – la cittadina abruzzese di Sulmona, in provincia dell’Aquila, che tra le sue belle piazze ne annovera una intitolata a Carlo Tresca(1). Nella piazza in questione, in posizione non centrale ma un po’ defilata, c’è un modesto cippo sul quale troneggia un piccolo busto dell’autore della pièce teatrale di satira politica che presentiamo in questo numero dei Quaderni Pietro Tresso. Rimasi però piuttosto sorpreso nel constatare che la maggior parte dei sulmonesi da me allora interpellati, soprattutto giovani, ignorasse completamente chi fosse Tresca, figura esemplare di combattente libertario.
Per cercare di colmare questa lacuna di memoria storica, scrissi un articolo che avrebbe dovuto essere pubblicato sulle pagine di un piccolo periodico locale. Per un qualche motivo il pezzo non vide mai la luce, e tra le mie carte non ho più trovato traccia di quei tre fogli di carta velina fittamente dattiloscritti nei quali davo erroneamente, alla possibilità che Tresca fosse stato assassinato dallo stalinismo, maggior credito delle altre ipotesi che postulavano, in alternativa, un possibile intervento omicida del fascismo e/o della mafia italo-americana. Nemico giurato sia dell’uno che degli altri, Tresca si era indubbiamente attirato da molto tempo l’odio dei burocrati stalinisti, dei gerarchi fascisti, dei boss di "Cosa Nostra" e di tutto lo stuolo dei loro tirapiedi. Ma la supposizione di un coinvolgimento diretto dello stalinista italiano Vittorio Vidali (noto anche con gli pseudonimi di Carlos Contreras ed Enea Sormenti) nell’organizzazione dell’attentato – coinvolgimento sempre negato dall’interessato – veniva comunemente considerata come la più plausibile dalla storiografia "di sinistra" legata a posizioni antistaliniste (socialdemocratiche, anarchiche, trotskiste, ecc.).
Alla posizione di quest’ultima scuola di pensiero hanno continuato a fare più o meno riferimento, fino a tempi recentissimi e probabilmente più per ignoranza delle fonti che per una mentalità preconcetta, alcuni autori che di sicuro non brillano in fatto di meticolosità storiografica o anche solo meramente bibliografica, e che lasciano comunque la porta ancora possibilisticamente aperta al dubbio.(2) E a livello più generale, occorre aggiungere che Carlo Tresca – rilevante ma trascurato esponente del movimento libertario italo-americano della prima metà del XX secolo – aspetta ancora che venga scritta la biografia di grande respiro che il suo personaggio sicuramente meriterebbe. Ci sembra pertanto opportuno ripercorrere almeno le tappe fondamentali di una vita tanto intensa.
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Nato a Sulmona (L’Aquila) il 9 marzo 1879, Carlo Tresca compì il suo tirocinio politico negli anni a cavallo tra i due secoli. A quel periodo risale infatti il suo iniziale avvicinamento al movimento sindacale dei ferrovieri e, attraverso questo, alle idee socialiste. Iscritto al Partito Socialista Italiano (PSI) e salito alla ribalta della cronaca politica cittadina per aver organizzato con successo la manifestazione del Primo Maggio 1900, Tresca dispiegò un’intensa attività propagandistica tra i lavoratori urbani e rurali e, dopo una prima condanna subita nel giugno 1902 per aver pubblicamente inneggiato al socialismo mentre si svolgeva un corteo monarchico, fu nuovamente arrestato nel novembre di quell’anno per aver pubblicato sulle colonne del giornale socialista sulmonese Il Germe alcuni violenti attacchi contro la classe dirigente locale, gli esponenti del clero e i rappresentanti delle forze dell’ordine. Come scrisse molti anni dopo il suo amico e collaboratore Felice Guadagni:
Erano quelli i tempi delle lotte contro le consorterie e le camorre. Carlo fece il suo dovere con fermezza. Sotto i colpi del Germe, che usava come una clava, caddero diversi amministratori comunali e si frantumarono diverse false reputazioni; le camorre abruzzesi vennero sconquassate.(3)

Nell’ottobre 1903 egli assunse la direzione di quella testata, attirandosi nuove e più pesanti denunce per diffamazione ai danni di alcuni maggiorenti sulmonesi. E fu in seguito alle condanne penali pronunciate nei suoi confronti nell’aprile 1904 che il giovane attivista – difeso in sede processuale anche dall’avvocato Enrico Ferri – decise di emigrare negli Stati Uniti. La moglie Helga Guerra, da lui sposata il 20 settembre 1903, non lo seguì sulla via dell’esilio volontario che nel giugno 1904 doveva condurlo a Lugano, in Svizzera, dove Tresca ebbe tra l’altro l’occasione di conoscere personalmente Benito Mussolini, all’epoca socialista di estrema sinistra, antimilitarista e disertore. Un mese dopo, nel luglio 1904, egli sbarcò a New York.
La scelta di emigrare negli Stati Uniti – dove già viveva da alcuni anni uno dei suoi fratelli, il dottor Ettore Tresca – era stata determinata anche dal fatto che, dopo aver appreso della sua condanna, i lettori italiani del Germe residenti a Filadelfia, in Pennsylvania, avevano costituito il Circolo Risveglio Giovanile Italiano, che si era dato da fare per raccogliere il denaro necessario a far giungere l’esule in America. Stabilitosi dunque a Filadelfia, Tresca si iscrisse alla Federazione Socialista Italiana (FSI) d’America e, nel settembre 1904, assunse la direzione del suo organo Il Proletario. Dopo essersi distinto nell’attività anticlericale, agli inizi del 1905 egli giocò un ruolo dirigente nello sciopero degli operai della fabbrica di cappelli John B. Stanton Co. Nel giugno 1906 abbandonò la direzione del Proletario e la FSI per avvicinarsi agli Industrial Workers of the World (IWW), la celebre organizzazione anarcosindacalista statunitense che era stata fondata nel giugno 1905. Guadagni ha brevemente tratteggiato l’evoluzione politica di Tresca dopo l’arrivo negli USA:
La vera personalità di Carlo Tresca si sviluppò in America, conservando, anzi accentuando, l’irruente forza originaria in tutte le lotte alle quali partecipò. Si disse socialista, sindacalista, anarchico, ma in realtà dopo che si dimise dal partito socialista e dalla direzione del Proletario non fu membro tesserato di alcun partito; non fu organizzatore regolare di alcuna organizzazione e fu anarchico organizzatore a modo suo (…) fu un individualista, che dava molto fastidio per la sua esuberante attività e per il modo spregiudicato col quale affrontava e risolveva delle situazioni scabrose, tenendo sempre presente di trarne la massima utilità per la causa che difendeva, sia in un conflitto fra capitale e lavoro, sia in un processo giudiziario o in una questione giurisdizionale fra unioni operaie. Tresca teneva in nessun conto la coerenza formale. Correva dove la massa si batteva, e nella mischia non era mai fra gli ultimi".(4)

Dopo il suo distacco politico dalla FSI, Tresca collaborò inizialmente al giornale La Voce del Popolo di Filadelfia, poi fondò una propria testata, La Plebe, che nell’agosto-settembre 1908 si trasferì a Pittsburgh, sempre in Pennsylvania, in seguito alla condanna inflitta al suo direttore per aver diffamato il console italiano di Filadelfia. Sulle pagine de La Plebe egli espose i propri punti di vista, ora decisamente favorevoli al sovversivismo di stampo anarchico e all’azione diretta, che gli costarono nuove denunce, nuovi arresti e addirittura un tentativo di omicidio. Lo stesso Tresca avrebbe successivamente ricordato quel periodo di lotte nei seguenti termini:
Nel 1906 ero in prigione a scontare tre mesi ottenuti per la lotta combattuta dalle colonne del Proletario. Uscito dal carcere, pubblicai La Plebe, un settimanale di battaglia, prima in Philadelphia e poi in Pittsburgh, dove affrontai audacemente senza esitanza una criminosa associazione di malviventi, di preti ed agenti consolari, che spadroneggiava su tutto e su tutti. Mi guadagnai qualche anno di galera. Mi si tentò di uccidere sulla pubblica strada, in pieno giorno, e sul viso porto i segni di questa aggressione patita dai sicari della chiesa e della monarchia.(5)
Nel gennaio 1909 Tresca fu processato con l’accusa di aver diffamato un prete cattolico che aveva una relazione amorosa con la sua perpetua. Dopo aver scontato la pena detentiva di sei mesi inflittagli dal tribunale, che aveva anche decretato la soppressione della Plebe, Tresca avviò a Steubenville, nell’Ohio, la pubblicazione di un nuovo giornale, L’Avvenire. Un’ulteriore condanna a nove mesi di detenzione e al pagamento di 300 dollari di multa lo colpì nel giugno 1910 per una causa intentatagli da un altro sacerdote.
Abbiamo già accennato alla partecipazione di Tresca allo sciopero dei cappellai di Filadelfia agli inizi del 1905, che segnò l’inizio della sua brillante carriera di agitatore proletario, soprattutto tra i numerosi lavoratori di origine italiana delle fabbriche e delle miniere. Continuando a pubblicare L’Avvenire, egli effettuò anche molti "giri di propaganda" in varie località e, in virtù della sua stretta collaborazione con gli IWW, prese attivamente parte alle più importanti lotte operaie dei primi decenni del secolo, acquisendo una fama di portata nazionale grazie al ruolo giocato nello sciopero dei lavoratori tessili dell’American Woolen Company di Lawrence, nel Massachusetts.
Avviato agli inizi del 1912 e ben presto influenzato dai Wobblies – così venivano chiamati gli iscritti agli IWW –, questo sciopero aveva subito una battuta d’arresto allorché alcuni i suoi principali animatori (Joseph Ettor e Arturo Giovannitti) erano stati arrestati in seguito all’assassinio di un’operaia ad opera della forza pubblica, con l’imputazione di complicità nel delitto e incitamento alla rivolta. A Tresca fu allora chiesto di raggiungere Lawrence per assumere la direzione del movimento, e il suo arrivo, nel mese di maggio, determinò la ripresa della durissima lotta e il suo esito vincente. A quei giorni risale anche il suo primo incontro con William "Big Bill" Haywood, che lo stesso Tresca aveva chiesto di far arrivare per dare maggior impulso allo sciopero. Dopo la battaglia di classe vinta a Lawrence, egli fu chiamato dai lavoratori degli IWW a dirigere lo sciopero di Little Falls, nello stato di New York, poi quello dei cuochi e dei camerieri di New York City, alla vigilia di Capodanno del 1913. Per la sua partecipazione attiva a questo sciopero dei lavoratori alberghieri, Tresca fu arrestato il 24 gennaio.
Successivamente Tresca giocò un ruolo dirigente – unitamente a vari agitatori degli IWW, primi tra tutti lo stesso Haywood ed Elizabeth Gurley Flynn, che sarebbe poi stata la sua compagna fino al 1925 (la moglie chiese il divorzio nel marzo 1913 per "abbandono del tetto coniugale") – nel grande sciopero dei tessili iniziato nel setificio di Henry Doherty a Paterson, nel New Jersey, che si protrasse per circa sei mesi – dal febbraio al luglio 1913 – durante i quali egli venne arrestato per ben undici volte e subì due processi per istigazione alla rivolta. La lotta assunse notevoli dimensioni, estendendosi a molte altre fabbriche del settore anche negli stati limitrofi, tanto che in occasione del Primo Maggio 1913 si contavano circa 50.000 scioperanti. Per pubblicizzare lo sciopero tra i lavoratori di New York il giovane John Reed organizzò e diresse uno spettacolo teatrale, il Paterson Strike Pageant, che venne rappresentato il 7 giugno al Madison Square Garden con la partecipazione di oltre mille comparse scelte proprio tra le file degli scioperanti di Paterson. L’epilogo di quella lotta, costellata di scontri violenti e di vittime da ambo le parti, non fu favorevole per i lavoratori; tuttavia di lì a poco i padroni soddisfecero alcune delle loro rivendicazioni, per paura i dover nuovamente affrontare in futuro uno scontro di quella portata.
