Biblioteca Multimediale Marxista
Trento 17 dicembre 1968
COMPAGNI,
I ciclostilatori, i dattilografi e le dattilografe di questo documento sentono di dover "dare alcuni consigli". Ci saranno molte parole che si leggono con difficoltà (incomprensibili), qualche riga mancante, alcune pagine al contrario. Ebbene, guardate il documento del compagno vicino: certamente quello sarà completo. La perfezione tecnica borghese copre le mistificazioni politiche; NON E’ COSA PER NOI. Graficamente può sembrare un documento come un altro. COMPAGNO, non lasciarti ingannare dalla carente creatività degli esecutori tecnico-politici; LA LORO CONTRADDIZIONE SPECIFICA E’ RISOLVIBILE SOLO ATTRAVERSO UN LAVORO COLLETTIVO.
FOGLIO DI LAVORO POLITICO.
1° dicembre 1968, TRENTO.
Mauro ROSTAGNO – Renato CURCIO
"Quel che non è politica
non riempie la vita di
un uomo oggi"
(lettera ad una professoressa).
Fuori dai denti: questo non è un documento organico, compiuto con dentro già bellefatta la teoria, la strategia, il modulo organizzativo e le indicazioni puntuali di come si fa la rivoluzione presto e bene. Per cui, se uno è in cerca di queste cose, non le cerchi qui dentro. Ne rimarrebbe profondamente frustrato. Non ce le abbiamo messe, non perché non abbiamo voluto, ma perché non ne siamo stati capaci. Non riteniamo nessuno, tra l’altro, capace di queste cose. Non può essere opera di cervelli individuali. Queste cose, o riescono a farle i movimenti collettivi saldando insieme prassi e teoria (in quanto militante collettivo e intellettuale collettivo) o non riescono affatto (e se riescono non servono a niente, salvo a riempire la già strabocchevole Biblioteca delle Buone intenzioni e delle Cocenti Sconfitte). Dunque, questo non è un documento che dà "la linea". Molto meno, vuole dare piuttosto ai compagni degli elementi di stimolo a svilupparla collettivamente, e cioè in modo organizzato, critico-pratico. Questi elementi di stimolo, inoltre, non ce li siamo inventati noi in questi giorni di quieto inverno, ma li abbiamo invece raccolti (e selezionati, naturalmente) dagli appunti di studio e discussione collettiva che il movimento ha svolto nei mesi di settembre, ottobre e novembre. Il settarismo e la parzialità del "collage", d’altra parte, non sembrano mali incurabili. L’unilateralità del foglio può essere sorpassata dalla multilaterità del movimento che lo usa. Basta volerlo.
Ancora. Dal foglio (e da chi lo ha steso) uno può farsi usare: e questo sarebbe estremamente spiacevole. Prendendolo cioè come un qualcosa su cui "schierarsi": chi è d'accordo e chi no. Ma senza metterlo in discussione, modificarlo e riorganizzarlo. Quello che è, è. Punto a capo. O ci sto o me ne vado. Atteggiamento spiacevole e rinunciatario, con cui uno si dichiara, a priori, inferiore ad un pezzo di carta. Senza metterci dentro il proprio essere, per vedere, nonostante tutto, di farlo funzionare. Molto meglio sarebbe (ed anche possibile, speriamo) "usare" il foglio. Cioè porsi nell’atteggiamento secondo cui la forza in ultima istanza decisiva è l’uomo (la sua dimensione vitale, critico-pratica). Usare il foglio vuol dire partire da ciò che sta scritto per andarvi oltre, passando dallo schematico al complesso, dal suggerimento alla proposta. Vuol dire sviluppare un atteggiamento creativo, che non si fa definire dalle cose, ma concorre a determinarle. La preoccupazione di fondo – che temiamo di non essere riusciti a rispettare – è stata quella di "servire il movimento" con un foglio anti-autoritario. E ci è sembrato che un modo autoritario fosse quello della sistematicità. Dare cioè un qualcosa di già ‘organizzato’ concluso su se stesso. E allora abbiamo scelto la strada dei ‘frammenti’ delle ‘note’ del ‘materiale grezzo’ buttati già in modo da stimolare i compagni a coordinarli, provocarli ad una sintesi in prima persona. Siamo convinti che il movimento, i compagni siano una polveriera gigantesca di umanità teorica e pratica inespressa. Il punto è agire in modo da non buttare acqua sulle polveri. Il terrore di farlo – al di là della nostra volontà – ha contribuito non poco a rendere tormentosa la stesura di questi pezzi di carta. Tuttavia, abbiamo valutato che i rischi inerenti a stendere un foglio con questa metodologia e in questo modo fossero inferiori alla utilità che i compagni ne possono far sortire, se lo vogliono. Il resto è consegnato alla nostra militanza nel movimento. Abbiamo letto Huey Newton: "Dobbiamo impegnarci nell’azione perché la gente legga ciò che scriviamo" e "Il solo modo con cui possiamo educare il popolo è di dare l’esempio. Pensiamo che questo sia indispensabile" e ancora "Guai alla penna senza fucile, guai al fucile senza la penna". Se il foglio esprime oltretutto la miseria politica economica e sessuale dei compagni che l’hanno steso, la critica teorica e pratica dei compagni del movimento che da esso può svilupparsi per superarlo è il modo migliore per emanciparci dai limiti umani in cui siamo racchiusi, e l’educazione necessaria che ci deve essere impartita.
(+) Sulla lunghezza. Non è una questione di quantità. Mettere 500 problemi in 5 pagine non sarebbe stato serio (tenendo conto della nostra scarsa capacità sintetica). E avremmo fatto solo la lista della lavandaia. Così è venuto fuori di molte pagine. Pazienza. (Se abbiamo detto in 50 righe quello che si poteva dire in 5, questo speriamo che sia un vizio di cui riusciremo a scrollarci tramite la critica dei compagni e l’autocritica che speriamo di riuscire a farci).
NOTE SULLO SVILUPPO DEL MOVIMENTO (dal gennaio all’ottobre)
l. Il modo di produzione metropolitano (tardo-capitalista) è antagonistico. Vale a dire, riproduce continuamente al suo interno contraddizioni sempre più estese e sempre più intense. Il sistema politico metropolitano, che su tale base si erige, (combinazione gerarchizzata di istituzioni), è caratterizzato dallo sforzo sempre più dispotico, sempre più irresponsabile di controllare, di canalizzare, ridurre, manipolare, reprimere le tensioni ed i conflitti sociali che insorgono nei nodi strutturali del sistema (indotti dallo aumento quantitativo e qualitativo delle stesse).
2. Il modo di produzione metropolitano è generalizzato. Vale a dire, è penetrato in ogni dimensione dell'attività umana, tendenzialmente riproducendola a sua immagine e somiglianza. (Tendenzialmente: cioè, esistono ancora larghi spazi di arretratezza e di disomogeneità. La loro caratteristica però è di essere funzionalizzate al livello più alto di subordinazione e mercificazione. Es. il Sud rispetto al Nord, la scuola rispetto alla grande fabbrica, etc). (L'arretratezza non è estranea al sistema, è un modo di vita del sistema, una sua forma di riproduzione)
3. La generalizzazione del modo di produzione metropolitano è anche allo stesso tempo la generalizzazione dell’antagonismo (a strati crescenti e diversificati della popolazione. E, dunque anche la generalizzazione del controllo dispotico delle istituzioni sociali (sistema politico). Alla natura alienante del modo di produzione corrisponde la natura autoritaria del sistema politico. (Autoritarismo = autorità priva di senso, irresponsabile). In questa totalità concreata siamo inseriti fino al midollo.
4. La varietà estremamente differenziata delle produzioni particolari entro l'omogeneità generale del modo di riproduzione (qui per produzione si intende produzione sociale dell'individuo sociale, la complessità delle diverse sfere dell'attività umana) non va assolutamente dimenticata. Il concetto generale di istituzione - d’altra parte - non deve assolutamente far dimenticare le diverse determinazioni di ogni istituzione particolare, la particolare funzione che essa svolge all'interno il sistema complessivo (di produzione e di controllo sociale),
5. La contraddizione generale – dunque - che si riproduce a livello del sistema complessivo assume connotazione e densità del tutto particolari a seconda dello strato sociale che investe, del tipo particolare di produzione da cui insorge, dell'istituzione specifica entro cui si articola. (Es. La rivolta universitaria, quella degli studenti medi, degli operai di fabbrica, dei tecnici, etc. etc. possono certo essere sussunte entro la categoria generale di lotte sociali ed interpretate unitariamente in una dimensione anti-capitalista, ma tale processo di unificazione non deve smarrire le differenze quantitative e qualitative che esistono tra le lotte diverse di strati differenti, ed entro uno stesso strato sociale).
6. L’ampiezza e l’intensità crescente della contraddizione generale del sistema metropolitano trovano – oggi – nella istituzione scolastica e nella popolazione studentesca rispettivamente l’anello debole della catena delle istituzioni e il gruppo sociale più mobilitabile in direzione sovversiva. Questo è il ‘dato di fatto’ rilevabile anche da una analisi anche superficiale delle lotte sociali nella metropoli dell’anno 67/68. (I 6 punti precedenti hanno il solo significato precauzionale di non mescolare politicamente i due concetti di ‘lotta sociale’ e di ‘rivolta studentesca’). (L’ultima è solo parte della prima, anche se dall’anno scorso vi svolge un ruolo di stimolo e di indicazione rilevante) (e di ricordare ai compagni che un sistema può considerarsi completamente ucciso, quando la crisi è appunto complessiva: i dominanti non possono più continuare a dominare in quel modo determinato, e i dominati non lo sopportano più. Non è questo il caso, ma piuttosto quello di una crisi solo parziale, anche se estendibile). (La situazione non è rivoluzionaria). (L’analisi delle lotte sociali dell’anno scorso viene qui scontata. Si assume che i compagni ricordino il ruolo che vi ha svolto la rivolta studentesca, almeno in Italia? Germania, Francia? Messico). Vedi Reiser, Ferraris, Convegno di Venezia, Montly Review.
7. Per quali cause strutturali e sovrastrutturali, per quali motivazioni oggettive o soggettive l’istituzione scolastica e la popolazione studentesca si trovino oggi a giocare un ruolo essenziale nel corpo complesso delle lotte sociali anti-capitaliste nella metropoli, è stato e continuerà ad essere oggetto di indagine scientifica e politica. Qui si rende però necessario il rimando a testi già scritti, a ricerche già fatte, senza pretendere ad un riassunto elencativo e sviante. (I due volumi di Laterza e Marsilio sulla rivolta universitaria cogli ultimi 4 fascicoli di Quaderni Piacentini, sono forse i passaggi obbligati per una ricerca su questo punto). Il ‘perché’ della rivolta anche se necessario alla nostra coscienza individuale e collettiva è senz’altro meno urgente del ‘come’ la rivolta stessa si sia sviluppata. (A questo proposito, per un panorama nazionale delle posizioni politiche e per la dinamica delle problematiche, cfr. Il lungo saggio di Marco Boato apparso sugli ultimi 3 numeri di ‘Questitalia".
8. L’aumento quantitativo e qualitativo della contraddizione generale si esprime in una crisi radicale nel solo istituto scolastico. Gli ultimi mesi del ’67 (e poi per tutti il primo semestre del ’68) vedono un salto ‘politico’ collettivo della popolazione scolastica (in particolare universitaria, delle facoltà umanistiche, al Nord del Paese). Lo studente scopre il proprio disagio personale come una particella di un disagio più ampio, collettivo e al limite sociale. E collettivizza il disagio come problema da risolvere collettivamente in prima persona. La saldatura del singolo studente alla massa dei compagni si accompagna la saldatura di una analisi puntuale con una prassi trasformativa. Si forma l’embrione dell’intellettuale collettivo-militante collettivo, base materiale per la riapertura di un processo rivoluzionario anche nella metropoli. (Globalizzazione delle lotte internazionali d’emancipazione dell’uomo).
9. L’analisi smaschera l’istituzione. La scuola appare per ciò che è: un istituto di classe che riproduce il sistema generale di sfruttamento attraverso meccanismi determinati di a) selezione e di b) manipolazione. Il modo generale di funzionamento dell’istituzione viene puntualizzato: autoritarismo (accademico). La scuola serve fondamentalmente al sistema non insegnandoci a pensare criticamente, ma anzi, insegnandoci ad obbedire oggi per poter efficacemente comandare domani. Ma "il re viene messo nudo" veramente solo quando l’analisi si accoppia colla lotta di classe. E’ la dimensione critico-pratica e quella sola che colloca il movimento come qualcosa di ‘politico’". I faraoni della cattedra vengono sbeffeggiati in aula, impallidiscono, non sanno reagire né sul piano scientifico né su quello politico. Si coprono le svelate nudità e scappano via mostrando il culetto. Si occupano le università quasi contemporaneamente e quasi dappertutto. E si scopre un po’ di flusso vitale: si ride insieme, si inventano corsi, si scrive sui muri (anche se i muri di maggio ci faranno scoprire la nostra scarsa fantasia e la pigrizia della nostra emancipazione, ci mostreranno in concreto quanto lunga sia ancora la nostra strada per restituire l’uomo a se stesso come individuo sociale fisicamente ricco, sessualmente maturo, spiritualmente creativo). In quelle aule, beninteso, si fa anche "politica" (in senso restrittivo): si studia, si analizza, si tengono convegni, si elaborano proposte, si accenna timidamente ad "uscire sulla città". Nasce il mostro del ’68. Il Movimento Studentesco come movimento politico di massa.
10. Per arrivare al "mostro" si erano rese necessarie, tuttavia delle operazioni preliminari. Tra tutte, la più importante è stata quella di liberarci degli Organismi Rappresentativi. "Rifiuto della delega". Basta colle elezioni dove tutti votano alcuni a fare politica in nome di tutti. E cioè sopra la testa di tutti e dietro le spalle di tutti e dunque contro tutti. Il "rifiuto della delega", tuttavia, esprimeva un programma politico ben più grande e radicale, anche se in nuce. Ed è stato sviluppato. Si è andati oltre, verso i partiti ed il parlamento (erano i tempi della legge Gui, la famigerata 2314). E si è deciso di non delegarli (in quanto legali rappresentanti del popolo?) a rivolgerci i nostri problemi. Solo lo sviluppo conseguente della lotta di massa contro la scuola lo avrebbe potuto in termini per noi soddisfacenti. Insomma, rifiuto della delega incominciava a voler dire "politica militante" in prima persona con controllo collettivo di quello che si pensa, di quello che si fa, delle conseguenze che ne scaturiscono! Da questa tematica politica viene fuori una forma organizzativa nuova: "L’Assemblea Generale decisionale" (tutto il potere all’assemblea) come forma collettiva critico-pratica. Bastano però poche ‘assemblee’ perché ci si accorga che qualcosa non funziona. (Oggi diciamo che le assemblee generali sono repressive e non emancipatorie). A parlare sono in pochi e sono sempre quelli, i "leaders". Gli altri terrorizzati e intimiditi, annotano o si addormentano o se ne vanno. Si sentono passivi, manipolati. Ed è vero. Si propongono allora le strutture di lavoro (le commissioni). Piccoli gruppi strutturati per ‘interessi’ (Medi, Fabbriche, studenti lavoratori ... verso l’esterno) (figura sociale del sociologo, autoritarismo, sessualità e repressione ... verso l’interno). Alcuni si disinibiscono, incominciano ad intervenire, si assumono responsabilità politica in prima persona. Ma ogni volta che si ritorna in assemblea si ripete la storia di sempre, anzi la "leadership" si concentra, nasce il leader carismatico. Non solo. Nelle stesse commissioni, la faccenda è ben lungi dall’essere risolta. Molti ascoltano e tacciono. Altri vanno e vengono sfiduciati. E si scopre allora a) la dimensione interiore della repressione (quella che viene prima di ogni commissione ed assemblea, e ha radici profonde, nell’infanzia, nelle turbe adolescenziali, nella famiglia, rafforzata e ratificata dalle istituzioni sociali, la chiesa i partiti la stampa la scuola elementare e media superiore e i gruppi amicali etc. ...) b) il processo di lunga durata per l’emancipazione (tra la affermazione "rifiuto della delega" e la realizzazione "delega abolita" ci sta un faticoso itinerario di lotta contro le istituzioni sociali e contro noi stessi come loro prodotti, processo che non può essere individualistico e psicologistico, ma solo collettivo e politico) c) che la politica deve essere distrutta, cioè ridefinita. (Si scoprono le dimensioni restrittive del "far politica" come separazione tra vita pubblica e vita privata, tra dimensione esteriore e dimensione interiore dell’essere sociale; e le fa saltare. "Far politica" diventa distruggere ciò che gli altri, le istituzioni, ci avevano detto che la politica fosse. E si parla collettivamente della propria ragazza, del lago, di oligopolio, della mamma, Guevara, ciho pochi soldi, uffachebarba, status e ruoli, andiamo a sentire l’erba che cresce ...) E comunque non basta, non si può essere soddisfatti.
11. All’inizio – (ma c’è un "prima ancora" di cui non si è accennato) – dunque è stato "Poter Studentesco", la lotta di massa contro l’istituzione scolastica, la popolazione scolastica scatenata contro l’autoritarismo accademico. Qualcuno scriveva sul frontespizio dell’università "non vale la pena di trovare un posto in questa società, ma di creare una società in cui valga la pena di trovare un posto!" Qualcun altro dentro le aule "non vogliamo mangiare alla vostra tavola, vogliamo rovesciarla". Ma la natura del movimento rimane, in fondo, scolastica, studentesca. La società, il* mostro istituzionale, rimane sullo sfondo. La logica di sviluppo è induttiva, legata al disagio reale. (per inciso, questo termine è scorretto. Era il disagio immediato quello da cui si partiva. Il disagio reale, quello causato dal complesso istituzionale, sarebbe stato recuperato evoluzionisticamente e in modo concreto attraverso tutta una serie di passaggi da effettuare. Per intanto di partiva da quello immediato, dal malessere verso il professore, contro l’autoritarismo accademico. Per 70 giorni si rimase chiusi in università, occupandola e funzionando a suon di commissioni e di assemblee generali (salvo poche eccezioni) (Medi – ma era un restare nelle scuole - ) (Fabbriche – ma non collegata alle lotte studentesche).
12. La natura studentesca del movimento alle sue prime fasi si esprimeva dunque nello slogan "POTERE STUDENTESCO". Il suo schema di politicizzazione era riassunto nella logica induttiva a partire dal disagio immediato, dalla lotta contro il professore autoritario fino alla lotta contro Johnson, ultimo anello di una catena di deleghe. Il suo rapporto teoria-prassi era riassunto in "primiero la lucha y la consciencia después" (prima la lotta, la coscienza dopo). Il suo schema organizzativo pretendeva di raggruppare tutti gli studenti e di esprimere le esigenze immediate. La lotta di classe contro la scuola era concentrata sulla seminarizzazione dei corsi e sulla distruzione degli esami individuali. (Tutto quanto si va dicendo è evidentemente uno schema forzato della complessità degli avvenimenti) (e come è ovvio la struttura della coscienza dei compagni era piuttosto differenziata rispetto a quanto si va riassumendo, alcuni più avanti altri più indietro, per intenderci). L’aspetto positivo è stato che la politicizzazione è sostanzialmente riuscita, almeno per un buon gruppo di compagni. L’aspetto negativo è stato quello della chiusura a riccio sulla scuola, nella limitazione dell’azione politica al tessuto scolastico. (Un breve accenno deve essere fatto, circa la positività dei 70 giorni d’occupazione insieme. Prima dell’occupazione esistevano molte persone "sparse" e tre "sette": i "cattolici" i "comunisti" e gli "psiuppini". Non esistevano tra i gruppi comunicazioni di tipo alcuno, salvo quelle politiche in senso restrittivo, e dunque in termini di scontro. Per il resto, circolavano i succedanei della comunicazione umana, e cioè, le dicerie, le presupposizioni, etc. che rinforzavano il carattere di setta, distinguendo in modo manicheo tra i "buoni dentro" e i "cattivi fuori". Bene i 70 giorni ci sono serviti a far saltare queste porcate. Ci si è scoperti reciprocamente come esseri umani, pieni di nuovi bisogni radicali e di vecchie putride necessità. Ma almeno le riserve mentali sono state messe nell’immondezzaio. E abbiamo cercato di guardarci per quello che eravamo. Con difficoltà e fatica, attraverso i mesi seguenti, il processo è stato sviluppato. Oggi non ne siamo del tutto liberi, ma parliamo di quelle cose come uno stadio ormai superato. Almeno una cosa: nel Movimento a Trento non esistono gruppetti precostituiti su base ideologica del tipo "tradizionale". E non è poco. Un piccolo frutto della rivoluzione culturale metropolitana.
13. A far "saltare" Potere Studentesco ha contribuito, non poco, la repressione. Essa ne ha evidenziato i limiti più gravi, ne ha messo a fuoco le ingenuità più smaccate, sollecitando così un processo autocritico di revisione teorico-pratica. Là dove tale processo è stato gestito politicamente in modo corretto (evitando l’opportunismo e l’Avventurismo), il movimento ne è venuto fuori ‘riqualificato’, teoricamente più ricco, praticamente più incisivo. A parte le specificità trentine, lo schema generale della repressione e della sua "funzione positiva" può essere così delineato:
A. Lo studente non accetta più di studiare e basta. Si pone delle domande radicali (perché studio? Per chi? Come mai io posso studiare e la maggioranza degli uomini no? Cosa mi serve questo tipo di studio? A chi serve? Etc.), ad esse si risponde con un’analisi radicale della istituzione scolastica (selettiva, manipolativa, autoritaria) e lotta per abolire le cose più deteriori che gli sono apparse, a questo livello, è lo stadio di Potere Studentesco e della lotta di massa contro la scuola.
B. A questo punto entrano in azione i meccanismi sociali di repressione (le istituzioni). Polizia e Magistratura da una parte, ma Stampa, Famiglia, Chiesa etc. dall’altra. Accettano l’analisi (diranno: le cose che dite e volete sono buone, il metodo per realizzarle no), accettano la lotterella riformistica (il "gattopardo": cambiare tutto perché niente cambi, ovvero: chiedete secondo le regole e secondo le regole vi sarà dato), quello che non possono accettare e neppure sopportare è appunto la novità radicale del movimento il suo aver saputo saldare l’analisi alla lotta sviluppando una dimensione attiva, critico-pratica, che non si appaga delle briciole ma vuole andare fino in fondo alle cose.
C. Lo studente (come collettivo in lotta ‘per una causa giusta’) scopre sulla sua pelle tutta la baracca: l’ingiustizia strettamente collegata di tutto l’apparato. Scopre la società come "mobilitazione generale" contro lo studente. A difesa dell’istituzione scolastica insorgono tutte le altre istituzioni (sia quelle di controllo, sia quelle di violenza, e tute con lo stesso fine: stroncare il nesso critico-pratico, separare l’analisi dall’azione, far rifluire la lotta dentro i canali istituzionali, muovere tutto perché non si muova niente). La ricerca delle ‘alleanze necessarie’ fallisce miseramente (sindacati e partiti sono esattamente come tutti gli altri, in più ti dicono che sono d’accordo con te ... se non fai troppo casino, se rinuncia trasformare le cose che pensi in azioni militanti e si smaschera anche la natura repressiva del revisionismo).
D. A questo punto, le alternative sono due. O accetti la repressione gratificante (la riformetta, la miniriforma etc.) e ti quieti, oppure vai avanti fino in fondo. Ma a questo punto per farlo occorre ristrutturare tutto sulla base di un principio: ‘contare solo sulle proprie forze?.
E cioè il movimento deve fare il ‘salto’. Per poter portare avanti la lotta contro l’istituzione scolastica deve lottare contemporaneamente contro le istituzioni societarie che impediscono lo sviluppo di tale lotta. Bisogna rompere il feticcio della limitazione al terreno scolastico. Da ‘Potere Studentesco’ il M. deve diventare ‘Movimento Studentesco Antiautoritario’. Impostare la ‘lunga marcia attraverso e contro le istituzioni’. E per impostarla deve rendersi conto del vuoto, no! Del pieno cattivo che ha attorno a sé (creato dal revisionismo): non esiste una teoria rivoluzionaria nella metropoli. Occorre ‘rendere rivoluzionari i rivoluzionari per rendere rivoluzionarie le masse’ (RRRpRRM) ...
14 (Sulla repressione). La natura ‘chiusa’’ cioè conservatrice-reazionaria del sistema, è data proprio dall’immediatezza e prossimità della reazione repressiva a qualunque movimento di emancipazione insorga nel tessuto sociale. L’illimitata (o quasi) tolleranza pura del sistema verso ‘ciò che si dice’ ha il suo rovescio simmetrico/complementare nell’intolleranza immediata al ‘ciò che si fa’. L’articolazione della repressione è sempre composita: marcia cioè su molti fronti e dispone di modulazioni differenti. In generale combina l’uso simmetrico di istituzioni di controllo manipolativo (istituzioni di ‘Ragione’) con istituzioni di controllo coercitivo (istituzioni di ‘Terrore’). (Il Terrore viene in soccorso alla Ragione quando questa non basta, il Terrore del manganello, della denuncia, del mandato di cattura è maritato alla Ragione della carota, della pazienza, della terra promessa). La superfluità del dominio, la sua illegittimità sostanziale è visibile inoltre attraverso il nesso ‘spropositato’ che si instaura tra lo stimolo e la risposta. (Es.: bruci un simulacro di auditorium in piazza e ti denunciano per incendio pericoloso. Dici ‘stupido’ ad un professore stupido e ti denunciano per interruzione di atto pubblico. Entri in un edificio pubblico sfondando la porta e ti denunciano per associazione a delinquere, etc ...). C’è qualcosa di neurotico, di psicolabile in tale mancanza di proporzione. (Tenendo conto che a un criminale di stato che passa il suo tempo a raccontare fandonie, impoverire la gente, far guerre senza dichiararle etc. .. come Johnson il peggio che può capitare è di ‘cambiare mestiere’). Il rischio del movimento verso la repressione è di deviare verso forme opportunistiche (farsi paralizzare dalla possibilità del suo scatenamento) o avventuristiche (non tenerne conto nella maniera dovuta e lasciarci le penne senza possibilità, di ritirata). Un altro rischio è di tenere eccessivo conto della repressione manifesta e di sottovalutare quella latente (quotidianamente praticata in maniera sottile attraverso forme di persuasione e ricatto economico-affettivo, ad esempio da istituzioni come la famiglia, etc...). Un terzo tipo di rischio è quello di considerare repressione solo quella violenta (Terrore: Polizia, Esercito, Magistratura) e non quella manipolativa (Ragione) (il cosiddetto riformismo, ad es., il quale invece è altrettanto repressivo proprio perché punta allo stesso fine: l’abolizione delle forme antagonistiche di pensiero-azione. Muta la modalità di abolizione non la sostanza).
15. La prima fase di Potere Studentesco (i 70 giorni di occupazione) è schematizzabile in questo modo:
A. Successo interno (sul terreno scolastico) parziale
B. Sconfitta esterna (sul terreno sociale) radicale
A. Si poteva contare sul fatto che mentre noi eravamo rimasti fermi verso l’esterno, gli altri si erano mossi, riuscendo nella manovra di rendere incomprensibile la natura della rivolta, di incapsularla dentro la scuola, di isolarla rispetto al contesto. La città stava anzi attuando una reazione all’occupazione (che un medico descriverebbe come ‘rigetto di un organo esterno trapiantato’).
A e B sono interpretabili nel senso di ‘manovra repressiva riuscita’ (vedi nota 14) e di ‘incapacità del movimento a sviluppare una linea di massa. (Le due cose sono – evidentemente – correlate).
16. La seconda fase di Potere Studentesco (dalla fine dell’occupazione alla fine dell’anno accademico) presenta caratteri di schizofrenia: il movimento, si spacca radicalmente in due tronconi autonomi, che proseguono la lotta su terreni distinti, senza alcuna o quasi comunicazione interna efficace. Una fetta di quadri dell’occupazione si proietta all’esterno della scuola e si occupa ormai quasi esclusivamente delle lotte operaie. L’altra fetta rimane dentro l’Università a gestire politicamente i risultati conseguiti formalmente a fine-occupazione. Il mercoledì liberato dai gravami didattici (lo spazio strutturato) si risolve, salvo rare eccezioni (Assemblea operaia Italcementi, dibattito con Ferraris-Sclavi ...) in stanche assemblee fiume che si vanno man mano assottigliando per mancanza oggettiva di un interno significato politico. Le grosse cose realizzate sul terreno esterno (delle lotte operaie) non mutano il severo bilancio politico che si deve tracciare di quel periodo. Accenniamo a 4 punti.
A. Si produca il quadro specializzato (quello che sa di scuola e basta) (quello che sa di fabbrica e basta). La gestione politica unitaria del movimento complessivo non esiste. La speciosa distinzione tra ‘interno’ e ‘esterno’ - che qui usiamo in senso provocatorio – corrispondeva allora ad una separazione reale. (L’andare tutti al picchettaggio non risolve certo il problema) (Né il ritornare tutti in Università a contestare gli esami).
B. Sul terreno sociale la scarsa chiarezza teorica sulla natura complessiva del movimento e sulla sua dinamica interna si traduce in un atteggiamento populistico verso le masse. La metodologia della politicizzazione universitaria viene ‘riportata’ sugli operai. Si parlerà anche qui di ‘logica induttiva’ ‘partire dal disagio immediato’. La linea di massa è in realtà ‘adorare le masse’ (simmetrico dell’isolamento in cui ci eravamo rinchiusi). La linea politica viene stabilita a partire dai bisogni delle masse, senza distinguere tra bisogni immediati e bisogni reali, tra bisogni corretti e bisogni scorretti. La lotta operaia è vista come ‘lotta interna di fabbrica’ (corrispondente alla lotta interna alla scuola). Si cerca di creare una organizzazione operaia autonoma, dal basso: reparto per reparto. La parola d’ordine ‘potere operaio’ va di pari asso con ‘creare comitati di fabbrica’. (Non si vede nell’operaio l’uomo concreto, le 24 ore di vita vengono ridotte arbitrariamente alle 8 di fabbrica, si identifica l’attività speciale coll’esistenza complessiva: più o meno come si era fatto per lo studente). Un attivismo sfrenato che logora i quadri e impedisce loro di pensare, presi tra una manifestazione e l’altra, tra un picchetto e l’altro, caratterizza l’attività esterna di quella fase. La bandiera rossa (senza simboli) e il distintivo di Mao sono le caratteristiche principali ‘visibili’ del movimento (Per inciso, sia la bandiera rossa che il Mao hanno un’ottima accoglienza a livello operaio. Le titubanze spariscono in fretta. Tutte le manifestazioni, e se ne sono fatte molte, finiscono con gli operai coperti di bandiere rosse e di Mao, che ci strappavano letteralmente di dosso). Inoltre, nel rapporto con gli operai ci si definisce come ‘studenti’ e basta. La lotta contro la scuola dei mesi precedenti ed il maggio francese sembravano esimerci da ogni ulteriore chiarificazione. La collocazione sociale – studente – non veniva distinta da una organizzazione politica definita – il MS -. Inoltre il MS sembrava ‘rappresentare’ ‘tutti gli studenti’).
C. Atteggiamento ambiguo verso il MO. La critica al riformismo e al revisionismo, praticata verbalmente, non era assolutamente collegata ad una pratica (personale e sociale) conseguente. Si denunciava il partito restando nel partito. Si dichiarava la radicale differenza politica tra partito e movimento, militando poi in entrambi. (E’ stato solo dopo i fatti cecoslovacchi, e partendo dal dibattito sviluppato su di essi, che si sono visti i 4 ‘fatti’ del ’68 come una cosa unica (cioè: l’offensiva vincente del popolo vietnamita organizzato in guerra di popolo, il maggio francese, lo sviluppo, internazionale del MS, la Cecoslovacchia come putrescenza generale del revisionismo rinascita generale della globalizzazione della lotta offensiva rivoluzionaria). E da questa ‘cosa unica? Si è risaliti all’incompatibilità politica – oggi – di una militanza attiva nel movimento e nei partiti. Con fatica, tormentosamente, ci si è staccati a poco a poco dalla Grande Mamma). Inoltre: si è distinto (giustamente fra partiti e sindacati. E verso questi ultimi si sono coltivate speranze ambigue. Si parlava di ‘uso operaio del sindacato’. Lo slogan del ’68 ‘studenti e operai uniti nella lotta’ veniva fuori da una base politica confusa, da un rapporto coi sindacati al continuo limite tra tattica e tatticismo. La corretta preoccupazione di evitare il verbalismo pseudo-rivoluzionario (l’attacco ideologico frontale ‘puro’ all’organizzazione sindacale) si trasformava talvolta nell’inibizione politica alla critica puntuale, dimostrabile, fondata.
D. Il vuoto teorico (che in realtà è ‘pieno cattivo’) sulle prospettive generale si traduceva un’incapacità autocritica. Alla fine di ogni azione si ripartiva su una azione successiva, senza fermarsi a ‘correggere il tiro’. Mancava la discussione collettiva sui limiti delle azioni svolte, sul coordinamento fra le varie attività, etc. ...
Più in generale, la linea politica di potere studentesco non veniva riconsiderata alla radice. E ciò che poteva essere stato buono per un giorno rischiava di diventare verità universale immodificabile. Tutto questo produceva nei quadri uno stato depressivo accentuato, una insoddisfazione collettiva irrisolta. La nausea dell’attivismo ha portato alla necessità quasi biologica di mangiare libri insieme. Sono cominciati allora i seminari teorici dell’estate.
17. Nel giugno ’68 (con una metodologia scorretta) 3 compagni (Mauro Rostagno, Paolo Sorbi, Elena Medi) elaborano un foglio di lavoro che poi viene diffuso poco e male (100 copie circa) ai quadri. Il foglio non viene discusso collettivamente e da molti neppure letto. Resta così inutile e inutilizzato. Lo riportiamo qui sopprimendo 21 righe, in quanto lo riteniamo utile oggi all’autocoscienza critica del MS attuale.
Avviso: le cose vecchie e sbagliate del foglio (uso operai del sindacato, tutta la parte "proposte di strutturazione" e "strategia e tattica") sono lasciate intatte, proprio per aprire lo spiraglio alla ricostruzione storica del MS stesso. Le righe soppresse riguardano frasi non coerenti con l’insieme del documento, o eccessivamente affrettate.
NOTA: è bene non saltare la lettura di questo "foglio nel foglio", specie per i quadri ‘vecchi’.
FOGLIO DI LAVORO GIUGNO ’68 – TRACCIA DI DOCUMENTO SULLA SITUAZIONE
E PROSPETTIVE DEL MS
(Questa traccia è la registrazione di un discorso orale riassuntivo che si riferisce alle discussioni avvenute nei precedenti mercoledì, è un documento interno e non ha nessuna pretesa di completezza e di organicità).
I PUNTO. Le lotte sociali in Europa nel quadro delle lotte generalizzate del terzo mondo.
Si parte dall’Atlantico, fino all’altra parte: lotte in Portogallo, in Spagna, in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Olanda, in Italia, nei Paesi Scandinavi, in tutto il continente, e poi anche la Jugoslavia, la Polonia, la Cecoslovacchia, ecc. C’è quindi un clima molto teso di lotte sociali. Queste lotte sociali si inseriscono in un clima di contestazione internazionale, che viene portato avanti dalle ribellioni molto estese che ci sono per esempio oggi anche in molte Università dell’America Latina, o dalle lotte di guerriglia nell’Africa nera o dalle lotte di liberazione nazionale dell’Asia. La punta massima di questa contestazione pratica è nel Vietnam, il luogo cioè dove tutto il sistema capitalistico occidentale, nella sua specie più sublimata, cioè nel punto più alto della sua tecnologia più potente (americana) viene posto in crisi dall’organizzazione dell’uomo. Quindi il Vietnam è importante perché è la dimostrazione pratica di come l’organizzazione politica umana possa sconfiggere qualunque tipo di apparato tecnologico. Ma in questo clima di lotte del terzo mondo c’è il fatto nuovo costituito dalle lotte europee. Quindi le lotte sociali in Europa spostano il discorso (di qualche anno fa) dell’accerchiamento della campagna intorno alla città, ad un livello nuovo: non esiste più un capitale avanzato e uno arretrato, una lotta autentica rivoluzionaria in quei paesi con noi come retroguardia, non c’è più un’Europa che è un’isola di pace nel mare della tempesta mondiale, ma c’è anche in Europa la ripresa di una lotta rivoluzionaria. Dalle lotte sociali dunque viene fuori un quadro molto aperto di dinamica e di scontro sociale, e proprio in un momento di intenso sviluppo capitalistico: cioè quello che è rilevante è che questa dinamica e questo scontro vengono fuori non mentre il capitalismo è in crisi, ma mentre è in sviluppo economicamente. C’è una grossa disponibilità di lotta, in tutti gli strati sociali. Questo addirittura potrebbe essere lo slogan: guardando lo spazio sociale attorno, quello che si nota è che la lotta è la regola, e non l’eccezione, cioè non c’è più la tranquillità sociale e le lotte come eccezione, come poteva essere a novembre e a dicembre, quando dicevamo: c’è Capo Rizzuto, c’è Cutro, ci sono gli attrezzisti dell’Olivetti, se oggi scorriamo le pagine dei giornali vediamo che c’è un mare di lotte che vanno dalla Sicilia fino alla Valle d’Aosta. Lotte che chiamiamo lotte sociali: perché non sono solo lotte operaie, ma sono lotte di massa, di tiro nuovo usiamo cioè un concetto di tipo nuovo. Non sono lotte socialiste, ma lotte sociali, non esprimono cioè una carica rivoluzionaria intensa già realizzata ed organizzata: per cui non lotte socialiste, ma lotte sociali. E lotte sociali in un duplice senso. Che non sono solo lotte della classe operaia, ma anche degli studenti, del contadino e anche di strati tecnici, etc.: lotte cioè che investono tutto il tessuto sociale. Viviamo dunque la crisi del Capitalismo; che non è crisi economica ma crisi politica, e proprio al più alto livello di sviluppo economico. (Altro esempio: la contestazione nera dei ghetti neri dell’America, ma anche la contestazione bianca degli studenti nell’America). Ai più alti livello dello sviluppo tecnologico e nel momento di intenso sviluppo capitalistico c’è una crisi politica verticale di tutta la società. Viviamo cioè in un momento in cui il sistema sociale conosce due cose: la crisi della legittimità delle istituzioni da una parte e il vuoto di consenso che si crea attorno alla centralizzazione del potere politico dall’altra. Davanti a questa crisi politica del capitalismo qual è la reazione? La reazione è di tipo amministrativo, cioè una reazione repressiva che fa uso dello strumento della polizia o della magistratura o delle riforme, ma la reazione del capitalismo alla crisi del capitalismo aperta dalle lotte sociali è una reazione che non risolve le radici della crisi. Es.: la Francia: essa pone semplicemente in crisi il sistema capitalistico, ora, questa crisi può venire riassorbita, cioè l’enorme spallata che studenti e operai hanno dato al regime gollista lo fa barcollare e vacillare, questo può rimanere in piedi, può recuperare la lotta studentesca e operaia, può rimanere un regime capitalistico più autoritario e più repressivo di prima, ma rimane infinitamente meno solido, anche se in apparenza è formidabile, perché non c’è mai la soluzione di quelle cause che sono alla base della crisi stessa. Questa incapacità del sistema di sviluppare strumenti che riescono a recuperare e a risolvere le origini e le cause che generano la crisi è dimostrato ovunque. Se dunque anche le lotte esplodono, e poi rifluiscono e vengono piegate dal nemico di classe, esse si riproducono, si estendono e si accumulano.
Es.: sono partite le lotte in Cecoslovacchia, si sono estese in Spagna, si sono ributtate in Germania e sono passate in Italia, sono andate avanti per dei mesi e poi sono esplose violentemente in Francia. Estensione quasi endemica, accumulazione delle lotte, trascendenza.
Se poi si fa l’analisi interna delle lotte si vede che per esempio – parte la lotta studentesca, poi si estende allo strato operaio, poi arriva a coprire i tecnici, poi i contadini, poi anche strati di cittadinanza quasi burocratici. Quindi, da paese a paese, e – dentro ogni paese – di uno strato sociale a tanti strati sociali.
(+) NOTA: il livello politico delle lotte è tuttavia molto differenziato da strato a strato. Non è un pasticcio generale in cui tutto è uguale.
II PUNTO. Il nuovo tipo di lotta che si è creato svela un tipo nuovo di sistema sociale, cioè noi abbiamo scoperto che il capitalismo, l’imperialismo sono concetti storici prima delle realtà storiche (scoperte ed elaborazioni di questi ultimi mesi): cioè non c’è un’analisi una volta per tutte data dell’imperialismo e del capitalismo, ma abbiamo fasi nuove, storiche del capitalismo e dell’imperialismo. Oggi viviamo in una fase determinata, specifica: una fase tale di riorganizzazione capitalistica – per es. su scala internazionale – che, unificato il mercato mondiale imperialistico, oggi decide di assegnare agli Usa il controllo dei mezzi di produzione, e all’Europa fondamentalmente la produzione dei beni di consumo. Questo provoca dei grossi conflitti inter-imperialistici e un riassetto entro l’Europa di tutti i livelli produttivi dei paesi stessi. Si hanno perciò due processi: di centralizzazione e concentrazione del capitale, e di diffusione del capitale. A Trento, come nelle altre zone, per es., tre, quattro industrie si riuniscono in una sola industria e fanno con 400 operai quello che prima facevano con 1.200 operai in 4 industrie diverse e questo colpisce violentemente la classe operaia. A Trento per esempio la Brinkmann, la Coster sono effetti di un processo di concentrazione e di centralizzazione del capitale che poi passa ad uno stadio diffusivo, cioè l’azienda, che ha il suo grosso gigante produttivo a Dusserdolf o Milano, decide di dislocare un piccolo stabilimento in una zone dove c’è abbondanza di forza lavoro e non c’è industria, perché così può produrre lo stesso materiale con dei costi infinitamente inferiori, ma a questo punto, monopolizzata la forza lavoro di quella zona e assunte oche persone, esercita uno sfruttamento repressivo brutale che suscita tutta una serie di scontenti e di tensioni politiche. Oggi cioè si guarda una mappa europea e si butta una gomma a caso, non si batte in una città dove non si possa dire che in quest’ultimo mese non sia successo una grossa lotta: è insomma un fenomeno esteso e generalizzato dovuto a questo processo di riorganizzazione capitalistica. Cosa c’è di nuovo però che dal nostro punto di vista ci interessa? C’è che tutti gli istituti di questo sistema assumono funzioni nuove, cioè rimanendo pur uguale dal di fuori la struttura, la funzione cambia radicalmente: assistiamo cioè a un processo di vanificazione della distinzione tra struttura e sovrastruttura, ed anche tra vita pubblica e vita privata Oggi il controllo complessivo del sistema fa sì che non si abbia più spazio residuo per l’individuo: il ciclo capitalistico controlla l’uomo dalla mattina quando si alza alla sera quando va a dormire, e poi anche nel sogno, non c’è mai un momento di vita privata, tutto è annichilito nella pubblicità individualizzata della vita. Lo stesso per struttura e sovrastruttura. Si ha infine, ad un livello diverso – e siamo qui arrivati alla scuola – il fatto che la scuola, struttura identica con funzione radicalmente diversa, viene ad essere un centro di contestazione sociale amplissimo.
III PUNTO. La scuola e le funzioni nuove della scuola.
L’intervento massiccio dello Stato nell’economia fa sì che venga a crollare il vecchio tipo di capitalismo (concorrenziale analizzato da Marx) dove c’è la pianificazione nell’azienda ma l’anarchia nella società. Nel momento in cui la fabbrica diventa la società tutta e la società diventa una fabbrica, la programmazione della fabbrica diventa la programmazione societaria: in Italia proprio in questi anni ‘65-’70, d’imposta la programmazione generale del paese che controlla tutto: turismo, sport, scuola, fabbriche, agricoltura, industria ecc. Cioè c’è il bisogno di centralizzare e programmare tutto il paese. A questo punto ogni parte dei sistema viene funzionalizzata al sistema stesso. Questo non passa se non attraverso delle grosse lacerazioni sociali. Il fatto di far diventare la scuola – scuola di élite, scuola di massa – una cosa carica di esigenze infrastrutturali non soddisfatte, la violente subordinazione della scuola alle esigenze dell’industria, con la scomparsa di ogni mediazione, fa sì che la scuola venga impattata da un urto molto forte. E questo rivela la scuola come l’anello più debole di tutto il sistema sociale: cioè la scuola e lo strato specifico che c’è dentro, in particolar modo gli studenti sono lo strato sociale più facilmente rivoluzionabile di tutta la società. E di qua si può partire per estendersi poi a tutti gli altri strati. Cfr. Tutto il grosso discorso sulla scuola autoritaria e la scuola classista: scuola classista per un motivo economico e per un motivo politico – scuola di tutti classista per tutti, la scuola autoritaria, cioè dentro tutta la scuola i più rivoluzionabili sono gli studenti e non i professori perché subiscono dentro la scuola un processo di asservimento e di controllo sociale esercitato dal professore sullo studente. Resta però determinato il fatto che la mobilitazione generale sul "no all’autoritarismo" come parola d’ordine è oggi un problema largamente superato: ormai va affrontato il problema in tutta la sua dimensione sociale complessiva ...
In più abbiamo tutto un altro discorso sulla scuola: scuola selettiva, manipolativa e di legittimazione sociale.
Selettiva: abbiamo visto, manipolativa: attraverso i contenuti e attraverso i metodi di legittimazione sociale: cioè serve a conferire uno status e legittima lo status cioè una volta che uno sia ingegnere può anche non fare l’ingegnere però viene visto come l’ingegnere.
Abbiamo un terzo discorso sulla scuola, cioè la scuola come lager, non come frigorifero, neutrale, ma come un contenitore trasformatore di una massa sociale giovanile chè veramente largamente pletorica e inutilizzabile dentro le esigenze complessive dello strato capitalistico. La scuola insomma perde le sue autonomie e diventa un’articolazione dello stato: nel momento in cui si urta la scuola si urta con ciò tutto lo stato, cioè tutta la programmazione e lo stato ci rovescia contro tutti i suoi istituti repressivi. Di qua si passa a tre diversi nuovi discorsi: cioè detto in forma mitica, Mao-tse-tung, Rosa Luxemburg e Che Guevara.
Il M.S. come mobilitazione complessiva di massa di una rabbia sociale che viene subito organizzata politicamente scopre tre importanti concetti:
1. il concetto di pratica sociale, cioè che l’unico modo per acquisire nuove conoscenze è questo: partecipare alle lotte aggressive che trasformano la realtà (Mao-tse-tung).
2. Il concetto del rifiuto della delega e della tematica consiliare, cioè il rifiuto della delega nel M.S. è l’esigenza oggi sentitissima e diffusa di tutti gli strati sociali, di riassumere in prima persona il diritto di fare quelle scelte che concernono i momenti fondamentali della propria vita, per cui ogni persona passa da oggetto manipolato a soggetto politico-decisionale.
C’è poi il discorso della tematica consigliare cioè del collettivo di lavoro che non demanda sopra di sé nulla, ma che autodecide e vuole sperimentare da se stesso i propri errori. Il Movimento Operaio, il Movimento Rivoluzionario reclama il diritto di fare degli errori da se stesso e di sbagliare con la propria testa: meglio quello che non il più infallibili Comitato Centrale (Rosa Luxemburg).Concetto del rapporto oggettività e soggettività e dell’uomo nuovo, cioè oggettività-soggettività significa che il rivoluzionario non può aspettare che esistano le condizioni oggettive per poi cominciare a fare casino, ma deve cominciare a farlo subito: ‘el deber de todos revolucionarios es hacer la revolucion, ma immediatamente, questo. Perché il tipo nuovo di rapporto fra prassi e teoria che oggi viene dato dal livello capitalistico è tale che la soggettività diventa oggettività cioè la presenza soggettiva, attiva nelle lotte, trasforma l’oggettività e la solidifica. La soggettività diventa oggettività, crea cioè le condizioni oggettive della rivoluzione. Es.: in Francia, in una condizione che poteva non essere tale, l’innesco della lotta studentesca ha provocato l’esplosione della lotta operaia (anche se questo non va visto in forma mitologica, anche se già in Francia c’erano due lunghi anni di preparazione e di lotta operaia che hanno conosciuto episodi giganteschi). Quanto all’uomo nuovo va bene qui la famosa frase "Togliatti muore nel ’68": Togliatti non è morto allora, ma è morto politicamente oggi, cioè nel momento in cui le masse sociali, le lotte sociali hanno dato una grossa spallata ai nemici di classe in Europa, ed hanno buttato dentro il sistema capitalistico tutto un modo nuovo di concepire la prassi che è poi la forma più alta di vita. Vale a dire che si è riscoperta una concezione militante di far politica, cioè la frase tradizionale di qualche anno fa: io non faccio politica perché è una cosa sporca, perché – come abbiamo visto – è una cosa fatta dagli altri, usata dagli altri, si è scoperto che la politica è militanza (Guevara). E questo proprio perché si è distinto partitico da politico, proprio perché si è distrutto la delega, perché si è ridata ad ogni persona la dimensione di soggetto politico. Allora il concetto di uomo nuovo vuol dire anche: tipo nuovo di quadro, tipo nuovo di militanza, tipo nuovo di uomo.
• tipo nuovo di quadro: significa un quadro autodecisionale, cioè che non aspetta le direttive dall’alto per eseguire, ma è invece una persona che decide da se stessa (anche se non in modo individualistico, ma nel collettivo di lavoro o nel consiglio luxemburghiano) le attività politiche comunitarie: nega l’avarizia di Barbiana per affermare la politica di Barbiana, cioè la soluzione collettiva dei problemi universali.
• tipo nuovo di militanza: cioè noi non possiamo accettare le nostre limitazioni universitarie, anche se questo è corretto come modo di partenza, poiché occorre negare la propria determinazione capitalistica per riscoprirsi come uomo tout-court (Cfr. Dutschke). Quindi lo studente e la militanza politica – in generale – di una persona è rivolta a tutti gli strati sociali oppressi, brutalizzati dall’attuale sistema. Per cui per militanza noi abbiamo un concetto di pratica sociale attiva che è la presenza del soggetto ovunque ci sia bisogno di lui. Militanza significa anche un’altra serie di cose: cioè che si distrugge il partito come ente burocratico, militanza come vita in collettivo, decisioni in collettivo, strumentazioni in collettivo.
Tipo nuovo di uomo: emerge dalla sintesi del discorso sul quadro
nuovo e di quello sulla militanza nuova. Cioè bisogna che noi cominciamo
a realizzare fin da adesso elementi di contro-società, è il tema
dell’utopia operante: noi non possiamo più parlare di un’utopia,
di un modello sociale futuro che abbiamo in testa, ma dobbiamo cominciare A
COSTRUIRLO FIN DA ADESSO.
Dice Gang: bisogna stare attenti che gli elementi di contro-società che
costruiamo non contengano insieme agli elementi rivoluzionari o utopici anche
gli elementi del Termidoro. Cioè dobbiamo stare attenti che quando costruiamo
elementi contro-societari – i gruppi di autodecisione politica, i Soviet
– all’interno non vi sia il minimo difetto o la minima riproduzione,
meglio, di quelle che sono le pratiche capitalistiche: perché come sarà
la società di domani lo si vede dall’oggi – questo è
il senso, cioè quello che facciamo oggi decide di quello che sarà
la società di domani a tutti i livelli politici e di intervento sociale.
I TRE GRANDI FATTI DEL 68:
1. l’offensiva vittoriosa del FLN
2. Il M.S. come movimento internazionale
3. Il maggio francese
Questi fatti ristrutturano necessariamente il quadro concreto in cui ci poniamo. E si pone allora in modo diverso il rapporto metropoli-Terzo Mondo, cioè finalmente appare una riscossa verso una società egualitaria anche in quei paesi che fino ad oggi sono i massimi responsabili dell’imperialismo, cioè dei sistemi mondiali di dominazione. Fino ad oggi il rapporto volontaristico che avevamo instaurato con il Terzo Mondo era quello che Guevara diceva; la nostra solidarietà con la lotta del terzo mondo somiglia all’urlo della plebe romana al circo dove i gladiatori si scannano, ora esso è diventato un diverso tipo di partecipazione, cioè oggi le masse studentesche, giovanili e proletarie sono scese dai gradini e sono andate anche loro già nel circo a fare la battaglia assieme ai gladiatori. Non assistiamo più impassibili solidarizzando allo scontro Vietnam-Usa, cioè tecnologia dell’uomo-tecnologia della macchina, ma siamo schierati tutti con la tecnologia dell’uomo e con la organizzazione politica come forma decisionale dell’uomo stesso. Quindi la metropoli comincia il suo processo di negazione. Il M.S., che è un po’ l’innescatore o il detonatore di queste lotte sociali o il detonatore di queste lotte sociali porta con sé una carica ideologica e critica che garantisce l’internazionalità e la globalità del discorso, cioè il solidarismo terzomondista anche se non è passato completamente a livello delle classi proletarizzate, però è estremamente cosciente e vivo nelle masse giovanili: anzi possiamo dire che l’esplosione violenta e aperta dello scontro politico col nemico di classe è stata preparata in tutto il ’67 e in tutta Europa da giganteschi e quasi settimanali scontri con la polizia, e comunque grosse agitazioni per il Vietnam (il ’67 è stato l’anno per il Vietnam) da parte degli studenti e di altre categorie. Tutto questo avviene in un contesto politico che è connotato di due concetti: il partito desocializzato e il sindacato depoliticizzato, cioè con dei partiti politici che dichiarano di negare la società attuale i quali hanno perso radicalmente la loro base sociale, che si dichiarano partiti operai ma non sono più operai, nel senso che l’operaio non è più soggetto attivo dentro questi partiti e che non c’è una politica operaia del partito, ma c’è una base operaia e un partito che fa la politica per gli operai – il che è un’altra cosa -; e poi perché il partito non entra in fabbrica, ma demanda la lotta operaia ad un alto organismo di massa: cioè il partito diventa parlamentare, e consegna al sindacato depoliticizzato la gestione delle lotte operaie. Vediamo cioè il sindacato che diventa unicamente il gestore ufficiale della Forza lavoro dentro la società capitalistica per una remunerazione del supersfruttamento che il sistema produce. Per cui le lotte operaie sono lotte rivendicative, e le lotte politiche sono quelle che fa il partito- questo è l’assurdo. Ma dicevamo prima che c’è in Europa una presa di coscienza gigantesca, un quadro aperto di dinamica e di scontro sociale, lotte sociali aperte, queste vanno proprio contro la riduzione rivendicativa del sindacato e la riduzione parlamentare dei partiti della tensione politica espressa dalle masse proletarizzate studentesche giovanili, che invece vanno verso una richiesta di potere aperta. Entra quindi radicalmente in crisi la socialdemocrazia del M.O. Europeo. E quel che preme sottolineare è che la critica alla socialdemocrazia non è più critica libresca fatta da gruppi elitari o da riviste, ma è ormai una critica sociale di massa, pratica, cioè in atto, condotta dentro le strutture e contro le strutture, è uscita cioè finalmente dai discorsi di biblioteca per diventare una pratica sociale di piazza. Ora dobbiamo porci il problema di quale riflesso politico le lotte provocano dentro le strutture. E’ evidente come oggi in Italia, come oggi in Europa, lo schieramento politico non rispecchia lo schieramento sociale, i partiti non rispettano la determinazione di classe. Allora noi oggi assistiamo per es. in Italia lo sfaldamento, lo spaccarsi completo dell’interclassismo cattolico, o d’altra parte alla messa radicale in crisi della base socialdemocratica della socialdemocrazia. Assistiamo ad un grosso movimento, per cui i partiti rimangono statici, e la base sociale, mescolata da come prima era loro consegnata, va invece riassestandosi, secondo la sua dimensione di classe: cioè oggi al di là di ogni frammentazione ideologica uno scopre la socialità. (Cfr. in Francia, in Italia questa grossa cosa dei "fermenti cattolici", il che non è un discorso strumentale, ma che deve essere analizzato scientificamente: cioè c’è una distruzione anche di tutti quegli apparati ideologici che finora avevano negato una determinazione di classe come determinazione fondamentale). Dunque lo schieramento politico in quanto tale non corrisponde più allo schieramento sociale, per cui occorre una distruzione sistematica di tutto lo schieramento politico, un rimescolamento delle carte. Questo pone il problema del partito rivoluzionario e del rapporto uomo-natura-storia. Quando noi diciamo che è cambiato il modo di produzione delle merci, cioè il modo capitalistico di produzione su cui si fonda il sistema sociale complessivo e l’imperialismo, diciamo che è cambiato anche (poiché non si producono solo le merci) il modo di produzione dei beni e dei servizi che viene attuato attraverso l’uomo: quindi la produzione delle merci dà una determinata produzione dell’uomo. Oggi la produzione sistematica dei mezzi di distribuzione è la produzione sistematica della distruzione e degli uomini. E questo a cui noi oggi ci si ribella. Il rapporto tra uomo e natura dato dalla macchina capitalista viene negato. L’uomo non accetta più, non solamente il rapporto attuale fra operaio macchina e natura (cioè la macchina capitalista, quindi la grande industria, la fabbrica e lo sfruttamento), ma non accetta più neanche quell’altra mediazione che gli si era offerta dalla teoria del M.O.: cioè il partito marxista-leninista come medio fra l’uomo arrabbiato e la natura inerte, come l’uomo trasformatore della natura inerte. La scelta: o macchina capitalistica o partito, o merce o compagno, rimane ancora valida, ma trova una collocazione diversa.
Concetto di spontaneità. Cosa si è scoperto con queste lotte politiche? Che bisogna distinguere il partito tradizionale dalla organizzazione nuova delle lotte. Sinteticamente è: queste lotte hanno scoperto che si è superato il concetto di avanguardia così come definito da Lenin a favore del concetto di coordinamento: cioè c’è un opzione generale a favore di attività di coordinamento invece del concetto di avanguardia del partito. Vale a dire: lotte studentesche, lotte contadine, lotte operaie, delle casalinghe, etc. che poi vengono coordinate da un comitato centrale che è l’avanguardia politica, non è vero niente, c’è invece un coordinamento generale fra questi gruppi di base autonominati (per usare una terminologia di Dutschke) che pongono dentro di loro elementi di contro società attiva. Quello che si rifiuta è la centralizzazione ideologica ed organizzativa per portare avanti un processo insurrezionale o comunque di critica sovversiva rivoluzionaria. Se noi osserviamo le nuove lotte operaie, le nuove lotte sociali che si sono aperte in Europa, si osserva che si potrebbe quasi definire lotta per la lotta; in cui sono più importanti le lotte che non le rivendicazioni. Si possono fare centinaia di esempi, le "lotte rivendicative" non sono tali, perché l’operaio, finita la lotta, ha nostalgia della lotta e la vuole riprendere. Alla Michelin fanno le lotte, gli sanciscono un accordo con una parte normativa ed una salariale, la rifiutano e fanno quattro giorni di sciopero, e poi firmano un accordo che è esattamente lo stesso di prima. Questo mette in crisi il discorso "leninista" della spontaneità. Lenin diceva: se noi abbandoniamo le masse proletaria alla loro spontaneità, la spontaneità operaia non riuscirà a generare altro che tradeunionismo, cioè la coscienza sindacale della propria presenza di corpo sociale come forza lavoro dentro il sistema capitalistico. Oggi invece la spontaneità operaia va largamente oltre il tradeunionismo: l’analisi di Lenin non è che sia sbagliata, ma non va più bene. Oggi l’operaio spontaneo, lo studente spontaneo, il contadino spontaneo è tutt’altro che tradeunionismo: le loro lotte sono lotte di potere, anche se il sindacato le riduce a rivendicazioni e il partito le riduce a parlamentarismo. L’ideologia come cristalizzazione, l’ideologia istituzionalizzata viene criticata: questo non vuol dire che non rimanga o non si accetti nessuna forma di ideologia, cioè rimane chiarissimo che l’analisi che viene fatta della società è un’analisi che si rifà largamente all’analisi marxista dell’imperialismo e dei modi di produzione capitalistica; mentre viene largamente rinnovato, ma senza separare l’analisi dalle conclusioni, il modo con cui poi queste contraddizioni specifiche vengono risolte. Il rifiuto della centralizzazione è anche il rifiuto della internazionale, cioè come non pensiamo più a partiti nazionali, non pensiamo più neanche ad una internazionale dei partiti nazionali, ma pensiamo invece a forme diverse. Dev’essere chiaro che il processo di liberazione o è mondiale o non è; la libertà o è un concetto assoluto o è un concetto fasullo, o siamo liberi sempre e tutti o no è libero nessuno, poiché la libertà di uno non si può costruire sulla mezza libertà di un altro. Da qui tutto il discorso metropoli-terzo mondo, studente-operaio, ecc. per cui c’è la frase bellissima di Marx che dice che la luce della scienza non deve brillare sullo sfondo della tenebra di miliardi di uomini. Quindi il discorso della globalizzazione delle lotte rivoluzionarie deve passare attraverso un coordinamento non solamente attraverso gli strati sociali dentro un paese, ma fra paese e paese, e fra l’insieme dei paesi "evoluti" e "non evoluti". Il modo con cui noi vediamo questo coordinamento è un modo che passa attraverso una pratica sociale rivoluzionaria che costruisce fin da adesso elementi egualitari. Nel discorso contro la cristallizzazione e contro l’istituzione, c’è paradossalmente una riscoperta dei 16 punti del P.C. cinese: cioè l’esaltazione del movimento contro le istituzioni. Ogni istituzione in quanto tale è anti-umana (vedi "Che") la lotta dell’uomo è la lotta dell’umanità che ha detto basta e si è alzata in piedi, l’esaltazione del movimento e quindi delle responsabilità individuali. Quindi movimento vuol dire comitato, vuol dire soviet, vuol dire gruppi autodecisionali dentro tutto il tessuto sociale.
Azione extraparlamentare e azione antiparlamentare.
