Biblioteca Multimediale Marxista
Ai partecipanti alla discussione economica
Osservazioni sulle questioni economiche relative alla discussione del novembre
1951
Ho ricevuto tutti i documenti sulla discussione economica svoltasi per giudicare
il progetto di manuale di economia politica. Ho ricevuto, tra l'altro, le
"Proposte per migliorare il progetto di manuale di economia politica'',
le "Proposte per eliminare gli errori e le imprecisioni'' nel progetto,
la "Nota informativa sulle questioni in discussione''.
Su tutti questi materiali, come pure sul progetto di manuale ritengo necessario
fare le seguenti osservazioni.
1. - Questione del carattere delle leggi
economiche nel socialismo.
Alcuni compagni negano il carattere obiettivo delle leggi della scienza, in
particolare delle leggi dell'economia politica nel socialismo. Essi negano
che le leggi dell'economia politica riflettano le leggi di sviluppo di processi
che si compiono indipendentemente dalla volontà degli uomini. Essi
ritengono che, data la particolare funzione assegnata dalla storia allo Stato
sovietico, lo Stato sovietico e i suoi dirigenti possano abolire le vigenti
leggi della economia politica, possano "formare'' nuove leggi, "creare''
nuove leggi.
Questi compagni si sbagliano profondamente. Essi come si vede, confondono
le leggi scientifiche, che riflettono i processi obiettivi che si svolgono
nella natura o nella società indipendentemente dalla volontà
degli uomini, con le leggi che vengono emanate dai governi, create per volontà
degli uomini e che hanno solo una forza giuridica. Ma non si può in
nessun modo confondere queste leggi.
Il marxismo intende le leggi della scienza, - si tratti di leggi delle scienze
naturali o di leggi dell'economia politica, - come un riflesso di processi
obiettivi che si svolgono indipendentemente dalla volontà degli uomini.
Gli uomini possono scoprire queste leggi, conoscerle, studiarle, tenerne conto
nelle loro azioni, utilizzarle negli interessi delle società, ma non
possono cambiarle o abolirle. Tanto meno essi possono formare o creare nuove
leggi della scienza. Significa forse questo che, per esempio, i risultati
delle azioni delle leggi della natura, i risultati delle azioni delle forze
della natura siano in genere irreparabili, che le azioni distruttive delle
forze della natura abbiano sempre e dappertutto luogo con una violenza elementare
e implacabile, che non possa venir sottoposta alla influenza degli uomini?
No, non significa questo. Se si escludono i processi astronomici, geologici
e alcuni altri, dove gli uomini, anche se conoscono le leggi del loro sviluppo,
sono effettivamente impotenti a influire su di esse, in molti altri casi gli
uomini sono lungi dall'essere impotenti per quanto concerne la possibilità
di influenzare i processi della natura. In tutti questi casi gli uomini, conosciute
le leggi della natura, possono, tenendone conto e basandosi su di esse, applicandole
e utilizzandole abilmente, limitare la sfera della loro azione, dare alle
forze distruttive della natura un altro indirizzo, rivolgere le forze distruttive
della natura all'utile della società.
Prendiamo uno degli innumerevoli esempi. Nella remota antichità lo
straripamento dei grandi fiumi, le inondazioni, la distruzione che ne conseguiva
delle abitazioni e dei campi seminati erano ritenuti una sciagura irreparabile,
contro la quale gli uomini erano impotenti. Tuttavia, col passar del tempo,
con lo sviluppo delle conoscenze umane, allorché gli uomini impararono
a costruire dighe e centrali elettriche, si rivelò possibile allontanare
dalla società le sciagure delle inondazioni che prima sembravano irreparabili.
Non solo, ma gli uomini impararono a imbrigliare le forze distruttive della
natura, a metter loro, per così dire, il morso, a rivolgere la forza
dell'acqua a vantaggio della società e a utilizzarla per l'irrigazione
dei campi, per ottenerne energia.
Significa forse questo che gli uomini in questo modo abbiano abolito le leggi
della natura, le leggi della scienza, abbiano creato nuove leggi della natura,
nuove leggi della scienza? No, non significa questo. Il fatto è, che
tutto questo sistema di prevenzione delle azioni delle forze distruttive dell'acqua
e di utilizzazione di esse nell'interesse della società si attua senza
che vi sia alcuna violazione, modificazione o abolizione delle leggi della
scienza, senza che si creino nuove leggi della scienza. Al contrario, tutto
questo sistema si realizza sul preciso fondamento delle leggi della natura,
delle leggi della scienza, perché qualsiasi violazione delle leggi
della natura, la loro minima violazione porterebbe a una disorganizzazione
dell'impresa, al crollo del sistema.
Lo stesso si deve dire delle leggi dello sviluppo economico, delle leggi dell'economia
politica, - non importa se si tratti del periodo del capitalismo o del periodo
del socialismo. Anche qui come nelle scienze naturali, le leggi dello sviluppo
economico sono leggi obiettive, che riflettono i processi di sviluppo economico
che si compiono indipendentemente dalla volontà degli uomini. Gli uomini
possono scoprire queste leggi, conoscerle, e basandosi su di esse utilizzarle
nell'interesse della società, dare un altro indirizzo alle azioni distruttive
di alcune leggi, limitare la loro sfera di azione, dare spazio ad altre leggi
che cerchino di aprirsi un varco, ma non possono distruggerle o creare nuove
leggi economiche.
Una delle particolarità dell'economia politica sta nel fatto che le
sue leggi, a differenza delle leggi delle scienze naturali, non sono eterne,
che esse, o per lo meno la maggior parte di esse, vigono nel corso di un determinato
periodo storico, dopo di che cedono il posto a leggi nuove. Ma esse, queste
leggi, non si distruggono; bensì perdono la loro forza a causa delle
nuove condizioni economiche e scompaiono dalla scena per lasciare il posto
a nuove leggi, che non si creano per volontà degli uomini, ma sorgono
sulla base di nuove condizioni economiche.
Si cita l'Antidüring di Engels, la sua formula secondo cui, con la liquidazione
del capitalismo e la collettivizzazione dei mezzi di produzione, gli uomini
avranno il potere sui loro mezzi di produzione, conseguiranno la libertà
del giogo delle relazioni economico-sociali, diverranno "signori'' della
loro vita sociale. Engels chiama questa libertà "necessità
cosciente''. Ma che cosa può significare "necessità cosciente''?
Significa che gli uomini, avendo preso conoscenza delle leggi obiettive ("necessità''),
le applicheranno in modo pienamente cosciente nell'interesse della società.
Proprio per questo Engels dice nello stesso punto che:
"Le leggi della loro attività sociale, che sino allora stavano
di fronte agli uomini come leggi di natura estranee e che li dominavano, vengono
ora applicate dagli uomini con piena cognizione di causa e quindi dominate''1.
Come si vede, la formula di Engels non parla affatto a vantaggio di coloro
i quali pensano che nel socialismo si possano abolire le leggi economiche
esistenti e crearne di nuove. Al contrario, essa non richiede l'abolizione,
ma la conoscenza delle leggi economiche e una loro abile applicazione.
Si dice che le leggi economiche rivestano un carattere elementare, che le
azioni di queste leggi siano irreparabili, che la società sia impotente
di fronte ad esse. Ciò non è vero. Questo significa fare delle
leggi dei feticci, rendersi schiavi delle leggi. è provato che la società
non è impotente di fronte alle leggi, che la società può,
dopo aver conosciuto le leggi economiche e basandosi su di esse, limitare
la sfera della loro azione, utilizzarle nell'interesse della società
e "mettere loro il morso'', come succede per quanto riguarda le forze
della natura e le leggi loro, come succede nell'esempio dato sopra dello straripamento
dei grandi fiumi.
Si cita la particolare funzione del potere sovietico nell'opera di costruzione
del socialismo, funzione che gli darebbe la possibilità di sopprimere
le esistenti leggi dello sviluppo economico e "formarne'' delle nuove.
Anche questo non è vero.
La particolare funzione del potere sovietico si spiega con due circostanze:
in primo luogo col fatto che il potere sovietico non doveva sostituire una
forma di sfruttamento con un'altra forma, come è avvenuto nelle rivoluzioni
del passato, ma liquidare qualsiasi sfruttamento; in secondo luogo col fatto
che, in seguito all'assenza nel paese di qualsiasi germe già formato
di economia socialista, esso dovette creare, per così dire, sul "vuoto'',
nuove forme socialiste di economia.
Compito, questo, indubbiamente difficile e complesso, che non aveva precedenti.
Ciò nondimeno, il potere sovietico ha assolto questo compito con onore.
Ma esso non l'ha assolto perché abbia distrutto le leggi economiche
esistenti e "formato'' leggi nuove, ma solo perché si è
appoggiato alla legge economica della necessaria corrispondenza nei rapporti
di produzione al carattere delle forze produttive. Le forze produttive del
nostro paese, specialmente nell'industria, avevano un carattere sociale; la
forma della proprietà, invece, era privata, capitalistica. Basandosi
sulla legge economica della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione
al carattere delle forze produttive, il potere sovietico ha socializzato i
mezzi di produzione, li ha resi proprietà di tutto il popolo e in tal
modo ha distrutto il sistema dello sfruttamento, ha creato forme socialiste
di economia. Se non ci fosse stata questa legge e non si fosse appoggiato
su di essa, il potere sovietico non avrebbe potuto assolvere il suo compito.
La legge economica della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione
al carattere delle forze produttive cerca da tempo di aprirsi un varco nei
paesi capitalistici. Se essa non si è ancora aperto un varco e non
ha trovato sbocco, ciò è stato perché incontra una fortissima
resistenza da parte delle forze della società che hanno fatto il loro
tempo. Qui ci imbattiamo in una altra peculiarità delle leggi economiche.
A differenza delle leggi delle scienze naturali, dove la scoperta e l'applicazione
di una nuova legge hanno luogo in modo più o meno pacifico, nel campo
economico la scoperta e l'applicazione di una nuova legge, la quale urti gli
interessi delle forze della società che hanno fatto il loro tempo,
incontrano una fortissima resistenza da parte di queste forze. Occorre, di
conseguenza, una forza, una forza sociale capace di superare questa resistenza.
Una forza simile si è trovata nel nostro paese nella forma dell'alleanza
della classe operaia e dei contadini, che rappresentano la schiacciante maggioranza
della società. Una forza simile negli altri paesi capitalistici non
si è ancora trovata. Qui sta il segreto del fatto che il potere sovietico
sia riuscito a sconfiggere le vecchie forze della società e la legge
economica della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere
delle forze produttive abbia ricevuto da noi pieno sbocco.
Si dice che la necessità dello sviluppo pianificato (proporzionale)
dell'economia del nostro paese dà la possibilità al potere sovietico
di sopprimere le leggi economiche esistenti e crearne delle nuove. Ciò
non è affatto vero. Non si possono confondere i nostri piani annuali
e quinquennali con la legge economica obiettiva dello sviluppo pianificato,
proporzionale dell'economia nazionale. La legge dello sviluppo pianificato
dell'economia nazionale è sorta come contrapposizione alla legge della
concorrenza e dell'anarchia della produzione nel capitalismo. è sorta
sulla base della socializzazione dei mezzi di produzione, dopo che la legge
della concorrenza e dell'anarchia della produzione aveva perduto la sua efficacia.
è entrata in vigore perché una economia nazionale socialista
si può avere soltanto sulla base della legge economica dello sviluppo
pianificato dell'economia nazionale. Questo significa che la legge dello sviluppo
pianificato dell'economia nazinale dà la possibilità ai nostri
organi pianificatori di pianificare in modo giusto la produzione sociale.
Ma non si deve confondere la possibilità con la realtà. Si tratta
di due cose differenti. Per far sì che questa possibilità diventi
realtà occorre studiare questa legge economica, occorre impadronirsene,
occorre imparare ad applicarla con perfetta cognizione di causa, occorre elaborare
dei piani che riflettano per intiero le esigenze di questa legge. Non si può
dire che i nostri piani annuali e quinquennali riflettano per intiero le esigenze
di questa legge economica.
Si dice che alcune leggi economiche, tra cui anche la legge del valore, vigenti
da noi col socialismo, siano leggi "trasformate'' o persino "trasformate
in modo radicale'' sulla base dell'economia pianificata. Anche questo non
è vero. Non si possono "trasfor-mare'' le leggi e tanto meno "in
modo radicale''. Se si potessero trasfomare, si potrebbero anche abolire,
sostituendole con altre leggi. La tesi della "trasfomazione'' delle leggi
è una sopravvivenza dell'erronea fomula della "distruzione'' e
della "formazione'' delle leggi. Benché la formula della trasformazione
delle leggi economiche sia oramai entrata da tempo da noi nell'uso comune,
sarà meglio rinunciarvi nell'interesse dell'esattezza. Si può
limitare la sfera di azione di queste o quelle leggi economiche, se ne possono
prevenire le azioni distruttive, se, naturalmente, vi sono, ma non si può
"trasformarle'' o "distruggerle''.
Di conseguenza, quando si parla dell'"assoggettamento'' delle forze della
natura o delle leggi economiche, del "dominio'' su di esse e così
via, non si vuol affatto dire con questo che gli uomini possano "distruggere''
le leggi della scienza o "formarle''. Al contrario, con questo si vuol
dire solamente che gli uomini possono scoprire le leggi, conoscerle, impadronirsene,
imparare ad applicarle con perfetta cognizione di causa, utilizzarle nell'interesse
della società e in tal modo assoggettarle, raggiungere il dominio su
di esse.
Dunque, le leggi dell'economia politica nel socialismo sono leggi obiettive,
che riflettono le leggi di sviluppo dei processi della vita economica, i quali
si compiono indipendentemente dalla nostra volontà. Coloro che negano
questa tesi, negano in sostanza la scienza, ma negando la scienza negano con
ciò stesso la possibilità di qualsiasi previsione - di conseguenza
negano la possibilità che la vita economica venga diretta.
Si potrà dire che tutto ciò che qui si afferma è giusto
e universalmente noto ma che non vi è nulla di nuovo e che, di conseguenza,
non vale la pena di perdere il tempo per ripetere verità universalmente
note. Certo, qui non vi è effettivamente nulla di nuovo, ma sarebbe
sbagliato pensare che non valga la pena di perdere il tempo per ripetere alcune
verità a noi note. Il fatto è che a noi, quale nucleo dirigente,
si accostano ogni anno migliaia di nuovi giovani quadri; essi ardono dal desiderio
di aiutarci, ardono dal desiderio di mostrare quel che valgono, ma non hanno
una sufficiente preparazione marxista, non conoscono molte verità a
noi ben note e sono costretti a vagare nelle tenebre. Essi sono colpiti dalle
colossali conquiste del potere sovietico; gli straordinari successi del sistema
sovietico fanno loro girare la testa ed essi cominciano a immaginare che il
potere sovietico "possa tutto'', che per esso "tutto sia una bazzecola'',
che esso possa sopprimere le leggi della scienza, formare nuove leggi. Come
dobbiamo comportarci con questi compagni? Come educarli nello spirito del
marxismo-leninismo? Io ritengo che una sistematica ripetizione delle cosiddette
verità "universalmente note'', un loro paziente chiarimento sia
uno dei migliori mezzi di educazione marxista di questi compagni.
2. - Questione della produzione mercantile
nel socialismo
Alcuni compagni affermano che il partito ha agito erroneamente mantenendo
la produzione mercantile dopo aver preso il potere e nazionalizzato i mezzi
di produzione nel nostro paese. Essi ritengono che il partito allora avrebbe
dovuto eliminare la produzione mercantile. A questo proposito essi citano
Engels, il quale dice:
"Con la presa di possesso dei mezzi di produzione da parte della società,
viene eliminata la produzione di merci e con ciò il dominio del prodotto
sui produttori''2.
Questi compagni sbagliano profondamente:
Esaminiamo la formula di Engels. La formula di Engels non si può considerare
del tutto chiara e precisa, giacché in essa non si indica se si parli
della presa di possesso da parte della società di tutti i mezzi di
produzione o solamente di una parte dei mezzi di produzione; se cioè
tutti i mezzi di produzione siano diventati patrimonio di tutto il popolo
o solamente di una parte dei mezzi di produzione. Questa formula di Engels
si può dunque interpretare in un modo o nell'altro.
In un altro luogo dell'Antidühring, Engels parla del possesso "di
tutti i mezzi di produzione'', del possesso "di tutto il complesso dei
mezzi di produzione''. Quindi Engels nella sua formula non intende parlare
della nazionalizzazione di una parte dei mezzi di produzione, ma di tutti
i mezzi di produzione, ossia del fatto che siano diventati patrimonio di tutto
il popolo non solo i mezzi di produzione dell'industria, ma anche quelli dell'agricoltura.
Ne consegue che Engels intende parlare di paesi in cui il capitalismo e la
concentrazione della produzione siano tanto sviluppati, non solo nell'industria,
ma anche nell'agricoltura, da far sì che si possano espropriare tutti
i mezzi di produzione del paese e trasformarli in proprietà di tutto
il popolo. Engels ritiene, di conseguenza, che in questi paesi, oltre a collettivizzare
tutti i mezzi di produzione, si debba eliminare la produzione mercantile e
questo, naturalmente, è giusto.
Un paese di questo genere era, alla fine dello scorso secolo, al momento della
pubblicazine dell'Antidühring, soltanto l'Inghilterra, dove lo sviluppo
del capitalismo e la concentrazione della produzione, tanto nell'industria
quanto nell'agricoltura, erano giunte a un punto tale che vi era la possibilità,
in caso di presa del potere da parte del proletariato, di far diventare tutti
i mezzi di produzione del paese patrimonio di tutto il popolo e di eliminare
la produzione mercantile.
Tralascio nel presente caso la questione dell'importanza per l'Inghilterra
del commercio estero, col suo enorme peso specifico nell'economia nazionale
dell'Inghilterra. Ritengo che solamente studiando questa questione si potrebbe
risolvere definitivamente la questione del destino della produzione mercantile
in Inghilterra dopo la presa del potere da parte del proletariato e la nazionalizzazione
di tutti i mezzi di produzione.
Del resto, non solamente alla fine dello scorso secolo, ma anche al giorno
d'oggi nessun paese ha ancora raggiunto quel grado di sviluppo del capitalismo
e di concentrazione della produzione nell'agricoltura che noi osserviamo in
Inghilterra. Per quanto riguarda gli altri paesi, nonostante lo sviluppo del
capitalismo nelle campagne, esiste ancora nelle campagne una classe abbastanza
numerosa di piccoli e medi proprietari-produttori, la cui sorte bisognerebbe
determinare in caso di presa del potere da parte del proletariato.
Ma ecco sorgere una questione: che cosa devono fare il proletariato e il suo
partito se in un paese o in un altro, compreso fra questi il nostro paese,
esistono condizioni favorevoli per la presa del potere da parte del proletariato
e l'abbattimento del capitalismo; se il capitalismo nell'industria ha talmente
concentrato i mezzi di produzione che si possono espropriare e dare in possesso
alla società, ma se l'agricoltura, nonostante lo sviluppo del capitalismo,
è ancora talmente frazionata in innumerevoli piccoli e medi proprietari-produttori,
che non si presenta la possibilità di porre la questione dell'espropriazione
di questi produttori?
