Biblioteca Multimediale Marxista


Terzo capitolo




 


Il nord

Comunque me ne andai su nel nord lí a Milano. A Milano la prima cosa che pensai era di andare a trovare questo Rocco che era per me un punto di riferimento di sicurezza. Rocco aveva vent'anni più di me. Me lo ricordo sempre che lui era già un uomo quando io ero ancora un bambino. Era un tipo molto parlato. Un fetente dicevano uno che si voleva mettere a pari dei padroni. Che dal niente era andato su e poi c'era anche riuscito. Rocco era un modello per il giovane che voleva emigrare da questo paese. Stava in un paese li vicino a Milano a Corsico. Lui come mi vede chiede come stava mia madre come stavano le mie sorelle. Apre il frigorifero e prende due o tre birre. Mi fa un sacco di domande era felicissimo di vedermi. E comincia a farmi bere.

Poi dice alla moglie: Prepara le bistecche. Mi chiede: Tu quanta ne mangi poco o assai. Era un tipo sano Rocco gli piaceva mangiare e bere. Gli piaceva avere tutto quello che voleva e c'era riuscito adesso. Si mette a parlare di quando stava giù. Dice: Noi ce la siamo vista brutta giù perché i padroni sono tutti ignoranti. Credono chissà che cazzo solo perché hanno un po' di terra. Non hanno capito che siamo noi operai che produciamo tutto. Che se non fosse per noi loro si morirebbero di fame. Adesso stanno crepando sono degli straccioni proprio perché non hanno voluto fare del bene al popolo.

Faceva dei ragionamenti di questo tipo. Qua invece diceva quando sono arrivato io i padroni si sono messi a disposizione.

Mi facevano dormire in baracca mangiare e dormire senza pagare. Lavoravo sullo scavatore e mi pagavano a cottimo. Cioè quanto più facevo più mi davano. Mentre giù comunque lavoravi ti davano sempre quello che dicevano loro non sapevi mai quello che prendevi. Ne hanno combinato di tutti i colori sti stronzi. Il popolo meridionale è fesso non ha capito niente. Qua sono tutti uguali il padrone e gli operai. C'è sí la differenza che lui ha più soldi. Che lui comanda la fabbrica che è sua.

Però io mangio pure io e c'ho io pure la casa. Vedi questa casa qua è mia c'ho la macchina c'ho il camion lo scavatore. Cioè in fondo sono padrone pure io. Ognuno è padrone al livello suo qua. Poi ci sta pure l'operaio che non c'ha niente che lavora in fabbrica. Però lui tiene tutti i diritti tiene le ferie la mutua e tutte queste cose. Insomma qua non è che si sta male. Basta che uno c'ha un lavoro che c'ha un posto e sta bene. Allora non si deve stare a preoccupare di niente. Mi faceva tutta questa apologia di Milano e del nord mi faceva Rocco.

Stetti lí un po' a parlare con Rocco poi chiesi di Giovanni che era il suo fratello minore. Quello che aveva tre anni più di me eravamo quasi coetanei. Sta lavorando in una fabbrica qua vicino ancora deve smettere verrà verso le nove. Però Giovanni è un po' sfaticato diceva Rocco. Deve tenere la stessa capa tua. Voi tenete tutti la stessa capa voi guaglioni. Ha già cambiato tre fatiche. Non ha capito che qua bisogna starci in un posto. Bisogna cercare in quel posto dove si lavora di migliorare. Mica che il sistema per migliorare è quello di cambiare. Io sono stato sempre con la stessa ditta e mo' lavoro per conto mio. Per conto mio però sempre con la stessa ditta.

Comunque dico io io adesso mi devo mettere a lavorare. Mi serve un lavoro per vivere subito. Non è che penso adesso di fare carriera eccetera. E che vuo' fa' dice lui che te piacesse 'e fa'? Tu devi fare l'operaio devi cercare di guadagnare assai. Di non cambiare sempre perché se no non guadagni niente. Poi arrivò questo Giovanni ci salutammo parlammo di Fuorni di Salerno di Pontecagnano. Degli amici che conoscevamo delle ragazze eccetera. E poi mi dice: Adesso dormi qua. Poi domani vieni a lavorare con me e domani sera cerchiamo una pensione dove dormi.

