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Il ruolo dei corsi valutari nel mercato capitalistico mondiale


Questo articolo è stato pubblicato sul n. 11 del 1952 della Rivista teorica dell'Istituto di Economia dell'Accademia delle scienze dell'Urss "Voprosy ekonomiki". I titolini sono nostri.
I lettori considerino che è trascorso più di mezzo secolo dalla stesura di quest'articolo e la situazione internazionale risulta radicalmente cambiata dal punto di vista sia politico (non esiste più il campo socialista, che aveva il fulcro nell'Urss di Stalin e nella Cina di Mao e nel frattempo è nata l'Unione europea imperialista) sia economico (si pensi al ruolo dell'euro e al peso crescente di potenze economiche capitaliste come la Cina oltreché il Giappone). Ciononostante l'analisi marxista-leninista dell'andamento dei rapporti tra le più importanti monete mondiali è estremamente istruttiva anche se richiede ai lettori non poche fatiche per la complessità degli argomenti trattati.


La situazione dei rapporti valutari internazionali nel mondo capitalistico, nel periodo della crisi generale del capitalismo, si caratterizza per un loro cronico dissesto che si può definire come crisi valutaria. Le sue ragioni stanno, da un lato, in una cronica e sempre più intensificantesi inflazione e, dall'altro lato, in un dissesto dell'intera sfera dei rapporti economici internazionali che si esprime in uno squilibrio di lunga durata delle bilance di pagamento dei paesi capitalistici.
L'instabilità dei corsi valutari e il loro irregolare e caotico abbassamento rappresentano uno dei principali fattori della crisi valutaria.
L'inizio di questo processo di svalutazione delle valute, caratteristico per il periodo della crisi generale del capitalismo, venne posto dalla prima guerra mondiale, quando in tutti i principali paesi capitalistici lo standard aureo subì un vero e proprio tracollo. Negli anni '20, poi, il ripristino dello standard aureo nella forma del cosiddetto "standard in lingotti d'oro" e in divisa aurea, unito a una precaria stabilizzazione delle valute, servì soltanto da preludio a un nuovo acuirsi della crisi valutaria nel periodo della crisi economica mondiale degli anni 1929-1933. Ancor maggiori proporzioni il deprezzamento delle valute lo raggiunse durante e dopo la seconda guerra mondiale, il che non fece che generare tutta una serie di profondi mutamenti nel settore dei corsi valutari. Questi mutamenti si riferiscono, in primo luogo, ai fattori che li determinano, e quindi alla loro formazione, e, in secondo luogo, al ruolo economico che essi svolgono nel sistema economico capitalistico.
Il corso di una valuta, vale a dire il suo rapporto di cambio con le altre valute, si trova ad essere in dipendenza causale da due importanti fattori economici: la situazione della circolazione monetaria del paese e la situazione della sua bilancia dei pagamenti. Entrambi questi fattori si trovano in una continua interazione tra di loro. Le condizioni e il carattere della loro azione mutano in notevole misura con lo sviluppo del sistema economico capitalistico.
Nelle odierne condizioni noi abbiamo a che fare esclusivamente con la formazione dei corsi delle valute cartacee inconvertibili. Come Marx ha dimostrato, il denaro cartaceo non può adempiere alla funzione di misura del valore, e rappresenta soltanto l'oro che è in circolazione.

Parità monetaria in presenza di standard aureo
In presenza dello standard aureo la parità monetaria (cioè la correlazione delle unità monetarie in base alla quantità specifica dell'oro) è stata la base e il centro delle oscillazioni del corso valutario avvenute nei ristretti limiti dei punti aurei sotto l'azione della corrente bilancia dei pagamenti. La svalutazione del denaro cartaceo dovuta all'inflazione significa una diminuzione delle quantità di oro da esso di fatto rappresentato. Il corso di una valuta inconvertibile svalutata rispetto alle valute convertibili deve cadere nello stesso grado in cui si è ridotta la quantità di oro rappresentata dall'unità monetaria, dato che nel mercato mondiale, per i documenti che danno diritto a ricevere una determinata somma di banconote inconvertibili, pagano soltanto quanto oro essi rappresentano. Si deve poi notare che a determinate condizioni (limitazione dell'esportazione di oro o una particolare domanda tesaurizzata di esso all'interno del paese) il grado di svalutazione della valuta cartacea rispetto all'oro e rispetto alle valute estere può in certa misura divergere. Con una tale riserva si può ritenere che il corso di due valute cartacee inconvertibili, rispetto l'una all'altra e in assenza di limitazioni del loro cambio reciproco, si determina in sostanza con la quantità di oro realmente rappresentata da ognuna di esse nella circolazione.
Se il potere d'acquisto di ogni valuta rispetto alle merci si è ridotto parimenti alla quantità di oro rappresentata dall'unità monetaria, allora la variazione dei corsi delle valute coinciderebbe con una relativa variazione del loro potere d'acquisto.