Nell’inverno 1913-14 si registrò in varie località degli Stati Uniti un’impennata della lotta di classe, dovuta soprattutto all’agitazione dei disoccupati che raggiunse il suo apice a New York, dove i senza-lavoro scesi in lotta furono oltre quattrocentomila. Gli IWW e gli anarchici giocarono naturalmente un ruolo di primo piano come leaders di quella lotta, nella quale si distinsero Tresca, Haywood, Giovannitti, Emma Goldman e Aleksandr Berkman. Lo scoppio della prima guerra mondiale determinò una riattivazione delle fabbriche e la fine temporanea della piaga della disoccupazione.
Dall’estate del 1914 agli inizi del 1915 Tresca fu impegnato in un’altra battaglia politica, mirante ad ottenere la libertà di riunione e di parola a Paterson, dove le forze dell’ordine cercavano sistematicamente di impedire i comizi dei rappresentanti degli IWW. Tresca fu nuovamente arrestato a varie riprese, e infine processato nel luglio 1914. Alla vigilia dell’apertura del processo, in occasione di un comizio organizzato dagli anarchici a New York, Berkman affermò tra l’altro:
Io sono stanco di tutti questi comizi di protesta. Essi non approdano a niente. Sei uomini determinati, o anche un uomo solo, ricorrendo all’azione, può fare di più per riportare il timore di Dio nel cuore dei capitalisti che tutti i comizi di protesta del mondo. Noi non libereremo mai Carlo Tresca cercando giustizia nelle corti. Vi è un altro modo col quale potremo farci sentire. Il giudice in questo caso è un essere umano ed ama la sua vita. Il prosecutore e i giurati sono anche essi esseri umani che vogliono vivere. Questo è tutto quello che ho da dirvi.(6)
Furono probabilmente queste non troppo velate minacce, reiterate in un telegramma inviato dall’assemblea newyorkese al giudice di Paterson, a indurre il tribunale a prosciogliere Tresca da ogni accusa e a rimetterlo in libertà. Nel messaggio in questione si leggeva infatti che i partecipanti al comizio avevano deliberato all’unanimità "di tener responsabile il giudice, il district attorney [procuratore distrettuale] e i membri della giuria ciascuno personalmente della condanna e della prigione di Carlo Tresca, amico del lavoro e vittima della persecuzione dei capitalisti e dei poliziotti".(7)
Nel 1915 Tresca prese parte alla marcia dei disoccupati di New York e l’anno seguente, nel luglio 1916, effettuò un ennesimo giro di propaganda di un mese in California e, mentre era sulla via del ritorno, fu raggiunto da alcuni emissari degli IWW che lo pregarono di recarsi nel Mesaba Range, in Minnesota, dove dal 3 giugno era in corso uno sciopero dei minatori. Tresca non tardò ad accorrere sul posto. Nell’ottobre 1916 egli fu tra l’altro accusato dell’omicidio di uno scioperante – che era invece stato ucciso dai poliziotti privati al servizio del padronato – e, per tale motivo, fu arrestato a Duluth (Minnesota) e condannato ad una lunga pena detentiva. Ma la grande campagna in suo favore, che ebbe notevoli ripercussioni anche in Italia, portò infine, nel dicembre 1916 (lo sciopero era nel frattempo terminato alla metà di settembre), al ritiro dell’accusa e al suo rilascio, con uno strascico di critiche e polemiche – sul modo in cui Haywood e gli IWW avevano gestito politicamente il processo – che portò poi ad una rottura politica.
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Dopo l’entrata degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale nell’aprile 1917, Tresca era stato tra coloro che avevano guidato la campagna contro la guerra e la coscrizione militare. Il 30 settembre 1917 subì un nuovo arresto a New York, insieme a Giovannitti e a Giovanni Baldazzi, con l’accusa di cospirazione contro lo stato. Nonostante la sua rottura con gli IWW, Tresca fu coinvolto nell’ondata repressiva che si abbatté sui Wobblies a Chicago nel novembre 1917. Arrestato ancora una volta insieme alla Gurley Flynn con l’accusa di cospirazione, egli venne infine rilasciato senza alcun processo, ma nel frattempo il suo giornale L’Avvenire era stato soppresso dalle autorità. Fu allora, sul finire del 1917, che Tresca acquistò per poche decine di dollari una testata, Il Martello di New York, alla quale il suo nome fu indissolubilmente legato fino al tragico epilogo della sua vita. Va qui ricordato che anche i contenuti "anarco-comunisti" di questo importante giornale, che fu per circa un quarto di secolo il principale strumento di intervento politico di Tresca e dei suoi più stretti collaboratori, meriterebbero indubbiamente di essere sottratti all’oblìo e studiati con quella diligenza che è finora mancata.(8)
Sempre più impegnato nel suo ruolo di agitatore politico, la partecipazione di Tresca ad assemblee, comizi, conferenze e contraddittori pubblici in varie località fu segnalata più volte dagli informatori di polizia. Per dare un’idea di queste attività, forniamo di seguito un elenco del tutto parziale di tali segnalazioni, relative soprattutto ai primi anni Venti: il 12 novembre 1919 intervenne a Hartford (Connecticut); il 19 giugno 1920 a Boston (Massachusetts), presenziò ad un meeting organizzato dalla Workers’ Defense Conference of New England (WDCNE), di orientamento comunista; il 6 febbraio 1921 prese parte ad un’assemblea a Springfield (Massachusetts); il 29 maggio 1921 parlò a Quincy (Massachusetts), sotto gli auspici del Sacco-Vanzetti Defense Committee; il 29 gennaio 1922 intervenne a Boston, ad un’assemblea della WDCNE; il 7 maggio 1922 parlò ad un’assemblea dei valigiai e borsettieri in lotta della fabbrica Fancy Leather Goods Industry di New York City; il 14 luglio 1922 fu uno dei due oratori nel contraddittorio pubblico contro il reverendo Griglio su "Il cristianesimo e la questione sociale", tenutosi a New York; il 17 dicembre 1922 partecipò ad una manifestazione antifascista a Pittsburgh; il 20 maggio 1923, nuovo contraddittorio a Pittsburgh contro Ario Flamma sul tema "Patria e internazionalismo"
Dopo la fine della prima guerra mondiale, e a seguito della sua rottura con gli IWW, Il Martello (così come il rivale L’Adunata dei Refrattari, organo dell’ala antiorganizzatrice del movimento libertario, pubblicato anch’esso a New York a partire dall’aprile 1922) si distinse soprattutto nella campagna a favore degli anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti – condannati a morte nel giugno 1921 come presunti colpevoli di un omicidio a scopo di rapina avvenuto l’anno precedente – e nelle battaglie, talvolta estremamente violente, per impedire al fascismo di prendere piede nelle organizzazioni degli emigrati italiani. Fu in questo periodo che Tresca, senza abbandonare il suo orientamento libertario, si avvicinò al movimento comunista statunitense, pur avendo incominciato a criticare il governo sovietico fin dal 1921, all’indomani della repressione messa in atto dai dirigenti bolscevichi nei confronti degli insorti di Kronštadt.(9) Per diversi anni il suo atteggiamento rispetto all’Unione Sovietica e al movimento comunista prima, e stalinista poi, fu comunque improntato ad una certa ambivalenza, come vedremo più avanti.
Il profondo coinvolgimento di Tresca nella lotta contro il fascismo si esplicò dapprima nella sua partecipazione alle attività della Anti-Fascist Alliance of North America (AFANA), che era stata fondata a New York nell’aprile 1923 come organismo di "fronte unico" delle forze antifasciste italiane negli Stati Uniti.(10) Questo organismo svolse un’intensa opera di propaganda contro il fascismo italiano, resa però difficile dall’esistenza di profondi disaccordi politici tra le sue varie anime. Dell’AFANA Tresca fu sicuramente l’esponente più battagliero, ragion per cui venne ripetutamente attaccato dall’ambasciata italiana e dalle autorità fasciste, che esercitarono forti pressioni sul governo statunitense affinché agisse contro l’associazione in generale e contro il suo più ardente propagandista in particolare. Di qui la rinnovata catena di divieti, di denunce e di arresti cui egli fu sottoposto.
Tresca era così diventato un personaggio eccezionalmente scomodo per le autorità, che cercarono a più riperse di indurlo al silenzio. Nel maggio 1923 gli fu impedito di svolgere un comizio a Waterbury, nel Connecticut, e il 17 giugno a Buffalo, nello stato di New York. Il 28 giugno 1923 Il Martello venne sospeso per aver precedentemente pubblicato un articolo dai toni violentemente antimonarchici del suo direttore.(11) Un mese dopo, il 21 luglio, il servizio postale statunitense si rifiutò di spedire Il Martello senza fornire spiegazioni in merito. Tresca attribuì la responsabilità di questi divieti all’influenza di Gelasio Caetani, ambasciatore dell’Italia fascista a Washington.
Il 14 agosto seguente Tresca fu arrestato, apparentemente per il suo articolo "immorale" di tre mesi prima contro la monarchia. Ma in novembre, in sede processuale, l’accusa a suo carico subì un inspiegabile cambiamento: egli veniva ora ritenuto colpevole di aver fatto circolare a mezzo posta un numero del giornale contenente la pubblicità di un volume di "igiene sessuale"(13) che venne ritenuto "osceno" e che gli costò, il 10 dicembre 1923, una condanna ad un anno e un giorno di reclusione. La palese ingiustizia del verdetto suscitò un’ondata di reazioni tali,(14) anche tra la stampa democratico-borghese,(15) che dopo quattro mesi di detenzione nel penitenziario federale di Atlanta, in Georgia, il presidente americano Calvin Coolidge decise di condonargli la pena. Nel frattempo a Tresca era stato impedito di parlare a New Kensington (Pennsylvania) il 6 settembre 1923, ma aveva poi potuto tenere una pubblica conferenza su "I martiri di Chicago" a New York l’11 novembre e un comizio antifascista a New Haven il 18.
Chiunque legga i numeri de Il Martello pubblicati nel corso degli anni Venti potrà seguire passo dopo passo le varie tappe dell’impegno politico di Tresca, innanzitutto contro i fascisti italiani presenti in America,(16) che godevano e abusavano impunemente della protezione delle autorità, e in secondo luogo contro le varie provocazioni poliziesche cui il movimento libertario italiano veniva fatto segno: dalla bomba esplosa a Wall Street nel settembre 1920, di cui la polizia e la stampa borghese cercarono di attribuire la responsabilità a Tresca, al caso dei due anarchici Donato Carillo e Calogero Greco, ingiustamente accusati di aver ucciso due camicie nere nel maggio 1927, nel corso di una manifestazione fascista, e strenuamente difesi da Tresca sulle colonne del suo giornale fino al verdetto di assoluzione, pronunciato dal tribunale alla fine di dicembre.
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Tresca continuò ad essere attivo nell’ambito dell’AFANA anche dopo che il primo congresso dell’as-sociazione, svoltosi a New York nel settembre 1925, ebbe registrato l’uscita della componente socialista e la conseguente acquisizione di una posizione predominante da parte dei comunisti. L’intesa tra questi ultimi e il gruppo libertario raccolto attorno a Il Martello era stata ribadita dall’elezione di uno stretto col-laboratore di Tresca, Pietro Allegra (che sarebbe in seguito passato nelle file dello stalinismo), alla cari-ca di segretario dell’AFANA.
