Biblioteca Multimediale Marxista
(a cura del seminario politico della facoltà di architettura)
Premessa
Questo testo costituisce, insieme ad un documento sui fatti di Cecoslovacchia
e a una discussione collettiva sulla rivoluzione culturale cinese, il primo
atto politico con il quale il Movimento Studentesco di Architettura di Napoli
ha ripreso in settembre la sua attività. Esso mira sostanzialmente a
due scopi: il primo è quello di offrire al M.S. italiano la registrazione
di un'esperienza che riteniamo significativa, poiché entra nel merito
di alcuni nodi politici che sono tuttora aperti nel dibattito nazionale; il
secondo è quello di offrire agli studenti napoletani ed agli stessi studenti
d'architettura una base di discussione, fondata non sulla contrapposizione di
strategie alternative astratte, ma sul ripensamento critico di una fase di lotta,
dal quale è necessario ricavare le ipotesi e le indicazioni per questo
nuovo anno.
Il fatto che si sia ritenuto di riprendere le attività con queste iniziative, rappresenta già di per se un'indicazione del modo critico con il quale si guarda all'esperienza condotta. Da un lato, cioè, sottolineandone il valore esemplare nella situazione napoletana, nella misura in cui nei fatti e con la lotta ha dimostrato la funzione di freno che svolgono tutti coloro che sostengono la necessità di rimandare ogni intervento concreto alla dettagliata definizione di una strategia globale. Dall'altro lato, sottolineandone uno dei limiti principali nell'insufficiente livello del dibattito teorico che ha accompagnato lo svolgimento della lotta.
Questa volontà di discussione concreta e generalizzata delle esperienze fatte giustifica anche il carattere narrativo del testo, che può apparire in certo parti troppo minuzioso: esso esprime la necessità reale di superare la fase di produzione del tipo di documenti politici che ha caratterizzate il primo anno di lotte, documenti che avendo svolto una funzione assai positiva - non erano se non il riflesso di esigenze di autochiarimento oggi in gran parte superate, anche se non eliminate come indicazione di metodo, dai fatti.
1. Gli antefatti
L 'occupazione di architettura ha inizio nei primi giorni di febbraio. Essa
rinnova una tradizione di lotte ingaggiate dalle facoltà di architettura
prevalentemente sul piano disciplinare. Tali lotte investivano unicamente problemi
di qualifica ed aggiornamento professionale del tecnico - architetto: temi settoriali,
corporativi, spoliticizzati nella misura in cui mistificavano il rapporto tra
condizione universitaria e scelte politiche a livello generale.
L'anno scorso il dibattito e lo scontro di vertice delle associazioni burocratiche universitarie si sviluppò su temi quali la 2314, l'Area di Ricerca, l'edilizia universitaria ecc.: ad Architettura questi temi erano vagamente ripresi all'interno di formulazioni di ipotesi dipartimentali alternative alla proposta governativa. Da questo scaturiva, a Napoli, la tesi dell' "autocommittenza", che significava la definizione di uno spazio di contrattazione nella disciplina e la ridistribuzione organica dei rapporti di potere a livello del territorio.
Tutte queste formulazioni non avevano alcuna incidenza sulla gran massa degli studenti. Essa era incline a "sopportare" l'occupazione della sede sia per tradizione, sia perché tutto sommato rompeva la routine quotidiana. Questo purché l'agitazione non durasse tanto da compromettere gli esami.
Non c'era alcuna possibilità che uno studente potesse riconoscersi nella lotta: essa era appannaggio di quelli che particolari capacità, attitudini, livello culturale rendevano idonei ad ideare piani di intervento disciplinare (tesi a riorganizzare ad un alto livello tecnico e culturale la facoltà).
Quindi il disagio dello studente inserito in una struttura universitaria repressiva ed autoritaria, oltre che arretrata, seppure determinava un interesse verso un'agitazione che oscuramente era sentita necessaria e rispondente ad un bisogno soggettivo di partecipazione alle decisioni, cozzava inevitabilmente contro un muro di formulazioni "ad alto livello" che perpetuavano ipso facto nelle stessa agitazione, la selezione ordinariamente in atto nell'Università.
In concomitanza con l'inizio delle agitazioni in tutta Italia - e su temi comuni - queste ipotesi entrano in crisi: il confronto e gli apporti teorici ed organizzativi delle varie sedi in lotta, il chiarimento di linea che ne deriva. insieme alla coscienza di combattere una lotta unitaria, e quindi alla necessità impellente di non rimanere isolati in falsi scontri, giuocheranno un ruolo fondamentale nel superamento degli obiettivi tradizionali e nel porre le premesse di una lotta di massa dentro e fuori l'Università.
Nella fase iniziale delle lotte studentesche lo scoppio prevalentemente spontaneo, di agitazioni con carattere di massa coglie per lo più di sorpresa i partiti ed i gruppi dissidenti della sinistra (carattere di spontaneità già analizzato da moltissimi documenti). Dai loro interventi in queste lotte sono riconoscibili due ordini di contrapposizioni, dalla cui risoluzione il movimento studentesco, fino ad allora verticistico e burocratico, diviene movimento di massa.
a - Il primo ordine presenta delle posizioni contrapposte non conciliabili. Esse danno interpretazioni diverse del movimento studentesco e diverse ipotesi di sbocco politico, riconducibili all'analisi del rapporto Università società, ed in generale del rapporto lotte particolari-stategia globale.
Da un lato si sviluppa la tesi dell'"uso sociale delle scienze e delle tecnologie". Vi si prevedeva l'approntamento di "modelli d'uso" delle scienze alternativi a quelli esistenti e, rivendicando all'Università la gestione degli aggiornamenti tecnologici (in correzione all'ipotesi dipartimentale governativa), la si concepiva come centro di programmazione A tutti i livelli in questo modo si pretendeva di "usare socialmente" le scienze in una società capitalistica. Si predisponeva in tal modo il settore Università ad una pacifica transizione verso la "società socialista" in conformità ad una strategia di "riforme di struttura". Discendono da questa posizione una serie di proposte politico-organizzative, che vanno dal rilancio delle alleanze UGI-Intesa, alle prefigurazioni di sindacati unitari operai-studenti alle operazioni di oggettiva copertura a sinistra dei gruppi entristi. In tutte queste proposte si riconosce la tendenza a cristallizzare il movimento su obiettivi che riguardano specificamente l'Università, nel tentativo di sintonizzarlo, in veste sindacale, alle altre lotte settoriali in corso nel paese: Ciò comporta espressamente la delega dell'organizzazione delle lotte ai partiti della sinistra ufficiale e, sia ben chiaro, non nella convinzione che tali partiti, essendo rivoluzionari, possano esaurire il compito di unificare queste lotte, ma nella adesione esplicita ad una linea riformista.
Dall'altro lato si definisce una posizione che rifiuta questa logica a di integrazione e, interpretando correttamente il rapporto Università-società, rileva che la scuola, come istituto produttivo di forza-lavoro intellettuale, costituisce un meccanismo importante e delicato all'interno del sistema, e che qualsiasi riforma delle strutture universitarie è in ultima analisi funzionale alle tendenze razionalizzatrici dello sviluppo capitalistico. Ne consegue il rifiuto di ogni strategia riformista, e la volontà di porre anche nell'Università le premesse della costruzione di una forza politica rivoluzionaria.
Dallo scontro di queste tendenze venne fuori chiaramente che non soltanto un corretto uso sociale delle scienze e delle tecnologie non può avvenire senza un controllo collettivo, ma che, non si può avere tale controllo senza attuare prima il rovesciamento del sistema.
Su questa base si viene a tracciare una netta linea di demarcazione tra 1a linea dei partiti della sinistra e tutte le forze marxiste-leniniste dell'arco extraparlamentare L'appartenenza a quest'area extraparlamentare non è d'altro canto di per se stessa sufficiente a definire una precisa linea rivoluzionaria.
b - All'interno di quest'area si evidenzia una seconda contrapposizione in riferimento ai problemi di metodo e di organizzazione. Si trovano così di fronte due tendenze, che pur cogliendo ambedue il salto qualitativo che il movimento ha compiuto, propongono soluzioni diverse.
Da una parte la convinzione che l'organizzazione debba preesistere alla lotta politica porta come conseguenza la presunzione di potere elaborare, attraverso la disputa ideologica, la linea politica da calare poi nella realtà del movimento. Dall'altra invece si ritiene che soltanto collegandosi continuamente con le lotte reali ("dalle masse alle masse") si possa raggiungere un livello organizzativo che corrisponda al livello delle lotte e, al tempo stesso, ne indirizzi gli sbocchi.
Queste contrapposizioni costituiscono il terreno di scontro e di sviluppo del movimento a Napoli nel periodo che va da dicembre a febbraio.
2. Le agitazioni di dicembre e il ruolo della Sinistra Universitaria
A dicembre dell' anno scorso sulla presentazione in parlamento del progetto
di legge Gui-Codignola, l'Ateneo napoletano si mobilita. La Sinistra Universitaria
(1), che interviene nelle lotte, definisce la propria posizione a livello politico
generale nei termini seguenti: lotta al revisionismo e ai partiti della sinistra
ufficiale. rifiuto delle tesi sindacaliste, necessità di generealizzazione
dei contenuti politici e di collegamento delle lotte particolari nella prospettiva
di radicalizzare la lotta contro il sistema. Individua inoltre i compiti dell'intervento
nell'Università nella demistificazione del ruolo dei professori "rinnovatori",
delle proposte di cogestione e quindi nella necessità di utilizzare le
fette di potere conquistate nelle Università per combattere la società
capitalistica nel suo complesso.