Tuttavia, la riduzione del corso - che esprime più o meno precisamente la svalutazione del denaro cartaceo rispetto all'oro, - dipende direttamente dalla situazione della bilancia dei pagamenti del paese in questione, che condiziona le particolari oscillazioni della domanda di oro quale moneta mondiale indipendentemente dalla domanda di merci.
Una azione particolarmente forte sul corso valutario la esercita la bilancia dei pagamenti (s'intende la bilancia di un momento dato, che è dovuta non soltanto alla correlazione tra l'import e l'export delle merci, ma anche ad altre operazioni che, nel dato momento, richiedono urgenti pagamenti in denaro) durante le crisi economiche, quando il meccanismo del credito internazionale cessa di funzionare normalmente e quando si producono più pagamenti in contanti rispetto agli obblighi prima assunti e si intensifica un febbrile movimento di capitali a breve scadenza.
L'azione dell'inflazione e quella della bilancia dei pagamenti sul corso valutario si intrecciano strettamente. In particolare, l'inflazione suscita una maggiore domanda di oro per la tesaurizzazione, un aumento del "prezzo" dell'oro in denaro cartaceo e una riduzione del corso. L'aumento dei prezzi interni delle merci, in condizioni di inflazione, crea di regola la tendenza a una crescita dell'importazione e a una riduzione dell'esportazione, il che porta a un deciso peggioramento della bilancia commerciale e dei pagamenti e a una riduzione del corso della valuta. Dal paese in cui si ha un processo inflazionistico particolarmente intenso di solito si accresce il riflusso di capitali, il che concorre a un drastico peggioramento della sua bilancia dei pagamenti.
Poi, sul corso valutario può esercitare una azione straordinariamente forte anche la caduta di fiducia verso la valuta cartacea, il che suscita una forte domanda di valuta estera e una diminuzione di valuta locale da parte degli stranieri, e si rafforza la speculazione sulla riduzione del corso.
Nell'epoca dell'imperialismo e della crisi generale del capitalismo il numero dei fattori che influiscono sul corso valutario attraverso la bilancia dei pagamenti si accresce e la loro azione si fa più complessa. Tenendo conto della crescita d'influsso sul corso di una serie di fattori che non hanno un diretto rapporto con la situazione della circolazione monetaria presente nel paese, l'irregolarità del deprezzamento delle valute rispetto all'oro e alle merci si accresce, mentre i rapporti di corso tra le valute divergono dai rapporti del loro potere d'acquisto. Un relativo livellamento di entrambe le forme di svalutazione del denaro cartaceo (le si potrebbe definire come svalutazione esterna e interna) si ha nel corso di aspre contraddizioni, essendo esso legato ai contrapposti interessi dei capitalisti dei diversi paesi e altresì agli interessi delle differenti classi e gruppi sociali in ogni singolo paese.
In rapporto con l'ampio sviluppo dell'esportazione di capitali i pagamenti degli interessi e dei dividendi, e altresì i pagamenti in estinzione della somma fondamentale dei prestiti, formano un greve fardello sulle bilance dei pagamenti dei paesi dipendenti e coloniali, e concorrono ad indebolire la stabilità delle valute. Dall'altro lato, una repentina riduzione o cessazione dell'introito di redditi dagli investimenti genera un grave peggioramento delle bilance dei pagamenti dei paesi creditori. In entrambi i casi l'azione di questi fattori è particolarmente forte nei periodi di crisi economica.
Nelle odierne condizioni l'azione del riflusso dei capitali a breve scadenza sulla stabilità delle valute si è accresciuta. La pratica del periodo del dopoguerra dimostra che l'azione di questo fattore è assai notevole anche in presenza di restrizioni valutarie. Per fare un esempio, il grande riflusso di capitali dall'Inghilterra ha svolto un ruolo rilevante nella svalutazione della lira sterlina nel 1949. Questo riflusso si è avuto, in particolare, attraverso tutta una serie di canali illegali, eludendo le restrizioni valutarie: gli esportatori inglesi, cioè, ridussero la somma delle vendite, celando agli organi di controllo valutario il ricavo in valuta ricevuto dalle banche estere nella forma di avoirs; e poi, essi non hanno richiesto l'immediato pagamento della merce in valuta estera, facendo conto su un rialzo del suo corso rispetto alla lira sterlina, ecc.
La crisi economica genera un drastico peggioramento delle bilance commerciali e dei pagamenti dei vari paesi, il che può condurre a una svalutazione esterna della valuta al di fuori di una sua diretta dipendenza dalla sua svalutazione interna, cioè dalla caduta del suo potere d'acquisto. L'inasprimento della lotta concorrenziale sui mercati esterni crea nei monopoli di ogni paese la tendenza a deprezzare artificialmente la valuta, e con ciò stesso a creare o ad accrescere il divario tra il corso valutario e il potere d'acquisto del denaro all'interno di un paese al fine di attuare un dumping valutario.

