Biblioteca Multimediale Marxista
All'organizzazione di Leningrado del P.C.(b) dell'U.R.S.S. dedico queste
pagine.
G. STALIN
CAPITOLO I
Definizione del leninismo
L'opuscolo: « Dei principii del leninismo » contiene la nota definizione
del leninismo che ha ottenuto, pare, diritto di cittadinanza. Eccola:
« Il leninismo è il marxismo dell'epoca dell'imperialismo e della
rivoluzione proletaria. Più esattamente il leninismo è la teoria
e la tattica della rivoluzione proletaria in generale, la teoria e la tattica
della dittatura del proletariato in particolare ».
E' giusta questa definizione?
Penso che sia giusta. E' giusta, in primo luogo, perché indica giustamente
le radici storiche del leninismo, caratterizzandolo come il marxismo dell'epoca
dell'imperialismo, all'opposto di certi critici di Lenin, i quali pensano
a torto che il leninismo sia nato dopo la guerra imperialista. È giusta,
in secondo luogo, perché mette giustamente in rilievo il carattere
internazionale del leninismo, all'opposto della socialdemocrazia, che ritiene
il leninismo applicabile soltanto alla situazione nazionale russa. E’
giusta, in terzo luogo, perché mette giustamente in rilievo il legame
organico del leninismo con la dottrina di Marx, caratterizzandolo come il
marxismo dell'epoca dell'imperialismo, contrariamente a certi critici del
leninismo che non lo considerano come un ulteriore sviluppo del marxismo,
ma soltanto come una restaurazione del marxismo e una applicazione di esso
alla realtà russa.
Tutto ciò parrebbe non aver bisogno di commenti speciali.
Tuttavia vediamo che nel nostro partito vi è della gente che ritiene
necessario definire il leninismo in modo alquanto diverso. Per esempio Zinoviev
pensa che:
« Il leninismo è il marxismo dell'epoca delle guerre imperialiste
e della rivoluzione mondiale, direttamente incominciata in un paese dove predominano
i contadini ». (Il corsivo è di Zinoviev. G. St.).
Che cosa possono significare le parole sottolineate da Zinoviev? Che cosa
significa introdurre nella definizione del leninismo l'arretratezza della
Russia, il suo carattere contadino?
Significa fare del leninismo non più una dottrina proletaria internazionale,
ma un prodotto delle specifiche condizioni russe.
Significa fare il gioco di Bauer e di Kautsky, i quali negano che il leninismo
convenga ad altri paesi, capitalisticamente più sviluppati.
E’ indiscutibile che la questione contadina ha per la Russia la massima
importanza, che il nostro paese è un paese rurale. Ma quale importanza
può avere questo fatto per caratterizzare i principii del leninismo?
Si è forse il leninismo formato soltanto sul suolo della Russia e per
la Russia, e non sul terreno dell'imperialismo, non per i paesi imperialisti
in generale? Forse che le opere di Lenin, come: « L'imperialismo »,
« Stato e rivoluzione », « La rivoluzione proletaria e il
rinnegato Kautsky », La malattia infantile di "sinistra" »,
ecc. hanno importanza soltanto per la Russia e non per tutti i paesi imperialisti
in generale? Non è forse il leninismo la generalizzazione dell'esperienza
del movimento rivoluzionario di tutti i paesi? I principi della teoria e della
pratica del leninismo non sono forse validi, non sono obbligatori per i partiti
proletari di tutti i paesi? Aveva forse torto Lenin di dire che « il
bolscevismo è un modello di tattica valido per tutti »? (Il corsivo
è mio. G. St.). (« La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky
», vol. XXIII, p. 386, ed. russa). Aveva forse torto Lenin di parlare
dell'« importanza internazionale (il corsivo è mio. G. St.) del
potere sovietico e dei principii della teoria e della tattica del bolscevismo
»? (« La malattia infantile », volume XXV, pp. 171-172,
ed. russa). Non sono forse giuste, per esempio, le seguenti parole di Lenin:
« In Russia la dittatura del proletariato inevitabilmente deve distinguersi
dai paesi avanzati per certe particolarità, in conseguenza del carattere
molto arretrato e piccolo-borghese del nostro paese. Ma le forze essenziali
e le forme fondamentali dell'economia sociale sono in Russia le stesse che
in qualsiasi altro paese capitalistico, cosicché queste particolarità
possono riferirsi soltanto a ciò che non è l'essenziale ».
(Il corsivo è mio. G. St.). (« Economia e politica nell'epoca
della dittatura del proletariato », vol. XXIV, p. 508, ed. russa).
Ma se tutto questo è vero, non ne deriva che la definizione del leninismo
data da Zinoviev non può essere accettata come giusta?
Come conciliare con l'internazionalismo questa definizione angustamente nazionale
del leninismo?
CAPITOLO II
L'essenziale nel leninismo
Nell'opuscolo: « Dei principi del leninismo » è detto:
« Alcuni pensano che l'essenziale del leninismo sia la questione contadina,
che il punto di partenza del leninismo sia la questione dei contadini, della
loro funzione, del loro peso specifico. Ciò è assolutamente
falso. La questione essenziale del leninismo, il suo punto di partenza, non
è la questione contadina, ma quella della dittatura del proletariato,
delle condizioni della conquista e del consolidamento dì questa dittatura.
La questione contadina, come questione di un alleato del proletariato nella
sua lotta per il potere, è una questione derivata ».
È giusta questa tesi?
Penso che sia giusta. Questa tesi scaturisce integralmente dalla definizione
del leninismo. Infatti, se il leninismo è la teoria e la tattica della
rivoluzione proletaria e se il contenuto essenziale della rivoluzione proletaria
è la dittatura del proletariato, è chiaro che l'essenziale nel
leninismo è la questione della dittatura del proletariato, l'elaborazione
di questa questione, l'impostazione e la concretizzazione di questa questione.
Cionondimeno Zinoviev non è d'accordo, evidentemente, con questa tesi.
Nel suo articolo: « In memoria di Lenin », egli dice:
« La questione della funzione dei contadini, come ho già detto,
è la questione essenziale (il corsivo è mio. G. St.) del bolscevismo,
del leninismo ».
Questa tesi di Zinoviev, come vedete, scaturisce per intero dalla definizione
sbagliata che egli dà del leninismo. Perciò essa pure è
sbagliata, così come è sbagliata la sua definizione del leninismo.E'
giusta la tesi di Lenin che la dittatura del proletariato costituisce il «
contenuto essenziale della rivoluzione proletaria »? (« La rivoluzione
proletaria e il rinnegato Kautsky », vol. XXIII, p. 377, ed russa).
Essa è assolutamente giusta. E' giusta la tesi che il leninismo è
la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria? Penso che è giusta.
E allora che cosa ne risulta? Ne risulta che la questione essenziale del leninismo,
il suo punto di partenza, la sua base è la questione della dittatura
del proletariato.
Non è forse vero che le questioni dell'imperialismo, dello sviluppo
a salti dell'imperialismo, della vittoria del socialismo in un solo paese,
dello Stato del proletariato, della forma sovietica di questo Stato, della
funzione del partito nel sistema della dittatura del proletariato, delle vie
dell'edificazione del socialismo, non è forse vero che tutte queste
questioni sono state elaborate precisamente da Lenin? Non è forse vero
che proprio queste questioni costituiscono la base, il fondamento dell'idea
della dittatura del proletariato? Non è forse vero che, senza l'elaborazione
di questi problemi fondamentali, l'elaborazione della questione contadina
dal punto di vista della dittatura del proletariato non sarebbe concepibile?
E' indiscutibile che Lenin fu un conoscitore della questione contadina. E'
indiscutibile che la questione contadina, come questione di un alleato del
proletariato, ha un'importanza grandissima per il proletariato ed è
parte integrante della questione essenziale della dittatura del proletariato.
Ma non è forse chiaro che, se al leninismo non si fosse posta la questione
essenziale della dittatura del proletariato, non sarebbe nemmeno sorta la
questione derivata dell'alleato del proletariato, la questione dei contadini?
Non è forse chiaro che se non si fosse posta al leninismo la questione
pratica della conquista del potere da parte del proletariato, non sarebbe
nemmeno sorta la questione dell'alleanza coi contadini?
Lenin non sarebbe, come indubbiamente è, il più grande ideologo
proletario, ma sarebbe un semplice « filosofo contadino », quale
lo rappresentano non di rado i letterati stranieri piccolo-borghesi, se avesse
elaborato la questione contadina non sulla base della teoria e della tattica
della dittatura del proletariato, ma indipendentemente da questa base, all'infuori
di questa base.
Delle due l'una:
o la questione contadina è l'essenziale nel leninismo, e allora il
leninismo non è valido, non è obbligatorio per i paesi capitalistici
sviluppati, per i paesi che non sono paesi contadini
o l'essenziale nel leninismo è la dittatura del proletariato, e allora
il leninismo è la dottrina internazionale dei proletari di tutti i
paesi; è valido e obbligatorio per tutti i paesi senza eccezione, compresi
i paesi capitalistici sviluppati.
Qui bisogna scegliere.
CAPITOLO III
La questione della rivoluzione « permanente »
Nell'opuscolo: « Dei principii del leninismo », la « teoria
della rivoluzione permanente » è giudicata come una « teoria
» che sottovaluta 1a funzione dei contadini. Vi è detto:
« Lenin combatteva i partigiani della rivoluzione "permanente"
non perché essi sostenessero la continuità della rivoluzione,
giacché Lenin stesso sosteneva il punto di vista della rivoluzione
ininterrotta, ma perché sottovalutavano la funzione dei contadini,
che sono la più grande riserva del proletariato ».
Questa caratteristica dei « permanentisti » russi era considerata
fino a questi ultimi tempi come generalmente ammessa. Tuttavia essa, pur essendo
giusta in generale, non può però essere considerata come esauriente.
La discussione del 1924 da una parte, e un'analisi accurata delle opere di
Lenin dall'altra, hanno dimostrato che l'errore dei « permanentisti
» russi non consisteva solamente nella sottovalutazione della funzione
dei contadini, ma anche nella sottovalutazione delle forze e della capacità
del proletariato di condurre al suo seguito i contadini, nel fatto che essi
non credevano all'idea dell'egemonia del proletariato.
Per questo nel mio opuscolo: « La Rivoluzione d'ottobre e la tattica
dei comunisti russi » (dicembre 1924) ho allargato questa caratteristica
e l'ho sostituita con un'altra, più completa. Ecco che cosa è
detto in proposito in questo opuscolo:
« Fino ad ora si era soliti mettere in rilievo un solo lato della teoria
della "rivoluzione permanente": la sfiducia nelle possibilità
rivoluzionarie del movimento contadino. Oggi, per maggior esattezza, a questo
lato bisogna aggiungere l'altro: la sfiducia nelle forze e nelle capacità
del proletariato della Russia ».
Ciò non significa, naturalmente, che il leninismo sia stato o sia contro
l'idea della rivoluzione permanente (senza virgolette) enunciata da Marx dopo
il 1840. Al contrario, Lenin fu l'unico marxista che comprese esattamente
e sviluppò l'idea della rivoluzione permanente. La differenza tra Lenin
e i « permanentisti » sta, a proposito di questo problema, nel
fatto che i « permanentisti » snaturavano l'idea di Marx della
rivoluzione permanente trasformandola in un principio libresco e senza vita,
mentre Lenin, ne colse il senso esatto e ne fece una delle basi della sua
teoria della rivoluzione. Giova ricordare che l'idea della trasformazione
della rivoluzione democratica borghese in rivoluzione socialista, espressa
da Lenin fin dal 1905, è una delle forme in cui si incarna la teoria
della rivoluzione permanente di Marx. Ecco che cosa scriveva Lenin a questo
proposito fin dal 1905:
« Dalla rivoluzione democratica cominceremo subito, nella misura delle
nostre forze, delle forze del proletariato cosciente e organizzato, a passare
alla rivoluzione socialista. Noi siamo per la rivoluzione ininterrotta. (Il
corsivo è mio G. St.). Non ci arresteremo a mezza strada...
Senza cadere nello spirito d'avventura, senza tradire la nostra coscienza
scientifica, senza perseguire una popolarità a buon mercato, possiamo
dire e diciamo una cosa sola: con tutte le forze aiuteremo tutti i contadini
a fare la rivoluzione democratica, affinché più facile sia a
noi, partito del proletariato, passare con la massima rapidità a un
compito nuovo e più elevato, alla rivoluzione socialista ». (vol.
VIII, pp. 186-187, ed. russa).
Ed ecco che cosa scrive Lenin su questo argomento sedici anni più tardi,
dopo la conquista del potere da parte del proletariato:
« I Kautsky, gli Hilferding, i Martov, i Cernov, Hillquit, Longuet,
MacDonald, Turati e altri eroi del marxismo "II e 1/2" non hanno
saputo comprendere... i rapporti tra la rivoluzione democratica borghese e
la rivoluzione socialista proletaria. La prima si trasforma nella seconda
(il corsivo è mio G. St.). La seconda risolve, nel corso del suo svolgimento,
i problemi della prima. La seconda consolida l'opera della prima. La lotta,
e soltanto la lotta, decide in quale misura la seconda riesce a superare la
prima ». (« Nel quarto anniversario della Rivoluzione d'ottobre
», vol. XXVII, p. 26, ed. russa).
Richiamo particolarmente l'attenzione sulla prima citazione, tratta dall'articolo
di Lenin: « L'atteggiamento della socialdemocrazia verso il movimento
contadino », pubblicato il 1° settembre 1905. Sottolineo questo
fatto a edificazione di coloro i quali, malgrado tutto, continuano ad asserire
che Lenin sarebbe giunto all'idea della trasformazione della rivoluzione democratica
borghese in rivoluzione socialista, all'idea della rivoluzione permanente,
dopo l'inizio della guerra imperialista, verso il 1916. Questa citazione non
lascia sussistere nessun dubbio circa il fatto che costoro cadono in un profondo
errore.
CAPITOLO IV
La rivoluzione proletaria e la dittatura del proletariato
In che cosa consistono i tratti caratteristici che distinguono la rivoluzione
proletaria dalla rivoluzione borghese?
La differenza tra la rivoluzione proletaria e la rivoluzione borghese potrebbe
essere riassunta in cinque punti fondamentali:
1) La rivoluzione borghese incomincia, di solito, quando le forme della struttura
capitalista, sorte e maturate in seno alla società feudale prima ancora
di una rivoluzione aperta, sono già più o meno pronte; mentre
invece la rivoluzione proletaria incomincia quando mancano del tutto, o quasi
del tutto, le forme già pronte della struttura socialista.
2) Il compito fondamentale della rivoluzione borghese si riduce a conquistare
il potere e a metterlo in accordo con 1'economia borghese esistente; mentre
invece il compito fondamentale della rivoluzione proletaria consiste, dopo
la conquista del potere, nell'edificare una economia nuova, socialista.
3) La rivoluzione borghese si conclude, di solito, con la conquista del potere;
mentre invece per la rivoluzione proletaria la conquista del potere è
soltanto l'inizio, e il potere viene utilizzato come leva per la trasformazione
della vecchia economia e l'organizzazione di un'economia nuova.
4) La rivoluzione borghese si limita a sostituire al potere un gruppo di sfruttatori
con un altro gruppo di sfruttatori: perciò non ha bisogno di demolire
la vecchia macchina statale; mentre invece la rivoluzione proletaria caccia
dal potere tutti, senza eccezione, i gruppi di sfruttatori, e porta al potere
il capo di tutti i lavoratori e di tutti gli sfruttati, la classe dei proletari;
perciò non può fare a meno di demolire la vecchia macchina statale
e di sostituirla con una nuova.
5) La rivoluzione borghese non può raccogliere attorno alla borghesia,
per un periodo di una certa durata, masse di milioni di lavoratori e di sfruttati,
appunto perché essi sono lavoratori e sfruttati, mentre invece la rivoluzione
proletaria, se vuole assolvere il proprio compito essenziale, che è
di consolidare il potere proletario e di edificare una nuova economia socialista,
può e deve legare i lavoratori e gli sfruttati al proletariato, in
un'alleanza durevole, appunto perché essi sono degli sfruttati e dei
lavoratori.
Ecco alcune tesi fondamentali di Lenin a questo proposito:
« Una delle differenze fondamentali, — dice Lenin, — tra
la rivoluzione borghese e la rivoluzione socialista consiste nel fatto che
per la rivoluzione borghese, che nasce dal feudalesimo, in seno al vecchio
regime si creano progressivamente delle nuove organizzazioni economiche, le
quali trasformano gradualmente tutti i lati della società feudale.
La rivoluzione borghese aveva davanti a sé un compito solo: spezzare,
gettare via, distruggere tutte le catene delle vecchia società. Assolvendo
questo compito, ogni rivoluzione borghese fa tutto quel che le è richiesto:
esso stimola lo sviluppo del capitalismo. La rivoluzione socialista si trova
in una situazione del tutto diversa. Quanto più è arretrato
il paese nel quale, in virtù degli zig-zag della storia, ha dovuto
incominciare la rivoluzione socialista, tanto più è per essa
difficile il passaggio dai vecchi rapporti capitalistici ai rapporti socialisti.
Ai compiti della distruzione si aggiungono qui nuovi compiti, di una difficoltà
inaudita, compiti di organizzazione ». (« Rapporto sulla guerra
e sulla pace al Settimo Congresso del P.C.(b)R. », vol. XXII, p. 315,
ed. russa).
« Se il genio creatore popolare della rivoluzione russa, — continua
Lenin, — passato attraverso la grande esperienza del 1905, non avesse
creato i Soviet sin dal febbraio 1917, in nessun caso questi avrebbero potuto
prendere il potere in ottobre, perché il successo dipendeva soltanto
dall'esistenza di una forma già pronta che permettesse di organizzare
un movimento di milioni di uomini. Questa forma già pronta furono i
Soviet, e se nel campo politico ci attendevano i brillanti successi, la vera
marcia trionfale che abbiamo compiuto, ciò fu perché la nuova
forma del potere politico era già pronta e a noi non rimase altro che
trasformare con alcuni decreti il potere dei Soviet, dallo stato embrionale
in cui si trovava nei primi mesi della rivoluzione, in una entità riconosciuta
legalmente, affermatasi nello Stato russo, di trasformarlo nella Repubblica
sovietica della Russia ». (Ibidem).