Il ruolo della S.U. nella direzione delle lotte va definendosi sempre più chiaramente nei dibattiti e nelle assemblee, che vengono sempre più investiti di temi politici di ampia portata, e nel confronto delle sue posizioni con quelle dei burocrati e dei rappresentanti dei partiti della sinistra ufficiale La massa degli studenti prende coscienza degli stretti rapporti tra il piano Gui e la programmazione nazionale, della falsità di proposte di riforma e di emendamenti alle proposte stesse, dell'autoritarismo accademico come riflesso dell'apparato autoritario dello Stato. In sostanza "... Il M.S. comprende che ormai è un fatto arretrato rivolgere l'attenzione, lo spirito di osservazione esclusivamente o anche principalmente su se stesso perché la conoscenza di se stesso è indiscutibilmente legata alla conoscenza esatta dei rapporti reciproci di tutte le forze agenti nella società contemporanea, conoscenza non tanto teorica, quanto ottenuta attraverso l'esperienza della vita politica" (doc. S.U. di dicembre).
Gli scontri con la polizia che seguirono alla violazione cosciente, da parte degli studenti delle "regole del giuoco", permisero di smascherare la vera natura, profondamente autoritaria, della società in cui viviamo, mentre le letture collettive di Stato e Rivoluzione nei controcorsi tendevano a rendere chiara la funzione repressiva dello stato borghese, e che solo la rottura della macchina statale può rappresentare l'inizio di una società non fondata sullo sfruttamento.
L'attività politica che la S.U. svolge nel periodo successivo a dicembre mostra però la debolezza fondamentale di questa formazione. Notevole in questo senso la sottovalutazione del ruolo giuocato - nel determinare la situazione di lotta - dalla crisi in atto da tempo delle rappresentanze studentesche. Ciò conduce - tra l'altro - ad una sopravvalutazione della linea politica, nel senso che la S. U. si illude che sia stata solo la giustezza di una linea politica a creare il Movimento Studentesco. Questo conduce la S.U. a
(1) La Sinistra Universitaria nasce come corrente di sinistra dell'UGI: al congresso
napoletano di questo organismo, la dissidenza di sinistra si presenta con tesi
politiche precise, riferite specialmente alla natura dell'imperialismo ed alla
critica delle tesi sovietiche della coesistenza pacifica. A queste tesi aderisce
un numero notevole di partecipanti al congresso, ma la vecchia dirigenza, mediante
vari trucchi e metodi burocratici e terroristici (per es. iscrizioni fasulle,
accettate all'ultimo momento), riesce a recuperare, seppure soltanto di stretta
misura, la maggioranza. La radicalizzazione delle posizioni antiriformiste e
in particolare anti-UGI (compresa la cosiddetta "sinistra" di Rimini),
avvia però necessariamente una rottura con l'UGI. Una manifestazione
di questa rottura si aveva in occasione di un'assemblea promossa dalla S.U.
qualche giorno dopo l'uccisione di Guevara e culminata in una mozione della
stessa S.U. con proposte di occupazione della sede universitaria, Le lotte di
dicembre infine, sancivano nei fatti e nella forma la frattura con l'UGI e nello
stesso tempo verificavano il completo esautoramento di questa organizzazione.
grossi errori politici: l'abbandono dell'Università come luogo di confronto
di ipotesi politiche diverse, la costante rinuncia ad una attività di
politicizzazione degli studenti tesa ad elevarne il livello di coscienza, la
non comprensione della funzione oggettiva del M.S. in quanto tale. L'attività
politica della S.U. si restringe così ad una pura opera di addestramento
ideologico dei quadri che sono venuti fuori dalle lotte precedenti. In sostanza,
essa cade nell'illusione di potere arricchire e proseguire la propria ricerca
teorica prescindendo dallo sforzo di verificarne i termini attraverso un lavoro
politico costante ad ogni livello e in ogni settore del movimento: in tal modo,
la S.U. abdica di fatto alla propria funzione orientativa e abbandona praticamente
intere parti del movimento all'azione spicciola ma costante dei riformisti,
con grave pregiudizio delle possibilità immediate di proseguimento della
lotta. Inoltre essa adduce proprio questa conseguenza del suo assenteismo politico
come verifica delle sue valutazioni, le quali invece ne costituiscono chiaramente
le premesse. Una conferma di questa diagnosi si avrà infine - come si
dirà nella completa assenza della S.U. dal lavoro operaio sviluppato
in seguito dal movimento.
3. La prima fase dell'occupazione di Architettura
L'agitazione si apre e nei primi giorni di febbraio, verificando una serie di
carenze nella didattica e portando avanti il discorso iniziato a ottobre con
la presentazione in parlamento della 2314. (Allora si tentò per due volte
consecutive di occupare la facoltà: la polizia intervenne dopo poche
ore e portò in questura, schedandoli, tutti i numerosi occupanti. Un
mese dopo si partecipò all'occupazione dell'Università Centrale
e, invece, nella facoltà si ebbe un tipo di occupazione "bianca",
che diede un positivo carattere di instabilità alle consuete attività
che vi si svolgevano).
L'assemblea di occupazione si definisce inizialmente "... come unico momento di analisi della didattica..., momento permanente ed organizzativo per la ristrutturazione disciplinare della facoltà nelle sue connessioni politiche col territorio", ma già esplicita il rapporto di repressione tra corpo docente e massa studentesca, e si pone nella prospettiva delle lotte nazionali del movimento. Il gruppo di punta dell'agitazione conserva la denominazione formale di UGI-Architettura. In un documento così firmato, del 9 febbraio, si demistificano le profferte di "dialogo" da parte del corpo accademico, ponendole in relazione a provvedimenti come il disegno di legge 2314 e la legge di P.S. Si rivendica "il ruolo politico degli studenti" e si dichiara la volontà di sovvertire i rapporti di potere nell'Università; si pone tutto questo in relazione alle tensioni esistenti in altri settori della società ed infine si rivendica la gestione degli aggiornamenti tecnologici contrapponendo al dipartimento della 2314 la generica proposizione dell'"uso sociale delle scienze".
Non queste ipotesi, ma il richiamo alle lotte in corso nelle altre città poté incoraggiare un minimo interesse verso ciò che si stava facendo. Un breve volantino denunziava la reazione violenta del sistema capitalistico alle lotte studentesche sottolineando il carattere di classe dell'Università e la sua funzione di trasmissione della ideologia dominante. Rilevava l'affinità sostanziale tra l'aggressione poliziesca (avvenuta in quei giorni a Firenze) ed il ricatto, (che i nostri docenti ci proponevano), ed individuava la funzionalità di strumenti come l'esame, il voto ed il paternalismo, rispetto a quella logica. Si formano intanto altri due gruppi politici: il Gruppo Autonomo filiazione dell'Intesa, che raccoglie frange qualunquiste, ideologicamente dc, manovrato variamente da professori ed assistenti per fini personalistici; la Sinistra Architettura, su posizioni contestative, senza una matrice ideologica precisa, che nell'assemblea generale del 15 febbraio presenta un documento nel quale si espongono giudizi ed analisi di classe coincidenti con quelli dell'UGI-Architettura, ma che in più denunziano la conduzione verticistica delle agitazioni, che produce vuoto politico e senso di estraneità nella base studentesca della lotta. Propone il superamento (già in atto) degli organismi rappresentativi burocratici e la formazione di organismi revocabili in ogni momento dal basso.
Nello stesso periodo hanno luogo una serie di riunioni del CUC (Circolo Universitario Comunista ex UGI arch.). Esse si concludono nella pubblicazione del "Quaderno 1", tentativo di definizione di una linea politica del Circolo comunista, i cui punti fondamentali sono: la volontà di autonomia del movimento (che le associazioni tradizionali, come filiazioni dei partiti, negavano); l’analisi dell'Università come meccanismo produttivo e funzionale alle istanze del neocapitalismo; il rifiuto di una battaglia per la democratizzazione della scuola, e lo spostamento su un terreno di lotta che investa direttamente la struttura produttiva; il riconoscimento che i sindacati sono diventati uno "... strumento di controllo della dinamica rivendicativa a tutti i livelli". Ciò comporta un'altra acquisizione: la negatività della battaglia su temi specifici dell'Università, "... che è la diretta conseguenza di una politica condotta negli organismi universitari e quindi dai partiti della sinistra"; e che si esprime poi nell'esigenza di una "lotta e una milizia politica di tipo nuovo, tendente a costituirsi in organizzazioni pratico-politiche". Segue quindi, l'abbandono della tesi della sindacalizzazione (sulla quale l'UGI aveva costruito il piano di un sindacato unitario UGI-Intesa), e il recupero del "momento rivendicativo" non più come lotta sindacale, ma come momento di mobilitazione della masse studentesca, sul quale inter venire come avanguardia politica immettendo temi sempre più generalizzati. Obiettivo specifico di tale intervento si individuava nel passaggio dalla lotta settoriale alla lotte contro il sistema, attraverso una presa di coscienza politica ed una scelta di classe dello studente stesso. Ciò si traduce nella "formulazione di obiettivi sempre più politicizzati dentro e fuori l'università, i quali devono essere tesi costantemente a stabilire saldi legami con tutte le forze che lottano per l'eliminazione dello sfruttamento e che in questa prospettiva si pongono il problema della ricostruzione di una forza politica rivoluzionaria". Il documento infine stabilisce tre settori di contestazione: "al livello generale (imperialismo USA, capitalismo italiano), alle strutture (2314, piano Pieraccini, legge di P S. ecc.), ai modelli attuali delle scienze asservite al capitale (uso delle tecnologie, analisi delle professioni ruoli produttivi ecc.) ".
La positività di questo documento risiede solo nel fatto che forniva un indirizzo abbastanza preciso ed articolato di lavoro politico, anche se le analisi di partenza sulla scuola e sulla società erano appena iniziate ed ancora da approfondire; d'altra parte, la natura e la provenienza del CUC poneva il problema del rapporto con il PCI, non definito affatto, malgrado il giudizio negativo sulla sua politica universitaria, che avrebbe dovuto comportare esplicitamente il rifiuto di una strategia non rivoluzionaria al livello della intera società. (Occorre peraltro precisare che - su circa 60 aderenti al CUC - soltanto una diecina aveva la tessera del partito o della FGCI).