Valute dominanti e valute-vassalle
Nella formazione dei corsi valutari un ruolo importante lo svolgono altresì i fattori della dipendenza imperialistica. Le valute-vassalle si intrecciano strettamente con quelle dei principali paesi imperialistici, e i loro corsi sono artificialmente tenuti, per un più o meno lungo periodo di tempo, a un livello immutato indipendentemente dai mutamenti del loro potere d'acquisto. Il deprezzamento di una valuta di questa o quella potenza imperialistica, di regola, comporta la svalutazione delle valute dei paesi da essa dipendenti, e sovente a scapito degli interessi di questi ultimi.
L'azione di questi due ultimi fattori (cioè l'aspra lotta concorrenziale e la dipendenza imperialistica) si è manifestata in modo particolarmente visibile con la svalutazione di massa delle valute capitalistiche che si è avuta nel settembre 1949. In condizioni di aggravamento della crisi economica e di ulteriore acuirsi della lotta per i mercati, e altresì di soggezione di molte valute capitalistiche al dollaro e di dipendenza di una serie di valute dalla lira sterlina, la svalutazione assunse un carattere di massa, mentre il grado di ribasso dei corsi, come di regola, ha corrisposto molto poco al grado di relativa riduzione del potere d'acquisto delle valute.
Un rilievo assai grande nel divario tra la svalutazione esterna di una valuta e quella interna l'hanno le manifestazioni del capitalismo monopolistico di Stato nel campo dei rapporti valutari internazionali e dei corsi valutari, caratteristiche del periodo della crisi generale del capitalismo e in particolare della sua fase odierna. Qui occorre indicare, innanzitutto, le restrizioni valutarie, che hanno la tendenza a fissare e a rafforzare le discordanze nel grado di svalutazione interna ed esterna, creando nel paese, su un dato corso, un artificialmente elevato livello dei prezzi rispetto agli altri paesi e frenando temporaneamente e artificialmente l'azione dell'inflazione sul corso valutario.
All'azione dei fattori monopolistici di Stato è legata una delle principali cause della instabilità del sistema dei corsi valutari nel mondo capitalistico dopo la seconda guerra mondiale, e cioè l'artificiale riducibilità del potere d'acquisto dell'oro, condizionata dal mantenimento della parità aurea del dollaro Usa a un livello irrealmente elevato.
Il "prezzo" ufficiale dell'oro in dollari (35 dollari all'oncia) è rimasto immutato dal 1934, mentre il livello dei prezzi sulle merci in dollari, nello stesso periodo, è aumentato all'incirca di 2,5 volte, portando a una forte sottovalutazione dell'oro. La possibilità di accrescere il contenuto aureo del dollaro conferisce un carattere artificioso e instabile all'intero sistema dei corsi valutari, che è basato in gran parte sulla fissazione di molte valute capitalistiche al dollaro.
Sottovalutazione dell'oro significa, innanzitutto, un basso livello dell'effettivo potere d'acquisto delle riserve auree e dell'oro nuovamente estratto, ed è quindi un importante fattore di squilibrio e di instabilità delle bilance dei pagamenti dei paesi capitalistici.
Il che, altresì, rafforza sistematicamente l'instabilità dei corsi valutari. Alla sottovalutazione dell'oro è poi legato anche un brusco accrescimento della tesaurizzazione dell'oro stesso negli anni del dopoguerra nonché la diversione di una enorme massa di oro a tesoro, il che riduce rispettivamente l'entrata di oro nelle riserve centrali e indebolisce le valute capitalistiche.
Il mantenimento di una elevata parità del dollaro e la sottovalutazione dell'oro sono una delle principali manifestazioni del diktat valutario degli Usa nel mondo capitalistico. Le contraddizioni tra gli Usa e gli altri paesi - e in particolare l'Inghilterra, - sulla questione relativa al "prezzo" dell'oro si acuiscono sempre più.
I numerosi deprezzamenti delle valute rispetto al dollaro prodottisi dopo la seconda guerra mondiale non hanno affatto eliminato la generale elevata capacità di contenuto aureo delle valute, condizionata da quella della parità aurea del dollaro, ma hanno solo generato un ulteriore rafforzamento della fissazione delle valute capitalistiche al dollaro, che si impone agli altri paesi quale misura fondamentale del valore delle loro valute. Una svalutazione del dollaro rivelerebbe indubbiamente tutta l'artificiosità di tale fissazione, e insidierebbe la posizione "particolare" del dollaro. In questo sta una delle principali ragioni per cui gli imperialisti americani cercano tenacemente di evitare una crescita del "prezzo" ufficiale dell'oro, vale a dire una svalutazione del dollaro.
L'analisi dei fattori che determinano un corso valutario in condizioni di crisi valutaria cronica e di un suo acuirsi nella seconda fase della crisi generale del capitalismo, dimostra che i mutamenti, in questo campo, si riducono a due tendenze principali.