« Restavano ancora, — dice Lenin, — due compiti di una difficoltà
gigantesca, la soluzione dei quali non poteva essere in nessun modo una marcia
trionfale come lo furono i primi mesi della nostra rivoluzione ». (Ibidem).
« In primo luogo si trattava dei compiti d'organizzazione interna che
si pongono a ogni rivoluzione socialista. La differenza tra la rivoluzione
socialista e la rivoluzione borghese consiste precisamente nel fatto che nel
caso di quest'ultima sono già pronte le forme dei rapporti capitalistici,
mentre il potere sovietico, — proletario, — non eredita dei rapporti
già pronti, se non si tien conto delle forme più sviluppate
del capitalismo, le quali, in sostanza, hanno abbracciato alcune sommità
ristrette dell'industria e ben poco sinora hanno toccato l'agricoltura. L'organizzazione
di una statistica, il controllo delle aziende più importanti, la trasformazione
di tutto il meccanismo economico statale in una sola grande macchina, in un
organo economico operante in modo che centinaia di milioni di uomini siano
diretti secondo un piano unico: ecco il gigantesco compito d'organizzazione
che veniva a gravare sulle nostre spalle. Nelle condizioni di lavoro attuali
esso non poteva assolutamente venire risolto con un "attacco alla baionetta",
così come siamo riusciti a risolvere i compiti della guerra civile
». (Ibidem, p. 316).
« La seconda difficoltà gigantesca... sta nella questione internazionale.
Se ci è stato facile aver ragione delle bande di Kerenski, se così
facilmente abbiamo creato il potere sovietico nel nostro paese, se abbiamo
ottenuto, senza la minima fatica, i decreti sulla socializzazione della terra,
sul controllo operaio, — se abbiamo ottenuto tutto questo così
facilmente, ciò è dovuto unicamente al fatto che una situazione
favorevole ci salvò, per breve tempo, dall'imperialismo internazionale.
L'imperialismo internazionale, con tutta la potenza del suo capitale, con
la sua tecnica militare organizzata in modo superiore, la quale costituisce
una forza effettiva, una effettiva fortezza del capitale internazionale, non
poteva in nessun caso e a nessuna condizione convivere a lungo con la Repubblica
sovietica, e ciò tanto per la sua situazione oggettiva quanto per gli
interessi economici di quella classe capitalista di cui l'imperialismo stesso
è l'incarnazione. Glielo impedivano sia i legami commerciali quanto
i rapporti finanziari internazionali. In questo campo il conflitto è
inevitabile. Qui sta la più grande difficoltà della rivoluzione
russa, il suo più grande problema storico: la necessità di risolverei
compiti internazionali, la necessità di suscitare la rivoluzione internazionale
». (Ibid., p. 317).
Tale è il carattere intrinseco, tale il significato fondamentale della
rivoluzione proletaria.
È possibile compiere una simile trasformazione radicale dei vecchi
ordinamenti borghesi senza rivoluzione violenta, senza dittatura del proletariato?
È chiaro che non è possibile. Pensare che una rivoluzione simile
possa compiersi pacificamente, nel quadro della democrazia borghese, adattata
al dominio della borghesia, significa o aver perduto la ragione e ogni nozione
del senso comune, oppure rinnegare in modo aperto e brutale la rivoluzione
proletaria.
Occorre insistere tanto più fortemente e categoricamente su questa
affermazione in quanto ci troviamo in presenza di una rivoluzione proletaria
la quale ha vinto per ora in un solo paese, circondato da paesi capitalistici
nemici e la cui borghesia non può non essere appoggiata dal capitale
internazionale.
Ecco perché Lenin dice che « la liberazione della classe operaia
è impossibile non soltanto senza una rivoluzione violenta, "ma
anche senza la distruzione" dell'apparato del potere statale che è
stato creato dalla classe dominante ». (« Stato e rivoluzione
», vol. XXI, p. 373, ed. russa).
« "Incominci la maggioranza della popolazione, rimanendo intatta
la proprietà privata, cioè rimanendo intatti il potere e il
giogo del capitale, a pronunciarsi per il partito del proletariato, e solo
allora questo Partito potrà e dovrà prendere il potere",
— così parlano i democratici Piccolo-borghesi, che si chiamano
"socialisti" e sono di fatto servi della borghesia. (Il corsivo
è mio. G. St.). (« Le elezioni all'Assemblea costituente e la
dittatura del proletariato », vol. XXIV, p. 647, ed. russa).
« Noi diciamo, (il corsivo è mio. G. St.) invece: "Incominci
il proletariato rivoluzionario a rovesciare la borghesia, a spezzare il giogo
del capitale, a demolire l'apparato statale borghese, e allora il proletariato
vittorioso potrà rapidamente guadagnare la, simpatia e l'appoggio della
maggioranza delle masse lavoratrici non proletarie, dando loro soddisfazione
a spese degli sfruttatori" ». (Ibidem).
« Per conquistare la maggioranza della popolazione, — continua
Lenin, — il proletario deve, in primo luogo, abbattere la borghesia
e impadronirsi del potere statale. Esso deve, in secondo luogo, instaurare
il potere sovietico, facendo a pezzi il vecchio apparato statale, minando
così, di colpo, il dominio, l'autorità, l'influenza della borghesia
e dei conciliatori piccolo-borghesi sulle masse lavoratrici non proletarie.
Esso deve, in terzo luogo, distruggere completamente l'influenza della borghesia
e dei conciliatori piccolo-borghesi tra la maggioranza delle masse lavoratrici
non proletarie, appagando in modo rivoluzionario i bisogni economici delle
masse "a spese degli sfruttatori" ». (Ibidem, p. 641).
Questi sono i tratti caratteristici della rivoluzione proletaria.
Quali sono, di conseguenza, i lineamenti fondamentali della dittatura del
proletariato, se si ammette che la dittatura del proletariato è il
contenuto essenziale della rivoluzione proletaria?
Ecco la definizione più generale della dittatura del proletariato,
data da Lenin:
« La dittatura del proletariato non è la fine della lotta di
classe, ma è la continuazione di essa in forme nuove. La dittatura
del proletariato è la lotta di classe del proletariato che ha vinto
e ha preso nelle sue mani il potere politico, contro la borghesia sconfitta,
ma non distrutta, ma non scomparsa, che continua a resistere e intensifica
la propria resistenza ». (Prefazione all'edizione del discorso: «
Come s'inganna il popolo », vol. XXIV, p. 311, ed. russa).
Prendendo posizione contro la confusione della dittatura del proletariato
con un potere « popolare », « eletto da tutti », con
un potere « non di classe », Lenin dice:
« La classe che ha preso nelle sue mani il potere politico, lo ha preso
sapendo di prenderlo da sola. Ciò è implicito nel concetto di
dittatura del proletariato. Questo concetto ha un senso soltanto quando una
classe sa di prendere nelle proprie mani, da sola, il potere politico e non
inganna né se stessa né gli altri con delle chiacchiere sul
potere "popolare, eletto da tutti, consacrato da tutto il popolo"
». ( « Discorso al Congresso dei lavoratori dei trasporti di tutta
la Russia », vol. XXVI, p. 286, ed. russa).
Ciò non significa, tuttavia, che il potere di una sola classe, della
classe dei proletari, la quale non lo divide e non può dividerlo con
altre classi, non abbia bisogno, per raggiungere i propri scopi, dell'aiuto,
dell'alleanza delle masse lavoratrici e sfruttate di altre classi. Al contrario.
Questo potere, il potere, di una sola classe, può venir consolidato
e realizzato integralmente solo mediante una forma particolare di alleanza
della classe dei proletari con le masse lavoratrici delle classi piccolo-borghesi,
prima di tutto con le masse lavoratrici contadine.
Che cosa è, in che cosa consiste questa particolare forma di alleanza?
Quest'alleanza con le masse lavoratrici di altre classi, non proletarie, non
contraddice forse, in generale, all'idea della dittatura di una classe?
Questa particolare forma di alleanza consiste nel fatto che la forza dirigente
dell'alleanza è il proletariato. Questa particolare forma di alleanza
consiste nel fatto che dirigente dello Stato, dirigente del sistema della
dittatura del proletariato, è un solo partito, il partito del proletariato,
il partito dei comunisti, il quale non divide e non può dividere la
direzione con altri partiti.
Come vedete, la contraddizione qui è soltanto esteriore, apparente.
« La dittatura del proletariato, — dice Lenin, — è
la forma particolare dell'alleanza di classe (il corsivo è mio. G.
St.) tra il proletariato, avanguardia dei lavoratori, e i numerosi strati
non proletari di lavoratori (piccola borghesia, piccoli proprietari, contadini,
intellettuali, ecc.), o la maggioranza di essi, alleanza diretta contro il
capitale, alleanza che ha per scopo il rovesciamento completo del capitale,
lo schiacciamento completo della resistenza della borghesia e dei suoi tentativi
di restaurazione, alleanza che ha per scopo l'instaurazione e il consolidamento
definitivi del socialismo. Essa è un'alleanza di un tipo particolare,
che viene conclusa in una situazione particolare, in una situazione di guerra
civile, accanita, è l'alleanza dei partigiani risoluti del socialismo
coi suoi alleati esitanti, qualche volta "neutrali" (allora, invece
di un'intesa per la lotta l'alleanza diviene un'intesa per la neutralità),
è un'alleanza tra classi che differiscono economicamente, politicamente,
socialmente e spiritualmente ». (Prefazione all'edizione del discorso:
« Come s'inganna il popolo », vol. XXIV, p. 311, ed. russa).
Polemizzando contro una simile concezione della dittatura del proletariato,
Kamenev, in uno dei suoi rapporti informativi, dice:
« La dittatura non è (il corsivo è mio G. St.) l'alleanza
di una classe con un'altra ».
Credo che Kamenev si riferisca qui principalmente a un passo del mio opuscolo:
« La Rivoluzione d'ottobre e la tattica dei comunisti russi »,
dove si dice:
« La dittatura del proletariato non è una semplice gerarchia
di governo "abilmente" "selezionata" dalla mano sollecita
di un "esperto stratega" e che "s'appoggia giudiziosamente"
su questi o quegli strati della popolazione. La dittatura del proletariato
è l'alleanza di classe del proletariato con le masse lavoratrici contadine
per l'abbattimento del capitale, per la vittoria definitiva del socialismo,
a condizione che la forza dirigente di quest'alleanza sia il proletariato
».
Sostengo in pieno questa definizione della dittatura del proletariato, perché
ritengo che essa coincide in tutto e per tutto con quella di Lenin ora citata.
Affermo che la dichiarazione di Kamenev, secondo cui « la dittatura
non è l'alleanza di una classe con un'altra », espressa in forma
così categorica, non ha nulla di comune con la teoria leninista della
dittatura del proletariato.
Affermo che possono parlare in questo modo soltanto coloro che non hanno compreso
il senso dell'idea dell'unione, dell'idea dell'alleanza del proletariato coi
contadini, dell'idea della egemonia del proletariato in questa alleanza.
Possono parlare in questo modo soltanto coloro che non hanno capito la tesi
di Lenin secondo la quale:
« Soltanto l'intesa coi contadini (il corsivo è mio. G. St.)
può salvare la rivoluzione socialista in Russia, finché non
sia scoppiata la rivoluzione in altri paesi » .(« Rapporto sull'imposta
in natura al Decimo Congresso del P.C.(b)R. », vol. XXVI, p. 238, ed.
russa).
Possono parlare così soltanto coloro che non hanno capito la tesi di
Lenin, secondo la quale:
« Il principio supremo della dittatura (il corsivo è mio. G.
St.) è di mantenere l'alleanza del proletariato coi contadini, affinché
il proletariato possa conservare una funzione dirigente e il potere statale
». (« Rapporto sulla tattica del P.C.(b)R. al Terzo Congresso
dell'I.C. », ib., p. 460).
Nel mettere in rilievo uno degli scopi principali della dittatura, lo scopo
della repressione degli sfruttatori, Lenin dice:
« Il concetto scientifico di dittatura non significa niente altro che
un potere non limitato da nulla, non ostacolato da nessuna legge, da nessuna
regola di nessun genere, poggiante direttamente sulla violenza »...
« Dittatura significa, — prendetene nota una volta per sempre,
signori cadetti, — un potere illimitato, che si appoggia sulla forza
e non sulla legge. Durante la guerra civile ogni potere vittorioso non può
essere che una dittatura ». (« Per la storia della questione della
dittatura », vol. XXV, pp. 441 e 436, ed. russa).
Ma, naturalmente, la dittatura del proletariato non si riduce alla sola violenza,
benché non vi sia dittatura senza violenza.
« Dittatura — dice Lenin — non significa soltanto violenza,
benché la dittatura sia impossibile senza violenza; essa significa
pure un'organizzazione del lavoro più elevata dell'organizzazione preesistente
». (« Discorso sul modo come s'inganna il popolo », vol.
XXIV, p. 305, ed. russa).
« La dittatura del proletariato... non è soltanto violenza contro
gli sfruttatori e neppure principalmente violenza. Base economica di questa
violenza rivoluzionaria, garanzia della sua vitalità e del suo successo,
è il fatto che il proletariato rappresenta e realizza un tipo più
alto di organizzazione sociale del lavoro rispetto al capitalismo. Questa
è la sostanza. Qui sta la sorgente della forza e la garanzia della
ineluttabile vittoria completa del comunismo ». (« Una grande
iniziativa », ibidem, pp. 335-336). « La sua essenza fondamentale
(della dittatura G. St.) sta nel grado di organizzazione e di disciplina del
reparto avanzato dei lavoratori, della sua avanguardia, del suo unico dirigente,
del proletariato. Il suo scopo è di creare il socialismo, di eliminare
la divisione della società in classi, di fare di tutti i membri della
società dei lavoratori, di togliere la base a ogni sfruttamento dell'uomo
da parte dell'uomo. Questo scopo non può essere raggiunto di colpo;
esso esige un periodo abbastanza lungo di transizione dal capitalismo al socialismo,
perché la riorganizzazione della produzione è cosa difficile,
perché occorre del tempo per operare delle trasformazioni radicali
in tutti i campi della vita, perché la forza enorme dei costumi economici
piccolo-borghesi e borghesi può essere superata soltanto attraverso
una lotta lunga e accanita. Ed è per questo che anche Marx parla di
tutto un periodo, di dittatura del proletariato, come periodo di transizione
dal capitalismo al socialismo ».
(« Saluto agli operai ungheresi », ibid., p. 314).
Tali sono i tratti caratteristici della dittatura del proletariato.
Di qui tre lati fondamentali della dittatura del proletariato:
1) Utilizzazione del potere del proletariato per schiacciare gli sfruttatori,
per difendere il paese, per consolidare i legami coi proletari degli altri
paesi, per sviluppare la rivoluzione e assicurarne il trionfo in tutto il
mondo.
2) Utilizzazione del potere del proletariato per staccare definitivamente
dalla borghesia le masse lavoratrici e sfruttate, per consolidare l'alleanza
del proletariato con queste masse, per attrarre queste masse all'edificazione
del socialismo, per assicurare la direzione di queste masse da parte del proletariato
al potere.
3) Utilizzazione del potere del proletariato per organizzare il socialismo,
per abolire le classi, per passare a una società senza classi, a una
società senza Stato.
La dittatura del proletariato è l'insieme di questi tre lati. Nessuno
di questi lati può essere presentato come tratto caratteristico unico
della dittatura del proletariato e, viceversa, basta l'assenza di uno solo
di questi caratteri perché, in un paese circondato dal capitalismo,
la dittatura del proletariato cessi di essere dittatura. Perciò nessuno
di questi tre lati può essere lasciato in disparte senza che si corra
il rischio di snaturare il concetto di dittatura del proletariato. Soltanto
tutti e tre questi lati, presi insieme, ci danno un concetto completo e ben
definito della dittatura del proletariato.
La dittatura del proletariato ha i suoi periodi, le sue forme particolari
e metodi di lavoro diversi. Nel periodo della guerra civile salta agli occhi
particolarmente il lato violento della dittatura. Ma da questo non deriva
che nel periodo della guerra civile non si compia nessun lavoro costruttivo.
Senza un lavoro costruttivo è impossibile condurre la guerra civile.
Nel periodo dell'edificazione del socialismo, al contrario, salta agli occhi
particolarmente il lavoro pacifico, organizzativo, culturale della dittatura,
la legalità rivoluzionaria, ecc. Ma da ciò, a sua volta, non
deriva che il lato violento della dittatura sia sparito, o possa sparire durante
il periodo costruttivo. Gli organi di repressione, esercito e altre organizzazioni,
sono necessari ora, nel periodo dell'edificazione, allo stesso modo che lo
erano durante il periodo della guerra civile. Senza questi organi non si può
garantire la sicurezza di nessun lavoro di edificazione da parte della dittatura.
Non bisogna dimenticare che la rivoluzione ha vinto per ora in un solo paese.
Non bisogna dimenticare che, finché esiste l'accerchiamento capitalistico,
esisterà anche il pericolo dell'intervento, con tutte le conseguenze
che ne derivano.
CAPITOLO V
Il partito e la classe operaia
nel sistema della dittatura del proletariato
Ho già parlato della dittatura del proletariato dal punto di vista
della sua inevitabilità storica, dal punto di vista del suo contenuto
di classe, dal punto di vista della sua natura statale e, infine, dal punto
di vista dei suoi compiti di distruzione e di creazione, la cui realizzazione
riempie un intero periodo storico, chiamato periodo di transizione dal capitalismo
al socialismo.
Ora dobbiamo parlare della dittatura del proletariato dal punto di vista della
sua struttura, dal punto di vista del suo « meccanismo », dal
punto di vista della funzione e dell'importanza delle « cinghie di trasmissione
», delle « leve » e della « forza dirigente »,
il complesso delle quali costituisce il « sistema della dittatura del
proletariato » (Lenin) e con l'aiuto delle quali si svolge il lavoro
quotidiano della dittatura del pro
proletariato.
Cosa sono queste « cinghie di trasmissione », queste « leve
» nel sistema della dittatura del proletariato? Cosa è questa
« forza dirigente »?
Qual è la loro utilità?
Le leve o cinghie di trasmissione sono le stesse organizzazioni di massa del
proletariato, senza l'aiuto delle quali è impossibile realizzare la
dittatura.