A quell’epoca l’anarchico sulmonese riteneva che i comunisti fossero validi e utili alleati nella lotta contro il fascismo. E va ricordato che verso la metà degli anni Venti egli aveva tra l’altro stretto rapporti estremamente cordiali proprio con quello stesso Vittorio Vidali che era giunto negli Stati Uniti nel settembre 1923 (ne sarebbe stato espulso nel marzo 1927, abbandonando poi il paese in luglio), e che quasi vent’anni dopo – diventato ormai uno "stalinista di ferro" e legatosi ai servizi segreti sovietici – sarebbe stato ingiustamente accusato di essere l’assassino di Tresca. La rottura definitiva di Tresca con lo stalinismo sarebbe venuta molto più tardi, in primo luogo allorché nel 1934 i comunisti sabotarono lo sciopero dei lavoratori alberghieri di New York e poi, soprattutto, in seguito all’ignominia dei grandi processi di Mosca del 1936-38 e all’indomani delle sanguinose "Giornate di maggio" del 1937 a Barcellona, allorché la burocrazia sovietica dimostrò in maniera inequivocabile di essere definitivamente passata nel campo della controrivoluzione. E forse è anche questa rottura tardiva a fare di Tresca, ancora oggi, un personaggio scomodo per il movimento anarchico.
Gli scontri tra fascisti e antifascisti italiani in terra americana proseguirono negli anni Trenta con immutata violenza, e con esiti talvolta mortali. Basti ricordare la cosiddetta "Battaglia di Staten Island" del 4 luglio 1932, quando l’Ordine dei Figli d’Italia e altri gruppi di orientamento fascista decisero di profanare la casa in cui nell’estate del 1850 Antonio Meucci aveva accolto il profugo Giuseppe Garibaldi, allora braccato dalla reazione europea. Tresca fu il principale artefice della battaglia con cui ai fascisti venne impedito l’ingresso alla "Casa di Garibaldi". Quello scontro ebbe un tragico strascico nell’uccisione di un fascista, uccisione della quale fu accusato l’anarchico Clemente Lista, che venne successivamente prosciolto grazie alla campagna organizzata in suo favore dallo stesso Tresca. A questa campagna si aggiunse un anno dopo quella in difesa dell’anarchico Athos Terzani, che era stato ingiustamente accusato dell’omicidio del suo compagno Antonio Fierro durante una manifestazione organizzata nel luglio 1933 dal movimento fascista statunitense delle Khaki Shirts of America. Il processo che ne seguì, in dicembre, si concluse con l’assoluzione di Terzani e con il successivo arresto, nel febbraio 1934, dei due veri colpevoli: i fascisti Art J. Smith e Frank Moffer.
Non è certo questa la sede più appropriata per ricostruire nei dettagli la storia di quegli scontri e il ruolo di tutto rilievo che Tresca e i suoi compagni vi giocarono, talvolta a rischio della propria vita. Ci piace tuttavia ricordare quanto ha scritto in proposito uno storico statunitense:
Tresca univa in sé una felice combinazione di intelletto e di coraggio: queste sue doti gli permisero (…) di progettare e di guidare azioni di guerriglia contro le camicie nere nei vicoli di New York. Le sue triviali battute contro il duce e la monarchia erano così spietate che non desta meraviglia che in parecchie occasioni i fascisti cercassero di eliminarlo. Una volta uno di questi attentati fallì in modo tragicomico perché l’automobile che trasportava la bomba esplose sotto il suo ufficio uccidendone i tre passeggeri, in seguito identificati come membri della FLNA [Fascist League of North America]. (…) Sarcastico com’era, e perciò bestia nera dei fascisti, Tresca amava vantarsi di aver a tal punto terrorizzato le camicie nere che queste avevano smesso di tenere comizi pubblici a New York. (…) In realtà né Tresca né nessun altro antifascista fu in grado di frenare l’infiltrazione delle camicie nere (…); tuttavia il coraggio di Tresca, mentre serviva di incitamento morale per gli antifascisti, era un fattore fisico onnipresente che le camicie nere non potevano ignorare se non a loro rischio e pericolo. Il contributo offerto da Tresca alla resistenza fu quello di una costante probità e di una purezza di intenti che nessuno riuscì mai a scalfire.(17)
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Gli anni Trenta furono segnati dalla scomparsa dell’AFANA, avvenuta nel corso del 1931 (Tresca ne era nel frattempo diventato segretario nel 1927, in sostituzione di Allegra). E dopo lo scoppio della guerra civile spagnola Tresca e i suoi seguaci parteciparono al Comitato d’Azione Antifascista, al quale tolsero però ben presto il loro sostegno perché, sotto l’influenza dei comunisti, esso si stava trasformando da organismo classista in strumento di collaborazione di classe. Va tuttavia detto che lungo tutto il decennio il pensiero politico di Tresca subì una certa evoluzione verso il "moderatismo" – in senso democratico-borghese –, pur mantenendosi su posizioni formalmente radicali di antifascismo "militante". Questa sorta di doppiezza politica è riscontrabile nelle sue prese di posizione su alcune questioni di importanza cruciale.
Così Il Martello (che per quasi due anni, dal maggio 1932 al gennaio 1934, dovette sospendere le pubblicazioni per mancanza di fondi) adottò un atteggiamento sostanzialmente favorevole alla politica collaborazionista di classe patrocinata e imposta dal Komintern stalinizzato in Spagna, arrivando a giustificare la partecipazione degli anarchici al governo borghese del Frente Popular. Proprio in tale ottica, Il Martello ripubblicò senza alcun commento critico di sorta un articolo del "Compagno Brand" (uno degli pseudonimi adottati da Enrico Arrigoni), già apparso in un altro giornale, nel quale si potevano leggere affermazioni del seguente tenore:
I lavoratori spagnoli, e tutte le migliaia di lavoratori coscienti di altre nazioni, che accorrono in loro aiuto, hanno compreso che il fascismo deve essere sconfitto adesso, con tutti i mezzi, sia che questi si uniformino strettamente allo spirito dei nostri principi o costituiscano un compromesso. L’unione dei lavoratori ed una specie di fusione delle diverse ideologie per una intima efficienza della direzione della guerra, è assolutamente imprescindibile, per lo meno fino alla vittoria. Gli anarchici spagnoli hanno compreso la realtà delle cose, e la imperiosa necessità del momento. Il loro antigovernamentalismo era un ostacolo nel cammino verso l’unione dei lavoratori e doveva essere sospeso per il periodo della guerra, perché il dilemma era: unione o sconfitta. (…)
Tutte le considerazioni che precedono sono facili a comprendersi dai nostri compagni che si trovano in Spagna; ma la logica di esse è difficile spiegarla a quelli che trovansi lontano dal campo di battaglia. Fra gli stessi anarchici vi è una confusione tremenda su questo principio della partecipazione dei nostri compagni spagnoli al governo, confusione che gli stessi compagni spagnoli potrebbero eliminare con una positiva e chiara dichiarazione di principi rivolta agli anarchici del mondo, nella quale si stabilisse ben chiaro che la loro partecipazione al governo non significa una rinuncia ai loro principi anti-autoritari ed anti-statali, ma solo la accettazione di una imperiosa necessità del momento per ottenere l’unione nel campo di battaglia antifascista e che una volta passato questo periodo di necessità urgente ritorneranno alla posizione di prima.(18)

Mantenendo però, anche in questo caso, i piedi su due staffe, Tresca appoggiò le critiche di sinistra alla maggioranza del movimento anarchico iberico avanzate prima da Buenaventura Durruti – che era stato ucciso a quarant’anni sul fronte madrileno nel novembre 1936, in circostanze rimaste ancora misteriose – e successivamente dal gruppo che da questi prendeva il nome: gli Amigos de Durruti, fondati a Barcellona nel marzo 1937. Integrato in tal modo da una valenza estremistica aggiuntiva del tutto teorico-formale, l’antifascismo veniva eretto da Tresca a valore assoluto, ma poi, in pratica, esso veniva di fatto utilizzato per coprire l’adattamento alla prospettiva politica non rivoluzionaria attraverso cui i partiti "di sinistra" – ivi compresi i capi anarchici spagnoli – si sforzavano di legare il proletariato al carrozzone della borghesia "democratica". Una posizione analoga è riscontrabile nell’atteggiamento adottato da Tresca rispetto agli orienta-menti economico-sociali seguiti dal presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt, laddove la denuncia del carattere fondamentalmente antioperaio del New Deal (1933-38) non gli impedì di offrire un sostegno critico ad alcuni provvedimenti varati nel quadro di quella politica.(19)
Su un altro versante, Tresca continuò a combattere il totalitarismo staliniano e i suoi agenti, soprattutto in concomitanza con la farsa dei processi di Mosca, che servirono al dittatore sovietico per liquidare fisicamente gran parte degli esponenti della vecchia guardia bolscevica. Nel 1936 Tresca aderì all’American Committee for the Defense of Leon Trotsky (ACDLT), che era stato creato in ottobre sotto la guida del filosofo John Dewey e che terminò i propri lavori con un contro-processo conclusosi, nel dicembre 1937, con un verdetto di piena assoluzione a favore dell’esule sovietico: Not guilty.(20)
Il libertario sulmonese non poté tuttavia far parte della commissione d’inchiesta preliminare che, nell’aprile 1937, si era recata a Città del Messico per interrogare lo stesso Trotsky, perché non aveva ottenuto dalle autorità statunitensi l’assicurazione di poter rientrare nel paese, di cui continuava a non avere la cittadinanza. Va qui ricordato che Tresca e Trotsky non ebbero mai l’occasione di conoscersi personalmente. Tuttavia, in una lettera inviata nell’ottobre 1937 a Margaret DeSilver, all’epoca compagna di Tresca, il fondatore dell’Armata Rossa se ne rammaricò, esprimendo il desiderio di incontrarlo, soprattutto allo scopo di discutere e coordinare la loro lotta politica contro lo stalinismo:
Sarei felicissimo di incontrare un giorno il compagno Carlo Tresca. Naturalmente non con l’obiettivo di convertirlo (noialtri vecchi rivoluzionari siamo gente ostinata), ma per discutere con lui la possibilità di misure comuni contro la cancrena staliniana.(21)
Pochi giorni prima, Trotsky aveva aderito alla campagna lanciata da Tresca in difesa dei rivoluzionari spagnoli perseguitati e massacrati dalla repressione stalinista.(22)
Ben noto è anche l’impegno profuso in quegli anni da Tresca per combattere il partito stalinista statunitense – impegnato, mutatis mutandi, nel medesimo corso controrivoluzionario che veniva contemporaneamente seguito dalle varie agenzie pubbliche del Kremlino in altri paesi (basti pensare che nell’au-tunno del 1937 esso si pronunciò contro gli "scioperi non autorizzati") – o per smascherare gli uomini (come George Mink o l’ex amico Vidali) e le attività (la misteriosa scomparsa di Juliet Stuart Poyntz nel giugno 1937, l’affare Robinson-Rubens nel novembre successivo, ecc.)(23) dei servizi segreti staliniani at-tivi negli Stati Uniti.
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Dopo il convegno degli anarchici italo-americani, organizzato per iniziativa del Gruppo Berneri di New York, Tresca decise di sospendere per quasi un anno la pubblicazione de Il Martello – dal maggio 1939 al febbraio 1940, cioè nei mesi cruciali a cavallo dello scoppio del secondo conflitto mondiale – allo scopo di favorire la diffusione del nuovo, effimero giornale che di quel tentativo unitario si faceva portavoce: L’Intesa Libertaria. Nello stesso periodo egli si impegnò nelle file della Mazzini Society, un’associazione politica radical-borghese creata alla fine del 1939 su ispirazione di Gaetano Salvemini con l’obiettivo di combattere il fascismo da posizioni "liberal-socialiste". L’adattamento di Tresca all’o-rientamento politico di fondo, democratico-borghese e anticomunista, della Mazzini Society costituisce sicuramente un fattore supplementare di imbarazzo per il movimento anarchico, soprattutto se si tiene conto del fatto che Tresca fu anche il principale assertore del mantenimento del suo carattere originario contro ogni tentativo di snaturarla.