A questa domanda la formula di Engels non dà risposta. Del resto, essa
non doveva neppure rispondere a questa domanda, perché era sorta sulla
base di un'altra questione, e precisamente della questione di quale doveva
essere il destino della produzione mercantile dopo che fossero stati collettivizzati
tutti i mezzi di produzione.
E dunque, come fare se non tutti i mezzi di produzione sono stati collettivizzati,
ma lo è stata solamente una parte dei mezzi di produzione, eppure vi
sono condizioni favorevoli per la presa del potere da parte del proletariato,
- deve il proletariato prendere il potere e si deve subito dopo distruggere
la produzione mercantile?
Non si può, naturalmente, considerare una risposta l'opinione di taluni
pretesi marxisti, i quali ritengono che in tali condizioni bisognerebbe rinunciare
alla presa del potere e aspettare finché il capitalismo sia riuscito
a ridurre alla miseria milioni di piccoli e medi produttori trasformandoli
in braccianti e a concentrare i mezzi di produzione nell'agricoltura, e che
solo dopo di questo si possa porre la questione della presa del potere da
parte del proletariato e della socializzazione di tutti i mezzi di produzione.
E' evidente che una simile "via di uscita'' non può essere seguita
dai marxisti se essi non vogliono definitivamente coprirsi di vergogna.
Non si può neppure considerare una risposta l'opinione di altri pretesi
marxisti, i quali ritengono che bisognerebbe prendere il potere, passare alla
espropriazione dei piccoli e medi produttori nelle campagne e socializzare
i loro mezzi di produzione. Neppure questa via assurda e delittuosa può
essere seguita dai marxisti, perché una via simile comprometterebbe
ogni possibilità di vittoria della rivoluzione proletaria, getterebbe
per lungo tempo i contadini nel campo dei nemici del proletariato.
E' stato Lenin a dare una risposta a questa questione nei suoi scritti sulla
Imposta in natura e nel suo celebre Piano cooperativo.
La risposta di Lenin si riduce in breve a quanto segue:
a) non lasciar passare le condizioni favorevoli per la presa del potere: che
il proletariato prenda il potere senza aspettare fino a che il capitalismo
sia riuscito a ridurre alla miseria la popolazione di molti milioni di piccoli
e medi produttori individuali;
b) espropriare i mezzi di produzione nell'industria e trasformarli in patrimonio
di tutto il popolo;
c) per quanto riguarda i piccoli e medi produttori individuali riunirli gradualmente
in cooperative di produzione, cioè in grandi aziende agricole, i colcos;
d) sviluppare in tutti i modi l'industria e dare ai colcos la base tecnica
moderna della grande produzione, ma non espropriarli, bensì, al contrario,
rifornirli intensamente di trattori di prima qualità e di altre macchine;
e) per la saldatura economica della città e della campagna, dell'industria
e dell'agricoltura, conservare per un certo tempo la produzione mercantile
(scambio attraverso la compra-vendita), come unica forma di rapporti economici
con la città accettabile per i contadini, e sviluppare appieno il commercio
sovietico, statale e cooperativo-colcosiano, eliminando dalla circolazione
delle merci ogni genere di capitalisti.
La storia della nostra edificazione socialista dimostra che questa via di
sviluppo, tracciata da Lenin, ha dato ottima prova di sé.
Non vi può esser dubbio che per tutti i paesi capitalistici aventi
una classe più o meno numerosa di piccoli e medi produttori questa
via di sviluppo è l'unica possibile e razionale per la vittoria del
socialismo.
Si dice che la produzione mercantile in qualsiasi condizione deve portare
e necessariamente porterà al capitalismo. Questo non è vero.
Non sempre e non in qualsiasi condizione! Non si può identificare la
produzione mercantile con la produzione capitalistica. Sono due cose diverse.
La produzione mercantile porta al capitalismo solamente se esiste la proprietà
privata dei mezzi di produzione, se la forza lavoro si presenta sul mercato
come una merce che il capitalista può comprare e sfruttare nel processo
di produzione, se, di conseguenza, esiste nel paese un sistema di sfruttamento
degli operai salariati da parte dei capitalisti. La produzione capitalistica
incomincia là, dove i mezzi di produzione sono concentrati in mani
private e gli operai, privi di mezzi di produzione, sono costretti a vendere
la loro forza lavoro come una merce. Senza di ciò non vi è produzione
capitalistica.
Ebbene, e se non esistono queste condizioni che trasformano la produzione
mercantile in produzione capitalistica, se i mezzi di produzione non sono
più proprietà privata, ma proprietà socialista, se non
esiste un sistema di lavoro salariato e la forza lavoro non è più
una merce, se il sistema dello sfruttamento è già da tempo liquidato,
- cosa dire allora: si può considerare che la produzione mercantile
porti in ogni caso al capitalismo? No, non si può. E la nostra società
è proprio una società in cui la proprietà privata dei
mezzi di produzione, il sistema del lavoro salariato, il sistema dello sfruttamento
non esistono più da tempo.
Non si può considerare la produzione mercantile come qualcosa a sé
stante, indipendente dalle condizioni economiche circostanti. La produzione
mercantile è più antica della produzione capitalistica. Essa
esisteva nel sistema schiavistico e lo serviva, e tuttavia non ha portato
al capitalismo. Essa esisteva nel feudalesimo e lo serviva, e tuttavia, benché
preparasse alcune condizioni della produzione capitalistica, non ha portato
al capitalismo. Si domanda allora perché la produzione mercantile non
può servire per un certo periodo anche la nostra società socialista
senza portare al capitalismo, quando si tenga presente che la produzione mercantile
non ha da noi quella diffusione illimitata e universale che ha nelle condizioni
del capitalismo, quando si tenga presente che essa da noi è costretta
entro limiti rigorosi, grazie a condizioni economiche decisive, quali sono
la proprietà collettiva sui mezzi di produzione, la liquidazione del
sistema del lavoro salariato, la liquidazione del sistema dello sfruttamento.
Si dice che, dopo che nel nostro paese si è stabilito il dominio della
proprietà collettiva sui mezzi di produzione e il sistema del lavoro
salariato e dello sfruttamento è stato liquidato, l'esistenza della
produzione mercantile ha perduto ogni senso e pertanto si dovrebbe eliminare
la produzione mercantile.
Ma anche questo non è vero. Attualmente da noi esistono due forme fondamentali
di produzione socialista: la produzione statale, di tutto il popolo, e quella
colcosiana, che non si può dire di tutto il popolo. Nelle aziende statali
i mezzi di produzione e la produzione stessa sono proprietà di tutto
il popolo. Nelle aziende colcosiane, invece, benché i mezzi di produzione
(la terra, le macchine) appartengano pur essi allo Stato, tuttavia la produzione
dei prodotti è proprietà dei singoli colcos, giacché
nei colcos il lavoro, come le sementi, sono di proprietà dei colcos,
mentre della terra, che è stata concessa ai colcos in uso eterno, i
colcos dispongono di fatto come di una loro proprietà, benché
non possano venderla, comprarla, darla in affitto o ipotecarla.
Questa circostanza porta al fatto che lo Stato può disporre solamente
della produzione delle aziende statali, mentre della produzione colcosiana
dispongono solamente i colcos, come di una loro proprietà. Ma i colcos
non vogliono alienare i loro prodotti altrimenti che sotto forma di merci,
in scambio alle quali essi vogliono ricevere le merci loro necessarie. Altri
legami economici con la città che non siano quelli commerciali, che
non siano lo scambio mediante compra-vendita oggi i colcos non li accettano.
Per questo la produzione mercantile e la circolazione delle merci sono attualmente
da noi una necessità così come lo erano, diciamo, trent'anni
fa, quando Lenin proclamò la necessità di un sviluppo completo
della circolazione delle merci.
Naturalmente, quando invece dei due fondamentali settori produttivi, quello
statale e quello colcosiano, vi sarà un solo settore produttivo che
abbracci tutto e abbia il diritto di disporre di tutti i prodotti di consumo
del paese, allora la circolazione delle merci con la sua "economia monetaria''
scomparirà, come un elemento non più necessario dell'economia
nazionale. Ma finché questo non avvenga, finché sussistono due
settori produttivi fondamentali, la produzione mercantile e la circolazione
delle merci devono restare in vigore come elemento necessario e sotto ogni
aspetto utile del sistema della nostra economia nazionale. In qual modo avverrà
la creazione di un unico settore che abbracci tutto, attraverso un semplice
assorbimento del settore colcosiano da parte del settore statale, il che è
poco verosimile (giacché ciò sarebbe accolto come un'espropriazione
dei colcos), o attraverso la organizzazione di un unico organo economico di
tutto il popolo (con una rappresentanza della industria di Stato e dei colcos)
che abbia il diritto di calcolare in un primo tempo tutti i prodotti di consumo
del paese, e con il passare del tempo anche di distribuire i prodotti col
sistema, diciamo, dello scambio in natura, - questa è una questione
particolare, che richiede un esame a parte.
Di conseguenza, la nostra produzione mercantile non è una produzione
mercantile normale, ma una produzione mercantile di tipo particolare, una
produzione mercantile senza capitalisti, che ha a che fare sostanzialmente
con merci di produttori socialisti riuniti (lo Stato, i colcos, le cooperative),
la cui sfera di azione è limitata agli oggetti di consumo personale,
che evidentemente non può in alcun modo svilupparsi come produzione
capitalistica e che è destinata a servire, insieme con la sua "economia
monetaria'', la causa dello sviluppo e del rafforzamento della produzione
socialista.
Per questo non hanno affatto ragione quei compagni i quali affermano che,
siccome la società socialista non liquida le forme mercantili di produzione,
dovrebbero da noi ripristinarsi tutte le categorie economiche proprie del
capitalismo: la forza lavoro come merce, il plusvalore, il capitale, il profitto
del capitale, il tasso medio del profitto e così via. Questi compagni
confondono la produzione mercantile con la produzione capitalistica e suppongono
che, poiché esiste la produzione mercantile, deve esistere anche la
produzione capitalistica. Essi non comprendono che la nostra produzione mercantile
differisce in modo radicale dalla produzione mercantile nel capitalismo.
Non solo, ma io penso che sia necessario respingere anche alcuni altri concetti,
desunti dal Capitale di Marx, dove Marx si è occupato dell'analisi
del capitalismo, e artificiosamente applicati alle nostre relazioni socialiste.
Alludo fra l'altro a concetti come quelli di lavoro "necessa-rio'' e
"supplementare'', di prodotto "necessario'' e "supplementare'',
di tempo "necessario'' e "supplementare''. Marx analizzava il capitalismo
per mettere in luce la fonte dello sfruttamento della classe operaia, il plusvalore,
e dare alla classe operaia, priva dei mezzi di produzione, l'arme spirituale
per l'abbattimento del capitalismo. Si capisce che Marx si serve nel far ciò
di concetti (categorie) che rispondono perfettamente ai rapporti capitalistici.
Ma sarebbe più che strano servirsi di tali concetti oggi che la classe
operaia non solo non è priva del potere e dei mezzi di produzione,
ma, al contrario, ha nelle sue mani il potere e possiede i mezzi di produzione.
E' abbastanza assurdo, oggi, nel nostro sistema, parlare di forza lavoro come
merce e di "ingaggio'' degli operai, come se la classe operaia, padrona
degli strumenti di produzione, si ingaggiasse da sé o vendesse a se
stessa la sua forza lavoro. Altrettanto strano è parlare oggi di lavoro
"necessario'' e "supplementare'', come se il lavoro degli operai,
nelle nostre condizioni, dato alla società per estendere la produzione,
sviluppare l'istruzione, la sanità pubblica, per organizzare la difesa
e così via, non fosse altrettanto necessario per la classe operaia
che è oggi al potere, del lavoro impiegato per coprire i bisogni personali
dell'operaio e della sua famiglia.
Bisogna notare che Marx nella sua Critica del Programma di Gotha, là
dove non tratta più del capitalismo, ma, fra l'altro, della prima fase
della società comunista, riconosce che il lavoro dato alla società
per estendere la produzione, per l'istruzione, la sanità pubblica,
le spese amministrative, la formazione delle riserve e così via, è
altrettanto necessario del lavoro impiegato per coprire i bisogni di consumo
della classe operaia.
Penso che i nostri economisti debbano porre fine a questa discrepanza fra
i vecchi concetti e la nuova condizione delle cose nel nostro paese socialista,
sostituendo ai vecchi concetti, concetti nuovi, corrispondenti alla nuova
situazione.
Abbiamo potuto tollerare questa discrepanza per un certo tempo, ma è
giunto il momento in cui finalmente dobbiamo liquidarla.
3. - Questione della legge del valore nel
socialismo
Talvolta si domanda: esiste e ha vigore da noi, nel nostro regime socialista,
la legge del valore?
Sì, esiste e ha vigore. Là dove esistono merci e produzione
mercantile, non può non esistere anche la legge del valore.
Il campo d'azione della legge del valore si estende da noi innanzitutto alla
circolazione delle merci, allo scambio delle merci attraverso la compra-vendita,
principalmente allo scambio delle merci di consumo individuale. Qui, in questo
campo, la legge del valore conserva, naturalmente entro certi limiti, una
funzione regolatrice.
Ma l'efficacia della legge del valore non si limita al campo della circolazione
delle merci. Essa si estende anche alla produzione. In verità, la legge
del valore non ha un'importanza regolatrice nella nostra produzione socialista,
ma influisce tuttavia sulla produzione, e di questo non si può non
tener conto nel dirigere la produzione stessa. Il fatto è che i prodotti
di consumo, indispensabili per reintegrare l'impiego di forza lavoro nel processo
produttivo, si producono da noi e si realizzano come merci, soggette all'influenza
della legge del valore. Qui appunto si rivela l'influenza della legge del
valore sulla produzione. In relazione a ciò, nelle nostre aziende hanno
un'importanza attuale questioni come quella del rendimento commerciale e della
gestione redditizia, del costo di produzione, dei prezzi, ecc. Perciò
le nostre aziende non possono e non devono trascurare di tenere in considerazione
la legge del valore.
E' bene ciò? Non è male. Nelle nostre condizioni attuali effettivamente
ciò non è male, perché questa circostanza educa i dirigenti
della nostra economia nello spirito di una direzione razionale della produzione
e li disciplina. Non è male, perché insegna ai nostri dirigenti
dell'industria a calcolare le entità produttive, a calcolarle con esattezza,
a tener conto con altrettanta esattezza delle cose reali della produzione
e a non perdersi in chiacchiere su "dati orientativi'', campati in aria.
Non è male perché insegna ai nostri dirigenti dell'industria
a cercare, trovare e sfruttare le riserve nascoste, che si celano in seno
alla produzione, e a non mettersele sotto i piedi. Non è male, perché
insegna ai nostri dirigenti dell'industria a migliorare sistematicamente i
metodi della produzione, a diminuire il costo di produzione, ad attuare un
rendimento commerciale e a ottenere che le aziende siano in attivo. E' questa
una buona scuola pratica, che accelera lo sviluppo dei nostri quadri economici
e la loro trasformazione in veri dirigenti della produzione socialista nella
fase attuale di sviluppo.
Il male non è che da noi la legge del valore influisca sulla produzione.
Il male è che i nostri dirigenti dell'industria e i dirigenti della
pianificazione, salvo rare eccezioni, non conoscono bene l'azione della legge
del valore, non la studiano e non sanno tenerne conto nei loro calcoli. Così
appunto si spiega la confusione che ancora regna da noi nella questione della
politica dei prezzi. Ecco uno dei tanti esempi. Qualche tempo fa si decise
di regolare nell'interesse della coltivazione del cotone il rapporto tra i
prezzi del cotone e del grano, di precisare i prezzi del grano venduto ai
raccoglitori di cotone e di aumentare i prezzi del cotone consegnato allo
Stato. A questo proposito i nostri dirigenti d'azienda e dirigenti della pianificazione
avanzarono una proposta, che non poté non riempire di stupore i membri
del Comitato centrale perché, secondo questa proposta, il prezzo di
una tonnellata di grano doveva essere quasi uguale a quello di una tonnellata
di cotone, e il prezzo di una tonnellata di grano veniva uguagliato a quello
di una tonnellata di pane. Alle osservazioni dei membri del Comitato centrale
che il prezzo di una tonnellata di pane deve essere superiore al prezzo di
una tonnellata di grano, in considerazione delle spese supplementari relative
alla macinazione e alla cottura, che il cotone costa in generale molto più
caro del grano, come testimoniano anche i prezzi mondiali del cotone e del
grano, gli autori della proposta non seppero rispondere nulla di sensato.
Il Comitato centrale dovette quindi interessarsi direttamente della questione,
diminuire i prezzi del grano e aumentare i prezzi del cotone. Che cosa sarebbe
accaduto se la proposta di questi compagni fosse stata tradotta in legge?
Avremmo rovinato i raccoglitori di cotone e saremmo rimasti senza cotone.
Ma significa tutto questo che l'influenza della legge del valore si eserciti
da noi con la medesima ampiezza che nel capitalismo e che la legge del valore
sia da noi la regolatrice della produzione? No, in nessun modo. In realtà
il campo d'azione della legge del valore nel nostro regime economico è
rigorosamente limitato e circoscritto. Si è già detto che il
campo d'azione della produzione mercantile nel nostro regime è limitato
e circoscritto. Lo stesso si deve dire del campo d'azione della legge del
valore. Non vi è dubbio che l'assenza della proprietà privata
dei mezzi di produzione e la socializzazione dei mezzi di produzione, sia
nella città, che nella campagna, non possono non limitare il campo
d'azione della legge del valore e il grado della sua influenza sulla produzione.
Nella stessa direzione agisce la legge dello sviluppo pianificato (proporzionale)
dell'economia nazionale, che ha sostituito la legge della concorrenza e dell'anarchia
dela produzione.
Nella stessa direzione agiscono i nostri piani annuali e quinquennali e in
generale tutta la nostra politica economica, che si basa sulle esigenze della
legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale.
Tutto questo insieme di elementi fa sì che da noi il campo d'azione
della legge del valore sia rigorosamente limitato e che la legge del valore
non possa nel nostro regime assolvere la funzione di regolatrice della produzione.
Così appunto si spiega il fatto "sorprendente'' che, nonostante
lo sviluppo ininterrotto e impetuoso della nostra produzione socialista, la
legge del valore non provoca da noi crisi di sovraproduzione, mentre la stessa
legge del valore, che ha nel capitalismo un vasto campo d'azione, nonostante
i bassi ritmi di sviluppo della produzione nei paesi capitalistici, provoca
in essi crisi periodiche di sovraproduzione.
Si dice che la legge del valore è una legge permanente, obbligatoria
per tutti i periodi dello sviluppo storico, che anche se la legge del valore
perde la sua efficacia come regolatrice dei rapporti di scambio nella seconda
fase della società comunista, essa, in questa fase di sviluppo, conserverà
la sua efficacia, come regolatrice dei rapporti fra le diverse branche della
produzione, come regolatrice della ripartizione del lavoro fra le branche
della produzione.