La forza dirigente è il reparto avanzato del proletariato, la sua avanguardia,
che è la forza essenziale di direzione della dittatura del proletariato.
Queste cinghie di trasmissione, queste leve e questa forza dirigente sono
necessarie al proletariato, che senza di esse verrebbe a trovarsi, nella sua
lotta per la vittoria, come un esercito disarmato di fronte al capitale organizzato
e armato. Queste organizzazioni sono indispensabili al proletariato che, senza
di esse, sarebbe sicuramente sconfitto nella sua lotta per l'abbattimento
della borghesia, nella sua lotta per il consolidamento del proprio potere,
nella sua lotta per l'edificazione del socialismo. L'aiuto sistematico di
queste organizzazioni e la forza dirigente dell'avanguardia sono indispensabili,
perché, senza queste condizioni, è impossibile una dittatura
del proletariato di una certa durata e solidità.
Cosa sono queste organizzazioni?
In primo luogo, i sindacati operai con le loro ramificazioni al centro e alla
periferia, sotto forma di tutta una serie di organizzazioni di produzione,
culturali, educative, ecc. Essi abbracciano gli operai di tutte le categorie.
Non sono un'organizzazione di partito. I sindacati si possono chiamare l'organizzazione
di tutta la classe operaia, che da noi è la classe dominante. Essi
sono una scuola di comunismo. Essi esprimono dal loro seno i migliori elementi
per il lavoro di direzione di tutti i rami dell'amministrazione. Essi realizzano
il collegamento fra gli elementi avanzati e gli elementi arretrati della classe
operaia. Essi uniscono le masse operaie all'avanguardia della classe operaia.
In secondo luogo, i Soviet, con le loro numerose ramificazioni al centro e
alla periferia, sotto forma di organizzazioni statali amministrative, economiche,
militari, culturali, ecc., oltre a una quantità innumerevole di altre
associazioni spontanee di massa dei lavoratori che circondano queste organizzazioni
e le collegano con la popolazione. I Soviet sono l'organizzazione di massa
di tutti i lavoratori della città e della campagna. Non sono un'organizzazione
di partito. I Soviet sono l'espressione diretta della dittatura del proletariato.
Attraverso i Soviet passano tutte le misure di ogni genere che sono destinate
al consolidamento della dittatura e all'edificazione del socialismo. Attraverso
i Soviet si realizza la direzione statale dei contadini da parte del proletariato.
I Soviet uniscono le masse di milioni di lavoratori all'avanguardia del proletariato.
In terzo luogo, la cooperazione di ogni specie, con tutte le sue ramificazioni.
Essa è un'organizzazione di massa dei lavoratori, un'organizzazione
non di partito, che unisce i lavoratori, innanzitutto, come consumatori e,
col tempo, anche come produttori (cooperazione agricola). La cooperazione
acquista un'importanza particolare dopo il consolidamento della dittatura
del proletariato, durante il periodo di vasto lavoro costruttivo. Essa facilita
il collegamento dell'avanguardia del proletariato con le masse dei contadini
e permette di attrarre queste ultime nella corrente dell'edificazione socialista.
In quarto luogo, la Federazione giovanile. Essa è un'organizzazione
di massa della gioventù operaia e contadina. Non è un'organizzazione
di partito, ma sta accanto al partito. Essa ha per compito di dare un aiuto
al partito nell'educare la giovane generazione nello spirito del socialismo.
Essa fornisce delle giovani riserve per tutte le altre organizzazioni di massa
del proletariato, per tutti i rami dell'amministrazione. La Federazione giovanile
ha assunto un'importanza particolare dopo il consolidamento della dittatura
del proletariato, nel periodo in cui si sviluppa ampiamente il lavoro educativo
e culturale del proletariato.
Infine, il partito del proletariato, la sua avanguardia. La forza del partito
consiste nel fatto ch'esso assorbe tutti i migliori elementi del proletariato
da tutte le sue organizzazioni di massa. La sua missione consiste nel coordinare
il lavoro di tutte le organizzazioni di massa del proletariato senza eccezione
e nel dirigere la loro attività verso un solo obiettivo, l'obiettivo
della liberazione del proletariato. Coordinare e orientare queste organizzazioni
verso un solo obiettivo è cosa assolutamente indispensabile, perché
senza di essa è impossibile l'unità di lotta del proletariato,
perché senza di essa è impossibile la direzione delle masse
proletarie nella loro lotta per il potere, nella loro lotta per l'edificazione
del socialismo. Ma soltanto l'avanguardia del proletariato, il suo partito,
è capace di coordinare e orientare il lavoro delle organizzazioni di
massa del proletariato. Solo il partito del proletariato, solo il partito
dei comunisti è capace di assolvere questa funzione di dirigente fondamentale
nel sistema della dittatura del proletariato.
Perché?
« Perché, in primo luogo, il partito è il punto attorno
al quale si raccolgono i migliori elementi della classe operaia, che hanno
legami diretti con le organizzazioni proletarie senza partito e molto spesso
le dirigono; perché, in secondo luogo, il partito, come punto attorno
al quale si raccolgono i migliori elementi della classe operaia, è
la scuola migliore per la formazione di capi della classe operaia, capaci
di dirigere tutte le forme di organizzazione della loro classe; perché,
in terzo luogo, il partito, in quanto è la scuola migliore dei capi
della classe operaia, è, per la sua esperienza e per il suo prestigio,
l'unica organizzazione capace di centralizzare la direzione della lotta del
proletariato e di trasformare quindi le organizzazioni operaie senza partito,
di qualsiasi genere esse siano, in organi ausiliari e in cinghie di trasmissione
che lo colleghino con la classe ». (« Dei principii del leninismo
»).
Il partito è la forza dirigente fondamentale nel sistema della dittatura
del proletariato.
« Il partito è la forma suprema dell'unione di classe del proletariato
» (Lenin).
Dunque: i sindacati, in quanto organizzazione di massa del proletariato che
collega il partito alla classe, soprattutto nel campo della produzione; i
Soviet, in quanto organizzazione di massa dei lavoratori che collega il partito
a questi ultimi, soprattutto nel campo dell'attività statale; la cooperazione,
in quanto organizzazione di massa, principalmente dei contadini, che collega
il partito alle masse contadine, soprattutto nel campo economico, facendo
partecipare i contadini all'edificazione socialista; la Federazione giovanile,
in quanto organizzazione di massa della gioventù operaia e contadina,
chiamata a facilitare all'avanguardia del proletariato l'educazione socialista
della nuova generazione e la preparazione di giovani riserve; e, infine, il
partito, in quanto forza dirigente fondamentale nel sistema della dittatura
del proletariato, forza chiamata a dirigere tutte queste organizzazioni di
massa. Tale è, a grandi linee, il quadro del « meccanismo »
della dittatura, il quadro del « sistema della dittatura del proletariato
».
Senza il partito, forza dirigente fondamentale, è impossibile una dittatura
del proletariato di una certa durata e solidità.
Sicché, per usare le parole di Lenin, « si ha in definitiva un
apparato formalmente non comunista, flessibile e relativamente ampio, molto
potente, proletario, mediante il quale il partito è strettamente collegato
alla classe e alla massa e attraverso il quale, sotto la direzione del partito,
si realizza la dittatura della classe ». (« La malattia infantile
», volume XXV, p. 192, ed. russa).
Questo non significa, naturalmente, che il partito possa o debba sostituirsi
ai sindacati, ai Soviet e alle altre organizzazioni di massa. Il partito realizza
la dittatura, del proletariato. Ma la realizza non direttamente, bensì
con l'aiuto dei sindacati, attraverso i Soviet e le loro ramificazioni. Senza
queste « cinghie di trasmissione » sarebbe impossibile una dittatura
dotata di una certa solidità.
«Non si può — dice Lenin — realizzare la dittatura
senza alcune "cinghie di trasmissione" che vadano dall'avanguardia
alla massa della classe avanzata, da questa alla massa dei lavoratori »...
« Il partito, per così dire, assorbe l'avanguardia del proletariato
e questa avanguardia realizza la dittatura del proletariato. Se non si ha
una base come i sindacati, non è possibile realizzare la dittatura,
non è possibile adempiere le funzioni statali. Bisogna quindi adempierle
attraverso (il corsivo è mio. G. St.) una serie di istituzioni speciali,
sia detto ancora una volta, di un tipo completamente nuovo, cioè: attraverso
(il corsivo è mio. G. St.) l'apparato sovietico ». (« Sui
sindacati, sul momento presente, ecc. », volume XXVI, pp. 65 e 64, ed.
russa).
Espressione suprema della funzione dirigente del partito, per esempio da noi,
nell'Unione Sovietica, nel paese della dittatura del proletariato, deve essere
considerato il fatto che, senza una direttiva del partito, nessuna questione
politica od organizzativa importante viene risolta dalle nostre organizzazioni
sovietiche e dalle altre organizzazioni di massa. In questo senso si potrebbe
dire che la dittatura del proletariato è essenzialmente la «
dittatura » della sua avanguardia, la « dittatura » del
suo partito, come forza dirigente fondamentale del proletariato. Ecco che
cosa diceva Lenin a questo proposito al Secondo Congresso dell'Internazionale
comunista:
« Tanner dice di essere per la dittatura del proletariato, ma che si
rappresenta la dittatura del proletariato in modo alquanto diverso da noi.
Egli dice che per dittatura del proletariato noi intendiamo in sostanza (il
corsivo è mio. G. St.) la dittatura della sua minoranza organizzata
e cosciente. Ed effettivamente, nell'epoca del capitalismo, quando le masse
operaie sono soggette a uno sfruttamento continuo e non possono sviluppare
le loro capacità umane, per i partiti politici operai il tratto più
caratteristico è proprio che essi possono abbracciare soltanto una
minoranza della loro classe. Il partito politico non può riunire che
una minoranza della classe, allo stesso modo che gli operai veramente coscienti,
in ogni società capitalista, non formano che la minoranza di tutti
gli operai. Perciò siamo obbligati a riconoscere che solo questa minoranza
cosciente può dirigere le grandi masse operaie e condurle al suo seguito.
E se il compagno Tanner dice di essere nemico del partito, ma nello stesso
tempo dice di volere che la minoranza degli operai meglio organizzati e più
rivoluzionari mostri la via a tutto il proletariato, allora io dico che, in
realtà, non v'è differenza fra noi ». (« Discorso
sulla funzione del partito comunista al Secondo Congresso dell'I.C. »,
vol. XXV, P. 347, ed. russa).
Ma questo vuol forse dire che fra dittatura del proletariato e funzione dirigente
del partito (« dittatura » del partito) si possa mettere un segno
di eguaglianza, che si possa identificare la prima con la seconda, sostituire
alla prima la seconda? Naturalmente, no. Naturalmente, non lo si può.
Sorin, per esempio, dice che « la dittatura del Proletariato è
la dittatura del nostro partito ». (« Dottrina di Lenin sul partito
», p. 95). Questa tesi, come vedete, identifica la « dittatura
del partito » con la « dittatura del proletariato ». Possiamo,
restando sul terreno del leninismo, ritenere giusta questa identificazione?
No, non lo possiamo. Ed ecco perché.
Primo. Nel passo sopra citato del discorso di Lenin al Secondo Congresso dell'Internazionale
comunista, Lenin non identifica affatto la funzione dirigente del partito
con la dittatura del proletariato. Egli si limita a dire che « solo
una minoranza cosciente (cioè il partito. G. St.) può dirigere
le grandi masse operaie e condurle al suo seguito », che precisamente
in questo senso, « per dittatura del proletariato noi intendiamo, in
sostanza, (il corsivo è mio. G. St.) la dittatura della sua minoranza
organizzata e cosciente ». Dire « in sostanza » non significa
ancora dire « per intero ». Noi diciamo spesso che la questione
nazionale è, in sostanza, una questione contadina. E ciò è
assolutamente giusto. Ma questo non significa ancora che la questione nazionale
coincida con la questione contadina, che la questione contadina sia eguale,
per ampiezza, alla questione nazionale, che la questione contadina s'identifichi
con la questione nazionale. Non v'è bisogno di dimostrare che la questione
nazionale è, per ampiezza, più vasta e più ricca della
questione contadina. Lo stesso si deve dire, per analogia, della funzione
dirigente del partito e della dittatura del proletariato. Se il partito realizza
la dittatura del proletariato e se, in questo senso, la dittatura del proletariato
è, in sostanza, la « dittatura » del suo partito, questo
non significa ancora che la « dittatura del partito » (la sua
funzione dirigente) sia identica alla dittatura del proletariato, che la prima,
per ampiezza, sia eguale alla seconda. Non vi è bisogno di dimostrare
che la dittatura del proletariato è, per ampiezza, più vasta
e più ricca della funzione dirigente del partito. Il partito realizza
la dittatura del proletariato, ma realizza la dittatura del proletariato e
non una qualunque altra dittatura. Chi identifica la funzione dirigente del
partito con la dittatura del proletariato, sostituisce alla dittatura del
proletariato la « dittatura » del partito.
Secondo. Nessuna decisione importante delle organizzazioni di massa del proletariato
viene presa senza le direttive del partito. E’ del tutto giusto. Ma
si può forse dire che la dittatura del proletariato si riduca alle
direttive del partito? Si può forse dire, per questo motivo, che le
direttive del partito possano essere identificate con la dittatura del proletariato?
Naturalmente, no. La dittatura del proletariato consiste nelle direttive del
partito, più l'applicazione di queste direttive da parte delle organizzazioni
di massa del proletariato, più la loro messa in pratica da parte della
popolazione. Come vedete, abbiamo a che fare qui con tutta una serie di transizioni
e di gradi intermedi che sono ben lungi dal costituire l'aspetto meno importante
della dittatura del proletariato. Tra le direttive del partito e la loro messa
in pratica stanno, per conseguenza, la volontà e l'attività
delle masse che sono dirette, la volontà e l'attività della
classe, la sua volontà (o il suo rifiuto) di appoggiare queste direttive,
la sua capacità (o incapacità) di applicare queste direttive,
la sua capacità (o incapacità) di applicarle come la situazione
lo esige. Non occorre dimostrare che il partito, pur avendo assunto la funzione
dirigente, non può non tener conto della volontà, della situazione,
del grado di coscienza delle masse che esso dirige, non può non tener
conto della volontà, della situazione e del grado di coscienza della
propria classe. Perciò, chi identifica la funzione dirigente del partito
con la dittatura del proletariato, sostituisce alla volontà e all'attività
della classe le direttive del partito.
Terzo. « La dittatura del proletariato — dice Lenin — è
la lotta di classe del proletariato che ha vinto e ha preso nelle sue mani
il potere politico ». (Prefazione all'edizione del discorso: «
Come s'inganna il popolo », vol. XXIV, p. 311, ed. russa). In che cosa
può esprimersi questa lotta di classe? Essa può esprimersi in
una serie di azioni armate del proletariato contro i tentativi di riscossa
della borghesia rovesciata o contro l'intervento della borghesia straniera.
Può esprimersi nella guerra civile, se il potere del proletariato non
si è ancora consolidato. Può esprimersi, dopo che il potere
si è già consolidato, in un vasto lavoro di organizzazione e
di edificazione da parte del proletariato, con la partecipazione delle grandi
masse. In tutti questi casi il protagonista è il proletariato come
classe. Non è ancora accaduto che il partito, il partito da solo, abbia
predisposto tutte queste azioni esclusivamente con le sue proprie forze, senza
l'appoggio della classe. Di solito esso si limita a dirigere queste attività
e le dirige nella misura in cui gode dell'appoggio della classe. Il partito,
infatti, non può coincidere con la classe, non può sostituirsi
ad essa. Il partito, infatti, malgrado l'importanza della sua funzione dirigente,
non è tuttavia che una parte della classe. Perciò chi identifica
la funzione dirigente del partito con la dittatura del proletariato sostituisce
alla classe il partito.
Quarto. Il partito realizza la dittatura del proletariato. « Il partito
è l'avanguardia del proletariato la quale esercita il potere in modo
immediato; è il dirigente » (Lenin). In questo senso il partito
prende il potere, il partito governa il paese. Ma questo non significa ancora
che il partito realizzi la dittatura del proletariato prescindendo dal potere
statale, senza il potere statale, che il partito governi il paese prescindendo
dai Soviet, e non già attraverso i Soviet. Questo non significa ancora
che si possa identificare il partito con i Soviet, con il potere dello Stato.
Il partito è il nocciolo del potere. Ma esso non è e non può
essere identificato col potere dello Stato. « In quanto partito dirigente
— dice Lenin — noi non potevamo non fondere le "gerarchie
supreme" dei Soviet con le "gerarchie supreme" del partito:
esse sono fuse e lo resteranno ». (« Rapporto sull'attività
politica del C. C. al Decimo Congresso del P.C.(b)R. », vol. XXVI, p.
208, ed. russa). Ciò è del tutto giusto. Ma con ciò Lenin
non vuole affatto dire che le nostre istituzioni sovietiche, per esempio,
il nostro esercito, i nostri trasporti, le nostre istituzioni economiche,
ecc. siano per intero istituzioni del nostro partito, che il partito possa
sostituirsi ai Soviet e alle loro ramificazioni, che il partito si possa identificare
col potere dello Stato. Lenin ha ripetuto sovente che « il sistema dei
Soviet è la dittatura del proletariato », che « il potere
sovietico è la dittatura del proletariato » (« Tesi e rapporto
sulla democrazia borghese e sulla dittatura del proletariato », vol.
XXIV, pp. 14 e 15, ed. russa), ma non ha mai detto che il partito sia il potere
statale, che i Soviet e il partito siano la stessa cosa. Il partito, che conta
alcune centinaia di migliaia di membri, dirige, al centro e alla periferia,
i Soviet e le loro ramificazioni che abbracciano parecchi milioni di uomini,
comunisti o senza partito, ma non può e non deve sostituirsi ai Soviet.
Ecco perché Lenin dice che « la dittatura viene realizzata dal
proletariato organizzato nei Soviet e diretto dal Partito comunista dei bolscevichi
», che « tutto il lavoro del partito si svolge attraverso (il
corsivo è mio. G. St.) i Soviet, che raggruppano le masse lavoratrici
senza distinzione di professione » (« La malattia infantile »,
vol. XXV, pp. 192 e 193, ed. russa), che la dittatura « deve essere
realizzata... attraverso (il corsivo è mio. G. St.) l'apparato sovietico
». (« Sui sindacati, sul momento presente, ecc. », vol.