Il rifiuto della delega vuol dire che nessuno viene delegato a far politica per noi, ma la facciamo noi. E l’unico modo per farla noi è l’azione diretta: quindi l’azione diretta come azione extraparlamentare è l’unico modo risolutivo per affrontare i problemi della gente che ha deciso di risolverseli da sola. Ma assieme ad un’azione extraparlamentare, cioè un’azione che si muove dentro le strutture contro le strutture, cioè dentro e contro i partiti attuali per la loro distruzione e il loro annichilimento: uno dei presupposti della strategia rivoluzionaria a livello continentale è la distruzione del sistema attuale dei partiti comunisti europei, ed insieme a loro di tutto lo schieramento politico, quindi compresi anche i cosiddetti partiti socialisti. Occorrerà fare allora azioni specifiche anche contro questo tipo di istituzioni tenendo conto che tale azione antiistituzionale va organizzata a seconda di come sono le istituzioni. Per cui una cosa sarà il nostro attacco ai partiti, un’altra sarà il nostro attacco ai sindacati, perché diversa è la loro funzione e collocazione.
Rapporto studenti-massa proletarizzata.
Riguardo al problema terzo mondo-metropoli, abbiamo visto che il nostro ruolo è enorme: deve diventare una nostra azione politica sistematica quella di portare elementi internazionali dentro le masse in lotta. Proprio perché l’operaio è spoliticizzato e depoliticizzato, non prende coscienza del rapporto metropoli-terzo mondo, mentre noi ne possiamo prendere coscienza grazie al rapporto critico sovversivo che abbiamo verso il tipo di analisi sociali che ci è consentita. Dobbiamo portare dentro le lotte sociali questa dimensione internazionale di sfruttamento mondiale: abbiamo cioè un ruolo di attività ideologica molto preciso. Questo non vuol dire assolutamente porsi all’avanguardia: vuol dire che noi dobbiamo continuamente ‘ricordare’ cos’è il Vietnam, cos’è la Rhodesia, cos’è il peone, cos’è il ghetto nero, cos’è due miliardi di affamati nel mondo. Cfr. la frase di Don Milani "l’operaio non sa la lingua". Cioè non è noi dobbiamo andare a dirgli come si deve organizzare, come si deve liberare, come dev’essere internazionalista la classe operaia, ma dobbiamo portare dentro la classe operaia quegli elementi che poi essa stessa si auto-organizza in modo proprio.
Teoria rivoluzionaria.
Ovvero parla chi ha fatto l’inchiesta, per dirla alla Mao: cioè non si accetta più assolutamente nessun tipo di distinzione antidialettica tra azione e teoria. Guevara è l’"uomo che simbolizza l’unità nella prassi che abbiamo voluto stabilire tra azione e teoria, cioè non possiamo più accettare la divisione dentro lo stesso movimento o dentro lo stesso compagno la divisione tra una pars theoretica e una pars pratica, per cui ci sono gli esecutori e ci sono quelli che comandano. La teoria rivoluzionaria non può essere opera di coloro che non hanno fatto prassi rivoluzionaria! Il che significa che la teoria è una rimasticatura, una meditazione, un prolungamento dentro il cervello di quello che si è fatto tutto il giorno con le mani. Non si può più accettare la divisione tra ciò che dice la bocca e ciò che fanno le mani, tra ciò che dice la lingua e ciò che hanno fatto le tue dita. Quindi la teoria rivoluzionaria va vista come un momenti di una azione pratica eversiva e non come una frazione della sovrastruttura bolscevica, cioè non possiamo più pensare a un comitato staccato che elabora una teoria e poi la somministra al popolo, né d’altra parte vuol dire che noi, distrutto il concetto d’avanguardia, distrutto il concetto della sovrastruttura bolscevica, cediamo tutto in mano alla spontaneità sorgiva delle masse, poiché sappiamo che lì va fatta un’opera precisa di mobilitazione, sollecitazione, coscienzializzazione, politicizzazione. L’opera di politicizzazione dev’essere anche un’opera di globalizzazione della politicità (dimensione internazionale, vedi sopra).
Utopia operante come potere rosso.
O formazione di centrali decentralizzate, ovvero lunga marcia attraverso le istituzioni. Ora, dall’anello più debole all’anello più forte. Noi oggi abbiamo imparato che si può colpire simultaneamente la città e la campagna il capitalismo debole e il capitalismo forte. Rimane tuttavia il fatto che nella nostra strategia e nella nostra tattica dobbiamo partire dall’anello più debole per marciare contro quello più forte. L’università e la massa studentesca, la scuola e la massa scolastica sono indubbiamente l’anello più debole. Quindi dobbiamo organizzare l’università e la scuola come zone di ritirata come una zona di potere rosso, uno spazio antiburocratico dal quale non ci sbatte più via nessuno. Cioè una zona dalla quale siamo liberi di partire, usare la tattica della rete da pesca, andare nelle masse e poi ritornare nei momenti di repressione per rimeditare e per ripartire ancora in avanti: ma deve essere una zona di arretramento possibile. La zona liberata dentro la società capitalistica. Di qui si inizia la lunga marcia attraverso le istituzioni, cioè si parte dalla scuola per andare in tutte le istituzioni dove individuiamo la base materiale per un rapporto critico sovversivo: queste sono, in modo fondamentale, le fabbriche (e quindi la classe operaia di fabbrica), la campagna (e quindi i lavoratori della terra), i quartieri poveri (e quindi la gente dei ghetti) ... ma poi anche tutt’un’altra serie di istituzioni: l’esercito, la famiglia, la chiesa, gli ospedali, etc.
Potere rosso e spazi strutturali.
Spazio strutturale inteso non nel senso di contestazione didattica. Ossia la scuola ai burocrati e il MS agli studenti. Si tratta di trovare dentro la scuola quello spazio dal quale non ci possono cacciare, cioè il nostro spazio vuoto riempito politicamente da noi, nel quale – come potere rosso – dobbiamo già cominciare a realizzare elementi di contro società. Cioè la lunga marcia attraverso le istituzioni crea poteri rossi dove si comincia già a gestire la società alternativa. E quindi il MS deve già incominciare ad essere alternativa nella sua prassi, quindi: quadro del tipo nuovo, militante di tipo nuovo, uomo di tipo nuovo. Qui occorre fare la più grossa valutazione strategica: cioè la valutazione del momento congiunturale che stiamo passando. Questo chiaramente non è un momento di stallo ma un momento di transizione. Di transizione di potere dalla crisi politica del capitalismo ad una società di tipo egualitario. E’ tuttavia questo momento – di transizione non di stallo – un momento che non è rivoluzionario, cioè un momento in cui non si pone immediatamente il problema della presa del potere politico, ma un momento prerivoluzionario. Non si tratta quindi allora di organizzare le masse per prendere il potere ma di rendere rivoluzionari i rivoluzionari, di rendere rivoluzionarie le masse. Il che vuol dire dobbiamo ancora svolgere un grosso lavoro sul materiale primo che abbiamo a disposizione, che è l’uomo (studente), cioè dobbiamo ancora lavorare molto su noi stessi, politicamente, e quindi formarci tutti come quadri politici. Realizzare dentro l’Università, dentro tutto il MS il salto da quadro politicizzato a quadro politico: cioè da un quadro che ha la comprensione intellettuale delle mostrificazioni a livello mondiale ad un quadro che al di là della comprensione trasforma questa in attività pratica quotidiana. Il Che dice: il nostro amore per l’umanità deve trasformarsi in atti quotidiani di amore concreto verso l’uomo, questo è il passaggio dall’acquisizione mentale alla prassi critica sovversiva. Questi ci pone il problema dei diversi livelli di maturazione negli strati sociali. Strati già politicizzati possono non rientrare nella prospettiva che noi vogliamo usare, e non ci interessiamo quindi tanto a quelli, quanto ci interessiamo invece di stati magari non politicizzati (come esempio operai, gente del ghetto, contadini, studenti) anche se sono su posizioni non violente, su posizioni riformiste – perché non ci interessa tanto il livello di maturazione raggiunta, ma la prospettiva verso la quale vanno marciando. Cioè dobbiamo distinguere tra prospettive di tipo diverso entro diversi livelli di maturazione. Sono accettabili quindi entro una stessa prospettiva livelli diversi di coscienza (cfr. rapporti tra Carmichae e Martin Luther King).Si centra allora il discorso sulla avanguardia. Cioè noi possiamo comportarci come avanguardia ma verso quegli strati semipoliticizzati, depoliticizzati, con una politicizzazione agli inizi, per cumularli, per farli trascendere, per portarli ad un livello avanzato, cioè ad un livello di comprensione reale, scientifica, della brutalizzazione mondiale, e poi di trasformazione pratica della stessa. Dobbiamo cioè dare per scontato che l’uomo non è mai ciò che è, ma ciò che può diventare. Il succo della dialettica è che la determinazione è negazione, e può essere negata. Così un uomo che un anno fa, o un compagno che anche adesso non è sulle nostre posizioni può essere portato sulle nostre posizioni. Il che non vuol dire legalizzare l’opportunismo, e quindi modulare la nostra azione secondo la coscienza degli strati più bassi, ma scegliere quelle forme di organizzazione politica che a livello attuale dei nostri rapporti con la base studentesca, con la classe operaia e con tutto il resto ci consenta di recuperare e di portare con noi strati crescenti di popolazione studentesca e in generale proletaria. Cioè non si può rinunciare strategicamente al discorso dell’allargamento della base sociale del movimento. Specie nelle scuole. La verticalizzazione, che è oggi irreversibile, è data solo dall’avanguardia. Deve invece diventare un momento di allargamento della base sociale. Cioè non possiamo separare la verticalizzazione delle lotte dalla loro orizzontalizzazione ma il momento della verticalità (cioè della crescita politica sovversiva) deve diventare funzionale al momento dell’allargamento. Quindi oggi la nostra coscienza politica deve essere riversata su altra gente, deve trasformare la loro insoddisfazione in rabbia politica, e poi questa in organizzazione politica sovversiva. La zona della scuola, la zona dell’Università, è la zona di autodifesa del movimento studentesco, dalla quale si parte per fare la lunga marcia, usando forze sociali e forze politiche ed il tipo di relazioni fra esse distruggendo le forze politiche attuali, ma con un rapporto modulato: ad es. non si può negare adesso la funzione di controllo che ha il sindacato, ma dobbiamo imporre un rapporto di forza per cui noi riusciamo a far passare un uso operaio del sindacato. Assistiamo, assieme alla grandissima ripresa delle lotte sociali, e quindi alla riconsegna della prassi nelle piazze, nelle fabbriche, nelle scuole e nelle campagne europee, ad un altro fatto: alla sconfitta tattica di queste lotte. Questo documento lo facciamo nel giugno ’68, e questo non è indifferente perché viene dopo la rivoluzione di maggio – una rivoluzione che è finita male. Però dobbiamo dire come Marx: è morta la rivoluzione, viva la rivoluzione. Si impara più sbagliando che non vincendo sempre. La Francia ci insegna questo: che la sconfitta tattica non è una sconfitta strategica, che il capitalismo non riesce a risolvere le accuse della sua crisi, che può pacificare per il momento a livello sociale: può imporre la pace politica con la repressione, le elezioni, le riforme, ma non impone la pace sociale. E la riapertura del conflitto sociale riapre il conflitto politico generale. Noi non abbiamo però posto in crisi tutti gli strumenti di lavoro politico esistenti. Non siamo ancora riusciti a generare, ad esprimere i nuovi strumenti delle lotte di tipo nuovo. Attraversiamo cioè una fase larga aperta e nuova di sperimentazione di strumenti. (Il passaggio dalle lotte sociali da una fase difensiva ad uno offensiva richiede una radicale ricollocazione dei vecchi strumenti, una invenzione audace di strumenti nuovi). Gli istituti politici intermedi, i comitati di fabbrica, i comitati di quartiere, i comitati studenteschi, sono momenti sperimentali di azione politica spesso però inadeguati e insufficienti al livello nuovo di scontro offensivo nel quale ci troviamo. Non siamo in grado di prefigurare o dire con esattezza quali sono le forme successive verso le quali andiamo. Il problema nostro quindi – teorico e pratico – è che – rispuntata la prassi politica, rispuntate le lotte sociali – dobbiamo oggi dare a queste lotte strumenti più efficaci, più incisivi, che riescano continuamente a tenere aperta una breccia nella pace politica (che il nemico riesce temporaneamente a imporre con la repressione-riforma) per riaprire continuamente un discorso di contestazione globale. Detto in altri termini, dobbiamo riuscire a organizzare la contestazione globale ma anche la contestazione permanente. L’organizzazione di tutto questo, passa attraverso la creazione – dentro ogni angolo, ogni piega del tessuto sociale – di elementi di sovversione autogestiti, ai quali viene riconsegnata la facoltà e la capacità di decidere – affidandosi ad un processo cumulativo di trascendenza e quindi di trasmissione dalle lotte di avanguardia alle lotte di retroguardia. Possiamo vedere come, se le lotte sociali sono preparate dal basso, organizzate dal basso, sollecitate dal basso in modo che si muovano dentro le pieghe della struttura sociale, poi si possa fare lo "innesco a detonatore". Cioè una esaltazione dei momenti di conflitto da parte del MS, gli scontri di barricate, gli scontri di piazza, possono allora veramente esercitare una funzione di detonatore dentro le lotte sociali, ed aprire dentro le pieghe del tessuto sociale degli squarci veri e propri. Ma questo non è l’organizzazione della violenza autodistruttiva, cioè l’esaltazione della violenza in quanto tale e quindi dello scontro per se stesso (estetico): lo scontro va calibrato continuamente a tutta la situazione complessiva, nella misura in cui apre dentro le pieghe sociali delle grosse lacerazioni. Sennò la violenza che si autoelimina perché appare semplicemente il terrore ed il terrorismo del nemico di classe.
I° Frammento: Discorso critico sull’occupazione (per parlare della scuola) Occupazione come fatto difensivo: abbiamo verificato che dopo 70 giorni di occupazione noi eravamo finiti con l’accerchiamento della popolazione, e abbiamo scoperto che, settanta giorni dopo la fine dell’occupazione, dopo settanta giorni di lavoro fra la gente, oggi potrebbe essere accerchiata sì, ma dagli operai che ci difendono eventualmente da aggressioni della polizia. Questo ci deve insegnare parecchio sul modo in cui intendiamo riprendere le lotte nella scuola. Cioè la prospettiva che noi ci poniamo, di blocco della scuola (con l’altro di distruzione della Nato) deve essere tale da calibrare questo momento. Nel momento in cui si distrugge dentro la scuola bisogna costruire fuori la scuola, cioè trovare quei modi, quegli strumenti che operino all’esterno della scuola per rendere coscienti soprattutto gli stati oppressi, del lavoro politico che noi facciamo nei confronti della scuola. Quindi non solamente fare il discorso egualitario, fasullo e mistificatore verso la classe operaia dicendo loro che noi vogliamo la scuola di tutti per tutti innanzitutto perché questa sarebbe una presa in giro: non è realizzabile nel sistema attuale, e quindi questo vorrebbe dire chiamare gli operai a far la rivoluzione sans le savoir. Cioè bisogna dir loro chiaramente che l’unico modo in cui noi possiamo realizzare una scuola egualitaria è in una società egualitaria, quindi bisogna distruggere la società poi la scuola. Ma anche per un’altra considerazione: perché la classe operaia e tutta la gente all’esterno della scuola deve essere interessata alla lotta degli studenti contro la scuola. Perché i primi a soffrirne, i primi ad esserne colpiti, i primi ad essere violentati dal tipo di scuola attuale sono proprio fondamentalmente gli operai, e poi anche la cittadinanza in generale. Infatti la scuola produce due tipi di uomini: i tecnici di produzione e gli esperti del terziario. Quindi l’operaio che è controllato dall’impiegato di fabbrica, dal cronometrista, dal tagliatore dei tempi, dal direttore del personale, dallo psicologo di fabbrica, dal medico di fabbrica, dal dirigente commerciale etc. cioè da tutto un sistema di torchiatura esterna, deve ricordarsi che questo sistema di torchiatura è prodotto ideologicamente e materialmente dentro la scuola, per cui non può essere insensibile alla lotta che noi facciamo per una modificazione dei contenuti e dei metodi, per un riassetto radicale della scuola stessa, perché quello che esce dalla scuola va a colpire in prima persona la classe operaia stessa. Quindi la base dell’alleanza non è il salario generalizzato, ma è un altro discorso: noi facciamo un’azione contro una cosa che poi colpisce direttamente voi. Tutta la popolazione – quella violentata dalla stampa quotidiana, dalla televisione, dalla radio, dal cinema, dalla pubblicità, dalla distribuzione commerciale penetrativa, dalla persuasione occulta, è prodotta ancora una volta dall’esperto del terziario, dalla scuola attuale che produce la rotellina funzionalizzata che imbonisce, allocchisce e intontisce la gente. Noi dobbiamo colpire, chockare ma poi anche politicamente lavorare sulle persone per farle entrare nello spazio antiautoritario, per allargarlo e farlo diventare universale: e questo deve trovare nel momento della scuola un momento unificante. Non possiamo assolutamente abbandonare il discorso politico sulla scuola così come l’abbiamo fatto finora, per fare un discorso politico tout-court, bisogna conservare questa originalità del MS e ribadirla in ogni fase del lavoro politico: quando siamo con gli operai dire: non siamo un gruppo militante di studenti che lottano contro la scuola e per questo lottano anche contro la fabbrica, perché la lotta contro la fabbrica è la lotta contro la scuola, perché è la lotta contro la società attuale. Idem quando facciamo lavoro su altra gente che non lavora in fabbrica, perché anche loro sono colpiti dalla scuola attuale. Questo vuol dire non perdere – anche se non limitare – quella matrice che ci dà un marchio di originalità politica. Questo significa anche mostrare di volta in volta il collegamento che esiste fra la scuola e tutti gli altri raggruppamenti sociali proprio perché non c’è più autonomia fra scuola e industria, tra scuola e industria e polizia , tra scuola e industria e polizia e magistratura, perché tutto è collegato, allora dobbiamo collegare tutto anche noi, far vedere come la scuola sia un istituto repressivo diffuso, come la violenza della scuola sia una violenza atmosferica che pervade tutta la società civile.
2° Frammento: Sul concetto di dirigente. Le lotte attuali (il rifiuto della delega dentro il MS) hanno espresso il rifiuto del dirigente come mente organizzativa che dà la verità al Partito o alle masse. Dobbiamo tenere verso il dirigente il rapporto che teniamo verso gli altri strati sociali: cioè non un concetto di avanguardia ma di coordinamento. Il lavoro politico che la base studentesca fa sulle altre matrici sociali (classe operaia, quartieri poveri, esercito, donne, preti, ospizi, ecc.) deve essere di natura tale da rendere tendenzialmente superfluo il gruppo che ha iniziato il lavoro politico. Come fanno i neri, che organizzano la gente, ed il lavoro politico può andare avanti anche quando l’organizzatore politico se ne è andato. L’organizzatore politico deve essere un sovversivo permanente ma deve essere in modo tale da rendere sostituibile la sua presenza: deve riuscire a scatenare la soggettività in tutti i gruppi e in tutte le persone con cui lavora. Quindi come il gruppo iniziale studentesco (cioè l’anello più debole che va verso gli altri anelli della società per spaccare la catena) non lo fa in modo avanguardistico, cioè ponendosi davanti, ma sollecitando la partecipazione, l’autodeterminazione di quegli strati, così deve essere li rapporto tra quadro studentesco e dirigente politico. Cioè noi sappiamo che la distruzione della delega non è un obiettivo attuato, ma da attuare, e che non si attuerà neppure dopo la presa del potere politico. Cioè la reale uguaglianza, funzionalmente eguale, degli uomini è ancora utopia ma – discorso dell’utopia operante – dobbiamo allora cominciare già a fare il discorso della delega come discorso pratico. Cioè il dirigente deve lavorare sui compagni e i compagni sui dirigenti in modo tale che il dirigente diventi tendenzialmente superfluo. Tutto il discorso del leader e dell’esaltazione del leader deve essere radicalmente criticato, rovesciato e screditato sul piano ideologico, politico, teorico e sessuale proprio perché il dirigente è un momento di freno della coscienza soggettiva universale di questi strati.
3° frammento: Sul quadro politico: cioè quadro polivalente non quadro specializzato. La specializzazione del quadro non deve diventare la funzionalizzazione del quadro, sennò veramente la funzione fa il funzionario: e allora si crea l’esperto lavoro fabbriche, l’esperto lavoro quartieri, l’esperto lavoro esercito ecc. dobbiamo riuscire a creare il quadro polivalente, il quadro che sa muoversi, e col necessario tirocinio e apprendistato, in tutti i diversi strati sociali. Il problema della polivalenza e della non specializzazione pone il problema lavoro manuale – lavoro materiale. Così come abbiamo cominciato a dire e a fare che la persona che stende il documento se lo ciclostila per conto suo, per cui uno non pensa e l’altro esegue, così dobbiamo incominciare ad organizzare squadre di lavoro politico autosufficienti, i quali elaborano, producono, fanno il materiale complessivo e poi riescono a farlo travasare, sostituire, circolare per i quadri. Dobbiamo cioè creare questo tipo nuovo di uomo che sa muoversi non in modo umanisticamente universale ma che sa muoversi politicamente nelle situazioni determinate senza rendere mai indispensabile la sua funzione. Questa sarebbe sennò la insufficienza di un lavoro politico compiuto.
4° Frammento: Quando il guerrigliero si incontra con il peone, il peone deve sentire di trovarsi di fronte ad un eguale, il guerrigliero deve avere in più del peone due cose: una idea politica e il mitra. Cioè è il problema del comportamento politico e del comportamento sociale del quadro. Il che non vuol dire che chi è ricco dà il superfluo al povero, ma vuol dire una serie di cose che dobbiamo incominciare a porre come problema politica e attuare (cioè non si pretende di risolvere questo problema in un documento, ma di indicarne l’esistenza). Cioè è il problema di esercitare un lavoro politico, al di là della matrice studentesca, tenendo conto della determinazione specifica che lo studente in quanto tale ha come privilegiato nella società del privilegio rispetto al terzo mondo: privilegiato rispetto all’operaio, e privilegiato rispetto all’affamato. E’ il problema della distruzione di comportamenti interni, di abitudini interne, di morale interna che ha il quadro. Il modo con cui questo deve cambiare non è un modo individualistico e coscienzialistico, cioè attraverso una meditazione eremitale, può avvenire in un solo modo: nel lavoro collettivo, cioè il quadro che lavora nel gruppo di progettazione e azione politica insieme con gli altri, e insieme con gli altri fa critica e autocritica – che abbiamo già iniziato a fare ma in modo frammentario e informale.
5° Frammento: La grossissima cosa che il M.S. ha scoperto è la linea di massa. Niente è più deleterio, più frenante, più antipratico, che lo scontro di gruppi precostituiti che hanno la loro verità, cioè che lo scontro delle verità precostituite. Il discorso sulla linea di massa è un discorso che deve sciogliere nella pratica sociale ogni precostituzionale ideologica o gruppistica per ritrovare un rapporto di massa, cioè un rapporto sciolto.
6° frammento: Garanzia teorico-politica del lavoro della Sezione attività-massa non rivolti alla classe operaia. Es. i quartieri, gli ospedali, gli ospizi, l’opinione pubblica, ecc. Contro questo tipo di lavoro politico potrebbe essere fatta una critica: non è un lavoro rivoluzionario, ma è un lavoro populista, è un lavoro narodniko perché incide sulla coscienza ma non incide sull’accumulazione capitalistica. Ma abbiamo visto cosa vuol dire la rottura della falsa coscienza e la capacità di politicizzazione che questo comporta in tutti gli strati sociali che ne vengono investiti. La rottura della falsa coscienza è uno dei momenti primari del lavoro politico: non possiamo tenere come distinti, separato, il momento della falsa coscienza e il momento dell’accumulazione, proprio perché la massa politicizzata poi rovescia contro l’accumulazione capitalistica tutto il lavoro che si è fatto. Per cui rendere rivoluzionari i rivoluzionari non è un discorso radicale, ma è un discorso marxista. Ma questa critica è banale anche per un secondo motivo: per esempio i quartieri sono esattamente un bene prodotto da questa società attraverso un modo di produzione specifica, modo capitalistico che vuol dire produzione di beni, di servizi, di uomini. Ma la produzione di uomini, di servizi, di beni vuol dire anche proprio la produzione di case e quindi di luce, affitto, gas, trasporto, cinema, socialità, la sfera dei rapporti interpersonali ecc. Queste cose rientrano proprio dentro la sfera della produzione capitalistica stessa, non solo: ma come oggi si produce la merce, e assieme alla merce se ne produce l’obsolescenza per poterla infinitamente riprodurre nel giro vuoto della società mercantile fine a se sessa – come diceva Marx – (società astratta, che si riproduce nell’astrattezza), così come la Fiat produce la 500 e poi la svecchia per produrre subito un’altra che deve essere acquistata, così si produce la città e poi se ne fabbrica l’obsolescenza, con criteri di prestigio sociale, con una nuova architettura che costringe la gente ad adeguarsi continuamente a nuovi livelli di consumo civile, per cui questo consente tutta una messa in produzione in vari settori (edilizia, settore vetro, ceramiche, mobili ecc) con la possibilità di gonfiare infinitamente la massa di profitto. Quindi il lavoro sui quartieri è un lavoro che deve assolutamente investire li processo di produzione della città come bene umano, disumanizzato attraverso un processo di produzione disumana dell’uomo. Quindi è un discorso che incide direttamente sul processo di produzione capitalistica del bene proprio perché lo affronta come tale e lo distrugge come tale. Cioè nel discorso dei quartieri si fa il discorso della città comunista, tutto da inventare, ma da fare. Così il lavoro che deve essere organizzato nelle caserme, nelle carceri, negli ospedali, negli ospizi, sulle donne, sui preti, ecc. Ad esempio nelle caserme: l’esercito è una forma specifica del modo di vita capitalistico, perché questo comporta lo stato capitalistico e repressivo con forze repressive speciali (polizia, ecc.) cioè separate dalla società, opposte all’individuo (socialità opposta all’individuo, statalità opposta all’individuo). Il lavoro sulle forze repressive dello Stato è contro e dentro di esse: contro ad esempio gli organismi dirigenti di queste forze repressive, ma tentando di smuovere, di sottrarre, di portare dentro il campo antiautoritario tutte quelle forze sociali che sono per esempio il soldato semplice, la persona che viene controllata nella caserma, che viene funzionalizzata ad un servizio antiumano. Il poliziotto viene mandato contro l’operaio che lotta contro l’accumulazione capitalistica, e quindi c’entra parecchio, ecc.
7° Frammento: Problema del coordinamento orizzontale per facoltà. Due modi fondamentali: attraverso la centralizzazione, o attraverso un coordinamento tipo OLAS. Rifiutiamo il coordinamento per centralizzazione per il discorso dei diversi gradi di sviluppo, per la frammentarietà, ecc. E’ possibile invece cercare di creare un OLAS degli studenti, cioè un’organizzazione politica fra diversi gruppi autodeterminantesi che si spandono per il paese a creare una rete di comunicazione sociale e politica entro questi gruppi: una rete che non può imporre dall’alto una verità universale ma che la fa riscoprire dal basso. Ad esempio, tutti questi fuochi possono essere organizzati in un fuoco centrale, ad esempio la battaglia per la distruzione della Nato che può essere organizzata a livello europeo. Però non si può pensare ad un gruppo centrale che dirige le varie sedi, perché si riproporrebbe un meccanismo burocratico che ricade nel delegato di prima, che si vuole invece evitare. C’è però il problema dello sfasamento tra sede e sede e quindi del lavoro politico delle varie zone del Paese. Si pone allora un problema a due livelli: il primo discorso da attaccare è che la discontinuità fra sede e sede sia dovuta ad un vuoto di informazione: non è in realtà un problema di informazione, ma un problema politico. C’è anche questo per cui bisognerà organizzare strumenti di informazione, per esempio giornali, convegni o stages (giornale non nazionale, che viene fatto in sede e poi distribuito tra le sedi, al limite un giornale intersede, convegni tra i vari quadri di sede: però questi due strumenti si sono rivelati abbastanza inefficaci, il modo migliore sembra quello degli stages, cioè del gruppo di quadri che parte da una facoltà e va a lavorare in un’altra per dieci giorni o un mese e poi ritorna e ributta l’esperienza nella propria sede). Uno strumento di circolazione dei quadri tra le varie sedi può essere il lavoro sui fuori sede, come canale di espansione di una linea politica – senza comunque che nessuna linea politica si assuma il diritto di essere avanguardia rispetto alle altre -. Questo lavoro si deve porre sia al livello di università, sia sugli studenti medi, sia a livello di lavoro politico su altri strati sociali. Teniamo conto poi che un coordinamento nazionale delle attività pratico-sovversive del M.S. non può essere separato da un’organizzazione europea a livello continentale: i modi sono tutti da affrontare. (Il gruppo di progettazione e di azione contro la Nato dovrà affrontare proprio questo tipo di problema). Quello che interessa nei rapporti di coordinamento, non è tanto il livello di maturazione raggiunto, non è questo che interessa, ma qual è la tendenza di sviluppo verso la quale marcia il livello di maturazione. Il problema di omogeneizzazione dei livelli è il problema di come deve lavorare l’avanguardia: ripetendo, il gruppo che crede o si pone come avanguardia deve esercitare un lavoro politico che non lo qualifichi come tale, ma che tendenzialmente la riveli, superflua. Efficienza SNICK contro l’efficienza leninista: è più importante anche nei momenti di urgenza in cui occorrerebbe la centralizzazione, scegliere invece un’efficienza strategica a lungo termine che però responsabilizza dal basso in modo spontaneo la massa sociale. Non quindi l’efficienza dei comitati centrali leninisti, ma l’efficienza SNICK dei comitati di coordinamento che lavorano più a lungo con una strategia di guerra di lunga durata (e Marx diceva: la rivoluzione è una talpa che scava lentamente dal basso). A proposito della crescita spontanea dal basso, vanno sviluppati discorsi critici verso ogni forma di far fare la rivoluzione "sans le savoir": l’avanguardia politica deve continuamente evitare il problema degli obiettivi generali. Infatti l’obiettivo generale fornito dall’avanguardia alle masse è un modo strumentalizzante di porre il rapporto tra avanguardia politica e massa, perché l’avanguardia politica, che ha la strategia e la tattica, pone la tattica alle masse per farvi fare quella azione strategica che essa ritiene di dover fare.
8 Frammento: Sulla trascendenza: La rivoluzione di maggio insegna almeno una cosa: rimanendo vero il fatto che lo scontro per lo scontro è un discorso autodistruttivo, rimane vero anche che la partecipazione fisica allo scontro delle masse sociali – oltre ad avere un’azione di autoeducazione sul soggetto (e qui bisognerebbe leggersi i passi di Dutschke sugli scontri violenti con la polizia come autoeducazione) - sono però anche utili per un altro motivo: perché le caratteristiche di violenza, di scontro politico aperto, di esaltazione dei momenti di conflitto dati dal M.S. hanno una ripercussione sociale, di innesco, sulla classe operaia. Cioè la riduzione parlamentaristica e la riduzione rivendicativa delle lotte di potere svolte dagli strati proletari, attraverso meccanismi di delega, e l’insoddisfazione che questo ha procurato loro, fa scattare un meccanismo di ammirazione delle masse operaie verso l’avanguardia studentesca. E questo meccanismo di ammirazione è il discorso iniziale da cui si parte per trasformarlo in discorso politico organizzativo. Per cui anche a Trento bisognerà come movimento studentesco porsi il problema di riprendere l’esaltazione dei momenti di conflitto e rischiare anche il momento di conflitto aperto, senza che però questo sia strategicamente deleterio, cioè ostruisca alcuni punti di passaggio, esponga e bruci i quadri del movimento.
9° frammento: Frammento sull’avventurismo: Proprio per quello che si è detto prima (valutazione strategica generale) che questo non è un momento in cui si pone immediatamente il problema della presa del potere, mal ‘organizzazione di un lavoro politico, allora occorre dire che è avventurismo far sembrare o credere alle presone, alle masse che la presa del potere e la realizzazione di una società egualitaria è un’opera facile e rapida: bisogna invece continuamente sottolineare che sarà difficile e lunga. Non è l’esempio cubano ma è l’esempio cinese quello che abbiamo di fronte, cioè non è possibile l’organizzazione dell’isola felice con due anni di lotta, ma è possibile attraverso quarant’anni di resistenza. Bisogna cioè porre come strategia generale del movimento studentesco la strategia di una guerra di lunga durata, cioè di una lunga marcia attraverso le istituzioni, che sarà quarantennale, più o meno, ma che comunque strategicamente è infinita: cioè la rivoluzione è permanente e il rapporto critico pratico anche, la che anche la presa del potere politico non sarà né semplice né facile, proprio perché essa o è universale o non è. Quindi il lavoro sulla classe operaia, sugli ospedali, sugli ospizi, ecc. deve essere tale da porre sempre la soluzione definitiva come ultimativa necessaria, possibile (cioè bisogna ribadire che – valutazione strategica iniziale – viviamo nell’epoca della crisi del capitalismo e della attualità del socialismo), ma questo non deve diventare illusione avventuristica e quindi pensare che con uno scontro si innesca la lotta generale e questa rovescia lo stato capitalistico, prendiamo il potere e gestiamo un’isola felice di tranquillità e di pace sociale. Il processo è infinitamente più lungo, l’imperialismo è presente in tutto il mondo e le truppe dei marines sono pronte a sbarcare in qualunque lido si apra la possibilità di una liberazione umana. In Italia si riesce a dare una spallata al regime politico, e il giorno dopo è chiaro che abbiamo i marines in casa e la sesta flotta nel Mediterraneo che bombarda le coste. Questo apre un discorso sul rovesciamento violento del sistema. Cioè è chiarissimo che non c’è possibilità di un rovesciamento pacifico della società attuale, il che non vuol dire che bisogna cominciare ad andare nei poligoni di tiro, necessariamente (Discorso di Necht). La società violenta attuale può essere battuta solo con la controviolenza rivoluzionaria, la quantità e la qualità della controviolenza organizzata viene data proprio dalla violenza repressiva: è questa che dà la misura del grado di violenza che noi sapremo esprimere. In astratto si può e si deve affermare che la presa del potere è violenta, la violenza non è necessariamente armata e sanguinolenta, ma è violenza nella misura in cui prende, spacca, e distrugge la macchina repressiva dello stato, cioè comporta per es. lo svolgimento istantaneo di tutte le forze repressive (magistratura, legislativo, esecutivo, polizia, eserciti, lavoro parassitario cioè funzionari): cioè bisogna continuamente ricordare che la macchina dello stato deve essere spezzata e sostituita, non può essere conquistata e gestita.
PROPOSTE DI STRUTTURAZIONE DEL M.S.
Il M.S. si articola a tre livelli:
1. Assemblea generale
2. Consiglio dei Gruppi
3. Gruppi di progettazione e azione politica – GAP
Il GAP è l’unità irriducibile di decisione del movimento studentesco. Prosegue e sviluppa ad un nuovo livello l’attività e le finalità proprie degli "istituti politici intermedi" nati durante l’occupazione di febbraio-marzo. Lo studente che non partecipa attivamente e continuativamente ai gruppi (che potendo farlo non lo faccia) rimane semplicemente un essere frantumato e disperso, un oggetto di manipolazione del sistema scolastico e del sistema sociale complessivo, un "avaro" che tenta soluzioni individualistiche a problemi intersoggettivi universali. (Può partecipare alle A.G. ma non al consiglio dei GAP). Il GAP è un "collettivo" aperto di progettazione, azione, e teoria politica che sviluppa l’estensione orizzontale e verticale del M.S., seguendo i moduli dell’azione diretta anti ed extra-parlamentare (rifiuto della delega alle forze politiche). Le decisioni sono prese all’unanimità. I meccanismi di maggioranza e minoranza espressi attraverso il voto vanno progressivamente aboliti (rifiuto della delega alla maggioranza). Espansione della socialità dell’individuo. I GAP sono lo strumento primo di sintesi di azione e teoria del M.S. La delega all’A.G. viene tendenzialmente distrutta. Il tipo nuovo di quadro, di militante, l’uomo nuovo devono uscire dal GAP.
Proposta di GAP
1. autodifesa e repressione (forze del disordine)
2. blocco della scuola (università-media superiore-fuori sede)
3. distruzione opinione pubblica (anti-stampa, ecc.)
4. quartieri e provincia (contadini)
5. classe operaia
6. documentazione lotte sociali
7. strategia politica e azione diretta (cortei, manifestazioni)
1, 2 = zone di resistenza
3, 4, 5 = zone di espansione
6, 7 = zone di riflessione
I GAP lavorano come centri autogestiti, in piena indipendenza e autonomia. La sovranità del Gap può essere limitata solo dall’A.G. che ha diritto di censura. Tutti i GAP si riuniscono (settimanalmente) nel Consiglio dei GAP (nel giorno libero dalle attività didattiche). Si scambiano le esperienze di lavoro settoriale, se ne tenta una valutazione politica complessiva, si progettano e si coordinano le attività future. Il Consiglio è valutativo, non decisionale (per tutto quanto riguarda la totalità degli studenti, le decisioni sono prose in A.G., la quale è convocata ordinariamente dal Consiglio e in via straordinaria da un GAP).
NOTA. Sia i GAP, sia il Consiglio possono avere sede propria. L’A.G. è invece tenuta in facoltà (salvo occasioni straordinarie).
La proposta di ristrutturazione non è cristallina, ed è modificabile a seconda delle esigenze del M.S.
DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA E DELLA TATTICA
Se strategia vuol dire date diverse azioni politiche, metterle in gerarchia, allora si può proporre una strategia del M.S. Essa parte da una valutazione complessiva (vedi sopra): ed è un momento prerivoluzionario e non rivoluzionario, in cui si pone ancora il problema del lavoro politico, del rendere rivoluzionari i rivoluzionari.
C’è poi una seconda valutazione: del momento europeo. Abbiamo visto.
Terza valutazione: del momento italiano. Prevediamo l’autunno e un inverno caldi, cioè la riapertura di grosse lotte istituzionali della classe operaia che continueranno ad essere lotte sociali molto aperte, che non si lasceranno facilmente risolvere in una riduzione parlamentaristica o rivendicativa da parte dei partiti o dei sindacati. Quindi noi dobbiamo essere presenti politicamente in questo tipo di lotte: ma per esserlo, occorre avere una base irrinunciabile di massa nella scuola. Allora la strategia del M.S. pone al primo livello non la classe operaia ma la scuola, e la strategia passa attraverso il blocco della scuola nel ‘68-69, come anello più debole. Qui si pone il problema del recupero della base sociale che non è stata presente durante quest’anno e l’estensione della politicizzazione e della trasformazione da quadro politicizzato a quadro politico alle matricole che interverranno il prossimo anno. Occorre quindi cominciare a progettare una serie di azioni che verranno poi effettuate dal GAP 2, blocco della scuola, nell’Università come momento primo da cui parte per fare azione politica negli altri luoghi. In primo luogo dunque blocco nell’università. In secondo luogo bloccare i licei e le scuole tecnico-professionali: cioè organizzare la base attuale di quadri del M.S. durante questa estate in GAP nella scuola media per politicizzare strati non politicizzati e per la trasformazione da quadro politicizzato in quadro politico dentro la scuola media. Queste sono le zone di resistenza, le zone di autodifesa, le zone di potere rosso del M.S.: la vastità e l’orizzontalità ci consentirà allora il rovesciamento sul lavoro politico nei quartieri, nella classe operaia, ecc. Allora al terzo livello si situa il lavoro politico sulla classe operaia: e qui occorrerà portare avanti un discorso strategico sui sindacati, un incontro sistematico con la base operaia, per un uso operaio del sindacato, per una distribuzione dei rapporti di delega e una democratizzazione dei rapporti interni: ma non come finalità, perché essa è di creare gruppi autodecisionali dentro la fabbrica stessa, quindi al di fuori delle strutture date, sia partitiche sia sindacali. Al quarto livello è la battaglia per la NATO, questo comporta l’estensione di un discorso politico internazionale sulla miseria mondiale anche a strati sociali che non sono di scuola né di fabbrica, su questo deve concentrarsi l’azione del GAP 3.Dovremo trovare le forme di collegamento con altre sedi nazionali ed internazionali e poi progettare forme originali di intervento che sensibilizzino ad un livello di base tutta la cittadinanza qua a Trento. Il quinto livello deve essere l’estensione a livello territoriale dell’azione politica, strategicamente la provincia viene dopo la città: cioè dobbiamo seguire la lunga marcia attraverso le istituzioni, la quale fa baluardo in ogni zona liberata. Si passerà in provincia solo quando saremo riusciti a costruire basi minimali dentro la città, si può già cominciare adesso a sperimentare una serie di fuochi dentro la provincia (Calceranica, Pergine, Rovereto, Schio ecc;) ma l’intervento proprio per la provincia verrà costruito e progettato quando il volume di base sociale nella città sarà cresciuto.
18. Terza fase del Movimento: (dalla fine dell’anno accademico, all’inizio del nuovo) i seminari teorici di gruppo. Questa terza fase si articola in tre momenti principali: un primo momento, in cui un gruppo di compagni decide di "usare l’estate" rimanendo a Trento a far vacanza teorica assieme. Tra una nuotata e l’altra si mettono su tre gruppi di studio (sull’imperialismo, sulle rivoluzioni del 17-20: sul movimento). Ogni gruppo legge e discute collettivamente il problema quando ritiene di essere giunto a risultati comunicabili, relaziona in assemblea congiunta dei tre gruppi. Questo modo di lavoro, anche se estremamente difettoso, ci è molto utile soprattutto come acquisizione di metodo: si scopre collettivamente come ci hanno diseducati al ragionamento collettivo, proprio attraverso le difficoltà che insorgano durante il lavoro, causate da atteggiamenti individualistici e soggettivistici. Si accorge sulla propria pelle di quanta pazienza rivoluzionaria occorre sviluppare per poter arrivare a mettere in piedi e far funzionare un "intellettuale collettivo". Un secondo momento è rappresentato dalla nostra partecipazione al convegno di Venezia. I lavori commissione durano una settimana, e i compagni hanno modo di prendere notizia diretta della complessità politica delle differenziazioni interne al movimento su scala nazionale. Il confronto delle nostre tesi con quella delle altre sedi sarà molto utile per la calibratura successiva del M. e svolgerà una funzione non secondaria nella autocritica di settembre-ottobre. Un terzo momento che copre l’arco di questi due mesi, è connotato da una serie di azioni "esterne" (Laverda, scontro coi sindacati, manifestazione contadina, Messico, etc....) da una lunga settimana di assemblee (sulla Cecoslovacchia, sul nostro atteggiamento verso il revisionismo, sulle prospettive di lotta) (dal 9 sett. al 14) ed infine da un grosso e complesso seminario teorico articolato in gruppi di studio e centrato sulla "riqualificazione strategica del movimento". Quest’ultimo momento ha creato grosse frizioni interne, è stato piuttosto discontinuo, non si è trovato un modo di lavoro completamente soddisfacente, e la comunicazione tra i gruppi non è stata delle più felici. Ciononostante, può dirsi parzialmente riuscito, almeno per quanto concerne lo elevamento della coscienza politica collettiva del M. e la riqualificazione della linea politica da sviluppare.
Seconda Parte
19. SCHEMA DELLO STATO ATTUALE DEL "MSA" TRENTINO
Diviso in tre parti:
1. Schema politico generale
2. Materiali di lavoro
3. Autocritica dei mesi Nov/Dic.
PARTE PRIMA
Schema politico generale.
(NOTA: gli slogans usati sono formalmente identici a certi slogan tedeschi, SdS – Dutschke, ma non vuol dire più di tanto. Il problema è di "contenuti politici". E su questi si spera che le differenze appaiano in tutta la loro forza. Già quanto ci aveva detto Bachaus in assemblea avrebbe dovuto chiarificare in questo senso. Non crediamo d’altra parte che il problema si risolva mutuando la struttura formale dello slogan).
Il movimento non è organizzazione né di massa né di élite, ma deve cercare di essere "organizzazione di radicalizzazione rivoluzionaria" (senza chiudere a riccio i già radicalizzati – élite – senza mettere nella stessa pentola gradi diversi o addirittura contrastanti di radicalizzazione per smania del numero – massa). Essa si struttura in a) nucleo attivo, b) campo antiautoritario, c) popolo. Tale strutturazione deve cercare di rimanere fluida ed aperta.
Il "nucleo attivo" corrisponde più o meno al MSAntiautoritario, composta da studenti universitari e medi (ma non esclusivamente). Non pretende di raggruppare TUTTI gli studenti, ma solo quella parte soggettivamente disponibile alla lotta antiautoritaria e antiistituzionale. (Appare la distinzione tra "studente con la testa da studente" e "studente con la testa da uomo", tanto per intenderci e tanto per richiamarci alla distinzione Black Panthers "negro con la testa da nero" e "negro con la testa da bianco"). Questo non ci esime dal cercare di lavorare col massimo numero politicamente possibile di studenti (linea di massa nella scuola).
Il "campo antiautoritario" si organizza attorno a "strutture di lavoro" (Istituti, commissioni, ...) (gruppi di base) messe in piedi dal nucleo attivo (nelle fabbriche, nei quartieri, nella scuola, etc.). Esso deve puntare al suo continuo allargamento, investendo progressivamente con la lotta un numero sempre maggiore di istituzioni. Se le strutture di lavoro non si chiudono a riccio, ma riescono invece a svilupparsi e a moltiplicarsi, allora il campo diventa la base materiale di lotta antiautoritaria e antiistituzionale nella metropoli (come momento della globalizzazione della lotta internazionale).
Il "popolo". Non se ne può dare una definizione rigida. In questo contesto, d’altra parte, significa "l’insieme delle persone che sviluppano una attitudine favorevole verso le azioni del ‘campo’ e sono disponibili anche ad azioni militanti nel senso indicato dal MS". In senso più generale "l’insieme delle persone che a livello di opinione e di azione non sono disponibili per manovre tese allo isolamento e alla liquidazione del MS". (Appaiono dunque due dimensioni del "popolo": una prima ‘attiva’, una seconda ‘passiva’. Sono entrambi molto importanti concettualmente e praticamente) (Il MS deve riuscire a valutare bene tali dimensioni, specie in vista delle "azioni" che progetta. Errori di valutazione porterebbero a rischi opportunistici o avventuristici estremamente deleteri per lo sviluppo del Movimento stesso).
NOTA: Per MSA si intende il "nucleo attivo" e basta.
Per MOVIMENTO si intende "nucleo + campo" (come dimensione organizzata). "Nucleo + campo + popolo" (come dimensione non organizzata).
La cosiddetta linea generale del MSA è oggi riassumibile nello slogan "Lunga marcia attraverso e contro le istituzioni (Lumaci). In primo luogo, esso esprime (lunga marcia) una valutazione generale: che questa non è una situazione rivoluzionaria (ravvicinata possibilità di presa del potere attraverso la distruzione delle forze nemiche), ma prerivoluzionaria (occorre un lungo, faticoso, intenso lavoro di accelerazione della disgregazione del campo nemico, di costruzione del campo rivoluzionario). Per costruire il "campo rivoluzionario" occorre costruire fin da adesso un "campo antiautoritario" in crescente espansione e radicalizzazione. Per costruire tale campo occorre fin da adesso (tenuto conto della inesistenza di una teoria rivoluzionaria già compiuta, di una organizzazione rivoluzionaria già funzionante, e dunque di rivoluzionari in senso proprio) "rendere rivoluzionari i rivoluzionari per rendere rivoluzionarie le masse" (RRRpRRM) (nota: tra RRR e RRM non c’è distinzione temporale, prima RRR e poi RRM. L’unico modo per RRR è RRM e viceversa. Il nesso è dialettico ed esiste contemporaneità). (Nota: per costruire la teoria rivoluzionaria non ci si può chiudere in casa, farla, poi uscire e vincere. C’è un nesso indistruttibile "prassi teoria prassi" che non si può evitare, se si vuole vincere. L’azione senza teoria è cieca. La teoria senza azione è impotente. Tra le due non c’è separazione temporale, prima una e poi l’altra. E cioè, il M. deve riuscire a funzionare contemporaneamente come militante collettivo e come intellettuale collettivo, la sua dimensione vitale deve essere insieme "critico-pratica").
In secondo luogo: per fare una lunga marcia occorre avere un luogo da cui partire, sapere più o meno dove si vuole arrivare, disporre di una direzione di marcia (la bussola) (Nota: fatto decisivo è che si può partire in pochi, bisogna però arrivare in molti. Lungo la marcia bisogna crescere) (la rivoluzione – oggi – non può che essere maggioritaria).
Ora, molto sinteticamente, si vuol significare questo: partire dall’istituzione scolastica per rovesciarsi su tutte le altre progressivamente (le istituzioni societarie) per disgregarle-distruggerle riqualificarle. L’abolizione dell’istituzione non è l’abolizione di ogni forma di vita sociale, anzi! Tardo-capitalismo e socialismo revisionista ci insegnano che la sola forma di vita associata possibile (ad alto livello tecnologico) è quella istituzionale. Ma questo è falso. L’istituzione odierna va distrutta non perché istituzione, ma perché istituzione repressiva, regressiva, organizzazione del dominio superfluo. Essa va abolita in quanto "autoritaria", la dove autoritarismo esprime un’autorità illegittima, antisociale priva di senso. Occorre che il MSA esca dal general-generico del termine e si avvii ad un’analisi concreta dell’istituzione concreta; si organizzi teoricamente per possedere le differenze e le particolarità di ogni istituzione. Ognuna va disgregata-distrutta-riqualificata secondo modalità particolari e diverse. La mamma non è il poliziotto. La caserma non è un ospedale. Ed inoltre, ogni strato sociale si pone in modo differenziato rispetto ad ogni istituzione: per cui, "il palazzo della regione che brucia" non è visto in egual modo dall’operaio della Michelin e dall’impiegato che lavora nella Regione stessa, ad esempio. Partire dalla scuola non così com’è, ma trasformata dalla lotta, resa utilizzabile ai fini della lunga marcia. (L’esempio concreto dell’università critica è inserito organicamente in questo contesto). Si tratta di conservare la struttura dell’istituzione, rovesciandone la funzione. (Non può fabbrica di laureati "pavloviani" da inserire supini nel sistema, ma fabbrica di militanti, teoricamente armati, praticamente sovversivi, in grado oggi di iniziare la lunga marcia, domani di continuarla nell’istituzione specifica in cui verranno immessi). L’Università critica (KU) – quindi – non è un dato esaurito su se stesso. "Serve" al "rovesciamento sulla Città" (alla marcia attraverso e contro le istituzioni) è finalizzato a quello. Il "modo" di rovesciamento dovrebbe essere le "strutture di lavoro" del MSA, oggi, le varie commissioni, tipo Fabbrica, Stampa, Scuola, Città, etc. ...).
NOTA: Le cose non vanno avanti da sole. Il momento d’inerzia del mondo sociale ed istituzionale è molto grande. Per vincerlo e mettere in movimento le "cose", occorre: tempo, fatica, pazienza e una grossa dose di "speranza rivoluzionaria", di tensione utopica verso il futuro, in ogni compagno. Oggi, molte cose non vanno. Sia a livello di KU, sia a livello di "rovesciamento sulla città". Si tratta di non buttare via il bambino insieme all’acqua sporca. Cioè di lavorare attivamente e con precisione nei "punti difettosi" (anche se sono molti), correggerli e farli andare meglio. Lamentarsi che le cose non vanno e basta, è un modo per pianificare l’esistente e per eternizzare il malessere. L’individuazione dell’errore e del difetto serve alla correzione, iniziandone il processo, o serve al suo ingigantimento pessimistico. Ed è controrivoluzionario.
Il modo di lavoro politico del MSA è sintetizzato nello slogan "Rompere la falsa coscienza". Esso esprime il fatto che le masse odierne reagiscono in modo "funzionale" agli stimoli della struttura ed ai richiami dei dominanti. (Occorre su questo punto che il MSA sviluppi teoricamente una "Antropologia concreta dell’uomo della metropoli". La KU potrebbe essere usata in questo senso). Attorno al MSA non ci sono cioè masse disponibili o neutrali (il vuoto) ma masse manipolate e affatto disponibili (pieno cattivo).
NOTA: (Alcuni compagni commettono su questo punto un grave errore opportunistico. Scambiano cioè l’atteggiamento sfavorevole delle masse nei nostri confronti, che è il punto di partenza necessario del nostro lavoro, per un risultato del nostro lavoro, che viene allora definito avventuristico e gravido di errori. L’atteggiamento reificato delle masse, la loro falsa coscienza sta all’inizio del processo: (pieno cattivo) questo occorre aver chiaro. Ciò che il nostro lavoro deve riuscire a realizzare è di iniziare il mutamento, il rovesciamento, la rottura. Certo abbiamo commesso errori, e talora questi hanno rinforzato la reificazione della massa, piuttosto che indebolirla. La critica in questi casi è corretta. E’ invece scorretta quando scambia la premessa per risultato.
Occorre aver teoricamente presente il livello di manipolazione delle masse cui è giunto il sistema, combinando insieme l’azione dei dominanti con quello dei revisionisti. La necessità della LUNGA marcia e l’urgenza di Azioni di chiarificazione, nascono proprio da questa constatazione teorica iniziale). Il processo di rottura della falsa coscienza presuppone da parte del MSA l’acquisizione della necessità di sviluppare una politica offensiva, e non una politica di "reazione difensiva" (agire in risposta ad una modificazione esterna). Sviluppare una politica offensiva richiede da parte del MSA una grossa maturità nella realizzazione del "salto" politico rispetto alla fase precedente (appunto, divensivistica). Una serie di screzi apparsi internamente al movimento è proprio conseguenza della tensione indotta da questo "salto" e dal modo a volte scorretto con cui lo si è portato avanti. La forma generale della "politica offensiva" è la "Campagna di massa". Tale concetto richiede alcune puntualizzazioni sui rapporti tra strategia e tattica. (Mao). La nostra strategia è lottare 1 contro 10, la nostra tattica lottare 10 contro 1. La realizzazione del nesso efficace tra tattica e strategia è possibile solo se il MSA si dota di un’"organizzazione" adeguata all’offensiva. (Il "salto" di cui si diceva prima comporta necessariamente una ristrutturazione anche organizzativa). Il funzionamento generale dell’organizzazione deve seguire tre principi:
a. l’unità fra dirigenti e quadri entro il MSA
b. l’unità fra MSA e popolo
c. portare avanti la disgregazione entro il campo nemico. (Cioè: la nostra vittoria dipende no solo dalle operazioni delle nostre forze, ma anche dalla disgregazione delle forze nemiche).
NOTA generale: è opportunismo non combattere quando si può vincere, è avventurismo ostinarsi a combattere quando non si può vincere,
la nostra strategia e la nostra tattica riposano su questo punto fondamentale: Combattere. Ammettiamo dunque la necessità del "ripiegare" proprio perché ammettiamo prima di tutto la necessità di combattere. (Lin Piao "viva la vittoriosa guerra popolare").
La "campagna di massa" (politica offensiva) va quindi avanti efficacemente solo se va avanti efficacemente la "campagna di disgregazione" (politica difensiva) Per "campagna di disgregazione del campo nemico" si intende la creazione – da parte del movimento – di strutture permanenti di "servizio del popolo" (il "campo") che ci consentono di penetrare nelle masse, distruggendo gli stereotipi sul nostro conto (frutto della manipolazione del nemico, risultato della reificazione, della falsa coscienza). Es.: doposcuola gratuito, asili gratuiti, alfabetizzazione politica, etc ... più in generale, tutto il lavoro delle commissioni e dei suoi gruppi di base nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole.
La lunga marcia avanza in due modi simultanei – dunque:
- Attraverso le istituzioni strutture al servizio del popolo (per disgregarle) Difesa
- Contro le istituzioni campagne di mas-sa di urto e chiarificazione (per di-struggerle) Attacco.
Appare subito chiaro che il "lavoro politico" del movimento si connota come "condurre la guerra su molti fronti" (su alcuni attaccando, su altri difendendo, su altri ancora distruggendo il nemico). E ciò è molto difficile. Presuppone una forte autonomia delle "articolazioni interne" del MSA (per cui ogni "gruppo di base" regge il suo fronte) ma anche una "direzione politica" omogenea (per cui i vari "fronti" non sono tra loro scoordinati).
Occorre qui evitare due rischi:
• il rischio della soluzione burocratica (centralizzazione in un ufficio politico, che elabora la linea, formula le proposte, emana direttive che le varie sezioni devono applicare in modo disciplinato, controllate in ciò da un sistema di "commissari politici" aderenti all’ufficio).
• Il rischio della soluzione democraticistica, liberista (per cui l’autonomia scade a "io faccio ciò che mi pare" oppure "il mio gruppo fa ciò che gli pare e gli altri si arrangino". A questo punto un fronte avanza e gli altri si sfasciano, ponendo il MSA in forte crisi e bloccando quindi anche il lavoro dell’altro "fronte marciante".
Es. Può darsi che la Commissione Fabbriche lavori bene. Ma se il suo lavoro non è a coscienza di tutto il MSA, di tutte le sue articolazioni di lavoro, il movimento finirà per muoversi su una linea parallela (nel migliore dei casi) oppure divergente (come è successo il giorno dello sciopero generale per i fatti di Avola). (In quel giorno si è avuto modo di vedere come il MSA abbia poco o affatto acquisito e fatto proprio il concetto e la pratica della Linea di Massa. L’attacco ai sindacati fatto in quel modo "scavalca" la Comm. Fabbriche, ne rovina il lavoro, costringendola ad un faticoso recupero. Ed inoltre isola il Movimento, lo racchiude nel "ghetto d’oro" dei "purificati", di coloro "che sanno". Nel MSA ricompaiono improvvisamente spazi politici per una mentalità minoritaria, per quadri che si muovono su una logica frusta di "gruppetto", per una "pratica sociale" verbosamente dichiarativa e praticamente SUICIDA. Il desiderio, che si fa politica, senza alcuna mediazione, conduce solo all’isolamento delle masse, alla impotente contemplazione di "ciò che accade". Il piatto iroso e l’urlo di condanna commemora l’incapacità dei compagni ad uscire dal gruppismo, a fare politica come movimento di massa su una linea di massa). E’ quindi urgente elaborare – da parte delle commissioni – un modo di "coordinamento politico delle iniziative teorico-pratiche tra le varie commissioni, e tra l’insieme di queste e tutti i compagni del MSA. (Tale coordinamento non può certo essere espletato dalla Comm. Coordinamento, che ha prevalentemente funzioni tecnico-politiche. Né dalla Comm. KU, che ha altri compiti. Né da alcuna commissione. Il problema va oltre le comm. E investe la struttura assembleare del MSA.
NOTA. L’assemblea è repressiva e fascistizzante, dicono molti compagni. Ed è vero. Infatti ci si va in modo tale da renderla repressiva e fascistizzante. Per es.: riducendola ad ‘Assemblea puramente tecnico-organizzativa’ oppure, che è il risvolto della medaglia, ad assemblea ping-pong politica sul general-generico, quando alcuni chiedono ad altri, "spiegami cosa vuol dire KU o robe simili", ed altri gliela spiegano.
L’assemblea non deve essere buttata via perché non siamo capaci di usarla. (Chiaro almeno che la colpa non è sua ma è nostra). Dobbiamo buttarci via noi, per come andiamo in assemblea. Andarci in modo diverso per farla diventare qualcosa di diverso (che se vogliamo, non chiamiamo più assemblea). Questo "diverso" non è certo (non solo) un atteggiamento psicologico. Non è certo (non solo) un diverso individuale. E’ una questione di "strutture di lavoro" e di "collettivo di lavoro". Cioè una questione politica. Richiede l’invenzione di un "modo di comunicazione" teorico-pratico tra ogni singolo compagno e gli altri compagni del "gruppo-base", tra ogni gruppo di base e gli altri all’interno di ogni "commissione", tra ogni commissione e tutte le altre commissioni, tra l’insieme determinato delle commissioni e l’"assemblea". Il singolo compagno che pretende di arrivare in assemblea saltando tutte le mediazioni concrete (che si sono dette) rischia – a suo svantaggio – di non capirci niente e di rimanere fortemente frustrato. (Appare il carattere autoritario di certi compagni, che in assemblea divengono dei "repressori"). Oggi però anche il compagno dei gruppi di base tocca la stessa sorte. Quindi c’è qualcosa di grave che non va. A parte le lacune d’"informazione" e le "cattive volontà" di certi compagni, a noi pare che il problema sia più di fondo e riguardi cioè la cattiva teoria che il compagno si porta in testa (da cui discende una "cattiva pratica"). Non si tratta di "carenza teorica" (il solito discorso del VUOTO, che basta prendere e riempire). Ma di "cattiva teoria" (cioè, un pieno cattivo che va distrutto e ricostruito). In questo secondo caso, la soluzione non è sempliciotta (cioè: basta dare informazioni, basta dare nozioni, basta dare la teoria-buona-che-c’è, e il gioco è fatto) né rapida (es.: basta fare un documento, poi tutto funziona. Oppure: ci troviamo, discutiamo, e in due o tre assemblee le cose tornano a posto). Anzi: LA SOLUZIONE E’ DIFFICILE E DI LUNGA DURATA. Esige addirittura una ‘campagna di rettifica’ dentro l’intero movimento. (Ricordiamo ai compagni che il PC Cinese, formato da quadri strepitosi tempratisi in 50 anni di lotte, combatte ancor oggi con pazienti "campagne di rettifica" gli errori e le deviazioni che ad ogni piè sospinto fanno capolino nel Partito. E il Partito è "la parte migliore del popolo", tanto per ricordarsene. Figurarsi il popolo). In altri termini, crediamo che solo una "piccola rivoluzione culturale", ad ampio raggio e diluita nel tempo (PERMANENTE), sia in grado di correggere le storture più gravi che insorgano entro il MSA. (NOTA: correggere, non ELIMINARE. Compagni che sostengono l’eliminazione permanente delle storture e degli errori hanno – evidentemente – una visione burocratica del processo rivoluzionario, oppure se sono dei "buoni compagni", una visione da favola dello stesso: arriva la Fata dai capelli turchini, e PLAP! colla bacchetta magica mette antagonismo e contraddizioni tutte da una parte, dall’altra ... BAH?).