Secondo Il Martello, insomma, la Mazzini Society doveva rimanere un organismo "democratico progressista", non influenzato né dai fascisti (o ex fascisti) né dagli stalinisti. Tresca si distinse per le sue numerose campagne tese ad impedire le "infiltrazioni" e le "manovre" di vario segno politico miranti ad assumerne il controllo: innanzitutto, quella tentata da Ricciotti Garibaldi nel febbraio 1940 e, in secondo luogo, quelle messe in atto a più riprese dalla "quinta colonna" fascista capeggiata da Generoso Pope, direttore de Il Progresso Italo-Americano, il più importante quotidiano in lingua italiana negli USA, e "grande elettore" del Democratic Party e di Roosevelt a New York. Poi, dopo che la Mazzini Society fu diventata, nel corso del 1941, uno strumento politico nelle mani del conte Carlo Sforza(24) – il quale nell’estate i quell’anno aveva addirittura cercato invano di estromettere Pope dal Progresso –, e soprattutto in seguito all’attacco sferrato dai giapponesi a Pearl Harbor nel dicembre 1941 e alla conseguente entrata in guerra degli Stati Uniti, Tresca cercò sistematicamente di impedire che i comunisti e gli ex fascisti (diventati antifascisti praticamente da un giorno all’altro) si insinuassero nella Mazzini Society e ne prendessero la guida.
Fu soprattutto a partire dal marzo 1942 che Il Martello si consacrò ad attaccare la manovra degli stalinisti di entrare "in massa" nella Mazzini Society per determinarne le scelte. Alla vigilia del primo congresso dell’organizzazione, che si sarebbe poi svolto nel giugno 1942 (e che avrebbe segnato la sconfitta della tendenza favorevole al dialogo con il Partito Comunista Italiano, rappresentato negli Stati Uniti da esponenti di un certo rilievo quali Giuseppe Berti e Ambrogio Donini), Tresca denunciò il filocomunismo del Partito Repubblicano Italiano e di Randolfo Pacciardi e le manovre dei "pretoriani di Stalin";(25) tre mesi dopo, in settembre, egli invitò pubblicamente la Mazzini Society a rimanere fedele alle motivazioni unitarie (antifasciste, ma anche anticomuniste) che erano state alla base della sua creazione. Tresca applicò la stessa duplice discriminante antifascista e anticomunista rispetto al Consiglio Italo-Americano della Vittoria (CIAV), che si venne formando sul finire del 1942 per impulso dell’Office of War Information (OWI) statunitense – organismo con cui egli aveva peraltro instaurato rapporti di collaborazione –, acuendo l’odio provato nei suoi confronti sia dagli ex-fascisti alla Pope (il quale manteneva importanti legami con la Mafia italo-americana) che dagli stalinisti.
Per quanto concerne la seconda mondiale, a differenza dell’individualista Adunata dei Refrattari (che non operava alcuna distinzione tra le forze borghesi reazionarie e quelle "progressiste", rifiutando ogni sorta di alleanza con queste ultime), la posizione antifascista "filo-alleata" e, ancora una volta, intimamente contraddittoria del gruppo raccolto attorno a Il Martello di Tresca (che era condivisa anche da un altro giornale libertario italo-americano, La Controcorrente), caratterizzata tra l’altro da un’impostazione chiaramente "tappista" – prima di tutto sconfiggere militarmente il nazifascismo, lavorando di pari passo per creare le condizioni propizie al rovesciamento del capitalismo in un secondo tempo –, è stata ben riassunta da Adriana Dadà:
Più articolata e realista [de L’Adunata dei Refrattari] la posizione del Il Martello e de La Controcorrente. Individuate nello scontro fra contrapposti interessi economici oltre che politici le reali cause di una guerra che viene presentata come guerra "per la democrazia contro il nazifascismo", è però evidente per i due periodici che "Chi lotta per la libertà dei lavoratori" non può restare indifferente di fronte al possibile esito della lotta fra nazioni che pur rappresentano differenti modi di gestione del-lo sfruttamento capitalistico. Primo nemico è il totalitarismo sotto qualsiasi fora si presenti, di nazismo o di fascismo; è quindi necessario sperare ed operare per una vittoria delle forze alleate contro il nazifascismo; e contemporaneamente sviluppare un’azione che non faccia trovare alla fine del conflitto, le forze sinceramente rivoluzionarie impreparate ma pronte a sfruttare l’occasione per la propria liberazione dal capitalismo.(26)
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L’aggravamento dell’irreversibile crisi interna della Mazzini Society manifestatosi tra la fine del 1942 e gli inizi del 1943 fu inasprito tra l’altro, nella serata dell’11 gennaio 1943, dall’assassinio di Tresca, che ne era stato un paladino del tutto disinteressato. Le varie forze combattute da Tresca e chiamate successivamente in causa quali possibili responsabili del suo assassinio – lo stalinismo, il fascismo e la mafia italo-americana – avevano sicuramente motivo di odiare un avversario tanto irriducibile. Come abbiamo accennato all’inizio del presente scritto, le più recenti scoperte d’archivio confermerebbero quanto sostenuto da una parte di coloro che, nel corso di sessant’anni, si sono occupati del "Caso Tresca" prospettando l’ipotesi di un assassinio commissionato dall’OVRA, la famigerata polizia politica segreta del regime mussoliniano, direttamente a "Cosa Nostra".
Secondo alcune fonti "ufficiali" statunitensi, nell’ultimo periodo della sua vita Tresca aveva adottato un atteggiamento più "possibilista" circa l’entrata dei comunisti nel CIAV di New York, mentre tutta una serie di esponenti dell’emigrazione politica antifascista italiana – come il sindacalista Luigi Antonimi(27) e l’ex militante comunista ed ex agente dell’OVRA Giovanni Buscemi detto Vanni B. Montana(28) – si erano invece pronunciati a favore dell’ingresso di Pope e dei suoi uomini.
Non è certo questa la sede per cercare di illustrare compiutamente tutti i retroscena dell’agguato mortale a Tresca e per analizzare nei dettagli la fondatezza delle varie supposizioni che all’epoca vennero formulate in proposito. Rimane il fatto che, dopo l’uccisione di Tresca, la stragrande maggioranza dell’antifascismo liberaldemocratico esule negli Stati Uniti, e in primo luogo le sue nuove reclute ex fasciste, propendette per la tesi secondo cui la responsabilità dell’assassinio ricadeva sullo stalinismo. E anche la storiografia "di sinistra" legata alle varie correnti antistaliniane, come abbiamo già accennato, è sempre stata abbastanza contraria alle versioni che non chiamassero in causa lo stalinismo – o quanto meno anche lo stalinismo, all’occorrenza come ipotesi maggiormente probabile rispetto alle altre.
Tresca era ben consapevole della possibilità di morire per mano dei suoi avversari e, nel quadro di tale consapevolezza, anch’egli aveva più volte prospettato due possibili varianti di un suo eventuale assassinio: ad opera di un agenti staliniani come Vidali – "Dove c’è lui ", aveva confidato Tresca ad Antonini, "aleggia l’odore della morte" – oppure ad opera di sicari al servizio del regime fascista. Mauro Canali ha sottolineato come l’anarchico sulmonese avesse anche ben presente l’alto livello di collusione esistente tra i fascisti come Pope e i boss mafiosi italo-americani di New York:
Tra tutti i nemici di Tresca, certamente Pope era il più potente e il più pericoloso. A preoccupare Tresca erano i legami che univano Pope alla mafia newyorkese. Tresca li conosceva bene e talvolta aveva confidato ai suoi amici più intimi di temere per qualche iniziativa di Pope nei suoi confronti. Non ignorava i rapporti tra Pope e Frank Garofalo, un elemento di spicco della malavita newyorkese (…) Pope era per Tresca un "gangster" e un "racketeer", che manteneva ottimi rapporti con i capi della mafia di New York, come Frank Costello, Lucky Luciano e Vito Genovese.(29)

Va anche detto che, all’indomani dell’assassinio, alcune voci isolate, come quella di un ex collaboratore di Tresca, lo scrittore Ezio Taddei (anch’egli successivamente passato, come Allegra, nelle file dello stalinismo), puntarono pubblicamente e direttamente un indice accusatore proprio contro la mafia – e segnatamente contro Carmine Galante –, prospettando la collusione con quest’ultima dell’ex fascista Pope e insinuando che gli autori e i mandanti dell’omicidio avevano goduto dell’aiuto di un informatore presente nell’entourage di Tresca.(30) Secondo la testimonianza della sorella di Taddei, all’indomani dell’uccisione di Tresca questi sarebbe arrivato a chiedere "l’arresto di Generoso Pope, di Frank Garofalo e dei loro complici".(31) E in seguito anche il Tresca Memorial Committee presieduto da Norman Thomas, pur prendendo in considerazione tutte le varie ipotesi, pose un accento maggiore sul coinvolgimento di Pope, Galante e compagnia, nonché sull’inadeguatezza delle indagini svolte dalla polizia di New York.(32)
Le tesi alternative, essenzialmente basate sulla matrice fascista dell’assassinio, apparvero sempre ai loro occhi in posizione subordinata, mentre furono invece accreditate all’epoca soprattutto dagli esponenti stalinisti. Tuttavia delle tesi alternative di questo tipo sarebbero salite prepotentemente alla ribalta negli anni Cinquanta. Ricordiamo in primo luogo la trasmissione televisiva curata nel 1953 per la CBS da Walter Cronkite, Death of an Editor, "in cui l’assassinio veniva attribuito alla mano della mafia, che avrebbe agito su ordine di Mussolini".(33) Un anno dopo un altro giornalista statunitense, Edward Reid, pubblicò un’inchiesta sulla mafia contenente un intero capitolo consacrato all’assassinio di Tresca ad opera della mafia italo-americana – per mano di Carmine Galante e per conto del regime fascista, con il quale sarebbe stato stipulato un vero e proprio "Contratto" –, e ad alcuni dei suoi inquietanti retroscena.(34) Lo stesso Charles "Lucky" Luciano aveva più volte puntato l’indice sulle responsabilità di Vito Genovese e del fascismo, ad esempio in una lunga intervista-testamento pubblicata in volume negli anni Settanta.(35) Le rivelazioni più recenti sono state presentate nel già menzionato articolo di Canali, in cui si annunciavano "alcune recenti acquisizioni documentali (…) consentite dalla liberalizzazione di (…) fondi dell’OSS" che "permettono di aggiungere alcuni elementi significativi alla versione del delitto che chiama in causa fascismo e mafia".(36)
Per motivi di spazio, ma anche per non abusare troppo della pazienza dei nostri lettori, non ci dilungheremo ulteriormente sugli infiniti particolari relativi all’agguato e alle varie fasi dell’inchiesta di polizia che ne seguì. Vogliamo però almeno ricordare che l’uomo che era stato fermato all’indomani dell’omici-dio e che ne era stato quasi certamente l’esecutore, il trentatreenne Carmine Galante, era un gangster appartenente alla "famiglia" mafiosa capeggiata da Vito Genovese. Nel 1937 quest’ultimo era dovuto fuggire nell’Italia fascista – a Mussolini aveva poi offerto laute elargizioni in favore del regime – per sot-trarsi ad un arresto e che ritroveremo in seguito, qualche mese dopo l’uccisione di Tresca e vestito con l’uniforme dell’esercito statunitense, come "interprete di fiducia del colonnello [Charles] Poletti, capo del comando militare alleato in Italia".(37) Un chiaro sintomo, questo, del fatto che la mafia, combattuta dal fa-scismo in maniera tanto parziale e insufficiente, si adattava senza tanti problemi al governo di occupa-zione anglo-americano, del quale aveva peraltro già facilitato lo sbarco in Sicilia nel luglio 1943, e risul-tava essere "uno dei soggetti portanti dell’assetto di potere che si [andava] delineando sotto il comando degli Alleati".(38)
E forse furono anche questi rapporti di collaborazione tra "Cosa Nostra" e una parte delle autorità statunitensi ad influire negativamente sul corso delle indagini. Se fossero state portate avanti con maggiore decisione e incisività, esse avrebbero potuto determinare l’arresto e l’incriminazione di alcuni uomini di punta della mafia italo-americana che però, nel corso del 1943, con l’avvio della "Campagna d’Italia" da parte degli anglo-americani, era diventata un prezioso alleato dell’esercito e dei servizi segreti USA.