In primo luogo si ha un generale accrescimento del volume e dei ritmi di caduta dei corsi valutari che esprime un aggravamento della svalutazione del denaro cartaceo rispetto all'oro, il che è innanzitutto legato a un aumento dell'inflazione. Nel contempo, il cronico squilibrio delle bilance dei pagamenti e l'acuirsi della lotta per i mercati di smercio generano - in particolare nei periodi di crisi economica, - una caduta verticale dei corsi valutari che può essere indipendente dalle condizioni della circolazione monetaria e a cui la circolazione monetaria stessa e il potere d'acquisto del denaro rispetto alle merci in seguito si adeguano.
In secondo luogo si ha una straordinaria crescita dell'ineguaglianza e del caos nella caduta dei corsi valutari, il che è legato alla grande ineguaglianza di sviluppo dell'inflazione dei differenti paesi. Questa, a sua volta, è altresì legata all'azione dei fattori esaminati più sopra e che agiscono attraverso la bilancia dei pagamenti e che generano grandi deviazioni dei corsi valutari dai quozienti del potere d'acquisto della valute. L'artificiosità e l'irregolarità proprie dei corsi valutari dopo la seconda guerra mondiale sono altresì legate al mantenimento di una elevata parità aurea del dollaro Usa.
Nell'economia capitalistica contemporanea il ruolo economico di un corso valutario è determinato dal fatto che il funzionamento dell'intero meccanismo dei rapporti valutari e dei corsi valutari è subordinato all'azione della legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo, - la legge del massimo profitto.
L'impiego da parte dei monopoli del meccanismo dei corsi valutari come di uno degli strumenti atti a garantire i massimi profitti è legato all'impiego, da parte loro, del meccanismo dei prezzi. La dipendenza del corso valutario dal livello dei prezzi non è però unilaterale. Le oscillazioni del corso valutario, che possono essere indipendenti dal potere d'acquisto del denaro o solo indirettamente dipendenti da esso, esercitano una grande azione sui prezzi. I monopoli utilizzano e accrescono artificialmente l'irregolarità di questa azione nel tempo e su singoli gruppi di merci.

La svalutazione della moneta penalizza la forza-lavoro
L'impiego del deprezzamento della valuta - cioè, più precisamente, della caduta del suo corso, che temporaneamente supera la caduta del suo potere d'acquisto come strumento di lotta per i mercati di smercio e di garanzia dei massimi profitti per i monopoli nei settori economici di esportazione, - rappresenta uno degli aspetti caratteristici dell'economia del capitalismo contemporaneo.
La possibilità di una redistribuzione degli introiti in una società legata a manipolazioni valutarie è basata sulla irregolarità del movimento dei prezzi in condizioni di inflazione, e in particolare di una inflazione il cui sviluppo può essere in parte condizionato o accresciuto da una svalutazione esterna della valuta.
Consentendo ai monopoli di ridurre i prezzi di esportazione in valuta estera e, con ciò stesso, di concorrere con maggior successo sui mercati esterni, - e in una serie di casi di produrre un dumping valutario, - la riduzione del corso valutario genera una crescita dei prezzi delle merci di importazione. Il che, in sommo grado, concorre a un generale aumento dei prezzi, in particolare in presenza dei fattori di inflazione presenti all'interno del paese (deficit di bilancio, crescita del debito pubblico, allargamento della circolazione monetaria e del credito bancario). Utilizzando la congiuntura inflazionistica, poi, i monopoli aumentano altresì i prezzi delle merci di produzione interna.
In presenza di un aumento dei prezzi sulle merci, in minor misura aumenta anche il prezzo della merce forza-lavoro, cioè del salario, il che rappresenta una caratteristica particolarità del capitalismo che i monopoli utilizzano largamente in presenza di inflazione e delle manipolazioni valutarie ad esse legate.
Accanto a una riduzione del salario reale degli operai, fonte dei profitti aggiuntivi dei monopoli è solitamente la riduzione dei redditi effettivi di contadini, artigiani e altri strati della popolazione lavoratrice, e che è legata a un aumento dei prezzi sulle merci di importazione, all'artificioso mantenimento a un basso livello dei prezzi delle merci vendute dai piccoli produttori stante una crescita del livello generale dei prezzi, ecc. Infine, può aversi una redistribuzione dei profitti, a tutto vantaggio dei monopoli, nei settori dell'esportazione a spese dei loro concorrenti in altri settori, e in particolare a scapito di quei capitalisti che sono poco cartellizzati.
Il meccanismo dei corsi valutari viene utilizzato dai monopoli non soltanto per intensificare lo sfruttamento e l'immiserimento della più parte della popolazione di un dato paese, ma anche per rapinare i popoli degli altri paesi, in particolare quelli coloniali e dipendenti.
Aspetto caratteristico della politica valutaria imperialistica è la creazione di blocchi valutari da un lato, e la fissazione delle valute dei paesi dipendenti a quelle dei principali paesi imperialistici dall'altro. Col concorso della fissazione delle valute al dollaro, accanto alla rimozione delle restrizioni valutarie e di quelle al commercio con l'estero, i monopoli americani cercano di creare le condizioni a loro più favorevoli per un largo sviluppo dell'esportazione di capitale e per l'espansione commerciale all'estero, garantendosi in tal modo i massimi profitti.