Mao – L’antagonismo è sopprimibile. La contraddizione no. Essa è eterna.
(La contraddizione del sistema pervade ogni particolare. Essa è anche "in seno al popolo". Il popolo la ripercuote nel suo partito. Se il partito esprime veramente – e non burocraticamente/angelicamente – il popolo, in esso vi sono e vi saranno contraddizioni. Il movimento non è una schiera di cherubini. Il movimento si muove per contraddizioni. Si tratta di non cadere in forme di "sopportazione" tale che lo conducano a diventare simile all’Armata Brancaleone. Le contraddizioni vanno invece individuate e combattute a LIVELLO POLITICO: cioè: non personalizzando la contraddizione che si va combattendo in un singolo compagno, attaccarlo in quanto persona. Ciò che va attaccato e distrutto è l’errore politico, non il compagno. CURARE LA MALATTIA PER SALVARE IL PAZIENTE, dicono i compagni cinesi, "esperti" in questo campo).
Quali forme dare, per intanto, a tale RIV. CULT. PERMANENTE entro il movimento?
A noi pare che la soluzione a tale problema verrà dal Mov. stesso – deve venire da esso. Ma che comunque tutto debba essere incentrato sui contenuti di fondo espressi in precedenza: cioè, lotta contro il pieno cattivo (cattiva teoria, cattiva pratica) critica ed autocritica dei gruppi di base delle commissioni dell’assemblea del loro modo di lavoro interno ed esterno
NOTA. Se lo scopo della "lunga marcia" è RRRpRRM, scopo del lavoro politico del MSA è allargare il campo antiautoritario, indebolendo il campo nemico.
L’accelerazione soggettiva del processo rivoluzionario.
Cioè lotta contro l’opportunismo e il codismo. Essi pongono la linea di massa in questo modo: la politica si fa impostandola su bisogni e su desideri attuali delle masse mettendosi al loro servizio. In tal modo non si distingue più tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato nelle masse, si dimentica teoricamente e praticamente che le masse hanno una natura duplice e ambigua (sono ciò che sono, ma anche ciò che potrebbero diventare) (e ciò che sono è: ciò che sono per il padrone, in sua funzione, masse subordinate. Invece devono diventare dominanti. Ma per diventarlo devono mutarsi profondamente, negarsi dialetticamente). Questa posizione sfocia nello spontaneismo, nella contemplazione delle chiappe del proletariato in movimento (quando si muove). Essa ratifica ed eternizza l’ordine esistente: porta le masse a rimanere sempre schiave dei dominanti e di loro stesse. Ne vieta l’emancipazione. Occorre rompere la falsa coscienza delle masse. E tale rottura non può provenire da un processo contemplativo, pedagogistico, coscienzialistico. Ma a livello di prassi, di ESEMPLARITA’ dell’azione militante. Ovvero: Il MSA non conta tanto per quello che dice ma per quello che fa. (Le masse percepiscono il livello critico-pratico in modo più profondo e libero che non il livello critico-teorico. A livello del dire esse sono subordinate al MSA. La loro emancipazione avverrebbe nella subordinazione intellettuale. A livello del fare, la faccenda si pone in modo differente. Esse possono prendere posizione. Magari anche non subito, ma possono. Possono risalire PER CONTO LORO da ciò che si è fatto a ciò che si è detto o si voleva dire (In tal processo – risalire per conto proprio dal FATTO al DETTO – si esprime la ottura della falsa coscienza.
NOTA: occorre calcolare molto bene la AZIONE ESEMPLARE. Prepararla (I fase) con volantini, discussioni, comizi voltanti, manifesti etc. ... Seguirla (2 fase) senza improvvisare individualisticamente ... Chiarificarla (3 fase) con da-tze-bao, volantini, discussioni, etc. ...
NOTA: perché ‘chiarificarla’, se le masse ‘devono arrivarci da sole?’ Crediamo opportuno porci questa domanda, anche se la risposta non può che essere ovvia. Ma molti compagni attratti dallo spontaneismo, non vedono la necessità di questa fase.
Ecco. Si potrebbe rinunciare a ‘chiarificare’ ad un atto: che i nemici di classe, i professionisti della distorsione, della manipolazione, dell’inversione di significato, rinunciassero anche loro a ‘chiarificare’ (attraverso giornali, radio Tv, prediche in chiese nei partiti, nei sindacati ...). Visto che non rinunciano, che non lasciano che le masse ‘ci arrivino da sole’, ma vogliono invece dar loro una mano ... ecco, sarà bene che facciamo tutto il possibile per neutralizzare o ridurre tale tipo di ‘chiarificazione manipolatrice ‘ con una chiarificazione nostra. Sulla necessità di agire c’è invece poco da notar salvo una cosa. "DOBBIAMO IMPEGNARCI NELL’AZIONE SE VOGLIAMO CHE IL POPOLO LEGGA CIO’ CHE SCRIVIAMO". (Dice il ‘Black Panther Huej Newton). Cioè: la qualificazione politica del msa riposa nell’azione che pratica (soprattutto) perché è questo l’unico modo in cui si distingue e ‘si presenta’ diverso dalle altre istituzioni. Queste ultime infatti sono caratterizzate dalla PASSIVITA’ ESEMPLARE rispetto alle masse (tutto il loro agire è caratterizzato dal non saldare mai – o solo occasionalmente – ciò che dicono con ciò che fanno). (Salvo evidentemente i casi in cui ciò che dicono corrisponda ai loro interessi e non a quelli delle masse. In questi casi ... fanno anche). L’esemplarità dell’azione collettiva risiede – oltre tutto – anche in questo. Che il desiderio non si fermi allo stadio dell’espressione (verbale/dissenso) ma lo superi per ‘saltare’ allo stadio della realizzazione (pratica/altro senso).
NOTA: L’azione e l’esemplarità hanno significato solo nella misura in cui sono calibrate al popolo, sono rivolte verso il popolo, hanno obiettivi popolari. Non si può prescindere – ANCHE SE NON CI SI PUO’ FERMARE – dallo "stato attuale" del popolo. Prescindere dallo stato attuale del popolo è avventurismo.
Fermarsi a tale stadio e non andare oltre è opportunismo.
Occorre trovare una mediazione concreta, tra stato attuale e stato "superiore" di politicità. Occorre partire dal disagio immediato per saltare al disagio reale. (Far percorrere alle masse il cammino – discontinuo – che va dai bisogni immediati a quelli reali. Dalla necessità della bistecca alla necessità dell’emancipazione collettiva, della rivoluzione). Il lungo processo può essere disseminato di errori. A volte il M.S.A. si porrà alla testa delle masse senza essere alla testa delle masse (porsi=essere). Bisognerà cogliere tali momenti, vederne gli errori, criticarli per evitarli in futuro. Essi sono tuttavia frutto di una situazione paradossale in cui ci troviamo come MSA.
Situazione paradossale: noi agiamo in nome del popolo senza che il popolo ci abbia chiamati ad agire per lui. ANZI: il popolo ha delegato già ALTRI a rappresentarlo (sindacati, partito, parlamento). In essi non si riconosce completamente, ma neppure completamente li disconosce (perlomeno esplicitamente). Dobbiamo rendere esplicito tale disconoscimento dei "delegati dominanti" da parte delle masse. Per una loro emancipazione IN PRIMA PERSONA. Ma non ci hanno chiamato a questo. Siamo – per così dire – "SOSPESI" (delegati oggettivi del popolo, non soggettivamente riconosciuti dallo stesso). Appare abbastanza chiaro da tutto il contesto del MSA, come esso non sia un movimento pre-parlamentare e pre-politico, bensì extra-parlamentare e post-partitico. Tutta l’entrinsecazione del movimento è già direttamente politica. E lo è anche e nella misura in cui, per estrinsecarsi rifiuta la canalizzazione parlamentare e partitica, sulla logica del rimando alle istanze superiori e sulla delega, per affermare invece la partecipazione diretta, militante, in prima persona di ogni soggetto storico (che si espone in prima persona ma controlla anche in prima persona la preparazione, l’esecuzione, il risultato della lotta, accettandone a priori di esserne investito nelle conseguenze).
IN SINTESI.
Il MSA si trova a doversi muoversi, nella propria lotta anti-istituzionale ed antiautoritaria, su parecchi fronti:
a. un fronte interno al movimento studentesco stesso (campagne di rettifica contro l’avventurismo e l’opportunismo, contro un cattivo stile di lavoro, contro la burocratizzazione delle strutture di lavoro, contro l’autoritarismo dei compagni militanti).
b. un fronte "esterno" (articolato in parecchi fronti). Prendiamo due sezioni:
1. L’Università (rovesciarne la funzione rendendola Università Critica. Gestirne permanentemente la "criticità" contro forme di stereotipia e di intellettualismo. Rovesciare a sua volta la K.U. sulla città come "restituzione del sapere sociale al popolo").
2. La città (come articolazione particolare della "Metropoli", come grumo di istituzioni potenti.
Il MSA si muove qui dentro a due livelli:
• difensivo: costruzione di strutture di servizio al popolo, disgregazione del campo nemico (mensa popolare, alfabetizzazione, comitati, ecc.)
offensivo: campagna di massa di urto e di chiarificazione (sul
tema centrale della distruzione della ricchezza sociale).
Per reggere alla lotta su parecchi fronti il MSA si struttura in articolazioni di lavoro (corrispondenti ad istituzioni specifiche, le attuali COMMISSIONI) che sviluppano autonomamente il "campo". Entro ogni "ISTITUTO" (articolazione del MSA/struttura di lavoro) esistono uno o più "GRUPPI DI BASE" (Es. entro la COMMISSIONE FABBRICHE esistono i gruppi di base SLOI, quello MICHELIN, quello ITALCEMENTI ecc.). Anche questi gruppi di base hanno la massima autonomia di lavoro. Il MSA conserva anche una struttura "generale": l’Assemblea . (In essa non dovrebbero confluire i singoli studenti atomizzati, ma gli studenti antiautoritari organizzati in una o l’altra articolazione del MSA stesso). Abbiamo visto come la irrinunciabile autonomia politica dei "Gruppi di base" e degli "Istituti" debba essere accoppiata (non giustapposta, ma fusa) a una indispensabile coordinazione (politica) collettiva dei movimenti specifici dei singoli ordini.(Tale coordinazione non può essere attuata da un gruppo specializzato, che si autonomina Cervello Coordinatore del MSA, gruppo magari composto da sempre le stesse persone, che diventano così elementi fissi e fissibili del movimento, "professionisti della politica" contrapposti ai "dilettanti della politica". Tale coordinazione non deve piovere dall’alto e dall’esterno del lavoro degli istituti, ma ne deve venir fuori come necessità critico-pratica, per linee interiori. Essa può avvenire a livello di tutti i gruppi di base e anche – talvolta – a livello di "responsabili tecnici" (rotanti) (in casi urgenti e per motivi di necessità: es. esplosione rapida della repressione poliziesca e giudiziaria). La teoria e la prassi del MSA devono passare per ogni compagno dei gruppi, filtrare in ogni istituto. L’assemblea a questo punto è grossa occasione di "meeting" politico generale (e non può organismo che – fittiziamente/burocraticamente/ - prende le cosiddette decisioni. Oppure organismo di coordinamento burocratico/tecnico dei lavori già fatti o in cantiere e per sé "intoccabili", non sottoponibili a critica politica). La distruzione dello studente atomizzato e del quadro specializzato devono avanzare di pari passo colla distruzione dell’Assemblea attuale (Repressiva).
PARTE SECONDA
MATERIALI DI LAVORO
Crisi ideologica del proletariato. (questo concetto si riferisce ad una tendenza soggettiva rivoluzionaria del proletariato che non arriva a realizzarsi, anche quando esistono tutte le premesse economiche e sociali favorevoli a tale "realizzazione rivoluzionaria").
(NOTA: nell’ipotesi generale della teoria della rivoluzione, la crisi generale economica e sociale del capitalismo è la base materiale e la premessa necessaria per la sua crisi politica decisiva, e dunque per una emergenza rivoluzionaria della coscienza di classe e della prassi proletaria. Il non verificarsi di tale emergenza si esprime in "crisi ideologica del proletariato" e di conseguenza in crollo della teoria della rivoluzione così costruita. Il capitalismo sopravvive alla sua crisi. Si ridimensiona e ristruttura: trova soluzioni economico-politiche interne al suo modo di produzione e riproduzione sociale).
Per "crisi ideologica" si intende l’insieme di queste tre formulazioni descrittive:
1. La precarietà oggettiva della società borghese si riflette dentro la testa del proletario con apparenza di stabilità, di naturalità non rovesciabile.
2. Il proletariato resta prigioniero – per lo più – delle forme borghesi di pensiero e di sensibilità. (Nella sua testa non ci sono le idee ‘sue’ ma quelle dei padroni. Nel suo corpo ci sono non i comportamenti ‘suoi’, ma quelli del padrone). (senza "autonomia").
3. L’imborghesimento dei proletari – inoltre – viene strutturato e fissato in forme organizzative che lo riproducono ed eternizzano. Tali forme organizzative sono quelle del Movimento Operaio tradizionale (Partiti e sindacati).
Funzione del M.O.
SINDACATI: atomizzare e spoliticizzare il proletariato e il suo movimento di lotta. Mistificare ed occultare il rapporto, tra particolare e universale (tra singola lotta e altre lotte, tra fabbrica e società, tra capitalista singolo e capitalista collettivo, tra "lotta economica" e "lotta politica").
PARTITI: fissare ideologicamente ed organizzativamente la reificazione della coscienza del proletariato, mantenendola al livello di "imborghesimento relativo" (articolazione della delega, separazione tra luogo della lotta e luogo ove la lotta viene gestita, espropriazione delle capacità decisionali della "base", manipolazione ideologica e sessuale) (il sindacato depoliticizzato e il partito desocializzato coprono in tal modo gli spazi lasciati liberi dalle altre istituzioni borghesi. Ne compiono l’opera il controllo e manipolazione repressiva. Non emancipano il proletario né lo imborghesiscono: lo fissano allo stadio di "imborghesimento relativo").
Il M.O. può assolvere tali funzioni solo in quanto:
1. La crisi ideologica è presente nel proletariato stesso (come base materiale su cui cresce e si articola la sovrastruttura del M.O. Il M.I. non è un "malo diablo" che reprime sadicamente un proletario sorgivamente rivoluzionario. Il M.O. ha invece radici concrete nel proletariato, anzi, nella parte peggiore del proletariato). Il M.O. è la sovrastruttura visibile del menscevismo interiore del proletariato. Lo ratifica ed eternizza, lo riproduce anziché distruggerlo: ecco in cosa consiste la natura repressiva – e non emancipatoria – del movimento operaio.
2. E’ teoricamente e praticamente impossibile – per il proletariato – una crescita SPONTANEA fino alle fasi più mature della sua "negazione determinata".(Crescita di tipo: a – ideologico; b – strategico; c- organizzativo; d – tattico; e – sessuale. Questi cinque punti esprime ciò che Lukacs chiama "AUTONOMIA DI CLASSE". Bene, questa compiuta autonomia di classe è irrangiungibile in modo puramente spontaneo). Il M.O. può autoriprodursi come repressore proprio grazie a tali limiti strutturali della "spontaneità operaia". Il "SOGGETTIVISMO BUROCRATICO" del M.O. attuale si esprime proprio nella sua rinuncia a sprigionare e portare alle ultime conseguenze le indicazioni spontanee delle lotte proletarie più avanzate. La rinuncia al momento della "direzione politica rivoluzionaria" diventa "direzione controrivoluzionaria" delle lotte stesse. Repressione determinata dalla spontaneità.
3. La crisi ideologica del proletariato metropolitano comporta – a lungo andare – un ROVESCIAMENTO IDEOLOGICO di "quel" proletariato che si è sviluppato sotto e dentro il capitalismo, sotto e dentro l’influenza delle forme di vita (pensiero e sensibilità) borghesi (cioè, il non completo sviluppo della spontaneità operaia insorta durante le lotte significa "regressione di tale spontaneità. Perdere non vuol dire solo occasione perduta, ma regressione prodotta. La spontaneità diventa "rabbia". Il collettivo decade a individuale, e a quel livello sopravvive corrotto).
(La non soddisfazione degli INTERESSI REALI del proletariato, sommata dialetticamente alla soddisfazione ripetuta degli INTERESSI IMMEDIATI in tutta la loro particolarità e limitatezza produce il salto da "crisi ideologica" a "rovesciamento ideologico". Abbiamo sì fette crescenti e massive di proletari che si "FASCISTIZZANO". E addirittura masse operaie dichiaratamente razziste e fasciste come quella americana).
NOTA GENERALE: un modo estremamente scorretto di "far politica" è quello che si fonda su una visione dialettica del rapporto economia/ideologia, rapporto immediato per cui la crisi economica del sistema diventa direttamente crisi politica del sistema, e tutto ciò diviene con poco sforzo SOCIALISMO.
Basta cioè:
1. Rendere cosciente ciò che è incosciente
2. rendere attuale ciò che è latente (nel sistema)
Una "buona presa di coscienza" e una "guida chiara" sono elementi sufficienti a realizzare il "gran colpo di teatro". Un intenso lavoro di diffusione capillare del materiale storico/dialettico ed un partito rivoluzionario lanciaslogans bastano al "ribaltone". (Alcune cose dette sul maggio francese avevano questo tono).
INVECE (LUKACS): la coscienza di classe del proletariato non si sviluppa PARALLELAMENTE alla crisi economica oggettiva, LINEARMENTE e NELLO STESSO MODO IN TUTTO il proletariato. (Può avvenire che il crollo oggettivo della società borghese si verifichi prima del consolidamento nel proletariato di una coscienza di classe rivoluzionaria). In altri termini: non esiste un parallelismo semplice e lineare tra posizione economica e volontà politica, tra economia e ideologia. E lo sviluppo soggettivo del proletariato non ricalca gli stessi tempi dello sviluppo oggettivo del sistema e delle sue crisi economiche e politiche. Crisi ideologica del proletariato = ritardo dell’ideologia proletaria rispetto alla crisi del sistema.
OGGI: il crollo della "teoria della rivoluzione" fondata sul principio dell’unità sovversiva miseria-lavoro, e, secondariamente, sulla "crisi economica" del sistema come luogo prediletto del "salto rivoluzionario (la pippa sul concetto "crisi economica senza vie di uscita", oggi è buffa. Non tiene conto delle innumerevoli "uscite di servizio" che il capitalismo internazionale è andato costruendosi in questi 50 anni, specie dopo la grande crisi del 1929, e che dimostrano di non funzionare poi tanto male), tale crollo dicevamo pone il movimento davanti al difficile ma necessario compito critico-pratico di elaborare una TEORIA DELLA RIVOLUZIONE a livello metropolitano, adeguata alle necessità internazionali di "globalizzazione della lotta rivoluzionaria". In questo senso ci appare importante un’analisi dei mutamenti intervenuti nel sistema dopo la Grande Crisi (analisi del tardo-capitalismo), un’analisi dei rapporti tra economia e ideologia (nella metropoli soprattutto), un’analisi sul concetto di crisi economica.
Bibliografia iniziale:
Lukacs: Storia e coscienza di classe – Sugar Dutschke: in "Ribellione degli studenti " – Feltrinelli
AAVV – Dove va il capitalismo – Comunità Baran, Sweezy: Capitale monopolistico – Einaudi
Boggs: Rivoluzione americana – Monthly Revie, n. 9
Galbraith: Nuovo stato industriale – Einaudi
AAVV: la comune di Parigi, maggio ’68 – Saggiatore (J.M. Coudray)
Mao-tse-tung: "Sulla contraddizione" – Feltrinelli (Scritti)
FALSA COSCIENZA ED ORGANIZZAZIONE (del fatalismo e del volontarismo).
Max Weber ha sviluppato una tipologia interessante della popolazione dei partiti politici (menscevichi). Lukacs l’ha ripresa e sviluppata in "Storia e coscienza di classe".
Tipologia: entro la popolazione del partito è possibile distinguere:
1. direzione attiva
2. membri passivi
3. aderenti con funzione di oggetti.
In questo terzo gruppo il singolo è "numero/massa/elemento del seguito". La sua funzione di oggetto vi è fissata ed eternizzata dalla "libertà borghese" (Libertà come egoismo. Un ritrarsi in se stesso. Libertà da isolati rispetto ad altri uomini, anch’essi ‘isolati’. L’isolamento è dovuto al processo sociale reificato, che reifica la coscienza. Godere individualmente di tale libertà – oggi – significa eternizzare PRATICAMENTE la struttura non libera del mondo e della storia). Falsa coscienza (in questo contesto concreto/aderenti al 3° gruppo significa: "l’impossibilità oggettiva di intervenire nel corso della storia mediante un’azione cosciente". Sul piano organizzativo tale falsa coscienza si riflette nell’impossibilità di formare UNITA’ POLITICHE ATTIVE in grado di mediare l’agire del singolo con l’agire della classe.
Fenomeni che dipendono dalla falsa coscienza (e che appaiono anche sul piano organizzativo):
• separazione tra coscienza ed essere
separazione tra teoria e prassi (risultato: prassi acefala,
teoria impotente).
IL SINGOLO finisce con lo sviluppare un atteggiamento puramente INTUITIVO, vale a dire puntualmente CONTEMPLATIVO, verso la storia (la lotta degli uomini), la quale risulta così quale frutto dei "CAPI" (sopravvalutazione "VOLONTARISTICA" dell’importanza del singolo) e non delle MASSE (sottovalutazione fatalistica dell’importanza della classe).
IL PARTITO: si divide in due parti, una attiva e una passiva, la quale ultima è messa in movimento solo occasionalmente e solo su comando della parte attiva. Per coloro che stanno nella parte passiva è data la possibilità di una libertà di aspettatori. (La libertà di valutare avvenimenti che gli si pongono davanti o addosso, percepiti in modo ‘fatale’ e fatti sprigionare da ‘capi’ (persone singole). La partecipazione politica dei PASSIVI è periferica, non coinvolge l’intera personalità, non diventa il centro della loro esistenza, il loro intervento nella storia è limitato al ‘giudizio’ dato sugli atti (altrui). Tale giudizio è distorto proprio dall’angolo visuale da cui parte: e sarà – il giudizio – inficiato dal fatalismo e/o dal volontarismo, dalla sopravvalutazione ??????? Per il MSA, il problema si configura in termini di rapporto tra nucleo attivo e aderenti a partecipazione saltuarie. Questi ultimi, insieme con tutta una serie di ‘marginali’, sviluppano insieme critiche giuste/critiche ingiuste al msa, identificato nel suo nucleo attivo o addirittura nella leadership (questa identificazione sta alla base di tutta una serie di valutazioni scorrette. Il msa non è di tutta una serie di valutazioni scorrette. Il msa non è il nucleo attivo, né tantomeno la sua leadership. Il msa comprende sia tutti coloro che decidono sia tutti coloro che ne fanno parte. Il farne parte integrante oppure no dipende dalla volontà soggettiva dei compagni. In ultima istanza, non vi sono strutture ‘chiuse’ formalizzate: esse sono tutte ‘aperte’. Il violare la resistenza psicologica interiore, l’entrare a farne parte, seppure con tutta una carica di dissidenza, è un diritto e un dovere di tutti gli studenti antiautoritari. Lo sviluppare una dimensione attiva e militante è l’unico modo che ci permette di non essere spettatori, ma attori in prima persona. A questo punto, se certe cose non piacciono e la linea sembra la migliore, sono date le condizioni per poter tutto mutare, a vantaggio dell’accelerazione soggettiva del processo rivoluzionario). La nebbia ‘teorica’ e la confusione organizzativa sono – oggi – dimensioni strutturali dell’opposizione rivoluzionaria nella metropoli. Non si tratta di lamentarsene, in nome di una chiarezza che non è mai esistita, o di un ordine e fluidità organizzativa che esprimeva solo la meccanizzazione del lavoro diviso, la produzione del militante specializzato, lo sviluppo di una linea revisionista. Non esiste teoria né organizzazione rivoluzionaria già data. Occorre invece RRRpRRM. E questo è opera nostra.
Portare chiarezza nella rivoluzione. Cioè: OGNI LOTTA CHE FACCIAMO DEVE ESSERE LA COSTRUZIONE DI UN PEZZO DELL’UOMO NUOVO E DELLA NUOVA SOCIETA’. Dice Marx: "L’attuale generazione è simile agli ebrei che Mosè conduce attraverso il deserto. Essa non deve solo conquistarsi un nuovo mondo: deve perire per far posto agli uomini nati per un mondo nuovo". Si cumulano su questo punto una serie di slogans che riassumono un grosso discorso, che è più progetto storico che un fatto. Gli slogans dell’UTOPIA OPERANTE, DELLA NATURALIZZA-ZIONE DELL’UOMO, UMANIZZAZIONE DELLA NATURA, SENZA EROS NIENTE RIVOLUZIONE ...
Bibliografia: Marx: manoscritti economico-filosofici – Editori Riuniti.
Reich: La rivoluzione sessuale – Feltrinelli
Fromm: Fuga dalla libertà – Comunità
Marcuse: Eros e civiltà – Einaudi
‘Dutschke a Praga’ – De Donato
Quaderni Piacentini n° 34.
Il rendimento politico, sia del singolo quadro, sia del movimento tutto, non sta solo nel giusto rapporto tra msa e popolo, nella corretta linea politica di attacco/autodifesa/disgregazione delle forze nemiche ... ma si fonda materialmente anche si dimensioni di bisogni e di desideri, di sentimento e sensibilità che rischiano, ove non siano prese politicamente in considerazione, di svilupparsi in una prospettiva regressiva e individualistica, divergente dalla prospettiva assunta dalla "ragione rivoluzionaria" (ragione a questo punto evirata – e tutta ormai in tono angelico, di sublimazione e – peggio – di compensazione). Il msa, astrattamente assunto, funziona. Chi dovrebbe farlo funzionare non può più. E allora il movimento si svacca, si isterilisce. La politica torna ad essere ‘cosa cupa’, e la serietà della militanza rivoluzionaria scade a seriosità insoddisfatta, carica di tensioni libidiniche represse o rimosse. Il compagno si ‘chiude a riccio’, mette fuori gli aculei, reclama il diritto ad una ‘sua vita privata’, lontana e distinta da quella collettiva. Se continua la militanza nel msa, a ‘sto punto è uno schizofrenico. E pretende di fondare una società nuova senza voler contribuire, SU SE STESSO, a fondarne la base materiale cioè l’uomo nuovo, l’individuo sociale restituito a se stesso (Marx). Portare gaiezza nella rivoluzione significa allora, che la nebbia teorica e pratica del movimento non si dilegua a colpi di razionalità senza palle, colla luce inibita di un intelletto scorporato, con fiaccolate di politica in senso restrittivo, ma la si può dileguare solo portandoci dentro l’umanità concreta del militante collettivo, impegnato a fondo a riconquistare una sua testa e una sua sessualità, e l’unità di entrambi, la testa e la sessualità. Siamo pieni di nuovi bisogni radicali e di vecchi e nuovi mali che con noi e con la nostra lotta continuano a crescere e rafforzarsi. Occorre arrivare a far politica DE SUBLIMANDO la politica dei revisionisti. Sviluppando collettivamente una politica CORPO-RALE. "La scena ove l’azione si svolge è costruita sulle condizioni materiali obiettive, ma su questa scena i compagni possono dirigere la rappresentazione di imprese magnifiche, piene di suoni e colori, di forza e grandezza (MAO. Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina). C’è un nesso dialettico insopprimibile tra distruzione e ricostruzione, tra lotta che trasforma le cose e lotta che trasforma l’uomo impegnato in tale lotta. OGNI TRASFORMAZIONE DELLE COSE CHE NON COMPORTI LA MODIFICAZIONE RADICALE DELL’UOMO IMPEGNATO IN TALE TRASFOR-MAZIONE E MANIPOLAZIONE E NON POLITICA.
Dutschke: ‘Il presupposto della democrazia è quindi l’uomo cosciente, creativo, un uomo con bisogni ed interessi radicali, nuovi, con una struttura caratteriale antiautoritaria, con la facoltà permanente di considerare la società come fatta da lui e che sta a lui dominare’. ‘Noi studenti antiautoritari dobbiamo dimostrare di non essere dei nevrotici infelici, ma uomini preparati coscientemente e con un’idea precisa dell’avvenire’ (vedi anche l’intervista a Huej Newton sull’ultimo Quaderni Piacentini, la parte dedicata al rapporto tra testa e corpo).
Sui possibili involgarimenti del discorso occorrerà fare molta attenzione. Il sesso spaventa. Il rischio di non comprendersi – tuttavia – è inferiore a quello di reprimerci a vicenda. Ma quando parliamo di ‘espansione della sessualità nel msa, non intendiamo l’espansione della sessualità attuale, corrotta e banalizzata, che subisce il processo borghese di genitalizzazione del sesso (ridotto al coito), ma la costruzione di una sessualità nuova attraverso la lotta contro quella vecchia. Dove per nuova sessualità si intende creare unità sociali sempre più ampie (l’opposto della chiusura a riccio borghese) dal singolo a tutta l’umanità, dal militante all’internazionale proletaria passando attraverso l’espansione piena e matura della ricchezza interiore (società che produce miserie economica più sessuale).
Il ‘cinismo’ nel lavoro politico sulle masse. Per alcuni compagni, la scoperta della condizione di fabbrica, della condizione operaia è traumatizzante. Gli ‘ozi capuani’ dello studio universitario vengono messi a confronto coll’attività fisicamente opprimente e psichicamente debilitante del lavoro industriale. Si sviluppano complessi di colpa: ci si sente ‘parassiti’ e si ha d’improvviso l’impressione di una ‘dolce vita studentesca’. Far picchetti alle 5 di mattina, colla bruna sull’erba e il fiato che vapora, vedere gli operai che entrano a capo chino, pensarli per 8 ore filate in piedi a confronto colle bobinatrici che vanno a ritmi pazzeschi, sentirli dire del loro salario di merda, etc. ... diventa l’esperienza esemplare’ per i figli di papà. E magari cominciano a consumare un po’ di Marx, ripensano il tutto in termini di pluslavoro e plusvalore, gli viene una voglia matta di tornare ai cancelli, di parlare, di spiegare agli operai che sono sfruttati, che è assurdo in una società "opulenta" massacrarsi in quel modo, che devono organizzarsi, lottare, cambiare tutto e tutti ...
Ecco. Per cinismo intendiamo quelle azioni illuministiche di spiegazione e chiarificazione "mentale" (operazioni pedagogico-coscienzialistiche) che un "gruppo esterno" pratica sulla massa operaia, mostrando la loro condizione, e indicandogli A PAROLE come uscirne (proposte organizzative "pensate"). Il lavoro politico – in questi termini – viene impostato come "conquista ideologica della classe" dall’esterno. Presuppone una idiozia operaia che è anche superiore a quella esistente, presuppone una coscienza lucida del rivoluzionario superiore a quella esistente. Soprattutto, presuppone che si possano rivoluzionare gli altri stati senza rivoluzionare se stessi. Il cinismo è la crociata marxista leninista maoista praticata da un nucleo "intellettuale rivoluzionario" sulle "masse operaie incoscienti e disorganizzate". Le armi sono quelle della critica e della chiarificazione. Coscienza ed organizzazione vengono esportate a pacchi (GRATIS). La logica è "induttiva": si parte dal "disagio immediato" sul luogo di produzione per risalire al "disagio reale" (la necessità della ‘globalizzazione della lotta’ su scala internazionale). La politica è impostata sui bisogni immediati delle masse. Naturalmente l’operaio è visto in modo strumentale: con lui si può bere il "rosso", lo si ascolta parlare dei figli che figli che lo fanno incazzare e della moglie che rogna, di quando faceva l’alpino e scolava pinte di grappa ... pazientemente sbuffando, convinti che il problema sta "altrove" nel rapporto diretto con la macchina di produzione, e allora lo si lascia sfogare per poi "venire al sodo" e parlargli di come deve organizzarsi in fabbrica, sviluppare la lotta a partire dal suo reparto ... tutto il resto è solo il pedaggio che dobbiamo pagare per parlargli del "comitato", e non un terreno politico proprio dove si può e si deve intervenire, in quanto modo reale ed immediato della sua vita empirica ed elementare. Abbiamo, nei mesi scorsi, commesso l’errore di considerare – dell’operaio – solo le 8 ore che passa in fabbrica e non le 16, altrettanto importanti, che trascorre "fuori". Non ci siamo resi conto che tutte 24 le ore sono decisive – per il nemico -. E che la subordinazione umana, politica, sessuale; avviene lungo tutto l’arco della giornata. (Anche se le 8 ore di fabbrica sono decisive per le altre 16). Per rivoluzionare l’operaio dobbiamo rivoluzionarci noi. La nostra forza non sta in ciò che gli diciamo, ma in ciò che CONCRETAMENTE facciamo per lui, in direzione della sua emancipazione. Il cinismo di andare a dire ad uno sfruttato che è sfruttato ad un disorganizzato che deve organizzarsi, esprime solo la nostra vigliaccheria teorica e pratica. L’operaio non ci dà retta, ed ha ragione.
CIO’ CHE IMPEDISCE LA SUA PRESA DI COSCIENZA NON STA INFATTI NELLA SUA FALSA COSCIENZA MA STA IN UNA "STRUTTURA". (La sua coscienza si è falsificata REIFICANDOSI, emigrando fuori di lui nelle cose esterne a lui, incorporandosi nelle ISTITUZIONI). La coscienza è diventata solida ed è emigrata dal corpo. SI E’ STRUTTURATA IN UN APPARATO REPRESSIVO (le istituzioni: sindacato, partito, famiglia, danaro, etc....). Ciò che impedisce la presa di coscienza – dunque – non è la coscienza stessa (quella falsa bestia che ci vive dentro- spirituale) ma un qualcosa di altro, che sta altrove. Solo rompendo, spezzando quel "QUALCOSA D’ALTRO" esterno alla coscienza "interiore", potremmo arrivare a quest’ultima.
PER SPEZZARE LA FALSA COSCIENZA DELLE MASSE, OCCORRE SPEZZARE L’APPARATO ISTITUZIONE IN CUI ESSA E’ MIGRATA (parlamento, partiti, stampa, sindacati, chiesa, esercito, auditorium, famiglia, etc...). Marciare contro le istituzioni. Non si tratta quindi di interpretare o chiarificare i bisogni delle masse MA di rompere quelle istituzioni che non permettono ai bisogni radicali di esprimersi e realizzarsi. Come nella "morra cinese": il foglio non può niente contro la forbice ma può contro la pietra. La quale spezza la forbice che può tagliare la carta. Quando giochi devi scegliere la "figura" adatta per vincere. Se quello cala la pietra, tu calerai il foglio e non la forbice, né calerai a tua volta la pietra. Così, la parola non può niente contro l’istituzione. Non si spezza una coscienza solidificata, REIFICATA, con l’arma della critica, col pedagogismo, colle proposizioni chiarificatrici.
Occorre passare alla CRITICA DELLE ARMI, alle "azioni esemplari" contro le istituzioni.
In sintesi: LA STRUTTURA APPARE VISIBILE NELLA SUA REALTA’ ATTRAVERSO IL PROCESSO CONCRETO DI DISGREGAZIONE DELLA SOVRASTRUTTURA – PROPA-GANDA ARMATA – Cioè: (Guevara) non si fanno comizi ai contadini. Non servono. Invece, si penetra col gruppo guerrigliero nel villaggio, si individua il poliziotto torturatore (che le masse ritengono invincibile e a cui sono soggiogate), lo si fucila in piazza, si chiama il popolo in assemblea davanti al suo corpo morto e poi si fa il comizio. Allora verrai ascoltato e anche seguito. Ma non prima.
Il concetto di "Propaganda armata" va trasportato nelle metropoli e qui ADATTATO alla situazione (attraverso una analisi concreta della situazione concreta). In ultima essenza essa è "azione esemplare offensiva".
NOTA: non è un bravo ladro chi sa arrivare alla cassaforte e rubare li bottino, ma chi, fatto questo, riesce a tagliare la corda e a non farsi beccare. Vale a dire chi andando all’attacco, ha pensato con minuzia ai 15 minuti di offensiva (penetrare nella banca e giungere alla cassaforte, sapere come aprirla, conoscendo ciò che c’è dentro – e se vale la pena) e SOPRATTUTTO, ai 15 minuti di ritirata (come uscire dalla banca e squagliarsela senza farsi prendere). L’azione esemplare deve essere con minuzia preparata in tutte le sue fasi:
1. Coscienzalizzazione delle masse su ciò che si farà
2. Esecuzione dell’azione
3. Chiarificazione alle masse sul significato dell’azione stessa (+ autodifesa della massa dalla repressione).
NOTA: la necessità dell’azione esemplare come "modo di contatto con le masse" non deve esentarci da un’analisi sui rischi dell’avventurismo. (Rischio facile in questo modo di lavoro).
TOLLERANZA PURA.(ovvero: questa società metropolitana permette il dissenso verbale, che gli torna utile, non il dissenso critico-pratico) (Il dissenso non ha senso).
Es. Io posso dimostrare che Kiesinger è un ex-nazi, eppure é Cancelliere della Repubblica. Lo posso dire, stampare. E dire che non dovrebbe allora essere lasciato cancelliere. Sono libero di dire queste cose. Anzi, la società che fa queste cose, mi lascia dire che queste cose essa le fa: poi dice che è democratica perché me lo lascia dire. Dopodiché, Kiesinger rimane ex-nazi e cancelliere. (Springer pag. 61).
In questo meccanismo c’è qualcosa che non va. Non va radicalmente.
Es. Durante la campagna elettorale nel Trentino il PLI ha diffuso un volantino che diceva: "Compagno, non sono d’accordo con quello che dici, ma lotterò fino in fondo per difendere il tuo diritto di dirlo" (in giusta e facile polemica con l’oppressione dei paesi dell’Est).
Bene: ecco il tipo perfetto di espressione della tolleranza pura: dì pure quello che vuoi anche se io non sono d’accordo. Anzi lotto perché ti resti garantito il diritto di dirlo liberamente. TANTO TUTTO QUELLO CHE SEI LIBERO DI PENSARE E DIRE E’ UN PURO BUCO NELL’ACQUA.
Esprimere verbalmente il dissenso in una società di tolleranza pura è "darsi fiato ai denti" e poco più. Le cose restano come prima, NATURALMENTE garantendoti il diritto di contestarle verbalmente all’infinito.
Diciamo: non occorre tanto costruire un pensiero che prema verso la realtà (come diceva Marx) ma oggi esiste invece la necessità urgente di costruire una realtà che prema verso il pensiero. (NOTA: pensiero radicale, realtà radicale. La radice è l’uomo, non com’è ora, ma come può diventare). La tolleranza pura (libertà del dire impotente ed inutile – illusoria speranza di cambiare le cose con secche e dure proposizioni – di mutare la coscienza a colpi di coscienza) può essere distrutta solo dall’UTOPIA OPREANTE (azione esemplare – costruzione di FATTI, di REALTA’ alternative all’ordine esistente). Dall’arma della critica dobbiamo passare alla critica delle armi (LINEA DI MASSA. CAMPAGNE DI MASSA).
Per quei "marxisti ortodossi" che ci accusano di essere "usciti dal marxismo" quando diciamo: LA STRUTTURA DIVENTA VISIBILE PER CIO’ CHE E’ ATTRAVERSO IL PROCESSO DI ROTTURA DELLA SOVRASTRUTTURA, (accusandoci di rovesciare il rapporto classico tra struttura e sovrastruttura) facciamo un rimando "erudito": vadano a leggersi Mao Tse Tung, il saggio sulla contraddizione, in particolare, la parte 4, "la contraddizione principale è la parte principale della contraddizione" (Dopodichè si potrà discutere su alcuni CONTENUTI e no su alcune formule).
NOTA: ricordiamo ai compagni che questi che stendiamo sono solo appunti di "provocazione alla discussione e alla prassi". Non pretendono alla compiutezza né all’analisi delle proposte politiche. Il FOGLIO e strettamente "interno" al MSA trentino, nel senso che tenta di calarsi in un contesto di analisi/azione che SOLO dà senso agli spunti che abbiamo ritenuto necessario porre. Non cerchiamo in questo foglio quello che non può né vuole esserci.
La miniaturizzazione del ’17. Molti compagni ripetono verbalmente che il processo rivoluzionario è caratterizzato dalla "lunga durata", ma se ne dimenticano nella attività quotidiana. Li assale la smania della "presa del potere" e vedono molto vicino ciò che è ancora molto lontano. In tal modo cadono nel grave errore di ridurre la politica al problema della "presa del potere".
Occorre avere – invece – estremamente chiara la differenza tra:
• presa del potere senza rivoluzionamento delle masse
massificazione dell’idea di emancipazione sociale.
Nel primo caso i compagni riducono tutto il problema a quello dell’assalto
vincente al potere centrale, alla macchina dello stato, applicando così
– rinsecchito – il grande messaggio dell’Ottobre 17. Si esimono
dall’analisi del nuovo tipo di potere, e proiettano un po’ ovunque
il "Palazzo d’Inverno", luogo del potere, che va "preso
dalle masse" (non importa se incoscienti) purché guidate lucidamente
da una minoranza cosciente con le idee chiare sul "dopo". In tal modo
danno eccessiva importanza all’apparato organizzativo e troppo poca allo
stato crescenziale delle masse. Non vedono più come il lavoro politico
deve puntare ad un movimento di massa, creando le condizioni di una emergenza
MAGGIORITARIA – entro il paese – in direzione rivoluzionaria. In
sintesi, riducono la rivoluzione che è rivoluzionamento dei "rivoluzionari"
e delle "masse", (rivoluzione ininterrotta), a "presa del potere"
attuata dalle masse sotto la direzione di avanguardie abili. La processualità
sparisce e si riduce al "colpo di teatro". Invece il processo rivoluzionario
deve strutturarsi come presa di coscienza da parte delle masse che partecipano
attivamente al movimento, come creazione dei presupposti coscienziali (critico
pratici) alla auto-organizzazione. (I muri di Parigi dicono: "Non liberarmi,
grazie, ci penserò io"). Il quadro storico in cui operiamo è
radicalmente mutato rispetto al ’17. "Noi non potremo mai arrivare
al potere come minoranza (e tale potere conservarlo). Né lo vogliamo.
Proprio in questo stai l nostro vantaggio storico sul ’17, e la nostra
scommessa". Il problema è trasformare la minoranza in maggioranza,
organizzare le masse maggioritarie in masse dominanti, creare un VERTICE DI
MASSA. Per questo occorre battere ogni spirito settario nel msa. Criticare le
"forme a riccio" che il msa esprime e in cui si racchiude. Distruggere
e screditare le tendenze "minoritarie" con un modo di lavoro minoritario.
LA MASSIFICAZIONE DELL’IDEA DI EMANCIPAZIONE contrasta attivamente con la formazione, entro il msa, di gruppi istituzionalizzati che si autodichiarano proprietari di moduli organizzativi "sicuri" (quelli con cui si fa la rivoluzione presto, bene, e coi minimi rischi). Non si può dare lezione di unità al proletariato quando si è divisi all’interno. (Divisione per spirito settario, ovviamente. La divisione tra compagni è tuttavia lecita quando investe la differenza coi contro-rivoluzionari). In forma emblematica dunque, se proprio si vogliono fare di questi "giochetti", il msa deve guardare non tanto al ’17 russo quanto piuttosto alla "lunga marcia" cinese. (Alcuni compagni, sempre stando al gioco, guardano al modello cubano. Ci sembra un modo di cercare le scorciatoie ed evitare il problema. E il problema rimane: la linea di massa, il rivoluzionamento delle masse attraverso il rivoluzionamento dei rivoluzionari, il processo a lunga durata costruito con un lavoro paziente, tenace, permanente di ognuno entro il militante collettivo e l’intellettuale collettivo che miriamo a creare). Karl Marx, contro coloro che dicevano: "Dobbiamo arrivare subito al potere, oppure tanto vale che ci mettiamo a dormire", diceva: "Dobbiamo affrontare 15, 20, 50 anni di guerre civili e di guerre di popolo, NON SOLO PER CAMBIARE LA SITUAZIONE, MA PER CAMBIARE NOI STESSI, ed abilitarci al potere politico".
La fine dell’ottimismo socialista (da LUCIO MAGRI Considerazioni sui fatti di maggio, DE DONATO, pagg. 236 e segg). Che la rivoluzione sia, in questa nostra società, un bisogno reale ed urgente, torna ormai ad essere convinzione diffusa ... Anche in molti di coloro che marxisti non sono affiora, per vie diverse, la consapevolezza che il sistema in cui viviamo è profondamente sbagliato, e che proprio il suo sviluppo ne rende più acute le contraddizioni, più vistosa la disumanità. Una società caratterizzata dalla ricchezza delle conoscenze scientifiche e delle risorse tecniche, anziché condurre alla liberazione dell’uomo, alla sua signoria sul mondo, ne sancisce la definitiva riduzione a strumento produttivo. Il lavoro che, emancipato dalla lotta elementare contro la natura potrebbe divenire finalmente libera e creativa espressione della personalità, diviene sempre più nelle forme e nei fini, estraniato. Il consumo che, liberato dalla lotta per la sussistenza, potrebbe superare il limite della passività, della semplice appropriazione delle cose, per divenire a sua volta arricchimento ed espressione dell’individuo e della collettività, degrada invece la pura funzione produttiva e quindi ad ozio standardizzato, possesso, dissipazione. L’istruzione si eleva ed i mezzi di comunicazione fanno cadere separazioni e colmano distanze, ma solo per rendere più efficiente una attività priva di senso o per affermare l’irrazionalità di nuovi miti. Le istituzioni politiche paiono divenire più stabili, le regole della democrazia formale più sicure, ma il potere reale si concentra in un minor numero di mani. La repressione agisce con più sottili ed efficaci strumenti fino nel fondo della coscienza individuale. E la violenza si rinnova verso chiunque sfugga ai meccanismi di integrazione. Il mondo si unifica, cadono imperi e barriere religiose, ma razzismo e nazionalismo rinascono su basi nuove, si inventano nuovi simboli di status e di casta.
Cosa occorre di più per decretare la fine dell’ottimismo riformistico? (liberale o socialista)?
... una soluzione catastrofica è sempre possibile. Per evitarla, occorre che la crisi della società esistente produca i "materiali" su cui costruire una alternativa, e delle forze capaci e decise per utilizzare l’occasione che la storia offre.
LE NUOVE LOTTE. (Il tipo nuovo di SPONTANEITA’, POLITICA DI MASSA). Non possiamo – oggi – dare una risposta "leninista" (un leninismo senza Lenin e contro Lenin) ai nuovi problemi che il tipo di lotte attuali pongono. Limitarci ad una definizione della spontaneità delle lotte come "tradunioniste" (economiche-corporative), oltre che falsare il quadro reale in cui si pongono e la dinamica interna che le regge, ci condurrebbe ad impostare il "lavoro politico" in termini di "conquista ideologica delle masse" e di "introduzione dall’esterno della coscienza rivoluzionaria" (politica ed internazionalista). La fatica stessa dei sindacati e dei partiti (il maggio francese, ma anche l’Italia e non quella sola) a "RIDURRE" tali lotte in termini economici, sindacali da un lato e riformisti, parlamentari, d’altro lato ci mostra come esse lotte siano FUORI appunto da tale quadro costrittivo. Addirittura OLTRE tale quadro. Il M.O. si ostina a considerare la nuova spontaneità, ed i movimenti di massa che la esprimono, come PRE-POLITICI (nei loro termini pre-partitici, pre-sindacali, pre-parlamentari). Salvo poi dover sgobbare ed usare tatticismi esasperati per poter far rientrare il tutto nell’alveo prefissato dello scontro funzionale al sistema. (Il PCI attualmente, dopo aver tentato collo PSIUP, cerca colla FGCI – nuovo corso – di incapsulare il msa dentro il suo schema strategico. Il tatticismo ultrasinistro di questi tempi è appunto finalizzato ai "recuperi" entro una strategia governativa, di destra). Le nuove lotte costringono così gli apparati del MO a funzionare quasi esclusivamente come "repressori" della nuova qualità politica della lotta. Addirittura, nei casi gravi, si reprime la lotta stessa.
Il rischio, da parte nostra, è duplice:
• teorizzare la spontaneità a spese dell’organizzazione, sviluppando una nuova teologia delle capacità auto-organizzative della classe operaia e delle masse.
Non cogliere la composizione nuova delle masse in movimento,
continuando con la ripetizione talmudica (la Classe operaia e quella sola è
la classe veramente rivoluzionaria ...).
Per un certo tempo, il movimento ha fatto un uso ultraspontaneista della Luxemburg,
ed ha indebitamente isterilito il gigantesco messaggio leniniano (ridotto a
"coscienza esteriore"). La stessa tematica fortemente anti-autoritaria
del ms ha per un certo tempo inibito una corretta valutazione di certi termini.
Ad es. il termine spontaneità era connotato in modo fortemente positivo,
il termine organizzazione in modo fortemente negativo. Occorre forse citare
un cosiddetto spontaneista (Dutschke): "Nessuno ci venga a decantare una
malintesa mitologia della spontaneità. La più alta forma di attività
spontanea è la sua forma organizzata". Ora, la "coscienza"
non è – storicamente – tutta dentro i movimenti delle masse
(e della classe operaia). Come non ne è – né può
esservi – tutta fuori da essi. Coscienza e movimento crescono insieme
e si penetrano dialetticamente. Se questo non avviene, la coscienza perde la
dimensione critico-pratica che le è propria, la sua dimensione "attiva"
e scade "l’ethos", irrigidendosi progressivamente in gruppi
umani, sempre più ristretti e sempre più impotenti (costretti
a sviluppare una coscienza all’indietro, storico-commemorativa). I movimenti
divengono acefali, la spontaneità si "disorganizza" e diviene
rabbia e furore. Brucia i castelli per poi placarsi al primo tozzo di pane.
Dobbiamo impedire che nel movimento tornino a svilupparsi concezioni dialettiche
del rapporto tra spontaneità ed organizzazione. Occorre che se ne scoprano
le necessarie interazioni, giorno per giorno. "Dare organizzazione alla
spontaneità – Dare spontaneità alla organizzazione"
non può rimanere una parola d’ordine morta che ci si ripete addotto
nelle discussioni per essere dimenticata in ogni occasione "pratica"
si incorra.
(Un altro grave errore del ms trentino – simmetrico allo spontaneismo – è quello del disprezzo – nei fatti / non a parole – della teoria. Specie nei "vecchi quadri" esiste la intima convenzione di aver già cumulato esperienza sufficiente per poter procedere "senza ulteriori sforzi teorici". Non vengono alle assemblee, perché gli pare di "sapere già tutto", o se vengono, partecipano passivamente, discutono col compagno a fianco di amenità varie, etc. ... Nelle commissioni tengono un comportamento "paternalistico" verso i "quadri nuovi", ritenendo di aver tutto da insegnare e niente da imparare da quest’ultimi ... Si "vantano" di non passare il tempo a leggere Mao, oppure se ne lamentano con civetteria, facendo capire però che – in fondo in fondo – leggere Mao è un di più per un rivoluzionario del loro taglio ... Si permettono attacchi a fondo verso i compagni "nuovi" che si impegnano nell’Università Critica –letture di Marx, Lenin, Mao etc ... – dicendo "chi passa il tempo a leggere Marx non lo legga perché tanto non ci ha capito un cazzo ... etc. Anche se alcune cose sono corrette, l’atteggiamento generale non lo è. C’è il rischio di ritenersi già "rivoluzionari" e aver solo più da rivoluzionare gli altri. Il che non è vero. L’esperienza non supplisce, da sola, alla teoria. Né si può ridurre la teoria a "ripensamento critico delle cose fatte" (questa è teoria che guarda indietro e poco avanti). La teoria è anche progettazione globale delle cose da fare, è INVENZIONE del futuro. E per guardare molto avanti, non è salire sulle spalle dei giganti. (Chissà che l’orizzonte non si ampli e le cose acquisiscano un diverso contorno). Specie nel msa, organizzazione non centralizzata, occorre ricordare attivamente come si richieda MAGGIORE e non minore OMOGENEITA’ POLITICA, IMPEGNO, DISCIPLINA, SPIRITO D’INIZIATIVA. Maggiore e non minore IMPEGNO TEORICO: Solo con questo DI PIU’ "è possibile arrivare alla elaborazione collettiva di una linea comune". Diversamente, il Comitato Centrale sarà sostituito da una leadership, e la natura complessiva del movimento si troverà a subire regressioni autoritarie. La lamentazione – a quel punto – può essere descritta dall’adagio popolare "chi è causa del suo mal pianga sé stesso").
ALTRE COSE: analisi del tardo capitalismo, fascismo istituzionale, base di massa passiva, analisi del revisionismo, pianificazione della sessualità, miseria economica e miseria sessuale, etc. non ce le mettiamo (L’Università Critica è lì anche per questo. E quelle analisi ce le possiamo fare assieme per tutto l’anno). NON E’ UN DISPETTO. E’ UNA CONVINZIONE. QUELLO CHE E’ STATO SCRITTO E’ FIN TROPPO PER PROVOCARE IL CERVELLO.
IL RESTO FACCIAMOLO "FUORI DEL FOGLIO".
PARTE TERZA
"Questo è un periodo pre-rivoluzionario e pensiamo che sia estremamente necessario educare il popolo finché possiamo" (Huey Ne ton)
SULLA SITUAZIONE ATTUALE DEL MOVIMENTO
1. Il Movimento è una potenzialità immensa che non può essere racchiusa in un discorso sui suoi fatti. E’ una potenzialità da sprigionare, un’energia da liberare dai pesanti involucri – croste – che il papà, la mamma, i parenti tutti in compagnia del prete e del maestro e poi per incarico statale il sig. professore, il capoufficio , il segretario di partito, e molti altri irresponsabili sociali gli hanno appiccicato addosso. I fatti, o prime lacerazioni che il movimento ha prodotto in questi primi giorni, non sono che una emergenza disordinata – disorganica – caotica d un modo tutto da inventare, progettare nel fuoco di una nuova tensione rivoluzionaria. "Non ci si stupisca del caos delle idee: è la condizione di emergenza delle idee nuove". (Nanterre). Ma una carogna si aggira per l’Europa. I resti della borghesia in rapida putrefazione, hanno infettato larga parte del movimento operaio. La rimozione di questa carogna è un servizio sociale necessario. Ora si tratta di costruire delle infrastrutture adatte allo scopo: il movimento lo sta in qualche modo facendo. Ma la rivoluzione andrà pensata "almeno due volte"!
2. Valutazione di tempi brevi, troppo brevi: poco più di un mese.
Errori possibili: considerare contraddizioni secondarie alla stregua di contraddizioni principali o confondere l’aspetto principale della contraddizione per quello secondario. Una considerazione preliminare: dopo i primi 14 giorni di crescita politica del "campo antiautoritario" si è sviluppato un processo di caduta di tensione che ha evidenziato dilatandoli aspetti negativi ed emergenti del lavoro politico in cantiere. La periodizzazione 14/seguenti non ci sembra perciò arbitraria.
Una nota: Parliamo di "campo antiautoritario" riferendoci a quello spazio politico-sociale organizzato, articolato in sezioni o istituti e dotato di una struttura di servizio.
Il "movimento studentesco antiautoritario" è un fattore costitutivo essenziale del "campo", è il motore umano che ne consente una dinamica espansiva. Il MSA è presente nel campo non come unità concettuale mitica, ma nella sua forma fenomenica differenziata e cioè:
- quadri
- militanti
- aderenti.
In concreto dunque la caduta di tensione a cui sopra si accenna trova la sua radice nei "quadri" e nei "militanti" del MSA.
Domanda: a che è dovuta allora la caduta di tensione nei quadri e nei militanti? L’abbozzo di analisi di questi giorni è un tentativo di risposta. Un tentativo a cui tutti i compagni dovranno contribuire, poiché da una corretta individuazione dei nostri errori prende vita la possibilità di un salto di qualità di tutto il movimento.
Intanto: è all’interno del movimento che vanno ricercate le cause del crollo. Ed in particolare:
1. Nella mancanza reale di unità politica del movimento, che significa, mancanza di unità politica tra quadri/militanti, quadri-militanti/aderenti.
N.B.: il fenomeno non è difficile da spiegare, si tratta infatti del mancato funzionamento dei meccanismi di trasmissione dei risultati teorico-politici raggiunti da una parte dei "vecchi" quadri del movimento nel ripensamento critico dell’esperienza fatta nei mesi precedenti (Potere Studentesco).
La disomogeneità politica interna almeno in questa prima fase, ha comportato inoltre una reale cecità strategica di molti quadri e militanti. I quali privi di un punto di riferimento a lungo termine, non hanno saputo affrontare l’immediato se noni in termini di pura empiria.
2. Nella sostanziale incapacità di unire, il movimento al popolo: le campagne di massa, infatti, non hanno portato ad un’allargamento del campo antiautoritario nel senso di un suo allargamento organizzativo, anche se la realizzazione dell’Università Critica può essere considerata un buon passo avanti nella predisposizione di infrastrutture di servizio, al servizio del popolo.
3. Nella mancata disgregazione del campo antiautoritario: compito questo che richiede una conoscenza precisa del nostro nemico - che ancora una volta non è unità concettuale mitica, ma una complessità differenziata e contraddittoria – e la capacità politica di evidenziare e far esplodere nella sua pancia le cartucce che si porta a tracolla.
FRAMMENTO: opinione/politica
La differenza fra opinione e politica è l’organizzazione. Allargamento del "campo antiautoritario" non vuol dire creare un vasto movimento di opinione antiautoritaria, vuol dire sviluppare gli istituti e le strutture di servizio del campo e dimensionare al nuovo livello in funzione dei nuovi obiettivi che da quel livello è possibile perseguire.
4. Considerazioni particolari sui primi quattro giorni di novembre. In questa fase magmatica del movimento, l’emergenza del nuovo è più dolorosa di un parto trigemino. Mettiamo a fuoco: si inizia con una breve campagna di coscienzializzazione sui problemi dei 1.500 milioni che sono stati stanziati dal governo in occasione del cinquantenario di Trento e Trieste e sembra debbano essere utilizzate per la costruzione di un auditorium. L’azione progettata è un attacco al corteo presidenziale da parte di tre gruppi di intervento il cui obiettivo è: bloccare la macchina – far conoscere i motivi dell’attacco (no all’auditorium, gestione popolare del miliardo e mezzo) per mezzo di grandi sciarpe da-tze-bao – rispondere con forme di resistenza passiva all’intervento della polizia. Si prevede un intervento massiccio e violento delle forze repressive, si ipotizza una relativa passività della popolazione, non si tiene conto degli Alpini che il 3 Novembre sono presenti in massa a Trento per celebrare – chiamati dalla patria – il cinquantenario della "redenzione"!
L’attacco dei gruppi riesce, la polizia non interviene duramente, ma si limita a sgomberare la strada nel più breve tempo possibile (qualche secondo!), la popolazione – assai poca del resto – non si muove dai bordi delle strade ..., ma gli alpini, "hanno impartito loro quella lezione che meritavano: anche se la presenza della polizia ancora una volta (sic!) ha evitato al gruppetto degli sbarbatelli e delle loro compagne una punizione più pesante di quella, già pesante, che hanno dovuto incassare". "Vorremmo che la lezione fosse loro servita, se non altro a tenersi lontano da cose che possono anche non apprezzare, se lo credono, ma che devono egualmente rispettare". (Tolleranza pura: cfr).
"E’ servita se non altro, a dare alla cittadinanza la misura di uno sdegno corale che ha accompagnato ed applaudito le folate di sacrosante sberle e calcioni distribuiti al "cinesi" dagli alpini con totale solidarietà". (dal mensile delle Ass. Naz. Mut. e Inv. Di Guerra).
Note in margine: popolo/populismo
"la nozione di popolo acquista significati differenti nei diversi paesi e nei diversi periodi storici di ogni paese". Mao-tse-tung.
Per quanto ci concerne rientrano nel concetto di popolo, tutti quei gruppi sociali e quelle forze sociali mobilitabili per una lotta antiautoritaria, anti-istituzionale ed extra-parlamentare. Ciò non vuol dire che tra questi gruppi e queste forze debba esistere una forzata omogeneità, ma s’intende che le contraddizioni che tra esse si sviluppano non sono antagonistiche, non mettono cioè in discussione la contraddizione fondamentale che è quella che oppone la minoranza storica che detiene tutte le leve del potere economico-politico-culturale-etc. alla maggioranza reale del paese. La popolazione inoltre non è un tutto indifferenziato, in essa vanno distinte stratificazioni diverse, diversi livelli di coscienza e di falsa coscienza. Sviluppare un lavoro di massa, secondo una linea di massa vuol dire avere presente gli interessi reali e gli interessi immediati del popolo, sapere come esso è portato a rappresentarseli e in conseguenza a sviluppare un’azione militante che tenga conto di tutte le mediazioni richieste. Mettersi al servizio del popolo, non vuol dire così chiedere al popolo quali sono i suoi appetiti, ma saper distinguere tra le esigenze che esso esprime quelle corrette e quelle scorrette, saper mettere in evidenza le prime e far accettare la critica delle seconde. L’adorazione delle terga del proletariato e delle più ripugnanti abitudini che esso ha contratto per occulto consiglio dei suoi sfruttatori è una deviazione mistico-moralistica e che di certo non potrà condurre alla sua liberazione social-rivoluzionaria. Tendenze in questo senso si sono manifestate nel movimento ed è per questo che le abbiamo riprese di sfuggita. "Non si può giudicare un uomo dall’idea che esso ha di se stesso" ... occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione" (Karl Marx).