Il giorno dopo Giovanni mi portò a lavorare. Questa fabbrica stava vicino al quartiere Zingone e faceva il celegno. Si facevano tutti quei pezzi stampati che si attaccano ai mobili come decorazioni. Che sembrano intagliati a mano e invece è legno pressato cioè segatura e vinavil. Sembra legno vero lo chiamano celegno. Mi misi a lavorare in questa cosa artigianale stavo in una pensione con altri due emigranti. In questo paese erano tutti immigrati non c'era neanche uno di lí. Anche i settentrionali che stavano lí erano immigrati chi era di Brescia chi di Bergamo e cosí via.

C'era in questa pensione un lucano che faceva dodici ore al giorno nell'edilizia. Si cucinava lui la sera spendeva al massimo cinquecento lire al giorno e ne guadagnava sette ottomila. Faceva un sacco di economia non usciva mai la sera e di festa. Dopo tre o quattro mesi questo qua aveva sei settecentomila lire sulla banca. Mi fece vedere il libretto disse che si doveva comprare la macchina. Io arrivata la primavera cominciavo a fare ritardo al mattino tutte le mattine. Mi ero rotto le scatole volevo tornarmene giù a farmi i bagni. Calcolai che avevo fatto tutto l'inverno mi toccavano trenta quarantamila lire forse cinquantamila lire di liquidazione. Più gli otto giorni di preavviso la settimana di lavoro, insomma un qualche centomila lire mi toccavano se mi licenziavo. Per cui me ne potevo anche tornare giù a starmene un po' senza fare niente.

Cominciai a arrivare tutte le mattine in ritardo. Quelli a un certo punto si rompono le scatole mi minacciano di licenziamento se andavo ancora in ritardo il giorno dopo. Io faccio ancora ritardo e quelli mi licenziano. Mi danno la liquidazione gli otto giorni di preavviso la settimana di lavoro e io me ne scendo giù a farmi i bagni. Poi arrivò l'estate ma i soldi erano finiti già dopo il primo mese. Era aprile fine aprile quando scesi giù e in maggio i soldi erano già finiti. Giugno luglio agosto e settembre sono rimasto ancora giù. Prima ho lavorato un po' in un posto dove intagliavo il legno delle casse da morto. Poi i mesi estivi li ho passati a fare il bagnino. Lí ci sono gli stabilimenti balneari dove prima della stagione uno aiuta a pittare le cabine a tirare su le cabine. Poi una volta finito lo stabilimento si sta lí a mettere su gli ombrelloni tutte le mattine a pulire la spiaggia a fare questi lavori qua.

E cosí ho passato tutta l'estate. Poi a fine estate me ne sono ritornato di nuovo a Milano. Però stavolta non avevo nessuna voglia di stare ancora in periferia. A stare in periferia spendevo anche di più perché tutte le sere venivo a Milano. Fra viaggi e casini vari spendevo molto di più e poi non mi divertivo niente a stare lí in periferia. Perciò decisi di andare a stare a Milano. Appena arrivato a Milano lasciai le valigie alla stazione e mi cercai una pensione nel centro. La trovai a via Pontaccio lí vicino a Brera via Solferino via Fatebenefratelli quella zona lí.

Lí era il centro. Si stava in quei bar fino alle tre alle quattro del mattino insomma era molto divertente. Poi lí si mangiava pure in un bar. C'è un bar che si chiama Gran Bar e ci si mangia pure. Cosí io al posto di mangiare al ristorante e spendere i soldi che poi per stare in un bar dovevo spendere altri soldi mangiavo al Gran Bar un piatto di pasta un fiordilatte qualcosa. Spendevo sette ottocento lire e me ne stavo tutta la serata nel bar. C'erano certe fiche meravigliose che bazzicavano per quella zona. Froci magnaccia drogati contrabbandieri capelloni insomma un buon ambiente.