Ciò è falso del tutto. Il valore, come anche la legge del valore,
è una categoria storica, legata all'esistenza della produzione mercantile.
Con la scomparsa della produzione mercantile spariranno sia il valore con
le sue forme, che la legge del valore.
Nella seconda fase della società comunista la quantità di lavoro
impiegata per la produzione dei prodotti, non si misurerà per vie traverse,
non tramite il valore e le sue forme, come accade nella produzione mercantile,
ma direttamente e immediatamente con la quantità di tempo, con il numero
delle ore impiegate nella produzione dei prodotti. Per quanto riguarda la
ripartizione del lavoro fra le branche della produzione, essa non sarà
regolata dalla legge del valore, che in questo periodo perde la sua efficacia,
ma dall'incremento del fabbisogno di prodotti da parte della società.
Sarà una società in cui la produzione verrà regolata
dal fabbisogno sociale e il calcolo del fabbisogno sociale acquisterà
un'importanza primordiale per gli organi pianificatori.
E' completamente errata anche l'affermazione secondo cui nel nostro attuale
regime economico, nella prima fase di sviluppo della società comunista,
la legge del valore regolerebbe "le proporzioni'' della ripartizione
del lavoro tra le diverse branche della produzione.
Se questo fosse vero, non si capirebbe perché da noi non si sviluppa
a pieno ritmo l'industria leggera, essendo più redditizia, soprattutto
nei confronti dell'industria pesante, che spesso è meno redditizia,
e talvolta addirittura completamente passiva.
Se questo fosse vero, non si capirebbe perché da noi non vengano chiuse
le aziende dell'industria pesante per il momento ancora passive, dove il lavoro
degli operai non ha la "dovuta efficacia'', e non si aprano nuove aziende
dell'industria leggera incontestabilmente redditizia, dove il lavoro degli
operai potrebbe avere una "maggiore efficacia''.
Se questo fosse vero, non si capirebbe perché da noi non si trasferiscano
gli operai dalle aziende poco redditizie, anche se indispensabili all'economia
nazionale, alle aziende più redditizie, secondo la legge del valore
che regolerebbe le "proporzioni'' della ripartizione del lavoro fra le
branche della produzione.
E' evidente che, se si seguissero le orme di questi compagni, dovremmo desistere
dal dare la precedenza alla produzione dei mezzi di produzione a favore della
produzione dei mezzi di consumo. Ma che cosa significa desistere dal dare
la precedenza alla produzione dei mezzi di produzione? Significa eliminare
la possibilità di sviluppo ininterrotto della nostra economia nazionale,
perché è impossibile attuare uno sviluppo ininterrotto dell'economia
nazionale senza dare, al tempo stesso, la precedenza alla produzione dei mezzi
di produzione.
Questi compagni dimenticano che la legge del valore può regolare la
produzione solo nel capitalismo, quando esiste la proprietà privata
dei mezzi di produzione, quando esistono la concorrenza, l'anarchia della
produzine e le crisi di sovraproduzione. Essi dimenticano che da noi il campo
d'azione della legge del valore è limitato dall'esistenza della proprietà
sociale dei mezzi di produzione, dal fatto che vige la legge dello sviluppo
pianificato dell'economia nazionale e, per conseguenza, questo campo è
anche limitato dai nostri piani annuali e quinquennali, che rispecchiano per
approssimazione le esigenze di questa legge.
Alcuni compagni traggono di qui la conclusione che la legge dello sviluppo
pianificato dell'economia nazionale e la pianificazione dell'economia nazionale
sopprimono il principio del rendimento della produzione. Ciò è
falso del tutto. Le cose stanno esattamente al contrario. Se si considera
il rendimento non per aziende o branche della produzione singole e non in
riferimento a un solo anno, ma per tutta l'economia nazionale e in riferimento,
poniamo, a un periodo di 10-15 anni - e questo sarebbe l'unico modo giusto
di affrontare la questione - il rendimento momentaneo e instabile di aziende
o branche della produzione singole non può in nessun modo stare a confronto
con quella forma superiore di rendimento stabile e permanente che ci viene
assicurato dall'azione della legge dello sviluppo pianificato dell'economia
nazionale e dalla pianificazione dell'economia nazionale, liberandoci dalle
crisi economiche periodiche, le quali distruggono l'economia nazionale e infliggono
alla società un immenso danno materiale, e assicurandoci una ascesa
ininterrotta dell'economia nazionale con i suoi ritmi elevati.
In breve: non vi è dubbio che nelle nostre attuali condizioni socialiste
della produzione la legge del valore non può essere la "regolatrice
delle proporzioni'' nella ripartizione del lavoro fra le diverse branche della
produzione.
4. - Questione della eliminazione del contrasto
fra città e campagna, fra lavoro fisico e intellettuale e questione
della liquidazione delle differenze tra di essi.
Questo titolo concerne numerosi problemi che si differenziano sostanzialmente
l'uno dall'altro, ma che unisco in un solo capitolo non per confonderli, ma
esclusivamente per brevità di esposizione.
Il problema della eliminazione del contrasto fra la città e la campagna,
fra l'industria e l'agricoltura è un problema noto, posto già
da tempo da Marx ed Engels. La base economica di questo contrasto è
lo sfruttamento della campagna da parte della città, l'espropriazione
dei contadini e la rovina della maggior parte della popolazione rurale in
seguito a tutto il corso dello sviluppo dell'industria, del commercio e del
sistema creditizio nel capitalismo. Perciò il contrasto fra la città
e la campagna nel capitalismo deve considerarsi come un contrasto di interessi.
Su questo terreno è sorto un atteggiamento ostile della campagna verso
la città e in generale verso la "gente di città''.
Non vi è dubbio che con la distruzione del capitalismo e del sistema
dello sfruttamento, con il consolidamento del regime socialista, nel nostro
paese doveva sparire anche il contrasto di interessi tra la città e
la campagna, tra l'industria e l'agricoltura. E così è accaduto.
L'immenso aiuto dato ai nostri contadini dalla città socialista e dalla
nostra classe operaia per liquidare i proprietari fondiari e i kulak, ha consolidato
la base dell'alleanza fra la classe operaia e i contadini, mentre la fornitura
sistematica di trattori di prima qualità e di altre macchine ai contadini
e ai loro colcos ha trasformato in amicizia l'alleanza fra la classe operaia
e i contadini. Certo, gli operai e i contadini colcosiani sono tuttora due
classi, che differiscono l'una dall'altra per la loro posizione. Ma questa
differenza non indebolisce in nessuna misura la loro amicizia. Al contrario,
i loro interessi corrono su un'unica linea comune, sulla linea del consolidamento
del regime socialista e della vittoria del comunismo. Perciò non deve
far meraviglia che non sia rimasta neppure una traccia della vecchia sfiducia
e, a maggior ragione, del vecchio odio della campagna per la città.
Tutto questo significa che la base su cui sorge il contrasto fra la città
e la campagna, fra l'industria e l'agricoltura è già stata liquidata
dal nostro attuale regime socialista.
Questo, naturalmente, non significa che la eliminazione del contrasto fra
la città e la campagna debba portare alla "rovina delle grandi
città'' (vedi l'Anti-dühring di Engels). Le grandi città
non solo non andranno in rovina, ma sorgeranno altre nuove grandi città,
quali centri di un maggiore sviluppo culturale, centri non solo della grande
industria, ma anche della lavorazione dei prodotti agricoli e di un poderoso
sviluppo di tutte le branche dell'industria alimentare. Questa circostanza
favorirà la fioritura culturale del paese e determinerà un livellamento
delle condizioni di vita nelle città e nella campagna.
Una situazione analoga vi è nel problema della eliminazione del contrasto
fra lavoro fisico e intellettuale. Anche questo è un problema noto,
posto già da tempo da Marx ed Engels. La base economica del contrasto
fra lavoro fisico e intellettuale è costituita dallo sfruttamento degli
uomini che compiono il lavoro fisico da parte di coloro che rappresentano
il lavoro intellettuale. Tutti conoscono il distacco che esisteva nel capitalismo
fra gli uomini che compiono il lavoro fisico nelle aziende e il personale
direttivo. E' noto che sulla base di questo distacco sorse un atteggiamento
ostile degli operai verso il direttore, il capo-reparto, l'ingegnere e gli
altri rappresentanti del personale tecnico, considerati come nemici. Naturalmente,
con la distruzione del capitalismo e del sistema dello sfruttamento, doveva
scomparire anche il contrasto di interessi fra il lavoro fisico e il lavoro
intellettuale. Ed esso effettivamente è scomparso nel nostro odierno
regime socialista. Oggi gli uomini che compiono il lavoro fisico e il personale
direttivo non sono nemici, ma compagni e amici, membri di un unico collettivo
della produzione, vitalmente interessati al progresso e al miglioramento della
produzione. Della vecchia ostilità fra loro non è rimasta traccia.
Un carattere completamente diverso ha il problema della scomparsa delle differenze
fra la città (l'industria) e la campagna (l'agricoltura), fra il lavoro
fisico e intellettuale. Questo problema non è stato posto dai classici
del marxismo. E' un problema nuovo, posto dalla pratica della nostra edificazione
socialista.
Ma non è questo un problema immaginario; ha esso per noi una qualche
importanza pratica o teorica? No, questo problema non si può considerare
immaginario. Al contrario, esso è per noi della più alta importanza.
Se esaminiamo, per esempio, la differenza fra l'agricoltura e l'industria,
essa, da noi, non consiste solo nel fatto che le condizioni di lavoro nell'agricoltura
differiscono dalle condizioni di lavoro nell'industria, ma innanzitutto e
principalmente nel fatto che nell'industria abbiamo una proprietà di
tutto il popolo sui mezzi di produzione e sul prodotto dell'attività
produttiva, mentre nell'agricolutra non abbiamo una prorietà di tutto
il popolo, ma di gruppo, colcosiana. E' già stato detto che questa
circostanza porta al mantenimento della circolazione delle merci, che solo
con la scomparsa di questa differenza fra l'industria e l'agricoltura può
scomparire la produzione mercantile, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Per conseguenza, non si può negare che la scomparsa di questa sostanziale
differenza tra l'agricoltura e l'industria deve avere per noi un'importanza
di prim'ordine.
Lo stesso si deve dire del problema della eliminazione della differenza sostanziale
fra il lavoro fisico e il lavoro intellettuale. Anche questo problema ha per
noi un'importanza di prim'ordine. Prima che avesse inizio lo sviluppo dell'emulazione
socialista di massa, l'ascesa dell'industria procedeva da noi a stento e molti
compagni posero persino la questione di rallentare i ritmi di sviluppo dell'industria.
La cosa si spiega principalmente col fatto che il livello tecnico-culturale
degli operai era troppo basso e molto arretrato rispetto al livello del personale
tenico. Ma le cose sono radicalmente cambiate dopo che l'emulazione socialista
ebbe assunto da noi un carattere di massa. Fu appunto dopo di allora che l'industria
progredì a ritmo accelerato. Perché l'emulazione socialista
assunse un carattere di massa? Perché fra gli operai si formarono intieri
gruppi di compagni, che non solo assimilarono un minimo di preparazione tecnica,
ma andarono oltre, salirono al livello del personale tecnico, cominciarono
a correggere i tecnici e gli ingegneri, a infrangere le norme esistenti come
superate, a introdurre nuove norme, più moderne, ecc. Che cosa sarebbe
accaduto se non singoli gruppi di operai, ma la maggioranza degli operai avesse
elevato il suo livello tecnico-culturale portandolo al livello del personale
tecnico e degli ingegneri? La nostra industria avrebbe raggiunto un'altezza
inaccessibile all'industria degli altri paesi. Per conseguenza, non si può
negare che l'eliminazione della differenza sostanziale fra il lavoro fisico
e il lavoro intellettuale, ottenuta portando il livello tecnico-culturale
degli operai al livello del personale tecnico, non può non avere per
noi un'importanza di prim'ordine.
Alcuni compagni affermano che col tempo sparirà non solo la differenza
sostanziale fra l'industria e l'agricoltura, fra il lavoro fisico e intellettuale,
ma sparirà anche qualsiasi differenza fra di essi. Questo non è
vero. L'eliminazione della differenza sostanziale fra l'industria e l'agricoltura
non può portare all'eliminazione di qualsiasi differenza fra di esse.
Una certa differenza, anche se non sostanziale, incontestabilmente rimarrà,
a causa delle differenze esistenti nelle condizioni di lavoro nell'industria
e nell'agricoltura. Anche nell'industria, se si considerano le sue differenti
branche, le condizioni di lavoro non sono dappertutto identiche: le condizioni
di lavoro, per esempio, dei minatori addetti all'estrazione del carbone differiscono
dalle condizioni di lavoro degli operai di un calzaturificio meccanizzato,
le condizioni di lavoro dei minatori addetti alla estrazione dei metalli differiscono
dalle condizioni di lavoro degli operai addetti alle costruzioni meccaniche.
Se questo è vero, a maggior ragione si dovrà conservare una
certa differenza fra l'industria e l'agricoltura.
Lo stesso si deve dire della differenza fra il lavoro fisico e il lavoro intellettuale.
La differenza sostanziale che esiste fra di essi, intesa come differenza di
livello tecnico-culturale, sparirà incontestabilmente. Ma una certa
differenza, anche se non sostanziale, continuerà a sussistere, se non
altro perché le condizioni di lavoro del personale dirigente delle
aziende non sono identiche alle condizioni di lavoro degli operai.
I compagni che affermano il contrario si basano, probabilmente, sulla nota
formula contenuta in alcuni miei scritti, nei quali si parla della eliminazione
della differenza fra l'industria e l'agricoltura, fra il lavoro fisico e intellettuale,
senza precisare che si tratta di eliminare la differenza sostanziale e non
qualsiasi differenza. I compagni hanno inteso in questo senso la mia formula,
supponendo che comportasse l'eliminazione di qualsiasi differenza. Ma questo
significa che la formula non era precisa, non era soddisfacente. Essa deve
essere respinta e sostituita con un'altra formula, che parli della eliminazione
delle differenze sostanziali e del persistere di differenze non sostanziali
fra l'industria e l'agricoltura, fra il lavoro fisico e intellettuale.
5. -Questione della disgregazione del mercato
unico mondiale e dell'approfondirsi della crisi del sistema capitalistico
mondiale.
La disgregazione del mercato mondiale unico e universale deve considerarsi
il risultato economico più importante della seconda guerra mondiale
e delle sue conseguenze economiche. Questa circostanza ha determinato l'ulteriore
approfondimento della crisi generale del sistema capitalistico mondiale.
La seconda guerra mondiale stessa fu generata da questa crisi. Ciascuna delle
due coalizioni capitalistiche, scagliatesi l'una contro l'altra durante la
geurra, contava di schiacciare l'avversario e di conquistare il dominio mondiale.
In questo esse cercavano una via di uscita dalla crisi. Gli Stati Uniti d'America
contavano di eliminare la Germania e il Giappone dalla schiera dei loro concorrenti
più pericolosi, di impadronirsi dei mercati esteri, delle risorse mondiali
di materie prime e conquistare il dominio mondiale.
Ma la guerra non soddisfece queste speranze. E' vero, la Germania e il Giappone
furono messi fuori combattimento come concorrenti dei tre principali paesi
capitalistici: gli Stati Uniti d'America, l'Inghilterra e la Francia. Ma in
pari tempo la Cina e gli altri paesi di democrazia popolare in Europa si staccarono
dal sistema capitalistico, formando insieme all'Unione Sovietica un unico
e potente campo socialista, opposto al campo del capitalismo. Il risultato
economico dell'esistenza di due campi opposti è stato che il mercato
mondiale unico e universale si è spezzato, per cui abbiamo oggi due
mercati mondiali paralleli, anch'essi opposti l'uno all'altro.
E' necessario osservare che gli Stati Uniti d'America e l'Inghilterra con
la Francia hanno favorito essi stessi, naturalmente contro la loro volontà,
la formazione e il consolidamento del nuovo mercato mondiale parallelo. Essi
hanno sottoposto a un blocco economico l'Urss, la Cina e i paesi europei di
democrazia popolare, che non erano entrati nel sistema del "piano Marshall'',
pensando con ciò di soffocarli. Ma di fatto si è avuto non un
soffocamento, bensì un consolidamento del nuovo mercato
Certo, l'elemento essenziale è dato qui non dal blocco economico, ma
dal fatto che nel periodo dopo la guerra questi paesi si sono avvicinati economicamente
e hanno avviato fra loro una collaborazione economica e una mutua assistenza.
L'esperienza di questa collaborazione dimostra che nessun paese capitalistico
avrebbe potuto prestare un aiuto così efficace e tecnicamente qualificato
ai paesi di democrazia popolare, come quello che presta loro l'Unione Sovietica.
Non si tratta solo del fatto che questo aiuto ha un costo minimo per questi
paesi ed è tecnicamente di prim'ordine. Si tratta, innanzi tutto, del
fatto che questa collaborazione si basa sul desiderio più sincero di
aiutarsi a vicenda e di realizzare uno sviluppo economico comune. Come risultato,
abbiamo ritmi elevati di sviluppo dell'industria in questi paesi. Si può
affermare con sicurezza che, grazie a questi ritmi di sviluppo dell'industria,
si arriverà rapidamente a ottenere che questi paesi non solo non abbiano
bisogno di importare merci dai paesi capitalistici, ma sentano essi stessi
la necessità di esportare le merci eccedenti della loro produzione.
Ma da questo deriva che la sfera d'applicazione delle forze dei principali
paesi capitalistici (Stati Uniti d'America, Inghilterra, Francia) alle risorse
mondiali non si estenderà, ma si ridurrà; che le condizioni
del mercato mondiale di sbocco per questi paesi peggioreranno e si accentuerà
la contrazione della produzione per le aziende di questi paesi. In questo
consiste, propriamente, l'approfondirsi della crisi generale del sistema capitalistico
mondiale per quanto riguarda la disgregazione del mercato mondiale.
Di questo si accorgono anche i capitalisti, perché è difficile
non accorgersi della perdita di mercati come l'Urss e la Cina. Essi si sforzano
di superare queste difficoltà con il "piano Marshall'', con la
guerra in Corea, con la corsa degli armamenti, con la militarizzazione dell'industria.
Ma questo ricorda gli annegati che si afferrano a un fuscello.
In riferimento a questa situazione sono sorte per gli economisti due questioni.
a) Si può affermare che sia tuttora valida la nota tesi di Stalin sulla
relativa stabilità dei mercati nel periodo della crisi generale del
capitalismo, enunciata prima della seconda guerra mondiale?
b) Si può affermare che sia tuttora valida la nota tesi di Lenin, da
lui enunciata nella primavera del 1916, che, nonostante la putrefazione del
capitalismo, "nel suo insieme il capitalismo cresce con un ritmo incomparabilmente
più rapido di prima''?
Penso che non lo si possa affermare. Le nuove condizioni sorte in legame con
la seconda guerra mondiale han fatto sì che entrambe queste tesi debbano
considerarsi superate.
6. - Questione della inevitabilità
delle guerre fra i paesi capitalistici.