Dal meccanicismo di molte formulazioni trapelava comunque abbastanza chiaramente la prospettiva entrista in cui si era posto il CUC; esso rappresentava oggettivamente un'operazione di copertura a sinistra, rientrando in un piano di creazione al livello nazionale di cellule comuniste universitarie, atte a garantire la sopravvivenza del PCI nelle università dopo la rovina delle vecchie associazioni. Questa linea di compromesso, calata dall'esterno, non poteva però che accentuare il distacco dalla massa studentesca, preludendo ogni possibilità di mobilitazione.
Nell'ultima decade di febbraio si presero diverse iniziative nella Facoltà. Si diffuse un questionario per registrare l'interesse e la convergenza politica degli studenti: i dati ricavati registrarono un atteggiamento positivo nei confronti dell'agitazione ma anche un basso livello di informazione politica sui temi generali come sui temi specifici del movimento. Inoltre vennero fatti girare alcuni documenti pervenuti dalle altre sedi in lotta e un'analisi della 2314, e furono proiettati films a contenuto politico. Queste iniziative, atte a sviluppare il senso dell'associazione, della discussione in comune, della critica ebbero la funzione limitata ma positiva di chiarire agli studenti più attivi i termini politici della loro partecipazione all'agitazione.
L'attività più rilevante di questo periodo fu il seminario sulla "forzalavoro intellettuale", partito come iniziativa spontanea di un compagno che in un'aula avviò una serie di discussioni collettive. Esse tendevano a chiarire le modificazioni della figura tradizionale dello studente, riconducibili allo sviluppo tecnologico ed alle scelte produttive che tendono a coinvolgere sempre più direttamente l'università: fornivano così agli studenti politicamente più attivi argomenti direttamente utilizzabili, e agli altri la possibilità di motivare politicamente il proprio scontento nei confronti della scuola. Queste ed altre osservazioni - soprattutto in seguito - dimostrarono che l'informazione politica svolge un ruolo fondamentale ai fini della lotta contro l'ideologia dominante, come sforzo per garantire 1'autonomia del movimento sostituendo alle fonti di informazione ufficiale anche a livello della cosiddetta "opinione pubblica" - una "controinformazione" continua ed articolata (di cui si è rilevata la carenza un po’ dappertutto).
Nel frattempo, la stampa comincia ad interessarsi alla nostra occupazione. il Mattino, organo del Banco di Napoli, ospita una lettera dei docenti che condanna le agitazioni.
Nello stesso periodo, si verifica il grave fatto dell'occupazione fascista alla Centrale, in seguito alla quale vengono presi contatti con i gruppi politici delle altre facoltà (in particolare con la Sinistra Universitaria).
4. Una fase di transizione
Ad una fantomatica occupazione UGI (realizzata mediante il compromesso con forze
di estrema destra che collaboravano all'occupazione), che aveva la funzione
oggettiva di rappresentare, col benestare degli accademici, le istanze qualunquiste
presenti fra gli studenti, era succeduta una occupazione esplicitamente fascista.
per la quale le "forze sane" erano state mobilitate dalla provincia
ed altre città. Si poneva così un problema di immediato intervento
contro l'occupazione "padronale": a tale scopo fu convocata ad Architettura
un'assemblea generale, cui partecipò il "plenum" della S.U.
con il quale si concordò una linea immediata di azione. Si approvò
una mozione in cui si intendeva "superare la generica piattaforma antifascista
falsamente unitaria" e si chiedeva l'occupazione dell'ateneo napoletano
a tempo indeterminato, nella prospettiva che il dialogo ed il confronto politico
apertosi tra i gruppi componenti il movimento si concretasse nella elaborazione
di una linea unitaria definita già dai tre settori di contestazione di
cui si è detto - Ciò che seguì è intuibile dal contenuto
di un volantino a firma del CUC di Architettura, che denunziava le responsabilità
nella S.U., la cui assenza completa dalle lotte a febbraio dimostrava il distacco
dalla massa studentesca e l'incapacità o la non volontà di colmarlo.
Il volantino aggiungeva: "... prevaricando le decisioni della assemblea
del 3 marzo e quindi non dando luogo all'occupazione dell'Ateneo napoletano,
né ad un possibile approfondimento operativo e di lotta, la S.U., garantita
dal "ripristino dell' ordine" da parte dei fascisti, indiceva, sulla
base di un generico consenso legalitario, una assemblea generale le cui conclusioni
si concretizzavano, su indicazione della Sinistra stessa, in una ulteriore volontà
di non partecipazione alla lotta che oggi investe tutti gli atenei italiani".
(Queste decisioni erano significativamente avallate dai residui dell'UGI e dal
gruppo CHE GUEVARA). "Ciò significa che in questo momento a Napoli,
la S.U., lasciando che si verifichino tali fenomeni (occupazione fascista),
anzi essendone la principale responsabile, si pone come l'ultimo "questurino"
del capitale, quando concede a quest'ultimo di garantirsi nello svolgimento
delle "serene e normali attività didattiche"". Alla Centrale
tra assemblee "oceaniche", straordinarie filiazioni e mutuazioni di
gruppi qualunquistici (ad es. il "gruppo costiera amalfitana") rapidamente
dissolti nel nulla, fantomatici comitati di agitazione, in breve nella assoluta
mancanza di una qualunque di reazione politica, 1e tensioni si attenuarono e
si sciolsero nella operosità quotidiana degli esami.
5 Verso una linea di massa
Nel frattempo il 7 marzo, su iniziativa della Sinistra Architettura, si apre
la prima seduta del "seminario di sociologia marxiana" con la collaborazione
dei "Quaderni Russi", che introduce, come, apporto teorico sostanziale,
la tesi della proletarizzazione crescente che investe progressivamente in senso
"verticale" (secondo la dizione borghese di strati sociali) i lavoratori
intellettuali. La seconda seduta del seminario - che registra al pari della
prima un'affluenza notevolissima - si trasforma in assemblea di occupazione.
Questo fatto indica che il Seminario, rinunciando ad un carattere di "conferenza",
aveva assunto il ruolo essenziale e diretto di organizzazione politica e di
lotta. Vi hanno luogo scontri tra varie tendenze presenti nel movimento: da
un lato quelle che oggettivamente (anche se non per collocazione soggettiva
dei compagni) si ponevano al di fuori della logica dei partiti della Sinistra
ufficiale, ed in quanto tali potevano trovare momenti di confluenza nella lotta;
dall'altro quelle che in una visione ancora "sindacal-politica" volevano
strumentalizzare il Movimento studentesco per conto dei partiti.
Al proseguimento dell'attività corrispose di fatto la definitiva emarginazione di queste ultime. L'attività continuò, realizzando l'omogeneità del movimento nel dissolvimento dei vecchi gruppi e nel consenso sempre più deciso della gran massa degli studenti. Nella stessa seduta del Seminario si approva la seguente mozione di organizzazione della lotta. Essa dichiara che:
"1) E' assemblea deliberante l'insieme degli studenti che occupano la facoltà.
2) E' essenziale la continuazione dell'occupazione.
3) E' essenziale che l'occupazione di Architettura sia concepita come momento dinamico e transitorio in rapporto all'allargamento della lotta alle il altre facoltà.
4) Questo nella logica della proletarizzazione che non coinvolge soltanto gli studenti.
Tenuto conta di questi fatti, l'Assemblea dichiara necessario:
1) Il proseguimento del lavoro teorico.
2) La, formazione di una commissione di organizzazione della lotta come guerriglia urbana nell'Università e fuori di essa, temporaneamente sul piano studentesco.
Questa commissione è emanazione dall'Assemblea e può essere in ogni momento revocata e riformata dall'Assemblea.
3) La formazione di un corpo di polizia studentesca, agli ordini della suddetta commissione, che accetti di sviluppare, nei termini fissati dall'Assemblea, la lotta contro qualsiasi struttura autoritaria che, in modo mediato o immediato, rappresenti il potere capitalistico.
4) In questo momento, senza pregiudicare la possibilità di decisioni future, l'Assemblea indica, come linea immediata di azione, tre momenti successivi :
a) convocazione dei gruppi politici presenti nella lotta universitaria in posizioni contestative per il giorno 11 marzo, lunedì, ore 16;
b) occupazione dell'Università centrale;
c) organizzazione collettiva della guerriglia urbana in ogni momento della vita sociale, politica ed economica del territorio".
Questa mozione segna un momento importante dell'occupazione poiché vi
si danno le prime indicazioni di pratica e si sceglie un terreno concreto di
lotta: guerriglia urbana designava in modo specifico (anche se ancora mistico)
azioni di disturbo in tutte le manifestazioni ufficiali che riguardavano anche
indirettamente gli studenti, allo scopo di rendere pubbliche le posizioni ed
i temi del movimento, di stabilire tra gli studenti un accordo nei fatti concreti,
di ritrovare nella sperimentazione diretta la coscienza e, la necessità
della lotta. Due azioni furono intraprese in questo senso a Villa Pignatelli,
dove i "nomi grossi" dell'Urbanistica napoletana, tra cui molti dei
nostri docenti (principali responsabili della disastrosa situazione edilizia
a Napoli), erano riuniti in convegno sul tema dell'edilizia universitaria, si
ridicolizzò molto efficacemente la manifestazione: anche quelli che non
ne erano convinti, in quel momento - in cui si era più di cento della
Facoltà - capirono che era falso ed inutile tentare un dibattito "serio".
La cosa ebbe, come si voleva, un grande risalto sulla stampa cittadina. Tra
i giornali "indipendenti" si distingueva il Mattino col seguente titolo:
"Studenti cinesi provocano il caos durante un convegno sull'Università".