Poi decisi di darmi una qualifica. Dicevo devo studiare porco dio qua c'è il lavoro ci sono le scuole. E volevo studiare mi ero fissato che volevo studiare volevo fare una scuola di disegno. Al Castello Sforzesco c'era una scuola d'arte serale. Andai là a iscrivermi si pagava centocinquanta lire la domanda. Andai a fare l'esame l'esame durava tre giorni. C'erano dei prismi dei cubi delle sfere delle cose di questo tipo. Tu dovevi disegnarle e poi loro attraverso il tuo disegno ti davano un giudizio.

Ma invece il giudizio lo davano su altre cose. Cioè ti chiedevano che lavoro facevi se stavi a Milano con la famiglia eccetera. E in effetti presero della gente che non sapeva disegnare per niente però che erano molto giovani e stavano in famiglia o che lavoravano. Mentre a me che non avevo un lavoro fisso non mi presero perché pensavano che poi la scuola non la finivo. O che comunque era inutile che la facevo o qualcosa del genere. Non è che non mi presero per motivi tecnici che non sapevo disegnare perché gli avevo fatto vedere che sapevo disegnare. Allora visto che non riuscivo neanche a farmi prendere nella scuola per avere un diploma per qualificarmi decisi che l'unica cosa che c'era di buono era la vita il tempo libero.

Mi dissi che cazzo mi serve il diploma? Mica che m'interessa a me di imparare un lavoro. Mi serve evidentemente per fare più soldi per fare una vita più comoda. Ma la vita più comoda significa faticare poco mangiare bene scopare molto. E va bene mi dissi queste cose le posso fare anche senza il diploma basta che lavoro il meno possibile e cerco di guadagnare i soldi nel modo più immediato possibile. Allora decisi di fare proprio così. Trovai un lavoro in un cantiere edile. Dopo un po' mi ruppi il cazzo e mi ubriacai e non andai a lavorare di pomeriggio. Cosí mi licenziarono e me ne stetti un po' di tempo senza fare niente.

Tenevo un po' di soldi disponibili e andavo in giro cosí. Non come l'anno scorso a Corsico che era una cosa assurda il tempo libero a Corsico. Un paese che aveva due sale da ballo tre o quattro cinema il cinema parrocchiale. La gente che si riuniva nel bar giocava a ramino o parlava di sport. E le ragazzine figlie di meridionali che avevano la stessa abitudine del sud di farsi la passeggiata insieme e i ragazzi le aspettavano in un luogo fuori mano e magari le scopavano all'impiedi vicino a un albero. Ma non c'era mai nessun rapporto tra la gente. Se avevi i soldi da spendere nel bar eri un tipo alla moda un tipo conosciuto. Quanto più spendevi quanto più vestivi bene tanti più amici avevi. Se no eri isolato completamente e questo fatto mi rompeva le scatole.

La città invece per me che ero nato in provincia in un paesino era secondo me il punto di arrivo per tante esperienze. Vedevo in questa pensione dove stavo la gente che arrivava in continuazione. Chi era cameriere chi era studente chi era pittore chi era stronzo chi era muratore. C'era gente di tutti i tipi e di tutte le razze che andava e veniva in questa pensione. Poi scendendo sotto al bar incontravo della gente che si vedeva sui giornali attori cantanti c'erano un sacco di cantanti che bazzicavano lí. Poi c'erano quelli dei giornali a fumetti che fanno quelle storie quasi pornografiche storie tipo Men o Bolero. E c'erano molte donne e molti di questi attori che bazzicavano in via Brera.

Era una soddisfazione abbastanza provinciale la mia di vedere questa gente a portata di mano. Ah stanno qua sono vivi sí sono stronzi come me. E io volevo aspettavo di avere dei rapporti con questa gente per vedere come cazzo erano. Stavo sempre lí a aspettare ma in effetti poi se volevo scopare andavo con le battone che stavano intorno. Non sono mai riuscito a scopare con quelle che incontravo nei bar anche se mi tenevo sempre pronto per una avventura di qualsiasi tipo. Mi tenevo sempre pronto bazzicavo in quei posti il Gran Bar un altro come sì chiamava Giamaica. E c'erano poi studenti di ogni tipo con cui si parlava e si discuteva.