XXVI, p. 64, ed russa). Perciò chi identifica la funzione dirigente
del partito con la dittatura del proletariato, sostituisce il partito ai Soviet,
al potere statale.
Quinto. L'idea di dittatura del proletariato implica l'idea di Stato. La dittatura
del proletariato racchiude in sé obbligatoriamente il concetto di violenza.
Senza violenza non vi è dittatura, se la dittatura viene compresa nel
senso esatto della parola. Lenin definisce la dittatura del proletariato come
« un potere che poggia direttamente sulla violenza » («
Sulla parola d'ordine del "disarmo" », vol. XIX, p. 315, ed.
russa). Per conseguenza, parlare di dittatura del partito nei confronti della
classe dei proletari e identificarla con la dittatura del proletariato, equivale
a dire che il partito deve essere nei riguardi della sua classe non solamente
un dirigente, non solamente un capo e un maestro, ma anche, in certo qual
modo, un potere di Stato che impiega verso di essa la violenza. Perciò,
chi identifica « la dittatura del partito » con la dittatura del
proletariato, ammette tacitamente che si possa basare l'autorità del
partito sulla violenza, il che è assurdo e assolutamente incompatibile
con il leninismo. L'autorità del partito poggia sulla fiducia della
classe operaia, e la fiducia della classe operaia non si acquista con la violenza
— la violenza la può soltanto distruggere — ma con una
giusta teoria, con una giusta politica del partito, con la devozione del partito
alla classe operaia, con i suoi legami con le masse operaie e con la sua capacità
di convincere le masse della giustezza delle sue parole d'ordine.
Che cosa risulta da tutto questo?
Risulta che:
1) Lenin non adopera la parola dittatura del partito nel senso letterale di
questa parola (« potere che poggia sulla violenza »), ma in senso
traslato, nel senso di direzione;
2) chi identifica la direzione del partito con la dittatura del proletariato,
snatura Lenin, attribuendo a torto al partito funzioni di violenza nei confronti
della classe operaia nel suo assieme;
3) chi attribuisce al partito funzioni di violenza, che gli sono estranee,
nei confronti della classe operaia, viola le esigenze elementari che reggono
i giusti rapporti reciproci tra l'avanguardia e la classe, tra il partito
e il proletariato.
Siamo giunti così ad affrontare in pieno la questione dei rapporti
reciproci tra il partito e la classe, tra i membri del partito e i senza partito
in seno alla classe operaia.
Lenin definisce questi rapporti come « fiducia reciproca (il corsivo
è mio. G. St.) tra l'avanguardia della classe operaia e la massa operaia
». (« Discorso sui sindacati al Decimo Congresso del P.C.(b)R.
», vol. XXVI, p. 235, ed. russa).
Che significa ciò?
Ciò significa, in primo luogo, che il partito deve prestare un orecchio
attento alla voce delle masse, che esso deve tenere un gran conto dell'istinto
rivoluzionario delle masse, che esso deve studiare l'esperienza della lotta
delle masse, verificando su di essa la giustezza della propria politica, che
esso deve, pertanto, non solamente insegnare, ma anche imparare dalle masse.
Ciò significa, in secondo luogo, che il partito deve conquistarsi giorno
per giorno la fiducia delle masse proletarie, che esso deve assicurarsi con
la propria politica e col proprio lavoro l'appoggio delle masse, che esso
non deve comandare, ma innanzitutto convincere, aiutando le masse a riconoscere,
sulla base della loro esperienza, la giustezza della politica del partito,
che esso deve, pertanto, essere il dirigente, il capo, il maestro della propria
classe.
Infrangere queste condizioni significa infrangere i giusti rapporti che devono
esistere tra l'avanguardia e la classe, scalzare la « fiducia reciproca
», spezzare la disciplina di classe e di partito.
« E' certo — dice Lenin — che ormai quasi tutti vedono che
i bolscevichi non si sarebbero mantenuti al potere, non dico due anni e mezzo,
ma nemmeno due mesi e mezzo, se non fosse esistita una disciplina severissima,
veramente ferrea, nel nostro partito, se il partito non avesse avuto l'appoggio
totale e pieno di abnegazione di tutta la massa della classe operaia, (il
corsivo è mio. G. St.) cioè di tutto quanto vi è in essa
di pensante, di onesto, di devoto sino all'abnegazione, d'influente e capace
di condurre dietro a sé o attirare gli strati arretrati ». (
« La malattia infantile », vol. XXV, p. 173, ed. russa).
« La dittatura del proletariato — dice ancora Lenin — è
una lotta tenace, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica,
pedagogica e amministrativa, contro le forze e le tradizioni della vecchia
società. La forza dell'abitudine di milioni e decine di milioni di
uomini è la più terribile delle forze. Senza un partito di ferro,
temprato nella lotta, senza un partito che goda la fiducia di tutto quanto
vi è di onesto nella, sua classe, (il corsivo è mio. G. St.)
senza un partito che sappia osservare lo stato d'animo delle masse e influenzarlo,
è impossibile condurre con successo una lotta simile ». (Ibid.,
p. 190).
Ma in qual modo il partito si acquista la fiducia e l'appoggio della classe?
Come si crea la disciplina di ferro, indispensabile per la dittatura del proletariato,
su quale terreno essa cresce?
Ecco quanto dice Lenin al riguardo:
« Su che cosa si basa la disciplina del partito rivoluzionario del proletariato?
In che modo viene messa alla prova? in che modo viene rafforzata? In primo
luogo, mediante la coscienza dell'avanguardia proletaria e la sua devozione
alla causa rivoluzionaria, mediante la sua fermezza, la sua abnegazione, il
suo eroismo. In secondo luogo, mediante la capacità di quest'avanguardia
di collegarsi, di avvicinarsi e se volete, fino a un certo punto, di fondersi
con le grandi masse dei lavoratori, (il corsivo è mio. G. St.) dei
proletari, innanzi tutto, ma anche con le masse lavoratrici non proletarie.
In terzo luogo, mediante la giustezza della direzione politica realizzata
da quest'avanguardia, mediante la giustezza della sua strategia e della sua
tattica politica e a condizione che le grandi masse si convincano per propria
esperienza di questa giustezza. Senza queste condizioni, la disciplina di
un partito rivoluzionario, realmente capace di essere il partito di una classe
d'avanguardia che deve rovesciare la borghesia e trasformare tutta la società,
non è realizzabile. Senza queste condizioni, i tentativi di creare
una disciplina si trasformano inevitabilmente in bolle di sapone, in frasi,
in commedie. D'altra parte, queste condizioni non possono sorgere di colpo.
Esse sono il risultato di un lungo lavoro, di una dura esperienza; la loro
elaborazione viene facilitata da una teoria rivoluzionaria giusta e questa,
a sua volta, non è un dogma, ma si forma in modo definitivo solo in
stretto legame con la pratica di un movimento veramente di massa e veramente
rivoluzionario ». (Ibid., p. 174).
E più oltre:
« Per riportare la vittoria sul capitalismo è necessario esistano
dei giusti rapporti tra il partito dirigente, il partito comunista, la classe
rivoluzionaria, il proletariato e la massa, cioè l'assieme dei lavoratori
e degli sfruttati. Soltanto il partito comunista, se esso è realmente
l'avanguardia della classe rivoluzionaria, se comprende nel suo seno i migliori
rappresentanti di questa classe, se è composto di comunisti pienamente
coscienti e devoti, educati e temprati dall'esperienza di una lotta rivoluzionaria
accanita, se ha saputo legarsi in modo indissolubile a tutta la vita della
sua classe e, attraverso di essa, a tutta la massa degli sfruttati, e ispirare
a questa classe e a questa massa una fiducia completa, (il corsivo è
mio. G. St.) — solo un tale partito è capace di dirigere il proletariato
nella lotta implacabile, decisiva, suprema, contro tutte le forze del capitalismo.
D'altra parte, soltanto sotto la direzione d'un tale partito il proletariato
è capace di spiegare tutta la potenza del suo impeto rivoluzionario,
annientando l'inevitabile apatia come pure la resistenza della piccola minoranza
di aristocrazia operaia corrotta dal capitalismo, dei vecchi dirigenti dei
sindacati e delle cooperative, ecc. Soltanto sotto la direzione d'un tale
partito il proletariato è capace di spiegare tutta la sua forza, che,
in conseguenza della stessa struttura economica della società capitalista,
è infinitamente più grande della sua entità numerica
in rapporto alla popolazione ». (« Tesi sui compiti fondamentali
del Secondo Congresso dell'I.C. », vol. XXV, p. 315, ed. russa).
Da queste citazioni risulta che:
1) l'autorità del partito e la disciplina di ferro della classe operaia,
indispensabili per la dittatura del proletariato, si fondano non sulla paura
del partito o sui suoi diritti « illimitati », ma sulla fiducia
della classe operaia nel partito, sull'appoggio del partito da parte della
classe operaia;
2) la fiducia della classe operaia nel partito non si acquista di colpo, né
per mezzo della violenza verso la classe operaia, ma con un lungo lavoro del
partito tra le masse, con una giusta politica del partito, con la capacità
del partito di convincere le masse, per loro propria esperienza, della giustezza
della sua politica, si acquista con la capacità del partito di assicurarsi
l'appoggio della classe operaia, di condurre al suo seguito le masse operaie;
3) senza una politica giusta del partito, corroborata dall'esperienza della
lotta delle masse, e senza la fiducia della classe operaia non vi è,
né vi può essere, un'effettiva direzione da parte del partito.
4) il partito e la sua attività di direzione, se il partito gode la
fiducia della classe e se la direzione è una direzione effettiva, non
possono essere contrapposti alla dittatura del proletariato, perché,
senza una direzione da parte del partito (« dittatura » del partito
) e senza la fiducia della classe operaia nel partito stesso, una dittatura
del proletariato che abbia una certa solidità è impossibile.
Se queste condizioni non esistono, autorità del partito e disciplina
di ferro sono soltanto frasi vuote, oppure presunzione e avventatezza.
Non si può contrapporre la dittatura del proletariato alla direzione
(« dittatura ») del partito. Non si può farlo, perché
la direzione del partito è l'elemento essenziale nella dittatura del
proletariato, se questa è una dittatura completa e di una certa solidità
e non una dittatura come fu, per esempio, la Comune di Parigi, che era una
dittatura incompleta e fragile. Non si può farlo, perché la
dittatura del proletariato e la direzione del partito si trovano, per così
dire, su una stessa linea di lavoro, agiscono in una stessa direzione.
Il solo fatto — dice Lenin — di porre il dilemma: "dittatura
del partito oppure dittatura della classe? dittatura (partito) dei capi oppure
dittatura (partito) delle masse?", attesta una incredibile e irrimediabile
confusione di idee... Tutti sanno che le masse si dividono in classi…
che le classi sono dirette, di solito e nella maggior parte dei casi, almeno
nei paesi civili moderni, da partiti politici, che i partiti politici, come
regola generale, sono diretti da gruppi più o meno stabili di persone
rivestite della maggiore autorità, dotate d'influenza e di esperienza
maggiori, elette ai posti di maggiore responsabilità, e chiamate capi...
Giungere... fino a contrapporre, in linea generale, la dittatura delle masse
alla dittatura dei capi, è un'assurda e ridicola sciocchezza ».
La malattia infantile », vol. XXV, pp. 187 e 188, ed. russa).
Ciò è assolutamente giusto. Ma questa tesi giusta deriva dalla
premessa che esistano giusti rapporti tra l'avanguardia e le masse operaie,
tra il partito e la classe. Essa deriva dall'ipotesi che i rapporti fra l'avanguardia
e la classe si mantengano, per così dire, normali, si mantengano nei
limiti della « fiducia reciproca ».
Ma che fare, se i giusti rapporti tra l'avanguardia e la classe, se i rapporti
di fiducia reciproca tra il partito e la classe sono turbati? Che fare se
il partito stesso incomincia, in un modo o in un altro, a contrapporsi alla
classe, violando il principio dei giusti rapporti con la classe, violando
il principio della « fiducia reciproca »? Sono possibili in generale
simili casi? Sì, sono possibili. Essi sono possibili:
1) se il partito incomincia a erigere la sua autorità fra le masse
non sul lavoro e sulla fiducia delle masse, ma sui suoi diritti « illimitati
»;
2) se la politica del partito è manifestamente sbagliata ed esso non
vuol rivedere e correggere il proprio errore;
3) se la sua politica è giusta in generale, ma le masse non sono ancora
pronte ad assimilarla e il partito non vuole o non sa attendere per dare alle
masse la possibilità di convincersi, per propria esperienza, della
giustezza della sua politica.
La storia del nostro partito offre numerosi casi simili. Diversi gruppi e
frazioni nel nostro partito fallirono e si disgregarono, per aver violato
una di queste tre condizioni e talora anche tutte e tre queste condizioni
insieme.
Ma da questo deriva che la contrapposizione della dittatura del proletariato
alla « dittatura » (direzione) del partito non può essere
ammessa solo:
1) se per dittatura del partito, nei confronti della classe operaia, si intende
non la dittatura nel senso proprio di questa parola (« potere che poggia
sulla violenza »), ma la funzione dirigente del partito, che esclude
la violenza verso la classe nel suo assieme, verso la sua maggioranza, precisamente
come lo intende Lenin;
2) se il partito ha le qualità richieste per essere realmente il dirigente
della classe, cioè se la politica del partito è giusta, se essa
è conforme agli interessi della classe;
3) se la classe, se la maggioranza della classe accetta questa politica, la
assimila, si convince, grazie al lavoro del partito, della sua giustezza,
se ha fiducia nel partito e lo sostiene.
La violazione di queste condizioni provoca inevitabilmente un conflitto tra
il partito e la classe, una scissione tra di loro, una contrapposizione dell'uno
all'altra.
Si può imporre con la forza alla classe operaia la funzione dirigente
del partito? No, non si può. In ogni caso una direzione imposta con
la forza non può essere veramente duratura. Il partito, se vuole rimanere
il partito del proletariato, deve sapere che esso è anzitutto e soprattutto
il dirigente, il capo, il maestro della classe operaia. Non dobbiamo dimenticare
le parole scritte da Lenin, a questo riguardo, nel suo opuscolo « Stato
e rivoluzione »:
« Educando il partito operaio, il marxismo educa un'avanguardia del
proletariato, capace di prendere il potere e di condurre tutto il popolo al
socialismo, capace di dirigere e di organizzare il nuovo regime, d'essere
il maestro, il dirigente, il capo (il corsivo è mio. G. St.) di tutti
i lavoratori, senza la borghesia e contro la borghesia » (vol. XXI,
p. 386, ed. russa).
Si può forse considerare il partito come dirigente effettivo della
classe se la sua politica è sbagliata, se la sua politica entra in
collisione con gli interessi della classe? Naturalmente non si può.
Qualora ciò avvenga, il partito, se vuole continuare a essere il dirigente,
deve rivedere la sua politica, deve correggere la sua politica, deve riconoscere
il suo errore e correggerlo. Per avere una conferma di questa tesi, basterebbe
riferirsi a un fatto della storia del nostro partito, al periodo della abolizione
del prelevamento dell'eccedenza dei prodotti agricoli, quando le masse operaie
e contadine erano manifestamente malcontente della nostra politica e il partito
si accinse, si accinse apertamente e lealmente alla revisione di essa. Ecco
che cosa disse allora Lenin al Decimo Congresso, circa il problema dell'abolizione
del prelevamento dell'eccedenza dei prodotti agricoli e dell'introduzione
della nuova politica economica:
« Non dobbiamo cercare di non nascondere nulla, ma dobbiamo dire francamente
che i contadini sono malcontenti della forma di rapporti che si è stabilita
fra noi e loro, che essi non vogliono saperne di questa forma di rapporti
e che così non si andrà avanti. Questo è indiscutibile.
Questa loro volontà si è espressa in modo ben determinato. Si
tratta della volontà di masse enormi della popolazione lavoratrice.
Dobbiamo tenerne conto e siamo degli uomini politici abbastanza sensati per
dire francamente: orsù, rivediamo la nostra politica verso i contadini
» (il corsivo è mio. G. St.). (« Rapporto sull'imposta
in natura al Decimo Congresso del P.C.(b)R. », vol. XXVI, p. 238, ed.
russa).
Si può forse pensare che il partito debba assumere l'iniziativa e la
direzione dell'organizzazione di azioni decisive di massa, per la semplice
ragione che la sua politica è giusta in generale, e questa politica
non ha ancora riscosso la fiducia e l'appoggio della classe e ciò in
conseguenza, per esempio, dell'arretratezza politica di questa, se il partito
non è ancora riuscito a convincere la classe della giustezza della
sua politica e ciò, ad esempio, per il fatto che gli avvenimenti non
sono ancora maturi? No, non si può. In questi casi il partito, se vuole
essere un vero dirigente, deve saper attendere, deve convincere le masse della
giustezza della sua politica, deve aiutare le masse a convincersi, per propria
esperienza, della giustezza di questa politica.
« Se il partito rivoluzionario — dice Lenin — non ha la
maggioranza fra gli strati avanzati delle classi rivoluzionarie e nel paese,
non si può parlare di insurrezione ». (« Potranno i bolscevichi
conservare il potere statale? », vol. XXI, p. 282, ed. russa).
« Senza un cambiamento del modo di pensare della maggioranza della classe
operaia la rivoluzione è impossibile, e questo cambiamento è
il prodotto dell'esperienza politica delle masse ». (« La malattia
infantile Vol. XXV, p. 221, ed. russa).
« L'avanguardia proletaria è ideologicamente conquistata. Questo
è l'essenziale. Senza questo, non si può fare nemmeno il primo
passo verso la vittoria. Ma di qui alla vittoria la distanza è ancora
abbastanza grande. Con la sola avanguardia non si può vincere. Gettare
la sola avanguardia nella battaglia decisiva, prima che tutta la classe, prima
che le grandi masse abbiano preso una posizione o di appoggio diretto dell'avanguardia
o, almeno, di benevola neutralità verso di essa e abbiano dimostrato
di essere completamente incapaci di appoggiare i suoi avversari, non sarebbe
soltanto una sciocchezza, ma anche un delitto. Ma affinché effettivamente
tutta la classe, affinché effettivamente le grandi masse dei lavoratori
e degli oppressi dal capitale giungano a prendere tale posizione, la sola
propaganda, la sola agitazione non bastano. Per questo è necessaria
l'esperienza politica delle masse stesse ». (Ibidem, p. 228).