Intellettuale individuale/ intellettuale collettivo
La prevalenza dell’intellettuale individuale sull’intellettuale collettivo risulta essere uno dei fatti più preoccupanti e sintomatici dello stadio attuale di sviluppo della coscienza rivoluzionaria del movimento. La realizzazione dell’intellettuale collettivo nel militante collettivo rimane una tendenza di movimento. Una teoria che non si faccia prassi non serve alla rivoluzione, serve invece al sistema per mercificarne l’impotenza. Una prassi acefala, non serve alla rivoluzione, è solo un atto disperato che al massimo testimonia della profonda crisi che ha attraversato ed attraversa la sinistra rivoluzionaria. La separazione adialettica tra teoria e prassi è il punto di arrivo della falsa coscienza e ci condanna alla "impossibilità oggettiva di intervenire in modo cosciente nel corso della storia" (Lukacs).
4/11 chiarificazione nei quartieri
5/11 sciopero studenti medi
6/7/8/9 campagna di coscienzalizzazione sul problema dell’auditorium.
10/11. MANIFESTAZIONE ORDINATA CON BANDIERE ROSSE E "ROGO" FINALE
Due considerazioni al riguardo:
a. sulla questione dello spirito militante.
Non è una cosa trascurabile: sventolare una bandiera rossa non equivale a portare un giglio in processione! La rabbia accumulata in secoli di oppressione-sfruttamento-omicidio-genocidio vissuti collettivamente non consente sorrisi ai nemici del popolo. Anche una manifestazione ordinata, nel nostro caso, è un momento del processo rivoluzionario. Dimensione militante vuol dire FAR POLITICA IN PRIMA PERSONA contro ogni forma di delega (di potere/di impegno/culturale etc).
b. la "struttura chiusa" del serpente rosso ha impedito a molti operai di fondersi concretamente con noi. La cosa non presenta non soltanto un aspetto di difettosa realizzazione tecnica, ma ha un risvolto politico che è sintetizzato in un commento raccolto per le strade: "la manifestazione degli studenti ...".
Rompere la logica del noi/loro.
Fondersi concretamente con le masse, a maggior ragione nelle manifestazioni non creare il "nostro spazio"!
11/12/13. La chiarificazione si collega allo sciopero generale delle pensioni.
14/11. Lo sciopero generale per le pensioni. Il lavoro condotto nei giorni precedenti consente una manifestazione ordinata di circa 7.000 persone. Una nota sul limite della nostra partecipazione: paradossalmente il limite politico della nostra partecipazione è stato proprio quello di aver esternato opinioni politiche sui sindacati che più o meno tutti noi condividevamo. Gridare "sindacati burocratici o/e sindacalisti burocrati" non è giusto in assoluto o sbagliato in assoluto. Come ogni cosa del resto. Si tratta di vedere; quali risultati politici si vogliono ottenere e quali sono le possibilità reali di ottenerli in un certo momento. Nel nostro caso, la mancanza di una precedente campagna di coscienzalizzazione sul tema della burocratizzazione dei sindacati, seguita dalla mancanza nei giorni successivi di una campagna di spiegazione presso la classe operaia (ma non solo) di quali fossero realmente i limiti del conflitto che ci opponeva in misura diversa ai diversi sindacati ha auto come risultato doppiamente negativo quello di aver scatenato un’ondata di proteste delle varie segreterie sindacali sugli organi di stampa locale (iene che non attendevano altro!) senza che fosse resa esplicita la nostra posizione. Il problema del rapporto coi sindacati è tale che non può ormai più lasciato essere nelle nebbie dell’ambiguità.
Il MSA dovrà nei prossimi mesi rendere esplicita questa contraddizione.
Sulla contraddizione tra il M.S. e i sindacati allo sciopero delle pensioni
La contraddizione principale in quel momento era quella che opponeva i 7.000 manifestanti al governo dei padroni. Una contraddizione secondaria era quella che opponeva il MSA ai sindacati (che non sono solo burocratici ...). L’errore teorico sta nell’aver scambiato ad un certo punto della manifestazione una contraddizione secondaria con quella principale. L’errore politico che ne è conseguito è quello di aver diviso il fronte inutilmente in quel momento. Ciò che in quel momento era secondario, in altra sede e in altro momento può diventare e diventa principale. Stiamo attenti allora a non commettere ... l’errore inverso.
Alcune questioni sugli scontri del tardo pomeriggio di fronte ai magazzini UPIM.
Vi è intanto una considerazione generale da premettere e riguarda l’avventurismo. In linea di massima si può dire che è avventurismo l’ostinarsi a combattere quando non si può vincere come ad esempio nei fatti della Stazione il 3/11. Il "prurito rivoluzionario" prende il sopravvento sullo stile di lavoro correttamente rivoluzionario. Se diamo per buona l’analisi che comporta il momento attuale come fase pre-rivoluzionaria, allora è certo che le "grandi imprese", i "giganteschi movimenti delle masse" sono segni che vanno per qualche tempo abbandonati. Al loro posto rimane un lavoro minuto, costante, poco appariscente tra le masse, un continuo esame concreto delle condizioni soggettive ed obiettive in cui si conducono le nostre azioni. Andare avanti alla cieca vuol dire esporsi ai più grossolani insuccessi e soprattutto isolarsi dal popolo. Prendiamo la questione dell’UPIM: la contraddizione che era possibile sfruttare in quel momento era quella che opponeva i pesci piccoli (piccoli commercianti proletarizzati, piccoli proprietari) ai pescecani (grandi magazzini). Una seconda contraddizione era quella che opponeva commesse e proprietari e dirigenti dell’UPIM. Il lunedì precedente vi era già stata – ma promossa dai sindacati – un’agitazione dei lavoratori del commercio che in sede di protesta avevano picchettato l’UPIM impedendogli di aprire. La nostra partecipazione, per quanto richiesta dalle commesse, era stata politicamente inconsistente, mera presenza fisica di alcuni alla "processione". Nonostante ciò (intendiamo dire: nonostante la situazione genericamente positiva) nessun lavoro di coscienzializzazione ha preceduto le azioni (scontri provocati con la polizia) e nessuna chiarificazione è stata da noi condotta nei giorni successivi! Risultato: il campo antiautoritario non si è di fatto esteso e gli scontri hanno auto come unico risultato alcune denunce!
Sulle parole d’ordine: un principio fondamentale che dobbiamo aver presente nelle nostre operazioni d’offesa è il seguente: "disgregare le truppe nemiche", e cioè rompere l’unità fra ufficiali e soldati e unire per quanto è possibile i soldati al popolo. Questi risultati non possono essere ottenuti gridando "polizia fascista", parola d’ordine questa che:
1. aumenta la coesione interna del nemico
2. aumenta la sua aggressività
Il nostro obiettivo è aprire contraddizioni e spiragli, a questo scopo vale gridare:
"Polizia con noi"
"Diritto di sciopero anche ai poliziotti"
" Abbasso gli ufficiali"
" Polizia col popolo contro i padroni"
UN GIORNO DI CRISI
Con il 15 novembre si apre una fase nuova nel processi di sviluppo del campo antiautoritario. Questa fase si caratterizza in particolare per l’emergenza di due elementi negativi:
• il crollo dell’organizzazione provvisoria in seguito all’esaurimento della campagna di massa
il crollo politico di alcuni vecchi quadri.
NOTA: questi elementi non segnano comunque un effettivo regresso quanto piuttosto non consentono all’organizzazione di svilupparsi con l‘intensità ed il ritmo dei giorni precedenti.
La natura essenziale della crisi trova un suo punto d’origine nel repentino cambiamento di rapporti tra movimento e popolo, tra movimento e masse. Dopo la fase offensiva che ha caratterizzato i primi quattordici giorni (campagne di massa) si tende infatti ad attestarsi su posizioni difensive (KU/Comm.).
Una dura presa di coscienza: queste strutture di servizio al popolo esistono solo come forme pensate, ma il "concreto" ancorché sintesi di molteplici determinazioni, non le registra affatto!
Una considerazione sull’organizzazione:
Il processo rivoluzionario, non è un fatto spontaneo o spontaneistico. In quanto processo storicamente determinato – oggi in Europa – esso è concepito come processo di lungo periodo e di massa, e per ciò stesso richiede resistenza ed organizzazione. L’organizzazione è un’arma indispensabile per ogni movimento rivoluzionario. (Lenin/Mao e molti altri ...). Essa è lo strumento che consente di realizzare gli obiettivi tattici e strategici che il movimento si pone.
NOTA: organizzazione come strumento è altro da organizzazione come feticcio! I rivoluzionari usano l’organizzazione. I revisionisti si fanno usare dall’organizzazione" (Apparato = Organizzazione)
La necessità di sviluppare il campo antiautoritario in modo equilibrato in una prospettiva di lotta di lunga durata e di massa, comporta l’assunzione di moduli organizzativi:
• flessibili
offensivo-difensivi (strutture di attacco/ strutture di servizio)
di massa
adeguati all’ambiente metropolitano.
SULLA PRIMA PROPOSTA DI STRUTTURE DI SERVIZIO AL POPOLO (16 Novembre)
Dopo i primi quattordici giorni di crescita ininterrotta del campo antiautoritario ed un giorno di crisi che mette in evidenza come non sia possibile sviluppare l’ipotesi politica (lunga marcia attraverso e contro le istituzioni) senza dargli una corporeità organizzativa più precisa il MSA decide di ristrutturarsi provvisoriamente in una organizzazione così disegnata:
Questa prima traduzione in organizzazione del discorso politico che è venuto maturando negli ultimi mesi (settembre-ottobre: seminari/primi giorni di novembre: campagne di massa) riflette profonde esigenze del MSA, infatti non sembra più possibile espandere il campo senza assestare organizzativamente le forze che sono ora disposte a continuare la lotta. Questa ipotesi di organizzazione è comunque già tuttavia contenuta allo stato di latenza/esigenza nei moduli di movimento che hanno caratterizzato il periodo delle prime campagne di massa. Il "salto di qualità" rispetto all’anno precedente è dovuto al concetto/progetto di Università Critica. La KU acquista una rilevanza /nodalità strategica nel discorso politico del MSA e dalla sua realizzazione-funzionamento dipende l’effettiva possibilità di sviluppo in questo momento del campo antiautoritario.
L’ipotesi del KU in via approssimativa si fonda:
• sulla valutazione politica e di fatto dell’Università come anello più debole della catena istituzionale nella nostra formazione economico-sociale (punto di minima resistenza o valvola fusibile del sistema)
sulla possibilità concreta che il movimento ha di mantenere
e sviluppare il controllo politico delle attività didattiche e di ricerca
che s’intendono svolgere in Facoltà (contenuti/metodologie)
sulla possibilità oggettiva di stabilire una relazione dialettica tra
la zona di difesa e riflessione del movimento e la sua zona di offesa, secondo
il principio: "dalle commissioni ai corsi/ dai corsi alle commissioni"
sulla capacità operativa delle commissioni o strutture di servizio al
popolo di sviluppare una linea di massa per:
1. la restituzione al popolo del sapere sociale di cui è stato espropriato
2. rovesciare sulla città e intraprendere ... la lunga marcia attraverso e contro le istituzioni
• sulla rilevazione del fatto che presso le classi subalterne è andata persa o è in via d’estinzione l’idea stessa di liberazione social-rivoluzionaria.
Alcuni chiarimenti:
Sull’Università come centro d’intelligenza sociale - base politica – o momento di restituzione al popolo del sapere sociale di cui esso è stato espropriato. Non si da appropriazione senza espropriazione del nostro sistema. L’appropriazione dei pochi coincide all’appropriazione dei molti. La plus-cultura di cui noi "beneficiamo" è il corrispettivo dell’idiotizzazione socialmente necessaria per mantenere in piedi queste strutture di merda. Il passaggio dalla critica all’università, alla Università Critica (dalle armi della critica alla critica delle armi) vuol anche dire, stravolgimento di una cosa nel suo contrario – senza troppo ottimismo, ma con quel po’ che basta per essere convinti che nonostante tutto il "caos" è più apparente che reale! Il vecchio centro di riproduzione della società del dominio e dello sfruttamento si organizza per un momento nell’epicentro del terremoto antiautoritario e sprigiona, sovvertendo ogni regola, le nuove forze produttive della liberazione dell’uomo. A proposito del concetto di "Rovesciamento sulla città". Uno slogan: "rovesciare la città nell’Università per rovesciare l’Università nella città". Che vuol dire: "rovesciare i bisogni reali del popolo nell’Università Critica intesa come struttura di servizio al popolo per mettere la scienza al servizio del popolo.
Un altro slogan: "Parlare col popolo e non al disopra del popolo, per far parlare il popolo".
Ci si propone con tutta evidenza sviluppando il lavoro politico in questa prospettiva di ampliare il raggio di influenza politica (e quindi le sue strutture e infrastrutture organizzative) del campo antiautoritario distruggendo – mediante l’attualizzazione di contraddizioni che rendano espliciti al popolo i meccanismi e le istituzioni di manipolazione di sfruttamento e di repressione – gli stereotipi fascisti che il "nemico di classe" fa quotidianamente penetrare nella sua coscienza. L’esplosivo la cui potenza è in grado di far saltare il "pieno cattivo" non l’abbiamo ancora inventato! Ma una cosa ci sembra sempre più sicura: l’ombra della terza internazionale non evoca ormai più immagini di liberazione! Non è una cosa questa che ci riempia di gioia, ma piuttosto ci consiglia di "osar osare" tentando per il sentiero dell’eterodossia di reinventare un senso al termine ormai frusto di "rivoluzione"!
Se alcuni termini in uso nel movimento: Università Rossa/ Università Popolare.
Non è il termine che definisce la situazione, ma la situazione che definisce il termine. Ciò che stiamo facendo lo chiamiamo KU / ma ciò che stiamo facendo è un processo che ogni giorno è diverso dal giorno precedente /Il termine purtroppo è sempre agevole / cercar di capire il processo è forse più importante di una disputa terminologica.
Nota critica: alcuni limiti di questa forma organizzativa che il movimento si è dato, sono emersi già nei giorni immediatamente successivi. Quello che qui ci interessa sottolineare è la mancanza di un effettivo centro di unificazione politica del campo. La KU non può assolvere a questa funzione come si era previsto/.
La commissione coordinamento d’altro canto non può certamente sopperire a questa carenza politica. Per molti giorni ancora non si darà risposta a questo problema. Permane inoltre un elemento di confusione tra gli stessi compagni che organizzano le lotte all’interno dei corsi tra la "KU" e la "Commissione KU" che con semplificazioni indebite vengono molto spesso identificate. Infine, zona di difesa e zona di offesa non riescono in questo primo momento a legarsi. Tutto il movimento si muove pesantemente ed emergono all’interno delle varie commissioni tendenze regressive verso i moduli organizzativi di "potere studentesco". E’ in questo momento di "debolezza" che si inserisce una prima campagna repressiva concertata tra la stampa e la magistratura e che porta come nelle dissolvenze cinematografiche alla momentanea disintegrazione del MSA.
LA CAVALCATA DEI 101 giorni 17/18/19
Le attività esterne che il MSA ha sviluppato nei primi 14 giorni del mese, sono prese ad oggetto dalle forze repressive e manipolative per sviluppare un’intensa ed organizzata campagna di intimidazione presso gli studenti. Piovono denunce, ma si diffondono "voci" di probabili ed imminenti arresti. Il "panico è generale", l’organizzazione non regge: tutto viene travolto dall’armata brancaleone in fuga! Per una notte e un giorno, il movimento si mimetizza così bene che non è più possibile rintracciare neanche i compagni assolutamente estranei alle azioni che hanno provocato le denunce. Una considerazione: L’autoesaltazione e l’ingigantimento mitico del proprio operato politico porta molti compagni militanti ad autoprodursi nella immaginazione quali eroi, figure temibili e perciò stesso perseguite dalle forze dell’ordine costituito (la polizia che poi è sempre il papà). La costruzione mitica dell’eroe ovviamente compensatoria di una molteplicità di frustrazioni consente lo svilupparsi di una struttura giustificatoria e compensativa della fuga reale, che altrimenti non troverebbe appigli sufficienti nel processo concretamente vissuto. In altri termini: il menscevico non sfrattato torna alla carica comprando un biglietto per il primo treno!
Una nota: L’Uomo Nuovo, il rivoluzionario del XXI secolo sono frutti che devono ancora maturare sull’albero genealogico della sinistra rivoluzionaria europea.
Molti compagni però, non convinti di ciò e fuori dal MSA, si ostinano nell’illusione di potere stravolgere la putrescenza del revisionismo nel suo contrario con mere terapie di superficie, a voler recuperare suggestioni bolsceviche "all’epoca della grande rivoluzione culturale proletaria". Questi compagni si logorano per tradurre l’organizzazione in politica (per "politica" intendiamo: "lotta di classe") ma il risultato è che la "politica" non si lascia tradurre in quei termini d’organizzazione! Essi pensano di poter costringere la spontaneità della lotta di classe negli schemi oggi più che mai astratti di un intellettualistico bolscevismo. Altri compagni, all’interno del MSA, pur convinti che solo nella misura in cui lo scontro con il sistema diverrà più aspro e meno occasionale, si accresceranno le possibilità di rendere rivoluzionari i "rivoluzionari" tendono a sottovalutare, commettendo l’errore opposto, nel rapporto spontaneità-organizzazione proprio il momento dell’organizzazione. Nessuno ci venga a decantare una maleintesa mitologica della spontaneità. La più alta forma di attività spontanea è la sua forma organizzata" (R.D.).
L’opporsi a un cattivo leninismo rifiutando l’organizzazione è un po’ come tagliarsi i coglioni per far dispetto alla moglie.
Rilancio dell’organizzazione giorni 20/21/22/23
L’organizzazione della zona di riflessione e di difesa (KU) è uno dei momenti più delicati che il MSA ha di fronte nel lavoro di organizzazione del campo antiautoritario. Il maggior vincolo in questo primo periodo, sta nel fatto che il progetto di KU è chiaro a pochissime persone, mentre la sua realizzazione richiede la partecipazione attiva di una gran massa di compagni. Anche tra i compagni più impegnati, a causa di una mancata ed approfondita discussione sull’organizzazione complessiva del campo e della sua dinamica interna ed esterna, si diffondono alcune convinzioni errate. E’ errato per esempio mettere in relazione la KU unicamente con l’università così come "normalmente" chi la ha fatta vorrebbe farla funzionare. In questo modo non si coglie la nodalità della KU in rapporto al lavoro esterno, al rovesciamento sulla città, alla lunga marcia attraverso e contro le istituzioni e cioè in rapporto alle esigenze dell’avamposto offensivo del campo: le commissioni, i gruppi di base. Così, questi ultimi si muovono "autonomamente" e nessuna forma di coordinamento è più possibile tra Istituto e Istituto. Ogni commissione diviene un fronte senza retroterra e la KU isolata perde ogni significato sul piano dell’intervento politico. Un altro errore che si palesa dopo i primi giorni di esperimento e quello che fanno alcuni compagni quando tendono a proporre soluzioni particolari del corso al generale del disegno/progetto politico complessivo del MSA. La KU va vista infatti anche come risposta di lungo periodo a una serie di interrogativi (ipotesi) che il movimento si pone. I tempi della rivoluzione occidentale, a nostro avviso, non sono solo quelli immediati delle esigenze delle singole commissioni di lavoro ma sono anche quelli "mediati" necessariamente per far luce su alcune questioni di teoria sempre più necessarie per fare qualche passo avanti. L’Università Critica si configura così almeno tendenzialmente come un momento organizzato del processo di lotta-critica-trasformazione ed il suo funzionamento è consegnato alla effettiva militanza dei compagni.
Nota sullo stile di lavoro:
Abbiamo iniziato dicendo: "Una carogna si aggira per l’Europa". Intendevamo parlare del revisionismo.
Ma ... " non si può chiudere il suo cadavere in una bara e nasconderlo in una tomba? Questo cadavere si decompone in mezzo a noi, imputridisce e si contamina" (Lenin).
Prima la borghesia, poi per quasi tutti noi il revisionismo, ci hanno strutturalmente predisposti a separare la teoria dalla pratica. La scissione tra intellettuale e militante è il prodotto di 15/20 anni di manipolazione. Rivoluzionare noi stessi nello stile di lavoro è un processo che non si può innescare senza una pratica costante a livello del movimento dell’autocritica. La catena è:
"pratica-critica-autocritica-rettifica"
Uno dei momenti più deboli dell’attività del MSA in questo primo mese è stato appunto la sua incapacità di riflessione – autocritica, una delle conseguenze politiche: la mancanza di una effettiva campagna di rettifica dello stile di lavoro non adeguato.
I fatti di Avola e noi
Un fatto non previsto esterno ad Avola: i mitra della polizia falciano i braccianti in sciopero: due morti, tre feriti. Il movimento reagisce indicendo un’assemblea generale.
Attenzione: l’assemblea generale, "ignorando" completamente il fatto che il campo già dispone di una sia pur embrionale struttura organizzativa, propone agli studenti presenti una struttura di risposta alla borghesia di questo tipo:
Commissioni
Fabbriche
Medi
Città
Corteo Università
Stampa
Coordinamento
E’ il trionfo delle tendenze errate già presenti nel movimento. Quello che fino a poche ore prima era un carente funzionamento della coordinazione politica tra le strutture di difesa e riflessione e quelle di offesa ora diventa una vera e propria scissione fra i due momenti. La commissione KU non è neppure convocata. L’ombra di "Potere Studentesco" avvolge il movimento. (Nota: la struttura proposta è appunto quella in altra parte criticata di "Potere Studentesco"). Si attraversa una vera e propria fase regressiva in cui risultati negativi non tarderanno a farsi sentire.
Nota: cause della regressione: due tesi:
prima: la causa della regressione è da addebitarsi al "vuoto politico" del movimento.
R.: non di vuoto politico dobbiamo parlare – anche perché "vuoto politico" non è mai dato – ma di "Pieno cattivo"! Pieno cattivo vuol dire che il Movimento registra al suo interno in forma dominante contraddizioni fra quadri e militanti, tra quadri/militanti ed aderenti. Vuol dire inoltre, che il Movimento non è più in grado di unirsi saldamente al popolo.
Lo "spirito di gruppo", il "militarismo", l’avventurismo prendono il sopravvento sulla linea strategica generale del movimento: la linea di massa.
Tre fatti tra i fatti sono rilevatori di quanto stiamo dicendo:
• Attacco ai sindacati: al raduno di piazza Duomo, la voce di un compagno, non è stata la voce del Movimento. La commissione fabbriche e più in generale il movimento sono stati posti di fronte al "fattaccio", un fatto irriflessivo ed esterno alla logica stessa del Movimento. Un "fatto" che ha costretto nei giorni successivi il MSA al "recupero". Una critica non determinata, non è una critica rivoluzionaria. L’attacco ai sindacati nella sua assolutezza è stato, cioè, più che politico, metafisico e i risultati che esso ha ottenuto sono stati quelli di "staccarci dal popolo" invece che unirci più saldamente ad esso. Saltare tutte le mediazioni ha significato, in questo caso, dire cose pur giuste in assoluto in modo errato. E questo è un errore politico che ripetiamo! (vedi sciopero generale pensioni).
• Corteo-processione: la mancanza di chiarezza sugli obiettivi che s’intendono perseguire fa sì che la testa del corteo non perseguiva l’unico obiettivo ragionevole a quel punto (e cioè condurre gli operai in Facoltà per iniziare un discorso di chiarificazione sull’accaduto e sui sindacati oltre che per tradurre in politica l’unico momento felice di una giornata per altro fallimentare). Una lunga camminata senza meta è la migliore espressione della propria impotenza politica!
Volantini: durante la manifestazione vengono diffusi volantini
sul "comunismo dei consigli" firmati "Movimento Studentesco"!
Si cade dalle nuvole. Nessuna commissione e nessuna assemblea ha mai discusso
cose del genere. L’arroganza minoritaria cerca il suo spazio al riparo
del Movimento! Il MSA rischia di diventare il movimento senza qualità.
seconda: La causa della regressione è da addebitarsi alla non comprensione delle linee di massa da parte di alcuni "vecchi quadri" che già nei giorni precedenti (dal 14 in poi) hanno manifestato il loro "disorientamento" non riuscendo più ad impostare alcuna uscita di massa del Movimento. Detto in altri termini, questo vuol dire che a livello politico non vi era stata, da parte di questi quadri, una effettiva comprensione della linea strategica generale (lotta di lungo periodo, - linea di massa, lunga marcia ...) e delle strutture organizzative embrionali che ci si era dati per realizzarlo. L’uscita per i fatti di Avola dunque – provocata da uno stimolo esterno – costringendo il Movimento (nella prassi frazionato anche per una malintesa ed ultrademocraticistica interpretazione a livello di commissione del concetto di "autonomizzazione politica") a mettere sul banco le sue carte, ne ha evidenziato forzatamente le tendenze errate che abbiamo prima succintamente registrato. Queste tendenze vengono ingigantite particolarmente poi dai tentativi soggettivi di mascherare la scala buca. Ma questo è positivo: ci costringe tutti ad una ridiscussione globale su tutto il movimento.
Sintesi di due assemblee:
Dopo Avola il MSA non può più dilazionare una radicale campagna di rettifica del proprio stile di lavoro. Una voce in assemblea parla per tutti: "Vogliamo una seria autocritica"!
Siamo pronti a farla:
ce n’est qu’un debout continuons le combat
Frammenti di carattere generale
1. La schizzofrenia (dentro/fuori teoria/prassi) di "Potere Studentesco" e l’alternativa della "K.U.".
L’elaborazione teorica dei mesi di settembre/ottobre e la proposta pratica di novembre dell’Università Critica (KU) è sorta in modo quasi necessario dall’autocratica estiva sulla "schizofrenia" politica che aveva precedentemente caratterizzato il movimento (quadri "dentro" la scuola/elaborazione teorica, quadri "fuori" della scuola/attivismo spontaneistico). Lo stravolgimento dell’università in KU appare come necessario proprio per "saldare" l’attività del movimento e dei quadri.
A. La "scienza" politicizzata" realizzabile entro il KU avrebbe permesso la distruzione della dicotomia precedente (lavoro politico/lavoro culturale).
B. La dimensione "critico-pratica" realizzabile nella KU (rovesciamento della città nella università – rovesciamento dell’università sulla città) avrebbe permesso di distruggere la dicotomia preesistente (dimensione critica nella scuola – dimensione pratica fuori della scuola).
C. La politica "offensiva" (campagne di massa/ lotta vincente)realizzabile attraverso la nuova organizzazione complessiva del movimento avrebbe permesso la distruzione della precedente politica "difensiva" (lotta per la lotta/spontaneismo/codismo).
L’università borghese doveva essere presa e distrutta all’interno. La sua funzione doveva risultarne rovesciata (produzione di studenti-merci/produzione di studenti antiautoritari) (produzione di sapere tecno-burocratico/produzione di sapere politico). L’università, stravolta in KU, doveva essere "messa al servizio del popolo". Il MSA avrebbe funzionato anche come veicolo di RESTITUZIONE DEL SAPERE SOCIALE al popolo, che di esso era stato espropriato attraverso i meccanismi classisti di selezione. L’istituto di via Verdi non doveva dunque più essere un luogo "noioso" (in mano agli altri: potere accademico/potere amministrativo) doveva andare ogni tanto a "fare azioni esemplari" (cioè: occupazioni, go-in, teach-in, sit-in, boicottaggio esami e corsi ...) ma anzi, un luogo PERMANENTE di attività critico-pratica sovversiva di tutti i compagni del movimento. Tutta l’attività didattica doveva essere stravolta. Lo studio - che prima il quadro concepiva come male necessario, pedagogia da pagare per fare "altro" – doveva essere funzionalizzato QUANTO PIU’ POSSIBILE all’unica attività dotata di senso (la politica), diventando – quindi – momento di riflessione teorica sul "reale da rovesciare".
... Raggiungere tale obiettivo sembrava allora "pazzesco". Si rinunciava i tal modo alla lotta frontale col professore effettuata nei termini di Potere Studentesco (lasciarlo fa per poi contestarlo, politicizzando così i compagni), sostituendolo con una più difficile opera di "controllo politico" del corso, in cui il professore doveva essere necessariamente coinvolto ... ecc... era insomma un "capovolgimento (apparente) di strategia" in cui si rischiava grosso, trovando tutti i "vecchi compagni" impreparati a tale "nuovo corso" (di fatti molte lacune, imprecisioni, incomprensioni, si sono manifestate e si manifestano tuttora entro il MSA ed entro la KU). Sembrava "pazzesco" anche perché "irrealizzabile" (non ci starà nessuno, i professori ci manderanno affanculo ...). In termini almeno parziali, e senza cancellare gli enormi difetti del lavoro fatto e di quello in corso, possiamo però dire: siamo stati realisti, abbiamo chiesto l’impossibile e adesso si è in parte realizzato. (sic!). (Novembre e dicembre: due mesi di KU. Appare un inizio, molto caos, ma possiamo dire anche qui Eppur si muove. Restano altri mesi, ad gennaio in poi. Un tempo da trasformare in occasione di perfezionamento, sulla base dell’esperienza fatta ormai da tutti).
In sintesi, la KU, se funzionante (anche in modo parziale), doveva impedire il riprodursi della schizofrenia nel MSA. Innanzitutto, impedendo che l’università venisse intesa in modo STRUMENTALE (su questo c’è ancora molta confusione, specie tra i "vecchi"). Cioè, un vivaio dove andare ogni tanto a buttare la rete per cavarci fuori quadri da far "lavorare fuori" (la dove si fa il "vero" lavoro politico). Bene. Il superamento della visione strumentale della scuola vista invece come territorio politico diretto e centrale (sottolineato: CENTRALE) di formazione politica e di scontro politico è stata in parte realizzata. (In parte, perché alcuni quadri insistono nella visione strumentale, anche se rivestita di nuove parole e concionata da nuovi slogan). Per tutta l’estate si è detto: "Basta romperci le palle nelle aule e negli esami su cose idiote. Le cose che ci interessano (universali/politiche/al servizio del popolo e della lotta) devono essere fatte là dentro, e non fuori, a casa dei compagni, di notte, nei ritagli di tempo". (Lo studio al servizio del processo rivoluzionario non deve essere fatto "fuori" e "parallelamente" allo studio obbligatorio-reazionario. Usiamo la nostra forza politica per distruggere le ATTIVITA’ PARALLELE, studio buono volontario/studio cattivo obbligatorio, e creare una attività unica, la SCIENZA POLITICIZZATA entro e fuori dell’università) ... Queste le cose dell’estate, da cui è venuta fuori l’esigenza dell’attuale KU. (Le ricordiamo, queste cose, perché pare che alcuni quadri le abbiamo dimenticate, e proprio quelli che hanno lavorato d’estate). Se quello che è venuto fuori non risponde ancora pienamente ai nostri progetti, bene, vuol dire che c’è ancora molto da fare. Ma l’ipotesi strategica è centrata e, fondamentalmente, anche riuscita. L’Istituto di Via Verdi non esaurisce certo le esigenze del movimento (ma ne è stato plasmato), ma neppure, come succedeva negli anni scorsi, le rigetta completamente. Certo, la "schizofrenia" non è scomparsa. Le contraddizioni si riproducono a diversi livelli, e si ripercuotono oggi in forma diversa. I compagni sembrano tanti "dimezzati" tagliati in due tra l’attività di commissioni e l’attività di KU. Gli "spazi privati" si riducono e molti entrano in crisi , di modo che il lavoro ripiomba, cresciuto, su di un numero ristretto di compagni. Alcuni si isolano nella sola KU. Altri ne vivono fuori, toccandola solo marginalmente. E la lunga marcia sembra continuamente smorzarsi: crescono i settori di intervento "esterno" e lo spazio "interno" si riduce e scade ad intellettualismo. Sorgono continuamente le concezioni strumentali della scuola (il modo più facile e semplificato di risolvere il problema): si vorrebbero i corsi funzionalizzati in maniera DIRETTA alle attività IMMEDIATE dei settori di intervento. Lo stesso avviene per il ricerca. La "teoria" da elaborare collettivamente non trova così più luogo ove esercitarsi. E si riduce la teoria a "ripensamento" su ciò che si è appena fatto – progettazione su ciò che c’è immediatamente da fare". (Il che non è evidentemente "teoria"):
Il MSA deve dibattere politicamente questo "momento critico" entro le commissioni di lavoro e in Assemblea di commissioni. Il mese di gennaio è una grossa occasione per sviluppare "creatività" rivoluzionaria. Ci sono "spazi vuoti" durante le giornate che è possibile utilizzare ... Occorre farci "passar dentro" le esigenze radicali che il MSA si inventa crescendo politicamente, confrontandosi colla "pratica sociale". (A proposito, contro interpretazioni riduzionistiche del concetto di pratica sociale, sarà bene ricordare che il compagno Mao lo definisce in questo modo: lotta di classe, lotta per la produzione, sperimentazione scientifica. Tutte tre le cose, tutte tre e non una sola. L’insieme complesso e dialettico delle tre è la pratica sociale).
NOTA LAMPO: Alcuni compagni parlano già del MSA come movimento popolare e non solo più studentesco. Non permettiamo ai nostri desideri di stravolgere le nostre analisi. Il desiderio è parte necessaria e insopprimibile della politica rivoluzionaria. Ma ciò che possiamo diventare non è già ciò che siamo, ancora. Allo stadio attuale la KU e il MSA rimangono i centri teorici e pratici della nostra attenzione e della nostra attività/ La nostra espansione non ha ancora mutato la nostra natura. LUNGA MARCIA, anche se URGENTE.
1. Sui nostri rapporti sul revisionismo e sul riformismo (un aspetto determinato)
Molte delle cose che diciamo sono riprese dai revisionisti a livello di slogan (modificate quindi, e profondamente nei loro contenuti politici) e come tali "accettati. Accade – oggi – soprattutto, per certi slogan dutschkiani (come "lunga marcia" etc ...), che si ritrovano ad abitare sulle labbra di Occhetto e magari anche di Longo Luigi. E finiscono in prima pagina dell’Unità, con tanto di salamelecco approvativo. C’è una strumentalizzazione del PCI in questo senso molto accentuata. Il PSIUP, per parte sua, teorizza l’AUTONOMIA del movimento di massa (e anche di quello studentesco), e concede molto ad alcune formulazioni ereticali (del MS stesso) – (La lusinga dell’insalata ... russa). Ecco, ciò che è stato strappato colla lotta (l’autonomia politica dei movimenti di massa, autonomia dal revisionismo) elaborato dentro la lotta (necessità della lunga marcia, lotta alle istituzioni) oggi, dopo il maggio francese e la sua appendice cecoslovacca (cose per altro molto differenti), il revisionismo lo "riconosce". La benedizione del figlio adulterino è necessaria per una rimasticatura neogramsciana dell’egemonia del partito. L’egemonia rimangerà le autonomie: non distruggendole (visto che ci ha tentato e che ci è andata male) ma accettandole e sussumendole in un quadro generale (il partito revisionista, la strategia revisionista) di lunga portata. La spontaneità disorganizzata di tali "movimenti di massa" è ciò che più preme-oggi al MO revisionista. Essa può così essere riassunta ed orientata dall’organizzazione esistente (partito e sindacato). Bene. (Occorrerebbe un discorso molto più complesso ed articolato, che non facciamo qui, su come e perché i revisionisti si muovono in questo modo: basta l’indicazione di massima/ Non si tratta di "aver paura" se Occhetto e Longo ci ripetono le righe (e ce ne cambiano il senso).Si tratta di continuare sulla strada rafforzando quantitativamente e qualitativamente il movimento, nella sua dimensione extra-parlamentare e anti-riformista. La chiarificazione non sta nelle nostre denunce verbali o in vibrati dichiarazioni contro il "plagio". (Non solo, eventualmente). Occorrerà passare anche ad "azioni dirette" contro le istituzioni revisioniste. (In primo luogo quelle locali). Bisognerà che nei prossimi mesi si sviluppi un lungo dibattito – entro il MSA – sulla natura del revisionismo moderno. E se ne chiarifichino le funzioni. A quel punto la chiarificazione potrà lasciare il posto alla azione esplicita contro il revisionismo e le sue istituzioni.
(NOTA/ il 1969 è – oltre tutto – l’anno della NATO e dei CONTRATTI DI LAVORO. Due temi di fondo su cui si muove anche il revisionismo. Da gennaio in poi sarà opportuno organizzare il MSA in funzione anche di questi due temi, superando il limite di sede, sviluppando contatti e proposte comuni con altre sedi universitarie, sia nazionali che europee) (Su questi temi il gioco è ampio e grosso. Non possiamo permetterci di cadere nella politica del "GIORNO PER GIORNO", nella politichetta miope che scruta l’albero e non vede la foresta. Senza interrompere il "lavoro quotidiano" bisognerà che troviamo momenti collettivi di "ampio respiro" in cui cominciare ad approfondire i nostri piani di attacco).
1. (ALTRA NOTA, che non c’entra molto con quanto sopra: LA SEDE DEL MOVIMENTO. E’ costata l’ira d’Iddio, sia come soldi, sia come fatica di pochissimi compagni che ci si sono impegnati. A partire da gennaio è pienamente funzionante e disponibile. Da parte, come ovvio, di tutti, anche di chi non ci ha mai messo una goccia di sudore né uno striminzito pensierino creativo. E’ ricchezza sociale comune, possiamo farla diventare ricchezza sociale comunista per il MSA e per il popolo. Dipende solo dalla nostra coscienza (falsa) e dalla nostra volontà (pietrificata) entrambe nella loro accezione politica.
L’uso dell’oggetto definisce l’uomo. L’individuo cresce usando forze produttive. La sede è FORZA PRODUTTIVA. Può diventare un punto archimedeo per "sollevare il mondo" e "rovesciare lo studente in antiautoritario VEDIAMO ...).
BIBLIOGRAFIA (sommaria, parziale, settaria ed un po’ nevrotica).
Sul movimento studentesco.
3 volumi iniziali. Quello di Laterza (Documenti della rivolta universitaria) e i due di Marsilio (Università: ipotesi rivoluzionaria) (Contro la scuola di classe) Esprimono lo stadio iniziale del movimento. Vanno bene per capire come eravamo e da dove siamo venuti. Ci dicono poco o niente su come siamo ora. Inevitabile, dato il livello teorico-pratico di allora (aprile 67). Non vale la pena leggere tutto. Trento e Torino (Palazzo Campana) sufficit. Se c’è tempo, non fa male "Lettera ad una professoressa" (Barbiana) /Da quella mammella hanno succhiato latte un po’ tutti. Viene prima dei tre volumi detti sopra. Inoltre è scritto meglio ed è meno presuntuoso.
Problemi del socialismo n. 28-29. Dedicato tutto al movimento. Molte cose noiose, altre molto stimolanti. Tra queste: Jem Rowtree/Bobbio-Viale/Rieser/Bachaus/Trulli-Felici.
AAVV "La ribellione degli studenti: Feltrinelli. Tutto e bene.
AAVV "Kritische universitat" Marsilio. (Fondamentale la "scienza politicizzata", ma il resto non è da buttare. Leggendolo tutto si scopre così che, con la nostra, quella ha poco a che fare, ma andrà molto in comune. Non sempre dietro l’etichetta tedesca i compagni di Trento ci hanno messo roba tedesca, anzi. Vediamo di non confondere.
Inoltre "Quaderni piacentini" dal n. 34 in poi (tutti gli ultimi numeri). E’ indispensabile trovarli o farseli prestare. C’è molta roba da masticare e da digerire, anche se non sempre il "pasto" è accettabile. Nota in particolare le robe di E. Masi, C. Donolo. G. Backhaus, E. Fachinelli, le interviste a Dutschke e a Newton.
Una collana da saccheggiare è i "Dissensi" dell’editore De Donato. In particolare: "Dutschke a Praga" ma anche soprattutto L. Magri "Considerazioni sui fatti di maggio". (Inoltre Debord e Dubernam. Oppure Habernas e Rossanda).Importante di DE DONATO, in altra collana, "Gli studenti e la nuova sinistra in America" (Carmichael, ottimo. Ma anche qualche bianco).
Sul maggio francese. In italiano c’è L. Magri (vedi sopra), ma anche il Saggiatore "La comune di Parigi del maggio 68 (il saggio di Coudray). Marsilio con "I muri di Parigi" (stupendo a pochi soldi). E anche "Manifesti della rivolta di maggio" Ed. Riuniti.
Il meglio è in francese. Soprattutto "Partisans" n. 42 (rivista col numero speciale sul maggio. Documentazione ricchissima. Articoli molto buoni). E "C’è n’est qu’un débout continuons le combat" Maspero (del 22 marzo).
Cecoslovacchia. Vedi su "Nuovo Impegno" n. 12-13 (articolo di Pio Baldelli).Una cosa interessante è R. Richta "La via cecoslovacca") ANTGELI (indicato da Baldelli).
Samona e Savelli sono usciti con un libricino utile "Cuba URSS Cina Jugoslavia sull’invasione della Cecoslovacchia" (700 lire da spendere). Sul numero di Nuovo Impegno Ciabatti riprende e chiarifica l’intervento di Fidel (vedi).
VIETNAM: in giro c’è ormai abbastanza, sia di HO CI MINH sia di Giap. Bisogna sentire anche loro e magari prima del resto, cioè di quelli che ci scrivono "sopra". In questo campo il meglio sembra essere Chesneaux ‘perché il Vietnam resiste’ Einaudi Politecnico (specie il paragrafo sulla megamacchina). Sempre di Einaudi a cura di Collotti Pischel, il volume vietnamica "Il Vietnam vincerà".
NOTA: (MS, maggio francese, Cecoslovacchia, Vietnam: i 4 "fatti del ’68. C’è mare di roba scritta, e quella indicata è minimale. E anche un po’ settaria, per fortuna. Di quello che resta fuori vorremmo indicare poco, ma almeno il necessario. Ad es., abbastanza del necessario lo si ritrova in una rivista la "Monthley Revue". Dandosi un po’ da fare c’è modo di trovare i numeri vecchi ed è quasi tutta da leggere).
Chiaro che è restata fuori la "rivoluzione culturale proletaria cinese", che pure è parte necessaria del "quadro" e anzi determinante. Ma una bibliografia è cosa da pazzi su questo tema. Meglio prendersi il libretto rosso e leggerlo attentamente.
+ Lin Piao "Viva la vittoriosa guerra popolare" ed. Oriente (ne parliamo tutti, ma pochi ci hanno messo su le mani. Peccato!).
II Questa seconda parte della bibliografia indica le robe di questa estate che non ci sono nella prima parte. Metterle già così fa un po’ ridere. Ma è meglio concentrarsi su "Manoscritti Economico-filosofici" e "l’ideologia tedesca". "Prefazione" alla "Critica della economia politica". E anche "l’introduzione" allo stesso testo. Inoltre "La critica al programma di Gotha".(Del resto Marx lo si fa in sociologia I, e ci si potrà rifare a quello che ne viene fuori, quando sarà pubblicato. Per il Capitale è un discorso a parte) (Grundrisse!!!).
Lenin. (idem come sopra). Ma almeno questo: "Che fare" e "Stato e rivoluzione" (per favore).
Un buon modo di leggere Lenin non so qual’è ma se ti rimanda anche a leggere altro, è bene cercarsi il Carr (tre volumi finora, sulla rivoluzione russa e il suo seguito, pubblicati da Einaudi). Di storia italiana l’unica roba potabile è DEL CARRIA "Proletari senza rivoluzione" (2 volumi a 3000 lire per le ed. Oriente). (La prefazione di questo testo è molto importante che la si studi a fondo. Il 2° volume è il più urgente. E comunque se si vuol leggere un po’ di storia italiana è bene leggere questo e non altro).
C’è poi quello che sembra essere diventato "il testo" del MSA (ma è un modo sbagliato di porsi): Lukacs "storia e coscienza di classe" ed. Sugar (l’ultima parte è da leccarsi i "baffi" teorici).
Engels: "L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato" (come vengono fuori storicamente e concretamente certe ‘istituzioni’). Messo dopo Lukacs fà un certo effetto. Ma è in funzione della lotta contro le istituzioni attraverso la rottura della falsa coscienza.
Fondamentale MAO. (in particolare "sulla pratica" "sulla contraddizione" "sulla giusta risoluzione delle contraddizioni" "sulla strategia della guerra rivoluzionaria").
Per un linguaggio nuovo: Malcom X ("autobiografia" "ultimi scritti" ed. Einaudi).
Sulla violenza Fannon: "i dannati della terra" Einaudi.
Sull’uomo nuovo Guevara: "il socialismo e l’uomo a Cuba" (e tra le righe il Diario)
di Marcuse (mai abbastanza utile e maledetto) 2 cose necessarie "la fine dell’utopia" e "Critica della tolleranza" (ci sono i suoi interventi e anche quelli di altri. Un confronto necessario).
Sulla sessualità rivoluzionaria: (ma bisogna ricostruire tutto)
W. Reich "La rivoluzione sessuale" Feltrinelli
Marcuse "Eros e civiltà" Einaudi
Fromm "Fuga dalla libertà" Comunità
"Quaderni Piacentini" (l’intervista a Huey Newton)
Le Roy Jones "Il popolo del blues" Einaudi
Norman Borwn "La vita contro la morte" I Gabbiani Mondadori
A parte "Quaderni rossi" (il 4° e 5° in particolare. n valore eccezionale ha l’articolo di Raniero Panzieri "Plusvalore e pianificazione" sul 4°) (sul 5° c’è materiale sociologico sulla "nuova classe operaia": organizzato da B. Beccalli) (sul n. 4). D. Lanzardo svolge un discorso schematico ma provocatorio circa le differenze tra proto capitalismo e tardo capitalismo). Oltre i Quaderni due testi (il secondo integra il primo anche se non basta) di "lavoro":
1. AAVV "Dove va il capitalismo" Comunità specie Baran, Sweezy, Bettelheim)*
2. Baran & Sweezy "Il capitale monopolistico" Einaudi
In ultimo un contributo sulla Antropologia dell’uomo della metropoli:
Adorno & Horkheimer: "Dialettica dell’illuminismo" Einaudi
Riesman: "La folla solitaria" Il Mulino
Melanie Klein ed altri: "Nuove vie della psicanalisi" Saggiat.
Marcuse: "Critica della società repressiva" Feltrinelli
Wright Mills: "Colletti bianchi" Einaudi
Backhaus: "Springer, la manipolazione delle masse" Einaudi.
DAL MAGGIO FRANCESE ALL’ UNIVERSITA’ CRITICA
Le ipotesi politiche formulate in questo documento vogliono essere un apporto teorico per una fondazione in senso marxiano del concetto di Università Critica, un apporto presentato in forma di stimolazioni, ipotesi e provocazioni presentate ai compagni per una ulteriore e più approfondita analisi del problema. In tutte le ipotesi qui formulate è tenuto come punto di riferimento e di verifica il Maggio francese. Punto di riferimento in quanto si ritiene che questo episodio storico di lotta di classe debba rappresentare per noi quello che la Comune di Parigi del 1871 ha rappresentato per Marx e Lenin. Campo di verifica in quanto materiale finalmente fornitoci dalla storia su cui verificare ipotesi tattiche e strategiche elaborate dai movimenti rivoluzionari negli ultimi anni. A nostro avviso infatti queste due esplosioni storiche del processo rivoluzionario hanno una fondamentale caratteristica politica comune che conferisce loro una pregnanza teorica unica: ambedue i fatti rappresentano la negazione dialettica del patrimonio teorico-organizzativo precedente del Movimento Rivoluzionario, e la proposizione, seppur minimalmente abbozzata e profondamente ambigua, di una nuova strategia rivoluzionaria. A nostro avviso infatti il significato più profondo dei fatti del Maggio ’68 in Francia sta nell’aver dimostrato come sia forse possibile la rivoluzione in Occidente, ma come certamente non sia attuabile applicando quelli che sono gli strumenti teorico-organizzativi di cui il Movimento Rivoluzionario dispone oggi. Al Movimento Rivoluzionario occidentale si pone perciò storicamente con grande urgenza il problema di una rielaborazione globale del suo apparato teorico-organizzativo che è stato messo completamente in crisi dall’esperienza rivoluzionaria del Maggio Francese. Problema che a nostro avviso va risolto fondamentalmente in due modi, ossia con un lavoro di ricerca scientifica e di invenzione politica. Visto da ambedue queste prospettive l’analisi del Maggio Francese assume per il Movimento Rivoluzionario occidentale una rilevanza fondamentale. Con questa precisa intenzione politica ci sembra dunque opportuno cercare di formulare alcune ipotesi ed alcune provocazioni che esso ci propone.
1. Attualità della Rivoluzione. Che la Rivoluzione sia in questa nostra società un bisogno reale ed urgente torna ad essere ormai una convinzione diffusa. In molti strati sociali affiora, per le vie più diverse, la consapevolezza che il sistema in cui viviamo è un sistema sbagliato, e che proprio il suo sviluppo ne rende più acute le contraddizioni, più vistosa la disumanità. Una società caratterizzata dalla ricchezza delle conoscenze scientifiche e delle risorse tecniche, anziché condurre alla liberazione dell’uomo, al suo dominio sul mondo, ne sancisce la definitiva riduzione a strumento produttivo. Il lavoro che, emancipato dalla lotta elementare contro la natura potrebbe divenire finalmente libera e creativa espressione della personalità, diventa invece sempre più, nelle forme e nei fini, estraniato. Il consumo che, liberato dalla lotta per la sussistenza, potrebbe superare il limite della passività, della semplice appropriazione delle cose, per divenire a sua volta arricchimento ed espressione dell’individuo e della collettività, degrada invece a pura funzione produttiva e quindi ad ozio standardizzato, possesso, dissipazione. L’istruzione si eleva e i mezzi di comunicazione fanno cadere separazioni e colmano distanze, ma solo per rendere più efficace una attività priva di senso o per affermare la irrazionalità di nuovi miti. Le istituzioni politiche paiono divenire più stabili, le regole della democrazia formule più sicure, ma il potere reale si concentra in un minor numero di mani, la repressione agisce con più sottili ed efficaci strumenti fino nel fondo della coscienza individuale, e la violenza si rinnova verso chiunque sfugga ai meccanismi di integrazione. Il Movimento del Maggio segna un nuovo, decisivo passo in avanti di tale consapevolezza e, soprattutto, per la prima volta, dimostra che essa sta diventando, o almeno può diventare, volontà di lotta, azione politica, impegno sociale.
2. Impossibilità di riprendere oggi in occidente il discorso rivoluzionario là dove nel 1923 era stato interrotto.
a. la società a capitalismo maturo non presenta più lo schema semplificato di una polarizzazione sociale identificabile in capitalisti da un lato e proletari dall’altro, in crescente antagonismo tra loro e sempre più consapevoli di tale antagonismo, bensì presenta una stratificazione sociale estremamente complessa in cui fondamentalmente sono presenti forti gruppi che una trasformazione socialista colpirebbe negli interessi immediati, e un proletariato estremamente stratificato secondo diverse condizioni di vita, di lavoro e di cultura. Da una corretta analisi di questi fenomeni estremamente complessi di stratificazione sociale dipendono problemi fondamentali per un esito positivo del processo rivoluzionario, quali ad esempio quello delle alleanze tattiche e strategiche e quello di un intervento politico differenziato sui vari strati. Come avanguardia del Movimento del Maggio francese assieme ai giovani operai troviamo intellettuali e studenti e tecnici a livello di massa, e ciò rappresenta un fatto completamente nuovo nella storia dei processi rivoluzionari in occidente.
b. Nella società a capitalismo maturo si è sviluppata l’impossibilità di fondare l’alternativa rivoluzionaria su una spontanea evoluzione delle cose fino all’esplosione di una catastrofica crisi e grazie alla maturazione delle forze produttive. Da un lato infatti lo spreco di ricchezza sociale, il parassitismo, la irrazionalità della società tardo capitalistica maturano anziché soffocarne la dinamica produttiva a cui sono in gran parte funzionali ("irrazionalità razionale del sistema" come la chiama Marcuse). D’altra parte, anche il rapporto tra le forze produttive e i rapporti di produzione non può essere più considerato nei termini di una opposizione tra un positivo (che come tale postula un sistema diverso e superiore) e un negativo che lo opprime e lo frena. Al contrario le stesse forze produttive se per un verso tendono a superare il quadro del sistema, per un altro ne portano intimamente il segno, hanno cioè le forme che lo sfruttamento loro impone, si dispongono naturalmente ai fini che l’ordinamento sociale seleziona. A questo punto perciò una delle contraddizioni fondamentali rilevate da Marx ossia quella tra funzione sociale della produzione e proprietà privata dei mezzi di produzione assume una specificità nuova nel senso che non è più chiaro fino a che punto siano socialmente utili gran parte delle produzioni della società a capitalismo maturo. (E’ socialmente utile la produzione bellica? E’ socialmente utile la produzione di trentasette tipi diversi di bicchieri per bervi dentro trentasette tipi diversi di bevande? Etc.). A questo punto perciò cambiando in molti casi uno dei due aspetti della contraddizione (la funzione sociale della produzione) il rapporto contraddittorio stesso deve necessariamente subire un mutamento. Anche questo tipo di problematica perciò necessita di una notevole revisione teorica.
c. Oggi il capitalismo ci propone anche nelle sue forme più avanzate, una società diseguale ed articolata, piena di privilegi, di status, di parassiti, con un intreccio continuo di sviluppo e sottosviluppo e tuttavia in questa complessità di rapporti sociali è facile ormai cogliere il processo reale che tutto regola e sostiene: ciascuno dei fenomeni che lo compongono, se analizzato, non ci appare come il residuo del passato, ma invece uno degli aspetti, continuamente nuovi e mutevoli, di un solo meccanismo di sviluppo del sistema, ad esso indissolubilmente legato. Ciò significa che in una società a capitalismo maturo ogni tema di lotta, anche il più tradizionale, il più democratico-borghese (l’autoritarismo) o il più tradeunionistico (la difesa della condizione immediata dell’operaio) non possono essere messi in evidenza, fatti esplodere, né si può fornire loro soluzione alcuna, se non individuando e rimuovendo le radici di fondo, cioè il sistema capitalistico. Ma per poter attuare politicamente ciò (ossia un certo tipo di gestione politica di queste lotte settoriali che tendenzialmente porti alla creazione di una coscienza anti-capitalistica nei soggetti storici che le attuano e perciò che porti anche ad una generale lotta anti-capitalistica) il Movimento rivoluzionario occidentale ha l’assoluta necessità di una teoria globale sul tardo capitalismo dove poter piantare poi la propria azione politica corretta.
d. Uno dei fenomeni più nuovi ed inattesi negli avvenimenti del maggio francese è stato lo straordinario bisogno di comunicazione e di vita collettiva, l’entusiasmo con cui grandi masse formate e condizionate dai modelli dalla civiltà consumistica si ribellavano a quei modelli, convenivano sulla loro assurdità, apparivano, seppure per un momento, pronte a rinunciarvi; e la felicità con cui in questa esperienza comunitaria, esse trovavano mezzi di comunicazione; la loro capacità di auto-organizzazione, la loro misura e la loro disciplina di rivolta. Tutto questo si spiega solo con l’ipotesi che la società a capitalismo avanzato, oltre ad imporre una deformazione sistematica della domanda di beni di consumo, modelli di vita e di organizzazione sociale sempre più scopertamente irrazionali, sollecita, e non può non sollecitare, altri bisogni, altre domande, che poi non è in grado di soddisfare. L’esplosione di Maggio in generale, prova che i meccanismi integratori del sistema, pur così potenti, sono sempre più in grave ritardo rispetto non già a un "bisogno umano" astratto e metastorico sul quale finirebbe per avere la meglio, ma con l’uomo concreto, storicamente determinato, che lo stesso sviluppo sociale è costretto a produrre. Fondamentale a nostro parere per una corretta sistematizzazione teorica di questo problema sono per quel che riguarda le forme di vita collettiva elaborate dal movimento rivoluzionario del Maggio francese l’analisi delle occupazioni e delle autogestioni di fabbriche, università e città (esperienza di Nantes), e per quel che riguarda le forme di comunicazione collettiva l’analisi delle innumerevoli scritte comparse nel Maggio sui muri francesi, molte delle quali nella loro spontaneità e immediatezza riflettono tutte le novità, le ambiguità e i limiti del Movimento del Maggio francese e della sua ideologia.
• Azione non deve essere una reazione, ma una creazione.
Corri compagno, il vecchio è dietro di te.
L’immaginazione prende il potere
Inutile restaurare, la struttura è marcia.
Non consumiamo Marx.
Non è una rivoluzione, Sire, è una mutazione.
Ho qualcosa da dire, ma non so cosa.
Si può fare la rivoluzione solamente se c’è conoscenza.
In ogni caso, nessun rimorso.
Non liberatemi, lo faccio da solo.
Siate realisti, domandate l’impossibile.
Di un uomo si può farne un poliziotto, un paracadutista, perché
non se ne potrebbe fare un uomo?
a. Contenuti estremamente radicali e forme estremamente spontanea sono le due caratterizzazioni politiche fondamentali dei fatti di Maggio assieme alla creatività sfrenata di cui si è già accennato. Questi due aspetti degli avvenimenti del Maggio francese aprono una infinità di nuove ipotesi politiche per un processo rivoluzionario in occidente e rappresentano anche il superamento di una certa impostazione organizzativo-politica dei partiti comunisti occidentali. Il Maggio francese a nostro attivo rappresenta da questo punto di vista il superamento storico del concetto di partito leninista inteso come avanguardia organizzata depositaria di un certo patrimonio storico ideologico di classe, che trasmette questa ideologia alla base e che alla luce della stessa interpreta avvenimenti sostanzialmente a lei lontani ed estranei. La radicalizzazione politica che ha poi contraddistinto le lotte del maggio rappresenta la condanna della prassi politica socialdemocratica e gradualistica basata sulle riforme di struttura dei partiti operai in Occidente.
Da queste e da altre considerazioni sui fatti del Maggio Francese a nostro avviso si possono trarre alcune ipotesi per l’impostazione di un corretto processo rivoluzionario in occidente.
1. Non è più sufficiente prospettare cambiamenti strutturali, bensì c’è l’esigenza di una alternativa globale in contrapposizione alla società attuale.
Il ricatto economico attuato dal capitale francese nei confronti del movimento rivoluzionario nel Maggio (possibilità di una crisi economica gigantesca se il fenomeno rivoluzionario si fosse protratto più a lungo e in maniera più radicale) avrebbe potuto risultare irrilevante per il movimento solo alla condizione che nei soggetti storici partecipi di quel fenomeno rivoluzionario fosse già stata presente, seppur solamente in nuce, una alternativa non solamente strutturale ma anche di valori, globale da contrapporre a quella altrettanto globale della borghesia. Questo tipo di alternativa a livello di coscienza del movimento rivoluzionario francese è stata presente solo come aspirazione.
2. Rivoluzione come fenomeno storico di lungo periodo, lunga marcia attraverso e contro le istituzioni, che sviluppi nella sua processualità prefigurazioni della società futura (ipotesi dell’utopia operante).
3. Necessità storica di un inizio di prefigurazione teorica della società futura.
Fino ad oggi il movimento rivoluzionario si era sempre giustamente rifiutato di fare una prefigurazione di questo tipo, mancando per queste analisi le basi materiali e le premesse necessarie. Oggi però tre nuove variabili subentrate in questa problematica rendono possibile, e a nostro avviso politicamente necessaria, questo tipo di prefigurazione: a) l’attualità della rivoluzione; b) il procedere del processo di utopia operante che permette di verificare continuamente le ipotesi prefigurative globali sui nuclei parziali di società futura sviluppati nell’avanzamento del processo rivoluzionario; c) la presenza nel mondo di società che già sono globalmente immesse in questo processo. La "critica al programma di Ghota" e "Stato e Rivoluzione" possono a nostro avviso costituire solamente e lontane premesse per un processo di analisi e di prefigurazione di questo tipo. Questa necessità non nasce né da una esigenza di coerenza intellettuale né di rendere chiara e persuasiva la prospettiva lontana, ma soprattutto dovrebbe avere a nostro avviso la funzione di strumento onde individuare e fare esplodere in questa società contraddizioni latenti, per fare maturare una coscienza rivoluzionaria in forze che non possono arrivarci spontaneamente per pura pressione dei loro interessi immediati. Da tutta la problematica politica che oggi si pone di fronte al mov. rivoluzionario occidentale fondamentalmente alla luce dei fatti del Maggio Francese, a nostro avviso si possono trarre i due filoni di lavoro fondamentali per risolvere l’impasse in cui la rivoluzione si trova oggi nei paesi a capitalismo maturo: l’uno di RICERCA SCIENTIFICA e l’altro di INVENZIONE POLITICA. Necessità di ricerca scientifica in quanto oggi il movimento rivoluzionario occidentale presenta sconcertanti lacune teoriche sul tipo di società in cui si trova ad operare, e invenzione politica in quanto riscoperta dell’uomo nella sua totalità e nella sua creatività che si può esprimere oggi solamente nel processo di liberazione da questa società attraverso l’attuazione di un processo rivoluzionario. Qual’è l’inserimento specifico del movimento studentesco in questo momento storico nel processo rivoluzionario in un paese a capitalismo maturo?
A nostro avviso il modo fondamentale in cui il Movimento Studentesco può recuperare storicamente in maniera rivoluzionaria la sua collocazione sociale specifica è quella di assicurarsi in prima persona come intellettuale collettivo rivoluzionario del movimento rivoluzionario occidentale (attuando così un momento dell’utopia operante) il compito della ricerca scientifica. Questo nel senso di portare avanti l’analisi a due livelli fondamentali:
a. analisi delle strutture socio-economiche della società borghese tardo capitalistica
b. analisi della scienza e della cultura che questa civiltà è giunta ad esprimere.
2 livelli di analisi questi (strutturale e sovrastrutturale) che agendo in maniera dialettica con quella che è la prassi politica del Movimento rivoluzionario globale (basata quest’ultima sull’invenzione politica) a cui il movimento studentesco partecipa in prima persona, fanno scaturire una linea politiche che è però in sé anche negazione di questa società e prefigurazione della società futura. L’Università, istituzione nella quale fondamentalmente il movimento studentesco si trova a fare questo lavoro di ricerca scientifica e che rappresenta il suo involucro strutturale specifico, viene mutata così in Università Critica ossia nella sua funzione utopica di cervello sociale delle classi subalterne.