Analogamente, poco tempo dopo, naufragò un dibattito organizzato al circolo
della Casa editrice Nuova Italia, in cui erano presenti, in un incontro gemellare
il Prof. Quaroni ed il "nostro" Prof. Cocchia, costretti a ritirarsi
anzi tempo scomparendo in una densa nube rossa. Queste esperienze hanno costituito
un momento fondamentale di autoeducazione alla critica ed alla lotta, e di demistificazione
di aspetti critici dell'ideologia e delle convenzioni dominanti Così
si è imparato, tra l'altro, che l'unità bisogna ricercarla nella
lotta e non nelle riunioni di vertice, assistendo di conseguenza ad un accrescimento
notevole del potenziale di massa del movimento.
Il giorno 23 un documento unitario approvato dall'Assemblea di occupazione sancisce definitivamente il dissolversi dei gruppi, che confluiscono nella denominazione di Movimento Studentesco Architettura, e nella adozione esplicita della linea di massa. Questo comporterà un temporaneo stato di crisi dell'attività al livello di Ateneo, ma servirà a chiarire significato e metodi dell'estensione della lotta ed indirizzerà per il periodo successivo verso il collegamento con la classe operaia. I punti fondamentali del documento sono: l'individuazione, per il passaggio da tipi di organizzazione indiretta (delega della gestione delle lotte agli O.R. prima e ai gruppi politici poi) a tipi di democrazia diretta, di tre forme di organizzazione intermedia che realizzino "il rapporto tra il singolo studente atomizzato e lo strumento decisionale (assemblea generale)". Esse sono:
"a) controcorsi, come momento di autogestione della didattica e della ricerca, intesi solo come momento di Università critica e non di Università negativa;
b) seminari come momenti di elaborazione di ipotesi politiche per l'organizzazione del M.S. su basi unitarie;
c) commissioni interfacoltà, che realizzino l'obiettivo politico del M.S., di estensione della lotta a tutti i livelli della scuola (istituti tecnici, scuole cerali, aziendali ecc.)".
Si finalizzano tali forme all'organizzazione politica del M.S., di cui l’occupazione costituisce lo strumento; si ribadisce il dualismo insanabile tra l'organizzazione autonoma ed originale del M.S. ed il potere costituito, che in questa fase delega allo scontro il corpo docente; si intende l'autogestione (momento didattico), come fase dinamica in relazione agli obiettivi politici del movimento.
"Il momento di radicalizzazione ed estensione della lotta è indispensabile al movimento per condurre un'azione rivoluzionaria; tale momento passa attraverso a) estensione della lotta a tutti i livelli della scuola; b) estensione della lotta a tutte le forze contestative del sistema". Riguardo a quest'ultimo punto si prevede "l'uso di tutte le strutture politiche e sindacali come collegamento con la classe operaia, ottenuto da una posizione di forza del M.S., e la sperimentazione diretta (volantinaggio, programmazione di incontri con gli operai)". Si individua, in accordo con le elaborazioni del M. S. nazionale, il tema dell'autoritarismo come tema che unifica i livelli di intervento del movimento, nella sua accezione di esercizio del potere sia all'interno dell'università che all’interno della fabbrica. Come tema di studio, ad esso va affiancato quello dell'allargamento della base produttiva, in breve della proletarizzazione, poiché essi pongono obiettivi comuni e sbocchi operativi al M.S. ed alla classe operaia.
Nei giorni seguenti si tengono incontri con quadri operai della Italsider dell'Olivetti e di altre fabbriche La positività della conoscenza di temi e problemi reciproci viene però messa in forse dal fatto che questi operai, esponenti dei sindacati e dei partiti ufficiali, intendono la collaborazione tra classe operaia e movimento studentesco unicamente nei termini di una generica solidarietà, per cui si disconosce o si mistifica la validità e la necessità di una lotta unitaria.
Questo crea un'ulteriore spinta verso la sperimentazione diretta, cioè verso il contatto non mediato con la base operaia sotto le fabbriche, tenendo conto anche dell'interesse che le lotte degli studenti hanno provocato negli operai, soprattutto in rapporto alle repressioni poliziesche.
Da parte della stampa borghese è evidentissimo il tentativo di creare una situazione di odio operaio nei confronti degli studenti. D'altra parte, è opinione corrente che non ci sia nessuna affinità tra le lotte operaie e quelle studentesche, che i problemi siano diversi, anzi opposti, dato che gli studenti saranno "la classe dirigente di domani". Dall'esigenza di chiarire questi ed altri equivoci, dalla necessità di stabilire un rapporto reale con la classe operaia nasce un primo volantino diffuso all'ltalsider ed all'Olivetti. Vi si spiegano le ragioni della protesta e della lotta degli studenti come in realtà il nemico da sconfiggere sia lo stesso (i padroni delle fabbriche sono gli stessi che controllano le università), come soltanto l'unità fra pili oppressi possa realizzare questo obiettivo. Si incomincia a discutere con gruppetti di operai all'entrata ed all'uscita dal lavoro.
Il movimento coinvolge un numero sempre maggiore di .studenti nelle sue attività. Un'affollata assemblea approva il 10 aprile un documento che abbraccia nelle sue articolazioni l'attività organizzativa globale del M.S. Ne riportiamo i punti fondamentali.
1. Lo sforzo riorganizzativo va inteso come un primo bilancio dei con tenuti delle lotte del M.S. nazionale e come introduzione di nuovi stimoli e strumenti operativi per compiere il balzo in avanti ormai maturato.
2. Si ripropongono, meglio identificati, i tre livelli di intervento, che vanno intesi contemporanei ed intercomunicanti. Riguardo al terzo livello (società), "inteso come contesto socio politico caratterizzato da una determinata struttura di potere", si analizza la funzione svolta dall'università nel suo ambito, come meccanismo importante e delicato di cui esso non può fare a meno e che tende a nazionalizzare in un arco di programmazione economica globale. Inoltre si ribadisce l'allargamento del discorso contestativo agli altri gruppi sociali "... come gli operai e, in forme adeguate, gli abitanti dei quartieri più poveri della città".
"Tali iniziative potranno servirsi di tutti i mezzi ed i canali reperibili, fermo restando il rifiuto di compromessi od equivoche alleanze con tutti quei gruppi partiti, sindacati, organizzazioni formali od informali che non rinuncino senza riserve, a chiedere una contropartita politica per la loro collaborazione".
L'individuazione dei tre livelli di attività corrisponde alla "constatazione, all'interno del M.S., di diversi livelli di coscienza e di impegno. Questa constatazione non può, d'altra parte, portare a trarre conseguenze settarie, contrarie al carattere di massa del movimento come fenomeno sotto molti aspetti nuovo, originale e creativo, e passibili di apportare fratture o generare rischiosi momenti di riflusso". Si individuano quindi campi di azione distinti e complementari, mantenendo la funzione dell'assemblea come momento di confronto e di unificazione delle varie esperienze.
Al primo livello si ribadisce che gli argomenti di studio devono essere funzionali al "tema di fondo della lotta studentesca come presa di coscienza della condizione subordinata, proletarizzata dei lavoratori intellettuali in questa società, e come ricerca del senso specifico che assumono, in tale situazione, le proposte culturali (settoriali) che l'università ci offre".
Al secondo livello (locale e nazionale) si afferma la necessità della informazione politica, come "... documentazione, diffusione di notizie, discussione allargata di tutto ciò che avviene nel M.S., e su tutto ciò che le forze politiche locali e nazionali, e lo stato, riescono a partorire nei suoi confronti". Si difende ancora una volta la autonomia del M.S., necessaria ad evitare il pericolo "... che la sua validità venga messa in discussione mediante il reinserimento di una logica e di una prassi politica vecchia, nella quale tutte le forze politiche italiane sono oggi infognate, in modo più o meno comodo e pacifico".
Una sorgente di vitalità del M.S. è proprio la coesistenza e la collaborazione di forze di diversa ispirazione teorica e differenti livelli di preparazione.
Nell'affermazione dell'urgenza di allargare la lotta, sottolineando positivamente l'abitudine invalsa di tenere nella Facoltà occupata riunioni di studenti di altre facoltà che preparano le azioni successive, si evidenzia la necessità di operare nel concrete delle situazioni particolari delle diverse facoltà, tenendo sempre presente la parola d'ordine: "continuare, allargare, approfondire la lotta di massa nelle università". si dimostra inoltre l'insufficienza, in questa situazione di schemi organizzativi tipici dei gruppetti non partitici della sinistra.
Un altro paragrafo è dedicato al coordinamento delle azioni studentesche a livello cittadino, e contiene semplici indicazioni pratiche e l'invito allo studio più approfondito - anche sotto il profilo tecnico e tattico - delle esperienze più rilevanti (Roma, Torino).
Riguardo al terzo livello (unità con altri gruppi sociali) si osserva come esso "sia parte di un discorso rivolto finora dagli studenti agli studenti stessi", atto a chiarire fini e modalità della lotta ma si rilevano già i risultati positivi delle prime esperienze di rapporto diretto con gli altri gruppi contestativi e con la classe operaia. E' necessario però che quelle esperienze acquistino un carattere di continuità e si approfondiscano nei temi specifici dei settori in cui operano (fabbriche, ecc.) individuando la possibilità di intervenire nelle lotte operaie e contadine in corso nel paese. Sottolineando il carattere "sperimentale" di queste iniziative ed il carattere di massa dei movimenti, si invita ad "evitare" il diffondersi di una falsa coscienza di "avanguardia studentesca" che rischierebbe di impostare una volta di più in modo mistificante il problema dei rapporti organizzativi all'interno della classe.
In questo stesso periodo un'aggressione fascista alla Facoltà occupata, respinta senza gravi incidenti, è l'occasione per pubblicare un volantino nel quale si chiarisce che non bisogna farsi distogliere - dando eccessivo rilievo fenomeni secondari ed anacronistici - dalla sostanza della lotta contro il sistema capitalistico, che oggi si presenta come progressista.