Le manipolazioni valutarie svolgono un ruolo essenziale nel rafforzare l'ineguaglianza dello scambio a tutto vantaggio dei grandi paesi capitalistici. Grandi proporzioni assunse, per esempio, l'inequivalenza dello scambio a seguito della svalutazione del 1949, e che riguardò non soltanto i paesi poco sviluppati, ma anche quelli industrializzati dell'Europa occidentale che sono oggetto dell'espansione americana.
In presenza di una svalutazione i prezzi sulle merci di importazione in valuta locale aumentano in conformità con la riduzione del corso della valuta, mentre i prezzi delle merci di esportazione, a pari condizioni, restano sul precedente livello o aumentano in misura minore. Insomma, la relazione di scambio, cioè il rapporto tra prezzi di esportazione e di importazione, peggiora per i paesi che hanno deprezzato la valuta e migliora invece per gli altri paesi. Per esempio, dopo la svalutazione del 1949 i prezzi delle merci acquistate dall'Inghilterra negli Usa in dollari aumentarono subito in lire sterline in conformità con la crescita del corso del dollaro rispetto alla prima (al 44%). Al tempo stesso i prezzi dei prodotti inglesi esportati negli Usa restarono, in lire sterline, all'incirca al precedente livello. Il che significò una riduzione dei loro prezzi in dollari di quasi il 30% e creò per gli industriali e gli esportatori inglesi la possibilità di un dumping valutario i cui costi sono poi ricaduti sulla classe operaia inglese.
Le teorie borghesi del corso valutario cercano di dissimularne e mascherarne il ruolo effettivo, sostituendo l'analisi socio-economica con una analisi formale. Esse solitamente rappresentano il corso valutario soltanto come uno strumento atto a stabilire dei legami tra i diversi sistemi economici nazionali.
La teoria borghese della parità del potere d'acquisto, la cui tesi principale si riduce a che i corsi delle valute cartacee si determinano direttamente con la correlazione del loro potere d'acquisto e che le deviazioni da questa parità hanno soltanto un carattere temporaneo con tendenza ad autoregolarsi, ignora di fatto il dumping valutario e in generale il ruolo dei corsi valutari nella lotta per conquistare i mercati di smercio. Questa teoria nega altresì l'azione del corso sul livello dei prezzi e l'importanza delle manipolazioni valutarie nell'attacco dei monopoli al livello di vita delle masse lavoratrici.
La falsità di questa teoria, esposta più compiutamente agli inizi degli anni '20 dall'economista svedese Kassel e poi ripresa dalla maggior parte degli economisti borghesi, è stata poi dimostrata da numerosi fatti relativi ai corsi valutari già nel periodo della grande crisi economica mondiale degli anni 1929-1933.
Dato che ignorare semplicemente i fattori che generano i lunghi divari tra svalutazione esterna e interna delle valute, e altresì le conseguenze economico-sociali di questi fenomeni nel campo dei corsi valutari, si è rivelato impossibile, gli economisti borghesi hanno allora cercato di "migliorare" la teoria della parità del potere d'acquisto conferendole un aspetto più "scientifico".
La tesi principale della teoria della parità è stata cioè sostituita con quella secondo cui sia possibile un sistema dei corsi (di cosiddetti "corsi di equilibrio", normali, ideali, ecc.) con cui i rapporti economici internazionali si svilupperebbero in modo piano e armonico nonostante l'assenza di una completa conformità dei corsi effettivi ai quozienti del potere di acquisto. Una simile concezione apologetica venne esposta dal Keynes verso la metà degli anni '30 in rapporto con la sua "teoria" economica generale, ed ebbe una larga diffusione nella letteratura borghese.
In conformità con la sua concezione generale il Keynes assegnò un valore particolarmente grande all'apparente capacità del sistema "ideale" dei corsi di garantire un tale livello e una direzione del commercio internazionale e dell'export di capitale da poter concorrere alla liquidazione della disoccupazione di massa tanto pericolosa per i monopoli. L'economista borghese americano Bloomfield scrive, a tale proposito, riferendo le concezioni di Keynes e dei suoi seguaci: "Il sistema ideale dei corsi valutari si può definire come un sistema che tiene in equilibrio gli interessi internazionali pur in presenza di un livello di piena occupazione".
Nel creare e sostenere il "sistema ideale" dei corsi valutari gli economisti borghesi assegnano un ruolo decisivo alla ingerenza dello Stato e alla "regolazione internazionale".

La politica valutaria imperialista
Il Fondo Monetario Internazionale è uno strumento dell'imperialismo americano, e da esso viene utilizzato per fini aggressivi. Il principio fondamentale della politica valutaria del Fondo - che è in sostanza espressione della politica Usa - consiste nel sostenere una "stabilità" coatta dei corsi delle valute legate al dollaro e nel controllo, da parte del Fondo, sulla variazione dei corsi valutari. La politica del Fondo è una politica di mantenimento, nel mondo capitalistico, di un artificioso "ordine valutario" che crei condizioni favorevoli all'espansione dei monopoli americani.