COMPAGNI,
I ciclostilatori, i dattilografi e le dattilografe di questo documento sentono di dover "dare alcuni consigli". Ci saranno molte parole che si leggono con difficoltà (incomprensibili), qualche riga mancante, alcune pagine al contrario. Ebbene, guardate il documento del compagno vicino: certamente quello sarà completo. La perfezione tecnica borghese copre le mistificazioni politiche; NON E’ COSA PER NOI. Graficamente può sembrare un documento come un altro. COMPAGNO, non lasciarti ingannare dalla carente creatività degli esecutori tecnico-politici; LA LORO CONTRADDIZIONE SPECIFICA E’ RISOLVIBILE SOLO ATTRAVERSO UN LAVORO COLLETTIVO.
FOGLIO DI LAVORO POLITICO.
1° dicembre 1968, TRENTO.
Mauro ROSTAGNO – Renato CURCIO
"Quel che non è politica
non riempie la vita di
un uomo oggi"
(lettera ad una professoressa).
Fuori dai denti: questo non è un documento organico, compiuto con dentro già bellefatta la teoria, la strategia, il modulo organizzativo e le indicazioni puntuali di come si fa la rivoluzione presto e bene. Per cui, se uno è in cerca di queste cose, non le cerchi qui dentro. Ne rimarrebbe profondamente frustrato. Non ce le abbiamo messe, non perché non abbiamo voluto, ma perché non ne siamo stati capaci. Non riteniamo nessuno, tra l’altro, capace di queste cose. Non può essere opera di cervelli individuali. Queste cose, o riescono a farle i movimenti collettivi saldando insieme prassi e teoria (in quanto militante collettivo e intellettuale collettivo) o non riescono affatto (e se riescono non servono a niente, salvo a riempire la già strabocchevole Biblioteca delle Buone intenzioni e delle Cocenti Sconfitte). Dunque, questo non è un documento che dà "la linea". Molto meno, vuole dare piuttosto ai compagni degli elementi di stimolo a svilupparla collettivamente, e cioè in modo organizzato, critico-pratico. Questi elementi di stimolo, inoltre, non ce li siamo inventati noi in questi giorni di quieto inverno, ma li abbiamo invece raccolti (e selezionati, naturalmente) dagli appunti di studio e discussione collettiva che il movimento ha svolto nei mesi di settembre, ottobre e novembre. Il settarismo e la parzialità del "collage", d’altra parte, non sembrano mali incurabili. L’unilateralità del foglio può essere sorpassata dalla multilaterità del movimento che lo usa. Basta volerlo.
Ancora. Dal foglio (e da chi lo ha steso) uno può farsi usare: e questo sarebbe estremamente spiacevole. Prendendolo cioè come un qualcosa su cui "schierarsi": chi è d'accordo e chi no. Ma senza metterlo in discussione, modificarlo e riorganizzarlo. Quello che è, è. Punto a capo. O ci sto o me ne vado. Atteggiamento spiacevole e rinunciatario, con cui uno si dichiara, a priori, inferiore ad un pezzo di carta. Senza metterci dentro il proprio essere, per vedere, nonostante tutto, di farlo funzionare. Molto meglio sarebbe (ed anche possibile, speriamo) "usare" il foglio. Cioè porsi nell’atteggiamento secondo cui la forza in ultima istanza decisiva è l’uomo (la sua dimensione vitale, critico-pratica). Usare il foglio vuol dire partire da ciò che sta scritto per andarvi oltre, passando dallo schematico al complesso, dal suggerimento alla proposta. Vuol dire sviluppare un atteggiamento creativo, che non si fa definire dalle cose, ma concorre a determinarle. La preoccupazione di fondo – che temiamo di non essere riusciti a rispettare – è stata quella di "servire il movimento" con un foglio anti-autoritario. E ci è sembrato che un modo autoritario fosse quello della sistematicità. Dare cioè un qualcosa di già ‘organizzato’ concluso su se stesso. E allora abbiamo scelto la strada dei ‘frammenti’ delle ‘note’ del ‘materiale grezzo’ buttati già in modo da stimolare i compagni a coordinarli, provocarli ad una sintesi in prima persona. Siamo convinti che il movimento, i compagni siano una polveriera gigantesca di umanità teorica e pratica inespressa. Il punto è agire in modo da non buttare acqua sulle polveri. Il terrore di farlo – al di là della nostra volontà – ha contribuito non poco a rendere tormentosa la stesura di questi pezzi di carta. Tuttavia, abbiamo valutato che i rischi inerenti a stendere un foglio con questa metodologia e in questo modo fossero inferiori alla utilità che i compagni ne possono far sortire, se lo vogliono. Il resto è consegnato alla nostra militanza nel movimento. Abbiamo letto Huey Newton: "Dobbiamo impegnarci nell’azione perché la gente legga ciò che scriviamo" e "Il solo modo con cui possiamo educare il popolo è di dare l’esempio. Pensiamo che questo sia indispensabile" e ancora "Guai alla penna senza fucile, guai al fucile senza la penna". Se il foglio esprime oltretutto la miseria politica economica e sessuale dei compagni che l’hanno steso, la critica teorica e pratica dei compagni del movimento che da esso può svilupparsi per superarlo è il modo migliore per emanciparci dai limiti umani in cui siamo racchiusi, e l’educazione necessaria che ci deve essere impartita.
(+) Sulla lunghezza. Non è una questione di quantità. Mettere 500 problemi in 5 pagine non sarebbe stato serio (tenendo conto della nostra scarsa capacità sintetica). E avremmo fatto solo la lista della lavandaia. Così è venuto fuori di molte pagine. Pazienza. (Se abbiamo detto in 50 righe quello che si poteva dire in 5, questo speriamo che sia un vizio di cui riusciremo a scrollarci tramite la critica dei compagni e l’autocritica che speriamo di riuscire a farci).
NOTE SULLO SVILUPPO DEL MOVIMENTO (dal gennaio all’ottobre)
l. Il modo di produzione metropolitano (tardo-capitalista) è antagonistico. Vale a dire, riproduce continuamente al suo interno contraddizioni sempre più estese e sempre più intense. Il sistema politico metropolitano, che su tale base si erige, (combinazione gerarchizzata di istituzioni), è caratterizzato dallo sforzo sempre più dispotico, sempre più irresponsabile di controllare, di canalizzare, ridurre, manipolare, reprimere le tensioni ed i conflitti sociali che insorgono nei nodi strutturali del sistema (indotti dallo aumento quantitativo e qualitativo delle stesse).
2. Il modo di produzione metropolitano è generalizzato. Vale a dire, è penetrato in ogni dimensione dell'attività umana, tendenzialmente riproducendola a sua immagine e somiglianza. (Tendenzialmente: cioè, esistono ancora larghi spazi di arretratezza e di disomogeneità. La loro caratteristica però è di essere funzionalizzate al livello più alto di subordinazione e mercificazione. Es. il Sud rispetto al Nord, la scuola rispetto alla grande fabbrica, etc). (L'arretratezza non è estranea al sistema, è un modo di vita del sistema, una sua forma di riproduzione)
3. La generalizzazione del modo di produzione metropolitano è anche allo stesso tempo la generalizzazione dell’antagonismo (a strati crescenti e diversificati della popolazione. E, dunque anche la generalizzazione del controllo dispotico delle istituzioni sociali (sistema politico). Alla natura alienante del modo di produzione corrisponde la natura autoritaria del sistema politico. (Autoritarismo = autorità priva di senso, irresponsabile). In questa totalità concreata siamo inseriti fino al midollo.
4. La varietà estremamente differenziata delle produzioni particolari entro l'omogeneità generale del modo di riproduzione (qui per produzione si intende produzione sociale dell'individuo sociale, la complessità delle diverse sfere dell'attività umana) non va assolutamente dimenticata. Il concetto generale di istituzione - d’altra parte - non deve assolutamente far dimenticare le diverse determinazioni di ogni istituzione particolare, la particolare funzione che essa svolge all'interno il sistema complessivo (di produzione e di controllo sociale),
5. La contraddizione generale – dunque - che si riproduce a livello del sistema complessivo assume connotazione e densità del tutto particolari a seconda dello strato sociale che investe, del tipo particolare di produzione da cui insorge, dell'istituzione specifica entro cui si articola. (Es. La rivolta universitaria, quella degli studenti medi, degli operai di fabbrica, dei tecnici, etc. etc. possono certo essere sussunte entro la categoria generale di lotte sociali ed interpretate unitariamente in una dimensione anti-capitalista, ma tale processo di unificazione non deve smarrire le differenze quantitative e qualitative che esistono tra le lotte diverse di strati differenti, ed entro uno stesso strato sociale).
6. L’ampiezza e l’intensità crescente della contraddizione generale del sistema metropolitano trovano – oggi – nella istituzione scolastica e nella popolazione studentesca rispettivamente l’anello debole della catena delle istituzioni e il gruppo sociale più mobilitabile in direzione sovversiva. Questo è il ‘dato di fatto’ rilevabile anche da una analisi anche superficiale delle lotte sociali nella metropoli dell’anno 67/68. (I 6 punti precedenti hanno il solo significato precauzionale di non mescolare politicamente i due concetti di ‘lotta sociale’ e di ‘rivolta studentesca’). (L’ultima è solo parte della prima, anche se dall’anno scorso vi svolge un ruolo di stimolo e di indicazione rilevante) (e di ricordare ai compagni che un sistema può considerarsi completamente ucciso, quando la crisi è appunto complessiva: i dominanti non possono più continuare a dominare in quel modo determinato, e i dominati non lo sopportano più. Non è questo il caso, ma piuttosto quello di una crisi solo parziale, anche se estendibile). (La situazione non è rivoluzionaria). (L’analisi delle lotte sociali dell’anno scorso viene qui scontata. Si assume che i compagni ricordino il ruolo che vi ha svolto la rivolta studentesca, almeno in Italia? Germania, Francia? Messico). Vedi Reiser, Ferraris, Convegno di Venezia, Montly Review.
7. Per quali cause strutturali e sovrastrutturali, per quali motivazioni oggettive o soggettive l’istituzione scolastica e la popolazione studentesca si trovino oggi a giocare un ruolo essenziale nel corpo complesso delle lotte sociali anti-capitaliste nella metropoli, è stato e continuerà ad essere oggetto di indagine scientifica e politica. Qui si rende però necessario il rimando a testi già scritti, a ricerche già fatte, senza pretendere ad un riassunto elencativo e sviante. (I due volumi di Laterza e Marsilio sulla rivolta universitaria cogli ultimi 4 fascicoli di Quaderni Piacentini, sono forse i passaggi obbligati per una ricerca su questo punto). Il ‘perché’ della rivolta anche se necessario alla nostra coscienza individuale e collettiva è senz’altro meno urgente del ‘come’ la rivolta stessa si sia sviluppata. (A questo proposito, per un panorama nazionale delle posizioni politiche e per la dinamica delle problematiche, cfr. Il lungo saggio di Marco Boato apparso sugli ultimi 3 numeri di ‘Questitalia".
8. L’aumento quantitativo e qualitativo della contraddizione generale si esprime in una crisi radicale nel solo istituto scolastico. Gli ultimi mesi del ’67 (e poi per tutti il primo semestre del ’68) vedono un salto ‘politico’ collettivo della popolazione scolastica (in particolare universitaria, delle facoltà umanistiche, al Nord del Paese). Lo studente scopre il proprio disagio personale come una particella di un disagio più ampio, collettivo e al limite sociale. E collettivizza il disagio come problema da risolvere collettivamente in prima persona. La saldatura del singolo studente alla massa dei compagni si accompagna la saldatura di una analisi puntuale con una prassi trasformativa. Si forma l’embrione dell’intellettuale collettivo-militante collettivo, base materiale per la riapertura di un processo rivoluzionario anche nella metropoli. (Globalizzazione delle lotte internazionali d’emancipazione dell’uomo).
9. L’analisi smaschera l’istituzione. La scuola appare per ciò che è: un istituto di classe che riproduce il sistema generale di sfruttamento attraverso meccanismi determinati di a) selezione e di b) manipolazione. Il modo generale di funzionamento dell’istituzione viene puntualizzato: autoritarismo (accademico). La scuola serve fondamentalmente al sistema non insegnandoci a pensare criticamente, ma anzi, insegnandoci ad obbedire oggi per poter efficacemente comandare domani. Ma "il re viene messo nudo" veramente solo quando l’analisi si accoppia colla lotta di classe. E’ la dimensione critico-pratica e quella sola che colloca il movimento come qualcosa di ‘politico’". I faraoni della cattedra vengono sbeffeggiati in aula, impallidiscono, non sanno reagire né sul piano scientifico né su quello politico. Si coprono le svelate nudità e scappano via mostrando il culetto. Si occupano le università quasi contemporaneamente e quasi dappertutto. E si scopre un po’ di flusso vitale: si ride insieme, si inventano corsi, si scrive sui muri (anche se i muri di maggio ci faranno scoprire la nostra scarsa fantasia e la pigrizia della nostra emancipazione, ci mostreranno in concreto quanto lunga sia ancora la nostra strada per restituire l’uomo a se stesso come individuo sociale fisicamente ricco, sessualmente maturo, spiritualmente creativo). In quelle aule, beninteso, si fa anche "politica" (in senso restrittivo): si studia, si analizza, si tengono convegni, si elaborano proposte, si accenna timidamente ad "uscire sulla città". Nasce il mostro del ’68. Il Movimento Studentesco come movimento politico di massa.
10. Per arrivare al "mostro" si erano rese necessarie, tuttavia delle operazioni preliminari. Tra tutte, la più importante è stata quella di liberarci degli Organismi Rappresentativi. "Rifiuto della delega". Basta colle elezioni dove tutti votano alcuni a fare politica in nome di tutti. E cioè sopra la testa di tutti e dietro le spalle di tutti e dunque contro tutti. Il "rifiuto della delega", tuttavia, esprimeva un programma politico ben più grande e radicale, anche se in nuce. Ed è stato sviluppato. Si è andati oltre, verso i partiti ed il parlamento (erano i tempi della legge Gui, la famigerata 2314). E si è deciso di non delegarli (in quanto legali rappresentanti del popolo?) a rivolgerci i nostri problemi. Solo lo sviluppo conseguente della lotta di massa contro la scuola lo avrebbe potuto in termini per noi soddisfacenti. Insomma, rifiuto della delega incominciava a voler dire "politica militante" in prima persona con controllo collettivo di quello che si pensa, di quello che si fa, delle conseguenze che ne scaturiscono! Da questa tematica politica viene fuori una forma organizzativa nuova: "L’Assemblea Generale decisionale" (tutto il potere all’assemblea) come forma collettiva critico-pratica. Bastano però poche ‘assemblee’ perché ci si accorga che qualcosa non funziona. (Oggi diciamo che le assemblee generali sono repressive e non emancipatorie). A parlare sono in pochi e sono sempre quelli, i "leaders". Gli altri terrorizzati e intimiditi, annotano o si addormentano o se ne vanno. Si sentono passivi, manipolati. Ed è vero. Si propongono allora le strutture di lavoro (le commissioni). Piccoli gruppi strutturati per ‘interessi’ (Medi, Fabbriche, studenti lavoratori ... verso l’esterno) (figura sociale del sociologo, autoritarismo, sessualità e repressione ... verso l’interno). Alcuni si disinibiscono, incominciano ad intervenire, si assumono responsabilità politica in prima persona. Ma ogni volta che si ritorna in assemblea si ripete la storia di sempre, anzi la "leadership" si concentra, nasce il leader carismatico. Non solo. Nelle stesse commissioni, la faccenda è ben lungi dall’essere risolta. Molti ascoltano e tacciono. Altri vanno e vengono sfiduciati. E si scopre allora a) la dimensione interiore della repressione (quella che viene prima di ogni commissione ed assemblea, e ha radici profonde, nell’infanzia, nelle turbe adolescenziali, nella famiglia, rafforzata e ratificata dalle istituzioni sociali, la chiesa i partiti la stampa la scuola elementare e media superiore e i gruppi amicali etc. ...) b) il processo di lunga durata per l’emancipazione (tra la affermazione "rifiuto della delega" e la realizzazione "delega abolita" ci sta un faticoso itinerario di lotta contro le istituzioni sociali e contro noi stessi come loro prodotti, processo che non può essere individualistico e psicologistico, ma solo collettivo e politico) c) che la politica deve essere distrutta, cioè ridefinita. (Si scoprono le dimensioni restrittive del "far politica" come separazione tra vita pubblica e vita privata, tra dimensione esteriore e dimensione interiore dell’essere sociale; e le fa saltare. "Far politica" diventa distruggere ciò che gli altri, le istituzioni, ci avevano detto che la politica fosse. E si parla collettivamente della propria ragazza, del lago, di oligopolio, della mamma, Guevara, ciho pochi soldi, uffachebarba, status e ruoli, andiamo a sentire l’erba che cresce ...) E comunque non basta, non si può essere soddisfatti.
11. All’inizio – (ma c’è un "prima ancora" di cui non si è accennato) – dunque è stato "Poter Studentesco", la lotta di massa contro l’istituzione scolastica, la popolazione scolastica scatenata contro l’autoritarismo accademico. Qualcuno scriveva sul frontespizio dell’università "non vale la pena di trovare un posto in questa società, ma di creare una società in cui valga la pena di trovare un posto!" Qualcun altro dentro le aule "non vogliamo mangiare alla vostra tavola, vogliamo rovesciarla". Ma la natura del movimento rimane, in fondo, scolastica, studentesca. La società, il* mostro istituzionale, rimane sullo sfondo. La logica di sviluppo è induttiva, legata al disagio reale. (per inciso, questo termine è scorretto. Era il disagio immediato quello da cui si partiva. Il disagio reale, quello causato dal complesso istituzionale, sarebbe stato recuperato evoluzionisticamente e in modo concreto attraverso tutta una serie di passaggi da effettuare. Per intanto di partiva da quello immediato, dal malessere verso il professore, contro l’autoritarismo accademico. Per 70 giorni si rimase chiusi in università, occupandola e funzionando a suon di commissioni e di assemblee generali (salvo poche eccezioni) (Medi – ma era un restare nelle scuole - ) (Fabbriche – ma non collegata alle lotte studentesche).
12. La natura studentesca del movimento alle sue prime fasi si esprimeva dunque nello slogan "POTERE STUDENTESCO". Il suo schema di politicizzazione era riassunto nella logica induttiva a partire dal disagio immediato, dalla lotta contro il professore autoritario fino alla lotta contro Johnson, ultimo anello di una catena di deleghe. Il suo rapporto teoria-prassi era riassunto in "primiero la lucha y la consciencia después" (prima la lotta, la coscienza dopo). Il suo schema organizzativo pretendeva di raggruppare tutti gli studenti e di esprimere le esigenze immediate. La lotta di classe contro la scuola era concentrata sulla seminarizzazione dei corsi e sulla distruzione degli esami individuali. (Tutto quanto si va dicendo è evidentemente uno schema forzato della complessità degli avvenimenti) (e come è ovvio la struttura della coscienza dei compagni era piuttosto differenziata rispetto a quanto si va riassumendo, alcuni più avanti altri più indietro, per intenderci). L’aspetto positivo è stato che la politicizzazione è sostanzialmente riuscita, almeno per un buon gruppo di compagni. L’aspetto negativo è stato quello della chiusura a riccio sulla scuola, nella limitazione dell’azione politica al tessuto scolastico. (Un breve accenno deve essere fatto, circa la positività dei 70 giorni d’occupazione insieme. Prima dell’occupazione esistevano molte persone "sparse" e tre "sette": i "cattolici" i "comunisti" e gli "psiuppini". Non esistevano tra i gruppi comunicazioni di tipo alcuno, salvo quelle politiche in senso restrittivo, e dunque in termini di scontro. Per il resto, circolavano i succedanei della comunicazione umana, e cioè, le dicerie, le presupposizioni, etc. che rinforzavano il carattere di setta, distinguendo in modo manicheo tra i "buoni dentro" e i "cattivi fuori". Bene i 70 giorni ci sono serviti a far saltare queste porcate. Ci si è scoperti reciprocamente come esseri umani, pieni di nuovi bisogni radicali e di vecchie putride necessità. Ma almeno le riserve mentali sono state messe nell’immondezzaio. E abbiamo cercato di guardarci per quello che eravamo. Con difficoltà e fatica, attraverso i mesi seguenti, il processo è stato sviluppato. Oggi non ne siamo del tutto liberi, ma parliamo di quelle cose come uno stadio ormai superato. Almeno una cosa: nel Movimento a Trento non esistono gruppetti precostituiti su base ideologica del tipo "tradizionale". E non è poco. Un piccolo frutto della rivoluzione culturale metropolitana.
13. A far "saltare" Potere Studentesco ha contribuito, non poco, la repressione. Essa ne ha evidenziato i limiti più gravi, ne ha messo a fuoco le ingenuità più smaccate, sollecitando così un processo autocritico di revisione teorico-pratica. Là dove tale processo è stato gestito politicamente in modo corretto (evitando l’opportunismo e l’Avventurismo), il movimento ne è venuto fuori ‘riqualificato’, teoricamente più ricco, praticamente più incisivo. A parte le specificità trentine, lo schema generale della repressione e della sua "funzione positiva" può essere così delineato:
A. Lo studente non accetta più di studiare e basta. Si pone delle domande radicali (perché studio? Per chi? Come mai io posso studiare e la maggioranza degli uomini no? Cosa mi serve questo tipo di studio? A chi serve? Etc.), ad esse si risponde con un’analisi radicale della istituzione scolastica (selettiva, manipolativa, autoritaria) e lotta per abolire le cose più deteriori che gli sono apparse, a questo livello, è lo stadio di Potere Studentesco e della lotta di massa contro la scuola.
B. A questo punto entrano in azione i meccanismi sociali di repressione (le istituzioni). Polizia e Magistratura da una parte, ma Stampa, Famiglia, Chiesa etc. dall’altra. Accettano l’analisi (diranno: le cose che dite e volete sono buone, il metodo per realizzarle no), accettano la lotterella riformistica (il "gattopardo": cambiare tutto perché niente cambi, ovvero: chiedete secondo le regole e secondo le regole vi sarà dato), quello che non possono accettare e neppure sopportare è appunto la novità radicale del movimento il suo aver saputo saldare l’analisi alla lotta sviluppando una dimensione attiva, critico-pratica, che non si appaga delle briciole ma vuole andare fino in fondo alle cose.
C. Lo studente (come collettivo in lotta ‘per una causa giusta’) scopre sulla sua pelle tutta la baracca: l’ingiustizia strettamente collegata di tutto l’apparato. Scopre la società come "mobilitazione generale" contro lo studente. A difesa dell’istituzione scolastica insorgono tutte le altre istituzioni (sia quelle di controllo, sia quelle di violenza, e tute con lo stesso fine: stroncare il nesso critico-pratico, separare l’analisi dall’azione, far rifluire la lotta dentro i canali istituzionali, muovere tutto perché non si muova niente). La ricerca delle ‘alleanze necessarie’ fallisce miseramente (sindacati e partiti sono esattamente come tutti gli altri, in più ti dicono che sono d’accordo con te ... se non fai troppo casino, se rinuncia trasformare le cose che pensi in azioni militanti e si smaschera anche la natura repressiva del revisionismo).
D. A questo punto, le alternative sono due. O accetti la repressione gratificante (la riformetta, la miniriforma etc.) e ti quieti, oppure vai avanti fino in fondo. Ma a questo punto per farlo occorre ristrutturare tutto sulla base di un principio: ‘contare solo sulle proprie forze?.
E cioè il movimento deve fare il ‘salto’. Per poter portare avanti la lotta contro l’istituzione scolastica deve lottare contemporaneamente contro le istituzioni societarie che impediscono lo sviluppo di tale lotta. Bisogna rompere il feticcio della limitazione al terreno scolastico. Da ‘Potere Studentesco’ il M. deve diventare ‘Movimento Studentesco Antiautoritario’. Impostare la ‘lunga marcia attraverso e contro le istituzioni’. E per impostarla deve rendersi conto del vuoto, no! Del pieno cattivo che ha attorno a sé (creato dal revisionismo): non esiste una teoria rivoluzionaria nella metropoli. Occorre ‘rendere rivoluzionari i rivoluzionari per rendere rivoluzionarie le masse’ (RRRpRRM) ...
14 (Sulla repressione). La natura ‘chiusa’’ cioè conservatrice-reazionaria del sistema, è data proprio dall’immediatezza e prossimità della reazione repressiva a qualunque movimento di emancipazione insorga nel tessuto sociale. L’illimitata (o quasi) tolleranza pura del sistema verso ‘ciò che si dice’ ha il suo rovescio simmetrico/complementare nell’intolleranza immediata al ‘ciò che si fa’. L’articolazione della repressione è sempre composita: marcia cioè su molti fronti e dispone di modulazioni differenti. In generale combina l’uso simmetrico di istituzioni di controllo manipolativo (istituzioni di ‘Ragione’) con istituzioni di controllo coercitivo (istituzioni di ‘Terrore’). (Il Terrore viene in soccorso alla Ragione quando questa non basta, il Terrore del manganello, della denuncia, del mandato di cattura è maritato alla Ragione della carota, della pazienza, della terra promessa). La superfluità del dominio, la sua illegittimità sostanziale è visibile inoltre attraverso il nesso ‘spropositato’ che si instaura tra lo stimolo e la risposta. (Es.: bruci un simulacro di auditorium in piazza e ti denunciano per incendio pericoloso. Dici ‘stupido’ ad un professore stupido e ti denunciano per interruzione di atto pubblico. Entri in un edificio pubblico sfondando la porta e ti denunciano per associazione a delinquere, etc ...). C’è qualcosa di neurotico, di psicolabile in tale mancanza di proporzione. (Tenendo conto che a un criminale di stato che passa il suo tempo a raccontare fandonie, impoverire la gente, far guerre senza dichiararle etc. .. come Johnson il peggio che può capitare è di ‘cambiare mestiere’). Il rischio del movimento verso la repressione è di deviare verso forme opportunistiche (farsi paralizzare dalla possibilità del suo scatenamento) o avventuristiche (non tenerne conto nella maniera dovuta e lasciarci le penne senza possibilità, di ritirata). Un altro rischio è di tenere eccessivo conto della repressione manifesta e di sottovalutare quella latente (quotidianamente praticata in maniera sottile attraverso forme di persuasione e ricatto economico-affettivo, ad esempio da istituzioni come la famiglia, etc...). Un terzo tipo di rischio è quello di considerare repressione solo quella violenta (Terrore: Polizia, Esercito, Magistratura) e non quella manipolativa (Ragione) (il cosiddetto riformismo, ad es., il quale invece è altrettanto repressivo proprio perché punta allo stesso fine: l’abolizione delle forme antagonistiche di pensiero-azione. Muta la modalità di abolizione non la sostanza).
15. La prima fase di Potere Studentesco (i 70 giorni di occupazione) è schematizzabile in questo modo:
A. Successo interno (sul terreno scolastico) parziale
B. Sconfitta esterna (sul terreno sociale) radicale
A. Si poteva contare sul fatto che mentre noi eravamo rimasti fermi verso l’esterno, gli altri si erano mossi, riuscendo nella manovra di rendere incomprensibile la natura della rivolta, di incapsularla dentro la scuola, di isolarla rispetto al contesto. La città stava anzi attuando una reazione all’occupazione (che un medico descriverebbe come ‘rigetto di un organo esterno trapiantato’).
A e B sono interpretabili nel senso di ‘manovra repressiva riuscita’ (vedi nota 14) e di ‘incapacità del movimento a sviluppare una linea di massa. (Le due cose sono – evidentemente – correlate).
16. La seconda fase di Potere Studentesco (dalla fine dell’occupazione alla fine dell’anno accademico) presenta caratteri di schizofrenia: il movimento, si spacca radicalmente in due tronconi autonomi, che proseguono la lotta su terreni distinti, senza alcuna o quasi comunicazione interna efficace. Una fetta di quadri dell’occupazione si proietta all’esterno della scuola e si occupa ormai quasi esclusivamente delle lotte operaie. L’altra fetta rimane dentro l’Università a gestire politicamente i risultati conseguiti formalmente a fine-occupazione. Il mercoledì liberato dai gravami didattici (lo spazio strutturato) si risolve, salvo rare eccezioni (Assemblea operaia Italcementi, dibattito con Ferraris-Sclavi ...) in stanche assemblee fiume che si vanno man mano assottigliando per mancanza oggettiva di un interno significato politico. Le grosse cose realizzate sul terreno esterno (delle lotte operaie) non mutano il severo bilancio politico che si deve tracciare di quel periodo. Accenniamo a 4 punti.
A. Si produca il quadro specializzato (quello che sa di scuola e basta) (quello che sa di fabbrica e basta). La gestione politica unitaria del movimento complessivo non esiste. La speciosa distinzione tra ‘interno’ e ‘esterno’ - che qui usiamo in senso provocatorio – corrispondeva allora ad una separazione reale. (L’andare tutti al picchettaggio non risolve certo il problema) (Né il ritornare tutti in Università a contestare gli esami).
B. Sul terreno sociale la scarsa chiarezza teorica sulla natura complessiva del movimento e sulla sua dinamica interna si traduce in un atteggiamento populistico verso le masse. La metodologia della politicizzazione universitaria viene ‘riportata’ sugli operai. Si parlerà anche qui di ‘logica induttiva’ ‘partire dal disagio immediato’. La linea di massa è in realtà ‘adorare le masse’ (simmetrico dell’isolamento in cui ci eravamo rinchiusi). La linea politica viene stabilita a partire dai bisogni delle masse, senza distinguere tra bisogni immediati e bisogni reali, tra bisogni corretti e bisogni scorretti. La lotta operaia è vista come ‘lotta interna di fabbrica’ (corrispondente alla lotta interna alla scuola). Si cerca di creare una organizzazione operaia autonoma, dal basso: reparto per reparto. La parola d’ordine ‘potere operaio’ va di pari asso con ‘creare comitati di fabbrica’. (Non si vede nell’operaio l’uomo concreto, le 24 ore di vita vengono ridotte arbitrariamente alle 8 di fabbrica, si identifica l’attività speciale coll’esistenza complessiva: più o meno come si era fatto per lo studente). Un attivismo sfrenato che logora i quadri e impedisce loro di pensare, presi tra una manifestazione e l’altra, tra un picchetto e l’altro, caratterizza l’attività esterna di quella fase. La bandiera rossa (senza simboli) e il distintivo di Mao sono le caratteristiche principali ‘visibili’ del movimento (Per inciso, sia la bandiera rossa che il Mao hanno un’ottima accoglienza a livello operaio. Le titubanze spariscono in fretta. Tutte le manifestazioni, e se ne sono fatte molte, finiscono con gli operai coperti di bandiere rosse e di Mao, che ci strappavano letteralmente di dosso). Inoltre, nel rapporto con gli operai ci si definisce come ‘studenti’ e basta. La lotta contro la scuola dei mesi precedenti ed il maggio francese sembravano esimerci da ogni ulteriore chiarificazione. La collocazione sociale – studente – non veniva distinta da una organizzazione politica definita – il MS -. Inoltre il MS sembrava ‘rappresentare’ ‘tutti gli studenti’).
C. Atteggiamento ambiguo verso il MO. La critica al riformismo e al revisionismo, praticata verbalmente, non era assolutamente collegata ad una pratica (personale e sociale) conseguente. Si denunciava il partito restando nel partito. Si dichiarava la radicale differenza politica tra partito e movimento, militando poi in entrambi. (E’ stato solo dopo i fatti cecoslovacchi, e partendo dal dibattito sviluppato su di essi, che si sono visti i 4 ‘fatti’ del ’68 come una cosa unica (cioè: l’offensiva vincente del popolo vietnamita organizzato in guerra di popolo, il maggio francese, lo sviluppo, internazionale del MS, la Cecoslovacchia come putrescenza generale del revisionismo rinascita generale della globalizzazione della lotta offensiva rivoluzionaria). E da questa ‘cosa unica? Si è risaliti all’incompatibilità politica – oggi – di una militanza attiva nel movimento e nei partiti. Con fatica, tormentosamente, ci si è staccati a poco a poco dalla Grande Mamma). Inoltre: si è distinto (giustamente fra partiti e sindacati. E verso questi ultimi si sono coltivate speranze ambigue. Si parlava di ‘uso operaio del sindacato’. Lo slogan del ’68 ‘studenti e operai uniti nella lotta’ veniva fuori da una base politica confusa, da un rapporto coi sindacati al continuo limite tra tattica e tatticismo. La corretta preoccupazione di evitare il verbalismo pseudo-rivoluzionario (l’attacco ideologico frontale ‘puro’ all’organizzazione sindacale) si trasformava talvolta nell’inibizione politica alla critica puntuale, dimostrabile, fondata.
D. Il vuoto teorico (che in realtà è ‘pieno cattivo’) sulle prospettive generale si traduceva un’incapacità autocritica. Alla fine di ogni azione si ripartiva su una azione successiva, senza fermarsi a ‘correggere il tiro’. Mancava la discussione collettiva sui limiti delle azioni svolte, sul coordinamento fra le varie attività, etc. ...
Più in generale, la linea politica di potere studentesco non veniva riconsiderata alla radice. E ciò che poteva essere stato buono per un giorno rischiava di diventare verità universale immodificabile. Tutto questo produceva nei quadri uno stato depressivo accentuato, una insoddisfazione collettiva irrisolta. La nausea dell’attivismo ha portato alla necessità quasi biologica di mangiare libri insieme. Sono cominciati allora i seminari teorici dell’estate.
17. Nel giugno ’68 (con una metodologia scorretta) 3 compagni (Mauro Rostagno, Paolo Sorbi, Elena Medi) elaborano un foglio di lavoro che poi viene diffuso poco e male (100 copie circa) ai quadri. Il foglio non viene discusso collettivamente e da molti neppure letto. Resta così inutile e inutilizzato. Lo riportiamo qui sopprimendo 21 righe, in quanto lo riteniamo utile oggi all’autocoscienza critica del MS attuale.
Avviso: le cose vecchie e sbagliate del foglio (uso operai del sindacato, tutta la parte "proposte di strutturazione" e "strategia e tattica") sono lasciate intatte, proprio per aprire lo spiraglio alla ricostruzione storica del MS stesso. Le righe soppresse riguardano frasi non coerenti con l’insieme del documento, o eccessivamente affrettate.
NOTA: è bene non saltare la lettura di questo "foglio nel foglio", specie per i quadri ‘vecchi’.
FOGLIO DI LAVORO GIUGNO ’68 – TRACCIA DI DOCUMENTO SULLA SITUAZIONE
E PROSPETTIVE DEL MS
(Questa traccia è la registrazione di un discorso orale riassuntivo che si riferisce alle discussioni avvenute nei precedenti mercoledì, è un documento interno e non ha nessuna pretesa di completezza e di organicità).
I PUNTO. Le lotte sociali in Europa nel quadro delle lotte generalizzate del terzo mondo.
Si parte dall’Atlantico, fino all’altra parte: lotte in Portogallo, in Spagna, in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Olanda, in Italia, nei Paesi Scandinavi, in tutto il continente, e poi anche la Jugoslavia, la Polonia, la Cecoslovacchia, ecc. C’è quindi un clima molto teso di lotte sociali. Queste lotte sociali si inseriscono in un clima di contestazione internazionale, che viene portato avanti dalle ribellioni molto estese che ci sono per esempio oggi anche in molte Università dell’America Latina, o dalle lotte di guerriglia nell’Africa nera o dalle lotte di liberazione nazionale dell’Asia. La punta massima di questa contestazione pratica è nel Vietnam, il luogo cioè dove tutto il sistema capitalistico occidentale, nella sua specie più sublimata, cioè nel punto più alto della sua tecnologia più potente (americana) viene posto in crisi dall’organizzazione dell’uomo. Quindi il Vietnam è importante perché è la dimostrazione pratica di come l’organizzazione politica umana possa sconfiggere qualunque tipo di apparato tecnologico. Ma in questo clima di lotte del terzo mondo c’è il fatto nuovo costituito dalle lotte europee. Quindi le lotte sociali in Europa spostano il discorso (di qualche anno fa) dell’accerchiamento della campagna intorno alla città, ad un livello nuovo: non esiste più un capitale avanzato e uno arretrato, una lotta autentica rivoluzionaria in quei paesi con noi come retroguardia, non c’è più un’Europa che è un’isola di pace nel mare della tempesta mondiale, ma c’è anche in Europa la ripresa di una lotta rivoluzionaria. Dalle lotte sociali dunque viene fuori un quadro molto aperto di dinamica e di scontro sociale, e proprio in un momento di intenso sviluppo capitalistico: cioè quello che è rilevante è che questa dinamica e questo scontro vengono fuori non mentre il capitalismo è in crisi, ma mentre è in sviluppo economicamente. C’è una grossa disponibilità di lotta, in tutti gli strati sociali. Questo addirittura potrebbe essere lo slogan: guardando lo spazio sociale attorno, quello che si nota è che la lotta è la regola, e non l’eccezione, cioè non c’è più la tranquillità sociale e le lotte come eccezione, come poteva essere a novembre e a dicembre, quando dicevamo: c’è Capo Rizzuto, c’è Cutro, ci sono gli attrezzisti dell’Olivetti, se oggi scorriamo le pagine dei giornali vediamo che c’è un mare di lotte che vanno dalla Sicilia fino alla Valle d’Aosta. Lotte che chiamiamo lotte sociali: perché non sono solo lotte operaie, ma sono lotte di massa, di tiro nuovo usiamo cioè un concetto di tipo nuovo. Non sono lotte socialiste, ma lotte sociali, non esprimono cioè una carica rivoluzionaria intensa già realizzata ed organizzata: per cui non lotte socialiste, ma lotte sociali. E lotte sociali in un duplice senso. Che non sono solo lotte della classe operaia, ma anche degli studenti, del contadino e anche di strati tecnici, etc.: lotte cioè che investono tutto il tessuto sociale. Viviamo dunque la crisi del Capitalismo; che non è crisi economica ma crisi politica, e proprio al più alto livello di sviluppo economico. (Altro esempio: la contestazione nera dei ghetti neri dell’America, ma anche la contestazione bianca degli studenti nell’America). Ai più alti livello dello sviluppo tecnologico e nel momento di intenso sviluppo capitalistico c’è una crisi politica verticale di tutta la società. Viviamo cioè in un momento in cui il sistema sociale conosce due cose: la crisi della legittimità delle istituzioni da una parte e il vuoto di consenso che si crea attorno alla centralizzazione del potere politico dall’altra. Davanti a questa crisi politica del capitalismo qual è la reazione? La reazione è di tipo amministrativo, cioè una reazione repressiva che fa uso dello strumento della polizia o della magistratura o delle riforme, ma la reazione del capitalismo alla crisi del capitalismo aperta dalle lotte sociali è una reazione che non risolve le radici della crisi. Es.: la Francia: essa pone semplicemente in crisi il sistema capitalistico, ora, questa crisi può venire riassorbita, cioè l’enorme spallata che studenti e operai hanno dato al regime gollista lo fa barcollare e vacillare, questo può rimanere in piedi, può recuperare la lotta studentesca e operaia, può rimanere un regime capitalistico più autoritario e più repressivo di prima, ma rimane infinitamente meno solido, anche se in apparenza è formidabile, perché non c’è mai la soluzione di quelle cause che sono alla base della crisi stessa. Questa incapacità del sistema di sviluppare strumenti che riescono a recuperare e a risolvere le origini e le cause che generano la crisi è dimostrato ovunque. Se dunque anche le lotte esplodono, e poi rifluiscono e vengono piegate dal nemico di classe, esse si riproducono, si estendono e si accumulano.
Es.: sono partite le lotte in Cecoslovacchia, si sono estese in Spagna, si sono ributtate in Germania e sono passate in Italia, sono andate avanti per dei mesi e poi sono esplose violentemente in Francia. Estensione quasi endemica, accumulazione delle lotte, trascendenza.
Se poi si fa l’analisi interna delle lotte si vede che per esempio – parte la lotta studentesca, poi si estende allo strato operaio, poi arriva a coprire i tecnici, poi i contadini, poi anche strati di cittadinanza quasi burocratici. Quindi, da paese a paese, e – dentro ogni paese – di uno strato sociale a tanti strati sociali.
(+) NOTA: il livello politico delle lotte è tuttavia molto differenziato da strato a strato. Non è un pasticcio generale in cui tutto è uguale.
II PUNTO. Il nuovo tipo di lotta che si è creato svela un tipo nuovo di sistema sociale, cioè noi abbiamo scoperto che il capitalismo, l’imperialismo sono concetti storici prima delle realtà storiche (scoperte ed elaborazioni di questi ultimi mesi): cioè non c’è un’analisi una volta per tutte data dell’imperialismo e del capitalismo, ma abbiamo fasi nuove, storiche del capitalismo e dell’imperialismo. Oggi viviamo in una fase determinata, specifica: una fase tale di riorganizzazione capitalistica – per es. su scala internazionale – che, unificato il mercato mondiale imperialistico, oggi decide di assegnare agli Usa il controllo dei mezzi di produzione, e all’Europa fondamentalmente la produzione dei beni di consumo. Questo provoca dei grossi conflitti inter-imperialistici e un riassetto entro l’Europa di tutti i livelli produttivi dei paesi stessi. Si hanno perciò due processi: di centralizzazione e concentrazione del capitale, e di diffusione del capitale. A Trento, come nelle altre zone, per es., tre, quattro industrie si riuniscono in una sola industria e fanno con 400 operai quello che prima facevano con 1.200 operai in 4 industrie diverse e questo colpisce violentemente la classe operaia. A Trento per esempio la Brinkmann, la Coster sono effetti di un processo di concentrazione e di centralizzazione del capitale che poi passa ad uno stadio diffusivo, cioè l’azienda, che ha il suo grosso gigante produttivo a Dusserdolf o Milano, decide di dislocare un piccolo stabilimento in una zone dove c’è abbondanza di forza lavoro e non c’è industria, perché così può produrre lo stesso materiale con dei costi infinitamente inferiori, ma a questo punto, monopolizzata la forza lavoro di quella zona e assunte oche persone, esercita uno sfruttamento repressivo brutale che suscita tutta una serie di scontenti e di tensioni politiche. Oggi cioè si guarda una mappa europea e si butta una gomma a caso, non si batte in una città dove non si possa dire che in quest’ultimo mese non sia successo una grossa lotta: è insomma un fenomeno esteso e generalizzato dovuto a questo processo di riorganizzazione capitalistica. Cosa c’è di nuovo però che dal nostro punto di vista ci interessa? C’è che tutti gli istituti di questo sistema assumono funzioni nuove, cioè rimanendo pur uguale dal di fuori la struttura, la funzione cambia radicalmente: assistiamo cioè a un processo di vanificazione della distinzione tra struttura e sovrastruttura, ed anche tra vita pubblica e vita privata Oggi il controllo complessivo del sistema fa sì che non si abbia più spazio residuo per l’individuo: il ciclo capitalistico controlla l’uomo dalla mattina quando si alza alla sera quando va a dormire, e poi anche nel sogno, non c’è mai un momento di vita privata, tutto è annichilito nella pubblicità individualizzata della vita. Lo stesso per struttura e sovrastruttura. Si ha infine, ad un livello diverso – e siamo qui arrivati alla scuola – il fatto che la scuola, struttura identica con funzione radicalmente diversa, viene ad essere un centro di contestazione sociale amplissimo.
III PUNTO. La scuola e le funzioni nuove della scuola.
L’intervento massiccio dello Stato nell’economia fa sì che venga a crollare il vecchio tipo di capitalismo (concorrenziale analizzato da Marx) dove c’è la pianificazione nell’azienda ma l’anarchia nella società. Nel momento in cui la fabbrica diventa la società tutta e la società diventa una fabbrica, la programmazione della fabbrica diventa la programmazione societaria: in Italia proprio in questi anni ‘65-’70, d’imposta la programmazione generale del paese che controlla tutto: turismo, sport, scuola, fabbriche, agricoltura, industria ecc. Cioè c’è il bisogno di centralizzare e programmare tutto il paese. A questo punto ogni parte dei sistema viene funzionalizzata al sistema stesso. Questo non passa se non attraverso delle grosse lacerazioni sociali. Il fatto di far diventare la scuola – scuola di élite, scuola di massa – una cosa carica di esigenze infrastrutturali non soddisfatte, la violente subordinazione della scuola alle esigenze dell’industria, con la scomparsa di ogni mediazione, fa sì che la scuola venga impattata da un urto molto forte. E questo rivela la scuola come l’anello più debole di tutto il sistema sociale: cioè la scuola e lo strato specifico che c’è dentro, in particolar modo gli studenti sono lo strato sociale più facilmente rivoluzionabile di tutta la società. E di qua si può partire per estendersi poi a tutti gli altri strati. Cfr. Tutto il grosso discorso sulla scuola autoritaria e la scuola classista: scuola classista per un motivo economico e per un motivo politico – scuola di tutti classista per tutti, la scuola autoritaria, cioè dentro tutta la scuola i più rivoluzionabili sono gli studenti e non i professori perché subiscono dentro la scuola un processo di asservimento e di controllo sociale esercitato dal professore sullo studente. Resta però determinato il fatto che la mobilitazione generale sul "no all’autoritarismo" come parola d’ordine è oggi un problema largamente superato: ormai va affrontato il problema in tutta la sua dimensione sociale complessiva ...
In più abbiamo tutto un altro discorso sulla scuola: scuola selettiva, manipolativa e di legittimazione sociale.
Selettiva: abbiamo visto, manipolativa: attraverso i contenuti e attraverso i metodi di legittimazione sociale: cioè serve a conferire uno status e legittima lo status cioè una volta che uno sia ingegnere può anche non fare l’ingegnere però viene visto come l’ingegnere.
Abbiamo un terzo discorso sulla scuola, cioè la scuola come lager, non come frigorifero, neutrale, ma come un contenitore trasformatore di una massa sociale giovanile chè veramente largamente pletorica e inutilizzabile dentro le esigenze complessive dello strato capitalistico. La scuola insomma perde le sue autonomie e diventa un’articolazione dello stato: nel momento in cui si urta la scuola si urta con ciò tutto lo stato, cioè tutta la programmazione e lo stato ci rovescia contro tutti i suoi istituti repressivi. Di qua si passa a tre diversi nuovi discorsi: cioè detto in forma mitica, Mao-tse-tung, Rosa Luxemburg e Che Guevara.
Il M.S. come mobilitazione complessiva di massa di una rabbia sociale che viene subito organizzata politicamente scopre tre importanti concetti:
1. il concetto di pratica sociale, cioè che l’unico modo per acquisire nuove conoscenze è questo: partecipare alle lotte aggressive che trasformano la realtà (Mao-tse-tung).
2. Il concetto del rifiuto della delega e della tematica consiliare, cioè il rifiuto della delega nel M.S. è l’esigenza oggi sentitissima e diffusa di tutti gli strati sociali, di riassumere in prima persona il diritto di fare quelle scelte che concernono i momenti fondamentali della propria vita, per cui ogni persona passa da oggetto manipolato a soggetto politico-decisionale.
C’è poi il discorso della tematica consigliare cioè del collettivo di lavoro che non demanda sopra di sé nulla, ma che autodecide e vuole sperimentare da se stesso i propri errori. Il Movimento Operaio, il Movimento Rivoluzionario reclama il diritto di fare degli errori da se stesso e di sbagliare con la propria testa: meglio quello che non il più infallibili Comitato Centrale (Rosa Luxemburg).Concetto del rapporto oggettività e soggettività e dell’uomo nuovo, cioè oggettività-soggettività significa che il rivoluzionario non può aspettare che esistano le condizioni oggettive per poi cominciare a fare casino, ma deve cominciare a farlo subito: ‘el deber de todos revolucionarios es hacer la revolucion, ma immediatamente, questo. Perché il tipo nuovo di rapporto fra prassi e teoria che oggi viene dato dal livello capitalistico è tale che la soggettività diventa oggettività cioè la presenza soggettiva, attiva nelle lotte, trasforma l’oggettività e la solidifica. La soggettività diventa oggettività, crea cioè le condizioni oggettive della rivoluzione. Es.: in Francia, in una condizione che poteva non essere tale, l’innesco della lotta studentesca ha provocato l’esplosione della lotta operaia (anche se questo non va visto in forma mitologica, anche se già in Francia c’erano due lunghi anni di preparazione e di lotta operaia che hanno conosciuto episodi giganteschi). Quanto all’uomo nuovo va bene qui la famosa frase "Togliatti muore nel ’68": Togliatti non è morto allora, ma è morto politicamente oggi, cioè nel momento in cui le masse sociali, le lotte sociali hanno dato una grossa spallata ai nemici di classe in Europa, ed hanno buttato dentro il sistema capitalistico tutto un modo nuovo di concepire la prassi che è poi la forma più alta di vita. Vale a dire che si è riscoperta una concezione militante di far politica, cioè la frase tradizionale di qualche anno fa: io non faccio politica perché è una cosa sporca, perché – come abbiamo visto – è una cosa fatta dagli altri, usata dagli altri, si è scoperto che la politica è militanza (Guevara). E questo proprio perché si è distinto partitico da politico, proprio perché si è distrutto la delega, perché si è ridata ad ogni persona la dimensione di soggetto politico. Allora il concetto di uomo nuovo vuol dire anche: tipo nuovo di quadro, tipo nuovo di militanza, tipo nuovo di uomo.
• tipo nuovo di quadro: significa un quadro autodecisionale, cioè che non aspetta le direttive dall’alto per eseguire, ma è invece una persona che decide da se stessa (anche se non in modo individualistico, ma nel collettivo di lavoro o nel consiglio luxemburghiano) le attività politiche comunitarie: nega l’avarizia di Barbiana per affermare la politica di Barbiana, cioè la soluzione collettiva dei problemi universali.
• tipo nuovo di militanza: cioè noi non possiamo accettare le nostre limitazioni universitarie, anche se questo è corretto come modo di partenza, poiché occorre negare la propria determinazione capitalistica per riscoprirsi come uomo tout-court (Cfr. Dutschke). Quindi lo studente e la militanza politica – in generale – di una persona è rivolta a tutti gli strati sociali oppressi, brutalizzati dall’attuale sistema. Per cui per militanza noi abbiamo un concetto di pratica sociale attiva che è la presenza del soggetto ovunque ci sia bisogno di lui. Militanza significa anche un’altra serie di cose: cioè che si distrugge il partito come ente burocratico, militanza come vita in collettivo, decisioni in collettivo, strumentazioni in collettivo.
Tipo nuovo di uomo: emerge dalla sintesi del discorso sul quadro
nuovo e di quello sulla militanza nuova. Cioè bisogna che noi cominciamo
a realizzare fin da adesso elementi di contro-società, è il tema
dell’utopia operante: noi non possiamo più parlare di un’utopia,
di un modello sociale futuro che abbiamo in testa, ma dobbiamo cominciare A
COSTRUIRLO FIN DA ADESSO.
Dice Gang: bisogna stare attenti che gli elementi di contro-società che
costruiamo non contengano insieme agli elementi rivoluzionari o utopici anche
gli elementi del Termidoro. Cioè dobbiamo stare attenti che quando costruiamo
elementi contro-societari – i gruppi di autodecisione politica, i Soviet
– all’interno non vi sia il minimo difetto o la minima riproduzione,
meglio, di quelle che sono le pratiche capitalistiche: perché come sarà
la società di domani lo si vede dall’oggi – questo è
il senso, cioè quello che facciamo oggi decide di quello che sarà
la società di domani a tutti i livelli politici e di intervento sociale.
I TRE GRANDI FATTI DEL 68:
1. l’offensiva vittoriosa del FLN
2. Il M.S. come movimento internazionale
3. Il maggio francese
Questi fatti ristrutturano necessariamente il quadro concreto in cui ci poniamo. E si pone allora in modo diverso il rapporto metropoli-Terzo Mondo, cioè finalmente appare una riscossa verso una società egualitaria anche in quei paesi che fino ad oggi sono i massimi responsabili dell’imperialismo, cioè dei sistemi mondiali di dominazione. Fino ad oggi il rapporto volontaristico che avevamo instaurato con il Terzo Mondo era quello che Guevara diceva; la nostra solidarietà con la lotta del terzo mondo somiglia all’urlo della plebe romana al circo dove i gladiatori si scannano, ora esso è diventato un diverso tipo di partecipazione, cioè oggi le masse studentesche, giovanili e proletarie sono scese dai gradini e sono andate anche loro già nel circo a fare la battaglia assieme ai gladiatori. Non assistiamo più impassibili solidarizzando allo scontro Vietnam-Usa, cioè tecnologia dell’uomo-tecnologia della macchina, ma siamo schierati tutti con la tecnologia dell’uomo e con la organizzazione politica come forma decisionale dell’uomo stesso. Quindi la metropoli comincia il suo processo di negazione. Il M.S., che è un po’ l’innescatore o il detonatore di queste lotte sociali o il detonatore di queste lotte sociali porta con sé una carica ideologica e critica che garantisce l’internazionalità e la globalità del discorso, cioè il solidarismo terzomondista anche se non è passato completamente a livello delle classi proletarizzate, però è estremamente cosciente e vivo nelle masse giovanili: anzi possiamo dire che l’esplosione violenta e aperta dello scontro politico col nemico di classe è stata preparata in tutto il ’67 e in tutta Europa da giganteschi e quasi settimanali scontri con la polizia, e comunque grosse agitazioni per il Vietnam (il ’67 è stato l’anno per il Vietnam) da parte degli studenti e di altre categorie. Tutto questo avviene in un contesto politico che è connotato di due concetti: il partito desocializzato e il sindacato depoliticizzato, cioè con dei partiti politici che dichiarano di negare la società attuale i quali hanno perso radicalmente la loro base sociale, che si dichiarano partiti operai ma non sono più operai, nel senso che l’operaio non è più soggetto attivo dentro questi partiti e che non c’è una politica operaia del partito, ma c’è una base operaia e un partito che fa la politica per gli operai – il che è un’altra cosa -; e poi perché il partito non entra in fabbrica, ma demanda la lotta operaia ad un alto organismo di massa: cioè il partito diventa parlamentare, e consegna al sindacato depoliticizzato la gestione delle lotte operaie. Vediamo cioè il sindacato che diventa unicamente il gestore ufficiale della Forza lavoro dentro la società capitalistica per una remunerazione del supersfruttamento che il sistema produce. Per cui le lotte operaie sono lotte rivendicative, e le lotte politiche sono quelle che fa il partito- questo è l’assurdo. Ma dicevamo prima che c’è in Europa una presa di coscienza gigantesca, un quadro aperto di dinamica e di scontro sociale, lotte sociali aperte, queste vanno proprio contro la riduzione rivendicativa del sindacato e la riduzione parlamentare dei partiti della tensione politica espressa dalle masse proletarizzate studentesche giovanili, che invece vanno verso una richiesta di potere aperta. Entra quindi radicalmente in crisi la socialdemocrazia del M.O. Europeo. E quel che preme sottolineare è che la critica alla socialdemocrazia non è più critica libresca fatta da gruppi elitari o da riviste, ma è ormai una critica sociale di massa, pratica, cioè in atto, condotta dentro le strutture e contro le strutture, è uscita cioè finalmente dai discorsi di biblioteca per diventare una pratica sociale di piazza. Ora dobbiamo porci il problema di quale riflesso politico le lotte provocano dentro le strutture. E’ evidente come oggi in Italia, come oggi in Europa, lo schieramento politico non rispecchia lo schieramento sociale, i partiti non rispettano la determinazione di classe. Allora noi oggi assistiamo per es. in Italia lo sfaldamento, lo spaccarsi completo dell’interclassismo cattolico, o d’altra parte alla messa radicale in crisi della base socialdemocratica della socialdemocrazia. Assistiamo ad un grosso movimento, per cui i partiti rimangono statici, e la base sociale, mescolata da come prima era loro consegnata, va invece riassestandosi, secondo la sua dimensione di classe: cioè oggi al di là di ogni frammentazione ideologica uno scopre la socialità. (Cfr. in Francia, in Italia questa grossa cosa dei "fermenti cattolici", il che non è un discorso strumentale, ma che deve essere analizzato scientificamente: cioè c’è una distruzione anche di tutti quegli apparati ideologici che finora avevano negato una determinazione di classe come determinazione fondamentale). Dunque lo schieramento politico in quanto tale non corrisponde più allo schieramento sociale, per cui occorre una distruzione sistematica di tutto lo schieramento politico, un rimescolamento delle carte. Questo pone il problema del partito rivoluzionario e del rapporto uomo-natura-storia. Quando noi diciamo che è cambiato il modo di produzione delle merci, cioè il modo capitalistico di produzione su cui si fonda il sistema sociale complessivo e l’imperialismo, diciamo che è cambiato anche (poiché non si producono solo le merci) il modo di produzione dei beni e dei servizi che viene attuato attraverso l’uomo: quindi la produzione delle merci dà una determinata produzione dell’uomo. Oggi la produzione sistematica dei mezzi di distribuzione è la produzione sistematica della distruzione e degli uomini. E questo a cui noi oggi ci si ribella. Il rapporto tra uomo e natura dato dalla macchina capitalista viene negato. L’uomo non accetta più, non solamente il rapporto attuale fra operaio macchina e natura (cioè la macchina capitalista, quindi la grande industria, la fabbrica e lo sfruttamento), ma non accetta più neanche quell’altra mediazione che gli si era offerta dalla teoria del M.O.: cioè il partito marxista-leninista come medio fra l’uomo arrabbiato e la natura inerte, come l’uomo trasformatore della natura inerte. La scelta: o macchina capitalistica o partito, o merce o compagno, rimane ancora valida, ma trova una collocazione diversa.
Concetto di spontaneità. Cosa si è scoperto con queste lotte politiche? Che bisogna distinguere il partito tradizionale dalla organizzazione nuova delle lotte. Sinteticamente è: queste lotte hanno scoperto che si è superato il concetto di avanguardia così come definito da Lenin a favore del concetto di coordinamento: cioè c’è un opzione generale a favore di attività di coordinamento invece del concetto di avanguardia del partito. Vale a dire: lotte studentesche, lotte contadine, lotte operaie, delle casalinghe, etc. che poi vengono coordinate da un comitato centrale che è l’avanguardia politica, non è vero niente, c’è invece un coordinamento generale fra questi gruppi di base autonominati (per usare una terminologia di Dutschke) che pongono dentro di loro elementi di contro società attiva. Quello che si rifiuta è la centralizzazione ideologica ed organizzativa per portare avanti un processo insurrezionale o comunque di critica sovversiva rivoluzionaria. Se noi osserviamo le nuove lotte operaie, le nuove lotte sociali che si sono aperte in Europa, si osserva che si potrebbe quasi definire lotta per la lotta; in cui sono più importanti le lotte che non le rivendicazioni. Si possono fare centinaia di esempi, le "lotte rivendicative" non sono tali, perché l’operaio, finita la lotta, ha nostalgia della lotta e la vuole riprendere. Alla Michelin fanno le lotte, gli sanciscono un accordo con una parte normativa ed una salariale, la rifiutano e fanno quattro giorni di sciopero, e poi firmano un accordo che è esattamente lo stesso di prima. Questo mette in crisi il discorso "leninista" della spontaneità. Lenin diceva: se noi abbandoniamo le masse proletaria alla loro spontaneità, la spontaneità operaia non riuscirà a generare altro che tradeunionismo, cioè la coscienza sindacale della propria presenza di corpo sociale come forza lavoro dentro il sistema capitalistico. Oggi invece la spontaneità operaia va largamente oltre il tradeunionismo: l’analisi di Lenin non è che sia sbagliata, ma non va più bene. Oggi l’operaio spontaneo, lo studente spontaneo, il contadino spontaneo è tutt’altro che tradeunionismo: le loro lotte sono lotte di potere, anche se il sindacato le riduce a rivendicazioni e il partito le riduce a parlamentarismo. L’ideologia come cristalizzazione, l’ideologia istituzionalizzata viene criticata: questo non vuol dire che non rimanga o non si accetti nessuna forma di ideologia, cioè rimane chiarissimo che l’analisi che viene fatta della società è un’analisi che si rifà largamente all’analisi marxista dell’imperialismo e dei modi di produzione capitalistica; mentre viene largamente rinnovato, ma senza separare l’analisi dalle conclusioni, il modo con cui poi queste contraddizioni specifiche vengono risolte. Il rifiuto della centralizzazione è anche il rifiuto della internazionale, cioè come non pensiamo più a partiti nazionali, non pensiamo più neanche ad una internazionale dei partiti nazionali, ma pensiamo invece a forme diverse. Dev’essere chiaro che il processo di liberazione o è mondiale o non è; la libertà o è un concetto assoluto o è un concetto fasullo, o siamo liberi sempre e tutti o no è libero nessuno, poiché la libertà di uno non si può costruire sulla mezza libertà di un altro. Da qui tutto il discorso metropoli-terzo mondo, studente-operaio, ecc. per cui c’è la frase bellissima di Marx che dice che la luce della scienza non deve brillare sullo sfondo della tenebra di miliardi di uomini. Quindi il discorso della globalizzazione delle lotte rivoluzionarie deve passare attraverso un coordinamento non solamente attraverso gli strati sociali dentro un paese, ma fra paese e paese, e fra l’insieme dei paesi "evoluti" e "non evoluti". Il modo con cui noi vediamo questo coordinamento è un modo che passa attraverso una pratica sociale rivoluzionaria che costruisce fin da adesso elementi egualitari. Nel discorso contro la cristallizzazione e contro l’istituzione, c’è paradossalmente una riscoperta dei 16 punti del P.C. cinese: cioè l’esaltazione del movimento contro le istituzioni. Ogni istituzione in quanto tale è anti-umana (vedi "Che") la lotta dell’uomo è la lotta dell’umanità che ha detto basta e si è alzata in piedi, l’esaltazione del movimento e quindi delle responsabilità individuali. Quindi movimento vuol dire comitato, vuol dire soviet, vuol dire gruppi autodecisionali dentro tutto il tessuto sociale.
Azione extraparlamentare e azione antiparlamentare.