Un altro volantino e poi distribuito agli operai ed agli studenti universitari e medi in occasione delle annunciate dimissioni del presidente Johnson.
I punti salienti sono i seguenti: "la figura patetica, distrutta, rammollita con cui ci appare oggi un uomo come Johnson, presentatosi fino a ieri come il grande capo, dal pugno giusto e forte, di una grande società, non è il risultato di errori politici che egli abbia commesso.
Egli in realtà ha fatto tutto ciò che i suoi padroni, i capitalisti americani, volevano che facesse: ora, però, dl fronte all'attacco vittorioso al popolo vietnamita, ed all'attacco incontenibile di una parte dello stesso popolo statunitense, guidato dal Potere Negro, quella linea deve essere modificata.
Dato che qualcuno deve pagare, paga il fantoccio Johnson, non i veri padroni.
Costoro potranno così ripresentarsi domani con facce diverse, magari inneggiando al vecchio o al nuovo Kennedy, e continuando a propagandare la loro grande società. (...)
Inneggiare alla "vittoria delle forze democratiche della pace e del progresso" non ci interessa: il compito che ci sta di fronte è quello di proseguire sulla strada della costruzione di un movimento rivoluzionario ed anti imperialistico ".
6. 11 castrismo della cattedra
Nel frattempo si spediscono agli assistenti e ai docenti, inviti scritti a partecipare
alle attività di studio della facoltà occupata e, sulla base del
riconoscimento, della piattaforma politica e dei programmi elaborati dal movimento.
Ventidue assistenti inviano una risposta di sostanziale adesione, affermando
che anche essi, nei lavori della loro Assemblea Permanente erano giunti a posizioni
affini a quelle del M.S., e si impegnano a partecipare (6 aprile) .
La risposta dei docenti sotto forma di un documento del Consiglio di Facoltà - giunge il giorno 8, e costituisce una interessante e sincera professione di fede alle autorità costituite. Dalla affermazione che essi ritengono valide e legittime (sic) le agitazioni in corso, giungono a rifiutare categoricamente una "adesione incondizionata" ai temi del movimento, perché ciò li priverebbe della "libertà di pensiero". Riconoscono anche che è legittimo denunziare la "carenza dell'insegnamento universitario" e la necessità di porre "un permanente controllo critico" sullo stesso e danno prova di democrazia nella proposizione che segue "... La sola interpretazione che essi ammettono (sic) per la parola politica è la stessa che hanno già precedentemente affermata, e cioè quella della "politica della cultura". Si dichiarano inoltre persuasi a fondo che esistono difficoltà, problemi, ecc. ecc., parlano di riforma della facoltà e dei rapporti di questa con la "Vita Associata"", ed infine concludono dichiarandosi "... fermamente persuasi che nessuna vera conquista possa essere fondata sulla crisi di responsabilità dei pubblici poteri e sul ricorso ai mezzi illegali come condizione permanente di contestazione e di lotta!".
Buona parte del Consiglio di Facoltà era però enrato in crisi, dal momento che il M.S. non stava alle pacifiche "regole del gioco". Saltano dunque fuori proposizioni eroiche quali: "la cultura è rivoluzionaria", cui seguono assurde tesi di ristrutturazione della facoltà riproducenti in piccolo una costituzione repubblicano-parlamentare; con relativo governo e sottogoverno. Tra i più attivi è il professor Giulio De Luca, che folleggia inneggiando a "Che" Guevara, definendo l'imperialismo "belva impazzita", facendo apocalittiche previsioni sulla lotta "dell'Uomo contro i Mostri..." (destinate, crediamo, a gettare nel terrore gli studenti) ed infine esplode nel gran finale: "... O la riforma getterà il seme della libertà e dignità della cultura e della sua preminenza su tutte le strutture civili, o non vi è altra alternativa che la rivoluzione! ", firmando autografamente.
7. La linea di massa
Nella facoltà di Architettura, agli inizi di maggio, è ormai maturata
la consapevolezza che l’occupazione è di freno piuttosto che di
incentivo agli sviluppi delle possibilità reali di lotta e che, d'altro
canto, i vantaggi che da essa potevano derivare sono ormai in gran parte già
maturati. Il lungo periodo di occupazione ha infatti contribuito in maniera
determinante alla precisazione di un discorso politico, alla preparazione almeno
potenziale di una serie di quadri. Ma le responsabilità connesse all'occupazione
e la difficoltà di estendere in questa situazione il discorso alla massa
degli studenti e ad altri strati sociali, tende ormai a generare pericolosi
sintomi di stanchezza e a riprodurre fenomeni di settarismo e di divisione che
nei momenti di maggiore tensione sembravano scomparsi. Appare ormai chiaro,
cioè, che le possibilità reali di sviluppare operativamente la
linea politica definita "dei tre livelli", e precisata nel documento
del 10 aprile, sono di fatto, impedite proprio dalla situazione di occupazione,
la quale, come scelta a quel punto sostanzialmente difensiva, ha per effetto
una carente partecipazione della massa degli studenti al complesso delle attività.
Il dibattito intorno alle posizioni politiche sulle quali porre termine all'occupazione si sviluppa in modo aspro, focalizzandosi intorno a due ordini di problemi. Da parte di alcuni si dichiara la necessità di salvaguardare l'autonomia del movimento da ogni tentativo di implicarlo in forme di cogestione della Facoltà, e di immetterlo nel vicolo cieco di illusioni "autogestoinistiche". In tal senso si propone di sviluppare le indicazioni politiche fornite dal documento di Rieser pubblicato sull'"Astrolabio", relative alla distinzione, nell'Università, tra uno spazio politico, autonomamente gestito dal movimento, e il tradizionale spazio della didattica e della ricerca, da lasciare nelle mani dei burocrati. Da parte di altri si insiste sulla necessità (resa pressante proprio dal fatto che l'elaborazione politica sviluppata durante l'occupazione non aveva coinvolto l'intera massa degli studenti della Facoltà) di non assumere posizioni che possano apparire come rinunziatarie e difensive; e quindi sulla necessità di puntare su un discorso che, pur politicamente chiaro e niente affatto compromissorio, contenga momenti direttamente riferiti alla situazione concreta delle facoltà e degli studenti e quindi renda possibile un immediato rilancio della lotta al livello di massa.
Il dibattito su queste posizioni. nella misura in cui ciascuna di esse, specificandosi in proposte concrete, tende ad apparire meno netta ed a prestare il fianco ad accuse di settarismo da un lato e di riformismo sindacalistico dall'altro, si sviluppa sia nelle assemblee permanenti di occupazione che in assemblee più vaste nelle quali comincia ad essere rilevante la partecipazione di larghi strati di studenti finora non interessati agli sviluppi della lotta. Il dibattito, anche se con molti limiti, serve a chiarire le differenti posizioni, e comunque a mettere in luce la necessita di porre termine all'occupazione su una linea unitaria, pena la frantumazione ed il ritorno all'atteggiamento difensivo per quanto riguarda le prospettive di azione. Un denominatore comune sulla scelta di linea era del resto già presente di fatto nelle elaborazioni politiche compiute, e si specifica in un documento del 14 maggio che si impernia su alcuni punti fondamentali:
a) La riaffermazione della originalità della lotta studentesca nel suo
duplice carattere di lotta di massa e di lotta oggettivamente fondata sul rifiuto
della società capitalistica, non tanto nei suoi aspetti arretrati quanto
nelle sue tendenze più "razionalizzanti" e tecnocratiche;
b) La necessità di sviluppare e rafforzare il carattere di massa del movimento sulla base dei caratteri più originali dell'esperienza già portata avanti e cioè rifiuto di ogni delega e di ogni struttura burocratica;
c) La necessità di sviluppare il lavoro nell'università per mantenerne aperti i contrasti. e perché sia possibile sviluppare parallelamente il lavoro fuori dell'università verso gli altri strati sociali, ed in primo luogo gli operai;
d) Infine una serie di proposte concrete per una riorganizzazione dell'attività didattica e di ricerca per evitare danni materiali (es. l'annullamento dell'anno accademico), come primo tentativo di definire temi di lotta interni alla situazione della Facoltà e sui quali mobilitare gli strati studenteschi non ancora interessati.
Questo documento, malgrado rappresenti un passo in avanti nel processo di omogeneizzazione delle diverse posizioni precedenti, contiene ancora, nonostante tutto, un atteggiamento conciliatore, facilmente individuabile nella giustapposizione di linee politiche diverse. Ciononostante esso pone le premesse di ulteriori sviluppi delle esperienze di lotta.
A livello studentesco è presente un gruppo politicizzato, ancora non sufficientemente unificato, che porta in se le tracce delle divisioni tra i gruppi dalla cui fusione si è formato. Esso di fatto coincide, in una certa misura, con le forze che hanno realizzato l'occupazione, e si pone oggettivamente come gruppo dirigente; ma pure essendo in possesso di una linea politica sufficientemente precisa, non l'ha ancora fatta propria in tutte le sue implicazioni, causa le limitate esperienze concrete di lavoro politico. Dall'altro lato, la massa degli studenti: essa è sostanzialmente disponibile ad un discorso antiautoritario (per riflesso della generale situazione del paese, ma anche per la particolare debolezza a tutti i livelli della posizione del corpo docente, e per la gravità della situazione della facoltà dal punto di vista didattico e della ricerca), ma è rimasta sostanzialmente estranea all'elaborazione politica condotta durante l'occupazione.
A livello delle altre categorie, professori di ruolo e incaricati - affratellati in un consiglio di Facoltà allargato - continuano a produrre documenti in cui al riconoscimento formale dei valori della lotta degli studenti, fanno corrispondere profferte di buona volontà futura e più o meno velate minacce di annullamento dell'anno accademico. Gli assistenti, almeno quella trentina che si riconosce nell'ANAU, continuano anche essi a produrre documenti generici, nella migliore linea riformistica delle associazioni di categoria.