Molti altri specialmente pittori ti fregavano invece cosí. Si mettevano anche se erano italiani si mettevano a parlare francese o inglese. Per cui se tu conoscevi l'inglese o il francese dimostravi che avevi viaggiato o che avevi studiato. Usavano questo come differenza in quei posti usavano parlare francese o inglese per non mescolarsi per evitare i tipi come me evidentemente. E soltanto una sera che eravamo ubriachi io e un mio amico che conosceva il tedesco uno con cui ho lavorato all'Alemagna riuscimmo a fare un po' di casino. Uno suonava con la chitarra noi ubriachi ci mettemmo a cantare in tedesco cioè lui cantava in tedesco io facevo solo casino. Conoscemmo un tizio che ci voleva proporre di fare il rappresentante di mobili o il contrabbando di sigarette. Questo qua si interessava di tutto soltanto che era un cazzone. Io però non avevo la patente automobilistica non sapevo guidare.

Un'altra sera incontrai una drogata che voleva la chiave per andare a dormire chiamava una sua amica da sotto la pensione. Scesi giù questa qua era drogata la cominciai a baciare. Lei disse: Ma che vuoi scoparmi io non ne ho voglia. E questo mondo mi sembrava cosí strano mi piaceva questo modo di vivere che non aveva niente a che fare con la fabbrica con la campagna con la religione. Un mondo tutto staccato da quello che conoscevo io e che mi piaceva. E io mi tenevo pronto per tutte le avventure anche se poi andavo a finire al cinema. Oppure andava a finire che facevo il pappagallo nel senso che cercavo di agganciare le straniere per strada o ragazze nelle sale da ballo nei bar.

La stessa storia che volevo andare a scuola io l'avevo pensata perché mi serviva per conoscere delle ragazze che andavano alla scuola d'arte e fare un po' di amicizia. Cercavo le basi per il lancio perché in una città se stai solo non riesci a fare niente non ti puoi muovere. Devi avere una base di amici di amiche specialmente per poterti muovere per potere essere ricco. C'erano molte sbandate a Milano ragazze della provincia che scappavano di casa e venivano a Milano perché volevano stare coi capelloni. Una volta mi portai una di queste qua su in pensione ma il padrone mi minacciò di cacciarmi via. Poi trovai un posto all'Alemagna.

Poi conosco una ragazza che lavorava in una fabbrica mi diceva che faceva la segretaria. Ma a me non me ne fregava niente e non mi piaceva neanche. Se stavo nel sud non l'avrei neanche cacata. Solamente che a Milano queste stronze erano abituate a farsi pagare tutto. Si vendevano proprio come prostitute queste ragazze queste operaie queste salariate. E allora io ci stavo con questa perché lei invece si pagava il suo io il mio. Io ci stavo con questa e la portai di sopra nella pensione dove abitavo. Ma il padrone mi sbatté fuori il giorno dopo perché mi aveva già avvertito di non portare nessuno di sopra. Non si poteva portare nessuno di sopra. Se volevi scopare dovevi andare in albergo non potevi portarla su nella pensione. La pensione serviva soltanto per dormire. E cosí fui anche sbattuto fuori dalla pensione.

Avevo un amico che mi ero fatto all'Alemagna e andai a dormire a casa sua. Non mi andava più giù di lavorare mi ero stufato e facevo il giro degli amici per andare a mangiare. Li andavo a trovare a turno. A questi amici ero molto simpatico perché lavoravo poco e avevo molto da dire. E cosí riuscivo a andare al cinema e a mangiare. La sera andavo a aspettare questa ragazza che usciva dal lavoro ci andavamo a mangiare una pizza. Insomma riuscivo a campare cosí. E poi bazzicavo questi bar e cercavo qualcuno che mi proponesse di fare contrabbando o qualche altro modo rapido per guadagnare. O se trovavo qualche donna da scopare. Mi tenevo disponibile per qualsiasi avventura.