Alcuni compagni affermano che in seguito allo sviluppo delle nuove condizioni
internazionali dopo la seconda guerra mondiale, le guerre fra i paesi capitalistici
hanno cessato di essere inevitabili. Essi ritengono che i contrasti fra il
campo del socialismo e il campo del capitalismo siano più forti dei
contrasti fra i paesi capitalistici; che gli Stati Uniti d'America abbiano
sufficientemente soggiogato gli altri paesi capitalistici per impedire che
essi combattano fra loro e si indeboliscano a vicenda; che gli uomini più
intelligenti del capitalismo siano stati abbastanza istruiti dall'esperienza
delle due guerre mondiali, che hanno inflitto sì gravi danni a tutto
il mondo capitalistico, per permettersi di trascinare nuovamente i paesi capitalistici
in una guerra fra loro, - che, in considerazione di tutto questo, le guerre
tra i paesi capitalistici abbiano cessato di essere inevitabili.
Questi compagni sbagliano. Essi vedono i fenomeni esteriori, che affiorano
alla superficie, ma non vedono le forze profonde, le quali, anche se per un
momento agiscono senza farsi notare, determineranno tuttavia il corso degli
avvenimenti.
Esteriormente tutto sembrerebbe andare "ottimamente'': gli Stati Uniti
d'America hanno messo al passo la Europa occidentale, il Giappone e gli altri
paesi capitalistici; la Germania (occidentale), l'Inghilterra, la Francia,
l'Italia, il Giappone, caduti tra gli artigli degli Stati Uniti di America,
eseguono docilmente gli ordini degli Stati Uniti. Ma sarebbe errato pensare
che questo andare "ottimamente'' possa mantenersi "nei secoli dei
secoli'', che questi paesi sopporteranno senza fine il dominio e l'oppressione
degli Stati Uniti d'America, che essi non tenteranno di sottrarsi alla schiavitù
americana e di porsi sulla strada di uno sviluppo autonomo.
Prendiamo prima di tutto l'Inghilterra e la Francia. Non vi è dubbio
che le materie prime a buon mercato e i mercati di sbocco assicurati hanno
per essi un'importanza di prim'ordine. Si può ammettere che essi sopporteranno
senza fine la situazione attuale, in cui gli americani, con il pretesto di
"aiutarli'' mediante il "piano Marshall'', si istallano nell'economia
dell'Inghilterra e della Francia, cercando di trasformarla in una appendice
dell'economia degli Stati Uniti d'America; in cui il capitale americano si
impadronisce delle materie prime e dei mercati di sbocco delle colonie anglo-francesi,
preparando così una catastrofe per gli alti profitti dei capitalisti
anglo-francesi? Non sarebbe più giusto dire che l'Inghilterra capitalistica,
e dopo di essa anche la Francia capitalistica, saranno costrette in fin dei
conti a svincolarsi dalla stretta degli Stati Uniti d'America e a entrare
in conflitto con essi per assicurarsi una situazione autonoma e, naturalmente,
alti profitti?
Passiamo ai principali paesi vinti, alla Germania (occidentale), al Giappone.
Questi paesi trascinano oggi una misera esistenza sotto lo stivale dell'imperialismo
americano. La loro industria e l'agricoltura, il loro commercio, la loro politica
interna ed esterna, tutta la loro esistenza è avvinta dalle catene
del "regime'' americano di occupazione. Ma questi paesi erano ancora
ieri grandi potenze imperialistiche, che scossero le basi del dominio dell'Inghilterra,
degli Stati Uniti d'America e della Francia in Europa e in Asia. Pensare che
questi paesi non tenteranno nuovamente di rimettersi in piedi, di infrangere
il "regime'' degli Stati Uniti d'America e porsi sulla strada dello sviluppo
autonomo significa credere nei miracoli.
Si dice che i contrasti tra il capitalismo e il socialismo sono più
forti che i contrasti fra i paesi capitalistici. Teoricamente, certo, questo
è vero. è vero non solo oggi, ai nostri giorni, ma era vero
anche alla vigilia della seconda guerra mondiale. E lo capivano, in maggiore
o minore misura, anche i dirigenti dei paesi capitalistici. Eppure la seconda
guerra mondiale non incominciò con la guerra contro l'Urss, ma con
la guerra fra i paesi capitalistici. Perché? Perché, in primo
luogo, la guerra contro la Urss, in quanto guerra contro il paese del socialismo,
è più pericolosa per il capitalismo della guerra fra i paesi
capitalistici, giacché mentre la guerra fra i paesi capitalistici pone
solo la questione del predominio di determinati paesi capitalistici su altri
paesi capitalistici, la guera contro l'Urss deve invece necessariamente porre
la questione dell'esistenza del capitalismo stesso. In secondo luogo, perché
i capitalisti, sebbene a scopo di "propaganda'' facciano chiasso circa
la aggressività dell'Unione Sovietica, non credono essi stessi a questa
aggressività, poiché tengono conto della politica pacifica dell'Unione
Sovietica e sanno che l'Unione Sovietica non attaccherà, dal canto
suo, i paesi capitalistici.
Anche dopo la prima guerra mondiale si riteneva che la Germania fosse stata
definitivamente messa fuori combattimento, così come alcuni compagni
pensano oggi che siano stati messi definitivamente fuori combattimento il
Giappone e la Germania. Anche allora sulla stampa si parlava e faceva chiasso
circa il fatto che gli Stati Uniti d'America avevano messo al passo l'Europa,
che la Germania non avrebbe più potuto rimettersi in piedi, che non
ci dovevano più essere guerre fra i paesi capitalistici. Ma cionondimeno
la Germania, a distanza di circa 15-20 anni dalla sua sconfitta, si risollevò
e si rimise in piedi come grande potenza, sottraendosi alla schiavitù
e prendendo il cammino di uno sviluppo autonomo. è significativo inoltre
che nessu altro se non l'Inghilterra e gli Stati Uniti d'America avevano aiutato
la Germania a risollevarsi economicamente e ad accrescere il proprio potenziale
economico e militare. Naturalmente, gli Stati Uniti d'America e l'Inghilterra,
aiutando la Germania a risollevarsi economicamente, miravano a rivolgere contro
l'Unione Sovietica la Germania risollevata, a servirsene contro il paese del
socialismo. Ma la Germania diresse le sue forze innanzi tutto contro il blocco
anglo-franco-americano, e quando la Germania hitleriana dichiarò guerra
all'Unione Sovietica, il blocco anglo-franco-americano non solo non si associò
alla Germania hitleriana, ma, al contrario, fu costretto a entrare in coalizione
con l'Urss contro la Germania hitleriana.
Per conseguenza, la lotta dei paesi capitalistici per i mercati e il desiderio
di sommergere i propri concorrenti si rivelarono praticamente più forti
che i contrasti fra il campo dei capitalisti e il campo del socialismo.
Si domanda: quale garanzia esiste che la Germania e il Giappone non si rimettano
nuovamente in piedi e non tentino di sottrarsi dalla schiavitù americana
e di vivere una propria vita autonoma? Penso che non esistano garanzie di
questo genere.
Ma da ciò deriva che l'inevitabilità delle guerre fra i paesi
capitalistici continua a sussistere.
Si dice che la tesi di Lenin secondo cui l'imperialismo genera inevitabilmente
le guerre deve considerarsi superata, perché attualmente si sono sviluppate
potenti forze popolari che agiscono in difesa della pace, contro una nuova
guerra mondiale. Questo non è vero.
L'attuale movimento per la pace ha lo scopo di sollevare le masse popolari
alla lotta per mantenere la pace, per scongiurare una nuova gerra mondiale.
Per conseguenza, esso non persegue lo scopo di rovesciare il capitalismo e
di istaurare il socialismo, - esso si limita a perseguire i fini democratici
della lotta per mantenere la pace. Sotto questo aspetto l'auttuale movimento
per mantenere la pace si distingue dal movimento svoltosi durante la prima
guerra mondiale per trasformare la guerra imperialistica in guerra civile,
giacché questo ultimo movimento andava oltre e perseguiva fini socialisti.
Può darsi che, per un concorso di circostanze, la lotta per la pace
si sviluppi in certe zone trasformandosi in lotta per il socialismo, ma questo
non sarebbe più l'attuale movimento per la pace, bensì un movimento
per rovesciare il capitalismo.
La cosa più probabile è che l'attuale movimento per la pace,
inteso come movimento per mantenere la pace, in caso di successo porterà
a scongiurare una guerra determinata, a rinviarla per un certo tempo, a mantenere
per un certo tempo una pace determinata, a costringere alle dimissioni un
governo guerrafondaio sostituendolo con un altro governo, disposto a salvaguardare
per un certo tempo la pace. Questa, naturalmente, è una cosa buona.
Anzi, è una cosa ottima. Tuttavia questo non basta per eliminare l'inevitabilità
delle guerre fra i paesi capitalistici. Non basta, perché, nonostante
tutti questi successi del movimento per la difesa della pace, l'imperialismo
continua a sussistere, conserva le sue forze, - e per conseguenza, continua
a sussistere l'inevitabilità delle guerre.
Per eliminare l'inevitabilità delle guerre, è necessario distruggere
l'imperialismo.
7. - Questione delle leggi economiche fondamentali
del capitalismo contemporaneo e del socialismo.
Come è noto, la questione delle leggi economiche fondamentali del capitalismo
e del socialismo ha formato ripetutamente oggetto di discussione. Sono state
espresse diverse opinioni in proposito, comprese le più fantastiche.
In verità, la maggioranza di coloro che hanno preso parte alla discussione
ha dato uno scarso contributo alla questione e nessuna soluzione è
stata indicata in proposito. Però, nessuno degli intervenuti nella
discussione ha negato l'esistenza di queste leggi.
Esiste una legge economica fondamentale del capitalismo? Sì, esiste.
Qual è questa legge, quali sono i suoi tratti caratteristici? La legge
economica fondamentale del capitalismo è la legge che determina non
un qualsiasi aspetto singolo o singoli processi di sviluppo della produzione
capitalistica, ma tutti gli aspetti principali e tutti i processi principali
di questo sviluppo, - per conseguenza, determina la sostanza della produzione
capitalistica, la sua essenza.
Non è la legge del valore la legge economica fondamentale del capitalismo?
No. La legge del valore è innanzi tutto la legge della produzione mercantile.
Essa esiste prima del capitalismo e continua a sussistere, così come
continua a sussistere la produzione mercantile, dopo il rovesciamento del
capitalismo, per esempio nel nostro paese, pur avendo in verità un
limitato campo d'azione. Naturalmente, la legge del valore, che ha un vasto
campo d'azione nelle condizioni del capitalismo, assolve una grande funzione
nello sviluppo della produzione capitalistica, ma non solo non determina la
sostanza della produzione capitalistica e delle basi del profitto capitalistico,
ma non pone neppure questi problemi. Perciò essa non può essere
la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo.
Per le stesse considerazioni non possono essere legge economica fondamentale
del capitalismo la legge della concorrenza e dell'anarchia della produzione,
o la legge dello sviluppo ineguale del capitalismo nei diversi paesi.
Si dice che la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo
è la legge del tasso medio del profitto. Questo non è vero.
Il capitalismo contemporaneo, il capitalismo monopolistico, non può
accontentarsi del profitto medio, che inoltre ha la tendenza a diminuire in
seguito all'aumento della composizione organica del capitale. Il capitalismo
monopolistico contemporaneo non cerca il profitto medio ma il massimo profitto,
indispensabile per attuare una riproduzione allargata più o meno regolare.
Più di tutto si avvicina al concetto di legge economica fondamentale
del capitalismo la legge del plusvalore, la legge della formazione e della
crescita del profitto capitalistico. Essa predetermina effettivamente i tratti
fondamentali della produzione capitalistica. Ma la legge del plusvalore è
una legge troppo generale, che non tocca i problemi del più alto tasso
del profitto, il cui conseguimento è condizione dello sviluppo del
capitalismo monopolistico. Per colmare questa lacuna è necessario concretizzare
la legge del plusvalore e svilupparla ulteriormente applicandola alle condizioni
del capitalismo monpolistico, tenendo conto inoltre che il capitalismo monopolistico
non cerca un qualsiasi profitto, ma precisamente il profitto massimo. Sarebbe
appunto questa la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo.
I tratti principali e le esigenze della legge economica fondamentale del capitalismo
contemporaneo potrebbero formularsi all'incirca in questo modo: realizzazione
del massimo profitto capitalistico mediante lo sfruttamento, la rovina, e
l'impoverimento della maggioranza della popolazione di un determinato paese,
mediante l'asservimento e la spoliazione sistematica dei popoli degli altri
paesi, particolarmente dei paesi arretrati, e infine, mediante le guerre e
la militarizzazione dell'economia nazionale, utilizzate per realizzare i profitti
massimi.
Si dice che il profitto medio potrebbe considerarsi tuttavia come del tutto
sufficiente allo sviluppo capitalistico nelle condizioni attuali. Non è
vero. Il profitto medio è il limite più basso del rendimento,
oltre il quale la produzione capitalistica diventa impossibile; ma sarebbe
ridicolo pensare che i cavalieri d'industria del capitalismo monopolistico
contemporaneo si impadroniscano delle colonie, soggioghino i popoli e tramino
le guerre solo per cercare di assicurarsi il profitto medio. No, non il profitto
medio, e nemmeno il sovraprofitto, che di regola rappresenta solo una certa
maggiorazione del profitto medio, ma precisamente il profitto massimo è
il motore del capitalismo monopolistico. Precisamente la necessità
di realizzare i profitti massimi spinge il capitalismo monopolistico a compiere
passi arrischiati quali sono l'asservimento e la spoliazione sistematica delle
colonie e degli altri paesi arretrati, la trasformazione di numerosi paesi
indipendenti in paesi dipendenti, l'organizzazione di nuove guerre che costituiscono
per i cavalieri d'industria del capitalismo contemporaneo il migliore "affare",
che permette di ricavare i profitti massimi, e infine, i tentativi di conquistare
il dominio economico mondiale.
L'importanza della legge economica fondamentale del capitalismo consiste,
fra l'altro, nel fatto che essa, determinando tutti i più importanti
fenomeni nel campo dello sviluppo del modo capitalistico di produzione, le
sue ascese e le sue crisi, le sue vittorie e le sue sconfitte, i suoi pregi
e i suoi difetti - tutto il processo del suo contraddittorio sviluppo -, dà
la possibilità di capirli e spiegarli.
Ecco uno fra numerosi esempi "sorprendenti".
A tutti sono noti i fatti della storia e della pratica del capitalismo, che
dimostrano l'impetuoso sviluppo della tecnica nel capitalismo, quando i capitalisti
agiscono come alfieri della tecnica d'avanguardia, come rivoluzionari nel
campo dello sviluppo della tecnica produttiva. Ma sono noti anche fatti d'altro
genere, che dimostrano l'arresto dello sviluppo tecnico nel capitalismo, quando
i capitalisti agiscono come reazionari nel campo dello sviluppo della nuova
tecnica e passano non di rado al lavoro a mano.
Come spiegare questa contraddizione stridente? La si può spiegare soltanto
con la legge economica fondamenta del capitalismo contemporaneo, cioè
con la necessità di ottenere profitti massimi. Il capitalismo è
per la nuova tecnica quando essa gli promette i maggiori profitti. Il capitalismo
è contro la nuova tecnica e per il passaggio al lavoro a mano, quando
la nuova tecnica non gli promette più i maggiori profitti.
Così stanno le cose per quanto riguarda la legge economica fondamentale
del capitalismo contemporaneo.
Esiste una legge economica fondamentale del socialismo? Sì, esiste.
In che cosa consistono i tratti essenziali e le esigenze di questa legge?
I tratti essenziali e le esigenze della legge economica fondamentale del socialismo
potrebbero formularsi all'incirca in questo modo: assicurazione del massimo
soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta
la società, mediante l'aumento ininterrotto e il perfezionamento della
produzione socialista sulla base di una tecnica superiore.
Quindi: non assicurazione dei profitti massimi, ma assicurazione del massimo
soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali della società;
non sviluppo della produzione con fratture tra l'avanzata e la crisi e tra
la crisi e l'avanzata, ma sviluppo ininterrotto della produzione; non interruzioni
periodiche nello sviluppo della tecnica, accompagnate dalla distruzione delle
forze produttive della società, ma perfezionamento continuo della produzione
sulla base di una tecnica più elevata.
Si dice che la legge economica fondamentale del socialismo è la legge
dello sviluppo pianificato, proporzionale dell'economia nazionale. Questo
non è vero. Lo sviluppo pianificato dell'economia nazionale, e quindi
anche la pianificazione dell'economia nazionale, che rispecchiano più
o meno fedelmente questa legge, di per sé non possono esprimere nulla,
se non si conosce verso quale meta procede lo sviluppo pianificato dell'economia
nazionale, oppure se la meta non è chiara. La legge dello sviluppo
pianificato dell'economia nazionale può avere la dovuta efficacia solo
nel caso che esista una meta verso la cui attuazione procede lo sviluppo pianificato
della economia nazionale. Di per sé, la legge dello sviluppo pianificato
dell'economia nazionale non può indicare questa meta. A maggior ragione
la meta non può essere indicata dalla pianificazione dell'economia
nazionale. Questa meta è contenuta nella legge economica fondamentale
del socialismo e consiste nelle esigenze esposte sopra. Quindi, la legge dello
sviluppo pianificato dell'economia nazionale può operare in tutta la
sua estensione solo nel caso che poggi sulla legge economica fondamentale
del socialismo.
Per quanto riguarda la pianificazione dell'economia nazionale, essa può
ottenere risultati positivi solo se si osservano due condizioni: a) deve rispecchiare
esattamente le esigenze della legge dello sviluppo pianificato della economia
nazionale; b) deve uniformarsi interamente alle esigenze della legge economica
fondamentale del socialismo.
8. - Altre questioni.
1. - Questione della coercizione extraeconomica nel regime
feudale.
Naturalmente, la coercizione extraeconomica ha avuto la sua funzione nel consolidamento
del potere economico dei grandi proprietari feudali, ma non fu essa la base
del feudalesimo, bensì la proprietà feudale della terra.
2. - Questione della proprietà personale della famiglia colcosiana.
Sarebbe errato dire nel progetto di manuale che "ogni famiglia colcosiana
ha in godimento personale una mucca, il bestiame minuto e gli animali da cortile".
In realtà, come è noto, la mucca, il bestiame minuto, gli animali
da cortile, ecc. non si trovano in godimento personale, ma in proprietà
personale della famiglia colcosiana. L'espressione "in godimento personale"
è presa evidentemente dallo statuto modello dell'artel agricolo. Ma
nello statuto modello dell'artel agricolo è stato commesso un errore.
La Costituzione dell'Urss, che è stata elaborata con maggior cura,
dice in modo diverso e precisamente:
"Ogni famiglia appartenente a un colcos... ha in proprietà personale
l'impresa ausiliaria esistente sul suo appezzamento, la casa d'abitazione,
il bestiame produttivo, gli animali da cortile e l'attrezzamento agricolo
minuto".
Questo, naturalmente, è giusto.