Ammazzato ad un angolo di strada come un cane da un sicario che agiva in ultima analisi per conto del fascismo, Tresca fu poi metaforicamente ucciso per una seconda volta dall’inerzia delle autorità "democratiche" degli Stati Uniti, anch’esse in qualche modo colluse con la mafia sul teatro di guerra italiano – e anche, non dimentichiamolo, militarmente alleate al totalitarismo staliniano – dopo avere per tanti anni mantenuto relazioni diplomatiche ed economiche più o meno cordiali con l’Italia fascista.(39)
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Il testo di Tresca che pubblichiamo nel presente numero dei Quaderni Pietro Tresso è ispirato al maldestro tentativo di assassinare Mussolini messo in atto a Roma nel novembre 1925 dall’ex onorevole Tito Zaniboni.
Zaniboni era nato a Monzambano (Mantova) nel 1883 e aveva aderito fin da giovane al movimento socialista, distinguendosi per le sue doti di propagandista all’epoca della guerra di Libia. Richiamato alle armi durante la prima guerra mondiale come ufficiale degli alpini, si distinse per il suo coraggio e fu promosso per meriti di guerra e più volte decorato al valor militare. Alle elezioni politiche del novembre 1919 venne eletto in parlamento nelle liste del PSI, e fu poi uno dei più accesi fautori del "patto di pacificazione" con i fascisti stipulato nell’agosto 1921. L’anno seguente, in seguito all’espulsione dell’ala riformista decretata dal XIX Congresso Nazionale del PSI svoltosi a Roma agli inizi di ottobre, Zaniboni fu – insieme a Filippo Turati, Claudio Treves e Giacomo Matteotti – tra i fondatori del Partito Socialista Uni-tario (PSU), in seno al quale sostenne per quasi due anni la necessità di una collaborazione governati-va con il fascismo, che era giunto al potere dopo la "marcia su Roma".
La sua non rielezione in parlamento nell’aprile 1924, il rapimento e il successivo assassinio di Matteotti e l’infruttuosità dell’incontro con Vittorio Emanuele III, allorché Zaniboni aveva cercato di convincere il sovrano ad esautorare Mussolini in favore di un nuovo governo formato dai partiti dell’Aventino, segnarono sicuramente altrettante tappe cruciali sulla via della sua decisione di passare ad una forma di lotta maggiormente incisiva – armata e, di conseguenza, clandestina – contro il fascismo. A partire dal-l’estate 1924 Zaniboni, che tra l’altro era da tempo affiliato alla massoneria di Palazzo Giustiniani (come membro della Loggia "Lira e Spada"),(40) allacciò numerosi contatti – ad esempio, con il movimento Italia Libera e con quello organizzato in Francia da Peppino e Ricciotti Garibaldi – in vista di una più decisa azione antifascista e antimonarchica.
L’ambiguità della prospettiva di fondo e delle forze che Zaniboni aveva tentato di convincere e di coinvolgere portarono all’abbandono di quel tipo d’azione, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto sfociare in una sorta di "insurrezione armata" politicamente e socialmente minoritaria, cioè senza alcun sostegno di massa e direttamente gestita da una ristretta "élite" politica priva di un progetto politico complessivo comune e tenuta insieme essenzialmente dalla discriminante antifascista. Zaniboni decise allora di imboccare il vicolo cieco del terrorismo individuale e incominciò ad organizzare un attentato alla vita di Mussolini del quale lui stesso doveva essere l’esecutore materiale, attentato che inaugurò tutta una serie di tentativi (puntualmente falliti) di assassinare il capo del fascismo. Come ha osservato Mim-mo Franzinelli:
La strategia degli attentati contro il duce congiunse in situazioni ambigue aspiranti tirannicidi e confidenti di polizia. Tra il novembre 1925 e l’ottobre 1926 la vita politica italiana fu influenzata da ben quattro attentati che, se fallirono l’obiettivo (il dittatore ne uscì indenne, a parte un scalfittura al naso) agevolarono l’involuzione liberticida, sotto la parvenza dell’emergenza terroristica.
Le responsabilità del primo complotto contro Mussolini sono attribuibili alle velleità giustiziere dell’ex deputato socialista Tito Zaniboni e all’accorta opera di fiancheggiamento attuata da individui a lui vicini, manovrati da spie a contatto diretto col capo della polizia. La vicenda mostrò quanto si potesse conseguire con un’accorta azione di controllo e d’indirizzo nei confronti di personaggi che – in assoluta buona fede – miravano a sbloccare il processo autoritario ma sortirono esiti opposti, con l’occulta regia dei vertici della polizia e la manovalanza di agenti provocatori abili nel montare situazioni criminose dalle quali il regime ricavò vantaggi notevoli in termini di delegittimazione delle opposizioni. Zaniboni, deluso dalla passività degli antifascisti dinanzi al rafforzamento della dittatura, dopo essersi mosso nelle direzioni più varie (inclusi colloqui con D’Annunzio e con Vittorio Emanuele, complotti col clan familiare Garibaldi, ecc.), si era convinto che la soluzione obbligata per risolvere la situazione consistesse nell’assassinare il capo del governo, in una data e con modalità simboliche, per riscattare i destini della patria sull’esempio delle figure eroiche tramandate dalla tradizione classica greco-romana.(41)
La realtà dell’organizzazione dell’attentato fu comunque ben più prosaica. Coadiuvato da un confratello – il generale di corpo d’armata Luigi Capello, artefice durante la prima guerra mondiale della conquista di Gorizia e della vittoria della Bainsizza, fascista convinto e alto dignitario della massoneria(42) –, il quarantaduenne Zaniboni aveva progettato di assassinare Mussolini il 4 novembre 1925 sparandogli con un fucile dalla finestra di una camera dell’Hotel Dragoni di Roma quando il duce si fosse affacciato dal balcone di Palazzo Chigi per salutare i partecipanti al corteo diretto all’Altare della Patria in occasione delle celebrazioni del settimo anniversario della vittoria.
Il problema, per Zaniboni, fu che la polizia fascista lo teneva sotto controllo da oltre un anno ed era a conoscenza di tutti i dettagli dell’operazione, innanzitutto grazie alla delazione di un grande amico personale dello stesso Zaniboni, lo studente cattolico Carlo Quaglia,(43) indotto al tradimento da un’attrice di terz’ordine dotata di spiccate vocazioni spionistiche – tale Maria Luisa Scala, alias "Marisa Romano" – e dall’amante di questa, il giornalista Giuseppe Mascioli, entrambi al servizio dell’OVRA.(44) Alcune fonti parlano inoltre delle spiate di altre due donne: la sorella di Zaniboni, che avrebbe informato le autorità dei propositi terroristici del fratello, e la contessa Noli da Costa, che sarebbe stata in rapporti intimi sia con lo stesso Zaniboni che con Mussolini.(45) E proprio a causa di queste molteplici denunce il progetto terroristico di Zaniboni fu noto fin dall’inizio agli apparati polizieschi, che seppero monitorarlo, pilotarlo e successivamente sfruttarlo a vantaggio del fascismo. In buona sostanza non si possono non condividere le conclusioni di Renzo De Felice, secondo cui:
Un attentato di questo genere non poteva preoccupare Mussolini: una volta scoperto poteva, se mai, solo giovargli. L’importante era saperlo sfruttare a dovere, presentandolo non come un atto pressoché individuale e politicamente senza importanza, come in effetti era, ma – al contrario – come la prova tangibile che le opposizioni, ormai irrimediabilmente sconfitte, erano giunte al punto – pur di abbattere il fascismo – di ricorrere al terrorismo […]. Da qui la montatura giornalistica e propagandistica del mancato attentato Zaniboni subito orchestrata dal fascismo.(46)
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Con perfetto tempismo Zaniboni venne dunque arrestato a Roma proprio mentre si preparava a sparare contro il duce, e la stessa sorte toccò a Capello. L’affiliazione massonica dei due comportò, ai sensi del comunicato ufficiale emesso subito dopo gli arresti, "l’immediata occupazione di tutte le logge massoniche dipendenti da Palazzo Giustiniani".(47) Ma le conseguenze più gravi di quell’atto furono ovviamente, come si è già accennato, di ordine politico, a partire dallo scioglimento del PSU – nelle cui file Zaniboni aveva militato fino a pochi mesi prima –, vera e propria messa fuorilegge reclamata da Mussolini in persona nella circolare telegrafica che aveva prontamente inviato ai prefetti italiani:
Notizia mancato attentato contro di me non deve in alcun modo suscitare rappresaglie da parte fascista. Ordine non deve essere minimamente turbato. Lo esigo con la massima severità. Fallito tentativo è conferma dispersione di torbide opposizioni che vedono la battaglia ormai irremissibilmente perduta ed assistono al crescente consenso del popolo italiano per il regime. Misure governo consistenti occupazione tutte logge, arresto tutti i colpevoli, scioglimento Partito [socialista] unitario et sospensione giornale Giustizia devono escludere altre iniziative qualsiasi specie di ordine individuale. Sono certo che tutti i fascisti ubbidiranno come sempre.(48)
Il "ragionevole" appello del capo del fascismo, che vietava qualsiasi azione di rappresaglia, non fu accolto favorevolmente dall’ala più intransigente del Partito Nazionale Fascista (PNF) e, in primo luogo, dal suo segretario generale Roberto Farinacci, che aveva chiesto a gran voce una stretta repressiva non soltanto contro i "sovversivi", ma anche contro le forze d’opposizione più moderate, compreso il cattolico Partito Popolare Italiano. Tuttavia, nonostante le divergenze emerse all’interno delle su file, il fascismo seppe sfruttare al meglio l’occasione offerta dal fallito attentato , che non equivaleva affatto – come Mussolini aveva ben intuito – ad un segnale di ripresa dell’antifascismo, ma che era invece una riprova della crisi delle opposizioni "pseudo-costituzionali" e un’estrema manifestazione individuale di disperazione e di protesta anche contro l’inefficacia dell’azione politica messa in atto dalle forze aventiniane.
Un anno e mezzo dopo l’arresto, Zaniboni e Capello furono tra i primi ad essere sottoposti al giudizio del Tribunale Speciale, che era stato istituito il 25 novembre 1926 da un’apposita legge "per la difesa dello stato" in seguito ad un altro attentato (fallito) alla vita di Mussolini messo in atto un mese prima a Bologna dallo studente Anteo Zamboni. Entrato in funzione il 4 gennaio 1927, il Tribunale Speciale celebrò il processo a carico di Zaniboni e dei suoi complici veri e presunti dal 21 al 23 aprile dello stesso anno. Secondo la sentenza finale, l’attentatore era "Colpevole di insurrezione a mano armata, di tentato omicidio volontario qualificato e di porto abusivo d’armi", e per tali reati venne condannato ad una pena detentiva di trent’anni; la stessa condanna colpì anche il generale Capello.