Questa politica si persegue col concorso del sistema delle parità fisse. Secondo lo statuto del Fondo, una modificazione della parità può aversi soltanto al fine di una "correzione di uno squilibrio fondamentale", oltre che - per cambiare la parità di più del 10% rispetto al livello }oridinario - è necessaria l'approvazione del Fondo stesso. In tal modo gli Usa cercano di tenere nelle proprie mani il controllo sui corsi delle valute degli altri paesi, di non ammettere variazioni dei corsi che potrebbero essere svantaggiose per i monopoli americani, e di assicurarsi che l'attuazione delle variazioni dei corsi (in sostanza, delle svalutazioni) si svolga in base alle loro indicazioni e sotto il loro controllo.
La presenza del Fondo Monetario Internazionale e l'attuazione da parte sua della politica economica di Wall Street non solo non hanno attenuato le contraddizioni tra gli Usa e gli altri paesi capitalistici in campo valutario, ma, al contrario, le hanno inasprite. E un importante oggetto di queste contraddizioni è, in particolare, la questione delle parità fisse delle valute.
La fissazione di parità in conformità con lo statuto del Fondo priva i paesi capitalistici della possibilità di manovrare liberamente i corsi delle valute. Nelle condizioni di un processo inflazionistico che si sviluppa irregolarmente nei diversi paesi, di una cronica passività delle bilance dei pagamenti e di un acuirsi della lotta per i mercati di smercio il mantenimento di queste parità sovente diventa oggettivamente impossibile o svantaggioso per i monopoli dei relativi paesi. Per il che alcuni paesi membri del Fondo non hanno stabilito parità fisse. In molti paesi, poi, le parità sono spesso fittizie, data l'applicazione di una pluralità di corsi o di "liberi" corsi controllati accanto alla parità.
Una brusca caduta del potere d'acquisto delle valute in ragione dell'inflazione crea una continua tendenza alla irrealtà e a una maggiorità delle parità, rafforzata altresì dalla passività delle bilance dei pagamenti. Una variazione della parità "per decreto" è possibile soltanto dopo una complessa procedura di esame della questione da parte del Fondo, vale a dire, di fatto, degli uffici bancari di Wall Street. Il lungo processo di maturazione e di preparazione della svalutazione genera una speculazione di massa sull'aumento del corso della valuta, un riflusso dei capitali nella forma di una riduzione dei conti esteri, ritardi dei pagamenti nella valuta data, un accelerato pagamento delle merci da parte degli importatori, ecc. Il che peggiora ancor più la situazione valutaria del paese e mina il corso stesso della sua valuta.
I ribassi a sbalzi e simultanei dei corsi, prodotti in conformità con la procedura del Fondo, generano di regola un rialzo repentino dei prezzi di importazione che ha, quale sua conseguenza, un rafforzamento dell'inflazione e un acuirsi dei conflitti sociali in rapporto con una drastica e troppo evidente caduta del salario reale. L'aumento dei prezzi conseguente alla svalutazione, in particolare se esso si rafforza per l'azione di altri fattori inflattivi, sovente porta a temporanei vantaggi concorrenziali che la svalutazione consente ai settori dell'esportazione.
Le restrizioni valutarie rappresentano uno dei principali aspetti della crisi valutaria. Tutta una serie di fenomeni nel campo dei corsi valutari, e innanzitutto la pluralità dei corsi, è legata all'azione delle restrizioni valutarie.
In presenza di restrizioni valutarie si adotta un corso ufficiale in base al quale gli organi dello Stato e le banche incaricate delle operazioni valutarie acquistano e vendono la valuta. E se la domanda di valuta estera non soddisfa interamente in base al corso ufficiale, consueto effetto delle restrizioni valutarie è la formazione di un libero corso nel cui ribasso rispetto a quello ufficiale si esprime una svalutazione della valuta per azione dell'inflazione della passività della bilancia dei pagamenti che non rispecchia il corso ufficiale artificialmente sostenuto.
Quanto più basso è il libero corso della valuta locale rispetto a quella estera e tanto maggiori sono gli stimoli per gli esportatori e gli altri acquirenti di valuta estera a sottrarsi a una sua restituzione in base al corso ufficiale e a venderla sul libero mercato. Per cui una caduta del libero corso porta a un ulteriore peggioramento della situazione valutaria del paese, mina il corso ufficiale e, in determinate condizioni, rende talvolta inevitabile un suo abbassamento.
Il libero corso della valuta di un dato paese può funzionare sia in questo stesso paese (mercato interno), sia oltre i suoi confini (mercato estero). Sui liberi mercati valutari si effettuano operazioni con valuta estera nella forma di banconote, ma al tempo stesso la valuta si vende anche nella forma di mezzi bancari: di avoirs in valuta estera nascosti agli organi di controllo valutario o autorizzati alla libera vendita, nel mercato interno; nella forma di avoirs bloccati o inconvertibili nella valuta dei paesi che hanno restrizioni valutarie, nei mercati esteri.