Trovai solo un ingegnere che mi propose di fare il guardiano dello yacht che aveva a Viareggio. Comunque a Milano mi ero fatto molti debiti e abbastanza amici. E poi nella casa dove abitavo da questo mio amico siciliano ero diventato molto amico della moglie. Mi seccava che lui se ne accorgesse e pensai di svignarmela da Milano. A Milano avevo provato tutti i lavori generalmente lavoravo nelle carovane di facchini. Andavo in un ufficio poi facevo due o tre giorni di lavoro mi sbattevano a fare qualsiasi genere di cose. Feci la domanda di assunzione alla Fiat per andarmene da Milano perché ero anche pieno di debiti. Cominciavo a stare sul cazzo a tutti i miei conoscenti meno che a questo mio amico che avevo incontrato quando lavoravo all'Alemagna.

L'Alemagna è un posto dove fanno i contratti per un mese o per due o quattro mesi. Io avevo il contratto per due mesi e cominciai a lavorare che era novembre. Ci dettero un turbante in testa come quello che portano i cuochi un grembiule da tenere davanti e un paio di pantaloni. Ci davano una divisa più o meno igienica. Da lí fui licenziato in un modo abbastanza strano. Stavo in un posto dove facevano la pasta poi la mischiavano con dei macchinari. Quando questa pasta usciva si mettevano sotto dei carrelli di plastica come delle grosse bacinelle. Ci entrava la pasta dentro e noi ci dovevamo mettere della farina prima e poi la pasta stava lí a crescere. Era un lavoro abbastanza leggero tutto sommato.

Un giorno mentre stavo leggendo Diabolik nella pensione mi dimenticai che dovevo andare a lavorare. Mi venne in mente all'ultimo, momento scappai giù presi il metrò arrivai in ritardo. Poiché quando uno arriva in ritardo anche di due minuti prende mezz'ora di multa cioè mezz'ora non te la pagano e allora io decisi di entrare effettivamente con mezz'ora di ritardo. Mi andai a prendere un grappino mi spogliai con comodo calcolando di timbrare il cartellino un minuto prima che scadesse la mezz'ora. Due minuti o mezz'ora di ritardo tanto era sempre uguale.

Dove si timbra il cartellino c'era una specie di gabbione di vetro dove c'erano delle lampade le spie dei forni di tutti i reparti. C'erano due o tre dirigenti e c'era un direttore dell'Alemagna proprio il direttore del mio reparto. Passando davanti questo direttore mi fa un segno. Io dico: Prego cosa vuole? Si aggiusti il cappello dice lui. Questo cappello altissimo io me l'ero schiacciato e lo tenevo come quelle coppole sarde dei pastori sardi. Me lo tenevo davanti agli occhi con le mani mi tasca con la mia mezz'ora di ritardo. Sicché quello s'incazzò un po' e mi disse: Si aggiusti il cappello. No per me va bene cosí perché me lo devo aggiustare? Se lo aggiusti lei. E continuai a camminare. Quello esce fuori dalla gabbia e dice: Perché ha fatto ritardo? Eh non me lo ricordo perché ho fatto ritardo non so ho fatto ritardo cosí. Si può fare ritardo in tanti modi non me lo ricordo. Ma come lei fa ritardo e non sa perché. E' perché mi sono dimenticato che dovevo venire a lavorare. Ah lei si è dimenticato che doveva venire a lavorare. Questo è un fatto grave. Ma lo sa che adesso le do una giornata di sospensione?