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Il Martello consacrò soltanto tre articoli all’attentato organizzato da Zaniboni ai danni di Mussolini, che veniva immediatamente qualificato come un "segreto di Pulcinella", e in seguito non ritornò più sull’argomento.(49) Tuttavia, basandosi sui fatti relativi a quell’episodio, Tresca decise di scrivere "a caldo" il bozzetto teatrale L’attentato a Mussolini. A quanto ci risulta, esso venne rappresentato per la prima volta – dopo essere stato "già proibito dalla polizia di New York" – presso la Music Hall di New Haven nella serata del 30 gennaio 1926, in occasione della "grandiosa festa proletaria" organizzata "sotto gli auspici del ‘Gruppo Germinal’ per contribuire alle spese di pubblicazione del Martello e per una forte affermazione antifascista della colonia italiana".(50) Nel corso della festa – la prima ad essere organizzata dall’AFANA – sarebbero inoltre intervenuti, in veste di oratori, lo stesso Tresca e Antonio Aloia. Nel numero de Il Martello pubblicato all’indomani di quella serata il segretario dell’AFANA sottolineò il grande successo della "Festa pro Liberazione d’Italia":
La folla, l’entusiasmo, la cordialità tra gente di diverse scuole politiche, la gara di assistenza, ha dimostrato ancora una volta di quanto affetto e di quanta popolarità è circondata la Alleanza Antifascista che si propone dar battaglia al fascismo in America e aiutare il popolo italiano a liberarsi dalla tremenda piaga delle camice nere.
Sin dalle prime ore della sera l’immenso Salone era gremito. La polizia dovette chiamare le sue riserve per tenere a bada la folla, e ad un certo punto ordinò la chiusura delle porte della Bryant Hall.
Agenti federali, agenti della famosa squadra delle bombe, agenti della Città e detectives privati, erano in continuo movimento perché una massa enorme, circa mille persone, era rimasta fuori dalla sala e minacciava tumultuare.
Che spettacolo: una serata polare, e pure questa folla si assiepava nei dintorni del locale con la speranza di poter più tardi entrare. Si son viste donne coi bambini in braccia a sfidare i rigori del freddo per delle ore, e senza alcuna imprecazione o protesta contro gli organizzatori della festa che hanno fatto del loro meglio non avendo potuto trovare una sala più grande della Bryant Hall, e poi anche perché non si aspettava una folla così immensa.
Il bozzetto di Tresca: L’attentato a Mussolini, una requisitoria acre e burlesca riempì maggiormente l’atmosfera di brio. Giornalisti americani e gli stessi ufficiali di polizia, pur non comprendendo alla lettera quello che si recitava ridevano ai gesti del buffo Mussolini…
(…)
Va data lode alla massa dei compagni, dei lavoratori italiani che ci segue con devozione, con affetto. Vorremmo pubblicare le lettere che ci pervengono complimentandoci, e vorremmo pure pubblicare le lettere di coloro i quali son rimasti fuori dalla Sala. Essi mandano lo stesso l’importo dei biglietti, malgrado non abbiano potuto godere dello spettacolo e ci supplicano a che un’altra festa venga al più presto annunziata.
Ciò ci consola, è l’unica soddisfazione che vien data all’animo nostro attraverso le difficili lotte che dobbiamo sostenere contro un nemico insidioso, vile, perché lavora sottomano con l’aiuto dei Consolati divenuti covi dello spionaggio fascista.
Intanto grazie a tutti e al lavoro per dar guerra senza quartiere al fascismo.(51)
Una seconda "festa proletaria" dello stesso genere venne successivamente annunciata, sempre alla Music Hall di New Haven, per la serata del 20 febbraio 1926, ma stavolta la polizia locale proibì la rappresentazione della pièce teatrale di Tresca:
Era tutto pronto e vivissima l’attesa quando all’ultima ora il capo della polizia fece sapere che ad ogni costo avrebbe impedita la rappresentazione. Il compagno Allegra, per l’Alleanza Antifascista di New York, ed altri compagni del luogo ebbero un lungo ed animato colloquio col rappresentante l’ordine pubblico della città, già teatro di animate lotte tra fascisti e antifascisti, ma l’egregio uomo non cedette, consentendo appena che il resto del programma della serata si svolgesse senza interferenze poliziesche, e fu irremovibile nel divieto della rappresentazione del lavoretto drammatico di Tresca.
Si ebbe, così, di fronte ad un notevole pubblico, il programma ridotto, con scelta musica e canto, e poi, dopo parole di propaganda antifascista di Aloia, Allegra, Quintiliano e Tresca, il ballo, che si protrasse fino a tarda ora.
L’American Civil Liberties Union, che nel divieto del capo della polizia di New Haven, vede una violazione dei diritti costituzionali alle libertà del popolo, ha deciso di fare sua la causa dei compagni di New Haven, e promette il suo valido appoggio per vedere presto rappresentato anche a New Haven questo bozzetto che suscita le ire dei fascisti ed i timori della polizia.(52)
Sulla stessa pagina del giornale figurava per la prima volta la pubblicità dell’opuscolo contenente il "bozzetto drammatico-satirico" di Carlo Tresca L’attentato a Mussolini ovvero Il segreto di Pulcinella, che era stato nel frattempo dato alle stampe dalla Casa Editrice "Il Martello" di New York, e la cui data di pubblicazione va dunque fatta risalire al marzo 1926.(53) Affiancato, nei riquadri pubblicitari de Il Martello, dal volume di Salvemini intitolato Come funziona la dittatura fascista, l’opuscolo di Tresca conobbe sicuramente una notevole diffusione tra gli emigrati italiani negli Stati Uniti. Del resto, il giornale lo aveva presentato ai propri lettori in modo tale da suscitare una certa curiosità:
Condensa in poche linee il carattere tragicamente teatrale del regime nero.
L’autore, nemico irreconciliabile del fascismo, i cui capi un giorno combatterono al suo fianco contro le forze reazionarie, traendo spunto dalle debolezze intime di essi, dalle rivelazioni fatte intorno al "Complotto" e dagli episodi che ne furono la genesi, ne forma un tutto unico che con fine ironia, con pungente sarcasmo smonta la montatura del "Complotto" e staffila i mostri che l’idearono.(54)
Non sappiamo se la pièce di Tresca abbia continuato ad essere messa in scena nei mesi e negli anni seguenti. Sulle pagine de Il Martello si ha traccia di una sola rappresentazione successiva a quelle del gennaio-febbraio 1926, avvenuta nel pomeriggio del 13 marzo 1932 alla Columbus Hall di Oldforge (Pennsylvania). In occasione di quella "grande recita pro stampa nostra e vittime del fascismo", la Filodrammatica La Sociale di New York mise in scena anche un altro lavoro teatrale, La ragnatela. Nuovo dramma dello spionaggio fascista in tre atti, opera del socialista Vincenzo Vacirca.(55) Per amor di completezza, segnaliamo che l’attività di autore teatrale di Carlo Tresca non si limitò a L’attentato a Mussolini. Abbiamo infatti notizia di almeno un’altra sua pièce dal titolo Il vendicatore. Dramma sociale antifascista in quattro atti, che fu rappresentato dalla Filodrammatica Moderna nella serata del 7 aprile 1934 presso la Ukrania National Hall di New York,(56) e che venne presentata ai lettori de Il Martello con il seguente commento:
È un lavoro a forte tinte. Si svolge nell’ambiente fascista, in Italia, ove la tirannide più triste prepara, nell’odio delle folle, la scintilla che farà divampare il fuoco divoratore della vendetta.
È stato scritto appositamente da Carlo Tresca affinché, portate sulle scene gli orrori della inquisizione fascista, e il desiderio ardente della massa operaia a cercare le vie di uscita, si possa tenere desto lo spirito della rivincita.
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Per concludere, ci sia consentito tratteggiare brevemente le biografie dei principali personaggi che, ne L’attentato a Mussolini, affiancano il duce, tralasciando lo stesso Mussolini e la "Contessa del Viminale" di cui abbiamo già parlato. Figlio di un commissario di polizia, Roberto Farinacci (1892-1945) fu dapprima seguace del riformismo socialista propugnato da Leonida Bissolati, adottando poi posizioni interventiste nel 1914. Massone dal 1915, nel novembre 1918 aveva fondato a Cremona il Circolo "Giordano Bruno", che fu l’embrione del futuro fascio di combattimento di quella città. Sansepolcrista, fu segretario del Fascio cremonese e capo del violento squadrismo locale. Dopo la marcia su Roma fu uno dei principali esponenti della corrente più intransigente del fascismo, scontrandosi per questo più volte con lo stesso Mussolini. Deputato in parlamento e membro del Gran Consiglio fascista, nel corso del 1925 aveva assunto la carica di segretario generale del PNF, dalla quale dovette però dimettersi nel marzo dell’anno seguente a causa dei suoi continui dissensi con Mussolini. Dopo di allora non ricoprì più alcuna carica di rilievo a livello nazionale, pur continuando a godere di una certa influenza grazie anche al suo quotidiano Il Regime Fascista. Volontario nella campagna coloniale d’Etiopia nel 1935 e convinto sostenitore delle leggi razziali nel 1938, fu uno dei più accesi fautori dell’alleanza con la Germania nazista e dell’entrata in guerra dell’Italia. Fuggito in Germania dopo il 25 luglio 1943 e successivamente rientrato a Cremona in seguito alla proclamazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), fu catturato dai partigiani dopo il 25 aprile 1945 e fucilato.
Anche Edmondo Rossoni (1884-1965) aveva incominciato la propria carriera politica nelle file socialiste, avvicinandosi poi a Milano al sindacalismo rivoluzionario e alla propaganda antimilitarista. Dopo aver rotto con il PSI nel 1907 ed essere stato condannato nel 1908 a quattro anni di reclusione per la sua attività politico-sindacale, egli emigrò dapprima in Francia, poi in Brasile e infine negli Stati Uniti, dove a partire dal 1910 fu inizialmente attivo nella FSI, diventando nel 1911 redattore, e nel 1914 direttore, de Il Proletario di New York, il giornale che Tresca aveva diretto negli anni 1904-06. Passato su posizioni "interventiste rivoluzionarie", Rossoni fu richiamato alle armi e rientrò in Italia nel 1916. Due anni dopo, nel giugno 1918, prese parte alla creazione della Unione Italiana del Lavoro (UIL), il sindacato interventista di cui fu eletto segretario nazionale e in seno alla quale provocò successivamente una scissione, nel settembre 1921, passando poi a dirigere l’organizzazione sindacale fascista a Ferrara. Diventato capo della Confederazione Nazionale dei Sindacati, dal 1923 al 1929 fu membro del Gran Consiglio del fascismo e dal 1924 al 1939 fu deputato in parlamento. Dopo il fallimento del suo tentativo, risalente nel 1923, di riorganizzare tutto il "mondo del lavoro" accorpando in un’unica organizzazione interclassista le corporazioni e le organizzazioni padronali dell’industria e dell’agricoltura, Rossoni dovette piegarsi nel 1928 allo scioglimento della Confederazione delle Corporazioni Nazionali Fasciste. Negli anni Trenta ricoprì ancora importanti cariche governative, ma nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 votò l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, che sanciva la caduta di Mussolini, e per questo motivo nel gennaio 1944 fu condannato a morte in contumacia al processo-farsa di Verona. Dopo la Liberazione, la condanna all’ergastolo pronunciata nei suoi confronti lo spinse a rifugiarsi in Vaticano e successivamente in Canada, rientrando poi in Italia dopo l’annullamento di quest’ultima sentenza.