Inoltre, bisognerebbe dire in modo più particolareggiato che ogni colcosiano
ha in proprietà personale da una a più mucche, secondo le condizioni
locali, un certo numero di pecore, di capre, di maiali (anch'essi da uno a
più secondo le condizioni locali) e un numero non limitato di volatili
domestici (anatre, oche, galline, tacchini).
Questi particolari hanno una grande importanza per i nostri compagni stranieri,
i quali vogliono sapere con precisione che cosa è rimasto propriamente
alla famiglia colcosiana in proprietà personale, dopo che da noi è
stata attuata la collettivazione dell'agricoltura.
3. - Questione dell'ammontare del fitto pagato dai contadini ai proprietari
fondiari, e anche dell'ammontare delle spese necessarie per acquistare la
terra.
Il progetto di manuale dice che, in seguito alla nazionalizzazione della terra,
"i contadini sono stati esonerati dal pagare il fitto ai proprietari
fondiari per una somma che si aggira attorno ai 500 milioni di rubli annui"
(si deve dire rubli "oro"). Questa cifra dovrebbe essere precisata,
perché, a mio avviso, essa tiene conto dei fitti pagati non in tutta
la Russia, ma solo nella maggioranza delle province della Russia. Inoltre
bisogna tenere presente che in numerose regioni periferiche della Russia il
fitto si pagava in natura, il che probabilmente non è stato tenuto
in considerazione dagli autori del progetto di manuale. Infine bisogna tener
presente che contadini non sono stati esonerati solo dal pagamento del fitto,
ma anche dalle spese annue per l'acquisto della terra. Tiene conto di questo
il progetto di manuale? Mi pare che non ne tiene conto, mentre lo si dovrebbe
fare.
4. - Questione dell'integrazione dei monopoli nell'apparato statale.
L'espressione "integrazione" non va bene. Questa espressione rileva
in modo superficiale e descrittivo l'avvicinamento fra i monopoli e lo Stato,
ma non pone in luce il significato economico di questo avvicinamento. Il fatto
è che, nel processo di questo avvicinamento, non si verifica solo un'integrazione,
ma una subordinazione dell'apparato statale ai monopoli. Per questo bisognerebbe
togliere il termine "integrazione" e sostituirlo con l'espressione
"subordinazione dell'apparato statale ai monopoli".
5. - Questione dell'impiego delle macchine nella Urss.
Nel progetto di manuale è detto che "nell'Urss le macchine vengono
impiegate in tutti i casi in cui assicurano alla società un risparmio
di lavoro". Non è affatto questo che si doveva dire. In primo
luogo, le macchine nell'Urss assicurano sempre alla società un risparmio
di lavoro, per cui non conosciamo casi in cui esse, nelle condizioni dell'Urss,
non assicurino alla società un risparmio di lavoro. In secondo luogo,
le macchine non solo assicurano un risparmio di lavoro ma in pari tempo facilitano
il lavoro dei lavoratori, per cui, nelle nostre condizioni, a differenza di
quanto accade nelle condizioni del capitalismo, gli operai utlizzano con grande
entusiasmo le macchine nel processo lavorativo.
Si dovrebbe dire perciò che in nessun paese le macchine vengono impiegate
così volentieri come nell'Urss, poiché le macchine assicurano
alla società un risparmio di lavoro e facilitano il lavoro degli operai,
e siccome nell'Urss non esiste disoccupazione, gli operai utilizzano con grande
entusiasmo le macchine nell'economia nazionale.
6. - Questione della situazione materiale della classe operaia nei paesi capitalistici.
Quando si parla della situazione materiale della classe operaia, si allude
comunemente agli operai occupati nella produzione e non si tiene conto della
situazione materiale del cosiddetto esercito di riserva dei disoccupati. è
giusto questo modo di considerare la questione della situazione materiale
della classe operaia? Ritengo che non è giusto. Se esiste un esercito
di riserva dei disoccupati, i cui componenti non possono vivere che vendendo
la loro forza di lavoro, i disoccupati non possono non far parte della classe
operaia; ma se essi fanno parte della classe operaia, la loro situazione di
miseria non può non influire sulla situazione materiale degli operai
occupati nella produzione. Ritengo perciò che nel caratterizzare la
situazione materiale della classe operaia nei paesi capitalistici si dovrebbe
anche tener conto della situazione dell'esercito di riserva degli operai disoccupati.
7. - Questione del reddito nazionale.
Ritengo che si dovrebbe assolutamente inserire nel progetto di manuale un
nuovo capitolo sul reddito nazionale.
8. - Questione del capitolo speciale del manuale su Lenin e Stalin, come fondatori
dell'economia politica del socialismo.
Ritengo che il capitolo La dottrina marxista del socialismo. V. I. Lenin e
G. V. Stalin fondatori dell'economia politica del socialismo debba essere
tolto dal manuale. Esso è del tutto superfluo nel manuale, perché
non dice nulla di nuovo e non fa che ripetere superficialmente quanto è
detto più particolareggiatamente nei capitoli precedenti del manuale.
Per quanto riguarda le rimanenti questioni non ho alcuna osservazione da fare
alle "proposte' dei compagni Ostrovitianov, Leontiev, Scepilov, Gatovski,
ecc.
9. - Importanza internazionale di un manuale marxista di economia economica.
Ritengo che i compagni non apprezzino tutto l'importanza di un manuale marxista
di economia politica. Il manuale non è solo necessario alla nostra
gioventù sovietica. Esso è particolarmente necessario ai comunisti
di tutti i paesi e a coloro che simpatizzano per i comunisti. I nostri compagni
stranieri vogliono sapere in che modo ci siamo liberati dalla schiavitù
capitalistica, in che modo abbiamo trasformato l'economia del paese nello
spirito del socialismo, come abbiamo conquistato l'amicizia dei contadini;
come siamo riusciti a trasformare il nostro paese ancora sino dai tempi recenti
misero e debole in un paese ricco, potente, che cosa rappresentano i colcos;
perché noi, nonostante la socializzazione dei mezzi di produzione,
non aboliamo la produzione mercantile, la valuta, il commercio, ecc. Essi
vogliono sapere tutte queste cose e molte altre non per semplice curiosità,
ma per imparare da noi e mettere a profitto la nostra esperienza per il loro
paese. Per questo la pubblicazione di un buon manuale marxista di economia
politica ha non solo un'importanza politica interna, ma anche una grande importanza
internazionale.
è necessario, per conseguenza, un manuale che possa servire da libro
di consultazione quotdiana della gioventù rivoluzionaria, non solo
all'interno del paese, ma anche all'estero. Non deve essere troppo voluminoso,
poiché un manuale troppo voluminoso non può diventare un libro
di consultazione quotidiana e sarebbe difficile assimiliarlo, venirne a capo.
Deve però contenere tutto l'esenziale che si riferisce sia all'economia
del nostro paese, che all'economia del capitalismo e del sistema coloniale.
Alcuni compagni hanno proposto durante la discussione di inserire nel manuale
tutta una serie di nuovi capitoli: gli storici, capitoli di storia; i politici
di politica, i filosofi di filosfia, gli economisti di ecoomia. Ma ciò
porterebbe ad accrescere a dismisura le proporzioni del manuale. Questo, naturalmente,
non si può accettarlo. Il manuale si serve del metodo storico per illustrare
i problemi dell'economia politica, ma questo non significa ancora che dobbiamo
trasformare un manuale di economia politica in una storia dei rapporti economici.
Ci serve un manuale di 500, al massimo 600 pagine - non di più. Il
manuale sarà un volume di consultazione quotidiana per l'economia politica
marxista e un buon regalo ai giovani comunisti di tutti i paesi.
Del resto, dato l'insufficiente livello di sviluppo marxista della maggior
parte dei partiti comunisti dei paesi esteri, questo manuale potrebbe anche
essere di grande aiuto ai quadri comunisti anziani di questi paesi.
10. - Metodi per migliorare il progetto di manuale di economia politica.
Alcuni compagni, durante la discussione, "si sono scagliati" con
eccessivo accanimento contro il progetto di manuale, hanno rimproverato ai
suoi autori errori e omissioni, hanno affermato che il progetto non è
riuscito. Questo non è giusto. Naturalmente il manuale ha errori e
omissioni - essi vi sono quasi sempre in un grande lavoro. Ma comunque stiano
queste cose, la stragrande maggioranza di coloro che hanno preso parte alla
discussione ha riconosciuto tuttavia che il progetto di manuale può
servire di base per un futuro manuale e ha solo bisogno di alcune correzioni
e aggiunte. In realtà, basta solo paragonare il progetto di manuale
ai manuali di economia politica che sono in circolazione, per giungere alla
conclusione che il progetto di manuale è di tutta una testa superiore
ai manuali esistenti. In questo è il grande merito dei suoi autori.
Ritengo che per migliorare il progetto di manuale si dovrebbe nominare una
commissione poco numerosa, includendovi non solo gli autori del manuale e
non solo coloro che condividono l'opinione della maggioranza degli intervenuti
nella discussione, ma anche degli avversari della maggioranza, critici accesi
del progetto di manuale.
Sarebbe bene includere nella commissione anche un esperto studioso di statistica
per controllare i dati e arricchire il progetto di nuovi materiali statistici,
e anche un esperto di diritto per verificare l'esattezza di certe formulazioni.
I membri della commissione dovrebbero essere per un certo tempo esonerati
da qualsiasi altro lavoro e liberati completamente da qualsiasi preoccupazione
materiale, affinché possano dedicarsi interamente al lavoro del manuale.
Inoltre si dovrebbe nominare una commissione di redazione formata, poniamo,
da tre membri, incaricata di dare al manuale la redazione definitiva. Questo
è indispensabile anche per ottenere quella uniformità di stile
che, purtroppo, manca al progetto di manuale.
Il termine entro cui presentare il manuale al Comitato centrale dovrebbe essere
un anno.
1° febbraio 1952
G. Stalin
Risposta al comp. Alessandro Ilic Notkin
Compagno Notkin!
Non mi sono affrettato a rispondere perché le questioni da Voi poste,
a mio avviso, non sono urgenti, tanto più che esistono altre questioni
aventi carattere d'urgenza che, naturalmente, distolgono la mia attenzione
dalla vostra lettera.
Rispondo secondo i vari punti.
Sul primo punto.
Nelle Osservazioni si trova la nota affermazione che la società non
è importante di fronte alle leggi della scienza, che gli uomini, conosciute
le leggi economiche, possono utilizzarle nell'interesse della società.
Voi dite che questa affermazione non può essere estesa alle altre formazioni
sociali, che può avere vigore solo nel socialismo e nel comunismo,
che il carattere spontaneo dei processi economici, per esempio nel capitalismo,
non permette alla società di utilizzare le leggi economiche a proprio
vantaggio.
Questo non è vero. Nell'epoca della rivoluzione borghese, per esempio,
in Francia la borghesia utilizzò contro il feudalesimo la nota legge
della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere delle
forze produttive, rovesciò i rapporti di produzione feudali, creò
i nuovi rapporti di produzione borghesi e fece sì che questi rapporti
di produzione corrispondessero al carattere delle forze produttive, cresciute
in seno al regime feudale. La borghesia fece questo non grazie a sue particolari
capacità, ma perché vi era interessata in modo vitale. I feudatari
resistettero non per loro ottusità, ma perché erano in modo
vitale interessati a impedire la attuazione di questa legge.
Lo stesso si deve dire della rivoluzione socialista nel nostro paese. La classe
operaia ha utilizzato la legge della necessaria corrispondenza dei rapporti
di produzione al carattere delle forze produttive, ha rovesciato i rapporti
di produzione borghesi, ha creato nuovi rapporti di produzione, socialisti,
e ha fatto sì che corrispondessero al carattere delle forze produttive.
Essa ha potuto fare questo non grazie a sue particolari capacità, ma
perché vi era interessata in modo vitale. La borghesia, che da forza
di avanguardia quale era all'alba della rivoluzione borghese si era già
trasformata in forza controrivoluzionaria, resistette con ogni mezzo all'attuazione
di questa legge, - resistette non perché fosse male organizzata e neanche
perché il carattere spontaneo dei processi economici la spingesse a
resistere, ma principalmente perché essa era in modo vitale interessata
a opporsi all'attuazione di questa legge.
Per conseguenza:
1) l'utilizzazione dei processi economici, delle leggi economiche nell'interesse
della società si compie in una determinata misura non solo nel socialismo
e nel comunismo, ma anche nelle altre formazioni;
2) l'utilizzazione delle leggi economiche ha sempre e dappertutto, in una
società divisa in classi, un substrato di classe, e l'alfiere dell'utilizzazione
delle leggi economiche nell'interesse della società è sempre
e dappertutto la classe d'avanguardia, mentre le classi superate si oppongono.
In questo la differenza tra il proletariato, da una parte, e le altre classi
dall'altra, che nel corso della storia hanno nel passato compiuto dei rivolgimenti
nei rapporti di produzione, consiste nel fatto che gli interessi di classe
del proletariato si fondono con gli interessi della stragrande maggioranza
della società, perché la rivoluzione del proletariato non significa
la soppressione di questa o quella forma di sfruttamento, ma la soppressione
di qualsiasi sfruttamento, mentre le rivoluzioni delle altre classi, distruggendo
solo questa o quella forma di sfruttamento, sono rimaste circoscritte nell'ambito
dei loro ristretti interessi di classe, in contrasto con gli interessi della
maggioranza della società.
Nelle Osservazioni si parla del substrato di classe della utilizzazione delle
leggi economiche nell'interesse della società. In essi si dice che
"a differenza delle leggi delle scienze naturali, dove la scoperta e
l'applicazione di una nuova legge hanno luogo in modo più o meno pacifico,
nel campo economico la scoperta e l'applicazione di una nuova legge la quale
urti gli interessi delle forze della società che hanno fatto il loro
tempo, incontrano una fortissima resistenza da parte di queste forze".
Però voi non avete fatto attenzione a questo.
Sul secondo punto.
Voi affermate che una piena corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere
delle forze produttive può essere raggiunta soltanto nel socialismo
e nel comunismo, mentre nelle altre formazioni può essere attuata solo
una corrispondenza incompleta.
Ciò non è vero. Nell'epoca successiva alla rivoluzione borghese,
quando la borghesia distrusse i rapporti di produzione feudali e creò
i rapporti di produzione borghesi, vi sono stati certamente dei periodi in
cui i rapporti di produzione borghesi erano pienamente conformi al carattere
delle forze produttive. Se così non fosse stato, il capitalismo non
avrebbe potuto svilupparsi con la rapidità con cui si è sviluppato
dopo la rivoluzione borghese.
Inoltre, non si possono intendere in senso assoluto le parole "piena
corrispondenza". Non si possono intendere nel senso che nel socialismo
non esista nessun ritardo dei rapporti di produzione rispetto allo sviluppo
delle forze produttive. Le forze produttive sono le forze più mobili
e rivoluzionarie della produzione. Esse precedono indiscutibilmente i rapporti
di produzione anche nel socialismo. I rapporti di produzione, sia pure soltanto
per un certo periodo di tempo, si modificano in conformità con il carattere
delle forze produttive.
Come bisogna quindi intendere le parole "piena corrispondenza"?
Bisogna intenderle nel senso che nel socialismo di solito non si giunge sino
a un conflitto tra i rapporti di produzione e le forze produttive, nel senso
che la società ha la possibilità di rendere tempestivamente
conformi al carattere delle forze produttive i rapporti di produzione in ritardo.
La società socialista ha la possibilità di fare questo, perché
non ha nel suo seno classi sorpassate, capaci di organizzare una resistenza.
Naturalmente, anche nel socialismo vi saranno forze inerti e arretrate, che
non comprenderanno la necessità di modificare i rapporti di produzione
ma, naturalmente, non sarà difficile superarle, senza giungere sino
a un conflitto.
Sul terzo punto.
Dalle vostre osservazioni risulta che voi considerate i mezzi di produzione,
e prima di tutto gli strumenti di produzione, prodotti dalle nostre aziende
nazionalizzate, come merce.
E' possibile considerare i mezzi di produzione, nel nostro regime socialista,
come merce? Secondo me, non è assolutamente possibile.
La merce è un prodotto della produzione, che viene venduto a qualsiasi
acquirente, e quando la merce viene venduta il proprietario della merce perde
il diritto di proprietà su di essa e l'acquirente diventa proprietario
della merce, che può rivendere, impegnare e far marcire. Rientrano
anche i mezzi di produzione in questa definizione? E' chiaro che non vi rientrano.
In primo luogo, i mezzi di produzione non "sono venduti" a qualsiasi
acquirente; non "sono venduti" neppure ai colcos, ma vengono soltanto
distribuiti dallo Stato tra le sue aziende. In secondo luogo, il proprietario
dei mezzi di produzione, lo Stato, nel consegnarli all'una o all'altra azienda
non perde in alcun modo il diritto di proprietà sui mezzi di produzione,
ma al contrario lo conserva interamente. In terzo luogo, i direttori delle
aziende, che hanno ricevuto dallo Stato i mezzi di produzione, non solo non
ne divengono proprietari, ma al contrario sono considerati come incaricati
dallo Stato sovietico di utilizzare i mezzi di produzione, in conformità
con i piani stabiliti dallo Stato.
E' quindi evidente che i mezzi di produzione non possono nel nostro regime
rientrare in alcun modo nella categoria delle merci.
Perché dunque in questo caso si parla di valore dei mezzi di produzione,
del loro costo, del loro prezzo, ecc.?
Per due ragioni.
In primo luogo ciò è necessario per calcolare, per fare i conti,
per definire la redditività e la passività delle aziende, per
verificare e controllare le aziende. Ma questo è soltanto un lato formale
della questione.
In secondo luogo ciò è necessario per realizzare la vendita
dei mezzi di produzione a Stati stranieri, nell'interesse del commercio estero.
Qui nel campo del commercio estero, ma solo in questo campo, i nostri mezzi
di produzione sono effettivamente merci e vengono effettivamente venduti (senza
virgolette).
Ne consegue dunque che nel campo del commercio estero i mezzi di produzione
prodotti dalle nostre aziende conservano le caratteristiche delle merci sia
per la sostanza che per la forma, mentre nel campo della circolazione economica
all'interno del paese i mezzi di produzione perdono le caratteristiche delle
merci, cessano di essere merci ed escono dai limiti della sfera d'azione della
legge del valore, conservando solo la forma esteriore delle merci (calcolo,
ecc.).
Come si spiega questa particolarità?
Il fatto è che nelle nostre condizioni socialiste lo sviluppo economico
non si attua mediante rivoluzioni, ma attraverso modificazioni graduali; il
vecchio non viene semplicemente liquidato, ma modifica la sua natura, in relazione
al nuovo, conservando soltanto la sua forma, mentre il nuovo non distrugge
semplicemente il vecchio, ma penetra in esso, modifica la sua natura, le sue
funzioni, senza distruggerne la forma, ma impiegandola per lo sviluppo del
nuovo. Così stanno le cose non solo riguardo alle merci, ma anche riguardo
al denaro nella nostra circolazione economica, così stanno le cose
riguardo alle banche, le quali perdendo le loro vecchie funzioni e assumendone
nuove, conservano la vecchia forma, che viene utilizzata dal regime socialista.