E’ noto che il nostro partito ha agito precisamente così nel
periodo che corre dalle tesi di aprile di Lenin all'Insurrezione d'ottobre
del 1917. E appunto perché ha agito secondo le indicazioni di Lenin,
esso è uscito vittorioso dall'insurrezione.
Tali sono, in sostanza, le condizioni necessarie perché esistano dei
giusti rapporti tra l'avanguardia e la classe.
Che cosa significa dirigere, se la politica del partito è giusta e
se i giusti rapporti tra l'avanguardia e la classe non sono violati?
Dirigere, in tali condizioni, significa saper convincere le masse della giustezza
della politica del partito, significa lanciare e applicare parole d'ordine
tali che conducano le masse verso le posizioni del partito e le aiutino a
riconoscere, attraverso la loro esperienza, la giustezza di questa politica,
significa elevare le masse al livello di coscienza del partito e assicurarsi,
così, l'appoggio delle masse, la loro preparazione alla lotta decisiva.
Perciò il metodo della persuasione è il metodo fondamentale
di direzione della classe da parte del partito.
« Se noi oggi — dice Lenin — in Russia, dopo due anni e
mezzo di Vittorie senza precedenti sulla borghesia della Russia e dell'Intesa,
ponessimo come condizione di ammissione nei sindacati il "riconoscimento
della dittatura", faremmo una sciocchezza, comprometteremmo la nostra
influenza sulle masse, faremmo il gioco dei menscevichi. Il compito dei comunisti
consiste infatti tutto nel saper convincere i ritardatari, nel saper lavorare
fra di loro, nel non separarsi da loro con delle parole d'ordine di "sinistra",
cervellotiche e puerili ». (Ibidem, p. 197).
Questo non significa, naturalmente, che il partito debba convincere tutti
gli operai, sino all'ultimo, e che soltanto dopo averlo fatto possa passare
all'azione. Niente affatto. Questo significa solamente che, prima d'intraprendere
un'azione politica decisiva, il partito deve assicurarsi, con un lavoro rivoluzionario
di lunga lena, l'appoggio della maggioranza delle masse operaie, o almeno
la neutralità benevola della maggioranza della classe. Nel caso contrario,
la tesi di Lenin secondo la quale la conquista al partito della maggioranza
della classe operaia è condizione indispensabile della vittoria della
rivoluzione sarebbe priva di qualsiasi significato.
E allora, che cosa fare con la minoranza, se essa non vuole sottomettersi,
se essa non è d'accordo di sottomettersi alla volontà della
maggioranza? Può il partito, deve il partito, se ha la fiducia della
maggioranza, obbligare la minoranza a sottomettersi alla volontà della
maggioranza? Sì. Lo può e lo deve fare. La direzione si assicura
col metodo della persuasione, che è il metodo fondamentale dell'azione
del partito sulle masse. Ma questo non esclude, anzi presuppone, la costrizione,
se questa ha per base la fiducia e l'appoggio del partito da parte della maggioranza
della classe operaia e se viene applicata alla minoranza dopo che si è
saputo convincere la maggioranza. Sarebbe bene ricordare i dibattiti che ebbero
luogo nel nostro partito a questo proposito, al tempo della discussione sui
sindacati. In che cosa consisteva allora l'errore dell'opposizione, l'errore
del Comitato Centrale del Sindacato dei trasporti? Nel fatto che l'opposizione
considerava possibile la costrizione? No, non consisteva in questo. L'errore
dell'opposizione consistette allora nel fatto che essa, non essendo in condizione
di convincere la maggioranza della giustezza della sua posizione, avendo perduto
la fiducia della maggioranza, cionondimeno incominciò ad applicare
la costrizione e insistette per « cacciar via » gli uomini che
godevano la fiducia della maggioranza.
Ecco che cosa disse allora Lenin, al Decimo Congresso del partito, nel suo
discorso sui sindacati:
« Per stabilire dei rapporti di fiducia reciproca tra l'avanguardia
della classe operaia e la massa operaia bisognava, se il Comitato Centrale
del Sindacato dei trasporti aveva commesso un errore,... bisognava correggerlo.
Ma quando si incomincia a difendere questo errore, ciò diventa la fonte
di un pericolo politico. Se non si fosse fatto il massimo possibile nel senso
della democrazia, tenendo conto dello stato d'animo espresso qui da Kutusov,
saremmo arrivati a un fallimento politico. Prima di tutto dobbiamo convincere,
e poi costringere. Dobbiamo ad ogni costo prima convincere, e poi costringere
(il corsivo è mio. G. St.). Non abbiamo saputo convincere le grandi
masse e abbiamo infranto il giusto rapporto che deve esistere tra l'avanguardia
e le masse » (« Discorso sui sindacati », vol. XXVI, p.
235, ed. russa).
La stessa cosa dice Lenin nel suo opuscolo « Sui sindacati »:
« Abbiamo impiegato giustamente e con successo la costrizione quando
abbiamo saputo incominciare col darle per base la persuasione » (Ibidem,
p. 74).
E questo è assolutamente giusto. Senza queste condizioni, infatti,
nessuna direzione è possibile. Soltanto in questo modo, infatti, si
può assicurare l'unità d'azione del partito, se si tratta del
partito, l'unità d'azione della classe, se si tratta della classe nel
suo assieme. Altrimenti si corre alla scissione, allo sbandamento, alla decomposizione
delle file della classe operaia.
Tali sono, in sostanza, le basi di una giusta direzione del partito.
Ogni altra concezione della direzione è sindacalismo, anarchismo, burocrazia,
tutto quel che si vuole, ma non è bolscevismo, non è leninismo.
Non si può contrapporre la direzione (« dittatura ») del
partito alla dittatura del proletariato, se esistono dei rapporti giusti tra
il partito e la classe operaia, tra l'avanguardia e le masse operaie. Ma da
questo deriva che, a maggior ragione, non si può identificare il partito
con la classe operaia, la direzione ( « dittatura ») del partito
con la dittatura della classe operaia. Per la ragione che non si può
contrapporre la « dittatura » del partito alla dittatura del proletariato,
Sorin è giunto alla conclusione sbagliata che: « la dittatura
del proletariato è la dittatura del nostro partito ». Ma Lenin
non dice solamente che tale contrapposizione è inammissibile. Egli
dice pure che non è ammissibile contrapporre « la dittatura delle
masse alla dittatura dei capi ». Dovremo dunque, per questa ragione,
identificare la dittatura dei capi con la dittatura del proletariato? Continuando
su questa via, dovremmo dire che « la dittatura del proletariato è
la dittatura dei nostri capi ». Eppure, proprio a questa stoltezza porta,
propriamente parlando, la politica della identificazione della « dittatura
» del partito con la dittatura del proletariato...
Qual'è, in proposito, la posizione di Zinoviev?
Zinoviev, in sostanza, condivide il punto di vista di Sorin, identificando
la « dittatura » del partito con quella del proletariato, con
questa differenza, però, che Sorin si esprime più nettamente
e più francamente, mentre Zinoviev « si destreggia ». Per
convincersene, basta leggere il seguente passo del libro di Zinoviev «
Il leninismo »:
« Che cos'è — dice Zinoviev — il regime esistente
nell'U.R.S.S, dal punto di vista del suo contenuto di classe? E’ la
dittatura del proletariato. Quale è la molla immediata del potere nell'U.R.S.S.?
Chi realizza il potere della classe operaia? Il partito comunista! In questo
senso esiste da noi (il corsivo è mio. G. St.) la dittatura del partito.
Qual è la forma giuridica del potere nell'U.R.S.S.? Quale è
il nuovo tipo di Stato creato dalla Rivoluzione d'ottobre? E’ il sistema
sovietico. L'una cosa non è affatto in contraddizione con l'altra ».
Che l'una cosa non sia in contraddizione con l'altra è, naturalmente,
esatto, se s'intende per dittatura del partito, in rapporto alla classe operaia
nel suo insieme, la direzione da parte del partito. Ma come si può,
per questa ragione, mettere un segno di eguaglianza tra dittatura del proletariato
e « dittatura » del partito, tra sistema sovietico e « dittatura
» del partito? Lenin identificava il sistema dei Soviet con la dittatura
del proletariato e aveva ragione, perché i Soviet, i nostri Soviet
sono un'organizzazione che raggruppa le masse lavoratrici attorno al proletariato
sotto la direzione del partito. Ma quando, dove, in quale dei suoi scritti
Lenin ha messo un segno di eguaglianza tra « dittatura » del partito
e dittatura del proletariato, tra « dittatura » del partito e
sistema dei Soviet, come fa ora Zinoviev? La dittatura del proletariato non
è in contraddizione né con la direzione (« dittatura »)
del partito e neppure con la direzione (« dittatura ») dei capi.
Dovremo dunque, per questa ragione, proclamare che il nostro paese è
il paese della dittatura del proletariato, cioè il paese della dittatura
del partito, cioè il paese della dittatura dei capi? Eppure è
proprio a questa stoltezza che porta il « principio » dell'identificazione
della « dittatura » del partito con la dittatura del proletariato,
sostenuto furtivamente e senza ardire da Zinoviev.
Nei numerosi scritti di Lenin sono riuscito a notare solo cinque casi in cui
Lenin tocca, di sfuggita, la questione della dittatura del partito.
Il primo caso è la polemica contro i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi,
dove egli dice:
« Quando ci si rimprovera la dittatura di un solo partito, e ci si propone,
come avete inteso, un fronte unico socialista, noi diciamo: "Sì,
dittatura di un solo partito! Noi siamo per essa e non possiamo abbandonare
questo terreno, perché si tratta di un partito, che nel corso dei decenni
ha conquistato la posizione di avanguardia di tutto il proletariato industriale
delle fabbriche e delle officine" » (« Discorso al Primo
Congresso dei lavoratori dell'educazione », vol. XXIV, p. 423, ed. russa).
Il secondo caso è la « Lettera agli operai e ai contadini circa
la vittoria su Kolciak », dove egli dice:
« Si cerca di far paura ai contadini (e sono specialmente i menscevichi
e i socialisti-rivoluzionari, tutti, compresi i più "sinistri",
che lo fanno) con lo spauracchio della "dittatura di un solo partito",
del partito dei bolscevichi-comunisti. L'esempio di Kolciak ha insegnato ai
contadini a non temere questo spauracchio. O dittatura (cioè potere
di ferro) dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti, o dittatura della
classe operaia » ( vol. XXIV, p. 436, ed. russa).
Il terzo caso è il discorso di Lenin al Secondo Congresso dell'Internazionale
comunista, in polemica con Tanner, discorso che ho già citato.
Il quarto caso consiste in alcune righe dell'opuscolo: « La malattia
infantile ». La relativa citazione è già stata fatta.
Il quinto caso è l'abbozzo di schema sulla dittatura del proletariato,
pubblicato nel terzo volume della « Miscellanea leninista », col
sottotitolo: « La dittatura di un solo partito », (p. 497, ed.
russa).
Giova rilevare che in due casi su cinque, nell'ultimo e nel secondo caso,
Lenin mette tra virgolette le parole « dittatura di un solo partito
», allo scopo di ben sottolineare che questa espressione è inesatta,
che essa è presa in senso traslato.
Giova rilevare egualmente che, in tutti questi casi, per « dittatura
del partito » nei confronti della classe operaia, Lenin intende non
già la dittatura nel senso proprio della parola (« potere che
si appoggia sulla violenza »), bensì la direzione da parte del
partito.
E’ sintomatico che in nessuna delle sue opere principali o secondarie,
dove Lenin tratta o semplicemente fa cenno della dittatura del proletariato
e della funzione del partito nel sistema della dittatura del proletariato,
non si trova il minimo accenno al fatto che « la dittatura del proletariato
è la dittatura del nostro partito »... Al contrario, ogni pagina,
ogni riga di queste opere è una protesta contro una formula simile.
(ved.: « Stato e rivoluzione », « La rivoluzione proletaria
e il rinnegato Kautsky », « La malattia infantile », ecc.).
È ancora più sintomatico che, nelle tesi del Secondo Congresso
dell'Internazionale comunista sulla funzione del partito politico, elaborate
sotto la direzione immediata di Lenin e a cui Lenin si riferiva di frequente
nei suoi discorsi come a un modello di giusta formulazione della funzione
e dei compiti del partito, non si trova neppure una parola, letteralmente
neppure una, sulla dittatura del partito.
Che cosa vuol dire tutto questo?
Vuol dire che:
a) Lenin non riteneva esatta e irreprensibile la formula « dittatura
del partito » e perciò essa viene adoperata negli scritti di
Lenin rarissimamente e a volte la si trova fra virgolette;
b) nei casi, poco numerosi, in cui Lenin è stato obbligato, nella polemica
contro gli avversari, a parlare di dittatura del partito, egli parla di solito
della « dittatura di un solo partito », cioè del fatto
che il nostro partito è al potere solo, che esso non divide il potere
con altri partiti, e in pari tempo egli spiega sempre che per dittatura del
partito nei confronti della classe operaia bisogna intendere la direzione
da parte del partito, la sua funzione dirigente;
e) in tutti i casi in cui Lenin ha giudicato necessario definire scientificamente
la funzione del partito nel sistema della dittatura del proletariato, egli
ha parlato esclusivamente della funzione dirigente del partito (questi casi
sono legione) nei confronti della classe operaia;
d) appunto per questo a Lenin « non è venuto in mente »
di introdurre nella risoluzione fondamentale sulla funzione del partito, —
intendo la risoluzione del Secondo Congresso dell'Internazionale comunista,
— la formula « dittatura del partito »;
e) hanno torto dal punto di vista del leninismo e sono politicamente miopi
quei compagni che identificano o tentano di identificare la « dittatura
» del partito, e quindi anche la « dittatura dei capi »,
con la dittatura del proletariato, perché in questo modo essi infrangono
le condizioni che reggono i giusti rapporti fra l'avanguardia e la classe.
E non starò a dire che la formula « dittatura del partito »,
usata senza le riserve già indicate, può essere la fonte di
molti pericoli e difetti politici nel nostro lavoro pratico. Con questa formula,
usata senza riserve, si ha l'aria di dire:
a) alle masse senza partito: non osate contraddire, non osate discutere, perché
il partito può tutto, perché nel nostro paese esiste la dittatura
del partito;
b) ai quadri del partito: siate più audaci, stringete la vite, si può
anche non prestare orecchio alla voce delle masse senza partito, nel nostro
paese esiste la dittatura del partito;
e) ai dirigenti del partito: ci si può permettere il lusso di un po'
di presunzione, ci si può anche dare delle arie, poiché nel
nostro paese esiste la dittatura del partito, e « quindi » anche
la dittatura dei capi.
Questi pericoli è bene' tenerli presenti specialmente adesso, in un
periodo di sviluppo dell'attività politica delle masse, quando la capacità
del partito di prestare un orecchio attento alla voce delle masse assume per
noi un'importanza particolare, quando il fatto di essere sensibili alle esigenze
delle masse è il dovere fondamentale del nostro partito, quando si
richiedono dal partito una particolare circospezione e una particolare flessibilità
politica, quando il pericolo della presunzione è uno dei pericoli più
seri che minacciano il partito nel campo di una giusta direzione delle masse.
Non si possono non ricordare le auree parole pronunciate da Lenin all'Undicesimo
Congresso del nostro partito:
« Nella massa del popolo, noi (comunisti. G. St.) non siamo ancora che
una goccia d'acqua nel mare e possiamo esercitare il potere soltanto quando
sappiamo esprimere giustamente ciò di cui il popolo ha coscienza Diversamente,
il partito comunista non condurrà il proletariato e il proletariato
non condurrà le masse al suo seguito e tutta la macchina andrà
in pezzi » (« Rapporto politico del C.C. », vol. XXVII,
p. 256, ed. russa).
« Esprimere giustamente ciò di cui il popolo ha coscienza »
— proprio questa è la condizione indispensabile per assicurare
al partito la funzione onorifica di forza dirigente fondamentale nel sistema
della dittatura del proletariato.
CAPITOLO VI
La questione della vittoria del socialismo in un solo paese
Nell'opuscolo: « Dei principii del leninismo » (aprile 1924, prima
edizione) vi sono due formulazioni della questione della vittoria del socialismo
in un solo paese. La prima formulazione è la seguente:
« Prima si considerava impossibile la vittoria della rivoluzione in
un solo paese, perché si riteneva che per vincere la borghesia fosse
necessaria l'azione comune del proletariato di tutti i paesi avanzati o almeno
della maggior parte di essi. Oggi questo punto di vista non corrisponde più
alla realtà. Oggi bisogna ammettere la possibilità di una tale
vittoria, perché il carattere ineguale, a balzi, dello sviluppo dei
diversi paesi capitalistici nel periodo dell'imperialismo, lo sviluppo delle
catastrofiche contraddizioni interne dell'imperialismo, che generano delle
guerre inevitabili, lo sviluppo del movimento rivoluzionario in tutti i paesi
del mondo, tutto ciò determina non solo la possibilità, ma l'inevitabilità
della vittoria del proletariato in singoli paesi » (« Dei principii
del leninismo »).
Questa tesi è assolutamente giusta e non ha bisogno di commenti. Essa
è diretta contro la teoria dei socialdemocratici, i quali ritengono
che la presa del potere da parte del proletariato di un solo paese, senza
contemporanea rivoluzione vittoriosa in altri paesi, sia un'utopia.
Nell'opuscolo: « Dei principii del leninismo » vi è però
anche una seconda formulazione (nella prima edizione). Eccola:
« Ma abbattere il potere della borghesia e instaurare il potere del
proletariato in un solo paese non vuole ancora dire assicurare la vittoria
completa del socialismo. Lo scopo principale del socialismo, l'organizzazione
della produzione socialista, rimane ancora da raggiungere. E’ possibile
assolvere questo compito? E' possibile ottenere la vittoria definitiva del
socialismo in un solo paese, senza gli sforzi concordi dei proletari di alcuni
paesi progrediti? No, non è possibile. Per rovesciare la borghesia
è sufficiente lo sforzo di un solo paese: questo è quanto ci
dimostra la storia della nostra rivoluzione. Per la vittoria definitiva del
socialismo, per l'organizzazione della produzione socialista, gli sforzi di
un solo paese, soprattutto di un paese contadino come la Russia, non sono
più sufficienti; per questo sono necessari gli sforzi dei proletari
di alcuni paesi avanzati ». (« Dei principii del leninismo »,
prima edizione).