Il cardinale Pietro Gasparri (1852-1934) aveva iniziato la sua carriera sacerdotale specializzandosi nell’insegnamento del diritto canonico. Delegato apostolico in America Latina nel 1898, venne poi richiamato a Roma nel 1901 per occupare il posto di segretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari. Gasparri si consacrò per quasi un quindicennio al progetto di codificazione canonica, che si concluse poi nel 1917 con la promulgazione del Codex iuris canonici. Creato cardinale da Pio X nel dicembre 1907, egli fu poi nominato segretario di stato del Vaticano da Benedetto XV, carica che occupò anche sotto Pio XI, fino al 1930. Principale artefice delle trattative che, condotte in segreto fin dall’agosto 1926, portarono ai Patti Lateranensi del febbraio 1929 tra lo stato fascista italiano e la Santa Sede, nel 1930 Gasparri – che si era distinto per le sue eccessive simpatie nei confronti del regime fascista – venne sostituito alla segreteria di stato da Eugenio Pacelli, il futuro papa Pio XII.
Sotto le mentite spoglie del Cavaliere Brisco – che Tresca mette ripetutamente in ridicolo definendolo "Il cafone d’America", e al quale fa dichiarare ad un certo punto il desiderio di mettere a tacere per sempre il libertario sulmonese con una pugnalata – si cela evidentemente il più volte ricordato Generoso Pope (1891-1950), il beneventano che, emigrato negli Stati Uniti nel 1906, era in seguito diventato uno degli uomini più ricchi e influenti della comunità italo-americana, un amico di "Cosa Nostra", un fiancheggiatore del Democratic Party di Roosevelt e un convinto sostenitore del fascismo, salvo poi voltar la gabbana dopo il crollo del regime.
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Qualche cenno meritano anche almeno due delle figure che, pur non intervenendo direttamente nei dialoghi, vengono citate dai protagonisti della pièce, a cominciare da "Michelino", il nomignolo attribuito a Michele Bianchi (1883-1930). Militante socialista e giornalista dell’Avanti! a Roma nel 1903-05, aderì successivamente al sindacalismo rivoluzionario e fu segretario delle Camere del Lavoro di Genova, poi di Savona e infine di Milano. Dopo aver adottato posizioni "interventiste rivoluzionarie", si iscrisse al Fascio d’Azione Rivoluzionaria e fu volontario nella prima guerra mondiale, passando su posizioni nazionaliste. Sansepolcrista, divenne segretario del Fascio milanese e poi del PNF dal 1921 al 1923, e fu uno dei quadrunviri della "marcia su Roma" del 1922, in seguito alla quale venne nominato segretario generale del ministero degli Interni dal 1922 al 1924 ed eletto deputato in parlamento nel 1924 e nel 1929, ricoprendo infine la carica di ministro dei Lavori Pubblici a partire dal 1929.
Quanto allo squadrista Amerigo Dumini (1896-1968), egli è passato alla storia soprattutto per aver capeggiato la banda di sicari che nel giugno 1924 rapì e assassinò il parlamentare social-riformista Giacomo Matteotti. Già attivo nel 1921-22 nelle violente "spedizioni punitive" organizzate dai fascisti a Foiano della Chiana (Arezzo) e a Sarzana, dopo la presa del potere da parte del fascismo passò al servizio del ministero degli Interni e fu tra l’altro inviato in Francia con l’incarico di spiare le attività dei fuorusciti antifascisti. Dopo la vile uccisione di Matteotti, Dumini fu arrestato mentre cercava di fuggire da Roma e successivamente detenuto per quasi due anni nel carcere romano di Regina Coeli. Nel marzo 1926 venne infine processato a Chieti e condannato per omicidio preterintenzionale a cinque anni, due mesi e venti giorni di reclusione; quattro anni gli furono tuttavia condonati in base all’amnistia del luglio 1925, e Dumini poté dunque ritornare immediatamente in libertà. Nuovamente arrestato a Piacenza nel luglio 1945, egli venne processato a Roma nel gennaio 1947 insieme ad alcuni dei suoi complici e mandanti, e condannato all’ergastolo per omicidio premeditato, riacquistando poi la libertà nel marzo 1956 grazie ad un provvedimento di clemenza adottato dall’allora ministro di Grazia e giustizia, Aldo Moro.
È curioso notare come quasi tutti i personaggi che animano il bozzetto teatrale di Tresca abbiano un denominatore comune, relativo agli albori della loro traiettoria politica: quello di aver fatto parte di organizzazioni del movimento operaio – il socialismo più radicale (nel caso di Mussolini), il riformismo o il sindacalismo rivoluzionario – prima passare su posizioni interventiste e di aderire, in seguito, alla rea-zione fascista.


1 "Dopo la sua morte, egli ricevette onori speciali nel suo paese di nascita (…) [dove] ad una piazza che era intitolata a Vittorio Emanuele II, è stato dato, per disposizione del consiglio comunale, il nome di Piazza Carlo Tresca" (Chi uccise Carlo Tresca?, Tresca Memorial Committee, New York 1947, p. 10).
2 Tanto per fare un esempio, in un volume pubblicato lo scorso anno – Edoardo Puglielli, Abruzzo rosso e nero, Centro Studi Libertari "Camillo Di Sciullo", Chieti 2003, che comprende un intero capitolo su Carlo Tresca (pp. 55-68) – viene adombrata la possibilità di un omicidio mafioso commissionato dal fascismo; ma tale possibilità è però immediatamente accantonata in virtù del successivo proscioglimento e rilascio, da parte delle autorità statunitensi, di Carmine Galante. "Rimase dunque aperta l’ipotesi comunista", continua l’autore del libro insinuando una probabile responsabilità di Vidali. Tuttavia la titubante conclusione a cui egli perviene – "l’omicidio rimase dunque avvolto nel mistero" (ivi, p. 67) – equivale a voler comunque perpetuare artificialmente un "mistero", appunto, che è da tempo stato svelato nei suoi aspetti essenziali.
3 Felice Guadagni, "Un profilo di Carlo Tresca", in Manet immota fides. Omaggio alla memoria imperitura di Carlo Tresca, numero speciale de Il Martello (non numerato, ma corrispondente al n. 4 del 28 marzo 1943) realizzato su iniziativa del Gruppo Carlo Tresca (già Gruppo "Il Martello") e curato dallo stesso Guadagni e da Renato Vidal, p. 4.
4 Ibidem.
5 Cit. ivi.
6 Cit. ibidem, p. 30.
7 Cit. ivi.
8 Con la parziale eccezione di Adriana Dadà, "La stampa anarchica", in AA.VV., L’antifascismo italiano negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, Archivio Trimestrale, Roma 1984, pp. 349-370. Ma si veda anche la dettagliata scheda che la stessa autrice aveva precedentemente consacrato a Il Martello in: Leonardo Bettini, Bibliografia dell’anarchismo, vol. I, tomo 2: Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati all’estero (1872-1971), Crescita Politica, Firenze 1976, pp. 201-205.
9 Cfr. "La fame in Russia", Il Martello, a. VII, n. 27, 13 agosto 1921, p. 2; su posizioni più dichiaratamente antileniniste si colloca l’articolo di Carlo Tresca, "Lenin", Il Martello, a. X, n. 5, 2 febbraio 1924, p. 3.
10 Sulla storia dell’AFANA si veda tra l’altro l’articolo di Pellegrino Nazzaro, "Il manifesto dell’Alleanza Antifascista del Nord America", Relazioni Internazionali, a. II, n. 1-2, giugno 1974, pp. 171-185, che comprende anche il testo del manifesto adottato da quell’organismo nell’agosto 1926.
11 Ergo Sum [C. Tresca], "Abbasso la monarchia", Il Martello, a. IX, n. 17, 5 maggio 1923, p. 1.
12 Si trattava del manuale, che in Italia aveva peraltro libera circolazione, scritto dalla dottoressa Ettorina Cecchi, L’arte di non fare i figli (Neo-malthusianismo pratico), la cui prima edizione risaliva agli anni Dieci. La "pubblicità" in questione – si trattava infatti semplicemente di una delle tante pubblicazioni elencate tra quelle che erano all’epoca in vendita presso la Libreria "Il Martello" di New York – aveva visto la luce su Il Martello, a. IX, n. 33, p. 4 (ma la stessa e altre "pubblicità" di analoghe opere della dottoressa Cecchi erano apparse in numeri precedenti: L’arte di non fare i figli nel catalogo della libreria pubblicato come supplemento a Il Martello, a. VIII, n. 40 del 18 novembre 1922; Neo-malthusianismo pratico in Il Martello, a. IX, n. 22, 9 maggio 1923; Amate e non generate in Il Martello, a. IX, nn. 24 e 25 del 23 giugno e 8 luglio 1923). In questi volumi e opuscoli venivano affrontati senza pregiudizi di alcun genere argomenti come l’anatomia degli organi genitali, la masturbazione e i vari metodi contraccettivi all’epoca conosciuti. Ci pare doveroso sottolineare che la Cecchi e le sue opere sono state tanto sistematicamente quanto ingiustamente trascurate da tutti coloro che si occupano di questioni sociali da un punto di vista storico-politico o anche meramente medico-sessuologico.
13 Si vedano tra l’altro "Tresca processato", Il Martello, a. IX, n. 44, 1° dicembre 1923, p. 1; Pietro Allegra, "Vana speranza!", Il Martello, a. IX, n. 45, 8 dicembre 1923, p. 1; Il Reporter, "Storia di una persecuzione disonesta e indecente", Il Martello, a. IX, n. 46, 22 dicembre 1923, pp. 1-2.
14 Cfr. "Commenti della stampa alla condanna di Carlo Tresca", Il Martello, a. IX, n. 47, 29 dicembre 1923, p. 3.
15 Per una breve panoramica del movimento fascista italiano negli Stati Uniti di quel periodo si vedano Matteo Petrelli, "I Fasci negli Stati Uniti: gli anni Venti", in Emilio Franzina-Matteo Sanfilippo (a cura di), Il fascismo e gli emigrati. La parabola dei Fasci italiani all’estero (1920-1943), Laterza, Bari 2003, pp. 115-127; e Stefano Luconi, "I Fasci negli Stati Uniti: gli anni Trenta", ivi, pp. 128-139.
16 John P. Diggins, L’America, Mussolini e il fascismo, Laterza, Bari 1972, pp. 173-174.
17 "L’atteggiamento degli anarchici spagnoli", Il Martello, a. XXII, n. 1, 14 gennaio 1937, p. 5.
18 Cfr. J.P. Diggins, op. cit., p. 172.
19 Sull’ACDLT e sulla "Commissione Dewey" ci limitiamo a segnalare tra l’altro i seguenti contributi: G.R., "Une thèse magistrale: Contre-procès de Thomas R. Poole", Cahiers Léon Trotsky, n. 3, luglio-settembre 1979, soprattutto alle pp. 22-31; e Alan Wald, "La Commission Dewey: quarante ans après", ivi, pp. 43-56.
20 Lettera di Trotsky alla DeSilver del 23 ottobre 1937, pubblicata sotto il titolo redazionale "Dictatorship and Revolution" in Writings of Leon Trotsky (1936-37), Pathfinder Press, New York 19782, p. 514.
21 Si veda la lettera di Trotsky a Tresca del 6 ottobre 1937, pubblicata sotto il titolo redazionale "L’aide aux victimes de Staline-Negrín" in L. Trotsky, Œuvres, vol. 15, Institut Léon Trotsky, s.l. 1983, pp. 155-156.
22 Tresca si occupò a più riprese di queste ingloriose gesta orchestrate dalla GPU, ad esempio in occasione di una conferenza-stampa organizzata a New York il 7 febbraio 1938 – nel corso della quale stigmatizzò ancora una volta anche la repressione controrivoluzionaria messa in atto dagli agenti staliniani in Spagna – e, un mese dopo, il 19 marzo, intervenne al fianco di personalità come Suzanne LaFollette, Eugene Lyons e Bertram David Wolfe al grande meeting contro i processi di Mosca organizzato sempre a New York sotto gli auspici dell’ACDLT.