Se esaminiamo la questione guardando alla forma, ai processi che si compiono
alla superficie dei fenomeni, si può giungere alla conclusione errata
che le categorie del capitalismo conservino vigore nella nostra economia.
Se invece esaminiamo la cosa attraverso un'analisi marxista, che stabilisce
una rigorosa differenza tra il contenuto del processo economico e la sua forma,
tra i processi di fondo dello sviluppo e i fenomeni superficiali, allora si
può giungere all'unica conclusione giusta che delle vecchie categorie
del capitalismo si è conservata da noi principalmente la forma, l'immagine
esterna, mentre esse sono state radicalmente modificate nella sostanza in
connessione con le esigenze di sviluppo dell'economia nazionale socialista.
Sul quarto punto.
Voi affermate che la legge del valore esercita una influenza regolatrice sui
prezzi dei "mezzi di produzione" prodotti dall'agricoltura e consegnati
allo Stato a prezzi di ammasso. Dicendo questo vi riferite a "mezzi di
produzione", quali sono le materie prime, ad esempio il cotone. Potreste
aggiungere anche il lino, la lana e altre materie prime prodotte dall'agricoltura.
Bisogna anzitutto osservare che in questo caso l'agricoltura non produce "mezzi
di produzione" ma uno dei mezzi di produzione, le materie prime. Non
si deve giocare con le parole "mezzi di produzione". Quando i marxisti
parlano di produzione dei mezzi di produzione, essi si riferiscono anzitutto
alla produzione degli strumenti della produzione, a ciò che Marx chiama
"i mezzi meccanici di lavoro, il cui insieme può essere detto
sistema osseo e muscolare della produzione", che costituiscono "gli
elementi caratteristici e distintivi di una determinata epoca della produzione
sociale". Porre sullo stesso piano una parte dei mezzi di produzione
(le materie prime) e i mezzi di produzione, quindi anche gli strumenti della
produzione, significa peccare contro il marxismo, poiché il marxismo
muove dalla funzione determinante degli strumenti della produzione rispetto
a tutti gli altri mezzi di produzione. E' a tutti noto che le materie prime
di per sé non possono produrre strumenti della produzione, anche se
alcuni tipi di materie prime sono necessari come materiali per la produzione
degli strumenti della produzione, mentre nessuna materia prima può
essere prodotta senza strumenti di produzione.
Procediamo. Vi è un'influenza della legge del valore sul prezzo delle
materie prime prodotte nell'agricoltura, un influenza regolatrice, come affermate
voi, compagno Notkin? Essa sarebbe regolatrice se da noi esistesse il "libero"
gioco dei prezzi delle materie prime agricole, se da noi agisse la legge della
concorrenza e dell'anarchia della produzione, se da noi non vi fosse un'economia
pianificata, se la produzione delle materie prime non fosse regolata da un
piano. Ma poiché tutti questi "se" mancano nel sistema della
nostra economia nazionale, l'influenza della legge del valore sul prezzo delle
materie prime agricole non può essere in nessun modo regolatrice. In
primo luogo, da noi i prezzi delle materie prime agricole sono fissi, stabiliti
dal piano, e non "liberi". In secondo luogo, le dimensioni della
produzione delle materie prime agricole non sono determinate da fattori naturali
o da qualsiasi altro elemento casuale, ma dal piano. In terzo luogo, gli strumenti
di produzione, necessari per la produzione delle materie prime agricole non
sono concentrati nelle mani di singole persone o di gruppi di persone, ma
nelle mani dello Stato. Che cosa rimane dopo ciò della funzione regolatrice
della legge del valore? Risulta che la legge stessa del valore è regolata
dai fatti sopra indicati, propri della produzione socialista.
Non è quindi possibile negare che la legge del valore agisce sulla
formazione dei prezzi delle materie prime agricole, che essa ne sia uno dei
fattori. Ma a maggior ragione è innegabile che questa influenza non
è e non può essere determinante.
Sul quinto punto.
Parlando del rendimento dell'economia nazionale socialista ho sollevato obiezioni
nelle mie Osservazioni ad alcuni compagni, i quali affermano che, poiché
la nostra economia nazionale pianificata non dà una grande preferenza
alle aziende redditizie e tollera l'esistenza, accanto a queste aziende, anche
di aziende non redditizie, essa ucciderebbe il principio stesso del rendimento
nell'economia. Nelle Osservazioni è detto che il rendimento per le
aziende e i settori di produzione singoli non è in alcun modo paragonabile
a quel tipo superiore di rendimento che ci offre la produzione socialista,
liberandoci dalle crisi di sovraproduzione e garantendoci un aumento continuo
della produzione.
Ma sarebbe errato trarre da ciò la conclusione che il rendimento di
aziende e settori di produzione singoli non abbia un particolare valore e
non meriti che gli si presti seria attenzione. Questo, naturalmente, non è
vero. La redditività di aziende e settori di produzione singoli ha
una enorme importanza per lo sviluppo della nostra produzione. Essa deve essere
presa in considerazione sia nella pianificazione delle costruzioni, che nella
pianificazione della produzione. Essa è l'abicì della nostra
attività economica nell'attuale tappa di sviluppo.
Sul sesto punto.
Non è chiaro come si debbano intendere le vostre parole relative al
capitalismo; "Produzione allargata in forma molto deformata". E'
necessario dire che simili produzioni, e per di più allargate, non
esistono nel mondo.
E' evidente che, dopo che il mercato mondiale si è diviso e la sfera
di applicazione delle forze dei principali paesi capitalistici (Stati Uniti
di America, Inghilterra, Francia) alle risorse mondiali ha cominciato a ridursi,
il carattere ciclico di sviluppo del capitalismo - aumento e contrazione della
produzione - deve tuttavia conservarsi. Ma l'aumento della produzione in questi
paesi si verificherà su una base ristretta, poiché il volume
della produzione di questi paesi si ridurrà.
Sul settimo punto.
La crisi generale del sistema capitalistico mondiale è cominciata nel
periodo della prima guerra mondiale, particolarmente in seguito al distacco
dell'Unione Sovietica dal sistema capitalistico. Questa è stata la
prima tappa della crisi generale. Nel periodo della seconda guerra mondiale
si è svolta la seconda tappa della crisi generale, particolarmente
dopo il distacco dal sistema capitalistico dei paesi di democrazia popolare
in Europa e in Asia. La prima crisi nel periodo della prima guerra mondiale
e la seconda crisi nel periodo della seconda guerra mondiale non debbono essere
considerate come crisi isolate, staccate l'una dall'altra, autonome, ma come
tappe di sviluppo della crisi generale del sistema capitalistico mondiale.
E' la crisi generale del capitalismo mondiale soltanto una crisi politica
o soltanto una crisi economica? Né l'una cosa né l'altra. Essa
è una crisi generale, ossia multilaterale, del sistema mondiale del
capitalismo, e abbraccia tanto l'economia quanto la politica. Si capisce quindi
che alla base di essa sta la disgregazione sempre più accentuata del
sistema economico mondiale del capitalismo da una parte e la potenza economica
crescente dei paesi staccatisi dal capitalismo, l'Urss, la Cina, e gli altri
paesi di democrazia popolare, dall'altra parte.
21 aprile 1952
G. Stalin
Sugli errori del comp. L. D. Iaroscenko
Il compagno Iaroscenko ha recentemente distribuito ai membri
dell'Ufficio politico del Comitato centrale del PC(b) dell'Urss una lettera
in data 20 marzo di quest'anno, concernente numerose questioni economiche
dibattute durante la nota discussione di novembre. Nella lettera ci si duole
che i principali documenti nei quali si traggono le conclusioni generali della
discussione, come anche le Osservazioni del compagno Stalin, "non hanno
tenuto in minimo conto l'opinione" del compagno Iaroscenko. La lettera
contiene inoltre la proposta del compagno Iaroscenko di autorizzarlo a redigere
una Economia politica del socialismo entro il termine di un anno o di un anno
e mezzo, dandogli due collaboratori per tale lavoro.
Penso che si debbano esaminare nella sostanza sia le lagnanze del compagno
Iaroscenko, che la sua proposta.
Cominciamo dalle lagnanze.
In che consiste dunque "il punto di vista" del compagno Iaroscenko
che non è stato tenuto in minimo conto dai documenti suddetti?
1. - L'errore principale del compagno Iaroscenko.
Se si vuole caratterizzare in due parole l'opinione del compagno Iaroscenko,
bisogna dire che essa non è marxista e, per conseguenza, è profondamente
erronea.
L'errore principale del compagno Iaroscenko è di allontanarsi dal marxismo
nella questione della funzione delle forze produttive e dei rapporti di produzione
nello sviluppo della società, di sopravvalutare in modo eccessivo la
funzione delle forze produttive, di sottovalutare in modo altrettanto eccessivo
la funzione dei rapporti di produzione e di finire per dichiarare che i rapporti
di produzione nel socialismo sono una parte delle forze produttive.
Il compagno Iaroscenko è d'accordo nel riconoscere ai rapporti di produzione
una certa funzione nelle condizioni "di contrasti antagonistici di classe",
poiché in questo caso i rapporti di produzione "sono in contrasto
con lo sviluppo delle forze produttive". Ma egli limita questa funzione
a un'azione negativa, di fattore che ostacola lo sviluppo delle forze produttive,
ne incatena lo sviluppo. Altre funzioni, funzioni in qualche modo positive
dei rapporti di produzione, il compagno Iaroscenko non ne vede.
Per quanto riguarda il regime socialista, nel quale non esistono più
"contrasti antagonistici di classe" e nel quale i rapporti di produzione
"non sono più in contrasto con lo sviluppo delle forze produttive",
il compagno Iaroscenko ritiene che qui scompare qualsiasi funzione autonoma
dei rapporti di produzione, i rapporti di produzione cessano di essere un
serio fattore di sviluppo e vengono assorbiti dalle forze produttive come
una parte dal tutto. Nel socialismo "i rapporti di produzione degli uomini
- dice il compagno Iaroscenko - fanno parte dell'organizzazione delle forze
produttive, come un mezzo, come un elemento di questa organizzazione"
(vedi lettera del compagno Iaroscenko all'Ufficio politico del Comitato centrale).
Qual è in tal caso il compito principale dell'economia politica del
socialismo? Il compagno Iaroscenko risponde: "Il problema principale
dell'economia politica del socialismo non è perciò di studiare
i rapporti di produzione degli uomini della società socialista, ma
di elaborare e sviluppare una teoria scientifica dell'organizzazione delle
forze produttive nella produzione sociale, una teoria della pianificazione
dello sviluppo dell'economia" (vedi discorso del compagno Iaroscenko
alla riunione dell'assemblea plenaria per la discussione).
Così appunto si spiega che il compagno Iaroscenko non si occupi di
questioni economiche del regime socialista quali l'esistenza di forme diverse
di proprietà nelal nostra economia, la circolazione mercantile, la
legge del valore, ecc., considerandole questioni di second'ordine, che provocano
soltanto discussioni scolastiche. Egli dichiara apertamente che nella sua
Economia politica del socialismo "la discussioni sulla funzione di questa
o quella categoria dell'economia politica del socialismo - quali il valore,
la merce, il denaro, il credito, ecc. - che spesso assumono da noi un carattere
scolastico, vengono sostituite da sani ragionamenti sull'organizzazione razionale
delle forze produttive nella produzione sociale, dalla giustificazione scientifica
di questa organizzazione" (vedi discorso del compagno Iaroscenko alla
riunione dell'assemblea plenaria per la discussione).
Quindi, economia politica senza problemi economici.
Il compagno Iaroscenko pensa che basti istaurare "un'organizzazione razionale
delle forze produttive", perché il passaggio dal socialismo al
comunismo avvenga senza particolari difficoltà. Egli ritiene che questo
sia del tutto sufficiente per passare al comunismo. Egli dichiara apertamente
che "nel socialismo la lotta essenziale per edificare la società
comunista si riduce alla lotta per organizzare giustamente le forze produttive
e utilizzarle razionalmente nella produzione sociale" (vedi discorso
alla riunione dell'assemblea plenaria per la discussione). Il compagno Iaroscenko
proclama solennemente che "il comunismo è la più alta organizzazione
scientifica delle forze produttive nella produzione sociale".
Ne deriva, a quanto pare, che l'essenza del regime comunista si esaurisce
nell'"organizzazione razionale delle forze produttive".
Da tutto questo il compagno Iaroscenko trae la conclusione che non può
esistere un'unica economia politica per tutte le formazioni sociali, che vi
devono essere due economie politiche: una per le formazioni sociali presocialistiche,
che ha per oggetto lo studio dei rapporti di produzione degli uomini, l'altra
per il regime socialista, che non deve avere come oggetto lo studio dei rapporti
di produzione, vale a dire economici, ma lo studio delle questioni dell'organizzazione
razionale delle forze produttive.
Questa è l'opinione del compagno Iaroscenko.
Che cosa si può dire di questa opinione?
Non è vero, prima di tutto, che la funzione dei rapporti di produzione
nella storia della società sia soltanto una funzione di freno, che
incateni lo sviluppo delle forze produttive. Quando i marxisti parlano della
funzione di freno dei rapporti di produzione, essi non pensano a qualsiasi
genere di rapporti di produzione, ma solo ai vecchi rapporti di produzione
che non corrispondono più alla crescita delle forze produttive, e quindi
ne frenano lo sviluppo. Ma oltre ai vecchi rapporti di produzione esistono,
come è noto, nuovi rapporti di produzione che sostituiscono i vecchi.
Si può dire che la funzione dei nuovi rapporti di produzione si riduca
a essere una funzione di freno delle forze produttive? No, non lo si può
dire. Al contrario, i nuovi rapporti di produzione sono la forza principale
e decisiva, che determina appunto l'ulteriore e anche poderoso sviluppo delle
forze produttive; senza questi nuovi rapporti di produzione le forze produttive
sarebbero condannate alla stagnazione, come accade attualmente nei paesi capitalistici.
Nessuno può negare lo sviluppo colossale delle forze produttive della
nostra industria sovietica durante i piani quinquennali. Ma questo sviluppo
non si sarebbe avuto se nell'ottobre 1917 non avessimo sostituito ai vecchi
rapporti di produzione capitalistici nuovi rapporti di produzione socialisti.
Senza questo rivolgimento nei rapporti di produzione, economici, del nostro
paese, le forze produttive avrebbero da noi stagnato così come stagnano
attualmente nei paesi capitalistici.
Nessuno può negare lo sviluppo colossale delle forze produttive della
nostra agricoltura negli ultimi 20-25 anni. Ma questo sviluppo non si sarebbe
verificato se nel decennio 1930-1940 non avessimo sostituito ai vecchi rapporti
di produzione capitalistici nelle campagne nuovi rapporti di produzione collettivistici.
Senza questo rivolgimento nel campo della produzione le forze produttive della
nostra agricoltura avrebbero stagnato, così come stagnano attualmente
nei paesi capitalistici.
Naturalmente, i nuovi rapporti di produzione non possono restare e non restano
eternamente nuovi; essi cominciano a invecchiare e a entrare in contraddizione
con l'ulteriore sviluppo delle forze produttive, cominciano a perdere la funzione
di propulsore principale delle forze produttive e si trasformano in freno
di queste ultime. Allora, al posto di questi rapporti di produzione diventati
oramai vecchi, compaiono nuovi rapporti di produzione, la funzione dei quali
è di essere il propulsore principale dell'ulteriore sviluppo delle
forze produttive.
Questo sviluppo originale dei rapporti di produzione dalla funzione di freno
delle forze produttive alla funzione di loro propulsore principale e dalla
funzione di principale propulsore a quella di freno delle forze produttive,
costituisce uno degli elementi principali della dialettica materialistica
marxista. Lo sanno oggi tutti coloro che hanno una preparazione marxista.
Non lo sa, a quanto pare, il compagno Iaroscenko.
Non è vero, in secondo luogo, che nel socialismo la funzione autonoma
dei rapporti di produzione, vale a dire economici, scompaia; che i rapporti
di produzione vengano assorbiti dalle forze produttive; che nel socialismo
la produzione sociale si riduca alla organizzazione delle forze produttive.
Il marxismo considera la produzione sociale come un tutto, che ha due aspetti
inseparabili: le forze produttive della società (rapporti della società
con le forze naturali, lottando contro le quali essa si procura i beni materiali
indispensabili) e i rapporti di produzione (rapporti degli uomini fra di loro
nel processo produttivo). Si tratta di due diversi aspetti della produzione
sociale, sebbene indissolubilmente legati fra loro. E appunto perché
essi sono aspetti diversi della produzione sociale possono influenzarsi reciprocamente.
Affermare che uno di questi aspetti può essere assorbito dall'altro
e trasformato in sua parte integrante, significa peccare nel modo più
grave contro il marxismo.
Marx dice: "Nella produzione gli uomini non influiscono solo sulla natura,
ma reciprocamente fra loro. Essi non possono produrre senza associarsi in
qualche modo per svolgere un'attività comune e per scambiare reciprocamente
la loro attività. Per produrre, gli uomini entrano in determinati legami
e rapporti e solo per il tramite di questi legami e rapporti sociali esiste
il loro rapporto con la natura, ha luogo la produzione" (vedi K. Marx
e F. Engels, vol. V, pag. 429, ed. russa).
Per conseguenza, la produzione sociale ha due aspetti che, pur essendo indissolubilmente
legati tra loro, rispecchiano tuttavia due diversi gruppi di rapporti: i rapporti
degli uomini con la natura (forze produttive) e i rapporti degli uomini tra
di loro nel processo produttivo (rapporti di produzione). Soltanto la presenza
di entrambi questi aspetti della produzione ci dà la produzione sociale,
sia che si tratti del regime socialista o di altre formazioni sociali.
Il compagno Iaroscenko, evidentemente, non è del tutto d'accordo con
Marx. Egli ritiene che questa affermazione di Marx non sia applicabile al
regime socialista. Appunto perciò egli restringe il problema dell'economia
politica del socialismo al compito di organizzare razionalmente le forze produttive,
scartando i rapporti di produzione, i rapporti economici, e staccando da essi
le forze produttive.
Per conseguenza, invece di una Economia politica marxista, il compagno Iaroscenko
ci da qualcosa sul tipo della Scienza generale dell'organizzazione di Bogdanov.
In questo modo, partendo dal giusto concetto che le forze produttive sono
le forze più mobili e rivoluzionarie della produzione, il compagno
Iaroscenko porta questo concetto sino all'assurdo, sino a negare la funzione
dei rapporti di produzione, economici, nel socialismo, per cui, al posto di
una produzione sociale in tutta la sua concretezza, ci dà una tecnologia
della produzione unilaterale e scheletrica, qualcosa sul tipo della "tecnica
dell'organizzazione sociale" di Bukharin.
Marx dice:
"Nella produzione sociale della loro esistenza (vale a dire nella produzione
dei beni materiali indispensabili all'esistenza degli uomini - G. St.) gli
uomini entrano in rappporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro
volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato
grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi
rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società,
la base reale sulla quale si eleva una soprastruttura giuridica e poltica
e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale"3.