Io dico: Senta o mi licenzia oppure io me ne vado a lavorare. Una giornata di sospensione perché ho fatto mezz'ora di ritardo non mi tocca e non la voglio. Perciò o mi licenzia e mi motiva il perché oppure io vado a lavorare. Questa giornata di sospensione non mi tocca e non la voglio. Quello dice che dovevo andarmene via io lo chiamo stronzo e vado al lavoro. Quello manda un guardione di sopra a domandare come mi chiamavo poi arrivano due guardioni chiedono dove sono. Dico: Eccomi. Li avverto a questi qua: Sentite se mi volete mandare via con la forza non ci provate perché piuttosto finisco in galera ma cosí non me ne vado. Se mi vogliono mandare via mi devono dare un mese di paga perché ho il contratto per due mesi e ho fatto soltanto un mese cioè mi tocca un altro mese di paga.

Ma è solo una giornata di sospensione dicono quelli. No la giornata di sospensione non mi tocca e non là voglio. Comunque dicono vai a parlare nell'ufficio del capo. Ci vado mi metto a sedere il capo arriva e dice: Che cosa fa seduto lí? Eh sto seduto perché sto aspettando lei ma lei che cosa vuole da me? Lei si deve squagliare e deve andarsene via. Io dico: Un momento. Qua mi vogliono dare una giornata di sospensione che non mi tocca. Io ho fatto mezz'ora di ritardo per la prima volta e non credo che per mezz'ora di ritardo mi tocca una giornata di sospensione.

No dice non è per questo è perché lei ha chiamato stronzo il direttore. Ma è impossibile io non l'ho chiamato stronzo evidentemente ha sbagliato a capirmi. Io non posso farci niente se il direttore è sordo e non capisce quello che uno dice. Ho detto solo che me ne andavo a lavorare e che non me ne andavo via. Lei comunque deve andare via dice quello. E se non va via chiamo la polizia. Benissimo chiami la polizia. Io piuttosto vado in galera ma non vi do la soddisfazione di prendermi una sospensione che non mi tocca perché non c'è motivo. Se mi licenziate mi dovete dare un mese di paga più otto giorni di preavviso. Ah questo è da vedere. Eh lo vedremo.

Quello telefona mi manda in un altro ufficio qua mi preparano i documenti il libretto di lavoro una dichiarazione che dovevo firmare in cui mi licenziavo tutte queste cose qua. Mi dicono di firmare. Io dico: Non firmo niente prima voglio vedere i soldi e poi firmo. Mi dicono: Guardi lei non faccia il furbo che le va a finire male. Va a finire dentro veramente e non prende neanche una lira. Dico: Guarda questi sono affari miei. Io ho capito che cos'è la vita che cos'è il lavoro e non m'importa proprio se vado dentro.

Io però avevo calcolato bene tutto. Non mi potevano arrestare per una cosa del genere. L'Alemagna non poteva fare questa figura di merda che uscisse un episodio del genere sui giornali. Un operaio arrestato perché rifiuta una giornata di sospensione. E perché tutte queste grane loro non le potevano affrontare io ero abbastanza sicuro di non andare dentro e magari di prendermi tutti i soldi. Quello stronzo insisteva e un po' minacciava e un po' faceva il paternalista: Ma tu di dove sei? Sono di Salerno. Eh io pure sono di li vicino a Salerno sono di Avellino. Cercava di fare il paesano il paternalista. Mi offriva le sigarette e poi insisteva. Ma tu firma cosí la prossima volta puoi fare ancora la domanda all'Alemagna e ti prendono un'altra volta. Mentre se fai cosí non ti prendono più qui a lavorare.

Io dico Cazzo c'è tanto di quel lavoro che non mi preoccupo proprio dell'Alemagna. Poi uno deve lavorare ma non deve farsi prendere per fesso e qua mi vogliono proprio prendere per fesso. O devo fare come mi dice di fare il direttore per avere ancora lavoro qua? Ma non m'interessa proprio. E direttore ha sbagliato e a me non m'interessa di farmi questa giornata di sospensione. Adesso mi vogliono mandare via. Tanto meglio mi paghino il mese. Quello comincia a telefonare a tutti gli uffici che so all'amministrazione al personale eccetera. La direzione insisteva per telefono: Tenete duro minacciatelo ancora poi vedete. Dalle tre intanto, erano arrivate le sette quattro ore di discussione e di casino.