Il libero mercato e il corso che in esso viene a formarsi hanno un differente grado di legalità nei singoli paesi. In una serie di casi, per esempio, il libero mercato viene utilizzato dagli organi della Stato, mentre il corso del libero mercato di fatto viene da essi controllato col concorso di restrizioni valutarie e di altre misure. In questi casi accanto a un tale "libero" mercato esiste solitamente ancora un mercato nero (illegale). E un tale fenomeno ha luogo per esempio in Francia, dove, prima del 1949, esistevano tre corsi principali: quello ufficiale, quello "libero" controllato e il corso del mercato nero. Con la sostituzione del corso ufficiale fisso avutasi nel settembre 1949 il corso "libero" (di borsa) ha preso di fatto a svolgere un ruolo di oscillante corso ufficiale, mentre il corso del mercato nero rappresenta un suo inevitabile completamento. Si deve poi osservare che l'illegalità di questo mercato è assai convenzionale e relativa: alle sue operazioni, infatti, prendono parte anche le grandi banche e vi si pubblicano quotidianamente le quotazioni delle valute.
La presenza di un corso ufficiale e di uno libero può considerarsi come una forma originaria della pluralità dei corsi che spontaneamente viene ad aversi in condizioni di restrizioni valutarie, avendo essa quale sua base economica l'inflazione e la passività delle bilance dei pagamenti.
L'applicazione di differenti tipi di restrizioni alle varie operazioni porta a una differenziazione dei liberi corsi. Per esempio, con un diversificato regime di conti esteri nella data valuta sui liberi mercati esterni sorge un intero sistema di liberi corsi per i differenti tipi di conti. Il più caratteristico esempio di ciò è la pluralità dei corsi della lira sterlina dopo la seconda guerra mondiale, che si è ridotta soltanto nel corso degli ultimi anni in rapporto con il relativo miglioramento della situazione valutaria dell'Inghilterra e con l'unificazione e l'attenuazione del regime dei conti esteri.
Per il periodo del dopoguerra è poi caratteristico un largo sviluppo della pluralità dei corsi, che è stabilita dallo Stato borghese e da esso utilizzata quale particolare strumento di politica valutaria e commerciale estera. Il numero dei paesi capitalistici che in varie forme adottano la pluralità dei corsi raggiunge all'incirca i tre decimi.
La differenziazione dei corsi in base ai gruppi di merci dell'import-export e dei tipi di operazioni valutarie svolte, oltreché dei paesi contraenti e delle valute estere, esercita una azione essenziale sulla bilancia commerciale e su quella dei pagamenti di un paese, nonché sulla struttura commerciale e sulla ripartizione geografico-valutaria dell'export e dell'import. Uno dei principali scopi dell'applicazione della pluralità dei corsi è l'artificiosa accelerazione dell'export finanche al dumping. Il che si ottiene di solito mediante la fissazione di diversi corsi ribassati dalla valuta nazionale per l'esportazione. Dall'altro lato, la differenziazione dei corsi sull'import viene utilizzata quale strumento per ridurre l'importazione di singole merci, in particolare di quelle che farebbero concorrenza ai prodotti locali. La pluralità dei corsi non di rado si applica per una particolare accelerazione dell'export nella zona del dollaro e in conformità con una restrizione dell'import dalla stessa zona, il che si ottiene con la fissazione di un corso ribassato della valuta rispetto al dollaro.
Di regola la pluralità dei corsi viene applicata dai paesi poco sviluppati e per i quali le condizioni di un mercato capitalistico che si restringe risultano particolarmente sfavorevoli. Il peggioramento della situazione economica, e in particolare l'acuirsi della "fame di dollaro", ha portato, nei primi anni del dopoguerra, al diffondersi della pluralità dei corsi anche in paesi capitalisticamente evoluti come la Francia e l'Italia.
La pluralità dei corsi concorre ad esasperare le contraddizioni tra i paesi capitalistici. Nella maggior parte dei casi essa ostacola uno sviluppo dell'espansione economica degli Usa, i quali hanno ottenuto di includere nello statuto del Fondo Monetario Internazionale un punto particolare riguardante la inammissibilità di principio della applicazione della pluralità dei corsi. E ciò anche se, in rapporto con la pesante situazione economica e valutaria dei paesi capitalistici, esso è rimasto soltanto sulla carta.
La pratica e i metodi di applicazione della pluralità dei corsi, nei diversi paesi, sono differenti e cambiano continuamente. Anzi, in molti paesi i sistemi di restrizione valutaria e dei corsi valutari sono diventati talmente complessi e confusi da creare un vero e proprio caos valutario.
Accanto a una pluralità dei corsi ufficiali fissi o anche in presenza di un unico corso ufficiale, molti paesi applicano un oscillante corso "libero". E, in una serie di casi, i differenti corsi si applicano a una determinata quota dell'introito valutario dovuto all'export, a seguito di che si hanno dei corsi medi aggiuntivi ("misti").