Ciò significa che ogni formazione sociale, ivi compresa anche la società
socialista, ha una propria base economica, costituita dall'insieme dei rapporti
di produzione degli uomini. Sorge la questione della base economica del regime
socialista per il compagno Iaroscenko. Come è noto, il compagno Iaroscenko
ha già liquidato nel socialismo i rapporti di produzione come campo
più o meno autonomo, includendo quel poco che è rimasto di essi
nell'organizzazione delle forze produttive. Si domanda se il regime socialista
ha una sua propria base economica. Evidentemente, posto che nel socialismo
i rapporti di produzione sono scomparsi come forze più o meno autonoma,
il regime socialista resta privo di una propria base economica.
Dunque, un regime socialista senza una propria base economica. Una cosa abbastanza
allegra...
è possibile in generale un regime sociale che non abbia una propria
base economica? Il compagno Iaroscenko ritiene, evidentemente, che sia possibile.
Il marxismo invece ritiene che al mondo non esistono simili regimi sociali.
Non è vero, infine, che il comunismo sia l'organizzazione razionale
delle forze produttive, che nell'organizzazione razionale delle forze produttive
si esaurisce la sostanza del regime comunista, che basti organizzare razionalmente
le forze produttive per passare al comunismo senza particolari difficoltà.
I nostri testi contengono un'altra definizione, un'altra formula del comunismo
e precisamente la formula di Lenin: "Il comunismo è il potere
sovietico più l'elettrificazione di tutto il paese". Al compagno
Iaroscenko, evidentemente, non piace la formula di Lenin ed egli la sostituisce
con una propria formula, di sua propria fabbricazione: "Il comunismo
è la più alta organizzazione scientifica delle forze produttive
nella produzione sociale".
In primo luogo, nessuno sa che cosa sia questa organizzazione "scientifica
più alta" o "razionale" delle forze produttive, propagandata
dal compagno Iaroscenko e quale sia il suo contenuto concreto. Il compagno
Iaroscenko ripete decine di volte questa formula mitica nei suoi discorsi
alla riunione plenaria e nelle riunioni di commissione, nella sua lettera
ai membri dell'Ufficio politico, ma non spende mai una sola parola per cercare
di spiegare come si deve intendere con precisione "l'organizzazione razionale"
delle forze produttive, nelle quali si esaurirebbe la sostanza del regime
comunista.
In secondo luogo, se si dovesse scegliere fra le due formule, bisognerebbe
respingere non la formula di Lenin, che è l'unica giusta, ma la cosiddetta
formula del compagno Iaroscenko, palesemente cervellotica e non marxista,
presa dall'arsenale di Bogdanov e cioè dalla Scienza generale dell'organizzazione.
Il compagno Iaroscenko pensa che basta arrivare a un'organizzazione razionale
delle forze produttive per ottenere abbondanza di prodotti e passare al comunismo,
passare dalla formula: "a ognuno secondo il suo lavoro" alla formula:
"a ognuno secondo i suoi bisogni". Questo è un grave errore,
che denuncia una totale incomprensione delle leggi dello sviluppo economico
del socialismo. Il compagno Iaroscenko concepisce le condizioni del passaggio
dal socialismo al comunismo con un semplicismo eccessivo, infantile. Il compagno
Iaroscenko non capisce che non si può ottenere né un'abbondanza
di prodotti capace di soddisfare tutto il fabbisogno della società,
né il passaggio alla formula "a ognuno secondo i suoi bisogni",
sino a che continuano a sussistere fatti economici come la proprietà
dei gruppi colcosiani, la circolazione mercantile, ecc. Il compagno Iaroscenko
non capisce che prima di passare alla formula "a ognuno secondo i suoi
bisogni", bisogna percorrere numerose tappe di rieducazione economica
e culturale della società, durante le quali il lavoro, da mezzo che
provvede esclusivamente al mantenimento in vita, verrà trasformato,
agli occhi della società, nella prima esigenza vitale e la proprietà
sociale in base incrollabile e intangibile di esistenza della società.
Per preparare il passaggio effettivo al comunismo, e non soltanto proclamarlo,
bisogna realizzare almeno tre condizioni preliminari fondamentali.
1. - è necessario, in primo luogo, assicurare saldamente non una mitica
"organizzazione razionale" delle forze produttive, ma uno sviluppo
ininterrotto di tutta la produzione sociale e uno sviluppo prevalente della
produzione dei mezzi di produzione. Lo sviluppo prevalente della produzione
dei mezzi di produzione è necessario non solo perché deve assicurare
l'attrezzatura sia delle proprie aziende che delle aziende di tutte le altre
branche dell'economia nazionale, ma anche perché senza di esso non
è possibile in genere realizzare la riproduzione allargata.
2. - è necessario, in secondo luogo, mediante passaggi graduali, attuati
a vantaggio dei colcos e quindi di tutta la società, elevare la proprietà
colcosiana fino al livello di proprietà di tutto il popolo e sostituire
alla circolazione mercantile, anche qui mediante passaggi graduali, un sistema
di scambio dei prodotti in modo tale che il potere centrale o qualsiasi altro
centro economico-sociale possa abbracciare tutto il prodotto della produzione
sociale nell'interesse della società.
Il compagno Iaroscenko sbaglia affermando che nel socialismo non esiste nessuna
contraddizione tra i rapporti di produzione e le forze produttive della società.
Naturalmente, i nostri attuali rapporti di produzione attraversano un periodo
in cui, corrispondendo appieno alla crescita delle forze produttive, le fanno
procedere in avanti a passi da giganti. Ma non sarebbe giusto accontentarsi
di questo e ritenere che non esista nessuna contraddizione tra le nostre forze
produttive e i rapporti di produzione. Contraddizioni esistono senz'altro
ed esisteranno, in quanto lo sviluppo dei rapporti di produzione ritarda e
ritarderà rispetto allo sviluppo delle forze produttive. Con una giusta
politica degli organismi dirigenti queste contraddizioni non possono trasformarsi
in contrasto, e non si può giungere a un conflitto tra i rapporti di
produzione e le forze produttive della società. Ma non sarebbe così
se facessimo una politica sbagliata, del genere di quella raccomandata dal
compagno Iaroscenko. In tal caso il conflitto sarebbe inevitabile, e i nostri
rapporti di produzione potrebbero trasformarsi in un freno molto serio dell'ulteriore
sviluppo delle forze produttive.
Per questo il compito degli organismi dirigenti consiste nell'individuare
tempestivamente le contraddizioni che sorgono e nel prendere tempestivamente
le misure per superarle mediante l'adeguamento dei rapporti di produzione
allo sviluppo delle forze produttive. Questo si riferisce prima di tutto a
fenomeni economici come la proprietà di gruppo colcosiana e la circolazione
mercantile. Naturalmente, nel momento attuale questi fenomeni vengono da noi
utilizzati con successo per sviluppare la economia socialista ed essi recano
alla nostra società un utile indubbio. Non v'è dubbio che recheranno
qusta utilità anche nel prossimo futuro; ma sarebbe una cecità
imperdonabile non vedere che in pari tempo questi fenomeni cominciano già
adesso a frenare il potente sviluppo delle nostre forze produttive, in quanto
creano ostacoli alla completa estensione a tutta l'economia nazionale, in
modo particolare all'agricoltura, della pianificazione statale. Non vi può
essere dubbio che più si andrà avanti e più questi fenomeni
freneranno l'ulteriore sviluppo delle forze produttive del nostro paese. Di
conseguenza, il compito consiste nel liquidare queste contraddizioni mediante
la trasformazione graduale della proprietà colcosiana in proprietà
di tutto il popolo e mediante l'introduzione - anch'essa graduale - dello
scambio dei prodotti invece della circolazione mercantile.
3. - è necessario, in terzo luogo, raggiungere un tale sviluppo culturale
della società che assicuri a tutti i membri della società uno
sviluppo completo delle loro capacità fisiche e intellettuali, affinché
i membri della società possano ricevere un'istruzione sufficiente per
diventare attivi fattori dello sviluppo sociale, abbiano la possibilità
di scegliere liberamente una professione, non siano inchiodati per tutta la
vita, in seguito alla sussistente divisione del lavoro, a una professione
qualsiasi.
Che cosa occorre per questo?
Non sarebbe giusto pensare che si possa conseguire un tale importante sviluppo
culturale dei membri della società senza seri cambiamenti nell'attuale
situazione del lavoro. Per questo occorre prima di tutto diminuire la giornata
lavorativa per lo meno sino a sei e poi a cinque ore. Ciò è
necessario affinché i membri della società abbiano abbastanza
tempo libero per ricevere un'istruzione completa. Per questo occorre, poi,
rendere obbligatoria l'istruzione politecnica necessaria perché i membri
della società abbiano la possibilità di scegliere liberamente
una professione e di non essere inchiodati per tutta la vita a una professione
qualsiasi. Per questo occorre, inoltre, migliorare in modo radicale le abitazioni
ed aumentare il salario reale degli operai e degli impiegati di almeno due
volte, se non più, sia mediante l'aumento diretto del salario, sia,
in modo particolare, mediante l'ulteriore sistematica diminuzione dei prezzi
degli articoli di largo consumo.
Tali sono le condizioni fondamentali della preparazione del passaggio al comunismo.
Soltanto dopo l'attuazione di tutte queste condizioni preliminari prese assieme
si potrà sperare che il lavoro, agli occhi dei membri della società,
non sarà più un peso ma la "prima necessità dell'esistenza"
(Marx), che "il lavoro da pesante fardello si trasformerà in una
gioia" (Engels), che la proprietà sociale sarà considerata
da tutti i membri della società come base incrollabile e inviolabile
dell'esistenza della società stessa.
Soltanto dopo l'attuazione di tutte queste condizioni preliminari prese assieme
si potrà passare dalla formula socialista: "Da ognuno secondo
le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro" alla formula
comunista: "Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo
i suoi bisogni".
Questo sarà il passaggio radicale da una economia, dall'economia del
socialismo, a un'altra economia, più alta, all'economia del comunismo.
Come si vede, il passaggio dal socialismo al comunismo non è tanto
semplice, come se lo immagina il compagno Iaroscenko.
Tentare di ridurre tutta questa questione complessa e multiforme, che esige
seri cambiamenti economici, "all'organizzazione razionale delle forze
produttive" come fa il compagno Iaroscenko, significa sostituire al marxismo
una pensata degna di un Bogdanov.
2. - Altri errori del compagno Iaroscenko.
1. - Il compagno Iaroscenko trae dalla sua opinione sbagliata conclusioni
sbagliate circa il carattere e l'oggetto dell'economia politica.
Il compagno Iaroscenko nega la necessità di una economia politica unica
per tutte le formazioni sociali, partendo dal fatto che ogni formazione sociale
ha le sue leggi economiche specifiche. Ma non ha affatto ragione, e dissente
in questo da marxisti come Engels e Lenin.
Engels dice che l'economia politica è "la scienza delle condizioni
e delle forme nelle quali hanno luogo la produzione e lo scambio nelle diverse
società umane e nelle quali, in relazione con questo, in ogni caso
avviene la distribuzione dei prodotti" (Antidühring). Di conseguenza,
l'economia politica studia le leggi dello sviluppo economico non solo di una
formazione sociale, ma delle varie formazioni sociali.
In questo, come è noto, è pienamente d'accordo Lenin, il quale,
nelle sue osservazioni critiche al libro di Bukharin L'economia del periodo
di transizione, ha detto che Bukharin ha torto di restringere la sfera d'azione
dell'economia politica alla produzione mercantile e particolarmente alla produzione
capitalistica, rilevando in pari tempo che Bukharin compie qui "un passo
indietro rispetto a Engels".
A ciò corrisponde pienamente la definizione dell'economia politica
data nel progetto del manuale di economia politica, dove è detto che
l'economia politica è la scienza che studia "le leggi della produzione
sociale e della distribuzione dei beni materiali nelle varie fasi di sviluppo
della società umana".
E ciò è comprensibile. Le varie formazioni sociali nel loro
sviluppo economico sono soggette non solo alle loro leggi economiche specifiche,
ma anche a quelle leggi economiche che sono comuni a tutte le formazioni,
ad esempio, a leggi come quella dell'unità delle forze produttive e
dei rapporti di produzione in una produzione sociale unica, come la legge
sui rapporti tra le forze produttive e i rapporti di produzione nel processo
di sviluppo di tutte le formazioni sociali.
Le formazioni sociali non sono dunque soltanto divise l'una dall'altra dalle
proprie leggi specifiche, ma sono anche legate l'una all'altra da leggi economiche
comuni a tutte le formazioni.
Engels aveva ragione quando diceva:
"Per effettuare compiutamente questa critica della economia borghese,
non era sufficiente la conoscenza della forma capitalistica della produzione,
dello scambio e della distribuzione. Si dovevano del pari indagare e raffrontare,
almeno nelle loro grandi linee, le forme che l'hanno preceduta o che accanto
ad essa sussistono ancora in paesi meno sviluppati".4
è evidente che qui, in questa questione, il compagno Iaroscenko riecheggia
Bukharin.
Proseguiamo. Il compagno Iaroscenko afferma che nella sua Economia politica
del socialismo "le categorie dell'economia politica - il valore, la merce,
il denaro, il credito, ecc. - sono sostituite da sensati ragionamenti sull'organizzazione
razionale delle forze produttive nella produzione sociale", che di conseguenza
oggetto di questa economia politica non sono i rapporti di produzione del
socialismo, ma "la elaborazione e lo sviluppo della teoria scientifica
dell'organizzazione delle forze produttive, della teoria della pianificazione
dell'economia nazionale ecc.", che i rapporti di produzione nel socialismo
perdono la loro funzione autonoma e vengono assorbiti dalle forze produttive,
come loro parte integrante.
Bisogna dire che da noi un tale miscuglio di assurdità non era stato
ancora messo alla luce da nessun "marxista" fuori senno. Infatti
che cosa significa una economia politica del socialismo senza problemi economici,
senza problemi della produzione? Esiste al mondo siffatta economia politica?
Cosa significa sostituire nell'economia politica del socialismo ai problemi
economici i problemi di organizzazione delle forze produttive? Significa liquidare
l'economia politica del socialismo. Il compagno Iaroscenko procede proprio
in questo modo: - egli liquida l'economia politica del socialismo. Qui egli
fa tutt'uno con Bukharin. Bukharin diceva che, con la distruzione del capitalismo,
deve andare distrutta l'economia politica. Il compagno Iaroscenko non dice
questo, ma lo fa, liquidando l'economia politica del socialismo. E' vero che,
ciò facendo, egli finge di non essere pienamente d'accordo con Bukharin,
ma è un'astuzia, è un'astuzia che non vale un soldo. In realtà,
egli fa ciò che predicava Bukharin e contro cui prese posizione Lenin.
Il compagno Iaroscenko calca le orme di Bukharin.
Proseguiamo. Il compagno Iaroscenko riduce i problemi dell'economia politica
del socialismo ai problemi dell'organizzazione razionale delle forze produttive,
ai problemi della pianificazione dell'economia nazionale, ecc. Ma egli sbaglia
di grosso. I problemi dell'organizzazione razionale delle forze produttive,
della pianificazione dell'economia nazionale ecc., non sono oggetto dell'economia
politica, ma oggetto della politica economica degli organismi dirigenti. Si
tratta di due campi diversi, che non si devono confondere. Il compagno Iaroscenko
ha confuso queste due cose diverse ed è caduto in un pasticcio. L'economia
politica studia le leggi di sviluppo dei rapporti di produzione tra gli uomini.
La politica economica trae da questo studio conclusioni pratiche, le concretizza
e imposta su questo il proprio lavoro quotidiano. Far gravare sull'economia
politica le questioni della politica economica significa rovinarla come scienza.
Oggetto dell'economia politica sono i rapporti economici, i rapporti di produzione
tra gli uomini. Questo comprende: a) le forme della proprietà sui mezzi
di produzione; b) la conseguente situazione dei vari gruppi sociali nella
produzione e i rapporti reciproci tra di essi, oppure, come dice Marx, "il
reciproco scambio della loro attività"; c) le forme della distribuzione
dei prodotti, che ne dipendono interamente. Tutto ciò è, nel
suo insieme, oggetto dell'economia politica.
In questa definizione manca la parola "scambio", che vi è
nella definizione di Engels. Essa manca, perché "scambio"
viene di solito inteso da molti come scambio di merci, proprio non di tutte,
ma soltanto di alcune formazioni sociali, il che a volte genera malintesi,
benché Engels con la parola "scambio" non intendesse soltanto
lo scambio delle merci. Però, come è evidente, ciò che
Engels intendeva con la parola "scambio" ha trovato il suo posto
nella definizione citata sopra, ne fa parte integrante. Di conseguenza, per
il suo contenuto questa definizione dell'oggetto dell'economia politica corrisponde
pienamente alla definizione di Engels.
2. - Quando si parla della legge economica fondamentale di questa o di quella
formazione sociale, di solito si parte dal fatto che questa formazione non
può avere più leggi economiche fondamentali, che può
avere soltanto una determinata legge economica fondamentale unica, appunto
perché essa è fondamentale. In caso contrario avremmo alcune
leggi economiche fondamentali per ciascuna formazione sociale, il che contrasta
con lo stesso concetto di legge fondamentale. Ma il compagno Iaroscenko non
è d'accordo con questo. Egli ritiene che si possano avere non una,
ma parecchie leggi economiche fondamentali del socialismo. E' inverosimile,
ma è così. Nel suo discorso alla riunione plenaria della assemblea
convocata per la discussione, ha detto:
"L'entità e il rapporto reciproco dei fondi materiali della produzione
e riproduzione sociale sono determinati dall'esistenza e dalla prospettiva
di accrescimento della forza lavoro che partecipa alla produzione sociale.
Questa è la legge economica fondamentale della società socialista,
che determina la struttura della produzione e riproduzione sociale socialista".
Questa sarebbe la prima legge economica fondamentale del socialismo.
Nello stesso discorso il compagno Iaroscenko afferma:
"I rapporti tra la I e la II sezione sono condizionati, nella società
socialista, dalle esigenze della produzione dei mezzi di produzione nella
misura necessaria per far partecipare alla produzione sociale tutta la popolazione
capace di lavorare. Questa è la legge economica fondamentale del socialismo
ed è in pari tempo un'esigenza della nostra Costituzione, che deriva
dal diritto al lavoro dei cittadini sovietici".
Questa, dunque, sarebbe una seconda legge economica fondamentale del socialismo.
Infine, nella sua lettera ai membri dell'Ufficio politico il compagno Iaroscenko
afferma:
"Partendo da ciò i tratti e le esigenze sostanziali della legge
economica fondamentale del socialismo possono essere formulati, mi sembra,
press'a poco così: produzione in continuo aumento e perfezionamento
delle condizioni materiali e culturali di vita della società".
Questa è già la terza legge economica fondamentale del socialismo.