Il rifiuto della delega vuol dire che nessuno viene delegato a far politica per noi, ma la facciamo noi. E l’unico modo per farla noi è l’azione diretta: quindi l’azione diretta come azione extraparlamentare è l’unico modo risolutivo per affrontare i problemi della gente che ha deciso di risolverseli da sola. Ma assieme ad un’azione extraparlamentare, cioè un’azione che si muove dentro le strutture contro le strutture, cioè dentro e contro i partiti attuali per la loro distruzione e il loro annichilimento: uno dei presupposti della strategia rivoluzionaria a livello continentale è la distruzione del sistema attuale dei partiti comunisti europei, ed insieme a loro di tutto lo schieramento politico, quindi compresi anche i cosiddetti partiti socialisti. Occorrerà fare allora azioni specifiche anche contro questo tipo di istituzioni tenendo conto che tale azione antiistituzionale va organizzata a seconda di come sono le istituzioni. Per cui una cosa sarà il nostro attacco ai partiti, un’altra sarà il nostro attacco ai sindacati, perché diversa è la loro funzione e collocazione.
Rapporto studenti-massa proletarizzata.
Riguardo al problema terzo mondo-metropoli, abbiamo visto che il nostro ruolo è enorme: deve diventare una nostra azione politica sistematica quella di portare elementi internazionali dentro le masse in lotta. Proprio perché l’operaio è spoliticizzato e depoliticizzato, non prende coscienza del rapporto metropoli-terzo mondo, mentre noi ne possiamo prendere coscienza grazie al rapporto critico sovversivo che abbiamo verso il tipo di analisi sociali che ci è consentita. Dobbiamo portare dentro le lotte sociali questa dimensione internazionale di sfruttamento mondiale: abbiamo cioè un ruolo di attività ideologica molto preciso. Questo non vuol dire assolutamente porsi all’avanguardia: vuol dire che noi dobbiamo continuamente ‘ricordare’ cos’è il Vietnam, cos’è la Rhodesia, cos’è il peone, cos’è il ghetto nero, cos’è due miliardi di affamati nel mondo. Cfr. la frase di Don Milani "l’operaio non sa la lingua". Cioè non è noi dobbiamo andare a dirgli come si deve organizzare, come si deve liberare, come dev’essere internazionalista la classe operaia, ma dobbiamo portare dentro la classe operaia quegli elementi che poi essa stessa si auto-organizza in modo proprio.
Teoria rivoluzionaria.
Ovvero parla chi ha fatto l’inchiesta, per dirla alla Mao: cioè non si accetta più assolutamente nessun tipo di distinzione antidialettica tra azione e teoria. Guevara è l’"uomo che simbolizza l’unità nella prassi che abbiamo voluto stabilire tra azione e teoria, cioè non possiamo più accettare la divisione dentro lo stesso movimento o dentro lo stesso compagno la divisione tra una pars theoretica e una pars pratica, per cui ci sono gli esecutori e ci sono quelli che comandano. La teoria rivoluzionaria non può essere opera di coloro che non hanno fatto prassi rivoluzionaria! Il che significa che la teoria è una rimasticatura, una meditazione, un prolungamento dentro il cervello di quello che si è fatto tutto il giorno con le mani. Non si può più accettare la divisione tra ciò che dice la bocca e ciò che fanno le mani, tra ciò che dice la lingua e ciò che hanno fatto le tue dita. Quindi la teoria rivoluzionaria va vista come un momenti di una azione pratica eversiva e non come una frazione della sovrastruttura bolscevica, cioè non possiamo più pensare a un comitato staccato che elabora una teoria e poi la somministra al popolo, né d’altra parte vuol dire che noi, distrutto il concetto d’avanguardia, distrutto il concetto della sovrastruttura bolscevica, cediamo tutto in mano alla spontaneità sorgiva delle masse, poiché sappiamo che lì va fatta un’opera precisa di mobilitazione, sollecitazione, coscienzializzazione, politicizzazione. L’opera di politicizzazione dev’essere anche un’opera di globalizzazione della politicità (dimensione internazionale, vedi sopra).
Utopia operante come potere rosso.
O formazione di centrali decentralizzate, ovvero lunga marcia attraverso le istituzioni. Ora, dall’anello più debole all’anello più forte. Noi oggi abbiamo imparato che si può colpire simultaneamente la città e la campagna il capitalismo debole e il capitalismo forte. Rimane tuttavia il fatto che nella nostra strategia e nella nostra tattica dobbiamo partire dall’anello più debole per marciare contro quello più forte. L’università e la massa studentesca, la scuola e la massa scolastica sono indubbiamente l’anello più debole. Quindi dobbiamo organizzare l’università e la scuola come zone di ritirata come una zona di potere rosso, uno spazio antiburocratico dal quale non ci sbatte più via nessuno. Cioè una zona dalla quale siamo liberi di partire, usare la tattica della rete da pesca, andare nelle masse e poi ritornare nei momenti di repressione per rimeditare e per ripartire ancora in avanti: ma deve essere una zona di arretramento possibile. La zona liberata dentro la società capitalistica. Di qui si inizia la lunga marcia attraverso le istituzioni, cioè si parte dalla scuola per andare in tutte le istituzioni dove individuiamo la base materiale per un rapporto critico sovversivo: queste sono, in modo fondamentale, le fabbriche (e quindi la classe operaia di fabbrica), la campagna (e quindi i lavoratori della terra), i quartieri poveri (e quindi la gente dei ghetti) ... ma poi anche tutt’un’altra serie di istituzioni: l’esercito, la famiglia, la chiesa, gli ospedali, etc.
Potere rosso e spazi strutturali.
Spazio strutturale inteso non nel senso di contestazione didattica. Ossia la scuola ai burocrati e il MS agli studenti. Si tratta di trovare dentro la scuola quello spazio dal quale non ci possono cacciare, cioè il nostro spazio vuoto riempito politicamente da noi, nel quale – come potere rosso – dobbiamo già cominciare a realizzare elementi di contro società. Cioè la lunga marcia attraverso le istituzioni crea poteri rossi dove si comincia già a gestire la società alternativa. E quindi il MS deve già incominciare ad essere alternativa nella sua prassi, quindi: quadro del tipo nuovo, militante di tipo nuovo, uomo di tipo nuovo. Qui occorre fare la più grossa valutazione strategica: cioè la valutazione del momento congiunturale che stiamo passando. Questo chiaramente non è un momento di stallo ma un momento di transizione. Di transizione di potere dalla crisi politica del capitalismo ad una società di tipo egualitario. E’ tuttavia questo momento – di transizione non di stallo – un momento che non è rivoluzionario, cioè un momento in cui non si pone immediatamente il problema della presa del potere politico, ma un momento prerivoluzionario. Non si tratta quindi allora di organizzare le masse per prendere il potere ma di rendere rivoluzionari i rivoluzionari, di rendere rivoluzionarie le masse. Il che vuol dire dobbiamo ancora svolgere un grosso lavoro sul materiale primo che abbiamo a disposizione, che è l’uomo (studente), cioè dobbiamo ancora lavorare molto su noi stessi, politicamente, e quindi formarci tutti come quadri politici. Realizzare dentro l’Università, dentro tutto il MS il salto da quadro politicizzato a quadro politico: cioè da un quadro che ha la comprensione intellettuale delle mostrificazioni a livello mondiale ad un quadro che al di là della comprensione trasforma questa in attività pratica quotidiana. Il Che dice: il nostro amore per l’umanità deve trasformarsi in atti quotidiani di amore concreto verso l’uomo, questo è il passaggio dall’acquisizione mentale alla prassi critica sovversiva. Questi ci pone il problema dei diversi livelli di maturazione negli strati sociali. Strati già politicizzati possono non rientrare nella prospettiva che noi vogliamo usare, e non ci interessiamo quindi tanto a quelli, quanto ci interessiamo invece di stati magari non politicizzati (come esempio operai, gente del ghetto, contadini, studenti) anche se sono su posizioni non violente, su posizioni riformiste – perché non ci interessa tanto il livello di maturazione raggiunta, ma la prospettiva verso la quale vanno marciando. Cioè dobbiamo distinguere tra prospettive di tipo diverso entro diversi livelli di maturazione. Sono accettabili quindi entro una stessa prospettiva livelli diversi di coscienza (cfr. rapporti tra Carmichae e Martin Luther King).Si centra allora il discorso sulla avanguardia. Cioè noi possiamo comportarci come avanguardia ma verso quegli strati semipoliticizzati, depoliticizzati, con una politicizzazione agli inizi, per cumularli, per farli trascendere, per portarli ad un livello avanzato, cioè ad un livello di comprensione reale, scientifica, della brutalizzazione mondiale, e poi di trasformazione pratica della stessa. Dobbiamo cioè dare per scontato che l’uomo non è mai ciò che è, ma ciò che può diventare. Il succo della dialettica è che la determinazione è negazione, e può essere negata. Così un uomo che un anno fa, o un compagno che anche adesso non è sulle nostre posizioni può essere portato sulle nostre posizioni. Il che non vuol dire legalizzare l’opportunismo, e quindi modulare la nostra azione secondo la coscienza degli strati più bassi, ma scegliere quelle forme di organizzazione politica che a livello attuale dei nostri rapporti con la base studentesca, con la classe operaia e con tutto il resto ci consenta di recuperare e di portare con noi strati crescenti di popolazione studentesca e in generale proletaria. Cioè non si può rinunciare strategicamente al discorso dell’allargamento della base sociale del movimento. Specie nelle scuole. La verticalizzazione, che è oggi irreversibile, è data solo dall’avanguardia. Deve invece diventare un momento di allargamento della base sociale. Cioè non possiamo separare la verticalizzazione delle lotte dalla loro orizzontalizzazione ma il momento della verticalità (cioè della crescita politica sovversiva) deve diventare funzionale al momento dell’allargamento. Quindi oggi la nostra coscienza politica deve essere riversata su altra gente, deve trasformare la loro insoddisfazione in rabbia politica, e poi questa in organizzazione politica sovversiva. La zona della scuola, la zona dell’Università, è la zona di autodifesa del movimento studentesco, dalla quale si parte per fare la lunga marcia, usando forze sociali e forze politiche ed il tipo di relazioni fra esse distruggendo le forze politiche attuali, ma con un rapporto modulato: ad es. non si può negare adesso la funzione di controllo che ha il sindacato, ma dobbiamo imporre un rapporto di forza per cui noi riusciamo a far passare un uso operaio del sindacato. Assistiamo, assieme alla grandissima ripresa delle lotte sociali, e quindi alla riconsegna della prassi nelle piazze, nelle fabbriche, nelle scuole e nelle campagne europee, ad un altro fatto: alla sconfitta tattica di queste lotte. Questo documento lo facciamo nel giugno ’68, e questo non è indifferente perché viene dopo la rivoluzione di maggio – una rivoluzione che è finita male. Però dobbiamo dire come Marx: è morta la rivoluzione, viva la rivoluzione. Si impara più sbagliando che non vincendo sempre. La Francia ci insegna questo: che la sconfitta tattica non è una sconfitta strategica, che il capitalismo non riesce a risolvere le accuse della sua crisi, che può pacificare per il momento a livello sociale: può imporre la pace politica con la repressione, le elezioni, le riforme, ma non impone la pace sociale. E la riapertura del conflitto sociale riapre il conflitto politico generale. Noi non abbiamo però posto in crisi tutti gli strumenti di lavoro politico esistenti. Non siamo ancora riusciti a generare, ad esprimere i nuovi strumenti delle lotte di tipo nuovo. Attraversiamo cioè una fase larga aperta e nuova di sperimentazione di strumenti. (Il passaggio dalle lotte sociali da una fase difensiva ad uno offensiva richiede una radicale ricollocazione dei vecchi strumenti, una invenzione audace di strumenti nuovi). Gli istituti politici intermedi, i comitati di fabbrica, i comitati di quartiere, i comitati studenteschi, sono momenti sperimentali di azione politica spesso però inadeguati e insufficienti al livello nuovo di scontro offensivo nel quale ci troviamo. Non siamo in grado di prefigurare o dire con esattezza quali sono le forme successive verso le quali andiamo. Il problema nostro quindi – teorico e pratico – è che – rispuntata la prassi politica, rispuntate le lotte sociali – dobbiamo oggi dare a queste lotte strumenti più efficaci, più incisivi, che riescano continuamente a tenere aperta una breccia nella pace politica (che il nemico riesce temporaneamente a imporre con la repressione-riforma) per riaprire continuamente un discorso di contestazione globale. Detto in altri termini, dobbiamo riuscire a organizzare la contestazione globale ma anche la contestazione permanente. L’organizzazione di tutto questo, passa attraverso la creazione – dentro ogni angolo, ogni piega del tessuto sociale – di elementi di sovversione autogestiti, ai quali viene riconsegnata la facoltà e la capacità di decidere – affidandosi ad un processo cumulativo di trascendenza e quindi di trasmissione dalle lotte di avanguardia alle lotte di retroguardia. Possiamo vedere come, se le lotte sociali sono preparate dal basso, organizzate dal basso, sollecitate dal basso in modo che si muovano dentro le pieghe della struttura sociale, poi si possa fare lo "innesco a detonatore". Cioè una esaltazione dei momenti di conflitto da parte del MS, gli scontri di barricate, gli scontri di piazza, possono allora veramente esercitare una funzione di detonatore dentro le lotte sociali, ed aprire dentro le pieghe del tessuto sociale degli squarci veri e propri. Ma questo non è l’organizzazione della violenza autodistruttiva, cioè l’esaltazione della violenza in quanto tale e quindi dello scontro per se stesso (estetico): lo scontro va calibrato continuamente a tutta la situazione complessiva, nella misura in cui apre dentro le pieghe sociali delle grosse lacerazioni. Sennò la violenza che si autoelimina perché appare semplicemente il terrore ed il terrorismo del nemico di classe.
I° Frammento: Discorso critico sull’occupazione (per parlare della scuola) Occupazione come fatto difensivo: abbiamo verificato che dopo 70 giorni di occupazione noi eravamo finiti con l’accerchiamento della popolazione, e abbiamo scoperto che, settanta giorni dopo la fine dell’occupazione, dopo settanta giorni di lavoro fra la gente, oggi potrebbe essere accerchiata sì, ma dagli operai che ci difendono eventualmente da aggressioni della polizia. Questo ci deve insegnare parecchio sul modo in cui intendiamo riprendere le lotte nella scuola. Cioè la prospettiva che noi ci poniamo, di blocco della scuola (con l’altro di distruzione della Nato) deve essere tale da calibrare questo momento. Nel momento in cui si distrugge dentro la scuola bisogna costruire fuori la scuola, cioè trovare quei modi, quegli strumenti che operino all’esterno della scuola per rendere coscienti soprattutto gli stati oppressi, del lavoro politico che noi facciamo nei confronti della scuola. Quindi non solamente fare il discorso egualitario, fasullo e mistificatore verso la classe operaia dicendo loro che noi vogliamo la scuola di tutti per tutti innanzitutto perché questa sarebbe una presa in giro: non è realizzabile nel sistema attuale, e quindi questo vorrebbe dire chiamare gli operai a far la rivoluzione sans le savoir. Cioè bisogna dir loro chiaramente che l’unico modo in cui noi possiamo realizzare una scuola egualitaria è in una società egualitaria, quindi bisogna distruggere la società poi la scuola. Ma anche per un’altra considerazione: perché la classe operaia e tutta la gente all’esterno della scuola deve essere interessata alla lotta degli studenti contro la scuola. Perché i primi a soffrirne, i primi ad esserne colpiti, i primi ad essere violentati dal tipo di scuola attuale sono proprio fondamentalmente gli operai, e poi anche la cittadinanza in generale. Infatti la scuola produce due tipi di uomini: i tecnici di produzione e gli esperti del terziario. Quindi l’operaio che è controllato dall’impiegato di fabbrica, dal cronometrista, dal tagliatore dei tempi, dal direttore del personale, dallo psicologo di fabbrica, dal medico di fabbrica, dal dirigente commerciale etc. cioè da tutto un sistema di torchiatura esterna, deve ricordarsi che questo sistema di torchiatura è prodotto ideologicamente e materialmente dentro la scuola, per cui non può essere insensibile alla lotta che noi facciamo per una modificazione dei contenuti e dei metodi, per un riassetto radicale della scuola stessa, perché quello che esce dalla scuola va a colpire in prima persona la classe operaia stessa. Quindi la base dell’alleanza non è il salario generalizzato, ma è un altro discorso: noi facciamo un’azione contro una cosa che poi colpisce direttamente voi. Tutta la popolazione – quella violentata dalla stampa quotidiana, dalla televisione, dalla radio, dal cinema, dalla pubblicità, dalla distribuzione commerciale penetrativa, dalla persuasione occulta, è prodotta ancora una volta dall’esperto del terziario, dalla scuola attuale che produce la rotellina funzionalizzata che imbonisce, allocchisce e intontisce la gente. Noi dobbiamo colpire, chockare ma poi anche politicamente lavorare sulle persone per farle entrare nello spazio antiautoritario, per allargarlo e farlo diventare universale: e questo deve trovare nel momento della scuola un momento unificante. Non possiamo assolutamente abbandonare il discorso politico sulla scuola così come l’abbiamo fatto finora, per fare un discorso politico tout-court, bisogna conservare questa originalità del MS e ribadirla in ogni fase del lavoro politico: quando siamo con gli operai dire: non siamo un gruppo militante di studenti che lottano contro la scuola e per questo lottano anche contro la fabbrica, perché la lotta contro la fabbrica è la lotta contro la scuola, perché è la lotta contro la società attuale. Idem quando facciamo lavoro su altra gente che non lavora in fabbrica, perché anche loro sono colpiti dalla scuola attuale. Questo vuol dire non perdere – anche se non limitare – quella matrice che ci dà un marchio di originalità politica. Questo significa anche mostrare di volta in volta il collegamento che esiste fra la scuola e tutti gli altri raggruppamenti sociali proprio perché non c’è più autonomia fra scuola e industria, tra scuola e industria e polizia , tra scuola e industria e polizia e magistratura, perché tutto è collegato, allora dobbiamo collegare tutto anche noi, far vedere come la scuola sia un istituto repressivo diffuso, come la violenza della scuola sia una violenza atmosferica che pervade tutta la società civile.
2° Frammento: Sul concetto di dirigente. Le lotte attuali (il rifiuto della delega dentro il MS) hanno espresso il rifiuto del dirigente come mente organizzativa che dà la verità al Partito o alle masse. Dobbiamo tenere verso il dirigente il rapporto che teniamo verso gli altri strati sociali: cioè non un concetto di avanguardia ma di coordinamento. Il lavoro politico che la base studentesca fa sulle altre matrici sociali (classe operaia, quartieri poveri, esercito, donne, preti, ospizi, ecc.) deve essere di natura tale da rendere tendenzialmente superfluo il gruppo che ha iniziato il lavoro politico. Come fanno i neri, che organizzano la gente, ed il lavoro politico può andare avanti anche quando l’organizzatore politico se ne è andato. L’organizzatore politico deve essere un sovversivo permanente ma deve essere in modo tale da rendere sostituibile la sua presenza: deve riuscire a scatenare la soggettività in tutti i gruppi e in tutte le persone con cui lavora. Quindi come il gruppo iniziale studentesco (cioè l’anello più debole che va verso gli altri anelli della società per spaccare la catena) non lo fa in modo avanguardistico, cioè ponendosi davanti, ma sollecitando la partecipazione, l’autodeterminazione di quegli strati, così deve essere li rapporto tra quadro studentesco e dirigente politico. Cioè noi sappiamo che la distruzione della delega non è un obiettivo attuato, ma da attuare, e che non si attuerà neppure dopo la presa del potere politico. Cioè la reale uguaglianza, funzionalmente eguale, degli uomini è ancora utopia ma – discorso dell’utopia operante – dobbiamo allora cominciare già a fare il discorso della delega come discorso pratico. Cioè il dirigente deve lavorare sui compagni e i compagni sui dirigenti in modo tale che il dirigente diventi tendenzialmente superfluo. Tutto il discorso del leader e dell’esaltazione del leader deve essere radicalmente criticato, rovesciato e screditato sul piano ideologico, politico, teorico e sessuale proprio perché il dirigente è un momento di freno della coscienza soggettiva universale di questi strati.
3° frammento: Sul quadro politico: cioè quadro polivalente non quadro specializzato. La specializzazione del quadro non deve diventare la funzionalizzazione del quadro, sennò veramente la funzione fa il funzionario: e allora si crea l’esperto lavoro fabbriche, l’esperto lavoro quartieri, l’esperto lavoro esercito ecc. dobbiamo riuscire a creare il quadro polivalente, il quadro che sa muoversi, e col necessario tirocinio e apprendistato, in tutti i diversi strati sociali. Il problema della polivalenza e della non specializzazione pone il problema lavoro manuale – lavoro materiale. Così come abbiamo cominciato a dire e a fare che la persona che stende il documento se lo ciclostila per conto suo, per cui uno non pensa e l’altro esegue, così dobbiamo incominciare ad organizzare squadre di lavoro politico autosufficienti, i quali elaborano, producono, fanno il materiale complessivo e poi riescono a farlo travasare, sostituire, circolare per i quadri. Dobbiamo cioè creare questo tipo nuovo di uomo che sa muoversi non in modo umanisticamente universale ma che sa muoversi politicamente nelle situazioni determinate senza rendere mai indispensabile la sua funzione. Questa sarebbe sennò la insufficienza di un lavoro politico compiuto.
4° Frammento: Quando il guerrigliero si incontra con il peone, il peone deve sentire di trovarsi di fronte ad un eguale, il guerrigliero deve avere in più del peone due cose: una idea politica e il mitra. Cioè è il problema del comportamento politico e del comportamento sociale del quadro. Il che non vuol dire che chi è ricco dà il superfluo al povero, ma vuol dire una serie di cose che dobbiamo incominciare a porre come problema politica e attuare (cioè non si pretende di risolvere questo problema in un documento, ma di indicarne l’esistenza). Cioè è il problema di esercitare un lavoro politico, al di là della matrice studentesca, tenendo conto della determinazione specifica che lo studente in quanto tale ha come privilegiato nella società del privilegio rispetto al terzo mondo: privilegiato rispetto all’operaio, e privilegiato rispetto all’affamato. E’ il problema della distruzione di comportamenti interni, di abitudini interne, di morale interna che ha il quadro. Il modo con cui questo deve cambiare non è un modo individualistico e coscienzialistico, cioè attraverso una meditazione eremitale, può avvenire in un solo modo: nel lavoro collettivo, cioè il quadro che lavora nel gruppo di progettazione e azione politica insieme con gli altri, e insieme con gli altri fa critica e autocritica – che abbiamo già iniziato a fare ma in modo frammentario e informale.
5° Frammento: La grossissima cosa che il M.S. ha scoperto è la linea di massa. Niente è più deleterio, più frenante, più antipratico, che lo scontro di gruppi precostituiti che hanno la loro verità, cioè che lo scontro delle verità precostituite. Il discorso sulla linea di massa è un discorso che deve sciogliere nella pratica sociale ogni precostituzionale ideologica o gruppistica per ritrovare un rapporto di massa, cioè un rapporto sciolto.
6° frammento: Garanzia teorico-politica del lavoro della Sezione attività-massa non rivolti alla classe operaia. Es. i quartieri, gli ospedali, gli ospizi, l’opinione pubblica, ecc. Contro questo tipo di lavoro politico potrebbe essere fatta una critica: non è un lavoro rivoluzionario, ma è un lavoro populista, è un lavoro narodniko perché incide sulla coscienza ma non incide sull’accumulazione capitalistica. Ma abbiamo visto cosa vuol dire la rottura della falsa coscienza e la capacità di politicizzazione che questo comporta in tutti gli strati sociali che ne vengono investiti. La rottura della falsa coscienza è uno dei momenti primari del lavoro politico: non possiamo tenere come distinti, separato, il momento della falsa coscienza e il momento dell’accumulazione, proprio perché la massa politicizzata poi rovescia contro l’accumulazione capitalistica tutto il lavoro che si è fatto. Per cui rendere rivoluzionari i rivoluzionari non è un discorso radicale, ma è un discorso marxista. Ma questa critica è banale anche per un secondo motivo: per esempio i quartieri sono esattamente un bene prodotto da questa società attraverso un modo di produzione specifica, modo capitalistico che vuol dire produzione di beni, di servizi, di uomini. Ma la produzione di uomini, di servizi, di beni vuol dire anche proprio la produzione di case e quindi di luce, affitto, gas, trasporto, cinema, socialità, la sfera dei rapporti interpersonali ecc. Queste cose rientrano proprio dentro la sfera della produzione capitalistica stessa, non solo: ma come oggi si produce la merce, e assieme alla merce se ne produce l’obsolescenza per poterla infinitamente riprodurre nel giro vuoto della società mercantile fine a se sessa – come diceva Marx – (società astratta, che si riproduce nell’astrattezza), così come la Fiat produce la 500 e poi la svecchia per produrre subito un’altra che deve essere acquistata, così si produce la città e poi se ne fabbrica l’obsolescenza, con criteri di prestigio sociale, con una nuova architettura che costringe la gente ad adeguarsi continuamente a nuovi livelli di consumo civile, per cui questo consente tutta una messa in produzione in vari settori (edilizia, settore vetro, ceramiche, mobili ecc) con la possibilità di gonfiare infinitamente la massa di profitto. Quindi il lavoro sui quartieri è un lavoro che deve assolutamente investire li processo di produzione della città come bene umano, disumanizzato attraverso un processo di produzione disumana dell’uomo. Quindi è un discorso che incide direttamente sul processo di produzione capitalistica del bene proprio perché lo affronta come tale e lo distrugge come tale. Cioè nel discorso dei quartieri si fa il discorso della città comunista, tutto da inventare, ma da fare. Così il lavoro che deve essere organizzato nelle caserme, nelle carceri, negli ospedali, negli ospizi, sulle donne, sui preti, ecc. Ad esempio nelle caserme: l’esercito è una forma specifica del modo di vita capitalistico, perché questo comporta lo stato capitalistico e repressivo con forze repressive speciali (polizia, ecc.) cioè separate dalla società, opposte all’individuo (socialità opposta all’individuo, statalità opposta all’individuo). Il lavoro sulle forze repressive dello Stato è contro e dentro di esse: contro ad esempio gli organismi dirigenti di queste forze repressive, ma tentando di smuovere, di sottrarre, di portare dentro il campo antiautoritario tutte quelle forze sociali che sono per esempio il soldato semplice, la persona che viene controllata nella caserma, che viene funzionalizzata ad un servizio antiumano. Il poliziotto viene mandato contro l’operaio che lotta contro l’accumulazione capitalistica, e quindi c’entra parecchio, ecc.
7° Frammento: Problema del coordinamento orizzontale per facoltà. Due modi fondamentali: attraverso la centralizzazione, o attraverso un coordinamento tipo OLAS. Rifiutiamo il coordinamento per centralizzazione per il discorso dei diversi gradi di sviluppo, per la frammentarietà, ecc. E’ possibile invece cercare di creare un OLAS degli studenti, cioè un’organizzazione politica fra diversi gruppi autodeterminantesi che si spandono per il paese a creare una rete di comunicazione sociale e politica entro questi gruppi: una rete che non può imporre dall’alto una verità universale ma che la fa riscoprire dal basso. Ad esempio, tutti questi fuochi possono essere organizzati in un fuoco centrale, ad esempio la battaglia per la distruzione della Nato che può essere organizzata a livello europeo. Però non si può pensare ad un gruppo centrale che dirige le varie sedi, perché si riproporrebbe un meccanismo burocratico che ricade nel delegato di prima, che si vuole invece evitare. C’è però il problema dello sfasamento tra sede e sede e quindi del lavoro politico delle varie zone del Paese. Si pone allora un problema a due livelli: il primo discorso da attaccare è che la discontinuità fra sede e sede sia dovuta ad un vuoto di informazione: non è in realtà un problema di informazione, ma un problema politico. C’è anche questo per cui bisognerà organizzare strumenti di informazione, per esempio giornali, convegni o stages (giornale non nazionale, che viene fatto in sede e poi distribuito tra le sedi, al limite un giornale intersede, convegni tra i vari quadri di sede: però questi due strumenti si sono rivelati abbastanza inefficaci, il modo migliore sembra quello degli stages, cioè del gruppo di quadri che parte da una facoltà e va a lavorare in un’altra per dieci giorni o un mese e poi ritorna e ributta l’esperienza nella propria sede). Uno strumento di circolazione dei quadri tra le varie sedi può essere il lavoro sui fuori sede, come canale di espansione di una linea politica – senza comunque che nessuna linea politica si assuma il diritto di essere avanguardia rispetto alle altre -. Questo lavoro si deve porre sia al livello di università, sia sugli studenti medi, sia a livello di lavoro politico su altri strati sociali. Teniamo conto poi che un coordinamento nazionale delle attività pratico-sovversive del M.S. non può essere separato da un’organizzazione europea a livello continentale: i modi sono tutti da affrontare. (Il gruppo di progettazione e di azione contro la Nato dovrà affrontare proprio questo tipo di problema). Quello che interessa nei rapporti di coordinamento, non è tanto il livello di maturazione raggiunto, non è questo che interessa, ma qual è la tendenza di sviluppo verso la quale marcia il livello di maturazione. Il problema di omogeneizzazione dei livelli è il problema di come deve lavorare l’avanguardia: ripetendo, il gruppo che crede o si pone come avanguardia deve esercitare un lavoro politico che non lo qualifichi come tale, ma che tendenzialmente la riveli, superflua. Efficienza SNICK contro l’efficienza leninista: è più importante anche nei momenti di urgenza in cui occorrerebbe la centralizzazione, scegliere invece un’efficienza strategica a lungo termine che però responsabilizza dal basso in modo spontaneo la massa sociale. Non quindi l’efficienza dei comitati centrali leninisti, ma l’efficienza SNICK dei comitati di coordinamento che lavorano più a lungo con una strategia di guerra di lunga durata (e Marx diceva: la rivoluzione è una talpa che scava lentamente dal basso). A proposito della crescita spontanea dal basso, vanno sviluppati discorsi critici verso ogni forma di far fare la rivoluzione "sans le savoir": l’avanguardia politica deve continuamente evitare il problema degli obiettivi generali. Infatti l’obiettivo generale fornito dall’avanguardia alle masse è un modo strumentalizzante di porre il rapporto tra avanguardia politica e massa, perché l’avanguardia politica, che ha la strategia e la tattica, pone la tattica alle masse per farvi fare quella azione strategica che essa ritiene di dover fare.
8 Frammento: Sulla trascendenza: La rivoluzione di maggio insegna almeno una cosa: rimanendo vero il fatto che lo scontro per lo scontro è un discorso autodistruttivo, rimane vero anche che la partecipazione fisica allo scontro delle masse sociali – oltre ad avere un’azione di autoeducazione sul soggetto (e qui bisognerebbe leggersi i passi di Dutschke sugli scontri violenti con la polizia come autoeducazione) - sono però anche utili per un altro motivo: perché le caratteristiche di violenza, di scontro politico aperto, di esaltazione dei momenti di conflitto dati dal M.S. hanno una ripercussione sociale, di innesco, sulla classe operaia. Cioè la riduzione parlamentaristica e la riduzione rivendicativa delle lotte di potere svolte dagli strati proletari, attraverso meccanismi di delega, e l’insoddisfazione che questo ha procurato loro, fa scattare un meccanismo di ammirazione delle masse operaie verso l’avanguardia studentesca. E questo meccanismo di ammirazione è il discorso iniziale da cui si parte per trasformarlo in discorso politico organizzativo. Per cui anche a Trento bisognerà come movimento studentesco porsi il problema di riprendere l’esaltazione dei momenti di conflitto e rischiare anche il momento di conflitto aperto, senza che però questo sia strategicamente deleterio, cioè ostruisca alcuni punti di passaggio, esponga e bruci i quadri del movimento.
9° frammento: Frammento sull’avventurismo: Proprio per quello che si è detto prima (valutazione strategica generale) che questo non è un momento in cui si pone immediatamente il problema della presa del potere, mal ‘organizzazione di un lavoro politico, allora occorre dire che è avventurismo far sembrare o credere alle presone, alle masse che la presa del potere e la realizzazione di una società egualitaria è un’opera facile e rapida: bisogna invece continuamente sottolineare che sarà difficile e lunga. Non è l’esempio cubano ma è l’esempio cinese quello che abbiamo di fronte, cioè non è possibile l’organizzazione dell’isola felice con due anni di lotta, ma è possibile attraverso quarant’anni di resistenza. Bisogna cioè porre come strategia generale del movimento studentesco la strategia di una guerra di lunga durata, cioè di una lunga marcia attraverso le istituzioni, che sarà quarantennale, più o meno, ma che comunque strategicamente è infinita: cioè la rivoluzione è permanente e il rapporto critico pratico anche, la che anche la presa del potere politico non sarà né semplice né facile, proprio perché essa o è universale o non è. Quindi il lavoro sulla classe operaia, sugli ospedali, sugli ospizi, ecc. deve essere tale da porre sempre la soluzione definitiva come ultimativa necessaria, possibile (cioè bisogna ribadire che – valutazione strategica iniziale – viviamo nell’epoca della crisi del capitalismo e della attualità del socialismo), ma questo non deve diventare illusione avventuristica e quindi pensare che con uno scontro si innesca la lotta generale e questa rovescia lo stato capitalistico, prendiamo il potere e gestiamo un’isola felice di tranquillità e di pace sociale. Il processo è infinitamente più lungo, l’imperialismo è presente in tutto il mondo e le truppe dei marines sono pronte a sbarcare in qualunque lido si apra la possibilità di una liberazione umana. In Italia si riesce a dare una spallata al regime politico, e il giorno dopo è chiaro che abbiamo i marines in casa e la sesta flotta nel Mediterraneo che bombarda le coste. Questo apre un discorso sul rovesciamento violento del sistema. Cioè è chiarissimo che non c’è possibilità di un rovesciamento pacifico della società attuale, il che non vuol dire che bisogna cominciare ad andare nei poligoni di tiro, necessariamente (Discorso di Necht). La società violenta attuale può essere battuta solo con la controviolenza rivoluzionaria, la quantità e la qualità della controviolenza organizzata viene data proprio dalla violenza repressiva: è questa che dà la misura del grado di violenza che noi sapremo esprimere. In astratto si può e si deve affermare che la presa del potere è violenta, la violenza non è necessariamente armata e sanguinolenta, ma è violenza nella misura in cui prende, spacca, e distrugge la macchina repressiva dello stato, cioè comporta per es. lo svolgimento istantaneo di tutte le forze repressive (magistratura, legislativo, esecutivo, polizia, eserciti, lavoro parassitario cioè funzionari): cioè bisogna continuamente ricordare che la macchina dello stato deve essere spezzata e sostituita, non può essere conquistata e gestita.
PROPOSTE DI STRUTTURAZIONE DEL M.S.
Il M.S. si articola a tre livelli:
1. Assemblea generale
2. Consiglio dei Gruppi
3. Gruppi di progettazione e azione politica – GAP
Il GAP è l’unità irriducibile di decisione del movimento studentesco. Prosegue e sviluppa ad un nuovo livello l’attività e le finalità proprie degli "istituti politici intermedi" nati durante l’occupazione di febbraio-marzo. Lo studente che non partecipa attivamente e continuativamente ai gruppi (che potendo farlo non lo faccia) rimane semplicemente un essere frantumato e disperso, un oggetto di manipolazione del sistema scolastico e del sistema sociale complessivo, un "avaro" che tenta soluzioni individualistiche a problemi intersoggettivi universali. (Può partecipare alle A.G. ma non al consiglio dei GAP). Il GAP è un "collettivo" aperto di progettazione, azione, e teoria politica che sviluppa l’estensione orizzontale e verticale del M.S., seguendo i moduli dell’azione diretta anti ed extra-parlamentare (rifiuto della delega alle forze politiche). Le decisioni sono prese all’unanimità. I meccanismi di maggioranza e minoranza espressi attraverso il voto vanno progressivamente aboliti (rifiuto della delega alla maggioranza). Espansione della socialità dell’individuo. I GAP sono lo strumento primo di sintesi di azione e teoria del M.S. La delega all’A.G. viene tendenzialmente distrutta. Il tipo nuovo di quadro, di militante, l’uomo nuovo devono uscire dal GAP.
Proposta di GAP
1. autodifesa e repressione (forze del disordine)
2. blocco della scuola (università-media superiore-fuori sede)
3. distruzione opinione pubblica (anti-stampa, ecc.)
4. quartieri e provincia (contadini)
5. classe operaia
6. documentazione lotte sociali
7. strategia politica e azione diretta (cortei, manifestazioni)
1, 2 = zone di resistenza
3, 4, 5 = zone di espansione
6, 7 = zone di riflessione
I GAP lavorano come centri autogestiti, in piena indipendenza e autonomia. La sovranità del Gap può essere limitata solo dall’A.G. che ha diritto di censura. Tutti i GAP si riuniscono (settimanalmente) nel Consiglio dei GAP (nel giorno libero dalle attività didattiche). Si scambiano le esperienze di lavoro settoriale, se ne tenta una valutazione politica complessiva, si progettano e si coordinano le attività future. Il Consiglio è valutativo, non decisionale (per tutto quanto riguarda la totalità degli studenti, le decisioni sono prose in A.G., la quale è convocata ordinariamente dal Consiglio e in via straordinaria da un GAP).
NOTA. Sia i GAP, sia il Consiglio possono avere sede propria. L’A.G. è invece tenuta in facoltà (salvo occasioni straordinarie).
La proposta di ristrutturazione non è cristallina, ed è modificabile a seconda delle esigenze del M.S.
DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA E DELLA TATTICA
Se strategia vuol dire date diverse azioni politiche, metterle in gerarchia, allora si può proporre una strategia del M.S. Essa parte da una valutazione complessiva (vedi sopra): ed è un momento prerivoluzionario e non rivoluzionario, in cui si pone ancora il problema del lavoro politico, del rendere rivoluzionari i rivoluzionari.
C’è poi una seconda valutazione: del momento europeo. Abbiamo visto.
Terza valutazione: del momento italiano. Prevediamo l’autunno e un inverno caldi, cioè la riapertura di grosse lotte istituzionali della classe operaia che continueranno ad essere lotte sociali molto aperte, che non si lasceranno facilmente risolvere in una riduzione parlamentaristica o rivendicativa da parte dei partiti o dei sindacati. Quindi noi dobbiamo essere presenti politicamente in questo tipo di lotte: ma per esserlo, occorre avere una base irrinunciabile di massa nella scuola. Allora la strategia del M.S. pone al primo livello non la classe operaia ma la scuola, e la strategia passa attraverso il blocco della scuola nel ‘68-69, come anello più debole. Qui si pone il problema del recupero della base sociale che non è stata presente durante quest’anno e l’estensione della politicizzazione e della trasformazione da quadro politicizzato a quadro politico alle matricole che interverranno il prossimo anno. Occorre quindi cominciare a progettare una serie di azioni che verranno poi effettuate dal GAP 2, blocco della scuola, nell’Università come momento primo da cui parte per fare azione politica negli altri luoghi. In primo luogo dunque blocco nell’università. In secondo luogo bloccare i licei e le scuole tecnico-professionali: cioè organizzare la base attuale di quadri del M.S. durante questa estate in GAP nella scuola media per politicizzare strati non politicizzati e per la trasformazione da quadro politicizzato in quadro politico dentro la scuola media. Queste sono le zone di resistenza, le zone di autodifesa, le zone di potere rosso del M.S.: la vastità e l’orizzontalità ci consentirà allora il rovesciamento sul lavoro politico nei quartieri, nella classe operaia, ecc. Allora al terzo livello si situa il lavoro politico sulla classe operaia: e qui occorrerà portare avanti un discorso strategico sui sindacati, un incontro sistematico con la base operaia, per un uso operaio del sindacato, per una distribuzione dei rapporti di delega e una democratizzazione dei rapporti interni: ma non come finalità, perché essa è di creare gruppi autodecisionali dentro la fabbrica stessa, quindi al di fuori delle strutture date, sia partitiche sia sindacali. Al quarto livello è la battaglia per la NATO, questo comporta l’estensione di un discorso politico internazionale sulla miseria mondiale anche a strati sociali che non sono di scuola né di fabbrica, su questo deve concentrarsi l’azione del GAP 3.Dovremo trovare le forme di collegamento con altre sedi nazionali ed internazionali e poi progettare forme originali di intervento che sensibilizzino ad un livello di base tutta la cittadinanza qua a Trento. Il quinto livello deve essere l’estensione a livello territoriale dell’azione politica, strategicamente la provincia viene dopo la città: cioè dobbiamo seguire la lunga marcia attraverso le istituzioni, la quale fa baluardo in ogni zona liberata. Si passerà in provincia solo quando saremo riusciti a costruire basi minimali dentro la città, si può già cominciare adesso a sperimentare una serie di fuochi dentro la provincia (Calceranica, Pergine, Rovereto, Schio ecc;) ma l’intervento proprio per la provincia verrà costruito e progettato quando il volume di base sociale nella città sarà cresciuto.
18. Terza fase del Movimento: (dalla fine dell’anno accademico, all’inizio del nuovo) i seminari teorici di gruppo. Questa terza fase si articola in tre momenti principali: un primo momento, in cui un gruppo di compagni decide di "usare l’estate" rimanendo a Trento a far vacanza teorica assieme. Tra una nuotata e l’altra si mettono su tre gruppi di studio (sull’imperialismo, sulle rivoluzioni del 17-20: sul movimento). Ogni gruppo legge e discute collettivamente il problema quando ritiene di essere giunto a risultati comunicabili, relaziona in assemblea congiunta dei tre gruppi. Questo modo di lavoro, anche se estremamente difettoso, ci è molto utile soprattutto come acquisizione di metodo: si scopre collettivamente come ci hanno diseducati al ragionamento collettivo, proprio attraverso le difficoltà che insorgano durante il lavoro, causate da atteggiamenti individualistici e soggettivistici. Si accorge sulla propria pelle di quanta pazienza rivoluzionaria occorre sviluppare per poter arrivare a mettere in piedi e far funzionare un "intellettuale collettivo". Un secondo momento è rappresentato dalla nostra partecipazione al convegno di Venezia. I lavori commissione durano una settimana, e i compagni hanno modo di prendere notizia diretta della complessità politica delle differenziazioni interne al movimento su scala nazionale. Il confronto delle nostre tesi con quella delle altre sedi sarà molto utile per la calibratura successiva del M. e svolgerà una funzione non secondaria nella autocritica di settembre-ottobre. Un terzo momento che copre l’arco di questi due mesi, è connotato da una serie di azioni "esterne" (Laverda, scontro coi sindacati, manifestazione contadina, Messico, etc....) da una lunga settimana di assemblee (sulla Cecoslovacchia, sul nostro atteggiamento verso il revisionismo, sulle prospettive di lotta) (dal 9 sett. al 14) ed infine da un grosso e complesso seminario teorico articolato in gruppi di studio e centrato sulla "riqualificazione strategica del movimento". Quest’ultimo momento ha creato grosse frizioni interne, è stato piuttosto discontinuo, non si è trovato un modo di lavoro completamente soddisfacente, e la comunicazione tra i gruppi non è stata delle più felici. Ciononostante, può dirsi parzialmente riuscito, almeno per quanto concerne lo elevamento della coscienza politica collettiva del M. e la riqualificazione della linea politica da sviluppare.
Seconda Parte
19. SCHEMA DELLO STATO ATTUALE DEL "MSA" TRENTINO
Diviso in tre parti:
1. Schema politico generale
2. Materiali di lavoro
3. Autocritica dei mesi Nov/Dic.
PARTE PRIMA
Schema politico generale.
(NOTA: gli slogans usati sono formalmente identici a certi slogan tedeschi, SdS – Dutschke, ma non vuol dire più di tanto. Il problema è di "contenuti politici". E su questi si spera che le differenze appaiano in tutta la loro forza. Già quanto ci aveva detto Bachaus in assemblea avrebbe dovuto chiarificare in questo senso. Non crediamo d’altra parte che il problema si risolva mutuando la struttura formale dello slogan).
Il movimento non è organizzazione né di massa né di élite, ma deve cercare di essere "organizzazione di radicalizzazione rivoluzionaria" (senza chiudere a riccio i già radicalizzati – élite – senza mettere nella stessa pentola gradi diversi o addirittura contrastanti di radicalizzazione per smania del numero – massa). Essa si struttura in a) nucleo attivo, b) campo antiautoritario, c) popolo. Tale strutturazione deve cercare di rimanere fluida ed aperta.
Il "nucleo attivo" corrisponde più o meno al MSAntiautoritario, composta da studenti universitari e medi (ma non esclusivamente). Non pretende di raggruppare TUTTI gli studenti, ma solo quella parte soggettivamente disponibile alla lotta antiautoritaria e antiistituzionale. (Appare la distinzione tra "studente con la testa da studente" e "studente con la testa da uomo", tanto per intenderci e tanto per richiamarci alla distinzione Black Panthers "negro con la testa da nero" e "negro con la testa da bianco"). Questo non ci esime dal cercare di lavorare col massimo numero politicamente possibile di studenti (linea di massa nella scuola).
Il "campo antiautoritario" si organizza attorno a "strutture di lavoro" (Istituti, commissioni, ...) (gruppi di base) messe in piedi dal nucleo attivo (nelle fabbriche, nei quartieri, nella scuola, etc.). Esso deve puntare al suo continuo allargamento, investendo progressivamente con la lotta un numero sempre maggiore di istituzioni. Se le strutture di lavoro non si chiudono a riccio, ma riescono invece a svilupparsi e a moltiplicarsi, allora il campo diventa la base materiale di lotta antiautoritaria e antiistituzionale nella metropoli (come momento della globalizzazione della lotta internazionale).
Il "popolo". Non se ne può dare una definizione rigida. In questo contesto, d’altra parte, significa "l’insieme delle persone che sviluppano una attitudine favorevole verso le azioni del ‘campo’ e sono disponibili anche ad azioni militanti nel senso indicato dal MS". In senso più generale "l’insieme delle persone che a livello di opinione e di azione non sono disponibili per manovre tese allo isolamento e alla liquidazione del MS". (Appaiono dunque due dimensioni del "popolo": una prima ‘attiva’, una seconda ‘passiva’. Sono entrambi molto importanti concettualmente e praticamente) (Il MS deve riuscire a valutare bene tali dimensioni, specie in vista delle "azioni" che progetta. Errori di valutazione porterebbero a rischi opportunistici o avventuristici estremamente deleteri per lo sviluppo del Movimento stesso).
NOTA: Per MSA si intende il "nucleo attivo" e basta.
Per MOVIMENTO si intende "nucleo + campo" (come dimensione organizzata). "Nucleo + campo + popolo" (come dimensione non organizzata).
La cosiddetta linea generale del MSA è oggi riassumibile nello slogan "Lunga marcia attraverso e contro le istituzioni (Lumaci). In primo luogo, esso esprime (lunga marcia) una valutazione generale: che questa non è una situazione rivoluzionaria (ravvicinata possibilità di presa del potere attraverso la distruzione delle forze nemiche), ma prerivoluzionaria (occorre un lungo, faticoso, intenso lavoro di accelerazione della disgregazione del campo nemico, di costruzione del campo rivoluzionario). Per costruire il "campo rivoluzionario" occorre costruire fin da adesso un "campo antiautoritario" in crescente espansione e radicalizzazione. Per costruire tale campo occorre fin da adesso (tenuto conto della inesistenza di una teoria rivoluzionaria già compiuta, di una organizzazione rivoluzionaria già funzionante, e dunque di rivoluzionari in senso proprio) "rendere rivoluzionari i rivoluzionari per rendere rivoluzionarie le masse" (RRRpRRM) (nota: tra RRR e RRM non c’è distinzione temporale, prima RRR e poi RRM. L’unico modo per RRR è RRM e viceversa. Il nesso è dialettico ed esiste contemporaneità). (Nota: per costruire la teoria rivoluzionaria non ci si può chiudere in casa, farla, poi uscire e vincere. C’è un nesso indistruttibile "prassi teoria prassi" che non si può evitare, se si vuole vincere. L’azione senza teoria è cieca. La teoria senza azione è impotente. Tra le due non c’è separazione temporale, prima una e poi l’altra. E cioè, il M. deve riuscire a funzionare contemporaneamente come militante collettivo e come intellettuale collettivo, la sua dimensione vitale deve essere insieme "critico-pratica").
In secondo luogo: per fare una lunga marcia occorre avere un luogo da cui partire, sapere più o meno dove si vuole arrivare, disporre di una direzione di marcia (la bussola) (Nota: fatto decisivo è che si può partire in pochi, bisogna però arrivare in molti. Lungo la marcia bisogna crescere) (la rivoluzione – oggi – non può che essere maggioritaria).
Ora, molto sinteticamente, si vuol significare questo: partire dall’istituzione scolastica per rovesciarsi su tutte le altre progressivamente (le istituzioni societarie) per disgregarle-distruggerle riqualificarle. L’abolizione dell’istituzione non è l’abolizione di ogni forma di vita sociale, anzi! Tardo-capitalismo e socialismo revisionista ci insegnano che la sola forma di vita associata possibile (ad alto livello tecnologico) è quella istituzionale. Ma questo è falso. L’istituzione odierna va distrutta non perché istituzione, ma perché istituzione repressiva, regressiva, organizzazione del dominio superfluo. Essa va abolita in quanto "autoritaria", la dove autoritarismo esprime un’autorità illegittima, antisociale priva di senso. Occorre che il MSA esca dal general-generico del termine e si avvii ad un’analisi concreta dell’istituzione concreta; si organizzi teoricamente per possedere le differenze e le particolarità di ogni istituzione. Ognuna va disgregata-distrutta-riqualificata secondo modalità particolari e diverse. La mamma non è il poliziotto. La caserma non è un ospedale. Ed inoltre, ogni strato sociale si pone in modo differenziato rispetto ad ogni istituzione: per cui, "il palazzo della regione che brucia" non è visto in egual modo dall’operaio della Michelin e dall’impiegato che lavora nella Regione stessa, ad esempio. Partire dalla scuola non così com’è, ma trasformata dalla lotta, resa utilizzabile ai fini della lunga marcia. (L’esempio concreto dell’università critica è inserito organicamente in questo contesto). Si tratta di conservare la struttura dell’istituzione, rovesciandone la funzione. (Non può fabbrica di laureati "pavloviani" da inserire supini nel sistema, ma fabbrica di militanti, teoricamente armati, praticamente sovversivi, in grado oggi di iniziare la lunga marcia, domani di continuarla nell’istituzione specifica in cui verranno immessi). L’Università critica (KU) – quindi – non è un dato esaurito su se stesso. "Serve" al "rovesciamento sulla Città" (alla marcia attraverso e contro le istituzioni) è finalizzato a quello. Il "modo" di rovesciamento dovrebbe essere le "strutture di lavoro" del MSA, oggi, le varie commissioni, tipo Fabbrica, Stampa, Scuola, Città, etc. ...).
NOTA: Le cose non vanno avanti da sole. Il momento d’inerzia del mondo sociale ed istituzionale è molto grande. Per vincerlo e mettere in movimento le "cose", occorre: tempo, fatica, pazienza e una grossa dose di "speranza rivoluzionaria", di tensione utopica verso il futuro, in ogni compagno. Oggi, molte cose non vanno. Sia a livello di KU, sia a livello di "rovesciamento sulla città". Si tratta di non buttare via il bambino insieme all’acqua sporca. Cioè di lavorare attivamente e con precisione nei "punti difettosi" (anche se sono molti), correggerli e farli andare meglio. Lamentarsi che le cose non vanno e basta, è un modo per pianificare l’esistente e per eternizzare il malessere. L’individuazione dell’errore e del difetto serve alla correzione, iniziandone il processo, o serve al suo ingigantimento pessimistico. Ed è controrivoluzionario.
Il modo di lavoro politico del MSA è sintetizzato nello slogan "Rompere la falsa coscienza". Esso esprime il fatto che le masse odierne reagiscono in modo "funzionale" agli stimoli della struttura ed ai richiami dei dominanti. (Occorre su questo punto che il MSA sviluppi teoricamente una "Antropologia concreta dell’uomo della metropoli". La KU potrebbe essere usata in questo senso). Attorno al MSA non ci sono cioè masse disponibili o neutrali (il vuoto) ma masse manipolate e affatto disponibili (pieno cattivo).
NOTA: (Alcuni compagni commettono su questo punto un grave errore opportunistico. Scambiano cioè l’atteggiamento sfavorevole delle masse nei nostri confronti, che è il punto di partenza necessario del nostro lavoro, per un risultato del nostro lavoro, che viene allora definito avventuristico e gravido di errori. L’atteggiamento reificato delle masse, la loro falsa coscienza sta all’inizio del processo: (pieno cattivo) questo occorre aver chiaro. Ciò che il nostro lavoro deve riuscire a realizzare è di iniziare il mutamento, il rovesciamento, la rottura. Certo abbiamo commesso errori, e talora questi hanno rinforzato la reificazione della massa, piuttosto che indebolirla. La critica in questi casi è corretta. E’ invece scorretta quando scambia la premessa per risultato.
Occorre aver teoricamente presente il livello di manipolazione delle masse cui è giunto il sistema, combinando insieme l’azione dei dominanti con quello dei revisionisti. La necessità della LUNGA marcia e l’urgenza di Azioni di chiarificazione, nascono proprio da questa constatazione teorica iniziale). Il processo di rottura della falsa coscienza presuppone da parte del MSA l’acquisizione della necessità di sviluppare una politica offensiva, e non una politica di "reazione difensiva" (agire in risposta ad una modificazione esterna). Sviluppare una politica offensiva richiede da parte del MSA una grossa maturità nella realizzazione del "salto" politico rispetto alla fase precedente (appunto, divensivistica). Una serie di screzi apparsi internamente al movimento è proprio conseguenza della tensione indotta da questo "salto" e dal modo a volte scorretto con cui lo si è portato avanti. La forma generale della "politica offensiva" è la "Campagna di massa". Tale concetto richiede alcune puntualizzazioni sui rapporti tra strategia e tattica. (Mao). La nostra strategia è lottare 1 contro 10, la nostra tattica lottare 10 contro 1. La realizzazione del nesso efficace tra tattica e strategia è possibile solo se il MSA si dota di un’"organizzazione" adeguata all’offensiva. (Il "salto" di cui si diceva prima comporta necessariamente una ristrutturazione anche organizzativa). Il funzionamento generale dell’organizzazione deve seguire tre principi:
a. l’unità fra dirigenti e quadri entro il MSA
b. l’unità fra MSA e popolo
c. portare avanti la disgregazione entro il campo nemico. (Cioè: la nostra vittoria dipende no solo dalle operazioni delle nostre forze, ma anche dalla disgregazione delle forze nemiche).
NOTA generale: è opportunismo non combattere quando si può vincere, è avventurismo ostinarsi a combattere quando non si può vincere,
la nostra strategia e la nostra tattica riposano su questo punto fondamentale: Combattere. Ammettiamo dunque la necessità del "ripiegare" proprio perché ammettiamo prima di tutto la necessità di combattere. (Lin Piao "viva la vittoriosa guerra popolare").
La "campagna di massa" (politica offensiva) va quindi avanti efficacemente solo se va avanti efficacemente la "campagna di disgregazione" (politica difensiva) Per "campagna di disgregazione del campo nemico" si intende la creazione – da parte del movimento – di strutture permanenti di "servizio del popolo" (il "campo") che ci consentono di penetrare nelle masse, distruggendo gli stereotipi sul nostro conto (frutto della manipolazione del nemico, risultato della reificazione, della falsa coscienza). Es.: doposcuola gratuito, asili gratuiti, alfabetizzazione politica, etc ... più in generale, tutto il lavoro delle commissioni e dei suoi gruppi di base nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole.
La lunga marcia avanza in due modi simultanei – dunque:
- Attraverso le istituzioni strutture al servizio del popolo (per disgregarle) Difesa
- Contro le istituzioni campagne di mas-sa di urto e chiarificazione (per di-struggerle) Attacco.
Appare subito chiaro che il "lavoro politico" del movimento si connota come "condurre la guerra su molti fronti" (su alcuni attaccando, su altri difendendo, su altri ancora distruggendo il nemico). E ciò è molto difficile. Presuppone una forte autonomia delle "articolazioni interne" del MSA (per cui ogni "gruppo di base" regge il suo fronte) ma anche una "direzione politica" omogenea (per cui i vari "fronti" non sono tra loro scoordinati).
Occorre qui evitare due rischi:
• il rischio della soluzione burocratica (centralizzazione in un ufficio politico, che elabora la linea, formula le proposte, emana direttive che le varie sezioni devono applicare in modo disciplinato, controllate in ciò da un sistema di "commissari politici" aderenti all’ufficio).
• Il rischio della soluzione democraticistica, liberista (per cui l’autonomia scade a "io faccio ciò che mi pare" oppure "il mio gruppo fa ciò che gli pare e gli altri si arrangino". A questo punto un fronte avanza e gli altri si sfasciano, ponendo il MSA in forte crisi e bloccando quindi anche il lavoro dell’altro "fronte marciante".
Es. Può darsi che la Commissione Fabbriche lavori bene. Ma se il suo lavoro non è a coscienza di tutto il MSA, di tutte le sue articolazioni di lavoro, il movimento finirà per muoversi su una linea parallela (nel migliore dei casi) oppure divergente (come è successo il giorno dello sciopero generale per i fatti di Avola). (In quel giorno si è avuto modo di vedere come il MSA abbia poco o affatto acquisito e fatto proprio il concetto e la pratica della Linea di Massa. L’attacco ai sindacati fatto in quel modo "scavalca" la Comm. Fabbriche, ne rovina il lavoro, costringendola ad un faticoso recupero. Ed inoltre isola il Movimento, lo racchiude nel "ghetto d’oro" dei "purificati", di coloro "che sanno". Nel MSA ricompaiono improvvisamente spazi politici per una mentalità minoritaria, per quadri che si muovono su una logica frusta di "gruppetto", per una "pratica sociale" verbosamente dichiarativa e praticamente SUICIDA. Il desiderio, che si fa politica, senza alcuna mediazione, conduce solo all’isolamento delle masse, alla impotente contemplazione di "ciò che accade". Il piatto iroso e l’urlo di condanna commemora l’incapacità dei compagni ad uscire dal gruppismo, a fare politica come movimento di massa su una linea di massa). E’ quindi urgente elaborare – da parte delle commissioni – un modo di "coordinamento politico delle iniziative teorico-pratiche tra le varie commissioni, e tra l’insieme di queste e tutti i compagni del MSA. (Tale coordinamento non può certo essere espletato dalla Comm. Coordinamento, che ha prevalentemente funzioni tecnico-politiche. Né dalla Comm. KU, che ha altri compiti. Né da alcuna commissione. Il problema va oltre le comm. E investe la struttura assembleare del MSA.
NOTA. L’assemblea è repressiva e fascistizzante, dicono molti compagni. Ed è vero. Infatti ci si va in modo tale da renderla repressiva e fascistizzante. Per es.: riducendola ad ‘Assemblea puramente tecnico-organizzativa’ oppure, che è il risvolto della medaglia, ad assemblea ping-pong politica sul general-generico, quando alcuni chiedono ad altri, "spiegami cosa vuol dire KU o robe simili", ed altri gliela spiegano.
L’assemblea non deve essere buttata via perché non siamo capaci di usarla. (Chiaro almeno che la colpa non è sua ma è nostra). Dobbiamo buttarci via noi, per come andiamo in assemblea. Andarci in modo diverso per farla diventare qualcosa di diverso (che se vogliamo, non chiamiamo più assemblea). Questo "diverso" non è certo (non solo) un atteggiamento psicologico. Non è certo (non solo) un diverso individuale. E’ una questione di "strutture di lavoro" e di "collettivo di lavoro". Cioè una questione politica. Richiede l’invenzione di un "modo di comunicazione" teorico-pratico tra ogni singolo compagno e gli altri compagni del "gruppo-base", tra ogni gruppo di base e gli altri all’interno di ogni "commissione", tra ogni commissione e tutte le altre commissioni, tra l’insieme determinato delle commissioni e l’"assemblea". Il singolo compagno che pretende di arrivare in assemblea saltando tutte le mediazioni concrete (che si sono dette) rischia – a suo svantaggio – di non capirci niente e di rimanere fortemente frustrato. (Appare il carattere autoritario di certi compagni, che in assemblea divengono dei "repressori"). Oggi però anche il compagno dei gruppi di base tocca la stessa sorte. Quindi c’è qualcosa di grave che non va. A parte le lacune d’"informazione" e le "cattive volontà" di certi compagni, a noi pare che il problema sia più di fondo e riguardi cioè la cattiva teoria che il compagno si porta in testa (da cui discende una "cattiva pratica"). Non si tratta di "carenza teorica" (il solito discorso del VUOTO, che basta prendere e riempire). Ma di "cattiva teoria" (cioè, un pieno cattivo che va distrutto e ricostruito). In questo secondo caso, la soluzione non è sempliciotta (cioè: basta dare informazioni, basta dare nozioni, basta dare la teoria-buona-che-c’è, e il gioco è fatto) né rapida (es.: basta fare un documento, poi tutto funziona. Oppure: ci troviamo, discutiamo, e in due o tre assemblee le cose tornano a posto). Anzi: LA SOLUZIONE E’ DIFFICILE E DI LUNGA DURATA. Esige addirittura una ‘campagna di rettifica’ dentro l’intero movimento. (Ricordiamo ai compagni che il PC Cinese, formato da quadri strepitosi tempratisi in 50 anni di lotte, combatte ancor oggi con pazienti "campagne di rettifica" gli errori e le deviazioni che ad ogni piè sospinto fanno capolino nel Partito. E il Partito è "la parte migliore del popolo", tanto per ricordarsene. Figurarsi il popolo). In altri termini, crediamo che solo una "piccola rivoluzione culturale", ad ampio raggio e diluita nel tempo (PERMANENTE), sia in grado di correggere le storture più gravi che insorgano entro il MSA. (NOTA: correggere, non ELIMINARE. Compagni che sostengono l’eliminazione permanente delle storture e degli errori hanno – evidentemente – una visione burocratica del processo rivoluzionario, oppure se sono dei "buoni compagni", una visione da favola dello stesso: arriva la Fata dai capelli turchini, e PLAP! colla bacchetta magica mette antagonismo e contraddizioni tutte da una parte, dall’altra ... BAH?).