Questa seconda formulazione era diretta contro l'affermazione dei critici
del leninismo, contro i trotskisti, i quali dichiaravano che la dittatura
del proletariato in un solo paese, senza la vittoria in altri paesi, non può
« resistere contro un'Europa conservatrice ».
In questo senso — ma solo in questo senso — questa formulazione
era allora (aprile 1924) sufficiente ed essa fu anche, senza dubbio, di una
certa utilità.
Ma in seguito, allorquando la critica del leninismo su questo punto fu superata
nel partito e si pose all'ordine del giorno una nuova questione, la questione
della possibilità dell'edificazione della società socialista
integrale con le forze del nostro paese, senza aiuto esterno, questa seconda
formulazione apparve manifestamente insufficiente e, per conseguenza, errata.
In che cosa consiste l'insufficienza di questa formulazione?
La sua insufficienza consiste nel fatto che essa riunisce in una sola questione
due questioni differenti, quella della possibilità dell'edificazione
del socialismo con le forze di un solo paese, cui si deve dare una risposta
affermativa, e quella di sapere se un paese, in cui esiste la dittatura del
proletariato, si può considerare pienamente garantito dall'intervento
e, per conseguenza, dalla restaurazione del vecchio regime, senza la vittoria
della rivoluzione in una serie di altri paesi, questione, questa, a cui si
deve dare una risposta negativa. E non sto a dire che la suddetta formulazione
può far pensare che l'organizzazione della società socialista
con le forze di un solo paese è impossibile, il che, naturalmente,
è errato.
Per questa ragione ho modificato, ho rettificato quella formula nel mio opuscolo
« La Rivoluzione d'ottobre e la tattica dei comunisti russi »
(dicembre 1924) scomponendo la questione in due: questione della garanzia
completa contro la restaurazione del regime borghese e questione della possibilità
dell'edificazione della società socialista integrale in un solo paese.
A ciò sono arrivato, in primo luogo, affermando che la « vittoria
completa del socialismo », considerata come « garanzia completa
contro la restaurazione del vecchio regime », è possibile solamente
grazie « agli sforzi concordi dei proletari di alcuni paesi »
e, in secondo luogo, proclamando, sulla base dell'opuscolo di Lenin «
Della cooperazione », l'incontestabile verità che noi disponiamo
di tutto quanto è necessario per edificare una società socialista
integrale. (« La Rivoluzione d'ottobre e la tattica dei comunisti russi
»). Questa nuova formulazione della questione ha poi sostituito la vecchia
nelle successive edizioni dell'opuscolo: « Dei principii del leninismo
».
Su questo nuovo modo di formulare il problema è basata anche la nota
risoluzione della Quattordicesima Conferenza del partito « Sui compiti
dell'Internazionale comunista e del Partito comunista (bolscevico) russo »,
risoluzione che esamina il problema della vittoria del socialismo in un solo
paese in rapporto con la stabilizzazione del capitalismo (aprile 1925), e
giudica possibile e necessaria l'edificazione del socialismo mediante le sole
forze del nostro paese.
Essa ha anche servito di base al mio opuscolo « Bilancio dei lavori
della Quattordicesima Conferenza del partito », pubblicato immediatamente
dopo la Conferenza stessa, nel maggio 1925.
Circa il modo di porre la questione della vittoria del socialismo in un solo
paese, in questo opuscolo si dice:
« Il nostro paese presenta due gruppi di contraddizioni. Il primo gruppo
comprende le contraddizioni interne, esistenti tra il proletariato e i contadini
(si tratta qui dell'edificazione del socialismo in un solo paese. G. St.).
Il secondo gruppo comprende le contraddizioni esterne, esistenti tra il nostro
paese, come paese del socialismo, e tutti gli altri paesi, come paesi del
capitalismo (qui si tratta della vittoria definitiva del socialismo. G. St.)
»... « Chi confonde il primo gruppo di contraddizioni, che sono
perfettamente superabili mediante gli sforzi di un solo paese, col secondo
gruppo di contraddizioni, che esigono, per la loro soluzione, gli sforzi dei
proletari di alcuni paesi, commette un errore grossolano contro il leninismo
ed è o un confusionario o un opportunista incorreggibile » («
Bilancio dei lavori della Quattordicesima Conferenza del partito »).
Circa la questione della vittoria del socialismo nel nostro paese, l'opuscolo
dice:
« Noi possiamo condurre a termine l'edificazione del socialismo e lo
verremo edificando, insieme coi contadini, sotto la direzione della classe
operaia »... perché « in regime di dittatura del proletariato,
abbiamo... tutti gli elementi necessari per edificare una società socialista
integrale superando le difficoltà interne di ogni sorta, perché
possiamo e dobbiamo superarle con le nostre proprie forze » (Ibidem).
Circa la questione della vittoria definitiva del socialismo, nell'opuscolo
si dice:
« Vittoria definitiva del socialismo significa garanzia completa contro
i tentativi d'intervento e, per conseguenza, di restaurazione, perché
ogni tentativo di restaurazione che abbia una benché minima serietà
può aver luogo soltanto con un serio appoggio dall'estero, soltanto
con l'appoggio del capitale internazionale. Perciò, l'appoggio alla
nostra rivoluzione da parte degli operai di tutti i paesi e, a più
forte ragione, la vittoria di questi operai, sia pure soltanto in alcuni paesi,
è condizione indispensabile perché il primo paese che ha vinto
sia pienamente garantito contro i tentativi d'intervento e di restaurazione,
è condizione indispensabile per la vittoria definitiva del socialismo
» (Ibidem).
E’ chiaro, a quanto pare.
Con lo stesso spirito, com'è noto, questo problema viene trattato nel
mio opuscolo « Domande e risposte » (giugno 1925) e nella relazione
del Comitato Centrale al Quattordicesimo Congresso del partito comunista (bolscevico)
dell'U.R.S.S. (dicembre 1925).
Questi sono i fatti.
Questi fatti sono noti a tutti, senza eccezione, credo, e anche a Zinoviev.
Se ora, quasi due anni dopo la lotta ideologica in seno al partito e dopo
la risoluzione approvata dalla Quattordicesima Conferenza del partito (aprile
1925), Zinoviev ritiene possibile, nella sua replica al Quattordicesimo Congresso
(dicembre 1925), tirar fuori la vecchia formula, assolutamente insufficiente,
dell'opuscolo di Stalin, scritto nell'aprile 1924, come base per la soluzione
della questione, già risolta, della vittoria del socialismo in un solo
paese, questo procedimento originale di Zinoviev prova solamente che egli
si è definitivamente impantanato in questa questione. Tirar indietro
il partito, dopo che esso è andato avanti, ignorare la risoluzione
della Quattordicesima Conferenza del partito, dopo che essa è stata
confermata dall'Assemblea plenaria del Comitato Centrale, vuol dire cadere
in contraddizioni inestricabili, non credere alla causa della edificazione
del socialismo, abbandonare la via di Lenin e confessare la propria disfatta.
Che cosa è la possibilità della vittoria del socialismo in un
solo paese?
E’ la possibilità di risolvere le contraddizioni tra il proletariato
e i contadini poggiando sulle forze interne del nostro paese, è la
possibilità della presa del potere da parte del proletariato e dell'utilizzazione
del potere per edificare una società socialista integrale nel nostro
paese, con la simpatia e con l'appoggio dei proletari degli altri paesi, ma
senza la previa vittoria della rivoluzione proletaria negli altri paesi.
Se una tale possibilità non esistesse, edificare il socialismo significherebbe
edificare senza prospettive, edificare senza avere la certezza di condurre
a termine l'edificazione del socialismo. E’ impossibile edificare il
socialismo se non si è sicuri che è possibile condurre a termine
l'edificazione, se non si è sicuri che l'arretratezza tecnica del nostro
paese non è un ostacolo insormontabile all'edificazione di una società
socialista integrale. Negare questa possibilità vuol dire mancare di
fiducia nella causa dell'edificazione del socialismo, vuol dire abbandonare
il leninismo.
Che cosa è l'impossibilità della vittoria completa, definitiva
del socialismo in un solo paese, senza la vittoria della rivoluzione in altri
paesi?
E’ l'impossibilità di avere una garanzia completa contro l'intervento
e, quindi, contro la restaurazione del regime borghese, senza la vittoria
della rivoluzione almeno in alcuni paesi. Negare questa tesi incontrovertibile
vuol dire abbandonare l'internazionalismo, abbandonare il leninismo.
« Viviamo — dice Lenin — non soltanto in uno Stato, ma in
un sistema di Stati e l'esistenza della Repubblica dei Soviet a fianco di
Stati imperialisti, per un lungo periodo di tempo, è cosa inconcepibile.
Alla fine, o l'una o gli altri vinceranno. Ma in attesa di questa soluzione,
è inevitabile si produca una serie di urti terribili fra la Repubblica
dei Soviet e gli Stati borghesi. Ciò significa che la classe dominante,
il proletariato, se vuol dominare e se dominerà, deve provarlo anche
con la sua organizzazione militare ». (« Rapporto del C. C. all'Ottavo
Congresso del P.C.(b)R. », vol. XXIV, p. 122, ed. russa).
«Siamo in presenza — dice Lenin in un altro passo — d'un
equilibrio che è al più alto grado instabile, ma che è,
indubbiamente, indiscutibilmente, un certo equilibrio. Per quanto possa durare,
non lo so e penso che non è possibile saperlo. Perciò è
necessaria da parte nostra una prudenza estrema. Il primo precetto della nostra
politica, la prima lezione che sorge dalla nostra attività governativa
di quest'anno e che tutti gli operai e contadini devono assimilare, è
che occorre stare in guardia, che occorre ricordarsi che siamo accerchiati
da gente, da classi e da governi, i quali manifestano apertamente l'odio più
accanito contro di noi. Bisogna ricordarsi che siamo sempre a un pelo da una
invasione ». (« Rapporto sulla politica interna ed estera della
Repubblica al Nono Congresso dei Soviet », vol. XXVII, p. 117, ed. russa).
E' chiaro, a quanto pare.
Come concepisce Zinoviev la questione della vittoria del socialismo in un
solo paese?
Ascoltate:
« Per vittoria definitiva del socialismo bisogna intendere, per lo meno:
1) la soppressione delle classi e, quindi, 2) l'abolizione della dittatura
di una sola classe e, nel caso nostro, della dittatura del proletariato »...
« Per rendersi conto ancor più esattamente — continua Zinoviev
— del modo come si pone da noi, nell'U.R.S.S., nel 1925, la questione,
bisogna distinguere due cose: 1) la garanzia della possibilità di edificare
il socialismo — e una tale possibilità di edificare il socialismo,
evidentemente, si può concepire anche nel quadro di un solo paese,
e 2) l'edificazione definitiva e il consolidamento del socialismo, cioè
la realizzazione del regime socialista, della società socialista ».
Che cosa può significare tutto questo?
Che Zinoviev intende, per vittoria definitiva del socialismo in un solo paese,
non già la garanzia contro l'intervento e la restaurazione, ma la possibilità
di condurre a termine l'edificazione della società socialista. Per
vittoria del socialismo in un solo paese Zinoviev intende invece una edificazione
del socialismo che non può e non deve condurre a termine l'edificazione
del socialismo. Edificazione a casaccio, senza prospettive, edificazione del
socialismo senza possibilità di condurre a termine l'edificazione di
una società socialista, ecco la posizione di Zinoviev.
Edificare il socialismo senza aver la possibilità di condurne a termine
l'edificazione; costruire sapendo che non arriverai a condurre a termine la
costruzione, ecco l'assurdo a cui è arrivato Zinoviev.
Ma questo significa ridersi della questione, non risolverla!
Ed ecco ancora un passo della replica di Zinoviev al Quattordicesimo Congresso
del partito:
« Guardate, per esempio, che cosa è arrivato a dire il compagno
Jakovlev all'ultima conferenza di partito della provincia di Kursk: "Possiamo
noi — si domanda egli — mentre siamo circondati da ogni lato da
nemici capitalisti, possiamo noi in queste condizioni condurre a termine l'edificazione
del socialismo in un solo paese?" e risponde: "Basandoci su tutto
quello che abbiamo detto, siamo in diritto di affermare che non soltanto edifichiamo
il socialismo, ma che, pur essendo ancora soli, pur essendo sinora l'unico
paese sovietico in tutto il mondo, l'unico Stato sovietico, condurremo a termine
l'edificazione del socialismo". (« Kurskaia Pravda », n.
279, 8 dicembre 1925). E' questa una impostazione, leninista della questione,
o non si sente qui puzza di ristrettezza nazionale? » (il corsivo è
mio. G. St.).
Così, secondo Zinoviev, riconoscere la possibilità di condurre
a termine l'edificazione del socialismo in un solo paese significa dar prova
di ristrettezza nazionale, mentre negare questa possibilità significa
mantenersi sul terreno dell'internazionalismo.
Ma se questo è vero, vale la pena, in generale, di condurre la lotta
per vincere gli elementi capitalistici della nostra economia? Non si deve
concludere che questa vittoria è impossibile?
Capitolazione di fronte agli elementi capitalistici della nostra economia,
ecco dove conduce la logica intrinseca dell'argomentazione di Zinoviev.
E quest'assurdo, che non ha nulla di comune col leninismo, Zinoviev ce lo
serve come « internazionalismo », come « leninismo al cento
per cento ».
Affermo che, nella questione essenziale dell'edificazione del socialismo,
Zinoviev si allontana dal leninismo e sdrucciola verso il punto di vista del
menscevico Sukhanov.
Richiamiamoci a Lenin. Ecco che cosa egli diceva a proposito della vittoria
del socialismo in un solo paese, prima ancora della Rivoluzione d'ottobre,
nell'agosto 1915:
« L'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge
assoluta del capitalismo. Ne risulta che è possibile la vittoria del
socialismo all'inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico,
preso separatamente. Il proletariato vittorioso di questo paese, espropriati
i capitalisti e organizzata nel proprio paese la produzione socialista, (il
corsivo è mio. G. St.) si solleverebbe contro il resto del mondo capitalista,
attirando a sé le classi oppresse degli altri paesi, spingendole a
insorgere contro i capitalisti, intervenendo, in caso di necessità,
anche con la forza armata contro le classi sfruttatrici e i loro Stati »
( « Sulla parola d'ordine degli Stati uniti d'Europa », vol. XVIII,
pp. 232-233, ed. russa).
Che cosa vuol dire la frase di Lenin che ho sottolineato: « Organizzata
nel proprio paese la produzione socialista »? Significa che il proletariato
del paese vittorioso può e deve organizzare nel proprio paese, dopo
la presa del potere, la produzione socialista. E che cosa vuol dire «
organizzare la produzione socialista »? Vuol dire condurre a termine
l'edificazione della società socialista. Non occorre dimostrare che
questa tesi netta e precisa di Lenin non ha bisogno di ulteriori commenti.
In caso contrario, non sarebbero comprensibili gli appelli di Lenin alla presa
del potere da parte del proletariato nell'ottobre del 1917.
Voi vedete che questa tesi precisa di Lenin differisce come il cielo dalla
terra dalla « tesi » confusa e antileninista di Zinoviev, secondo
la quale noi possiamo edificare il socialismo « nei quadri di un solo
paese », senza avere la possibilità di condurne a termine l'edificazione.
Questo fu detto da Lenin nel 1915, prima della presa del potere da parte del
proletariato. Ma forse egli cambiò opinione dopo l'esperienza dalla
presa del potere, dopo il 1917? Richiamiamoci all'opuscolo di Lenin: «
Della cooperazione », scritto nel 1923:
« In realtà — dice Lenin — il potere dello Stato
su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello Stato nelle mani del
proletariato, l'alleanza di questo proletariato con milioni e milioni di contadini
poveri e poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del
proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che occorre
per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione, che noi una volta
consideravamo dall'alto in basso come affare da bottega e che ora, durante
la Nep, abbiamo ancora il diritto, in un certo senso, di considerare allo
stesso modo, non è forse questo tutto ciò che è necessario
per condurre a termine la costruzione di una società socialista integrale?
(Il corsivo è mio. G. St.). Questo non è ancora la costruzione
della società socialista, ma è tutto ciò che è
necessario e sufficiente per condurne a termine la costruzione » (vol.
XXVII, p. 392, ed. russa).
In altre parole: possiamo e dobbiamo condurre a termine l'edificazione della
società socialista integrale perché abbiamo a nostra disposizione
tutto ciò che è necessario e sufficiente per questa edificazione.
Mi pare sia difficile esprimersi in modo più chiaro.
Confrontate questa tesi classica di Lenin con la replica antileninista di
Zinoviev a Jakovlev e comprenderete che Jakovlev non ha fatto altro che ripetere
le parole di Lenin sulla possibilità di condurre a termine l'edificazione
del socialismo in un solo paese, mentre Zinoviev, attaccando questa tesi e
fustigando Jakovlev, si è allontanato da Lenin e si è collocato
dal punto di vista del menscevico Sukhanov, dal punto di vista dell'impossibilità
di condurre a termine l'edificazione del socialismo nel nostro paese, data
la sua arretratezza tecnica.
Non si capisce perché avremmo conquistato il potere nell'ottobre del
1917, se non avessimo contato di condurre a termine la costruzione del socialismo.
Non bisognava prendere il potere nell'ottobre del 1917: ecco a quale conclusione
porta la logica intrinseca dell'argomentazione di Zinoviev.
Affermo inoltre che, nella questione essenziale della vittoria del socialismo,
Zinoviev è andato contro le decisioni ben precise del nostro partito,
fissate nella nota risoluzione della Quattordicesima Conferenza del partito:
« Sui compiti dell'Internazionale comunista e del Partito comunista
(bolscevico) russo in relazione con l'Assemblea plenaria allargata del Comitato
esecutivo dell'Internazionale comunista ».