Negli ultimi anni ha avuto una certa diffusione anche una particolare forma di pluralità dei corsi venutasi a creare in rapporto col sistema della trattenuta, da parte degli esportatori, di una parte degli introiti in valuta che si decide di non consegnare agli organi governativi. Questa valuta, poi, - quasi sempre illegalmente - viene da essi venduta sul libero mercato in base al corso più elevato, a seguito di che l'introito in valuta locale per unità di merce venduta si accresce in modo conforme. Un tal genere di sistema di accelerazione dell'export, in particolare nella zona del dollaro, ha avuto un suo sviluppo in Olanda, Germania Occidentale, Francia, Danimarca, Giappone e in alcuni altri paesi.
Il diffondersi di simili misure, che secondo un giudizio della rivista inglese "Economist" rappresentano "uno strumento di svalutazione concorrenziale e discriminatorio del peggior tipo", concorre all'acuirsi delle contraddizioni tra paesi capitalistici. E contro di esse sono intervenuti, in particolare, il Belgio e l'Inghilterra, i cui interessi si sono rivelati danneggiati.
Unitamente a un parziale indebolimento dei metodi politico-valutari di accelerazione dell'export sulla base di forme particolari di pluralità dei corsi, negli ultimi anni si è avuto un costante sviluppo di altri metodi, e principalmente mediante un ampliamento delle facilitazioni fiscali sull'export e vari privilegi nel settore creditizio e delle garanzie statali sui crediti.

Le crisi valutarie
Nel periodo del dopoguerra la riduzione dei corsi delle valute capitalistiche ha avuto di solito il carattere di svalutazioni a sbalzi, oltre che una larga diffusione hanno avuto le svalutazioni sulla base della pluralità dei corsi.
Le svalutazioni effettuate prima della prima guerra mondiale erano di solito un atto di fissazione ufficiale di un nuovo contenuto aureo dell'unità monetaria che più o meno corrispondesse al grado di svalutazione della valuta a seguito dell'inflazione monetario-cartacea. La svalutazione era il compito del processo dell'inflazione e, di solito, apriva un periodo di valuta relativamente stabile con un cambio delle banconote in oro. Una tale caratteristica è stata applicata, con certe restrizioni, anche alle svalutazioni che hanno concluso il periodo di forte svalutazione seguito alla prima guerra mondiale. Nel periodo della crisi degli anni 1929-1933, invece, - e altresì dopo la seconda guerra mondiale, - le svalutazioni già avevano cessato di essere uno strumento di stabilizzazione della valuta. Il loro fine principale, oggi, è il rafforzamento delle posizioni dei capitalisti di un dato paese nella loro lotta per i mercati di smercio. La cosciente creazione di un divario tra svalutazione esterna e interna del denaro, per cui il corso di una valuta cade con maggior forza del suo potere d'acquisto all'interno del paese, prepara le condizioni per un eventuale dumping valutario, e queste svalutazioni hanno un carattere concorrenziale chiaramente espresso. Di regola esse accrescono la generale instabilità delle valute dei paesi capitalistici e concorrono a un ulteriore inasprimento della crisi valutaria.
Un posto particolare nella lunga catena delle svalutazioni seguite alla seconda guerra mondiale lo occupa la svalutazione di massa delle valute capitalistiche del 1949, che costituisce un fatto senza precedenti in tutta la storia dei rapporti valutari. Per le sue proporzioni (ampiezza, grado di riduzione dei corsi e concentrazione nel tempo) essa supera perfino la svalutazione di massa delle valute capitalistiche avutasi con la soppressione dello standard aureo in Inghilterra nel settembre del 1931. Dopo la riduzione del carso della lira sterlina al 30,5% (da 4,03 a 2,80 dollari) attuata il 18 settembre 1949, nel corso di una settimana sono stati ridotti i corsi di altre 26 valute (senza contare quelle delle colonie), e in tutto, prima della fine del 1949, vennero svalutate 35 valute di paesi capitalistici a cui spettava il 65-70% del commercio estero dell'intero mondo capitalistico.
Un importante ruolo nell'attuazione della svalutazione l'ha svolto una malcelata pressione sugli altri paesi da parte degli imperialisti americani, i quali facevano conto che la svalutazione portasse alla craezione di un sistema valutario basato, ancor più di prima, sulla dipendenza delle restanti valute dal dollaro e che avrebbe consentito una più larga espansione dei monopoli americani, innanzitutto mediante l'esportazione di capitali privati.
La crisi valutaria rappresenta la conseguenza e la manifestazione, nella sfera dei rapporti valutari internazionali, dell'approfondirsi della crisi generale del capitalismo e dell'inasprirsi di tutte le contraddizioni capitalistiche.
Espressioni di questa crisi valutaria quali il lungo e periodico processo di deprezzamento delle valute, il carattere caotico della caduta dei corsi valutari, la crescita delle restrizioni valutarie, lo sviluppo della pluralità dei corsi ad essa legato e l'artificioso aumento della parità aurea del dollaro, - tutto questo viola il normale sviluppo dei rapporti economici internazionali e rafforza le contraddizioni dell'intero sistema economico capitalistico.