Mao – L’antagonismo è sopprimibile. La contraddizione no. Essa è eterna.
(La contraddizione del sistema pervade ogni particolare. Essa è anche "in seno al popolo". Il popolo la ripercuote nel suo partito. Se il partito esprime veramente – e non burocraticamente/angelicamente – il popolo, in esso vi sono e vi saranno contraddizioni. Il movimento non è una schiera di cherubini. Il movimento si muove per contraddizioni. Si tratta di non cadere in forme di "sopportazione" tale che lo conducano a diventare simile all’Armata Brancaleone. Le contraddizioni vanno invece individuate e combattute a LIVELLO POLITICO: cioè: non personalizzando la contraddizione che si va combattendo in un singolo compagno, attaccarlo in quanto persona. Ciò che va attaccato e distrutto è l’errore politico, non il compagno. CURARE LA MALATTIA PER SALVARE IL PAZIENTE, dicono i compagni cinesi, "esperti" in questo campo).
Quali forme dare, per intanto, a tale RIV. CULT. PERMANENTE entro il movimento?
A noi pare che la soluzione a tale problema verrà dal Mov. stesso – deve venire da esso. Ma che comunque tutto debba essere incentrato sui contenuti di fondo espressi in precedenza: cioè, lotta contro il pieno cattivo (cattiva teoria, cattiva pratica) critica ed autocritica dei gruppi di base delle commissioni dell’assemblea del loro modo di lavoro interno ed esterno
NOTA. Se lo scopo della "lunga marcia" è RRRpRRM, scopo del lavoro politico del MSA è allargare il campo antiautoritario, indebolendo il campo nemico.
L’accelerazione soggettiva del processo rivoluzionario.
Cioè lotta contro l’opportunismo e il codismo. Essi pongono la linea di massa in questo modo: la politica si fa impostandola su bisogni e su desideri attuali delle masse mettendosi al loro servizio. In tal modo non si distingue più tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato nelle masse, si dimentica teoricamente e praticamente che le masse hanno una natura duplice e ambigua (sono ciò che sono, ma anche ciò che potrebbero diventare) (e ciò che sono è: ciò che sono per il padrone, in sua funzione, masse subordinate. Invece devono diventare dominanti. Ma per diventarlo devono mutarsi profondamente, negarsi dialetticamente). Questa posizione sfocia nello spontaneismo, nella contemplazione delle chiappe del proletariato in movimento (quando si muove). Essa ratifica ed eternizza l’ordine esistente: porta le masse a rimanere sempre schiave dei dominanti e di loro stesse. Ne vieta l’emancipazione. Occorre rompere la falsa coscienza delle masse. E tale rottura non può provenire da un processo contemplativo, pedagogistico, coscienzialistico. Ma a livello di prassi, di ESEMPLARITA’ dell’azione militante. Ovvero: Il MSA non conta tanto per quello che dice ma per quello che fa. (Le masse percepiscono il livello critico-pratico in modo più profondo e libero che non il livello critico-teorico. A livello del dire esse sono subordinate al MSA. La loro emancipazione avverrebbe nella subordinazione intellettuale. A livello del fare, la faccenda si pone in modo differente. Esse possono prendere posizione. Magari anche non subito, ma possono. Possono risalire PER CONTO LORO da ciò che si è fatto a ciò che si è detto o si voleva dire (In tal processo – risalire per conto proprio dal FATTO al DETTO – si esprime la ottura della falsa coscienza.
NOTA: occorre calcolare molto bene la AZIONE ESEMPLARE. Prepararla (I fase) con volantini, discussioni, comizi voltanti, manifesti etc. ... Seguirla (2 fase) senza improvvisare individualisticamente ... Chiarificarla (3 fase) con da-tze-bao, volantini, discussioni, etc. ...
NOTA: perché ‘chiarificarla’, se le masse ‘devono arrivarci da sole?’ Crediamo opportuno porci questa domanda, anche se la risposta non può che essere ovvia. Ma molti compagni attratti dallo spontaneismo, non vedono la necessità di questa fase.
Ecco. Si potrebbe rinunciare a ‘chiarificare’ ad un atto: che i nemici di classe, i professionisti della distorsione, della manipolazione, dell’inversione di significato, rinunciassero anche loro a ‘chiarificare’ (attraverso giornali, radio Tv, prediche in chiese nei partiti, nei sindacati ...). Visto che non rinunciano, che non lasciano che le masse ‘ci arrivino da sole’, ma vogliono invece dar loro una mano ... ecco, sarà bene che facciamo tutto il possibile per neutralizzare o ridurre tale tipo di ‘chiarificazione manipolatrice ‘ con una chiarificazione nostra. Sulla necessità di agire c’è invece poco da notar salvo una cosa. "DOBBIAMO IMPEGNARCI NELL’AZIONE SE VOGLIAMO CHE IL POPOLO LEGGA CIO’ CHE SCRIVIAMO". (Dice il ‘Black Panther Huej Newton). Cioè: la qualificazione politica del msa riposa nell’azione che pratica (soprattutto) perché è questo l’unico modo in cui si distingue e ‘si presenta’ diverso dalle altre istituzioni. Queste ultime infatti sono caratterizzate dalla PASSIVITA’ ESEMPLARE rispetto alle masse (tutto il loro agire è caratterizzato dal non saldare mai – o solo occasionalmente – ciò che dicono con ciò che fanno). (Salvo evidentemente i casi in cui ciò che dicono corrisponda ai loro interessi e non a quelli delle masse. In questi casi ... fanno anche). L’esemplarità dell’azione collettiva risiede – oltre tutto – anche in questo. Che il desiderio non si fermi allo stadio dell’espressione (verbale/dissenso) ma lo superi per ‘saltare’ allo stadio della realizzazione (pratica/altro senso).
NOTA: L’azione e l’esemplarità hanno significato solo nella misura in cui sono calibrate al popolo, sono rivolte verso il popolo, hanno obiettivi popolari. Non si può prescindere – ANCHE SE NON CI SI PUO’ FERMARE – dallo "stato attuale" del popolo. Prescindere dallo stato attuale del popolo è avventurismo.
Fermarsi a tale stadio e non andare oltre è opportunismo.
Occorre trovare una mediazione concreta, tra stato attuale e stato "superiore" di politicità. Occorre partire dal disagio immediato per saltare al disagio reale. (Far percorrere alle masse il cammino – discontinuo – che va dai bisogni immediati a quelli reali. Dalla necessità della bistecca alla necessità dell’emancipazione collettiva, della rivoluzione). Il lungo processo può essere disseminato di errori. A volte il M.S.A. si porrà alla testa delle masse senza essere alla testa delle masse (porsi=essere). Bisognerà cogliere tali momenti, vederne gli errori, criticarli per evitarli in futuro. Essi sono tuttavia frutto di una situazione paradossale in cui ci troviamo come MSA.
Situazione paradossale: noi agiamo in nome del popolo senza che il popolo ci abbia chiamati ad agire per lui. ANZI: il popolo ha delegato già ALTRI a rappresentarlo (sindacati, partito, parlamento). In essi non si riconosce completamente, ma neppure completamente li disconosce (perlomeno esplicitamente). Dobbiamo rendere esplicito tale disconoscimento dei "delegati dominanti" da parte delle masse. Per una loro emancipazione IN PRIMA PERSONA. Ma non ci hanno chiamato a questo. Siamo – per così dire – "SOSPESI" (delegati oggettivi del popolo, non soggettivamente riconosciuti dallo stesso). Appare abbastanza chiaro da tutto il contesto del MSA, come esso non sia un movimento pre-parlamentare e pre-politico, bensì extra-parlamentare e post-partitico. Tutta l’entrinsecazione del movimento è già direttamente politica. E lo è anche e nella misura in cui, per estrinsecarsi rifiuta la canalizzazione parlamentare e partitica, sulla logica del rimando alle istanze superiori e sulla delega, per affermare invece la partecipazione diretta, militante, in prima persona di ogni soggetto storico (che si espone in prima persona ma controlla anche in prima persona la preparazione, l’esecuzione, il risultato della lotta, accettandone a priori di esserne investito nelle conseguenze).
IN SINTESI.
Il MSA si trova a doversi muoversi, nella propria lotta anti-istituzionale ed antiautoritaria, su parecchi fronti:
a. un fronte interno al movimento studentesco stesso (campagne di rettifica contro l’avventurismo e l’opportunismo, contro un cattivo stile di lavoro, contro la burocratizzazione delle strutture di lavoro, contro l’autoritarismo dei compagni militanti).
b. un fronte "esterno" (articolato in parecchi fronti). Prendiamo due sezioni:
1. L’Università (rovesciarne la funzione rendendola Università Critica. Gestirne permanentemente la "criticità" contro forme di stereotipia e di intellettualismo. Rovesciare a sua volta la K.U. sulla città come "restituzione del sapere sociale al popolo").
2. La città (come articolazione particolare della "Metropoli", come grumo di istituzioni potenti.
Il MSA si muove qui dentro a due livelli:
• difensivo: costruzione di strutture di servizio al popolo, disgregazione del campo nemico (mensa popolare, alfabetizzazione, comitati, ecc.)
offensivo: campagna di massa di urto e di chiarificazione (sul
tema centrale della distruzione della ricchezza sociale).
Per reggere alla lotta su parecchi fronti il MSA si struttura in articolazioni di lavoro (corrispondenti ad istituzioni specifiche, le attuali COMMISSIONI) che sviluppano autonomamente il "campo". Entro ogni "ISTITUTO" (articolazione del MSA/struttura di lavoro) esistono uno o più "GRUPPI DI BASE" (Es. entro la COMMISSIONE FABBRICHE esistono i gruppi di base SLOI, quello MICHELIN, quello ITALCEMENTI ecc.). Anche questi gruppi di base hanno la massima autonomia di lavoro. Il MSA conserva anche una struttura "generale": l’Assemblea . (In essa non dovrebbero confluire i singoli studenti atomizzati, ma gli studenti antiautoritari organizzati in una o l’altra articolazione del MSA stesso). Abbiamo visto come la irrinunciabile autonomia politica dei "Gruppi di base" e degli "Istituti" debba essere accoppiata (non giustapposta, ma fusa) a una indispensabile coordinazione (politica) collettiva dei movimenti specifici dei singoli ordini.(Tale coordinazione non può essere attuata da un gruppo specializzato, che si autonomina Cervello Coordinatore del MSA, gruppo magari composto da sempre le stesse persone, che diventano così elementi fissi e fissibili del movimento, "professionisti della politica" contrapposti ai "dilettanti della politica". Tale coordinazione non deve piovere dall’alto e dall’esterno del lavoro degli istituti, ma ne deve venir fuori come necessità critico-pratica, per linee interiori. Essa può avvenire a livello di tutti i gruppi di base e anche – talvolta – a livello di "responsabili tecnici" (rotanti) (in casi urgenti e per motivi di necessità: es. esplosione rapida della repressione poliziesca e giudiziaria). La teoria e la prassi del MSA devono passare per ogni compagno dei gruppi, filtrare in ogni istituto. L’assemblea a questo punto è grossa occasione di "meeting" politico generale (e non può organismo che – fittiziamente/burocraticamente/ - prende le cosiddette decisioni. Oppure organismo di coordinamento burocratico/tecnico dei lavori già fatti o in cantiere e per sé "intoccabili", non sottoponibili a critica politica). La distruzione dello studente atomizzato e del quadro specializzato devono avanzare di pari passo colla distruzione dell’Assemblea attuale (Repressiva).
PARTE SECONDA
MATERIALI DI LAVORO
Crisi ideologica del proletariato. (questo concetto si riferisce ad una tendenza soggettiva rivoluzionaria del proletariato che non arriva a realizzarsi, anche quando esistono tutte le premesse economiche e sociali favorevoli a tale "realizzazione rivoluzionaria").
(NOTA: nell’ipotesi generale della teoria della rivoluzione, la crisi generale economica e sociale del capitalismo è la base materiale e la premessa necessaria per la sua crisi politica decisiva, e dunque per una emergenza rivoluzionaria della coscienza di classe e della prassi proletaria. Il non verificarsi di tale emergenza si esprime in "crisi ideologica del proletariato" e di conseguenza in crollo della teoria della rivoluzione così costruita. Il capitalismo sopravvive alla sua crisi. Si ridimensiona e ristruttura: trova soluzioni economico-politiche interne al suo modo di produzione e riproduzione sociale).
Per "crisi ideologica" si intende l’insieme di queste tre formulazioni descrittive:
1. La precarietà oggettiva della società borghese si riflette dentro la testa del proletario con apparenza di stabilità, di naturalità non rovesciabile.
2. Il proletariato resta prigioniero – per lo più – delle forme borghesi di pensiero e di sensibilità. (Nella sua testa non ci sono le idee ‘sue’ ma quelle dei padroni. Nel suo corpo ci sono non i comportamenti ‘suoi’, ma quelli del padrone). (senza "autonomia").
3. L’imborghesimento dei proletari – inoltre – viene strutturato e fissato in forme organizzative che lo riproducono ed eternizzano. Tali forme organizzative sono quelle del Movimento Operaio tradizionale (Partiti e sindacati).
Funzione del M.O.
SINDACATI: atomizzare e spoliticizzare il proletariato e il suo movimento di lotta. Mistificare ed occultare il rapporto, tra particolare e universale (tra singola lotta e altre lotte, tra fabbrica e società, tra capitalista singolo e capitalista collettivo, tra "lotta economica" e "lotta politica").
PARTITI: fissare ideologicamente ed organizzativamente la reificazione della coscienza del proletariato, mantenendola al livello di "imborghesimento relativo" (articolazione della delega, separazione tra luogo della lotta e luogo ove la lotta viene gestita, espropriazione delle capacità decisionali della "base", manipolazione ideologica e sessuale) (il sindacato depoliticizzato e il partito desocializzato coprono in tal modo gli spazi lasciati liberi dalle altre istituzioni borghesi. Ne compiono l’opera il controllo e manipolazione repressiva. Non emancipano il proletario né lo imborghesiscono: lo fissano allo stadio di "imborghesimento relativo").
Il M.O. può assolvere tali funzioni solo in quanto:
1. La crisi ideologica è presente nel proletariato stesso (come base materiale su cui cresce e si articola la sovrastruttura del M.O. Il M.I. non è un "malo diablo" che reprime sadicamente un proletario sorgivamente rivoluzionario. Il M.O. ha invece radici concrete nel proletariato, anzi, nella parte peggiore del proletariato). Il M.O. è la sovrastruttura visibile del menscevismo interiore del proletariato. Lo ratifica ed eternizza, lo riproduce anziché distruggerlo: ecco in cosa consiste la natura repressiva – e non emancipatoria – del movimento operaio.
2. E’ teoricamente e praticamente impossibile – per il proletariato – una crescita SPONTANEA fino alle fasi più mature della sua "negazione determinata".(Crescita di tipo: a – ideologico; b – strategico; c- organizzativo; d – tattico; e – sessuale. Questi cinque punti esprime ciò che Lukacs chiama "AUTONOMIA DI CLASSE". Bene, questa compiuta autonomia di classe è irrangiungibile in modo puramente spontaneo). Il M.O. può autoriprodursi come repressore proprio grazie a tali limiti strutturali della "spontaneità operaia". Il "SOGGETTIVISMO BUROCRATICO" del M.O. attuale si esprime proprio nella sua rinuncia a sprigionare e portare alle ultime conseguenze le indicazioni spontanee delle lotte proletarie più avanzate. La rinuncia al momento della "direzione politica rivoluzionaria" diventa "direzione controrivoluzionaria" delle lotte stesse. Repressione determinata dalla spontaneità.
3. La crisi ideologica del proletariato metropolitano comporta – a lungo andare – un ROVESCIAMENTO IDEOLOGICO di "quel" proletariato che si è sviluppato sotto e dentro il capitalismo, sotto e dentro l’influenza delle forme di vita (pensiero e sensibilità) borghesi (cioè, il non completo sviluppo della spontaneità operaia insorta durante le lotte significa "regressione di tale spontaneità. Perdere non vuol dire solo occasione perduta, ma regressione prodotta. La spontaneità diventa "rabbia". Il collettivo decade a individuale, e a quel livello sopravvive corrotto).
(La non soddisfazione degli INTERESSI REALI del proletariato, sommata dialetticamente alla soddisfazione ripetuta degli INTERESSI IMMEDIATI in tutta la loro particolarità e limitatezza produce il salto da "crisi ideologica" a "rovesciamento ideologico". Abbiamo sì fette crescenti e massive di proletari che si "FASCISTIZZANO". E addirittura masse operaie dichiaratamente razziste e fasciste come quella americana).
NOTA GENERALE: un modo estremamente scorretto di "far politica" è quello che si fonda su una visione dialettica del rapporto economia/ideologia, rapporto immediato per cui la crisi economica del sistema diventa direttamente crisi politica del sistema, e tutto ciò diviene con poco sforzo SOCIALISMO.
Basta cioè:
1. Rendere cosciente ciò che è incosciente
2. rendere attuale ciò che è latente (nel sistema)
Una "buona presa di coscienza" e una "guida chiara" sono elementi sufficienti a realizzare il "gran colpo di teatro". Un intenso lavoro di diffusione capillare del materiale storico/dialettico ed un partito rivoluzionario lanciaslogans bastano al "ribaltone". (Alcune cose dette sul maggio francese avevano questo tono).
INVECE (LUKACS): la coscienza di classe del proletariato non si sviluppa PARALLELAMENTE alla crisi economica oggettiva, LINEARMENTE e NELLO STESSO MODO IN TUTTO il proletariato. (Può avvenire che il crollo oggettivo della società borghese si verifichi prima del consolidamento nel proletariato di una coscienza di classe rivoluzionaria). In altri termini: non esiste un parallelismo semplice e lineare tra posizione economica e volontà politica, tra economia e ideologia. E lo sviluppo soggettivo del proletariato non ricalca gli stessi tempi dello sviluppo oggettivo del sistema e delle sue crisi economiche e politiche. Crisi ideologica del proletariato = ritardo dell’ideologia proletaria rispetto alla crisi del sistema.
OGGI: il crollo della "teoria della rivoluzione" fondata sul principio dell’unità sovversiva miseria-lavoro, e, secondariamente, sulla "crisi economica" del sistema come luogo prediletto del "salto rivoluzionario (la pippa sul concetto "crisi economica senza vie di uscita", oggi è buffa. Non tiene conto delle innumerevoli "uscite di servizio" che il capitalismo internazionale è andato costruendosi in questi 50 anni, specie dopo la grande crisi del 1929, e che dimostrano di non funzionare poi tanto male), tale crollo dicevamo pone il movimento davanti al difficile ma necessario compito critico-pratico di elaborare una TEORIA DELLA RIVOLUZIONE a livello metropolitano, adeguata alle necessità internazionali di "globalizzazione della lotta rivoluzionaria". In questo senso ci appare importante un’analisi dei mutamenti intervenuti nel sistema dopo la Grande Crisi (analisi del tardo-capitalismo), un’analisi dei rapporti tra economia e ideologia (nella metropoli soprattutto), un’analisi sul concetto di crisi economica.
Bibliografia iniziale:
Lukacs: Storia e coscienza di classe – Sugar Dutschke: in "Ribellione degli studenti " – Feltrinelli
AAVV – Dove va il capitalismo – Comunità Baran, Sweezy: Capitale monopolistico – Einaudi
Boggs: Rivoluzione americana – Monthly Revie, n. 9
Galbraith: Nuovo stato industriale – Einaudi
AAVV: la comune di Parigi, maggio ’68 – Saggiatore (J.M. Coudray)
Mao-tse-tung: "Sulla contraddizione" – Feltrinelli (Scritti)
FALSA COSCIENZA ED ORGANIZZAZIONE (del fatalismo e del volontarismo).
Max Weber ha sviluppato una tipologia interessante della popolazione dei partiti politici (menscevichi). Lukacs l’ha ripresa e sviluppata in "Storia e coscienza di classe".
Tipologia: entro la popolazione del partito è possibile distinguere:
1. direzione attiva
2. membri passivi
3. aderenti con funzione di oggetti.
In questo terzo gruppo il singolo è "numero/massa/elemento del seguito". La sua funzione di oggetto vi è fissata ed eternizzata dalla "libertà borghese" (Libertà come egoismo. Un ritrarsi in se stesso. Libertà da isolati rispetto ad altri uomini, anch’essi ‘isolati’. L’isolamento è dovuto al processo sociale reificato, che reifica la coscienza. Godere individualmente di tale libertà – oggi – significa eternizzare PRATICAMENTE la struttura non libera del mondo e della storia). Falsa coscienza (in questo contesto concreto/aderenti al 3° gruppo significa: "l’impossibilità oggettiva di intervenire nel corso della storia mediante un’azione cosciente". Sul piano organizzativo tale falsa coscienza si riflette nell’impossibilità di formare UNITA’ POLITICHE ATTIVE in grado di mediare l’agire del singolo con l’agire della classe.
Fenomeni che dipendono dalla falsa coscienza (e che appaiono anche sul piano organizzativo):
• separazione tra coscienza ed essere
separazione tra teoria e prassi (risultato: prassi acefala,
teoria impotente).
IL SINGOLO finisce con lo sviluppare un atteggiamento puramente INTUITIVO, vale a dire puntualmente CONTEMPLATIVO, verso la storia (la lotta degli uomini), la quale risulta così quale frutto dei "CAPI" (sopravvalutazione "VOLONTARISTICA" dell’importanza del singolo) e non delle MASSE (sottovalutazione fatalistica dell’importanza della classe).
IL PARTITO: si divide in due parti, una attiva e una passiva, la quale ultima è messa in movimento solo occasionalmente e solo su comando della parte attiva. Per coloro che stanno nella parte passiva è data la possibilità di una libertà di aspettatori. (La libertà di valutare avvenimenti che gli si pongono davanti o addosso, percepiti in modo ‘fatale’ e fatti sprigionare da ‘capi’ (persone singole). La partecipazione politica dei PASSIVI è periferica, non coinvolge l’intera personalità, non diventa il centro della loro esistenza, il loro intervento nella storia è limitato al ‘giudizio’ dato sugli atti (altrui). Tale giudizio è distorto proprio dall’angolo visuale da cui parte: e sarà – il giudizio – inficiato dal fatalismo e/o dal volontarismo, dalla sopravvalutazione ??????? Per il MSA, il problema si configura in termini di rapporto tra nucleo attivo e aderenti a partecipazione saltuarie. Questi ultimi, insieme con tutta una serie di ‘marginali’, sviluppano insieme critiche giuste/critiche ingiuste al msa, identificato nel suo nucleo attivo o addirittura nella leadership (questa identificazione sta alla base di tutta una serie di valutazioni scorrette. Il msa non è di tutta una serie di valutazioni scorrette. Il msa non è il nucleo attivo, né tantomeno la sua leadership. Il msa comprende sia tutti coloro che decidono sia tutti coloro che ne fanno parte. Il farne parte integrante oppure no dipende dalla volontà soggettiva dei compagni. In ultima istanza, non vi sono strutture ‘chiuse’ formalizzate: esse sono tutte ‘aperte’. Il violare la resistenza psicologica interiore, l’entrare a farne parte, seppure con tutta una carica di dissidenza, è un diritto e un dovere di tutti gli studenti antiautoritari. Lo sviluppare una dimensione attiva e militante è l’unico modo che ci permette di non essere spettatori, ma attori in prima persona. A questo punto, se certe cose non piacciono e la linea sembra la migliore, sono date le condizioni per poter tutto mutare, a vantaggio dell’accelerazione soggettiva del processo rivoluzionario). La nebbia ‘teorica’ e la confusione organizzativa sono – oggi – dimensioni strutturali dell’opposizione rivoluzionaria nella metropoli. Non si tratta di lamentarsene, in nome di una chiarezza che non è mai esistita, o di un ordine e fluidità organizzativa che esprimeva solo la meccanizzazione del lavoro diviso, la produzione del militante specializzato, lo sviluppo di una linea revisionista. Non esiste teoria né organizzazione rivoluzionaria già data. Occorre invece RRRpRRM. E questo è opera nostra.
Portare chiarezza nella rivoluzione. Cioè: OGNI LOTTA CHE FACCIAMO DEVE ESSERE LA COSTRUZIONE DI UN PEZZO DELL’UOMO NUOVO E DELLA NUOVA SOCIETA’. Dice Marx: "L’attuale generazione è simile agli ebrei che Mosè conduce attraverso il deserto. Essa non deve solo conquistarsi un nuovo mondo: deve perire per far posto agli uomini nati per un mondo nuovo". Si cumulano su questo punto una serie di slogans che riassumono un grosso discorso, che è più progetto storico che un fatto. Gli slogans dell’UTOPIA OPERANTE, DELLA NATURALIZZA-ZIONE DELL’UOMO, UMANIZZAZIONE DELLA NATURA, SENZA EROS NIENTE RIVOLUZIONE ...
Bibliografia: Marx: manoscritti economico-filosofici – Editori Riuniti.
Reich: La rivoluzione sessuale – Feltrinelli
Fromm: Fuga dalla libertà – Comunità
Marcuse: Eros e civiltà – Einaudi
‘Dutschke a Praga’ – De Donato
Quaderni Piacentini n° 34.
Il rendimento politico, sia del singolo quadro, sia del movimento tutto, non sta solo nel giusto rapporto tra msa e popolo, nella corretta linea politica di attacco/autodifesa/disgregazione delle forze nemiche ... ma si fonda materialmente anche si dimensioni di bisogni e di desideri, di sentimento e sensibilità che rischiano, ove non siano prese politicamente in considerazione, di svilupparsi in una prospettiva regressiva e individualistica, divergente dalla prospettiva assunta dalla "ragione rivoluzionaria" (ragione a questo punto evirata – e tutta ormai in tono angelico, di sublimazione e – peggio – di compensazione). Il msa, astrattamente assunto, funziona. Chi dovrebbe farlo funzionare non può più. E allora il movimento si svacca, si isterilisce. La politica torna ad essere ‘cosa cupa’, e la serietà della militanza rivoluzionaria scade a seriosità insoddisfatta, carica di tensioni libidiniche represse o rimosse. Il compagno si ‘chiude a riccio’, mette fuori gli aculei, reclama il diritto ad una ‘sua vita privata’, lontana e distinta da quella collettiva. Se continua la militanza nel msa, a ‘sto punto è uno schizofrenico. E pretende di fondare una società nuova senza voler contribuire, SU SE STESSO, a fondarne la base materiale cioè l’uomo nuovo, l’individuo sociale restituito a se stesso (Marx). Portare gaiezza nella rivoluzione significa allora, che la nebbia teorica e pratica del movimento non si dilegua a colpi di razionalità senza palle, colla luce inibita di un intelletto scorporato, con fiaccolate di politica in senso restrittivo, ma la si può dileguare solo portandoci dentro l’umanità concreta del militante collettivo, impegnato a fondo a riconquistare una sua testa e una sua sessualità, e l’unità di entrambi, la testa e la sessualità. Siamo pieni di nuovi bisogni radicali e di vecchi e nuovi mali che con noi e con la nostra lotta continuano a crescere e rafforzarsi. Occorre arrivare a far politica DE SUBLIMANDO la politica dei revisionisti. Sviluppando collettivamente una politica CORPO-RALE. "La scena ove l’azione si svolge è costruita sulle condizioni materiali obiettive, ma su questa scena i compagni possono dirigere la rappresentazione di imprese magnifiche, piene di suoni e colori, di forza e grandezza (MAO. Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina). C’è un nesso dialettico insopprimibile tra distruzione e ricostruzione, tra lotta che trasforma le cose e lotta che trasforma l’uomo impegnato in tale lotta. OGNI TRASFORMAZIONE DELLE COSE CHE NON COMPORTI LA MODIFICAZIONE RADICALE DELL’UOMO IMPEGNATO IN TALE TRASFOR-MAZIONE E MANIPOLAZIONE E NON POLITICA.
Dutschke: ‘Il presupposto della democrazia è quindi l’uomo cosciente, creativo, un uomo con bisogni ed interessi radicali, nuovi, con una struttura caratteriale antiautoritaria, con la facoltà permanente di considerare la società come fatta da lui e che sta a lui dominare’. ‘Noi studenti antiautoritari dobbiamo dimostrare di non essere dei nevrotici infelici, ma uomini preparati coscientemente e con un’idea precisa dell’avvenire’ (vedi anche l’intervista a Huej Newton sull’ultimo Quaderni Piacentini, la parte dedicata al rapporto tra testa e corpo).
Sui possibili involgarimenti del discorso occorrerà fare molta attenzione. Il sesso spaventa. Il rischio di non comprendersi – tuttavia – è inferiore a quello di reprimerci a vicenda. Ma quando parliamo di ‘espansione della sessualità nel msa, non intendiamo l’espansione della sessualità attuale, corrotta e banalizzata, che subisce il processo borghese di genitalizzazione del sesso (ridotto al coito), ma la costruzione di una sessualità nuova attraverso la lotta contro quella vecchia. Dove per nuova sessualità si intende creare unità sociali sempre più ampie (l’opposto della chiusura a riccio borghese) dal singolo a tutta l’umanità, dal militante all’internazionale proletaria passando attraverso l’espansione piena e matura della ricchezza interiore (società che produce miserie economica più sessuale).
Il ‘cinismo’ nel lavoro politico sulle masse. Per alcuni compagni, la scoperta della condizione di fabbrica, della condizione operaia è traumatizzante. Gli ‘ozi capuani’ dello studio universitario vengono messi a confronto coll’attività fisicamente opprimente e psichicamente debilitante del lavoro industriale. Si sviluppano complessi di colpa: ci si sente ‘parassiti’ e si ha d’improvviso l’impressione di una ‘dolce vita studentesca’. Far picchetti alle 5 di mattina, colla bruna sull’erba e il fiato che vapora, vedere gli operai che entrano a capo chino, pensarli per 8 ore filate in piedi a confronto colle bobinatrici che vanno a ritmi pazzeschi, sentirli dire del loro salario di merda, etc. ... diventa l’esperienza esemplare’ per i figli di papà. E magari cominciano a consumare un po’ di Marx, ripensano il tutto in termini di pluslavoro e plusvalore, gli viene una voglia matta di tornare ai cancelli, di parlare, di spiegare agli operai che sono sfruttati, che è assurdo in una società "opulenta" massacrarsi in quel modo, che devono organizzarsi, lottare, cambiare tutto e tutti ...
Ecco. Per cinismo intendiamo quelle azioni illuministiche di spiegazione e chiarificazione "mentale" (operazioni pedagogico-coscienzialistiche) che un "gruppo esterno" pratica sulla massa operaia, mostrando la loro condizione, e indicandogli A PAROLE come uscirne (proposte organizzative "pensate"). Il lavoro politico – in questi termini – viene impostato come "conquista ideologica della classe" dall’esterno. Presuppone una idiozia operaia che è anche superiore a quella esistente, presuppone una coscienza lucida del rivoluzionario superiore a quella esistente. Soprattutto, presuppone che si possano rivoluzionare gli altri stati senza rivoluzionare se stessi. Il cinismo è la crociata marxista leninista maoista praticata da un nucleo "intellettuale rivoluzionario" sulle "masse operaie incoscienti e disorganizzate". Le armi sono quelle della critica e della chiarificazione. Coscienza ed organizzazione vengono esportate a pacchi (GRATIS). La logica è "induttiva": si parte dal "disagio immediato" sul luogo di produzione per risalire al "disagio reale" (la necessità della ‘globalizzazione della lotta’ su scala internazionale). La politica è impostata sui bisogni immediati delle masse. Naturalmente l’operaio è visto in modo strumentale: con lui si può bere il "rosso", lo si ascolta parlare dei figli che figli che lo fanno incazzare e della moglie che rogna, di quando faceva l’alpino e scolava pinte di grappa ... pazientemente sbuffando, convinti che il problema sta "altrove" nel rapporto diretto con la macchina di produzione, e allora lo si lascia sfogare per poi "venire al sodo" e parlargli di come deve organizzarsi in fabbrica, sviluppare la lotta a partire dal suo reparto ... tutto il resto è solo il pedaggio che dobbiamo pagare per parlargli del "comitato", e non un terreno politico proprio dove si può e si deve intervenire, in quanto modo reale ed immediato della sua vita empirica ed elementare. Abbiamo, nei mesi scorsi, commesso l’errore di considerare – dell’operaio – solo le 8 ore che passa in fabbrica e non le 16, altrettanto importanti, che trascorre "fuori". Non ci siamo resi conto che tutte 24 le ore sono decisive – per il nemico -. E che la subordinazione umana, politica, sessuale; avviene lungo tutto l’arco della giornata. (Anche se le 8 ore di fabbrica sono decisive per le altre 16). Per rivoluzionare l’operaio dobbiamo rivoluzionarci noi. La nostra forza non sta in ciò che gli diciamo, ma in ciò che CONCRETAMENTE facciamo per lui, in direzione della sua emancipazione. Il cinismo di andare a dire ad uno sfruttato che è sfruttato ad un disorganizzato che deve organizzarsi, esprime solo la nostra vigliaccheria teorica e pratica. L’operaio non ci dà retta, ed ha ragione.
CIO’ CHE IMPEDISCE LA SUA PRESA DI COSCIENZA NON STA INFATTI NELLA SUA FALSA COSCIENZA MA STA IN UNA "STRUTTURA". (La sua coscienza si è falsificata REIFICANDOSI, emigrando fuori di lui nelle cose esterne a lui, incorporandosi nelle ISTITUZIONI). La coscienza è diventata solida ed è emigrata dal corpo. SI E’ STRUTTURATA IN UN APPARATO REPRESSIVO (le istituzioni: sindacato, partito, famiglia, danaro, etc....). Ciò che impedisce la presa di coscienza – dunque – non è la coscienza stessa (quella falsa bestia che ci vive dentro- spirituale) ma un qualcosa di altro, che sta altrove. Solo rompendo, spezzando quel "QUALCOSA D’ALTRO" esterno alla coscienza "interiore", potremmo arrivare a quest’ultima.
PER SPEZZARE LA FALSA COSCIENZA DELLE MASSE, OCCORRE SPEZZARE L’APPARATO ISTITUZIONE IN CUI ESSA E’ MIGRATA (parlamento, partiti, stampa, sindacati, chiesa, esercito, auditorium, famiglia, etc...). Marciare contro le istituzioni. Non si tratta quindi di interpretare o chiarificare i bisogni delle masse MA di rompere quelle istituzioni che non permettono ai bisogni radicali di esprimersi e realizzarsi. Come nella "morra cinese": il foglio non può niente contro la forbice ma può contro la pietra. La quale spezza la forbice che può tagliare la carta. Quando giochi devi scegliere la "figura" adatta per vincere. Se quello cala la pietra, tu calerai il foglio e non la forbice, né calerai a tua volta la pietra. Così, la parola non può niente contro l’istituzione. Non si spezza una coscienza solidificata, REIFICATA, con l’arma della critica, col pedagogismo, colle proposizioni chiarificatrici.
Occorre passare alla CRITICA DELLE ARMI, alle "azioni esemplari" contro le istituzioni.
In sintesi: LA STRUTTURA APPARE VISIBILE NELLA SUA REALTA’ ATTRAVERSO IL PROCESSO CONCRETO DI DISGREGAZIONE DELLA SOVRASTRUTTURA – PROPA-GANDA ARMATA – Cioè: (Guevara) non si fanno comizi ai contadini. Non servono. Invece, si penetra col gruppo guerrigliero nel villaggio, si individua il poliziotto torturatore (che le masse ritengono invincibile e a cui sono soggiogate), lo si fucila in piazza, si chiama il popolo in assemblea davanti al suo corpo morto e poi si fa il comizio. Allora verrai ascoltato e anche seguito. Ma non prima.
Il concetto di "Propaganda armata" va trasportato nelle metropoli e qui ADATTATO alla situazione (attraverso una analisi concreta della situazione concreta). In ultima essenza essa è "azione esemplare offensiva".
NOTA: non è un bravo ladro chi sa arrivare alla cassaforte e rubare li bottino, ma chi, fatto questo, riesce a tagliare la corda e a non farsi beccare. Vale a dire chi andando all’attacco, ha pensato con minuzia ai 15 minuti di offensiva (penetrare nella banca e giungere alla cassaforte, sapere come aprirla, conoscendo ciò che c’è dentro – e se vale la pena) e SOPRATTUTTO, ai 15 minuti di ritirata (come uscire dalla banca e squagliarsela senza farsi prendere). L’azione esemplare deve essere con minuzia preparata in tutte le sue fasi:
1. Coscienzalizzazione delle masse su ciò che si farà
2. Esecuzione dell’azione
3. Chiarificazione alle masse sul significato dell’azione stessa (+ autodifesa della massa dalla repressione).
NOTA: la necessità dell’azione esemplare come "modo di contatto con le masse" non deve esentarci da un’analisi sui rischi dell’avventurismo. (Rischio facile in questo modo di lavoro).
TOLLERANZA PURA.(ovvero: questa società metropolitana permette il dissenso verbale, che gli torna utile, non il dissenso critico-pratico) (Il dissenso non ha senso).
Es. Io posso dimostrare che Kiesinger è un ex-nazi, eppure é Cancelliere della Repubblica. Lo posso dire, stampare. E dire che non dovrebbe allora essere lasciato cancelliere. Sono libero di dire queste cose. Anzi, la società che fa queste cose, mi lascia dire che queste cose essa le fa: poi dice che è democratica perché me lo lascia dire. Dopodiché, Kiesinger rimane ex-nazi e cancelliere. (Springer pag. 61).
In questo meccanismo c’è qualcosa che non va. Non va radicalmente.
Es. Durante la campagna elettorale nel Trentino il PLI ha diffuso un volantino che diceva: "Compagno, non sono d’accordo con quello che dici, ma lotterò fino in fondo per difendere il tuo diritto di dirlo" (in giusta e facile polemica con l’oppressione dei paesi dell’Est).
Bene: ecco il tipo perfetto di espressione della tolleranza pura: dì pure quello che vuoi anche se io non sono d’accordo. Anzi lotto perché ti resti garantito il diritto di dirlo liberamente. TANTO TUTTO QUELLO CHE SEI LIBERO DI PENSARE E DIRE E’ UN PURO BUCO NELL’ACQUA.
Esprimere verbalmente il dissenso in una società di tolleranza pura è "darsi fiato ai denti" e poco più. Le cose restano come prima, NATURALMENTE garantendoti il diritto di contestarle verbalmente all’infinito.
Diciamo: non occorre tanto costruire un pensiero che prema verso la realtà (come diceva Marx) ma oggi esiste invece la necessità urgente di costruire una realtà che prema verso il pensiero. (NOTA: pensiero radicale, realtà radicale. La radice è l’uomo, non com’è ora, ma come può diventare). La tolleranza pura (libertà del dire impotente ed inutile – illusoria speranza di cambiare le cose con secche e dure proposizioni – di mutare la coscienza a colpi di coscienza) può essere distrutta solo dall’UTOPIA OPREANTE (azione esemplare – costruzione di FATTI, di REALTA’ alternative all’ordine esistente). Dall’arma della critica dobbiamo passare alla critica delle armi (LINEA DI MASSA. CAMPAGNE DI MASSA).
Per quei "marxisti ortodossi" che ci accusano di essere "usciti dal marxismo" quando diciamo: LA STRUTTURA DIVENTA VISIBILE PER CIO’ CHE E’ ATTRAVERSO IL PROCESSO DI ROTTURA DELLA SOVRASTRUTTURA, (accusandoci di rovesciare il rapporto classico tra struttura e sovrastruttura) facciamo un rimando "erudito": vadano a leggersi Mao Tse Tung, il saggio sulla contraddizione, in particolare, la parte 4, "la contraddizione principale è la parte principale della contraddizione" (Dopodichè si potrà discutere su alcuni CONTENUTI e no su alcune formule).
NOTA: ricordiamo ai compagni che questi che stendiamo sono solo appunti di "provocazione alla discussione e alla prassi". Non pretendono alla compiutezza né all’analisi delle proposte politiche. Il FOGLIO e strettamente "interno" al MSA trentino, nel senso che tenta di calarsi in un contesto di analisi/azione che SOLO dà senso agli spunti che abbiamo ritenuto necessario porre. Non cerchiamo in questo foglio quello che non può né vuole esserci.
La miniaturizzazione del ’17. Molti compagni ripetono verbalmente che il processo rivoluzionario è caratterizzato dalla "lunga durata", ma se ne dimenticano nella attività quotidiana. Li assale la smania della "presa del potere" e vedono molto vicino ciò che è ancora molto lontano. In tal modo cadono nel grave errore di ridurre la politica al problema della "presa del potere".
Occorre avere – invece – estremamente chiara la differenza tra:
• presa del potere senza rivoluzionamento delle masse
massificazione dell’idea di emancipazione sociale.
Nel primo caso i compagni riducono tutto il problema a quello dell’assalto
vincente al potere centrale, alla macchina dello stato, applicando così
– rinsecchito – il grande messaggio dell’Ottobre 17. Si esimono
dall’analisi del nuovo tipo di potere, e proiettano un po’ ovunque
il "Palazzo d’Inverno", luogo del potere, che va "preso
dalle masse" (non importa se incoscienti) purché guidate lucidamente
da una minoranza cosciente con le idee chiare sul "dopo". In tal modo
danno eccessiva importanza all’apparato organizzativo e troppo poca allo
stato crescenziale delle masse. Non vedono più come il lavoro politico
deve puntare ad un movimento di massa, creando le condizioni di una emergenza
MAGGIORITARIA – entro il paese – in direzione rivoluzionaria. In
sintesi, riducono la rivoluzione che è rivoluzionamento dei "rivoluzionari"
e delle "masse", (rivoluzione ininterrotta), a "presa del potere"
attuata dalle masse sotto la direzione di avanguardie abili. La processualità
sparisce e si riduce al "colpo di teatro". Invece il processo rivoluzionario
deve strutturarsi come presa di coscienza da parte delle masse che partecipano
attivamente al movimento, come creazione dei presupposti coscienziali (critico
pratici) alla auto-organizzazione. (I muri di Parigi dicono: "Non liberarmi,
grazie, ci penserò io"). Il quadro storico in cui operiamo è
radicalmente mutato rispetto al ’17. "Noi non potremo mai arrivare
al potere come minoranza (e tale potere conservarlo). Né lo vogliamo.
Proprio in questo stai l nostro vantaggio storico sul ’17, e la nostra
scommessa". Il problema è trasformare la minoranza in maggioranza,
organizzare le masse maggioritarie in masse dominanti, creare un VERTICE DI
MASSA. Per questo occorre battere ogni spirito settario nel msa. Criticare le
"forme a riccio" che il msa esprime e in cui si racchiude. Distruggere
e screditare le tendenze "minoritarie" con un modo di lavoro minoritario.
LA MASSIFICAZIONE DELL’IDEA DI EMANCIPAZIONE contrasta attivamente con la formazione, entro il msa, di gruppi istituzionalizzati che si autodichiarano proprietari di moduli organizzativi "sicuri" (quelli con cui si fa la rivoluzione presto, bene, e coi minimi rischi). Non si può dare lezione di unità al proletariato quando si è divisi all’interno. (Divisione per spirito settario, ovviamente. La divisione tra compagni è tuttavia lecita quando investe la differenza coi contro-rivoluzionari). In forma emblematica dunque, se proprio si vogliono fare di questi "giochetti", il msa deve guardare non tanto al ’17 russo quanto piuttosto alla "lunga marcia" cinese. (Alcuni compagni, sempre stando al gioco, guardano al modello cubano. Ci sembra un modo di cercare le scorciatoie ed evitare il problema. E il problema rimane: la linea di massa, il rivoluzionamento delle masse attraverso il rivoluzionamento dei rivoluzionari, il processo a lunga durata costruito con un lavoro paziente, tenace, permanente di ognuno entro il militante collettivo e l’intellettuale collettivo che miriamo a creare). Karl Marx, contro coloro che dicevano: "Dobbiamo arrivare subito al potere, oppure tanto vale che ci mettiamo a dormire", diceva: "Dobbiamo affrontare 15, 20, 50 anni di guerre civili e di guerre di popolo, NON SOLO PER CAMBIARE LA SITUAZIONE, MA PER CAMBIARE NOI STESSI, ed abilitarci al potere politico".
La fine dell’ottimismo socialista (da LUCIO MAGRI Considerazioni sui fatti di maggio, DE DONATO, pagg. 236 e segg). Che la rivoluzione sia, in questa nostra società, un bisogno reale ed urgente, torna ormai ad essere convinzione diffusa ... Anche in molti di coloro che marxisti non sono affiora, per vie diverse, la consapevolezza che il sistema in cui viviamo è profondamente sbagliato, e che proprio il suo sviluppo ne rende più acute le contraddizioni, più vistosa la disumanità. Una società caratterizzata dalla ricchezza delle conoscenze scientifiche e delle risorse tecniche, anziché condurre alla liberazione dell’uomo, alla sua signoria sul mondo, ne sancisce la definitiva riduzione a strumento produttivo. Il lavoro che, emancipato dalla lotta elementare contro la natura potrebbe divenire finalmente libera e creativa espressione della personalità, diviene sempre più nelle forme e nei fini, estraniato. Il consumo che, liberato dalla lotta per la sussistenza, potrebbe superare il limite della passività, della semplice appropriazione delle cose, per divenire a sua volta arricchimento ed espressione dell’individuo e della collettività, degrada invece la pura funzione produttiva e quindi ad ozio standardizzato, possesso, dissipazione. L’istruzione si eleva ed i mezzi di comunicazione fanno cadere separazioni e colmano distanze, ma solo per rendere più efficiente una attività priva di senso o per affermare l’irrazionalità di nuovi miti. Le istituzioni politiche paiono divenire più stabili, le regole della democrazia formale più sicure, ma il potere reale si concentra in un minor numero di mani. La repressione agisce con più sottili ed efficaci strumenti fino nel fondo della coscienza individuale. E la violenza si rinnova verso chiunque sfugga ai meccanismi di integrazione. Il mondo si unifica, cadono imperi e barriere religiose, ma razzismo e nazionalismo rinascono su basi nuove, si inventano nuovi simboli di status e di casta.
Cosa occorre di più per decretare la fine dell’ottimismo riformistico? (liberale o socialista)?
... una soluzione catastrofica è sempre possibile. Per evitarla, occorre che la crisi della società esistente produca i "materiali" su cui costruire una alternativa, e delle forze capaci e decise per utilizzare l’occasione che la storia offre.
LE NUOVE LOTTE. (Il tipo nuovo di SPONTANEITA’, POLITICA DI MASSA). Non possiamo – oggi – dare una risposta "leninista" (un leninismo senza Lenin e contro Lenin) ai nuovi problemi che il tipo di lotte attuali pongono. Limitarci ad una definizione della spontaneità delle lotte come "tradunioniste" (economiche-corporative), oltre che falsare il quadro reale in cui si pongono e la dinamica interna che le regge, ci condurrebbe ad impostare il "lavoro politico" in termini di "conquista ideologica delle masse" e di "introduzione dall’esterno della coscienza rivoluzionaria" (politica ed internazionalista). La fatica stessa dei sindacati e dei partiti (il maggio francese, ma anche l’Italia e non quella sola) a "RIDURRE" tali lotte in termini economici, sindacali da un lato e riformisti, parlamentari, d’altro lato ci mostra come esse lotte siano FUORI appunto da tale quadro costrittivo. Addirittura OLTRE tale quadro. Il M.O. si ostina a considerare la nuova spontaneità, ed i movimenti di massa che la esprimono, come PRE-POLITICI (nei loro termini pre-partitici, pre-sindacali, pre-parlamentari). Salvo poi dover sgobbare ed usare tatticismi esasperati per poter far rientrare il tutto nell’alveo prefissato dello scontro funzionale al sistema. (Il PCI attualmente, dopo aver tentato collo PSIUP, cerca colla FGCI – nuovo corso – di incapsulare il msa dentro il suo schema strategico. Il tatticismo ultrasinistro di questi tempi è appunto finalizzato ai "recuperi" entro una strategia governativa, di destra). Le nuove lotte costringono così gli apparati del MO a funzionare quasi esclusivamente come "repressori" della nuova qualità politica della lotta. Addirittura, nei casi gravi, si reprime la lotta stessa.
Il rischio, da parte nostra, è duplice:
• teorizzare la spontaneità a spese dell’organizzazione, sviluppando una nuova teologia delle capacità auto-organizzative della classe operaia e delle masse.
Non cogliere la composizione nuova delle masse in movimento,
continuando con la ripetizione talmudica (la Classe operaia e quella sola è
la classe veramente rivoluzionaria ...).
Per un certo tempo, il movimento ha fatto un uso ultraspontaneista della Luxemburg,
ed ha indebitamente isterilito il gigantesco messaggio leniniano (ridotto a
"coscienza esteriore"). La stessa tematica fortemente anti-autoritaria
del ms ha per un certo tempo inibito una corretta valutazione di certi termini.
Ad es. il termine spontaneità era connotato in modo fortemente positivo,
il termine organizzazione in modo fortemente negativo. Occorre forse citare
un cosiddetto spontaneista (Dutschke): "Nessuno ci venga a decantare una
malintesa mitologia della spontaneità. La più alta forma di attività
spontanea è la sua forma organizzata". Ora, la "coscienza"
non è – storicamente – tutta dentro i movimenti delle masse
(e della classe operaia). Come non ne è – né può
esservi – tutta fuori da essi. Coscienza e movimento crescono insieme
e si penetrano dialetticamente. Se questo non avviene, la coscienza perde la
dimensione critico-pratica che le è propria, la sua dimensione "attiva"
e scade "l’ethos", irrigidendosi progressivamente in gruppi
umani, sempre più ristretti e sempre più impotenti (costretti
a sviluppare una coscienza all’indietro, storico-commemorativa). I movimenti
divengono acefali, la spontaneità si "disorganizza" e diviene
rabbia e furore. Brucia i castelli per poi placarsi al primo tozzo di pane.
Dobbiamo impedire che nel movimento tornino a svilupparsi concezioni dialettiche
del rapporto tra spontaneità ed organizzazione. Occorre che se ne scoprano
le necessarie interazioni, giorno per giorno. "Dare organizzazione alla
spontaneità – Dare spontaneità alla organizzazione"
non può rimanere una parola d’ordine morta che ci si ripete addotto
nelle discussioni per essere dimenticata in ogni occasione "pratica"
si incorra.
(Un altro grave errore del ms trentino – simmetrico allo spontaneismo – è quello del disprezzo – nei fatti / non a parole – della teoria. Specie nei "vecchi quadri" esiste la intima convenzione di aver già cumulato esperienza sufficiente per poter procedere "senza ulteriori sforzi teorici". Non vengono alle assemblee, perché gli pare di "sapere già tutto", o se vengono, partecipano passivamente, discutono col compagno a fianco di amenità varie, etc. ... Nelle commissioni tengono un comportamento "paternalistico" verso i "quadri nuovi", ritenendo di aver tutto da insegnare e niente da imparare da quest’ultimi ... Si "vantano" di non passare il tempo a leggere Mao, oppure se ne lamentano con civetteria, facendo capire però che – in fondo in fondo – leggere Mao è un di più per un rivoluzionario del loro taglio ... Si permettono attacchi a fondo verso i compagni "nuovi" che si impegnano nell’Università Critica –letture di Marx, Lenin, Mao etc ... – dicendo "chi passa il tempo a leggere Marx non lo legga perché tanto non ci ha capito un cazzo ... etc. Anche se alcune cose sono corrette, l’atteggiamento generale non lo è. C’è il rischio di ritenersi già "rivoluzionari" e aver solo più da rivoluzionare gli altri. Il che non è vero. L’esperienza non supplisce, da sola, alla teoria. Né si può ridurre la teoria a "ripensamento critico delle cose fatte" (questa è teoria che guarda indietro e poco avanti). La teoria è anche progettazione globale delle cose da fare, è INVENZIONE del futuro. E per guardare molto avanti, non è salire sulle spalle dei giganti. (Chissà che l’orizzonte non si ampli e le cose acquisiscano un diverso contorno). Specie nel msa, organizzazione non centralizzata, occorre ricordare attivamente come si richieda MAGGIORE e non minore OMOGENEITA’ POLITICA, IMPEGNO, DISCIPLINA, SPIRITO D’INIZIATIVA. Maggiore e non minore IMPEGNO TEORICO: Solo con questo DI PIU’ "è possibile arrivare alla elaborazione collettiva di una linea comune". Diversamente, il Comitato Centrale sarà sostituito da una leadership, e la natura complessiva del movimento si troverà a subire regressioni autoritarie. La lamentazione – a quel punto – può essere descritta dall’adagio popolare "chi è causa del suo mal pianga sé stesso").
ALTRE COSE: analisi del tardo capitalismo, fascismo istituzionale, base di massa passiva, analisi del revisionismo, pianificazione della sessualità, miseria economica e miseria sessuale, etc. non ce le mettiamo (L’Università Critica è lì anche per questo. E quelle analisi ce le possiamo fare assieme per tutto l’anno). NON E’ UN DISPETTO. E’ UNA CONVINZIONE. QUELLO CHE E’ STATO SCRITTO E’ FIN TROPPO PER PROVOCARE IL CERVELLO.
IL RESTO FACCIAMOLO "FUORI DEL FOGLIO".
PARTE TERZA
"Questo è un periodo pre-rivoluzionario e pensiamo che sia estremamente necessario educare il popolo finché possiamo" (Huey Ne ton)
SULLA SITUAZIONE ATTUALE DEL MOVIMENTO
1. Il Movimento è una potenzialità immensa che non può essere racchiusa in un discorso sui suoi fatti. E’ una potenzialità da sprigionare, un’energia da liberare dai pesanti involucri – croste – che il papà, la mamma, i parenti tutti in compagnia del prete e del maestro e poi per incarico statale il sig. professore, il capoufficio , il segretario di partito, e molti altri irresponsabili sociali gli hanno appiccicato addosso. I fatti, o prime lacerazioni che il movimento ha prodotto in questi primi giorni, non sono che una emergenza disordinata – disorganica – caotica d un modo tutto da inventare, progettare nel fuoco di una nuova tensione rivoluzionaria. "Non ci si stupisca del caos delle idee: è la condizione di emergenza delle idee nuove". (Nanterre). Ma una carogna si aggira per l’Europa. I resti della borghesia in rapida putrefazione, hanno infettato larga parte del movimento operaio. La rimozione di questa carogna è un servizio sociale necessario. Ora si tratta di costruire delle infrastrutture adatte allo scopo: il movimento lo sta in qualche modo facendo. Ma la rivoluzione andrà pensata "almeno due volte"!
2. Valutazione di tempi brevi, troppo brevi: poco più di un mese.
Errori possibili: considerare contraddizioni secondarie alla stregua di contraddizioni principali o confondere l’aspetto principale della contraddizione per quello secondario. Una considerazione preliminare: dopo i primi 14 giorni di crescita politica del "campo antiautoritario" si è sviluppato un processo di caduta di tensione che ha evidenziato dilatandoli aspetti negativi ed emergenti del lavoro politico in cantiere. La periodizzazione 14/seguenti non ci sembra perciò arbitraria.
Una nota: Parliamo di "campo antiautoritario" riferendoci a quello spazio politico-sociale organizzato, articolato in sezioni o istituti e dotato di una struttura di servizio.
Il "movimento studentesco antiautoritario" è un fattore costitutivo essenziale del "campo", è il motore umano che ne consente una dinamica espansiva. Il MSA è presente nel campo non come unità concettuale mitica, ma nella sua forma fenomenica differenziata e cioè:
- quadri
- militanti
- aderenti.
In concreto dunque la caduta di tensione a cui sopra si accenna trova la sua radice nei "quadri" e nei "militanti" del MSA.
Domanda: a che è dovuta allora la caduta di tensione nei quadri e nei militanti? L’abbozzo di analisi di questi giorni è un tentativo di risposta. Un tentativo a cui tutti i compagni dovranno contribuire, poiché da una corretta individuazione dei nostri errori prende vita la possibilità di un salto di qualità di tutto il movimento.
Intanto: è all’interno del movimento che vanno ricercate le cause del crollo. Ed in particolare:
1. Nella mancanza reale di unità politica del movimento, che significa, mancanza di unità politica tra quadri/militanti, quadri-militanti/aderenti.
N.B.: il fenomeno non è difficile da spiegare, si tratta infatti del mancato funzionamento dei meccanismi di trasmissione dei risultati teorico-politici raggiunti da una parte dei "vecchi" quadri del movimento nel ripensamento critico dell’esperienza fatta nei mesi precedenti (Potere Studentesco).
La disomogeneità politica interna almeno in questa prima fase, ha comportato inoltre una reale cecità strategica di molti quadri e militanti. I quali privi di un punto di riferimento a lungo termine, non hanno saputo affrontare l’immediato se noni in termini di pura empiria.
2. Nella sostanziale incapacità di unire, il movimento al popolo: le campagne di massa, infatti, non hanno portato ad un’allargamento del campo antiautoritario nel senso di un suo allargamento organizzativo, anche se la realizzazione dell’Università Critica può essere considerata un buon passo avanti nella predisposizione di infrastrutture di servizio, al servizio del popolo.
3. Nella mancata disgregazione del campo antiautoritario: compito questo che richiede una conoscenza precisa del nostro nemico - che ancora una volta non è unità concettuale mitica, ma una complessità differenziata e contraddittoria – e la capacità politica di evidenziare e far esplodere nella sua pancia le cartucce che si porta a tracolla.
FRAMMENTO: opinione/politica
La differenza fra opinione e politica è l’organizzazione. Allargamento del "campo antiautoritario" non vuol dire creare un vasto movimento di opinione antiautoritaria, vuol dire sviluppare gli istituti e le strutture di servizio del campo e dimensionare al nuovo livello in funzione dei nuovi obiettivi che da quel livello è possibile perseguire.
4. Considerazioni particolari sui primi quattro giorni di novembre. In questa fase magmatica del movimento, l’emergenza del nuovo è più dolorosa di un parto trigemino. Mettiamo a fuoco: si inizia con una breve campagna di coscienzializzazione sui problemi dei 1.500 milioni che sono stati stanziati dal governo in occasione del cinquantenario di Trento e Trieste e sembra debbano essere utilizzate per la costruzione di un auditorium. L’azione progettata è un attacco al corteo presidenziale da parte di tre gruppi di intervento il cui obiettivo è: bloccare la macchina – far conoscere i motivi dell’attacco (no all’auditorium, gestione popolare del miliardo e mezzo) per mezzo di grandi sciarpe da-tze-bao – rispondere con forme di resistenza passiva all’intervento della polizia. Si prevede un intervento massiccio e violento delle forze repressive, si ipotizza una relativa passività della popolazione, non si tiene conto degli Alpini che il 3 Novembre sono presenti in massa a Trento per celebrare – chiamati dalla patria – il cinquantenario della "redenzione"!
L’attacco dei gruppi riesce, la polizia non interviene duramente, ma si limita a sgomberare la strada nel più breve tempo possibile (qualche secondo!), la popolazione – assai poca del resto – non si muove dai bordi delle strade ..., ma gli alpini, "hanno impartito loro quella lezione che meritavano: anche se la presenza della polizia ancora una volta (sic!) ha evitato al gruppetto degli sbarbatelli e delle loro compagne una punizione più pesante di quella, già pesante, che hanno dovuto incassare". "Vorremmo che la lezione fosse loro servita, se non altro a tenersi lontano da cose che possono anche non apprezzare, se lo credono, ma che devono egualmente rispettare". (Tolleranza pura: cfr).
"E’ servita se non altro, a dare alla cittadinanza la misura di uno sdegno corale che ha accompagnato ed applaudito le folate di sacrosante sberle e calcioni distribuiti al "cinesi" dagli alpini con totale solidarietà". (dal mensile delle Ass. Naz. Mut. e Inv. Di Guerra).
Note in margine: popolo/populismo
"la nozione di popolo acquista significati differenti nei diversi paesi e nei diversi periodi storici di ogni paese". Mao-tse-tung.
Per quanto ci concerne rientrano nel concetto di popolo, tutti quei gruppi sociali e quelle forze sociali mobilitabili per una lotta antiautoritaria, anti-istituzionale ed extra-parlamentare. Ciò non vuol dire che tra questi gruppi e queste forze debba esistere una forzata omogeneità, ma s’intende che le contraddizioni che tra esse si sviluppano non sono antagonistiche, non mettono cioè in discussione la contraddizione fondamentale che è quella che oppone la minoranza storica che detiene tutte le leve del potere economico-politico-culturale-etc. alla maggioranza reale del paese. La popolazione inoltre non è un tutto indifferenziato, in essa vanno distinte stratificazioni diverse, diversi livelli di coscienza e di falsa coscienza. Sviluppare un lavoro di massa, secondo una linea di massa vuol dire avere presente gli interessi reali e gli interessi immediati del popolo, sapere come esso è portato a rappresentarseli e in conseguenza a sviluppare un’azione militante che tenga conto di tutte le mediazioni richieste. Mettersi al servizio del popolo, non vuol dire così chiedere al popolo quali sono i suoi appetiti, ma saper distinguere tra le esigenze che esso esprime quelle corrette e quelle scorrette, saper mettere in evidenza le prime e far accettare la critica delle seconde. L’adorazione delle terga del proletariato e delle più ripugnanti abitudini che esso ha contratto per occulto consiglio dei suoi sfruttatori è una deviazione mistico-moralistica e che di certo non potrà condurre alla sua liberazione social-rivoluzionaria. Tendenze in questo senso si sono manifestate nel movimento ed è per questo che le abbiamo riprese di sfuggita. "Non si può giudicare un uomo dall’idea che esso ha di se stesso" ... occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione" (Karl Marx).