Richiamiamoci a questa risoluzione. Ecco che cosa vi si dice circa la vittoria
del socialismo in un solo paese:
« L'esistenza di due sistemi sociali diametralmente opposti costituisce
una minaccia continua di blocco capitalistico, di altre forme di pressione
economica, d'intervento armato, di restaurazione. L'unica garanzia della vittoria
definitiva del socialismo, cioè garanzia contro la restaurazione, (il
corsivo è mio. G. St.) è, di conseguenza, la vittoria della
rivoluzione socialista in parecchi paesi... ». « Il leninismo
insegna che la vittoria definitiva del socialismo, nel senso di una garanzia
completa contro la restaurazione (il corsivo è mio. G. St.) dei rapporti
borghesi, è possibile soltanto su scala internazionale... ».
« Da questo non deriva (il corsivo è mio. G. St.) affatto che
sia impossibile l'edificazione di una società socialista integrale
(il corsivo è mio. G. St.) in un paese così arretrato come la
Russia, senza "l'aiuto statale" (Trotski) di paesi più progrediti
dal punto di vista tecnico ed economico » (ved. la risoluzione).
Voi vedete che la risoluzione interpreta la vittoria definitiva del socialismo
come garanzia contro l'intervento e la restaurazione — in opposizione
totale al modo come la considera Zinoviev nel suo libro « Il leninismo
».
Voi vedete che la risoluzione riconosce la possibilità di edificare
la società socialista integrale in un paese così arretrato come
la Russia, senza « l'aiuto statale » di paesi più progrediti
dal punto di vista tecnico-economico, in opposizione totale all'affermazione
contraria fatta da Zinoviev nella sua risposta a Jakovlev, nella replica al
Quattordicesimo Congresso del partito.
Come chiamare questo, se non una lotta di Zinoviev contro la risoluzione della
Quattordicesima Conferenza del partito?
Certo, le risoluzioni del partito qualche volta non sono impeccabili. Avviene
che le risoluzioni del partito contengano degli errori. Generalmente parlando,
si può far l'ipotesi che anche la risoluzione della Quattordicesima
Conferenza del partito contenga qualche errore. Può darsi che Zinoviev
consideri questa risoluzione come sbagliata. Ma in tal caso bisogna dirlo
in modo chiaro e aperto, come si conviene a un bolscevico. Ma Zinoviev, chi
sa mai perché, non agisce così. Egli preferisce seguire un'altra
strada: egli attacca alle spalle la risoluzione della Quattordicesima Conferenza
del partito, tacendone l'esistenza e senza farne la minima critica aperta.
Zinoviev pensa, evidentemente, che questa sia la via migliore per raggiungere
lo scopo. Ed egli non ha che uno scopo, quello di « migliorare »
la risoluzione e correggere « un tantino » Lenin. Non occorre
dimostrare che Zinoviev s'è sbagliato nei suoi calcoli.
Donde proviene l'errore di Zinoviev? Dov'è la radice di questo errore?
La radice di questo errore consiste, secondo me, nella convinzione di Zinoviev
che l'arretratezza tecnica del nostro paese è un ostacolo insormontabile
all'edificazione della società socialista integrale, che il proletariato
non può condurre a termine l'edificazione del socialismo, data l'arretratezza
tecnica del nostro paese. Zinoviev e Kamenev cercarono, una volta, di esporre
questo argomento in una seduta del Comitato Centrale del partito, prima della
Conferenza di aprile. Ma ricevettero la risposta che si meritavano e dovettero
battere in ritirata, sottomettendosi formalmente al punto di vista opposto,
al punto di vista della maggioranza del Comitato Centrale. Ma la sottomissione
essendo stata puramente formale, Zinoviev ha continuato a lottare contro questo
punto di vista. Ecco che cosa dice su questo « incidente » prodottosi
nel Comitato Centrale del partito, il Comitato di Mosca, nella sua «
Risposta » alla lettera della Conferenza del partito della provincia
di Leningrado.
« Non molto tempo addietro Kamenev e Zinoviev sostennero nell'Ufficio
politico l'opinione che non potremmo aver ragione delle difficoltà
interne dovute alla nostra arretratezza tecnica ed economica, a meno che la
rivoluzione internazionale non venga a salvarci. Insieme con la maggioranza
del Comitato Centrale, noi riteniamo invece che possiamo edificare il socialismo,
che lo edifichiamo e condurremo a termine l'edificazione, malgrado la nostra
arretratezza tecnica e a dispetto di essa. Noi riteniamo che quest'edificazione
sarà molto più lenta, naturalmente che se avessimo vinto in
tutto il mondo, ma ciononostante continuiamo e continueremo a marciare in
avanti. Riteniamo pure che il punto di vista di Kamenev e Zinoviev esprima
una sfiducia nelle forze interne della nostra classe operaia e delle masse
contadine che la seguono. Pensiamo che questo sia un allontanamento dalla
concezione di Lenin » (« Risposta »).
Questo documento è comparso nella stampa durante le prime sedute del
Quattordicesimo Congresso del partito. Zinoviev, naturalmente, aveva la possibilità
di prendere posizione contro di esso subito, al congresso. È sintomatico
che nè Zinoviev nè Kamenev abbiano trovato argomenti da opporre
a un'accusa così grave lanciata contro di loro dal Comitato di Mosca
del nostro partito. È, casuale questo fatto? Penso che non è
casuale. L'accusa, non v'è dubbio, ha colpito nel segno. Zinoviev e
Kamenev hanno « risposto » a quest'accusa col silenzio, perché
era loro impossibile « ribatterla ».
La nuova opposizione si mostra offesa perché si accusa Zinoviev di
non aver fiducia nella vittoria dell'edificazione socialista nel nostro paese.
Ma se Zinoviev, dopo un anno intero che si discute la questione della vittoria
del socialismo in un solo paese, dopo che il suo punto di vista è stato
respinto dall'Ufficio politico del Comitato Centrale (aprile 1925), dopo che
il partito si è già formata, su questa questione, una sua opinione
determinata, fissata nella nota risoluzione della Quattordicesima Conferenza
del partito (aprile 1925), se dopo tutto questo Zinoviev si decide ad attaccare
il punto di vista del partito nel suo libro « Il leninismo » (settembre
1925) e al Quattordicesimo Congresso torna all'attacco, come spiegare tutto
questo, questa ostinazione, questa insistenza nella difesa del proprio errore,
se non col fatto che Zinoviev è infetto, irrimediabilmente infetto
da sfiducia nella vittoria dell'edificazione socialista nel nostro paese?
Zinoviev ama considerare come internazionalismo questa sua sfiducia. Ma da
quando in qua si è incominciato a considerare come internazionalismo
il distacco dal leninismo in una questione cardinale del leninismo stesso?
Non sarà più giusto affermare che non il partito, ma Zinoviev
pecca qui contro l'internazionalismo e contro la rivoluzione internazionale?
Infatti, che cosa è il nostro paese « del socialismo in costruzione
» se non la base della rivoluzione mondiale? Ma può il nostro
paese essere effettivamente la base della rivoluzione mondiale, se non è
capace di condurre a termine la costruzione della società socialista?
Può il nostro paese continuare a essere un formidabile centro di attrazione
per gli operai di tutti i paesi, come lo è oggi indubbiamente, se non
è capace di riportare la vittoria sugli elementi capitalistici della
nostra economia, la vittoria nella costruzione del socialismo? Penso che non
lo può. Ma non deriva da questo che la sfiducia nella vittoria dell'edificazione
socialista, che la propaganda di questa sfiducia porta a esautorare il nostro
paese come base della rivoluzione mondiale e che questa esautorazione del
nostro paese porta a indebolire il movimento rivoluzionario mondiale? Con
quale mezzo i signori socialdemocratici cercavano di allontanare da noi gli
operai? Predicando loro che « i russi non avrebbero concluso nulla ».
In che modo battiamo noi ora i socialdemocratici e attiriamo a noi a frotte
le delegazioni operaie, rafforzando così le posizioni del comunismo
in tutto il mondo? Con i nostri successi nell'edificazione del socialismo.
Ma allora, non è forse chiaro che chiunque predica la sfiducia nei
nostri successi nell'edificazione del socialismo aiuta indirettamente i socialdemocratici,
indebolisce lo slancio del movimento rivoluzionario internazionale, abbandona
inevitabilmente l'internazionalismo?...
Voi vedete che « l'internazionalismo » di Zinoviev non vale più
del suo « leninismo al cento per cento » nella questione dell'edificazione
del socialismo in un solo paese.
Perciò il Quattordicesimo Congresso del partito ha agito giustamente
definendo le concezioni della nuova opposizione come « sfiducia nella
causa dell'edificazione del socialismo » e come « deformazione
del leninismo ».
CAPITOLO VII
La lotta per la vittoria dell'edificazione del socialismo
Credo che la sfiducia nella vittoria dell'edificazione del socialismo sia
l'errore fondamentale della nuova opposizione. Questo errore è, secondo
me, fondamentale, perché da esso derivano tutti gli altri errori della
nuova opposizione. Gli errori della nuova opposizione circa le questioni della
Nep, del capitalismo di Stato, della natura della nostra industria socialista,
della funzione della cooperazione in regime dì dittatura del proletariato,
dei metodi di lotta contro i kulak, della funzione e del peso specifico del
contadino medio, tutti questi errori derivano dal primo errore fondamentale
dell'opposizione, dalla sfiducia nella possibilità di condurre a termine
l'edificazione di una società socialista con le sole forze del nostro
paese.
Che cosa è la sfiducia nella vittoria dell'edificazione del socialismo
nel nostro paese?
E' anzitutto, mancanza della convinzione che le masse fondamentali dei contadini,
grazie alle speciali condizioni di sviluppo del nostro paese, possono essere
attratte all'opera di edificazione socialista.
E' in secondo luogo, mancanza della convinzione che il proletariato del nostro
paese, avendo a sua disposizione le leve di comando dell'economia nazionale,
è capace di attrarre all'opera di edificazione socialista le masse
fondamentali dei contadini.
Le elucubrazioni dell'opposizione circa le vie del nostro sviluppo, lo voglia
essa o non lo voglia, sono fondate, tacitamente, su queste tesi. E' possibile
attrarre la massa fondamentale dei contadini sovietici all'opera di edificazione
socialista?
L'opuscolo « Dei principii del leninismo » contiene, a questo
proposito, due tesi fondamentali:
1) « Non si possono confondere i contadini dell'Unione Sovietica con
i contadini dell'Occidente. I contadini che sono passati attraverso la scuola
di tre rivoluzioni, che hanno lottato contro lo zar e il potere della borghesia
insieme al proletariato e sotto la direzione del proletariato, i contadini
che hanno ottenuto la terra e la pace dalla rivoluzione proletaria e sono
diventati, per questo, una riserva del proletariato, questi contadini non
possono non essere diversi dai contadini che hanno combattuto durante la rivoluzione
borghese sotto la direzione della borghesia liberale, che hanno ricevuto la
terra dalle mani di questa borghesia e sono diventati, per questo, una riserva
della borghesia. Non occorre dimostrare che i contadini sovietici, abituati
ad apprezzare l’amicizia politica e la collaborazione politica del proletariato,
debitori della loro libertà a questa amicizia e a questa collaborazione,
non possono non costituire un materiale straordinariamente favorevole per
la collaborazione economica col proletariato ».
2) « Non si può confondere l'economia agricola della Russia con
l'economia agricola dell'Occidente. Quivi lo sviluppo dell'economia agricola
segue la linea abituale del capitalismo, che provoca una profonda differenziazione
dei contadini con grandi proprietà e latifondi capitalistici privati
a un estremo e col pauperismo, la miseria e la schiavitù del salariato
all'estremo opposto. Quivi la disgregazione e la decomposi-
zione, in conseguenza di ciò, sono del tutto naturali. Non così
in Russia. Da noi lo sviluppo dell'economia agricola non può seguire
questa via, non foss'altro perché l'esistenza del potere sovietico
e la nazionalizzazione dei principali mezzi e strumenti di produzione non
permettono tale sviluppo. In Russia lo sviluppo dell'economia agricola deve
seguire un'altra via, la via dell'ingresso di milioni di contadini piccoli
e medi nelle cooperative, la via dello sviluppo, nelle campagne, di un movimento
cooperativo di massa, appoggiato dallo Stato per mezzo di crediti a condizioni
di favore. Lenin indicava giustamente, negli articoli sulla cooperazione,
che lo sviluppo dell'economia agricola doveva battere da noi una strada nuova,
la strada della partecipazione della maggioranza dei contadini all'edificazione
socialista per mezzo della cooperazione, la strada della penetrazione graduale
del principio del collettivismo nell'agricoltura, prima nel campo della vendita
e poi nel campo della produzione dei prodotti agricoli »... «
Non occorre dimostrare che l'enorme maggioranza dei contadini si metterà
volentieri su questa nuova via di sviluppo, respingendo quella dei latifondi
capitalistici privati e della schiavitù del salariato, che è
la via della miseria e della rovina ».
Sono giuste queste tesi?
Penso che entrambe queste tesi sono giuste e inconfutabili per tutto il nostro
periodo di edificazione nel quadro della Nep.
Esse non fanno che esprimere alcune note tesi di Lenin circa la alleanza del
proletariato coi contadini, circa l'incorporazione delle aziende contadine
nel sistema di sviluppo socialista del paese, circa il fatto che il proletariato
deve marciare verso il socialismo, in unione con le masse fondamentali dei
contadini, circa il fatto che l'adesione di milioni di contadini alla cooperazione
è la strada maestra dell'edificazione socialista nelle campagne e che,
dato lo sviluppo della nostra industria socialista, « il semplice sviluppo
della cooperazione s'identifica per noi con lo sviluppo del socialismo »
(« Della cooperazione », vol. XXVII, p. 396, ed. russa).
Infatti, quale via può e deve seguire lo sviluppo dell'azienda contadina
nel nostro paese?
L'azienda contadina non è un'azienda capitalistica. L'azienda contadina,
se si considera la maggioranza schiacciante delle aziende contadine, è
un'azienda di piccola produzione mercantile. E che cosa è una azienda
contadina di piccola produzione mercantile? È un'azienda che si trova
al bivio tra il capitalismo e il socialismo. Essa può evolvere verso
il capitalismo, come avviene oggi nei paesi capitalistici, o verso il socialismo,
come deve avvenire da noi, nel nostro paese, in regime di dittatura del proletariato.
Donde proviene quest'instabilità, quest'assenza di indipendenza dell'azienda
contadina? Come spiegarla?
Essa si spiega con la dispersione delle aziende contadine, con la loro disorganizzazione,
con la loro dipendenza dalla città, dall'industria, dal sistema di
credito, dal carattere del potere nel paese e, infine, si spiega col principio
generalmente noto che la campagna segue e deve seguire la città dal
punto di vista tanto materiale che culturale.
La via capitalistica di sviluppo dell'azienda contadina significa sviluppo
attraverso una profonda differenziazione dei contadini, con i grandi latifondi
a uno degli estremi e l'impoverimento in massa all'altro estremo. Questa via
di sviluppo è inevitabile nei paesi capitalistici, perché la
campagna, l'azienda contadina, è dipendente dalla città, dall'industria,
dal credito concentrato nella città, dal carattere del potere, e perché
in città regnano la borghesia, l'industria capitalistica, il sistema
di credito capitalistico, il potere di Stato capitalistico. E' obbligatoria
questa via di sviluppo delle aziende contadine nel nostro paese, dove la città
ha un aspetto del tutto diverso, dove l'industria si trova nelle mani del
proletariato, dove i trasporti, il sistema di credito, il potere dello Stato,
ecc. sono concentrati nelle mani del proletariato, dove la nazionalizzazione
delle terre è legge generale nel paese? Naturalmente, non è
obbligatoria. Al contrario, appunto perché nel nostro paese la città
dirige la campagna e nella città domina il proletariato, che ha nelle
sue mani tutti i posti di comando dell'economia nazionale, appunto per questo
le aziende contadine devono seguire nel loro sviluppo un'altra via, la via
dell'edificazione socialista.
Qual è questa via?
È la via dell'incorporazione in massa di milioni di aziende agricole
in tutte le branche della cooperazione, la via dell'unione attorno all'industria
socialista delle aziende contadine disperse, la via dell'introduzione dei
principii del collettivismo fra i contadini, prima nel campo dello smercio
dei prodotti agricoli e dell'approvvigionamento delle aziende contadine in
prodotti della città e, in seguito, nel campo della produzione agricola.
Quanto più si va avanti, tanto più questa via diviene, in regime
di dittatura del proletariato, inevitabile, perché la cooperazione
per lo smercio dei prodotti, la cooperazione per l'approvvigionamento e, infine,
la cooperazione per il credito e per la produzione (cooperative agricole)
rappresentano l'unica via che permette di elevare il benessere delle campagne,
sono l'unico mezzo per salvare le grandi masse contadine dalla miseria e dalla
rovina.
Si dice che da noi i contadini, per la loro condizione, non sono per il socialismo
e che, per conseguenza, non sono capaci di uno sviluppo socialista. Certo,
è vero che i contadini, per la loro condizione, non sono per il socialismo.
Ma questo non è un argomento contro l'evoluzione delle aziende contadine
sul cammino del socialismo, dal momento che è provato che la campagna
segue la città e in città è l'industria socialista che
comanda. Neppure durante la Rivoluzione d'ottobre i contadini erano socialisti
per la loro condizione e non volevano affatto instaurare nel nostro paese
il socialismo. Quel che essi volevano allora era, soprattutto, la liquidazione
del potere dei grandi proprietari fondiari e la fine della guerra, la conclusione
della pace. Ciononostante essi seguirono allora il proletariato socialista.
Perché? Perché il rovesciamento della borghesia e la presa del
potere da parte del proletariato socialista erano allora l'unica via d'uscita
dalla guerra imperialista, l'unico mezzo per fare la pace. Perché altre
vie allora non ve ne erano e non ve ne potevano essere. Perché il nostro
partito allora riuscì a scoprire, a trovare quel grado di unione e
di subordinazione degli interessi specifici dei contadini (rovesciamento dei
grandi proprietari fondiari, pace) agli interessi generali del paese (dittatura
del proletariato), che era accettabile e vantaggioso per i contadini. E i
contadini, benché non fossero per il socialismo, seguirono allora il
proletariato socialista.