Infine la stampa cittadina (come il monarchico Roma e soprattutto il Mattino, controllato dal clan dei Gava) saluta con soddisfazione la cessazione dell’occupazione e, più, o meno esplicitamente, fa colpa al corpo docente di incapacità di controllo della situazione. E' soprattutto diffuso il riferimento alla Facoltà di Ingegneria, dove la mancanza di tradizioni di lotta, la situazione meno arretrata dell'organizzazione della didattica e della ricerca, la maggiore disponibilità alla ricettività di un discorso tecnocratico, ma anche la più articolata ed abile presenza dei docenti, avevano permesso di imprigionare l'occupazione nell'ambito di proposte puramente ristrutturatrici della facoltà e di darle quindi uno sbocco riformistico. Il 27 maggio si giunge a una grande assemblea ad Architettura. Si ha un dibattito aspro, vengono presentate due mozioni contrapposte: una, sostanzialmente basata sulla proposta di dialogo con i docenti, dell'agonizzante Gruppo Autonomo; una seconda del gruppo che ha diretto l'occupazione e che ripropone, sia pure in termini più specificamente universitari, la propria linea politica e indice una serie di assemblee nella facoltà aperta. La seconda mozione passa a stragrande maggioranza. E' l'inizio di una estensione a livello di massa della linea politica elaborata durante l'occupazione, cosa che non manca di produrre reazioni, avvertibili nello sconcerto del gruppo docente e nei commenti degli organi di stampa. (Il Mattino sottolinea amaramente e minacciosamente che gli studenti avrebbero deciso di perdere l'anno accademico).
Il problema che si pone immediatamente è come consolidare ed estendere questo successo, in quali forme intensificare la lotta, anche in riferimento alla situazione francese. L'assemblea del giorno 30 segna uno dei punti più alti di mobilitazione e di entusiasmo nella lotta di questo anno. Sono presenti nel cortile della facoltà (che da allora diventa sede delle assemblee studentesche) un migliaio di studenti, praticamente la totalità dei frequentanti, e la quasi totalità dei professori incaricati ed assistenti. Gli studenti riescono a superare il timore di essere colti impreparati dall'improvviso dilatarsi della partecipazione: quelli che prendono la parola si alternano nella ridicolizzazione delle posizioni dei docenti, ed in particolare dei pochi e inetti progressisti; l'attacco politico frontale rifiuta ogni posizione di ambiguità, invitando gli incaricati ad uscire dal consiglio di facoltà e gli assistenti dalla ANAU; propone a tutti l'approvazione di un ordine del giorno che riafferma la linea politica del M.S. L'assemblea sostiene con entusiasmo la linea politica proposta. Questo successo ha un grande valore propio nella misura in cui rende chiaro a tutti che anche obiettivi interni e limitati (quali ad esempio la frattura del consiglio di facoltà) possono ottenersi solo con una linea politica chiara e nel rifiuto di proposte mistificate di dialogo. Due professori di ruolo, due incaricati e circa quaranta assistenti sottoscrivono la mozione. Lo sconcerto del Mattino, che si aspettava di dover annunciare un ritorno all'ordine nella facoltà e si trova invece di fronte ad una frattura (sia pure fittizia e rapidamente rientrata) nello stesso corpo docente, è enorme. Il 1º, giugno viene organizzata una manifestazione sui fatti di Francia. Centro di organizzazione è la facoltà di Architettura, unica facoltà mobilitata, e di fatto unico centro politico, a Napoli, in grado di lanciare la parola d'ordine della manifestazione. Ad essa partecipano circa millecinquecento persone; dopo una breve assemblea nel cortile della facoltà, si forma un corteo che percorre per due ore circa le vie del centro cittadino, crescendo man mano. Raggiunta la sede dell'università Centrale, viene occupato il tratto di strada di fronte all'ingresso e vi si svolge una pubblica assemblea che paralizza il traffico. La manifestazione, per quanto riuscita dal punto di vista organizzativo, conferma i limiti della situazione politica. Da un lato, il M.S. di Architettura è divenuto ormai l'unico punto di riferimento del M.S. Napoletano; d'altra parte, le parole d'ordine che fa proprie non vanno ancora molto più in là della solidarietà generica con gli operai e gli studenti francesi e della rivendicazione alla propria lotta di un contenuto anticapitalistico.
Si giunge così, nella seconda metà di giugno, ad una assemblea che approva un documento che riassume tutti i termini del discorso politico finora elaborato e che, riaffermando la necessita di combattere l'autoritarismo, fa il punto sulla situazione della facoltà di Architettura, sulla impossibilità di distinguere "tra professore progressista e professore reazionario, tra autorità tecnica e autoritarismo, tra scuola attuale e scuola riformata", conferma che l'unica "possibilità di un reale mutamento della scuola è in un corrispondente mutamento della società e quindi in una emancipazione delle classi sfruttate"; e precisa infine che "quanto interessa al movimento non è la gestione (parziale o totale) della scuola, ma al contrario la gestione dell'autonomia politica eversiva del movimento stesso", la "gestione della crisi permanente della scuola come base per l'estensione dell'agitazione ad una base sociale più vasta, e quindi per la costruzione di un rapporto diretto con le lotte operaie e contadine".
Gli studenti di Architettura, per sottolineare il carattere "di non contrattazione" che il documento approvato riveste, danno il inizio ad una serie di momenti di mobilitazione nella facoltà, che si concretano nell'iniziativa di isolare singolarmente i docenti. invadendo in massa gli istituti o bloccandoli nelle aule, per costringerli a discutere nel merito le proposte fatte e quindi ridicolizzarli e demistificarne il ruolo puramente repressivo agli occhi di tutti.
Tale iniziativa si sviluppa con larga partecipazione degli studenti e successo politico, e costringe la maggior parte dei docenti ad accettare, almeno in termini ufficiosi, le proposte del movimento. Si giunge infine ad interrompere il consiglio di facoltà, invadendo l'aula.
8. Il lavoro operaio
Parallelamente a tale sviluppo della lotta nella facoltà si dà
inizio all'unica esperienza di lavoro operaio che sia stata compiuta dal M.S.
napoletano, almeno a livello di iniziativa di massa e fuori dall'ipotesi dei
partiti della sinistra. Gli studenti di Architettura, come è già
stato detto, avevano avviato dei contatti con gli operai di alcune fabbriche
mediante volantinaggi e assemblee in facoltà nel periodo di occupazione.
L'iniziativa si sviluppa ora in occasione di uno sciopero o degli operai dell'Italsider
di Bagnoli, sciopero iniziatosi spontaneamente in alcuni reparti al di fuori
del controllo dei sindacati e poi proclamato unitariamente da CGIL, CISL e UIL
(e sostenuto anche dalla CISNAL).
E' in occasione di un'assemblea in facoltà, a cui partecipano esponenti della SDS tedesca di passaggio per Napoli e alcuni operai di una fabbrica occupata (la CGE di S. Giorgio a Cremano), che gli studenti di Architettura decidono di distribuire il volantino di invito agli operai in sciopero dell' Italsider.
L'incontro è estremamente interessante e dimostra come i fatti di Francia abbiano profondamente inciso nella coscienza degli operai, che ad essi fanno espresso riferimento sollecitando un intervento degli studenti. Sull'entusiasmo frutto di questo primo incontro, si sviluppa l'iniziativa studentesca.
Gli studenti decidono di portare avanti l'iniziativa sulla base della seguente linea politica: l'obiettivo minimo e di verificare in concreto con gli operai ipotesi comuni di lavoro politico, sulla base della costituzione di comitati misti, nella più completa autonomia dai partiti e dai sindacati. Si ritiene corretto rifiutare ogni mistificato ruolo di avanguardie del M.S.: quindi non intervenire come portatori di indicazioni politiche da calare dall'alto, ed evitare ogni attacco aprioristico a partiti e sindacati. Ciò nonostante si ritiene legittimo avviare i contatti sulla base della propria esperienza politica, e quindi dei temi politici che, da essa emersi, vengono considerati generalizzabili: tra questi, fondamentalmente, l'originalità del M.S. come movimento anticapitalistico nato dalla coscienza della proletarizzazione della forza lavoro intellettuale, e costruito sulla base del rifiuto di ogni forma di burocratismo e sulla consapevolezza della mistificazione capitalistica della divisione della società in settori.
Una prima fase dell' intervento studentesco all'Italsider inizia il 27 giugno ed è caratterizzata da due volantini successivamente distribuiti.
Il primo volantino, distribuito per diversi giorni, presenta due caratteristiche di fondo da un lato, tende a chiarire la posizione del M.S., anche in rapporto alla campagna di stampa volta a prevenire un possibile collegamento fra il M.S. e gli operai denunziando all'opinione pubblica gli studenti come "figli di papà". nell'altra si tenta di chiarire agli operai che, soprattutto dal punto, di vista delle forze organizzative della lotta, gli studenti potrebbero dare un contributo. In questo senso si dice: "nell'università per vivere si vende la libertà di ragionare, pensare, decidere con la propria testa. E quando ci si è bene abituati così si va a comandare in fabbrica. Ecco perché i cosiddetti privilegiati, gli studenti, si sono ribellati". Poi "la lotta di massa ha superato gli organismi rappresentativi... questo ha significato: rifiuto della burocratizzazione, partecipazione alle decisioni da parte di tutti, coscienza che soltanto la forza che deriva dall'unità può costringere gli avversari a cedere".
Nel secondo volantino si danno indicazioni sulla linea politica, approfondendo il discorso sull'unità: "l'incontro tra operai e studenti davanti alla fabbrica non è stato casuale, ... il nemico è comune, gli obiettivi sono comuni... abbiamo capito che la maggior parte delle cose che nell'università come nella fabbrica ci fanno ingoiare come necessità tecniche, in realtà non sono altro che trucchi per dividerci, per ridurci a bestie che dicono sempre di sì... vogliamo essere noi a decidere, ciò che ci riguarda...".