Gli impiegati erano proprio con i nervi a pezzi. Io non mi muovevo dall'ufficio quello era lí con il libretto e le carte pronte e loro continuavano a fare calcoli di quello che mi dovevano dare. E arrivavano ogni mezz'ora con un foglio con su una nuova cifra sopra. Ottantamila. E che sono ottantamila dico io. Sono il resto del mese che deve fare più gli otto giorni di preavviso. E che c'entra a me mi dovete dare anche un altro mese di paga altre ottantamila lire oltre i soldi del mese precedente e gli otto giorni di preavviso. Perciò saranno un sacco di soldi mica solo ottantamila lire.

Un casino che non finiva più l'impiegata diventava isterica: Eh mandatelo via qua non possiamo più lavorare. Io dico Non me ne frega niente per me potete fare anche sciopero se non volete lavorare. A me non m'interessa io voglio i miei soldi. Quello ritelefona dice: Questo qua c'ha la testa dura non molla gli impiegati sono incazzati non vogliono più lavorare. Dobbiamo dargli i soldi per forza sennò io telefono alla questura perché non ne posso più. Ma come telefona alla questura? Sí io telefono alla questura. Ma glielo dica a lui gli rispondono dall'altra parte che io sentivo perché ero lí davanti.

Mi viene vicino un'altra volta: Senti se non prendi i soldi ti giuro ti giuro su mio padre sui miei figli sul bene che voglio ai miei figli io telefono alla questura. Eh dico io e telefona alla questura cosí la finiamo di stare qua a discutere. Perché io non c'ho voglia di discutere con te. Tu mi vuoi fregare che cazzo discutiamo a fare io e te. Ti ho detto che io voglio i soldi io non voglio ragionare sei tu che vuoi ragionare con me, E perciò sono io che faccio incazzare te ma se mai sei tu che fai incazzare me. Quello telefona un'altra volta e dice: Senta io mollo. Io dico agli impiegati di dargli tutto perché non ne posso più. Questo è proprio un duro e non c'è niente da fare.

E va bene fate quello che volete si sente al telefono dall'altra parte perché quello telefonava proprio davanti a me. Poi mi fa: Va bene hai vinto tu hai visto? Tieni 'a capa tosta bravo ce l'hai fatta. Firma qua. Dico: Un momento voglio vedere prima i soldi. Prima dei soldi non voglio firmare niente. Quello si fa dare dall'impiegata le carte il libretto mi porta all'ufficio cassa. Lí mi danno il resto del mese le ottantamila lire del mese ancora da fare e gli otto giorni di preavviso. Io firmo tutto e me ne esco dall'Alemagna. Per quella cazzata del direttore ero riuscito a farmi dare un mese di paga senza farlo.

Questo dell'Alemagna fu in effetti il mio secondo lavoro in fabbrica a Milano. Dopo due mesi di lavoro nell'edilizia un mese all'Alemagna e poi ero diventato sottoccupato. Lavoravo nelle varie carovane di facchini che ci sono. Ti potevano mandare alla Siemens alla Sip alla Standa in qualsiasi posto dove c'era materiale da scaricare. Anche le industrie che avevano bisogno di operai interni per certi lavori si rivolgevano a queste carovane di facchinaggio che era tutto sommato una sottoccupazione legalizzata.

Per un po' ho fatto questo tipo di lavoro. Solamente che qualche volta capitava di non trovarne. Io mi mettevo alla e ricerca di questo lavoro di questi soldi quando proprio non avevo più in tasca e allora qualche volta rischiavo di no trovarne. Una volta che ero proprio in bolletta avevo solo ancora mille lire mi misi a cercare il lavoro. Era venerdì non trovai niente. Il sabato non ti prendono a lavorare se ne riparla il lunedí. Allora venerdì sabato domenica e lunedí quattro giorni e io avevo soltanto mille lire. Andò a finire che mangiai il venerdì e il sabato non mangiai tutta la giornata. La domenica mattina pensai di andare a farmi tirare il sangue.