23 Sulla storia della Mazzini Society e sull’azione politica di Sforza si veda Antonio Versori, Gli Alleati e l’emigrazione democratica antifascista (1940-1943), Sansoni, Firenze 1982; e Alessandra Baldini-Paolo Palma, Gli antifascisti italiani in America (1942-1944). La "Legione" nel carteggio di Pacciardi con Borghese, Salvemini, Sforza e Sturzo, Le Monnier, Firenze 1990.
24 "I pretoriani di Stalin all’assalto della Mazzini Society" era il titolo dell’editoriale de Il Martello, vol. 27, n. 8, 14 maggio 1942, p. 1. Sulle lotte interne alla Mazzini Society si vedano anche gli articoli successivi: C. Tresca, "La Mazzini e la ‘frode dell’unità’", Il Martello, vol. 27, n. 9, 28 maggio 1942, pp. 6-7; c.t. [C. Tresca], "Rocca Cannuccia, la Mazzini Society ed il sottoscritto", Il Martello, vol. 27, n. 10, 14 giugno 1942, p. 5; E. Taddei, "Al congresso della Mazzini", Il Martello, vol. 27, n. 12, 28 giugno 1942, pp. 5-6; e L’Homme Qui Rit [C. Tresca], "Martellate", ivi, pp. 8-11.
25 A. Dadà, "La stampa anarchica", cit., pp. 357-358; gli articoli citati dall’autrice nelle note relative a questo brano erano: "Lo sfondo storico dell’hitlerismo", Il Martello, vol. 25, n. 5, 14 maggio 1940, p. 3; C. Tresca, "Il fuoco divampa", Il Martello, vol. 26, n. 20, 28 novembre 1941, pp. 1-2; e "La guerra ed il proletariato", ivi, pp. 10-11.
26 Avversario politico di Tresca (che lo aveva tra l’altro accusato senza tanti mezzi termini di essere, insieme a Pope, un agente di Mussolini), Antonini pronunciò, due giorni dopo l’assassinio dell’anarchico sulmonese, un inopinato discorso apologetico in sua memoria che venne trasmesso dalla radio ad onde corte gestita dall’OWI, che realizzava settimanalmente delle emissioni in direzione l’Italia. Tale discorso fu successivamente pubblicato sotto il titolo "Il nome di Carlo Tresca riecheggia in Italia", in L. Antonini, Dynamic Democracy, Eloquent Press, New York s.d. [1946], pp. 288-290.
27 Sull’ambigua figura di Buscemi/Montana, diventato in seguito agente dell’Office of Strategic Services (l’organismo precursore della CIA), si veda in particolare Angela Torelli, "La doppia vita di un antifascista italo-americano. Vanni Montana da informatore della polizia italiana ad agente dell’OSS", Nuova Storia Contemporanea, a. VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2004, pp. 81-94. Lo stesso personaggio è autore di un volume autobiografico: Vanni B. Montana, Amarostico. Testimonianze euro-americane, Bastogi, Livorno 1975, che comprende un capitolo sull’assassinio di Tresca (pp. 214-246).
28 Mauro Canali, "Tutta la verità sul caso Tresca", Fondazione Liberal, n. 4, 2001, p. 151.
29 Cfr. Ezio Taddei, The Tresca Case, [New York 1943], pp. 10-16. Si tratta di un opuscolo bilingue inglese-italiano contenente il testo di un discorso pronunciato dall’autore il 14 febbraio 1943 alla Rand School di New York.
30 Si veda La vita di Ezio Taddei narrata dalla sorella Tirrena (http://eziotaddei.splinder.com).
31 Chi uccise Carlo Tresca?, cit. Tutta o quasi tutta la documentazione di polizia documentazione riguardante Carlo Tresca in possesso del Federal Bureau of Investigations (FBI), ivi compresa quella relativa al suo assassinio e alle indagini che ne conseguirono, è oggi consultabile in rete (http://foia.fbi.gov/foiaindex.tresca.htm). In una lettera conservata in uno dei fascicoli del FBI, datata 10 novembre 1947 e indirizzata al procuratore generale Tom A. Clark, Norman Thomas aveva dichiarato senza mezzi termini, a nome del Tresca Memorial Committee, che Carmine Galante era il "primo dei sospetti nell’affare Tresca".
32 J.P. Diggins, op. cit., p. 544.
33 Ed (Edward) Reid, Mafia, New American Library of World Literature, New York 1954; edizione italiana: La mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Parenti, Firenze 1956 (il capitolo sull’assassinio di Tresca è alle pp. 104-114).
34 Martin A. Gosh-Richard Hammer, The Last Testament of Lucky Luciano, Little, Brown & Co., Boston-Toronto 1975, p. 285, in cui si afferma però che il killer sarebbe stato un certo Tony Bender.
35 M. Canali, art. cit., p. 152.
36 Michele Pantaleone, Mafia e politica 1943-1962, Einaudi, Torino 1962, p. 73.
37 Umberto Santino, Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all’impegno civile, Editori Riuniti, Roma 2000, p. 134.
38 Per ulteriori approfondimenti sulla figura di Tresca ci permettiamo di rimandare, oltre che alle varie pubblicazioni e ai documenti fin qui segnalati in nota, a Dorothy Gallagher, All the Right Enemies. The Life and Murder of Carlo Tresca, Rutgers University Press, New Brunswick (New Jersey) 1988, e ai vari saggi contenuti in AA.VV., Carlo Tresca. Vita e morte di un anarchico italiano in America, Tinari, Chieti 1999.
39 Cfr. Rivista Massonica, n. 6, giugno 1974, p. 373.
40 Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell’OVRA. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 18 (corsivo nell’originale).
41 Quasi mezzo secolo dopo, cercando di minimizzare la parte avuta nell’attentato da Capello, la rivista del Grande Oriente d’Italia sostenne che questi era stato "accusato falsamente di complotto contro la vita di Mussolini" (cfr. Rivista Massonica, n. 2, febbraio 1973, p. 117).
42 La massoneria di Palazzo Giustiniani attribuì successivamente a Quaglia il ruolo di vero istigatore di Zaniboni, cercando così, in maniera alquanto maldestra, di "scagionare" almeno parzialmente il confratello proditoriamente indotto in errore (cfr. Rivista Massonica, n. 6, giugno 1974, cit., p. 373).
43 A tale riguardo si veda soprattutto M. Franzinelli, op. cit., p. 19.
44 Secondo un amico e biografo di Zaniboni, questi avrebbe inizialmente progettato di assassinare Mussolini facendo nascondere nel suo appartamento, da una certa "signora" che godeva dei favori di entrambi, una piccola bomboletta di gas asfissiante (Guido A. Grimaldi, Zaniboni racconta… Perché non partì la pallottola fatale e liberatrice… [seguito da: T. Zaniboni, Tutte le dittature sono uguali], Periodici "Epoca", Roma 1945, p. 21; lo scritto di Grimaldi era precedentemente apparso in cinque puntate sulle pagine del settimanale Domenica nel maggio-giugno 1945). Privo di reticenze circa il nome della donna è invece l’allora capo della Divisione Affari Generali e Riservati della polizia, il quale si limita però semplicemente ad affermare che Zaniboni "frequentava il salotto della contessa Noli da Costa" (Guido Leto, OVRA. Fascismo-antifascismo, Cappelli, Bologna 1951, p. 19). Basandosi su quest’anodina dichiarazione di Leto, Franzinelli afferma che "la polizia disponeva di un secondo tramite [oltre all’attrice Sala/Romano] con l’ex deputato socialista: una nobildonna doppiogiochista sulla quale lo sprovveduto attentatore contava per il successo delle [sue] fantasticherie tirannicide", precisando in nota che "si trattava della contessa Noli da Costa, che, a quanto pare, intratteneva rapporti intimi sia con Zaniboni sia con Mussolini" (M. Franzinelli, op. cit., p. 19 e n. 41). Non siamo riusciti a reperire informazioni più circostanziate su questa "nobildonna", che quasi sicuramente corrisponde al personaggio della "Contessa del Viminale" tratteggiato nella pièce teatrale di Tresca.
45 Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II – L’organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Einaudi, Torino 1968, p. 146.
46 Cfr. Il Popolo d’Italia, 6 novembre 1925. Va comunque precisato che le autorità di polizia non riuscirono a dimostrare un’effettiva implicazione del Grande Oriente d’Italia nel progetto di Zaniboni e Capello. Quest’ultimo se ne sarebbe anzi dissociato nel corso dell’estate 1925; e la magistratura fascista dovette successivamente prosciogliere per insufficienza di prove il Gran Maestro Domizio Torrigiani, che il fascismo avrebbe invece desiderato coinvolgere nell’affare.
47 Cit. in Rievocazioni di Nicola Norelli. Gli attentati a Mussolini, Arti Grafiche Privitera, Roma s.d. [1972?], p. 9 (i sette articoli raccolti in tale opuscolo erano precedentemente apparsi a puntate sul quotidiano romano Il Tempo dal 17 al 23 settembre 1967).
48 "La intenzione del Zaniboni era il segreto di pulcinella, ma era pure una buona occasione per tesservi sopra uno dei soliti complotti polizieschi atti a giustificare la retata di elementi antifascisti influenti. Zaniboni fu, dunque, inconsciamente, uno strumento di vita anzicché di morte di quell’uomo che lui voleva distruggere" (Giuseppe Altieri, "La montatura dell’attentato", Il Martello, a. XI, n. 42, 14 novembre 1925, p. 1). Gli altri due articoli sull’attentato erano: L’Homme Qui Rit [C. Tresca], "Martellate", ivi, pp. 1-2, e L’Ex-Combattente, "Gli uomini del supposto complotto", ivi, p. 2.
49 Così recitava il riquadro pubblicitario pubblicato in: Il Martello, a. XII, n. 3, 16 gennaio 1925 [ma 1926], p. 4, che si chiudeva con l’appello: "Compagni lavoratori intervenite in massa a questa genuina manifestazione proletaria per (…) dimostrare ancora una volta il vostro odio per i tiranni d’Italia e per i loro menestrelli."
50 Pietro Allegra, "Strepitoso successo della Festa pro Liberazione d’Italia", Il Martello, a. XI [ma XII], n. 6, 6 febbraio 1926, p. 3.
51 "La polizia di New Haven, Conn. proibisce la recita del bozzetto di Tresca", Il Martello, a. XI [ma XII], n. 10, 6 marzo 1926, p. 4.
52 La vignetta anonima utilizzata per illustrare la copertina dell’opuscolo venne successivamente riprodotta sulla prima pagina del giornale diretto da Tresca, con la seguente didascalia: "Il ‘pagliaccio d’Italia’ alla vigilia di proclamarsi imperatore della…luna, posa espressamente per Il Martello! (Radiofotografia del nostro corrispondente presso il Viminale)" (Il Martello, a. XI [ma XII], n. 13, New York, sabato 27 marzo 1926, p. 1).
53 Il Martello, a. XI [ma XII], n. 22, 29 maggio 1926, p. 4.
54 Il Martello, a. XVII, n. 10, 5 marzo 1932, p. 1.
55 Il Martello, a. I, n. 4, 10 marzo 1934, pp. 3-4.
56 Dopo l’attentato Zaniboni, Tresca rievocò i trascorsi massonici di Farinacci e il suo successivo voltafaccia antimassonico: dieci anni dopo aver giurato "sul suo onore di soccorrere, confortare e difendere i fratelli dell’Ordine", egli era diventato "il più spietato persecutore della massoneria. La vuole distrutta, nella fossa, per sempre" (L’Homme Qui Rit [C. Tresca], "Martellate", cit.).