La stessa cosa si deve dire dell'edificazione socialista nel nostro paese
e dell'attrazione dei contadini nella corrente di questa edificazione. Il
contadino per la sua condizione non è per il socialismo. Ma deve mettersi
e si metterà necessariamente sulla via dello sviluppo socialista, perché
non vi sono e non vi possono essere altre vie per salvare i contadini dalla
miseria e dalla rovina, all'infuori dell'alleanza col proletariato, all'infuori
dell'alleanza con l'industria socialista, all'infuori dell'inserzione dell'azienda
contadina nella corrente generale dello sviluppo socialista mediante l'incorporazione
in massa dei contadini nelle cooperative.
Perché proprio mediante l'incorporazione in massa dei contadini nelle
cooperative?
Perché nell'incorporazione in massa nelle cooperative « abbiamo
trovato quel grado di coordinazione dell'interesse privato, dell'interesse
commerciale privato, con la verifica e col controllo da parte dello Stato,
quel grado di subordinazione dell'interesse privato all'interesse generale
» (Lenin), che è accettabile e vantaggioso per il contadino e
che assicura al proletariato la possibilità di attrarre la massa fondamentale
dei contadini all'opera dell'edificazione socialista. Appunto perché
è nell'interesse dei contadini di organizzare la vendita delle loro
merci e il rifornimento di macchine per le loro aziende attraverso le cooperative,
appunto per questo essi devono mettersi e si metteranno in massa sulla via
della cooperazione.
Ma che cosa significa l'incorporazione in massa delle aziende contadine nelle
cooperative, sotto l'egida dell'industria socialista?
Significa l'uscita delle piccole aziende contadine mercantili dalla vecchia
via capitalista, che porta alla rovina in massa dei contadini, e il passaggio
a una nuova via di sviluppo, alla via dell'edificazione socialista.
Ecco perché la lotta per una nuova via di sviluppo dell'azienda contadina,
la lotta per attrarre la massa fondamentale dei contadini all'opera di edificazione
del socialismo è il compito immediato del nostro partito.
Perciò il Quattordicesimo Congresso del Partito comunista (bolscevìco)
dell'U.R.S.S. ha agito giustamente, stabilendo che:
« La via principale da seguire per l'edificazione del socialismo nella
campagna consiste nell'attrarre all'organizzazione cooperativa la massa fondamentale
dei contadini e nell'assicurare a questa organizzazione uno sviluppo socialista,
utilizzando, superando ed eliminando gli elementi capitalistici esistenti
tra i contadini, e ciò sotto la direzione economica sempre più
forte dell'industria statale socialista, delle istituzioni di credito statale
e delle altre leve di comando che sono nelle mani del proletariato »
(« Risoluzioni del Congresso sul rapporto del Comitato Centrale »).
Il più grave errore della nuova opposizione è che essa non crede
a questa nuova via di sviluppo dei contadini, non vede o non comprende l'inevitabilità
di questa via di sviluppo sotto la dittatura del proletariato. E non lo comprende
perché non crede alla vittoria dell'edificazione socialista nel nostro
paese, non crede alla capacità del nostro proletariato di condurre
al suo seguito i contadini sul cammino del socialismo.
Di qui l'incomprensione del doppio carattere della Nep, la esagerazione dei
lati negativi della Nep e il fatto di considerare la Nep prevalentemente come
una ritirata.
Di qui l'esagerazione dell'importanza degli elementi capitalistici nella nostra
economia, la sottovalutazione dell'importanza delle leve del nostro sviluppo
socialista (industria socialista, sistema creditizio, cooperazione, potere
del proletariato, ecc.).
Di qui l'incomprensione del carattere socialista della nostra industria di
Stato e i dubbi sulla giustezza del piano cooperativo dì Lenin.
Di qui l'esagerazione del processo di differenziazione nella campagna, il
panico di fronte al kulak, la sottovalutazione della funzione del contadino
medio, i tentativi di sabotare la politica del partito che tende a garantire
una solida alleanza col contadino medio, di qui, in generale, i salti da un
estremo all'altro nelle questioni della politica del partito nella campagna.
Di qui l'incomprensione del lavoro gigantesco che il partito compie per attrarre
masse di milioni di operai e di contadini a edificare l'industria e l'agricoltura,
a fare uno sforzo per vivificare la cooperazione e i Soviet, ad amministrare
il paese, a lottare contro le tendenze burocratiche, a condurre una lotta
per il miglioramento e la trasformazione del nostro apparato di Stato. Questa
lotta segna una nuova fase della nostra evoluzione e senza di essa non è
concepibile nessuna edificazione socialista.
Di qui la disperazione e lo smarrimento di fronte alle difficoltà della
nostra edificazione, i dubbi sulla possibilità di industrializzare
il nostro paese, le chiacchiere pessimiste sulla degenerazione del partito,
ecc.
A casa loro, a casa dei borghesi, tutto va più o meno bene; a casa
nostra. a casa dei proletari, tutto va più o meno male: se la rivoluzione
non si affretta a venirci in aiuto dall'Occidente, la nostra causa è
perduta; tale è il tono generale della nuova opposizione, ed esso è,
secondo me, un tono da liquidatori, che l'opposizione spaccia, non si sa perché
(forse per prenderci in giro), per « internazionalismo ».
La Nep è il capitalismo, dice l'opposizione. La Nep è prevalentemente
una ritirata, dice Zinoviev. Tutto questo, naturalmente, è falso. In
realtà, la Nep è la politica del partito, politica che ammette
la lotta fra gli elementi socialisti e gli elementi capitalistici e mira alla
vittoria degli elementi socialisti sugli elementi capitalistici. In realtà,
la Nep è stata una ritirata soltanto al principio, ma essa è
stata concepita in modo da permettere, nel corso della ritirata, di raggruppare
le forze e passare all'offensiva. In realtà noi siamo all'offensiva
già da alcuni anni e conduciamo l'offensiva con successo, sviluppando
la nostra industria, sviluppando il commercio sovietico, soppiantando il capitale
privato.
Ma quale è il senso esatto della tesi: la Nep è il capitalismo,
la Nep è prevalentemente una ritirata? Da che cosa deriva questa tesi?
Essa deriva dall'ipotesi errata che ciò che avviene qui da noi in questo
momento non è né più né meno che una restaurazione
del capitalismo, né più né meno che un « ritorno
» al capitalismo. Solo con questa ipotesi si possono spiegare i dubbi
dell'opposizione circa la natura socialista della nostra industria. Solo con
questa ipotesi si può spiegare il panico dell'opposizione davanti al
kulak. Solo con questa ipotesi si può spiegare la fretta con cui l'opposizione
si è aggrappata alle statistiche inesatte sulla differenziazione dei
contadini. Solo con questa ipotesi si può spiegare la singolare facilità
con la quale l'opposizione ha dimenticato che il contadino medio è
qui da noi la figura centrale dell'agricoltura. Solo con questa ipotesi si
possono spiegare la sottovalutazione del peso specifico del contadino medio
e i dubbi a proposito del piano cooperativo di Lenin. Solo con questa ipotesi
si può « motivare » la mancanza di fiducia della nuova
opposizione nella nuova via di sviluppo della campagna, nella via di sviluppo
che consiste nell'attrarre la campagna all'edificazione socialista.
In realtà, oggi nel nostro paese non è in corso un processo
unilaterale di restaurazione del capitalismo, ma un duplice processo di sviluppo
del capitalismo e di sviluppo del socialismo, un processo contraddittorio
di lotta degli elementi socialisti contro gli elementi capitalistici un processo
di liquidazione degli elementi capitalistici. da parte degli elementi socialisti.
Ciò è indiscutibile tanto per la città, dove la base
del socialismo è l'industria di Stato, quanto per la campagna, dove
il punto di appoggio essenziale per lo sviluppo del socialismo è la
cooperazione delle masse, legata all'industria socialista.
Una restaurazione pura e semplice del capitalismo è impossibile non
fosse altro perché da noi il potere è proletario, la grande
industria, è nelle mani del proletariato, i trasporti e il credito
si trovano a disposizione dello Stato proletario.
La differenziazione non può assumere le stesse proporzioni di prima,
la massa principale dei contadini rimane composta di contadini medi e il kulak
non può riconquistare la sua forza di prima, non fosse altro perché
la terra nel nostro paese è nazionalizzata, non è più
oggetto di scambio, e la nostra politica in materia di commercio, di credito,
d'imposte e di cooperazione tende a limitare le tendenze sfruttatrici dei
kulak, a elevare il benessere delle grandi masse contadine e a livellare gli
estremi nella campagna. Senza contare che la lotta contro i kulak da noi oggi
non segue solamente la vecchia linea, la linea dell’organizzazione dei
contadini poveri contro i kulak, ma segue anche una linea nuova, la linea
del rafforzamento dell'alleanza del proletariato e dei contadini poveri con
le masse dei contadini medi, contro i kulak. Il fatto che l'opposizione non
comprende il senso e l'importanza della lotta contro i kulak secondo questa
nuova linea, conferma ancora una volta che l'opposizione si smarrisce per
la vecchia strada di sviluppo della campagna, per la strada dello sviluppo
capitalistico, quando il kulak e il contadino povero rappresentavano le forze
principali nella campagna e il contadino medio « veniva scomparendo
».
La cooperazione è una varietà del capitalismo di Stato, dice
l'opposizione richiamandosi allo scritto di Lenin sull'« Imposta in
natura », e non crede, perciò, alla possibilità di utilizzare
la cooperazione come punto di appoggio essenziale per lo sviluppo del socialismo.
Anche qui l'opposizione commette un errore grossolano. Un tale giudizio sulla
cooperazione era sufficiente e soddisfacente nel 1921, quando venne scritta
l'« Imposta in natura », quando non avevamo un'industria socialista
sviluppata, quando Lenin concepiva il capitalismo di Stato come la possibile
forma principale della nostra economia e considerava la cooperazione in connessione
col capitalismo di Stato. Ma un tale giudizio è oggi insufficiente
e superato dalla storia, poiché da allora i tempi sono cambiati, l'industria
socialista si è sviluppata, e il capitalismo di Stato non si è
radicato nella misura desiderabile e la cooperazione, che abbraccia oggi più
di dieci milioni di uomini, si viene collegando strettamente alla industria
socialista.
Come spiegare altrimenti il fatto che due anni soli dopo la pubblicazione
dell'« Imposta in natura », nel 1923, Lenin incominciava a considerare
la cooperazione in un altro modo, ritenendo che « nelle nostre condizioni
la cooperazione coincide di regola completamente col socialismo »? («
Della cooperazione », vol. XXVII, p. 396, ed. russa).
Come spiegare questo cambiamento se non col fatto che, durante questi due
anni, l'industria socialista era già riuscita a svilupparsi, il capitalismo
di Stato non si era radicato nella dovuta misura, per cui Lenin incominciava
a considerare la cooperazione non più in connessione col capitalismo
di Stato, ma in connessione con l'industria socialista?
Le condizioni di sviluppo della cooperazione erano cambiate. Doveva cambiare
anche il modo di considerare la questione della cooperazione.
Ecco, ad esempio, un passo notevole, preso dall'opuscolo di Lenin «
Della cooperazione » (1923), che illumina questo problema:
« In regime di capitalismo di Stato (il corsivo è mio. G. St.)
le aziende cooperative si distinguono dalle aziende capitaliste di Stato,
in primo luogo come aziende private, in secondo luogo come aziende collettive.
Nel nostro regime attuale (il corsivo è mio. G. St.) le aziende cooperative
si distinguono dalle aziende capitaliste private in quanto sono aziende collettive,
ma non si distinguono (il corsivo è mio. G. St.) dalle aziende socialiste,
perché sono fondate sulla terra e su mezzi di produzione che appartengono
allo Stato, cioè alla classe operaia » (volume XXVII, p. 396,
ed. russa).
In queste poche righe sono risolte due grandi questioni. Primo: che il «
nostro regime attuale » non è capitalismo di Stato. Secondo:
che le aziende cooperative, se si considerano in connessione col « nostro
regime », « non si distinguono » dalle aziende socialiste.
È difficile, credo, esprimersi più chiaramente.
Ma ecco ancora un altro passo dello stesso opuscolo di Lenin:
« Il semplice sviluppo della cooperazione s'identifica per noi (salvo
la « piccola » riserva sopra indicata) con lo sviluppo del socialismo.
Siamo obbligati quindi ad ammettere che tutte le nostre opinioni sul socialismo
hanno subito un cambiamento radicale » (Ibidem).
È evidente che nell'opuscolo « Della cooperazione » ci
troviamo dinanzi a un nuovo giudizio sulla cooperazione, cosa che la nuova
opposizione non vuole ammettere e si sforza di passare sotto silenzio a dispetto
dei fatti, a dispetto dell'evidenza, a dispetto del leninismo.
Una cosa è la cooperazione considerata in connessione col capitalismo
di Stato, un'altra cosa è la cooperazione considerata in connessione
con l'industria socialista.
Da questo, tuttavia, non si può trarre la conclusione che tra l’«
Imposta in natura » e l'opuscolo « Della cooperazione »
vi sia un abisso. Ciò sarebbe evidentemente sbagliato. Basta riferirsi,
per esempio, al seguente passo dell'« Imposta in natura » per
cogliere subito il legame indissolubile che esiste tra l’« Imposta
in natura » e l'opuscolo « Della cooperazione » circa il
giudizio sulla cooperazione. Eccolo:
« Passare dalle concessioni al socialismo significa passare da una forma
di grande produzione a un'altra forma di grande produzione. Passare dalla
cooperazione dei piccoli produttori al socialismo significa passare dalla
piccola produzione alla grande, significa cioè compiere un passaggio
complicato, che però, in caso di successo, è in grado di abbracciare
una massa più grande di popolazione, è in grado di strappare
le radici più profonde e più resistenti dei vecchi rapporti
presocialisti (il corsivo è mio. G. St.) e perfino precapitalistici,
che sono i più ostinati nel resistere a qualsiasi "innovazione"
» (vol. XXVI, p. 337, ed. russa).
Da questa citazione si vede che già al tempo dell'« Imposta in
natura », quando non avevamo ancora un'industria socialista sviluppata,
Lenin riteneva possibile la trasformazione della cooperazione, in caso di
successo, in un potente mezzo di lotta contro i rapporti « presocialisti
» e, di conseguenza, anche contro i rapporti capitalistici. Credo che
sia proprio quest'idea che, in seguito, ha servito a Lenin come punto di partenza
per il suo opuscolo « Della cooperazione ».
Ma che cosa risulta da tutto ciò?
Da ciò risulta che la nuova opposizione pone la questione della cooperazione
in modo non marxista, ma metafisico. Essa considera la cooperazione non come
un fenomeno storico, in connessione con altri fenomeni, col capitalismo di
Stato (1921), per esempio, o con l'industria socialista (1923), ma come qualche
cosa di fisso e determinato una volta per sempre, come una « cosa in
sé ».
Di qui gli errori dell'opposizione a proposito della cooperazione, di qui
la sua sfiducia nello sviluppo della campagna nella direzione del socialismo
passando attraverso alla cooperazione, di qui il fatto che la opposizione
si smarrisce per la vecchia strada, per la strada dello sviluppo capitalistico
della campagna.
Tali sono, in sostanza, le vedute della nuova opposizione circa le questioni
pratiche dell'edificazione socialista.
La conclusione è una sola: la linea dell'opposizione, dato che essa
abbia una linea, le esitazioni e le oscillazioni dell'opposizione, la sua
sfiducia e il suo sgomento davanti alle difficoltà conducono alla capitolazione
di fronte agli elementi capitalistici della nostra economia. Infatti se la
Nep è prevalentemente una ritirata, se la natura socialista dell'industria
statale viene messa in dubbio, se il kulak è quasi onnipotente, se
si hanno poche speranze nella cooperazione, se l'importanza del contadino
medio diminuisce progressivamente, se la nuova via di sviluppo della campagna
è da mettere in dubbio, se il partito quasi degenera e la rivoluzione
in Occidente non è ancora così vicina, che cosa resta dopo tutto
questo nell'arsenale dell'opposizione, su che cosa conta essa nella lotta
contro gli elementi capitalistici della nostra economia? Non si può
andare alla battaglia armati della sola « Filosofia dell'epoca ».E'
chiaro che l'arsenale della nuova opposizione è piuttosto misero, dato
che si possa chiamarlo arsenale. Non è un arsenale per la lotta. A
più forte ragione non è un arsenale per la vittoria. E' chiaro
che con un tale arsenale il partito, se impegnasse battaglia, sarebbe perduto
« in quattro e quattr'otto » e non gli resterebbe che capitolare
immediatamente di fronte agli elementi capitalistici della nostra economia.
Perciò il Quattordicesimo Congresso del partito ha avuto pienamente
ragione di decidere che « la lotta per la vittoria dell'edificazione
socialista nell'U.R.S.S. è il compito fondamentale del nostro partito
»; che una delle condizioni indispensabili per l'adempimento di questo
compito è « la lotta contro la sfiducia nella causa dell'edificazione
del socialismo nel nostro paese e contro i tentativi di considerare le nostre
aziende, le quali sono aziende di "tipo socialista conseguente"
(Lenin), come delle aziende "capitaliste di Stato" »; che
« tali correnti ideologiche, rendendo impossibile un atteggiamento cosciente
delle masse verso l'edificazione del socialismo in generale e l'industria
socialista in particolare, non possono che frenare lo sviluppo degli elementi
socialisti dell'economia e facilitare la lotta del capitale privato contro
di essi »; che «il congresso considera perciò che un grande
lavoro di educazione è necessario per sormontare queste deformazioni
del leninismo » (Risoluzione sul rapporto del Comitato Centrale del
Partito Comunista (bolscevico) dell'U.R.S.S.).
L'importanza storica del Quattordicesimo Congresso del Partito Comunista (bolscevico)
dell'U.R.S.S. consiste nel fatto che ha saputo mettere a nudo sino alla radice
gli errori della nuova opposizione, ha respinto la sua sfiducia e i suoi piagnistei,
ha indicato in modo chiaro e preciso la via della lotta ulteriore per il socialismo,
ha dato al partito la prospettiva della vittoria e in questo modo ha armato
il proletariato di una fede incrollabile nella vittoria dell'edificazione
socialista.
25 gennaio 1926.
(Questa opera è tratta dal testo “Stalin – Opere scelte”
Edizioni Movimento Studentesco Prima Edizione, Marzo 1973, presentato nella
traduzione italiana a suo tempo pubblicata dalle Edizioni in Lingue Estere
di Mosca)