Intellettuale individuale/ intellettuale collettivo
La prevalenza dell’intellettuale individuale sull’intellettuale collettivo risulta essere uno dei fatti più preoccupanti e sintomatici dello stadio attuale di sviluppo della coscienza rivoluzionaria del movimento. La realizzazione dell’intellettuale collettivo nel militante collettivo rimane una tendenza di movimento. Una teoria che non si faccia prassi non serve alla rivoluzione, serve invece al sistema per mercificarne l’impotenza. Una prassi acefala, non serve alla rivoluzione, è solo un atto disperato che al massimo testimonia della profonda crisi che ha attraversato ed attraversa la sinistra rivoluzionaria. La separazione adialettica tra teoria e prassi è il punto di arrivo della falsa coscienza e ci condanna alla "impossibilità oggettiva di intervenire in modo cosciente nel corso della storia" (Lukacs).
4/11 chiarificazione nei quartieri
5/11 sciopero studenti medi
6/7/8/9 campagna di coscienzalizzazione sul problema dell’auditorium.
10/11. MANIFESTAZIONE ORDINATA CON BANDIERE ROSSE E "ROGO" FINALE
Due considerazioni al riguardo:
a. sulla questione dello spirito militante.
Non è una cosa trascurabile: sventolare una bandiera rossa non equivale a portare un giglio in processione! La rabbia accumulata in secoli di oppressione-sfruttamento-omicidio-genocidio vissuti collettivamente non consente sorrisi ai nemici del popolo. Anche una manifestazione ordinata, nel nostro caso, è un momento del processo rivoluzionario. Dimensione militante vuol dire FAR POLITICA IN PRIMA PERSONA contro ogni forma di delega (di potere/di impegno/culturale etc).
b. la "struttura chiusa" del serpente rosso ha impedito a molti operai di fondersi concretamente con noi. La cosa non presenta non soltanto un aspetto di difettosa realizzazione tecnica, ma ha un risvolto politico che è sintetizzato in un commento raccolto per le strade: "la manifestazione degli studenti ...".
Rompere la logica del noi/loro.
Fondersi concretamente con le masse, a maggior ragione nelle manifestazioni non creare il "nostro spazio"!
11/12/13. La chiarificazione si collega allo sciopero generale delle pensioni.
14/11. Lo sciopero generale per le pensioni. Il lavoro condotto nei giorni precedenti consente una manifestazione ordinata di circa 7.000 persone. Una nota sul limite della nostra partecipazione: paradossalmente il limite politico della nostra partecipazione è stato proprio quello di aver esternato opinioni politiche sui sindacati che più o meno tutti noi condividevamo. Gridare "sindacati burocratici o/e sindacalisti burocrati" non è giusto in assoluto o sbagliato in assoluto. Come ogni cosa del resto. Si tratta di vedere; quali risultati politici si vogliono ottenere e quali sono le possibilità reali di ottenerli in un certo momento. Nel nostro caso, la mancanza di una precedente campagna di coscienzalizzazione sul tema della burocratizzazione dei sindacati, seguita dalla mancanza nei giorni successivi di una campagna di spiegazione presso la classe operaia (ma non solo) di quali fossero realmente i limiti del conflitto che ci opponeva in misura diversa ai diversi sindacati ha auto come risultato doppiamente negativo quello di aver scatenato un’ondata di proteste delle varie segreterie sindacali sugli organi di stampa locale (iene che non attendevano altro!) senza che fosse resa esplicita la nostra posizione. Il problema del rapporto coi sindacati è tale che non può ormai più lasciato essere nelle nebbie dell’ambiguità.
Il MSA dovrà nei prossimi mesi rendere esplicita questa contraddizione.
Sulla contraddizione tra il M.S. e i sindacati allo sciopero delle pensioni
La contraddizione principale in quel momento era quella che opponeva i 7.000 manifestanti al governo dei padroni. Una contraddizione secondaria era quella che opponeva il MSA ai sindacati (che non sono solo burocratici ...). L’errore teorico sta nell’aver scambiato ad un certo punto della manifestazione una contraddizione secondaria con quella principale. L’errore politico che ne è conseguito è quello di aver diviso il fronte inutilmente in quel momento. Ciò che in quel momento era secondario, in altra sede e in altro momento può diventare e diventa principale. Stiamo attenti allora a non commettere ... l’errore inverso.
Alcune questioni sugli scontri del tardo pomeriggio di fronte ai magazzini UPIM.
Vi è intanto una considerazione generale da premettere e riguarda l’avventurismo. In linea di massima si può dire che è avventurismo l’ostinarsi a combattere quando non si può vincere come ad esempio nei fatti della Stazione il 3/11. Il "prurito rivoluzionario" prende il sopravvento sullo stile di lavoro correttamente rivoluzionario. Se diamo per buona l’analisi che comporta il momento attuale come fase pre-rivoluzionaria, allora è certo che le "grandi imprese", i "giganteschi movimenti delle masse" sono segni che vanno per qualche tempo abbandonati. Al loro posto rimane un lavoro minuto, costante, poco appariscente tra le masse, un continuo esame concreto delle condizioni soggettive ed obiettive in cui si conducono le nostre azioni. Andare avanti alla cieca vuol dire esporsi ai più grossolani insuccessi e soprattutto isolarsi dal popolo. Prendiamo la questione dell’UPIM: la contraddizione che era possibile sfruttare in quel momento era quella che opponeva i pesci piccoli (piccoli commercianti proletarizzati, piccoli proprietari) ai pescecani (grandi magazzini). Una seconda contraddizione era quella che opponeva commesse e proprietari e dirigenti dell’UPIM. Il lunedì precedente vi era già stata – ma promossa dai sindacati – un’agitazione dei lavoratori del commercio che in sede di protesta avevano picchettato l’UPIM impedendogli di aprire. La nostra partecipazione, per quanto richiesta dalle commesse, era stata politicamente inconsistente, mera presenza fisica di alcuni alla "processione". Nonostante ciò (intendiamo dire: nonostante la situazione genericamente positiva) nessun lavoro di coscienzializzazione ha preceduto le azioni (scontri provocati con la polizia) e nessuna chiarificazione è stata da noi condotta nei giorni successivi! Risultato: il campo antiautoritario non si è di fatto esteso e gli scontri hanno auto come unico risultato alcune denunce!
Sulle parole d’ordine: un principio fondamentale che dobbiamo aver presente nelle nostre operazioni d’offesa è il seguente: "disgregare le truppe nemiche", e cioè rompere l’unità fra ufficiali e soldati e unire per quanto è possibile i soldati al popolo. Questi risultati non possono essere ottenuti gridando "polizia fascista", parola d’ordine questa che:
1. aumenta la coesione interna del nemico
2. aumenta la sua aggressività
Il nostro obiettivo è aprire contraddizioni e spiragli, a questo scopo vale gridare:
"Polizia con noi"
"Diritto di sciopero anche ai poliziotti"
" Abbasso gli ufficiali"
" Polizia col popolo contro i padroni"
UN GIORNO DI CRISI
Con il 15 novembre si apre una fase nuova nel processi di sviluppo del campo antiautoritario. Questa fase si caratterizza in particolare per l’emergenza di due elementi negativi:
• il crollo dell’organizzazione provvisoria in seguito all’esaurimento della campagna di massa
il crollo politico di alcuni vecchi quadri.
NOTA: questi elementi non segnano comunque un effettivo regresso quanto piuttosto non consentono all’organizzazione di svilupparsi con l‘intensità ed il ritmo dei giorni precedenti.
La natura essenziale della crisi trova un suo punto d’origine nel repentino cambiamento di rapporti tra movimento e popolo, tra movimento e masse. Dopo la fase offensiva che ha caratterizzato i primi quattordici giorni (campagne di massa) si tende infatti ad attestarsi su posizioni difensive (KU/Comm.).
Una dura presa di coscienza: queste strutture di servizio al popolo esistono solo come forme pensate, ma il "concreto" ancorché sintesi di molteplici determinazioni, non le registra affatto!
Una considerazione sull’organizzazione:
Il processo rivoluzionario, non è un fatto spontaneo o spontaneistico. In quanto processo storicamente determinato – oggi in Europa – esso è concepito come processo di lungo periodo e di massa, e per ciò stesso richiede resistenza ed organizzazione. L’organizzazione è un’arma indispensabile per ogni movimento rivoluzionario. (Lenin/Mao e molti altri ...). Essa è lo strumento che consente di realizzare gli obiettivi tattici e strategici che il movimento si pone.
NOTA: organizzazione come strumento è altro da organizzazione come feticcio! I rivoluzionari usano l’organizzazione. I revisionisti si fanno usare dall’organizzazione" (Apparato = Organizzazione)
La necessità di sviluppare il campo antiautoritario in modo equilibrato in una prospettiva di lotta di lunga durata e di massa, comporta l’assunzione di moduli organizzativi:
• flessibili
offensivo-difensivi (strutture di attacco/ strutture di servizio)
di massa
adeguati all’ambiente metropolitano.
SULLA PRIMA PROPOSTA DI STRUTTURE DI SERVIZIO AL POPOLO (16 Novembre)
Dopo i primi quattordici giorni di crescita ininterrotta del campo antiautoritario ed un giorno di crisi che mette in evidenza come non sia possibile sviluppare l’ipotesi politica (lunga marcia attraverso e contro le istituzioni) senza dargli una corporeità organizzativa più precisa il MSA decide di ristrutturarsi provvisoriamente in una organizzazione così disegnata:
Questa prima traduzione in organizzazione del discorso politico che è venuto maturando negli ultimi mesi (settembre-ottobre: seminari/primi giorni di novembre: campagne di massa) riflette profonde esigenze del MSA, infatti non sembra più possibile espandere il campo senza assestare organizzativamente le forze che sono ora disposte a continuare la lotta. Questa ipotesi di organizzazione è comunque già tuttavia contenuta allo stato di latenza/esigenza nei moduli di movimento che hanno caratterizzato il periodo delle prime campagne di massa. Il "salto di qualità" rispetto all’anno precedente è dovuto al concetto/progetto di Università Critica. La KU acquista una rilevanza /nodalità strategica nel discorso politico del MSA e dalla sua realizzazione-funzionamento dipende l’effettiva possibilità di sviluppo in questo momento del campo antiautoritario.
L’ipotesi del KU in via approssimativa si fonda:
• sulla valutazione politica e di fatto dell’Università come anello più debole della catena istituzionale nella nostra formazione economico-sociale (punto di minima resistenza o valvola fusibile del sistema)
sulla possibilità concreta che il movimento ha di mantenere
e sviluppare il controllo politico delle attività didattiche e di ricerca
che s’intendono svolgere in Facoltà (contenuti/metodologie)
sulla possibilità oggettiva di stabilire una relazione dialettica tra
la zona di difesa e riflessione del movimento e la sua zona di offesa, secondo
il principio: "dalle commissioni ai corsi/ dai corsi alle commissioni"
sulla capacità operativa delle commissioni o strutture di servizio al
popolo di sviluppare una linea di massa per:
1. la restituzione al popolo del sapere sociale di cui è stato espropriato
2. rovesciare sulla città e intraprendere ... la lunga marcia attraverso e contro le istituzioni
• sulla rilevazione del fatto che presso le classi subalterne è andata persa o è in via d’estinzione l’idea stessa di liberazione social-rivoluzionaria.
Alcuni chiarimenti:
Sull’Università come centro d’intelligenza sociale - base politica – o momento di restituzione al popolo del sapere sociale di cui esso è stato espropriato. Non si da appropriazione senza espropriazione del nostro sistema. L’appropriazione dei pochi coincide all’appropriazione dei molti. La plus-cultura di cui noi "beneficiamo" è il corrispettivo dell’idiotizzazione socialmente necessaria per mantenere in piedi queste strutture di merda. Il passaggio dalla critica all’università, alla Università Critica (dalle armi della critica alla critica delle armi) vuol anche dire, stravolgimento di una cosa nel suo contrario – senza troppo ottimismo, ma con quel po’ che basta per essere convinti che nonostante tutto il "caos" è più apparente che reale! Il vecchio centro di riproduzione della società del dominio e dello sfruttamento si organizza per un momento nell’epicentro del terremoto antiautoritario e sprigiona, sovvertendo ogni regola, le nuove forze produttive della liberazione dell’uomo. A proposito del concetto di "Rovesciamento sulla città". Uno slogan: "rovesciare la città nell’Università per rovesciare l’Università nella città". Che vuol dire: "rovesciare i bisogni reali del popolo nell’Università Critica intesa come struttura di servizio al popolo per mettere la scienza al servizio del popolo.
Un altro slogan: "Parlare col popolo e non al disopra del popolo, per far parlare il popolo".
Ci si propone con tutta evidenza sviluppando il lavoro politico in questa prospettiva di ampliare il raggio di influenza politica (e quindi le sue strutture e infrastrutture organizzative) del campo antiautoritario distruggendo – mediante l’attualizzazione di contraddizioni che rendano espliciti al popolo i meccanismi e le istituzioni di manipolazione di sfruttamento e di repressione – gli stereotipi fascisti che il "nemico di classe" fa quotidianamente penetrare nella sua coscienza. L’esplosivo la cui potenza è in grado di far saltare il "pieno cattivo" non l’abbiamo ancora inventato! Ma una cosa ci sembra sempre più sicura: l’ombra della terza internazionale non evoca ormai più immagini di liberazione! Non è una cosa questa che ci riempia di gioia, ma piuttosto ci consiglia di "osar osare" tentando per il sentiero dell’eterodossia di reinventare un senso al termine ormai frusto di "rivoluzione"!
Se alcuni termini in uso nel movimento: Università Rossa/ Università Popolare.
Non è il termine che definisce la situazione, ma la situazione che definisce il termine. Ciò che stiamo facendo lo chiamiamo KU / ma ciò che stiamo facendo è un processo che ogni giorno è diverso dal giorno precedente /Il termine purtroppo è sempre agevole / cercar di capire il processo è forse più importante di una disputa terminologica.
Nota critica: alcuni limiti di questa forma organizzativa che il movimento si è dato, sono emersi già nei giorni immediatamente successivi. Quello che qui ci interessa sottolineare è la mancanza di un effettivo centro di unificazione politica del campo. La KU non può assolvere a questa funzione come si era previsto/.
La commissione coordinamento d’altro canto non può certamente sopperire a questa carenza politica. Per molti giorni ancora non si darà risposta a questo problema. Permane inoltre un elemento di confusione tra gli stessi compagni che organizzano le lotte all’interno dei corsi tra la "KU" e la "Commissione KU" che con semplificazioni indebite vengono molto spesso identificate. Infine, zona di difesa e zona di offesa non riescono in questo primo momento a legarsi. Tutto il movimento si muove pesantemente ed emergono all’interno delle varie commissioni tendenze regressive verso i moduli organizzativi di "potere studentesco". E’ in questo momento di "debolezza" che si inserisce una prima campagna repressiva concertata tra la stampa e la magistratura e che porta come nelle dissolvenze cinematografiche alla momentanea disintegrazione del MSA.
LA CAVALCATA DEI 101 giorni 17/18/19
Le attività esterne che il MSA ha sviluppato nei primi 14 giorni del mese, sono prese ad oggetto dalle forze repressive e manipolative per sviluppare un’intensa ed organizzata campagna di intimidazione presso gli studenti. Piovono denunce, ma si diffondono "voci" di probabili ed imminenti arresti. Il "panico è generale", l’organizzazione non regge: tutto viene travolto dall’armata brancaleone in fuga! Per una notte e un giorno, il movimento si mimetizza così bene che non è più possibile rintracciare neanche i compagni assolutamente estranei alle azioni che hanno provocato le denunce. Una considerazione: L’autoesaltazione e l’ingigantimento mitico del proprio operato politico porta molti compagni militanti ad autoprodursi nella immaginazione quali eroi, figure temibili e perciò stesso perseguite dalle forze dell’ordine costituito (la polizia che poi è sempre il papà). La costruzione mitica dell’eroe ovviamente compensatoria di una molteplicità di frustrazioni consente lo svilupparsi di una struttura giustificatoria e compensativa della fuga reale, che altrimenti non troverebbe appigli sufficienti nel processo concretamente vissuto. In altri termini: il menscevico non sfrattato torna alla carica comprando un biglietto per il primo treno!
Una nota: L’Uomo Nuovo, il rivoluzionario del XXI secolo sono frutti che devono ancora maturare sull’albero genealogico della sinistra rivoluzionaria europea.
Molti compagni però, non convinti di ciò e fuori dal MSA, si ostinano nell’illusione di potere stravolgere la putrescenza del revisionismo nel suo contrario con mere terapie di superficie, a voler recuperare suggestioni bolsceviche "all’epoca della grande rivoluzione culturale proletaria". Questi compagni si logorano per tradurre l’organizzazione in politica (per "politica" intendiamo: "lotta di classe") ma il risultato è che la "politica" non si lascia tradurre in quei termini d’organizzazione! Essi pensano di poter costringere la spontaneità della lotta di classe negli schemi oggi più che mai astratti di un intellettualistico bolscevismo. Altri compagni, all’interno del MSA, pur convinti che solo nella misura in cui lo scontro con il sistema diverrà più aspro e meno occasionale, si accresceranno le possibilità di rendere rivoluzionari i "rivoluzionari" tendono a sottovalutare, commettendo l’errore opposto, nel rapporto spontaneità-organizzazione proprio il momento dell’organizzazione. Nessuno ci venga a decantare una maleintesa mitologica della spontaneità. La più alta forma di attività spontanea è la sua forma organizzata" (R.D.).
L’opporsi a un cattivo leninismo rifiutando l’organizzazione è un po’ come tagliarsi i coglioni per far dispetto alla moglie.
Rilancio dell’organizzazione giorni 20/21/22/23
L’organizzazione della zona di riflessione e di difesa (KU) è uno dei momenti più delicati che il MSA ha di fronte nel lavoro di organizzazione del campo antiautoritario. Il maggior vincolo in questo primo periodo, sta nel fatto che il progetto di KU è chiaro a pochissime persone, mentre la sua realizzazione richiede la partecipazione attiva di una gran massa di compagni. Anche tra i compagni più impegnati, a causa di una mancata ed approfondita discussione sull’organizzazione complessiva del campo e della sua dinamica interna ed esterna, si diffondono alcune convinzioni errate. E’ errato per esempio mettere in relazione la KU unicamente con l’università così come "normalmente" chi la ha fatta vorrebbe farla funzionare. In questo modo non si coglie la nodalità della KU in rapporto al lavoro esterno, al rovesciamento sulla città, alla lunga marcia attraverso e contro le istituzioni e cioè in rapporto alle esigenze dell’avamposto offensivo del campo: le commissioni, i gruppi di base. Così, questi ultimi si muovono "autonomamente" e nessuna forma di coordinamento è più possibile tra Istituto e Istituto. Ogni commissione diviene un fronte senza retroterra e la KU isolata perde ogni significato sul piano dell’intervento politico. Un altro errore che si palesa dopo i primi giorni di esperimento e quello che fanno alcuni compagni quando tendono a proporre soluzioni particolari del corso al generale del disegno/progetto politico complessivo del MSA. La KU va vista infatti anche come risposta di lungo periodo a una serie di interrogativi (ipotesi) che il movimento si pone. I tempi della rivoluzione occidentale, a nostro avviso, non sono solo quelli immediati delle esigenze delle singole commissioni di lavoro ma sono anche quelli "mediati" necessariamente per far luce su alcune questioni di teoria sempre più necessarie per fare qualche passo avanti. L’Università Critica si configura così almeno tendenzialmente come un momento organizzato del processo di lotta-critica-trasformazione ed il suo funzionamento è consegnato alla effettiva militanza dei compagni.
Nota sullo stile di lavoro:
Abbiamo iniziato dicendo: "Una carogna si aggira per l’Europa". Intendevamo parlare del revisionismo.
Ma ... " non si può chiudere il suo cadavere in una bara e nasconderlo in una tomba? Questo cadavere si decompone in mezzo a noi, imputridisce e si contamina" (Lenin).
Prima la borghesia, poi per quasi tutti noi il revisionismo, ci hanno strutturalmente predisposti a separare la teoria dalla pratica. La scissione tra intellettuale e militante è il prodotto di 15/20 anni di manipolazione. Rivoluzionare noi stessi nello stile di lavoro è un processo che non si può innescare senza una pratica costante a livello del movimento dell’autocritica. La catena è:
"pratica-critica-autocritica-rettifica"
Uno dei momenti più deboli dell’attività del MSA in questo primo mese è stato appunto la sua incapacità di riflessione – autocritica, una delle conseguenze politiche: la mancanza di una effettiva campagna di rettifica dello stile di lavoro non adeguato.
I fatti di Avola e noi
Un fatto non previsto esterno ad Avola: i mitra della polizia falciano i braccianti in sciopero: due morti, tre feriti. Il movimento reagisce indicendo un’assemblea generale.
Attenzione: l’assemblea generale, "ignorando" completamente il fatto che il campo già dispone di una sia pur embrionale struttura organizzativa, propone agli studenti presenti una struttura di risposta alla borghesia di questo tipo:
Commissioni
Fabbriche
Medi
Città
Corteo Università
Stampa
Coordinamento
E’ il trionfo delle tendenze errate già presenti nel movimento. Quello che fino a poche ore prima era un carente funzionamento della coordinazione politica tra le strutture di difesa e riflessione e quelle di offesa ora diventa una vera e propria scissione fra i due momenti. La commissione KU non è neppure convocata. L’ombra di "Potere Studentesco" avvolge il movimento. (Nota: la struttura proposta è appunto quella in altra parte criticata di "Potere Studentesco"). Si attraversa una vera e propria fase regressiva in cui risultati negativi non tarderanno a farsi sentire.
Nota: cause della regressione: due tesi:
prima: la causa della regressione è da addebitarsi al "vuoto politico" del movimento.
R.: non di vuoto politico dobbiamo parlare – anche perché "vuoto politico" non è mai dato – ma di "Pieno cattivo"! Pieno cattivo vuol dire che il Movimento registra al suo interno in forma dominante contraddizioni fra quadri e militanti, tra quadri/militanti ed aderenti. Vuol dire inoltre, che il Movimento non è più in grado di unirsi saldamente al popolo.
Lo "spirito di gruppo", il "militarismo", l’avventurismo prendono il sopravvento sulla linea strategica generale del movimento: la linea di massa.
Tre fatti tra i fatti sono rilevatori di quanto stiamo dicendo:
• Attacco ai sindacati: al raduno di piazza Duomo, la voce di un compagno, non è stata la voce del Movimento. La commissione fabbriche e più in generale il movimento sono stati posti di fronte al "fattaccio", un fatto irriflessivo ed esterno alla logica stessa del Movimento. Un "fatto" che ha costretto nei giorni successivi il MSA al "recupero". Una critica non determinata, non è una critica rivoluzionaria. L’attacco ai sindacati nella sua assolutezza è stato, cioè, più che politico, metafisico e i risultati che esso ha ottenuto sono stati quelli di "staccarci dal popolo" invece che unirci più saldamente ad esso. Saltare tutte le mediazioni ha significato, in questo caso, dire cose pur giuste in assoluto in modo errato. E questo è un errore politico che ripetiamo! (vedi sciopero generale pensioni).
• Corteo-processione: la mancanza di chiarezza sugli obiettivi che s’intendono perseguire fa sì che la testa del corteo non perseguiva l’unico obiettivo ragionevole a quel punto (e cioè condurre gli operai in Facoltà per iniziare un discorso di chiarificazione sull’accaduto e sui sindacati oltre che per tradurre in politica l’unico momento felice di una giornata per altro fallimentare). Una lunga camminata senza meta è la migliore espressione della propria impotenza politica!
Volantini: durante la manifestazione vengono diffusi volantini
sul "comunismo dei consigli" firmati "Movimento Studentesco"!
Si cade dalle nuvole. Nessuna commissione e nessuna assemblea ha mai discusso
cose del genere. L’arroganza minoritaria cerca il suo spazio al riparo
del Movimento! Il MSA rischia di diventare il movimento senza qualità.
seconda: La causa della regressione è da addebitarsi alla non comprensione delle linee di massa da parte di alcuni "vecchi quadri" che già nei giorni precedenti (dal 14 in poi) hanno manifestato il loro "disorientamento" non riuscendo più ad impostare alcuna uscita di massa del Movimento. Detto in altri termini, questo vuol dire che a livello politico non vi era stata, da parte di questi quadri, una effettiva comprensione della linea strategica generale (lotta di lungo periodo, - linea di massa, lunga marcia ...) e delle strutture organizzative embrionali che ci si era dati per realizzarlo. L’uscita per i fatti di Avola dunque – provocata da uno stimolo esterno – costringendo il Movimento (nella prassi frazionato anche per una malintesa ed ultrademocraticistica interpretazione a livello di commissione del concetto di "autonomizzazione politica") a mettere sul banco le sue carte, ne ha evidenziato forzatamente le tendenze errate che abbiamo prima succintamente registrato. Queste tendenze vengono ingigantite particolarmente poi dai tentativi soggettivi di mascherare la scala buca. Ma questo è positivo: ci costringe tutti ad una ridiscussione globale su tutto il movimento.
Sintesi di due assemblee:
Dopo Avola il MSA non può più dilazionare una radicale campagna di rettifica del proprio stile di lavoro. Una voce in assemblea parla per tutti: "Vogliamo una seria autocritica"!
Siamo pronti a farla:
ce n’est qu’un debout continuons le combat
Frammenti di carattere generale
1. La schizzofrenia (dentro/fuori teoria/prassi) di "Potere Studentesco" e l’alternativa della "K.U.".
L’elaborazione teorica dei mesi di settembre/ottobre e la proposta pratica di novembre dell’Università Critica (KU) è sorta in modo quasi necessario dall’autocratica estiva sulla "schizofrenia" politica che aveva precedentemente caratterizzato il movimento (quadri "dentro" la scuola/elaborazione teorica, quadri "fuori" della scuola/attivismo spontaneistico). Lo stravolgimento dell’università in KU appare come necessario proprio per "saldare" l’attività del movimento e dei quadri.
A. La "scienza" politicizzata" realizzabile entro il KU avrebbe permesso la distruzione della dicotomia precedente (lavoro politico/lavoro culturale).
B. La dimensione "critico-pratica" realizzabile nella KU (rovesciamento della città nella università – rovesciamento dell’università sulla città) avrebbe permesso di distruggere la dicotomia preesistente (dimensione critica nella scuola – dimensione pratica fuori della scuola).
C. La politica "offensiva" (campagne di massa/ lotta vincente)realizzabile attraverso la nuova organizzazione complessiva del movimento avrebbe permesso la distruzione della precedente politica "difensiva" (lotta per la lotta/spontaneismo/codismo).
L’università borghese doveva essere presa e distrutta all’interno. La sua funzione doveva risultarne rovesciata (produzione di studenti-merci/produzione di studenti antiautoritari) (produzione di sapere tecno-burocratico/produzione di sapere politico). L’università, stravolta in KU, doveva essere "messa al servizio del popolo". Il MSA avrebbe funzionato anche come veicolo di RESTITUZIONE DEL SAPERE SOCIALE al popolo, che di esso era stato espropriato attraverso i meccanismi classisti di selezione. L’istituto di via Verdi non doveva dunque più essere un luogo "noioso" (in mano agli altri: potere accademico/potere amministrativo) doveva andare ogni tanto a "fare azioni esemplari" (cioè: occupazioni, go-in, teach-in, sit-in, boicottaggio esami e corsi ...) ma anzi, un luogo PERMANENTE di attività critico-pratica sovversiva di tutti i compagni del movimento. Tutta l’attività didattica doveva essere stravolta. Lo studio - che prima il quadro concepiva come male necessario, pedagogia da pagare per fare "altro" – doveva essere funzionalizzato QUANTO PIU’ POSSIBILE all’unica attività dotata di senso (la politica), diventando – quindi – momento di riflessione teorica sul "reale da rovesciare".
... Raggiungere tale obiettivo sembrava allora "pazzesco". Si rinunciava i tal modo alla lotta frontale col professore effettuata nei termini di Potere Studentesco (lasciarlo fa per poi contestarlo, politicizzando così i compagni), sostituendolo con una più difficile opera di "controllo politico" del corso, in cui il professore doveva essere necessariamente coinvolto ... ecc... era insomma un "capovolgimento (apparente) di strategia" in cui si rischiava grosso, trovando tutti i "vecchi compagni" impreparati a tale "nuovo corso" (di fatti molte lacune, imprecisioni, incomprensioni, si sono manifestate e si manifestano tuttora entro il MSA ed entro la KU). Sembrava "pazzesco" anche perché "irrealizzabile" (non ci starà nessuno, i professori ci manderanno affanculo ...). In termini almeno parziali, e senza cancellare gli enormi difetti del lavoro fatto e di quello in corso, possiamo però dire: siamo stati realisti, abbiamo chiesto l’impossibile e adesso si è in parte realizzato. (sic!). (Novembre e dicembre: due mesi di KU. Appare un inizio, molto caos, ma possiamo dire anche qui Eppur si muove. Restano altri mesi, ad gennaio in poi. Un tempo da trasformare in occasione di perfezionamento, sulla base dell’esperienza fatta ormai da tutti).
In sintesi, la KU, se funzionante (anche in modo parziale), doveva impedire il riprodursi della schizofrenia nel MSA. Innanzitutto, impedendo che l’università venisse intesa in modo STRUMENTALE (su questo c’è ancora molta confusione, specie tra i "vecchi"). Cioè, un vivaio dove andare ogni tanto a buttare la rete per cavarci fuori quadri da far "lavorare fuori" (la dove si fa il "vero" lavoro politico). Bene. Il superamento della visione strumentale della scuola vista invece come territorio politico diretto e centrale (sottolineato: CENTRALE) di formazione politica e di scontro politico è stata in parte realizzata. (In parte, perché alcuni quadri insistono nella visione strumentale, anche se rivestita di nuove parole e concionata da nuovi slogan). Per tutta l’estate si è detto: "Basta romperci le palle nelle aule e negli esami su cose idiote. Le cose che ci interessano (universali/politiche/al servizio del popolo e della lotta) devono essere fatte là dentro, e non fuori, a casa dei compagni, di notte, nei ritagli di tempo". (Lo studio al servizio del processo rivoluzionario non deve essere fatto "fuori" e "parallelamente" allo studio obbligatorio-reazionario. Usiamo la nostra forza politica per distruggere le ATTIVITA’ PARALLELE, studio buono volontario/studio cattivo obbligatorio, e creare una attività unica, la SCIENZA POLITICIZZATA entro e fuori dell’università) ... Queste le cose dell’estate, da cui è venuta fuori l’esigenza dell’attuale KU. (Le ricordiamo, queste cose, perché pare che alcuni quadri le abbiamo dimenticate, e proprio quelli che hanno lavorato d’estate). Se quello che è venuto fuori non risponde ancora pienamente ai nostri progetti, bene, vuol dire che c’è ancora molto da fare. Ma l’ipotesi strategica è centrata e, fondamentalmente, anche riuscita. L’Istituto di Via Verdi non esaurisce certo le esigenze del movimento (ma ne è stato plasmato), ma neppure, come succedeva negli anni scorsi, le rigetta completamente. Certo, la "schizofrenia" non è scomparsa. Le contraddizioni si riproducono a diversi livelli, e si ripercuotono oggi in forma diversa. I compagni sembrano tanti "dimezzati" tagliati in due tra l’attività di commissioni e l’attività di KU. Gli "spazi privati" si riducono e molti entrano in crisi , di modo che il lavoro ripiomba, cresciuto, su di un numero ristretto di compagni. Alcuni si isolano nella sola KU. Altri ne vivono fuori, toccandola solo marginalmente. E la lunga marcia sembra continuamente smorzarsi: crescono i settori di intervento "esterno" e lo spazio "interno" si riduce e scade ad intellettualismo. Sorgono continuamente le concezioni strumentali della scuola (il modo più facile e semplificato di risolvere il problema): si vorrebbero i corsi funzionalizzati in maniera DIRETTA alle attività IMMEDIATE dei settori di intervento. Lo stesso avviene per il ricerca. La "teoria" da elaborare collettivamente non trova così più luogo ove esercitarsi. E si riduce la teoria a "ripensamento" su ciò che si è appena fatto – progettazione su ciò che c’è immediatamente da fare". (Il che non è evidentemente "teoria"):
Il MSA deve dibattere politicamente questo "momento critico" entro le commissioni di lavoro e in Assemblea di commissioni. Il mese di gennaio è una grossa occasione per sviluppare "creatività" rivoluzionaria. Ci sono "spazi vuoti" durante le giornate che è possibile utilizzare ... Occorre farci "passar dentro" le esigenze radicali che il MSA si inventa crescendo politicamente, confrontandosi colla "pratica sociale". (A proposito, contro interpretazioni riduzionistiche del concetto di pratica sociale, sarà bene ricordare che il compagno Mao lo definisce in questo modo: lotta di classe, lotta per la produzione, sperimentazione scientifica. Tutte tre le cose, tutte tre e non una sola. L’insieme complesso e dialettico delle tre è la pratica sociale).
NOTA LAMPO: Alcuni compagni parlano già del MSA come movimento popolare e non solo più studentesco. Non permettiamo ai nostri desideri di stravolgere le nostre analisi. Il desiderio è parte necessaria e insopprimibile della politica rivoluzionaria. Ma ciò che possiamo diventare non è già ciò che siamo, ancora. Allo stadio attuale la KU e il MSA rimangono i centri teorici e pratici della nostra attenzione e della nostra attività/ La nostra espansione non ha ancora mutato la nostra natura. LUNGA MARCIA, anche se URGENTE.
1. Sui nostri rapporti sul revisionismo e sul riformismo (un aspetto determinato)
Molte delle cose che diciamo sono riprese dai revisionisti a livello di slogan (modificate quindi, e profondamente nei loro contenuti politici) e come tali "accettati. Accade – oggi – soprattutto, per certi slogan dutschkiani (come "lunga marcia" etc ...), che si ritrovano ad abitare sulle labbra di Occhetto e magari anche di Longo Luigi. E finiscono in prima pagina dell’Unità, con tanto di salamelecco approvativo. C’è una strumentalizzazione del PCI in questo senso molto accentuata. Il PSIUP, per parte sua, teorizza l’AUTONOMIA del movimento di massa (e anche di quello studentesco), e concede molto ad alcune formulazioni ereticali (del MS stesso) – (La lusinga dell’insalata ... russa). Ecco, ciò che è stato strappato colla lotta (l’autonomia politica dei movimenti di massa, autonomia dal revisionismo) elaborato dentro la lotta (necessità della lunga marcia, lotta alle istituzioni) oggi, dopo il maggio francese e la sua appendice cecoslovacca (cose per altro molto differenti), il revisionismo lo "riconosce". La benedizione del figlio adulterino è necessaria per una rimasticatura neogramsciana dell’egemonia del partito. L’egemonia rimangerà le autonomie: non distruggendole (visto che ci ha tentato e che ci è andata male) ma accettandole e sussumendole in un quadro generale (il partito revisionista, la strategia revisionista) di lunga portata. La spontaneità disorganizzata di tali "movimenti di massa" è ciò che più preme-oggi al MO revisionista. Essa può così essere riassunta ed orientata dall’organizzazione esistente (partito e sindacato). Bene. (Occorrerebbe un discorso molto più complesso ed articolato, che non facciamo qui, su come e perché i revisionisti si muovono in questo modo: basta l’indicazione di massima/ Non si tratta di "aver paura" se Occhetto e Longo ci ripetono le righe (e ce ne cambiano il senso).Si tratta di continuare sulla strada rafforzando quantitativamente e qualitativamente il movimento, nella sua dimensione extra-parlamentare e anti-riformista. La chiarificazione non sta nelle nostre denunce verbali o in vibrati dichiarazioni contro il "plagio". (Non solo, eventualmente). Occorrerà passare anche ad "azioni dirette" contro le istituzioni revisioniste. (In primo luogo quelle locali). Bisognerà che nei prossimi mesi si sviluppi un lungo dibattito – entro il MSA – sulla natura del revisionismo moderno. E se ne chiarifichino le funzioni. A quel punto la chiarificazione potrà lasciare il posto alla azione esplicita contro il revisionismo e le sue istituzioni.
(NOTA/ il 1969 è – oltre tutto – l’anno della NATO e dei CONTRATTI DI LAVORO. Due temi di fondo su cui si muove anche il revisionismo. Da gennaio in poi sarà opportuno organizzare il MSA in funzione anche di questi due temi, superando il limite di sede, sviluppando contatti e proposte comuni con altre sedi universitarie, sia nazionali che europee) (Su questi temi il gioco è ampio e grosso. Non possiamo permetterci di cadere nella politica del "GIORNO PER GIORNO", nella politichetta miope che scruta l’albero e non vede la foresta. Senza interrompere il "lavoro quotidiano" bisognerà che troviamo momenti collettivi di "ampio respiro" in cui cominciare ad approfondire i nostri piani di attacco).
1. (ALTRA NOTA, che non c’entra molto con quanto sopra: LA SEDE DEL MOVIMENTO. E’ costata l’ira d’Iddio, sia come soldi, sia come fatica di pochissimi compagni che ci si sono impegnati. A partire da gennaio è pienamente funzionante e disponibile. Da parte, come ovvio, di tutti, anche di chi non ci ha mai messo una goccia di sudore né uno striminzito pensierino creativo. E’ ricchezza sociale comune, possiamo farla diventare ricchezza sociale comunista per il MSA e per il popolo. Dipende solo dalla nostra coscienza (falsa) e dalla nostra volontà (pietrificata) entrambe nella loro accezione politica.
L’uso dell’oggetto definisce l’uomo. L’individuo cresce usando forze produttive. La sede è FORZA PRODUTTIVA. Può diventare un punto archimedeo per "sollevare il mondo" e "rovesciare lo studente in antiautoritario VEDIAMO ...).
BIBLIOGRAFIA (sommaria, parziale, settaria ed un po’ nevrotica).
Sul movimento studentesco.
3 volumi iniziali. Quello di Laterza (Documenti della rivolta universitaria) e i due di Marsilio (Università: ipotesi rivoluzionaria) (Contro la scuola di classe) Esprimono lo stadio iniziale del movimento. Vanno bene per capire come eravamo e da dove siamo venuti. Ci dicono poco o niente su come siamo ora. Inevitabile, dato il livello teorico-pratico di allora (aprile 67). Non vale la pena leggere tutto. Trento e Torino (Palazzo Campana) sufficit. Se c’è tempo, non fa male "Lettera ad una professoressa" (Barbiana) /Da quella mammella hanno succhiato latte un po’ tutti. Viene prima dei tre volumi detti sopra. Inoltre è scritto meglio ed è meno presuntuoso.
Problemi del socialismo n. 28-29. Dedicato tutto al movimento. Molte cose noiose, altre molto stimolanti. Tra queste: Jem Rowtree/Bobbio-Viale/Rieser/Bachaus/Trulli-Felici.
AAVV "La ribellione degli studenti: Feltrinelli. Tutto e bene.
AAVV "Kritische universitat" Marsilio. (Fondamentale la "scienza politicizzata", ma il resto non è da buttare. Leggendolo tutto si scopre così che, con la nostra, quella ha poco a che fare, ma andrà molto in comune. Non sempre dietro l’etichetta tedesca i compagni di Trento ci hanno messo roba tedesca, anzi. Vediamo di non confondere.
Inoltre "Quaderni piacentini" dal n. 34 in poi (tutti gli ultimi numeri). E’ indispensabile trovarli o farseli prestare. C’è molta roba da masticare e da digerire, anche se non sempre il "pasto" è accettabile. Nota in particolare le robe di E. Masi, C. Donolo. G. Backhaus, E. Fachinelli, le interviste a Dutschke e a Newton.
Una collana da saccheggiare è i "Dissensi" dell’editore De Donato. In particolare: "Dutschke a Praga" ma anche soprattutto L. Magri "Considerazioni sui fatti di maggio". (Inoltre Debord e Dubernam. Oppure Habernas e Rossanda).Importante di DE DONATO, in altra collana, "Gli studenti e la nuova sinistra in America" (Carmichael, ottimo. Ma anche qualche bianco).
Sul maggio francese. In italiano c’è L. Magri (vedi sopra), ma anche il Saggiatore "La comune di Parigi del maggio 68 (il saggio di Coudray). Marsilio con "I muri di Parigi" (stupendo a pochi soldi). E anche "Manifesti della rivolta di maggio" Ed. Riuniti.
Il meglio è in francese. Soprattutto "Partisans" n. 42 (rivista col numero speciale sul maggio. Documentazione ricchissima. Articoli molto buoni). E "C’è n’est qu’un débout continuons le combat" Maspero (del 22 marzo).
Cecoslovacchia. Vedi su "Nuovo Impegno" n. 12-13 (articolo di Pio Baldelli).Una cosa interessante è R. Richta "La via cecoslovacca") ANTGELI (indicato da Baldelli).
Samona e Savelli sono usciti con un libricino utile "Cuba URSS Cina Jugoslavia sull’invasione della Cecoslovacchia" (700 lire da spendere). Sul numero di Nuovo Impegno Ciabatti riprende e chiarifica l’intervento di Fidel (vedi).
VIETNAM: in giro c’è ormai abbastanza, sia di HO CI MINH sia di Giap. Bisogna sentire anche loro e magari prima del resto, cioè di quelli che ci scrivono "sopra". In questo campo il meglio sembra essere Chesneaux ‘perché il Vietnam resiste’ Einaudi Politecnico (specie il paragrafo sulla megamacchina). Sempre di Einaudi a cura di Collotti Pischel, il volume vietnamica "Il Vietnam vincerà".
NOTA: (MS, maggio francese, Cecoslovacchia, Vietnam: i 4 "fatti del ’68. C’è mare di roba scritta, e quella indicata è minimale. E anche un po’ settaria, per fortuna. Di quello che resta fuori vorremmo indicare poco, ma almeno il necessario. Ad es., abbastanza del necessario lo si ritrova in una rivista la "Monthley Revue". Dandosi un po’ da fare c’è modo di trovare i numeri vecchi ed è quasi tutta da leggere).
Chiaro che è restata fuori la "rivoluzione culturale proletaria cinese", che pure è parte necessaria del "quadro" e anzi determinante. Ma una bibliografia è cosa da pazzi su questo tema. Meglio prendersi il libretto rosso e leggerlo attentamente.
+ Lin Piao "Viva la vittoriosa guerra popolare" ed. Oriente (ne parliamo tutti, ma pochi ci hanno messo su le mani. Peccato!).
II Questa seconda parte della bibliografia indica le robe di questa estate che non ci sono nella prima parte. Metterle già così fa un po’ ridere. Ma è meglio concentrarsi su "Manoscritti Economico-filosofici" e "l’ideologia tedesca". "Prefazione" alla "Critica della economia politica". E anche "l’introduzione" allo stesso testo. Inoltre "La critica al programma di Gotha".(Del resto Marx lo si fa in sociologia I, e ci si potrà rifare a quello che ne viene fuori, quando sarà pubblicato. Per il Capitale è un discorso a parte) (Grundrisse!!!).
Lenin. (idem come sopra). Ma almeno questo: "Che fare" e "Stato e rivoluzione" (per favore).
Un buon modo di leggere Lenin non so qual’è ma se ti rimanda anche a leggere altro, è bene cercarsi il Carr (tre volumi finora, sulla rivoluzione russa e il suo seguito, pubblicati da Einaudi). Di storia italiana l’unica roba potabile è DEL CARRIA "Proletari senza rivoluzione" (2 volumi a 3000 lire per le ed. Oriente). (La prefazione di questo testo è molto importante che la si studi a fondo. Il 2° volume è il più urgente. E comunque se si vuol leggere un po’ di storia italiana è bene leggere questo e non altro).
C’è poi quello che sembra essere diventato "il testo" del MSA (ma è un modo sbagliato di porsi): Lukacs "storia e coscienza di classe" ed. Sugar (l’ultima parte è da leccarsi i "baffi" teorici).
Engels: "L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato" (come vengono fuori storicamente e concretamente certe ‘istituzioni’). Messo dopo Lukacs fà un certo effetto. Ma è in funzione della lotta contro le istituzioni attraverso la rottura della falsa coscienza.
Fondamentale MAO. (in particolare "sulla pratica" "sulla contraddizione" "sulla giusta risoluzione delle contraddizioni" "sulla strategia della guerra rivoluzionaria").
Per un linguaggio nuovo: Malcom X ("autobiografia" "ultimi scritti" ed. Einaudi).
Sulla violenza Fannon: "i dannati della terra" Einaudi.
Sull’uomo nuovo Guevara: "il socialismo e l’uomo a Cuba" (e tra le righe il Diario)
di Marcuse (mai abbastanza utile e maledetto) 2 cose necessarie "la fine dell’utopia" e "Critica della tolleranza" (ci sono i suoi interventi e anche quelli di altri. Un confronto necessario).
Sulla sessualità rivoluzionaria: (ma bisogna ricostruire tutto)
W. Reich "La rivoluzione sessuale" Feltrinelli
Marcuse "Eros e civiltà" Einaudi
Fromm "Fuga dalla libertà" Comunità
"Quaderni Piacentini" (l’intervista a Huey Newton)
Le Roy Jones "Il popolo del blues" Einaudi
Norman Borwn "La vita contro la morte" I Gabbiani Mondadori
A parte "Quaderni rossi" (il 4° e 5° in particolare. n valore eccezionale ha l’articolo di Raniero Panzieri "Plusvalore e pianificazione" sul 4°) (sul 5° c’è materiale sociologico sulla "nuova classe operaia": organizzato da B. Beccalli) (sul n. 4). D. Lanzardo svolge un discorso schematico ma provocatorio circa le differenze tra proto capitalismo e tardo capitalismo). Oltre i Quaderni due testi (il secondo integra il primo anche se non basta) di "lavoro":
1. AAVV "Dove va il capitalismo" Comunità specie Baran, Sweezy, Bettelheim)*
2. Baran & Sweezy "Il capitale monopolistico" Einaudi
In ultimo un contributo sulla Antropologia dell’uomo della metropoli:
Adorno & Horkheimer: "Dialettica dell’illuminismo" Einaudi
Riesman: "La folla solitaria" Il Mulino
Melanie Klein ed altri: "Nuove vie della psicanalisi" Saggiat.
Marcuse: "Critica della società repressiva" Feltrinelli
Wright Mills: "Colletti bianchi" Einaudi
Backhaus: "Springer, la manipolazione delle masse" Einaudi.
DAL MAGGIO FRANCESE ALL’ UNIVERSITA’ CRITICA
Le ipotesi politiche formulate in questo documento vogliono essere un apporto teorico per una fondazione in senso marxiano del concetto di Università Critica, un apporto presentato in forma di stimolazioni, ipotesi e provocazioni presentate ai compagni per una ulteriore e più approfondita analisi del problema. In tutte le ipotesi qui formulate è tenuto come punto di riferimento e di verifica il Maggio francese. Punto di riferimento in quanto si ritiene che questo episodio storico di lotta di classe debba rappresentare per noi quello che la Comune di Parigi del 1871 ha rappresentato per Marx e Lenin. Campo di verifica in quanto materiale finalmente fornitoci dalla storia su cui verificare ipotesi tattiche e strategiche elaborate dai movimenti rivoluzionari negli ultimi anni. A nostro avviso infatti queste due esplosioni storiche del processo rivoluzionario hanno una fondamentale caratteristica politica comune che conferisce loro una pregnanza teorica unica: ambedue i fatti rappresentano la negazione dialettica del patrimonio teorico-organizzativo precedente del Movimento Rivoluzionario, e la proposizione, seppur minimalmente abbozzata e profondamente ambigua, di una nuova strategia rivoluzionaria. A nostro avviso infatti il significato più profondo dei fatti del Maggio ’68 in Francia sta nell’aver dimostrato come sia forse possibile la rivoluzione in Occidente, ma come certamente non sia attuabile applicando quelli che sono gli strumenti teorico-organizzativi di cui il Movimento Rivoluzionario dispone oggi. Al Movimento Rivoluzionario occidentale si pone perciò storicamente con grande urgenza il problema di una rielaborazione globale del suo apparato teorico-organizzativo che è stato messo completamente in crisi dall’esperienza rivoluzionaria del Maggio Francese. Problema che a nostro avviso va risolto fondamentalmente in due modi, ossia con un lavoro di ricerca scientifica e di invenzione politica. Visto da ambedue queste prospettive l’analisi del Maggio Francese assume per il Movimento Rivoluzionario occidentale una rilevanza fondamentale. Con questa precisa intenzione politica ci sembra dunque opportuno cercare di formulare alcune ipotesi ed alcune provocazioni che esso ci propone.
1. Attualità della Rivoluzione. Che la Rivoluzione sia in questa nostra società un bisogno reale ed urgente torna ad essere ormai una convinzione diffusa. In molti strati sociali affiora, per le vie più diverse, la consapevolezza che il sistema in cui viviamo è un sistema sbagliato, e che proprio il suo sviluppo ne rende più acute le contraddizioni, più vistosa la disumanità. Una società caratterizzata dalla ricchezza delle conoscenze scientifiche e delle risorse tecniche, anziché condurre alla liberazione dell’uomo, al suo dominio sul mondo, ne sancisce la definitiva riduzione a strumento produttivo. Il lavoro che, emancipato dalla lotta elementare contro la natura potrebbe divenire finalmente libera e creativa espressione della personalità, diventa invece sempre più, nelle forme e nei fini, estraniato. Il consumo che, liberato dalla lotta per la sussistenza, potrebbe superare il limite della passività, della semplice appropriazione delle cose, per divenire a sua volta arricchimento ed espressione dell’individuo e della collettività, degrada invece a pura funzione produttiva e quindi ad ozio standardizzato, possesso, dissipazione. L’istruzione si eleva e i mezzi di comunicazione fanno cadere separazioni e colmano distanze, ma solo per rendere più efficace una attività priva di senso o per affermare la irrazionalità di nuovi miti. Le istituzioni politiche paiono divenire più stabili, le regole della democrazia formule più sicure, ma il potere reale si concentra in un minor numero di mani, la repressione agisce con più sottili ed efficaci strumenti fino nel fondo della coscienza individuale, e la violenza si rinnova verso chiunque sfugga ai meccanismi di integrazione. Il Movimento del Maggio segna un nuovo, decisivo passo in avanti di tale consapevolezza e, soprattutto, per la prima volta, dimostra che essa sta diventando, o almeno può diventare, volontà di lotta, azione politica, impegno sociale.
2. Impossibilità di riprendere oggi in occidente il discorso rivoluzionario là dove nel 1923 era stato interrotto.
a. la società a capitalismo maturo non presenta più lo schema semplificato di una polarizzazione sociale identificabile in capitalisti da un lato e proletari dall’altro, in crescente antagonismo tra loro e sempre più consapevoli di tale antagonismo, bensì presenta una stratificazione sociale estremamente complessa in cui fondamentalmente sono presenti forti gruppi che una trasformazione socialista colpirebbe negli interessi immediati, e un proletariato estremamente stratificato secondo diverse condizioni di vita, di lavoro e di cultura. Da una corretta analisi di questi fenomeni estremamente complessi di stratificazione sociale dipendono problemi fondamentali per un esito positivo del processo rivoluzionario, quali ad esempio quello delle alleanze tattiche e strategiche e quello di un intervento politico differenziato sui vari strati. Come avanguardia del Movimento del Maggio francese assieme ai giovani operai troviamo intellettuali e studenti e tecnici a livello di massa, e ciò rappresenta un fatto completamente nuovo nella storia dei processi rivoluzionari in occidente.
b. Nella società a capitalismo maturo si è sviluppata l’impossibilità di fondare l’alternativa rivoluzionaria su una spontanea evoluzione delle cose fino all’esplosione di una catastrofica crisi e grazie alla maturazione delle forze produttive. Da un lato infatti lo spreco di ricchezza sociale, il parassitismo, la irrazionalità della società tardo capitalistica maturano anziché soffocarne la dinamica produttiva a cui sono in gran parte funzionali ("irrazionalità razionale del sistema" come la chiama Marcuse). D’altra parte, anche il rapporto tra le forze produttive e i rapporti di produzione non può essere più considerato nei termini di una opposizione tra un positivo (che come tale postula un sistema diverso e superiore) e un negativo che lo opprime e lo frena. Al contrario le stesse forze produttive se per un verso tendono a superare il quadro del sistema, per un altro ne portano intimamente il segno, hanno cioè le forme che lo sfruttamento loro impone, si dispongono naturalmente ai fini che l’ordinamento sociale seleziona. A questo punto perciò una delle contraddizioni fondamentali rilevate da Marx ossia quella tra funzione sociale della produzione e proprietà privata dei mezzi di produzione assume una specificità nuova nel senso che non è più chiaro fino a che punto siano socialmente utili gran parte delle produzioni della società a capitalismo maturo. (E’ socialmente utile la produzione bellica? E’ socialmente utile la produzione di trentasette tipi diversi di bicchieri per bervi dentro trentasette tipi diversi di bevande? Etc.). A questo punto perciò cambiando in molti casi uno dei due aspetti della contraddizione (la funzione sociale della produzione) il rapporto contraddittorio stesso deve necessariamente subire un mutamento. Anche questo tipo di problematica perciò necessita di una notevole revisione teorica.
c. Oggi il capitalismo ci propone anche nelle sue forme più avanzate, una società diseguale ed articolata, piena di privilegi, di status, di parassiti, con un intreccio continuo di sviluppo e sottosviluppo e tuttavia in questa complessità di rapporti sociali è facile ormai cogliere il processo reale che tutto regola e sostiene: ciascuno dei fenomeni che lo compongono, se analizzato, non ci appare come il residuo del passato, ma invece uno degli aspetti, continuamente nuovi e mutevoli, di un solo meccanismo di sviluppo del sistema, ad esso indissolubilmente legato. Ciò significa che in una società a capitalismo maturo ogni tema di lotta, anche il più tradizionale, il più democratico-borghese (l’autoritarismo) o il più tradeunionistico (la difesa della condizione immediata dell’operaio) non possono essere messi in evidenza, fatti esplodere, né si può fornire loro soluzione alcuna, se non individuando e rimuovendo le radici di fondo, cioè il sistema capitalistico. Ma per poter attuare politicamente ciò (ossia un certo tipo di gestione politica di queste lotte settoriali che tendenzialmente porti alla creazione di una coscienza anti-capitalistica nei soggetti storici che le attuano e perciò che porti anche ad una generale lotta anti-capitalistica) il Movimento rivoluzionario occidentale ha l’assoluta necessità di una teoria globale sul tardo capitalismo dove poter piantare poi la propria azione politica corretta.
d. Uno dei fenomeni più nuovi ed inattesi negli avvenimenti del maggio francese è stato lo straordinario bisogno di comunicazione e di vita collettiva, l’entusiasmo con cui grandi masse formate e condizionate dai modelli dalla civiltà consumistica si ribellavano a quei modelli, convenivano sulla loro assurdità, apparivano, seppure per un momento, pronte a rinunciarvi; e la felicità con cui in questa esperienza comunitaria, esse trovavano mezzi di comunicazione; la loro capacità di auto-organizzazione, la loro misura e la loro disciplina di rivolta. Tutto questo si spiega solo con l’ipotesi che la società a capitalismo avanzato, oltre ad imporre una deformazione sistematica della domanda di beni di consumo, modelli di vita e di organizzazione sociale sempre più scopertamente irrazionali, sollecita, e non può non sollecitare, altri bisogni, altre domande, che poi non è in grado di soddisfare. L’esplosione di Maggio in generale, prova che i meccanismi integratori del sistema, pur così potenti, sono sempre più in grave ritardo rispetto non già a un "bisogno umano" astratto e metastorico sul quale finirebbe per avere la meglio, ma con l’uomo concreto, storicamente determinato, che lo stesso sviluppo sociale è costretto a produrre. Fondamentale a nostro parere per una corretta sistematizzazione teorica di questo problema sono per quel che riguarda le forme di vita collettiva elaborate dal movimento rivoluzionario del Maggio francese l’analisi delle occupazioni e delle autogestioni di fabbriche, università e città (esperienza di Nantes), e per quel che riguarda le forme di comunicazione collettiva l’analisi delle innumerevoli scritte comparse nel Maggio sui muri francesi, molte delle quali nella loro spontaneità e immediatezza riflettono tutte le novità, le ambiguità e i limiti del Movimento del Maggio francese e della sua ideologia.
• Azione non deve essere una reazione, ma una creazione.
Corri compagno, il vecchio è dietro di te.
L’immaginazione prende il potere
Inutile restaurare, la struttura è marcia.
Non consumiamo Marx.
Non è una rivoluzione, Sire, è una mutazione.
Ho qualcosa da dire, ma non so cosa.
Si può fare la rivoluzione solamente se c’è conoscenza.
In ogni caso, nessun rimorso.
Non liberatemi, lo faccio da solo.
Siate realisti, domandate l’impossibile.
Di un uomo si può farne un poliziotto, un paracadutista, perché
non se ne potrebbe fare un uomo?
a. Contenuti estremamente radicali e forme estremamente spontanea sono le due caratterizzazioni politiche fondamentali dei fatti di Maggio assieme alla creatività sfrenata di cui si è già accennato. Questi due aspetti degli avvenimenti del Maggio francese aprono una infinità di nuove ipotesi politiche per un processo rivoluzionario in occidente e rappresentano anche il superamento di una certa impostazione organizzativo-politica dei partiti comunisti occidentali. Il Maggio francese a nostro attivo rappresenta da questo punto di vista il superamento storico del concetto di partito leninista inteso come avanguardia organizzata depositaria di un certo patrimonio storico ideologico di classe, che trasmette questa ideologia alla base e che alla luce della stessa interpreta avvenimenti sostanzialmente a lei lontani ed estranei. La radicalizzazione politica che ha poi contraddistinto le lotte del maggio rappresenta la condanna della prassi politica socialdemocratica e gradualistica basata sulle riforme di struttura dei partiti operai in Occidente.
Da queste e da altre considerazioni sui fatti del Maggio Francese a nostro avviso si possono trarre alcune ipotesi per l’impostazione di un corretto processo rivoluzionario in occidente.
1. Non è più sufficiente prospettare cambiamenti strutturali, bensì c’è l’esigenza di una alternativa globale in contrapposizione alla società attuale.
Il ricatto economico attuato dal capitale francese nei confronti del movimento rivoluzionario nel Maggio (possibilità di una crisi economica gigantesca se il fenomeno rivoluzionario si fosse protratto più a lungo e in maniera più radicale) avrebbe potuto risultare irrilevante per il movimento solo alla condizione che nei soggetti storici partecipi di quel fenomeno rivoluzionario fosse già stata presente, seppur solamente in nuce, una alternativa non solamente strutturale ma anche di valori, globale da contrapporre a quella altrettanto globale della borghesia. Questo tipo di alternativa a livello di coscienza del movimento rivoluzionario francese è stata presente solo come aspirazione.
2. Rivoluzione come fenomeno storico di lungo periodo, lunga marcia attraverso e contro le istituzioni, che sviluppi nella sua processualità prefigurazioni della società futura (ipotesi dell’utopia operante).
3. Necessità storica di un inizio di prefigurazione teorica della società futura.
Fino ad oggi il movimento rivoluzionario si era sempre giustamente rifiutato di fare una prefigurazione di questo tipo, mancando per queste analisi le basi materiali e le premesse necessarie. Oggi però tre nuove variabili subentrate in questa problematica rendono possibile, e a nostro avviso politicamente necessaria, questo tipo di prefigurazione: a) l’attualità della rivoluzione; b) il procedere del processo di utopia operante che permette di verificare continuamente le ipotesi prefigurative globali sui nuclei parziali di società futura sviluppati nell’avanzamento del processo rivoluzionario; c) la presenza nel mondo di società che già sono globalmente immesse in questo processo. La "critica al programma di Ghota" e "Stato e Rivoluzione" possono a nostro avviso costituire solamente e lontane premesse per un processo di analisi e di prefigurazione di questo tipo. Questa necessità non nasce né da una esigenza di coerenza intellettuale né di rendere chiara e persuasiva la prospettiva lontana, ma soprattutto dovrebbe avere a nostro avviso la funzione di strumento onde individuare e fare esplodere in questa società contraddizioni latenti, per fare maturare una coscienza rivoluzionaria in forze che non possono arrivarci spontaneamente per pura pressione dei loro interessi immediati. Da tutta la problematica politica che oggi si pone di fronte al mov. rivoluzionario occidentale fondamentalmente alla luce dei fatti del Maggio Francese, a nostro avviso si possono trarre i due filoni di lavoro fondamentali per risolvere l’impasse in cui la rivoluzione si trova oggi nei paesi a capitalismo maturo: l’uno di RICERCA SCIENTIFICA e l’altro di INVENZIONE POLITICA. Necessità di ricerca scientifica in quanto oggi il movimento rivoluzionario occidentale presenta sconcertanti lacune teoriche sul tipo di società in cui si trova ad operare, e invenzione politica in quanto riscoperta dell’uomo nella sua totalità e nella sua creatività che si può esprimere oggi solamente nel processo di liberazione da questa società attraverso l’attuazione di un processo rivoluzionario. Qual’è l’inserimento specifico del movimento studentesco in questo momento storico nel processo rivoluzionario in un paese a capitalismo maturo?
A nostro avviso il modo fondamentale in cui il Movimento Studentesco può recuperare storicamente in maniera rivoluzionaria la sua collocazione sociale specifica è quella di assicurarsi in prima persona come intellettuale collettivo rivoluzionario del movimento rivoluzionario occidentale (attuando così un momento dell’utopia operante) il compito della ricerca scientifica. Questo nel senso di portare avanti l’analisi a due livelli fondamentali:
a. analisi delle strutture socio-economiche della società borghese tardo capitalistica
b. analisi della scienza e della cultura che questa civiltà è giunta ad esprimere.
2 livelli di analisi questi (strutturale e sovrastrutturale) che agendo in maniera dialettica con quella che è la prassi politica del Movimento rivoluzionario globale (basata quest’ultima sull’invenzione politica) a cui il movimento studentesco partecipa in prima persona, fanno scaturire una linea politiche che è però in sé anche negazione di questa società e prefigurazione della società futura. L’Università, istituzione nella quale fondamentalmente il movimento studentesco si trova a fare questo lavoro di ricerca scientifica e che rappresenta il suo involucro strutturale specifico, viene mutata così in Università Critica ossia nella sua funzione utopica di cervello sociale delle classi subalterne.