In questa fase sono da sottolineare alcuni aspetti fondamentali. In primo luogo, la immediata disponibilità degli operai alla discussione con gli studenti. Gli atteggiamenti di esplicito rifiuto al colloquio sono praticamente nulli, anche se dalle discussioni di fronte allo stabilimento emerge chiaramente una maggiore diffidenza degli operai più, anziani rispetto ai più giovani. Tale diffidenza per altro è spiegabile - come si è rilevato nel corso stesso dell'intervento - non tanto come conflitto di generazioni, ma piuttosto tenendo conto delle caratteristiche della classe operaia napoletana, in cui i più anziani, spesso provenienti da altre attività, sono anche i più dequalificati. In questo quadro, due interventi di un sindacalista della CISL e di uno della CISNAL, che in circostanze diverse cercano di allontanare gli studenti, si configurano come vere e proprie "gaffes", e sono rintuzzati - ciò che e più importante - dagli stessi operai.
La presenza studentesca viene interpretata in modi diversi, e prevalentemente in termini generici di solidarietà: comunque, la speranza esplicita è che porti a forme di lotta più incisive. Il dato rilevante è la diffusa coscienza che essa sia il segno di un'estensione dei problemi della fabbrica ad altri strati sociali e quindi un superamento dell'isolamento operaio. E' sufficiente portare un megafono per improvvisare un'assemblea nella piazza di Bagnoli, davanti all'ingresso principale della fabbrica che dà direttamente sull'abitato. Viene bloccato il traffico sulla strada e sulla ferrovia secondaria locale, si verniciano con svastiche e scritte sul Viet-nam automobili della NATO di passaggio nella zona. Gli studenti, su indicazione di alcuni giovani operai, invitano a entrare in fabbrica per continuare l'assemblea sotto gli edifici della direzione.
Gli operai sono tutti d'accordo ed entrano scardinando i cancelli, mentre gli studenti sollecitano i più restii formando cordoni.
In questa fase, l'atteggiamento della FIOM-CGIL è estremamente prudente. Evita di prendere posizioni contro gli studenti, ed in un volantino invita gli operai ad isolare solo quei gruppi (qualificatisi come espressione del P.C. d'I. o dei trotzkisti), i quali vengono significativamente definiti "non studenteschi". Cerca il colloquio con gli studenti i quali accettano un incontro nella sede locale, pur dicendo chiaro agli operai che il loro interesse non è rivolto al contatto mediato dalle organizzazioni ufficiali. Più preoccupato appare l'atteggiamento del PCI che, invitati gli studenti ad un incontro nella locale sezione del partito, lo manda poi a monte senza giustificazione. Il primo indice di frizione si ha in occasione di un'assemblea in cui i sindacati comunicano agli operai i risultati di un incontro presso la prefettura. Uno studente viene invitato ad intervenire, ma non appena comincia a far riferimento ai fatti di Francia, alcuni sindacalisti e membri di commissione interna cercano di togliergli il megafono.
Comunque, dopo questa prima fase, si apre un secondo periodo, in cui gli studenti adottano la tattica di evitare scontri con le organizzazioni sindacali e di partito, almeno finché non si siano maggiormente approfonditi ed estesi i contatti con gli operai. Cosi ogni mattina, all'ingresso in fabbrica, sono presenti circa una cinquantina di studenti (numero che sfiorerà il centinaio nei momenti di maggiore tensione) che, approfittando del fatto che lo sciopero prevede un ritardo di un'ora e mezzo sull'entrata di ogni turno rispetto all'orario normale, organizzano il maggior numero possibile di discussioni su varie questioni, formando numerosi capannelli davanti a tutti gli ingressi. Ci si sforza soprattutto di rendere esplicito il contenuto dei volantini distribuiti, il significato della propria presenza, e l'esperienza della lotta basata sul rifiuto di ogni delega e sull'assemblea come momento di elaborazione e di decisione collettiva. Si verificano in questa fase due nuovi fenomeni: da un lato, l'iniziativa degli studenti di Architettura, pur verificandosi in un periodo in cui l'Università è sostanzialmente vuota' comincia a rappresentare un momento di unificazione per singoli e per gruppi delle varie facoltà, interessati all'esperienza che si va sviluppando.
In tal senso gli studenti di architettura ritengono di riassumere, in questa fase della loro iniziativa, i contenuti del M.S. napoletano nel suo complesso: da questo momento in poi, per sottolineare e questa volontà, i volantini verranno firmati non più come commissione fabbrica del M.S. architettura, ma come M.S. napoletano.
Dall'altro lato, il P.C. d'Italia intensifica in questa fase la sua presenza, sia pure con una partecipazione numerica estremamente limitata: ma le parole d'ordine che esso adotta si rilevano errate sul piano tattico: in particolare l'attacco aprioristico ai sindacati e la parola d'ordine del nuovo sindacato, appaiono agli operai come calati dall'alto e sono poco recepiti. Ciò sostanzialmente per due motivi: primo, perché queste parole d'ordine vengono presentate dall'esterno come ricette di per sé risolutive, e non possono quindi essere sentite come proposte alla cui costruzione e abbiano partecipato gli operai tutti; secondo, perché nella difficile fase di sciopero in atto il sindacato pur aspramente criticato dagli operai, è comunque ancora sentito come garanzia minima non di uno sbocco positivo delle lotte - che gli operai sanno dipendere essenzialmente dalla propria combattività - ma della difesa a livello istituzionale dei loro interessi di categoria.
In questa situazione si intensifica il tentativo. da parte dei partiti e dei sindacati, di strumentalizzare gli studenti, avallandone la presenza nei termini della solidarietà e dall'appoggio generico agli operai, e quindi sostanzialmente presentandoli come alternativa all'intervento del P.C. d'Italia. Il tentativo viene apertamente respinto dagli studenti, che sostengono la legittimità di qualsiasi intervento fatto da compagni, indipendentemente dalle divergenze tattiche o strategiche.
La situazione, però, precipita rapidamente. Il 5 luglio, in una assemblea generale nella piazza di Bagnoli, i sindacati propongono agli operai due giorni di sospensione dello sciopero perché si possano sviluppare le trattative presso la prefettura. E' opportuno chiarire che i sindacalisti avevano più volte, nelle assemblee precedenti, preso l'impegno che le trattative sarebbero, avvenute con le agitazioni in corso, e che ogni proposta sarebbe stata discussa in assemblea generale prima di essere accettata. Gli operai urlano il loro rifiuto in particolare un gruppo di operai giovani insiste per un intervento degli studenti, mentre sindacalisti e membri di commissione interne cercano di opporvisi. Il segretario provinciale della FIOM, di fronte alla chiara manifestazione della volontà degli operai, nega il megafono ad uno studente insultandolo, dichiara sospesa per un breve intervallo l'assemblea e si allontana. Lo studente può allora intervenire ribadendo tra gli applausi due concetti fondamentali presentati come frutto dell'esperienza di lotta del M.S.: la necessità di non sospendere la lotta, unica arma per imporre al padrone la volontà operaia, e la necessita che a decidere della lotta in tutti i suoi aspetti siano gli operai con assemblee permanenti, che realmente siano l'espressione della volontà di tutti e non truccate ad uso e consumo dei sindacati. Dopo questa assemblea, gli studenti elaborano un volantino, che presentano agli operai all'uscita dei turni. Si approfondisce il tema dell'unità: "Il padrone è forte perché ha tutti gli strumenti per opprimerci... lo strumento più efficace è quello di dividerci... prolungare, rimandare, rinviare le trattative... ciò che oggi ci ha uniti più di ieri è stata la volontà manifesta di tutti di non arrenderci, perché sospendere lo sciopero significa fare il gioco dei padroni... solo discutendo tutti insieme la continuazione della lotta e le forme che essa deve assumere, fino a quando tutti siano coscienti di ciò che si deve fare, sarà possibile realizzare quell'unità tra gli operai, tra gli operai e gli studenti, di fronte alla quale il padrone diventa debole".
Dopo avere esplicitato che questa strada significa una continua disponibilità alla discussione, una piena volontà d'impegno e di lotta per la costruzione di un movimento di massa, si passava - fatto che segnava l'importanza che andava assumendo la presenza studentesca - alla proposta di un'assemblea generale da tenersi il giorno 6-7-1968 alle ore 7 nella piazza di Bagnoli, in cui "... tutti insieme si decida ciò che si deve fare e non si dica solo sì o no a chi ha già fatto certe cose".
Ritornando all'Italsider gli studenti hanno però la sorpresa di scoprire che il sindacato è riuscito a capovolgere le carte in tavola: gli operai, entrati in fabbrica, sono stati invitati ad una assemblea, svoltasi sotto l'occhio "paterno" di sorveglianti e capi-reparto; in essa i sindacalisti hanno annunciato di avere riportato una grande vittoria: per la prima volta essi sono potuti entrare nella fabbrica. Hanno inoltre proposto agli operai di chiedere alla direzione due giorni di orario ridotto, e cioè due giorni retribuiti di sospensione del lavoro, nei quali si possano svolgere le trattative alla presenza non sole dei sindacalisti, ma di delegazioni elette dagli operai stessi. Il carattere coatto dell'assemblea ha giuocato un ruolo determinante la maggioranza degli operai presenti ha votato a favore della proposta. L'assemblea si è appena conclusa, che già la direzione affigge un annuncio in cui dichiara di accettare la richiesta dell'orario ridotto.