Un mio amico mi aveva detto che facendosi tirare il sangue gli avevano dato tremilacinquecento lire. Allora avevo pensato di farmi tirare il sangue anch'io cosí facevo su tremilacinquecento lire e mangiavo. Mi bevvi un cappuccino cosí facevo più pressione. A Milano devi sempre bere qualcosa per tenerti su. Presi il cappuccino a San Babila in quel bar Motta che è lí di fronte alla roulotte delle trasfusioni che sta sempre in corso Vittorio Emanuele fra San Babila e i portici. Salii dentro mi tolsi la camicia.

Mi fecero la visita al torace mi tolsero un po' di sangue da un dito. Mi fecero la radioscopia e quell'esame per vedere se uno c'ha la sifilide. Poi mi misurarono la pressione e ce l'avevo bassissima. Mi chiesero quanti anni avevo se avevo avuto malattie che lavoro facevo. Sono disoccupato dissi. Mi chiedevano che malattie avevo questi stronzi senza chiedermi se avevo mangiato una cosa del genere non gli passava per la mente. Videro che avevo venticinque anni che c'avevo la pressione bassa che ero disoccupato e non gli passò manco per la testa che potevo essere affamato.

Mi stesero sul lettino ficcarono l'ago e di sangue ne usciva pochissimo. Infatti si riempì neanche la metà del flacone e poi non ne usciva più di sangue si coagulava. Quelli si spaventarono videro che il sangue non usciva più perché generalmente quando si ficca l'ago il sangue sprizza nel barattolo e lo riempie immediatamente dopo un minuto massimo un minuto e mezzo. Stavo lí da tre minuti e il flacone non si era riempito neanche per metà e sangue non ne usciva più. Quelli si spaventarono un po' allora io dissi al dottore: Sentite mi servono dei soldi almeno mille lire. Perché? Perché non ho mangiato e ho fame. Ah lei non ha mangiato ci dispiace. Ma possiamo darle del caffè dei buondì Motta.

In effetti sapevo che all'Avis il sangue si donava però credevo che se uno voleva glielo pagavano gli davano i soldi. Perché uno gli aveva dato tutto sommato della merce non è che non gli aveva dato niente. Il dottore mi disse: No qua il sangue si dona soltanto. Mi sembrava strano questo dono obbligatorio. Mi disse: Insomma beva un po' di caffè. I buondì Motta non li mangiai perché avevo lavorato all'Alemagna e c'avevo in mente bene come la trattavo io quella roba lí. Tutto sommato non avevo una grande fiducia nei buondì Motta.

Comunque ero arrivato a soffrire la fame a Milano poi avevo un sacco di debiti con gli amici i paesani. E poi c'era anche la storia con la moglie dell'amico siciliano dove abitavo. Per cui non volevo più stare a Milano e decisi di cambiare aria. Feci la domanda alla Fiat poi mi arrivò la lettera di presentarmi e me ne andai a Torino. Molti mi avevano detto che alla Fiat si stava bene che c'erano le ferie c'erano un sacco di cose. A me non era tanto quello che m'importava il motivo era che a Milano mi ero bruciato tutti gli amici tutte le possibilità. Pensavo che andando alla Fiat guadagnando un certo salario mi aggiustavo un poco poi vedevo.

Poi andando a Torino io ci avevo da dormire a casa di mia sorella. Molti altri emigranti che venivano direttamente dal sud dormivano a casa di amici di parenti oppure avevano qualche indirizzo di pensione o di alberghetto. Ma c'erano dei disgraziati che hanno dormito per tre o quattro giorni e molti anche per un mese nella stazione nella sala d'aspetto di seconda classe a Porta Nuova. E erano anche controllati dalla polizia che non lasciava che nessun giornalista li avvicinasse. Per entrare la notte nella sala d'aspetto di seconda classe a Porta Nuova uno doveva mostrare il tesserino Fiat se già lavorava alla Fiat oppure la carta della visita cioè la lettera della Fiat che ti dice di presentarti a passare la visita. Se no la polizia non fa entrare nessuno in questo dormitorio che c'ha la Fiat gratis alla stazione a Torino.