Nei giorni successivi si svolgono le trattative, con risultati che il sindacato presenta agli operai come un successo. Il riflusso determinato dai due giorni di sospensione dello sciopero, e la consapevolezza che i sindacati hanno deciso dopo venti giorni di mollare la lotta - del resto non da loro iniziata - porta gli operai a subire, sia pure mugugnando, la conclusione della vertenza. Ma quello che ai sindacati è potuto sembrare un successo, ha segnato in realtà una loro evidente sconfitta. L'intervento degli studenti li ha costretti a scoprire il loro giuoco, e gli operai, nella stragrande maggioranza, non hanno dubbi: i sindacalisti sono potuti entrare in fabbrica solo perché l'accordo con la Direzione era già stato deciso in precedenza. Questo giudizio viene confermato dal fatto che le delegazioni operaie, oltre che essere manipolate in modo sostanziale, nella loro composizione, dai sindacati, hanno potuto partecipare solo in parte alle trattative e, comunque, con un ruolo puramente tecnico di informazione sulla situazione dei singoli reparti.
Non vi sono esitazioni nel giudizio della grande maggioranza degli operai: i sindacati non volevano lo sciopero e ne hanno contrattato l'affossamento con il padrone. D'altro canto non vi è dubbio negli studenti, anche in quelli che avevano partecipato all'iniziativa senza rompere i loro legami con i partiti della sinistra e quindi riservandosi il giudizio sui sindacati: le potenzialità della lotta operaia sono enormi, e compito oggettivo delle organizzazioni ufficiali è quello di sopirle, incanalandole in un alveo settoriale.
E' ancora una volta la riprova della giustezza della linea adottata. Un salto di coscienza politica si è compiuto non sulla base di esercitazioni teoriche astratte, ma nel vivo dell'esperienza della lotta di massa.
Nei giorni seguenti gli studenti distribuiscono all'uscita dei turni il seguente volantino:
OPERAI DELL'ITALSIDER
voi avete visto, in questi giorni in cui siamo stati con voi davanti alla fabbrica,
che ci siamo sempre sforzati di rafforzare l'unità operaia nella lotta,
evitando polemiche che avrebbero potuto essere denunciate come provocazioni
e come elementi di divisione.
Ci siamo comportati così perché eravamo coscienti che la lotta era prima di tutto vostra, che eravate voi a dovere decidere tutto ciò che la riguardava, anche il modo in cui la nostra presenza poteva esservi utile.
Ma questo non significa che noi abbiamo paura di dire tutto ciò che pensiamo, quando è il momento. In merito all'accordo concluso dai sindacati noi pensiamo che se si accetta soltanto qualche soldo senza porre in primo luogo le questioni relative ai cottimi, all'organico, ai ritmi di lavoro, ai livelli di produttività, si ha la certezza che il padrone si riprenderà con la sinistra quei pochi soldi che ha fatto finta di dare con la destra.
Ma noi tutti sappiamo che la lotta contro i padroni non finisce qui. E’ per costruire le vittorie future, che vogliamo ripetere ciò che ci sembra importante a questo fine e cioè:
a - tutte le decisioni devono essere prese dagli operai nelle assemblee, realmente democratiche e non addomesticate ad uso e consumo del padrone od in cui possono parlare soltanto i sindacalisti;
b - occorre formare comitati di fabbrica eletti nelle assemblee dagli operai e non dai sindacati; questi comitati devono poter essere sempre sostituiti se si rivelano incapaci di portare avanti gli obiettivi , che di volta in volta l'assemblea degli operai indica;
c - occorre rafforzare ed approfondire l'unità tra operai e studenti, ricercandone via via le forme più adatte; noi riteniamo infatti che una delle armi più potenti dei capitalisti è la divisione della società in vari settori, il che permette loro di controllare meglio le lotte che avvengono in questi settori; in tal modo essi evitano, facendo credere che gli interessi siano diversi, che operai di diverse fabbriche e di diverse specializzazioni, oppure operai, studenti e contadini, si incontrino nelle lotte stesse.
Operai, abbiamo capito tutti ormai, contro la volontà dei padroni, che dobbiamo lottare uniti e stroncare tutti i tentativi che vengono e verranno fatti per dividerci, da qualsiasi parte vengano. Per discutere di questi problemi noi torneremo spesso davanti alla fabbrica, e ci dichiariamo fin da ora disponibili per qualsiasi altra forma di incontro o che voi vorrete proporre. Noi stessi faremo nei prossimi giorni delle proposte in questo senso. Il nostro obiettivo e di formare commissioni studenti-operai che possano organizzare meglio e con continuità il lavoro e le lotte comuni.
f.to: Movimento Studentesco Napoletano presso la Facoltà di Architettura
Per pochi giorni ancora si discute con alcuni degli operai più interessati
sull'esperienza condotta e sulla costituzione di una Commissione operai-studenti,
per avviare un'inchiesta sulla situazione dell'Italsider. Ma intanto si è
giunti alla meta di luglio; molti studenti sono partiti per le loro sedi di
residenza, sparse in tutto il Mezzogiorno, altri sono impegnati negli esami
e inoltre si comincia a sentire la stanchezza derivante da sei mesi di lavoro
politico ininterrotto. Si decide quindi di sospendere per il mese di agosto
le attività.
L'unica iniziativa che viene ancora proseguita a livello di tutti gli studenti impegnati, è quella di un dibattito nella lega della Federbraccianti di Giugliano, centro agricolo tra i più importanti della provincia. A questo incontro partecipano anche studenti del M.S.. romano, impegnati in questo periodo nel lavoro con i fuori-sede, ed in una serie di contatti, in alcuni centri meridionali, con gruppi operanti nelle situazioni locali. Dopo alcuni incontri si giunge così, il 29 di luglio, alla stesura di un documento da proporre come base di discussione ai compagni operanti per la costruzione di una linea rivoluzionaria nelle Università e nei centri meridionali, in vista della preparazione di un convegno sui temi affrontati.
Conviene riportare qui il testo del documento:
1. Il M.S. si presenta sul piano politico con una duplice faccia:
a - da un lato, esso è espressione di una serie di contraddizioni generali del sistema capitalistico, soprattutto nella misura in cui smentisce alcune ipotesi di fondo sullo sviluppo del sistema, e in primo lungo contiene il rifiuto della divisione del lavoro, nella sua forma primaria di divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale.
b - D'altra parte, esso rappresenta l'emergere - a livello di lotta - di un gruppo sociale determinato. In questo senso esprime interessi specifici, e i problemi organizzativi che si pongono al suo interno sono analoghi, anche se parzialmente diversi, a quelli che si pongono in altri gruppi sociali nei quali sia particolarmente sensibile la coscienza di una subordinazione alla logica dello sviluppo capitalistico.
2. Un'azione politica che si proponga di verificare la funzione del M.S. nell'attuale situazione dello sviluppo capitalistico italiano, deve fare di queste caratteristiche la piattaforma da cui è possibile sviluppare una linea di azione politica autonoma.
3. Il limite principale dell'azione sviluppata nello scorso anno, infatti, è consistito propio nella mancata fusione di questi due rivetti in una linea unica e coerente, nella mancata creazione di un movimento politico che sapesse coinvolgere, insieme agli studenti, atri gruppi sociali sensibili a queste istanze, mostrando in modo evidente - al di sotto di apparenti differenze - una sostanziale condizione comune. La dimostrazione più chiara di questo, consiste nel fatto che esiste la possibilità concreta di individuare gli studenti coinvolti nel movimento - in molte situazioni locali - come appartenenti ad un numero limitato di gruppi sociali, esattamente (per inciso) quelli più sensibili a livello soggettivo (il che non significa certamente quelli più subordinati a livello oggettivo) al discorso sull'autoritarismo accademico.
4. Lo spazio di azione politica che noi individuiamo è quello delle contraddizioni specifiche dello sviluppo capitalistico nel Mezzogiorno d'Italia.
Un avvio dell'attività in questa direzione può permettere una elaborazione di temi politici a livello di classe, che contribuisca in modo originale, tenendo conto delle molteplici forme in cui si dispiega la realtà di classe del sud, alla tematica generale del movimento.
5. Naturalmente, ciò implica un deciso superamento tanto della problematica meridionalistica tradizionale, quanto dell'anti-meridionalismo fondato su una visione schematica delle potenzialità reali dello sviluppo capitalistico nazionale, e delle contraddizioni che ne scaturiscono a livello regionale
6. Il modo corretto - in questo momento specifico - per elaborare una linea di azione che non coinvolga soltanto gli studenti, ma tutti i gruppi che lavorano nel sud in modo contestativo (appartengano o meno a partiti ufficiali), proponendo chiaramente il M.S. di massa come momento unificatore, è di sviluppare un'analisi delle classi nel Mezzogiorno. Questa analisi, intesa come ricerca di contatti e di forme corrette di organizzazione del proletariato e tendente alla elaborazione di una strategia generale rivoluzionaria che si contrapponga nei fatti (e non solo nei principi) alle attuali linee riformistiche del movimento operaio "ufficiale", andrà sviluppata in modo realistico commisurandone cioè la portata alle forze reali del M.S. e degli altri gruppi politici che si riconoscano nella linea qui enunciata.
Su questi temi, che andranno meglio specificati, approfonditi e articolati,
per metterne in luce le implicazioni politiche generali, e soprattutto i compiti
specifici che ne scaturiscono per i militanti impegnati nei vari settori (università,
fabbriche, campagne, quartieri sottoproletari), il dibattito è ormai
riaperto. Lo stesso riesame delle esperienze fatte, che si è proposto
qui, non è che un episodio di quel dibattito, le cui conclusioni sono
in questo momento scarsamente prevedibili.
Vi è una sola indicazione che - sulla base dell'esperienza di lotta dell'anno passato - i militanti napoletani del M.S. ritengono di poter considerare ormai acquisita: che il settarismo di gruppo, pur rappresentando in momenti determinati un utile metodo di chiarimento, rischia in prospettiva di deformare e di ridurre le capacità critiche e valutative dei compagni, sia perché ne svia l'attenzione verso falsi scopi, sia perché ne offusca la consapevolezza - che invece dev'essere sempre arricchita - che il compito fondamentale che sta loro di fronte è - come dice il compagno Mao - organizzare su basi politiche comuni, a fini rivoluzionari, milioni di persone.