Sono tutte queste leggi, leggi economiche fondamentali del socialismo, oppure,
se una sola di esse lo è, di quale precisamente si tratta? A questa
domanda il compagno Iaroscenko non dà risposta nella sua ultima lettera
ai membri dell'Ufficio politico. Nel formulare la legge economica fondamentale
del socialismo, nella sua lettera ai membri dell'Ufficio politico, si deve
supporre che egli "ha dimenticato" che nel suo discorso alla riunione
plenaria dell'assemblea convocata per la discussione, tre mesi prima, già
aveva formulato altre due leggi economiche fondamentali del socialismo, contando
probabilmente che non si sarebbe prestata attenzione a questo equivoco pasticcio.
Ma, come si vede, il suo calcolo è fallito.
Ammettiamo che le prime due leggi economiche fondamentali del socialismo,
formulate dal compagno Iaroscenko, non esistano più, che il compagno
Iaroscenko consideri oramai legge economica fondamentale del socialismo la
sua terza formula, esposta nella lettera indirizzata ai membri dell'Ufficio
politico. Vediamo la lettera del compagno Iaroscenko.
Il compagno Iaroscenko dice in questa lettera di non essere d'accordo con
la definizione della legge economica fondamentale del socialismo, data nelle
Osservazioni del compagno Stalin. Egli dice:
"La cosa principale in questa definizione è `la garanzia del massimo
soddisfacimento... delle esigenze di tutta la società'. La produzione
è indicata qui come un mezzo per raggiungere questo scopo principale,
il soddisfacimento delle esigenze. Questa definizione giustifica la supposizione
che la legge economica fondamentale del socialismo da voi formulata non parte
dal primato della produzione, ma dal primato del consumo".
E' evidente che il compagno Iaroscenko non ha compreso affatto la sostanza
del problema e non vede che le chiacchiere sul primato del consumo o della
produzione non hanno assolutamente alcun rapporto con la questione. Quando
si parla del primato di questi o quei processi sociali rispetto ad altri processi,
si parte di solito dal fatto che entrambi questi processi siano più
o meno della stessa natura. Si può e si deve parlare del primato della
produzione dei mezzi di produzione rispetto alla produzione dei beni di consumo,
poiché nell'un caso e nell'altro si parla di produzione e quindi di
cose più o meno della stessa natura. Ma non si può parlare,
non sarebbe giusto parlare del primato del consumo sulla produzione o della
produzione sul consumo, poiché la produzione e il consumo sono due
campi completamente diversi, legati, è vero, tra di loro, ma tuttavia
diversi. Il comp. Iaroscenko evidentemente non comprende che qui non si tratta
del primato del consumo o della produzione, ma dello scopo che la società
pone alla produzione sociale, del compito a cui essa subordina la produzione
sociale, per esempio, in regime socialista. Per questo nulla hanno a che vedere
con la questione nemmeno le chiacchiere del compagno Iaroscenko, secondo cui
"la base della vita della società socialista, come di ogni altra
società, è la produzione". Il compagno Iaroscenko dimentica
che gli uomini non producono per la produzione, ma per soddisfare le proprie
esigenze. Egli dimentica che la produzione, staccata dal soddisfacimento dei
bisogni della società, langue e perisce.
E' possibile parlare in generale dello scopo della produzione capitalistica
o socialista, dei compiti a cui è subordinata la produzione capitalistica
o socialista? Ritengo che è possibile e che si deve farlo.
Marx dice:
"Scopo immediato della produzione capitalistica non è la produzione
di merci, ma di plusvalore, o di profitto nella sua forma evoluta; non del
prodotto, ma del prodotto supplementare. Lo stesso lavoro è quindi
produttivo solo nella misura in cui crea profitto o prodotto supplementare
per il capitale. Se l'operaio non lo crea, il suo lavoro è improduttivo.
La massa del lavoro produttivo impiegato, dunque, presenta un interesse per
il capitale solo nella misura in cui grazie ad essa, o in relazione con essa,
aumenta la quantità di lavoro supplementare; solo inquesta misura è
necessario ciò che noi chiamiamo tempo di lavoro necessario. Se il
lavoro non dà questo risultato, è superfluo e deve essere interrotto.
"Lo scopo della produzione capitalistica consiste sempre nella creazione
di un massimo di plusvalore o di un massimo di prodotto supplementare con
un minimo di capitale anticipato; nella misura in cui questo risultato non
è raggiunto con l'eccesso di lavoro degli operai, sorge la tendenza
del capitale, che consiste nello sforzo per ottenere un determinato prodotto
con la minima spesa possibile, nello sforzo per risparmiare forza lavoro e
spese...
"Gli stessi operai sono rappresentati in questa concezione come realmente
sono nella produzione capitalistica, solo mezzi di produzione, e non fini
a se stessi, e non scopo della produzione" (vedi Teorie del plusvalore,
vol. II, parte 2).
Queste parole di Marx non sono importanti soltanto perché definiscono
brevemente e con esattezza lo scopo della produzione capitalistica, ma anche
perché indicano lo scopo fondamentale, il compito principale, che deve
essere posto alla produzione socialista.
Lo scopo della produzione capitalistica è, dunque, di ottenere del
profitto. Per quanto riguarda il consumo, esso è necessario al capitalismo
solo in quanto garantisce che il profitto sia ottenuto. All'infuori di questo,
la questione del consumo perde ogni significato per il capitalismo. L'uomo
con i suoi bisogni scompare dal campo visivo.
Quale è invece lo scopo della produzione socialista, quale il compito
principale, alla cui attuazione deve essere subordinata la produzione sociale
nel socialismo?
Scopo della produzione socialista non è il profitto, ma l'uomo con
i suoi bisogni, cioè il soddisfacimento delle sue esigenze materiali
e culturali. Scopo della produzione socialista, come è detto nelle
Osservazioni del compagno Stalin E' "l'assicurazione del massimo soddisfacimento
delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società".
Il compagno Iaroscenko ritiene che qui si tratti del "primato" del
consumo sulla produzione. Questa, naturalmente, è una sciocchezza.
In effetti si tratta qui non di un primato del consumo, ma della subordinazione
della produzione socialista al suo fondamentale scopo di garantire il massimo
soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento,
di tutta la società.
Quindi la garanzia del massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e
culturali, in costante aumento, di tutta la società, è lo scopo
della produzione socialista; l'aumento ininterrotto e il perfezionamento della
produzione socialista sulla base di una tecnica superiore è il mezzo
per raggiungere questo scopo.
Questa è la legge economica fondamentale del socialismo.
Volendo conservare il cosiddetto "primato" della produzione sul
consumo, il compagno Iaroscenko afferma che la "legge economica fondamentale
del socialismo" consiste "nell'aumento ininterrotto e nel perfezionamento
della produzione delle condizioni materiali e culturali della società".
Questo non è affatto vero. Il compagno Iaroscenko deforma in modo grossolano
e snatura la formula esposta nelle Osservazioni del compagno Stalin. Per lui
la produzione da mezzo si trasforma in scopo, e la garanzia del massimo soddisfacimento
delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento, della società,
viene esclusa. Si ha un aumento della produzione per l'aumento della produzione,
la produzione come fine a se stessa, mentre l'uomo con i suoi bisogni scompare
dal campo visivo del compagno Iaroscenko.
Non vi è quindi da stupire se insieme alla scomparsa dell'uomo, come
scopo della produzione socialista, scompaiono dalla "concezione"
del compagno Iaroscenko gli ultimi resti di marxismo.
In questo modo si giunge nel compagno Iaroscenko non al "primato"
della produzione sul consumo, ma ad una specie di "primato" dell'ideologia
borghese sull'ideologia marxista.
3. - Un posto a parte merita la questione della teoria marxista della riproduzione.
Il compagno Iaroscenko afferma che la teoria marxista della riproduzione è
soltanto teoria della riproduzione capitalistica, che essa non contiene nulla
che possa valere per altre formazioni sociali, e quindi per la formazione
sociale socialista. Egli dice:
"L'applicazione dello schema della riproduzione di Marx, da lui elaborato
per l'economia capitalistica, alla produzione sociale socialista è
il frutto di un'interpretazione dogmatica della dottrina di Marx e contraddice
la sostanza della sua dottrina" (vedi il discorso del compagno Iaroscenko
alla seduta plenaria dell'assemblea per la discussione).
Egli sostiene, più avanti, che "lo schema della riproduzione di
Marx non corrisponde alle leggi economiche della società socialista
e non può servire di base per lo studio della riproduzione socialista"
(ivi).
Riferendosi alla teoria marxista della riproduzione semplice, dove si stabilisce
una determinata correlazione tra la produzione dei mezzi di produzione (I
sezione) e la produzione dei mezzi di consumo (II sezione), il compagno Iaroscenko
dice:
"La correlazione tra la prima e la seconda sezione non è condizionata
nella società socialista dalla formula di Marx V + M della prima sezione
e C della seconda sezione. Nelle condizioni del socialismo l'indicato nesso
reciproco nello sviluppo tra la prima e la seconda sezione non deve verificarsi"
(ivi).
Egli afferma che "la teoria della correlazione tra la prima e la seconda
sezione, elaborata da Marx, è inapplicabile nelle nostre condizioni
socialiste, poiché alla base della teoria di Marx vi è l'economia
capitalistica con le sue leggi" (si veda la lettera del comp. Iaroscenko
ai membri dell'Ufficio politico).
Così il comp. Iaroscenko distrugge la teoria marxista della riproduzione.
Certamente, la teoria marxista della riproduzione, elaborata in seguito allo
studio delle leggi della produzione capitalistica, riflette il carattere specifico
della produzione capitalistica e, naturalmente, è espressa nella forma
dei rapporti di valore mercantili-capitalistici. Non poteva essere altrimenti.
Ma vedere nella teoria marxista della riproduzione soltanto questa forma,
e non scorgerne le basi, non scorgere il suo contenuto fondamentale, che non
ha valore soltanto per la formazione sociale capitalistica, significa non
capire nulla di questa teoria. Se il comp. Iaroscenko avesse compreso qualche
cosa della questione, avrebbe capito anche la palese verità che gli
schemi marxisti della riproduzione non si esauriscono affatto nel riflesso
del carattere specifico della produzione capitalistica, ma contengono in pari
tempo tutta una serie di tesi fondamentali della riproduzione, le quali hanno
valore per tutte le formazioni sociali, quindi anche in particolare per la
formazione sociale socialista. Queste tesi fondamentali della teoria marxista
della riproduzione, come la tesi della divisione della produzione sociale
in produzione dei mezzi di produzione e produzione dei beni di consumo; la
tesi dell'aumento prevalente della produzione dei mezzi di produzione nella
riproduzione allargata; la tesi della correlazione tra la I e la II sezione;
la tesi del prodotto supplementare, come unica fonte dell'accumulazione; la
tesi della formazione e destinazione dei fondi sociali; la tesi dell'accumulazione
come unica fonte della riproduzione allargata: - tutte queste tesi fondamentali
della teoria marxita della riproduzione sono le stesse che hanno valore non
soltanto per la formazione capitalistica e la cui applicazione non può
essere elusa da nessuna società socialista nella pianificazione dell'economia
nazionale. è caratteristico il fatto che lo stesso comp. Iaroscenko,
il quale arriccia altezzosamente il naso sugli "schemi della riproduzione"
di Marx, è costretto di regola a ricorrere all'usilio di questi "schemi"
nella discussione delle questioni della riproduzione socialista.
Ma come considerarono questa questione Lenin e Marx?
A tutti sono note le osservazioni critiche di Lenin al libro di Bukharin L'economia
del periodo di transizione. In queste osservazioni Lenin ha riconosciuto,
com'è noto, che la formula marxista della correlazione tra la I e la
II sezione, contro cui insorge il comp. Iaroscenko, rimane valida tanto per
il socialismo quanto per il "comunismo puro", cioè per la
fase del comunismo.
Per ciò che riguarda Marx, egli, com'è noto, non amava astrarsi
dallo studio delle leggi della produzione capitalistica e non si occupò
nel suo Capitale della questione della applicabilità dei suoi schemi
della riproduzione al socialismo. Tuttavia nel 20° capitolo del II volume
del Capitale, nel paragrafo intitolato Il capitale costante della I sezione,
in cui si tratta dello scambio dei prodotti della I sezione all'interno di
questa, Marx osserva quasi di sfuggita che lo scambio dei prodotti in questa
sezione avverrebbe in regime socialista con la stessa continuità, con
cui avviene nella produzione capitalistica. Marx dice:
"Se la produzione fosse sociale, e non capitalistica, è chiaro
che i prodotti nella I sezione ai fini della riproduzione sarebbero distribuiti
con non minore continuità dei mezzi di produzione tra le branche di
produzione di questa sezione: una parte rimarrebbe immediatamente in quella
sfera della produzione, da cui essa è uscita come prodotto; l'altra
parte invece passerebbe in altri luoghi di produzione, e si creerebbe così
tra i diversi luoghi della produzione di questa sezione un movimento costante
in direzioni opposte" (vedi Marx, Capitale, vol. II, pag. 307, VIII ediz.
russa).
Di conseguenza, Marx non riteneva affatto che la sua teoria della riproduzione
fosse valida soltanto per la produzione capitalistica, sebbene egli si sia
occupato dell'indagine delle leggi della produzione capitalistica. Al contrario
egli, come si vede, si basava sul fatto che la sua teoria della riproduzione
può essere valida anche per la produzione socialista.
Bisogna notare che Marx nella Critica del Programma di Gotha, nell'analisi
dell'economia del socialismo e del periodo di transizione al comunismo muove
dalle tesi fondamentali della sua teoria della riproduzione, considerandole
evidentemente obbligatorie per un regime comunista.
Bisogna inoltre notare che Engels nel suo Antidühring, criticando il
"sistema socialitario" di Dühring e caratterizzando l'economia
del regime socialista, muove pure dalle tesi fondamentali della teoria della
riproduzione di Marx, considerandole obbligatorie per il regime comunista.
Questi sono i fatti.
Ne consegue che anche nella questione della riproduzione, il comp. Iaroscenko,
nonostante il suo tono disinvolto riguardo agli "schemi" di Marx,
ha dato di nuovo nelle secche.
4. - Il comp. Iaroscenko conclude la sua lettera ai membri dell'Ufficio politico
con la proposta di affidargli la compilazione di una Economia politica del
socialismo. Egli scrive:
"Partendo dalla definizione dell'oggetto della scienza dell'economia
politica del socialismo, da me esposta nella seduta plenaria, nelle commissioni
e nella presente lettera, usando il metodo dialettico marxista, posso nel
corso di un anno, o al massimo di un anno e mezzo, con l'aiuto di due collaboratori,
elaborare le soluzioni teoriche dei problemi fondamentali dell'economia politica
del socialismo; esporre la teoria marxista, leninista-staliniana dell'economia
politica del socialismo, la teoria che trasforma questa scienza in una effettiva
arme di lotta del popolo per il comunismo".
Non si può non riconoscere che il comp. Iaroscenko non pecca di modestia.
Anzi, usando lo stile di alcuni letterati, si può dire che "è
proprio tutto il contrario".
Si è già detto sopra che il comp. Iaroscenko confonde l'economia
politica del socialismo con la politica economica degli organi dirigenti.
Ciò che egli ritiene essere oggetto dell'economia politica del socialismo
- l'organizzazione razionale delle forze produttive, la pianificazione dell'economia
nazionale, la formazione dei fondi sociali, ecc. - non è oggetto dell'economia
politica del socialismo, ma della politica economica degli organi dirigenti.
Non parlo poi del fatto che i gravi errori che il comp. Iaroscenko commette
e il suo "punto di vista" non marxista non inducono ad affidare
questo incarico al compagno Iaroscenko.
Conclusioni:
1) la lagnanza del compagno Iaroscenko verso i dirigenti della discussione
è priva di senso, poiché i dirigenti della discussione, essendo
marxisti, non potevano riflettere nei loro documenti conclusivi il "punto
di vista" non marxista del comp. Iaroscenko;
2) la richiesta del comp. Iaroscenko di affidargli l'incarico di scrivere
una Economia politica del socialismo non può essere considerata seria,
anche perché sa di Khlestakhov5.
22 maggio 1952
G. Stalin
Risposta ai compagni A. V. Sanina e V. C. Vensger
Ho ricevuto le vostre lettere. Com'è evidente, gli autori di queste
lettere studiano in modo approfondito e serio i problemi dell'economia del
nostro paese. Nelle lettere vi sono non poche formulazioni giuste e considerazioni
interessanti. Tuttavia, accanto ad esse vi sono anche alcuni gravi errori
teorici. Nella presente risposta penso di soffermarmi proprio su questi errori.
1. - Questione del carattere delle leggi economiche del socialismo.
I compagni Sanina e Vensger affermano che "solo grazie all'azione cosciente
dei cittadini sovietici, occupati nella produzione materiale, nascono le leggi
economiche del socialismo".
Questa tesi è completamente sbagliata.
Esistono leggi dello sviluppo economico obiettivamente, fuori di noi, indipendentemente
dalla volontà e dalla coscienza degli uomini? Il marxismo risponde
a questa domanda in modo affermativo. Il marxismo ritiene che le leggi dell'economia
politica del socialismo sono il riflesso nella testa degli uomini di leggi
obiettive esistenti fuori di noi. La formula dei compagni Sanina e Vensger
invece risponde negativamente a questa domanda. Ciò vuol dire che questi
compagni sono sulle posizioni di una teoria sbagliata, la quale afferma che
le leggi dello sviluppo economico nel socialismo "sono create",
"sono trasformate" dagli organi dirigenti della società.
In altri termini, essi si distaccano dal marxismo e si pongono sulla via dell'idealismo
soggettivo.
Naturalmente, gli uomini possono scoprire queste leggi obiettive, conoscerle
e, poggiando su di esse, utilizzarle nell'interesse della società.
Ma essi non possono né "crearle", né "trasformarle".
Supponiamo di accogliere per un momento la posizione della teoria sbagliata,
che nega l'esistenza di leggi obiettive nella vita economica del socialismo
e proclama la possibilità di "creare" le leggi economiche,
di "trasformare" le leggi economiche. A che cosa questo condurrebbe?
Condurrebbe a farci cadere nel regno del caos e della casualità, a
farci trovare in uno stato di servile dipendenza da questa casualità,
a privarci della possibilità, nonché di comprendere, ma nemmeno
di orientarci in questo caos di cose casuali.
Questo ci condurrebbe a liquidare l'economia politica come scienza, perché
la scienza non può vivere e svilupparsi senza il riconoscimento di
leggi obiettive, senza lo studio di queste leggi. Liquidata la scienza, ci
priveremmo della possibilità di prevedere il corso degli avvenimenti
nella vita economica del paese, cioè ci priveremmo della possibilità
di esercitare la direzione economica anche più elementare.
In ultima analisi cadremmo in potere dell'arbitrio di avventurieri "economici",
pronti a "distruggere" le leggi dello sviluppo economico e a "creare"
nuove leggi senza comprendere e tener conto delle leggi obiettive.
è a tutti nota la classica formulazione della posizione marxista su
questo problema, data da Engels nel suo Antidühring:
"Le forze socialmente attive agiscono in modo assolutamente eguale alle
forze naturali: in maniera cieca, violenta, distruttiva, sino a quando non
le riconosciamo e non facciamo i conti con esse. Ma una volta che le abbiamo
riconosciute, che ne abbiamo compreso il modo d'agire, la direzione e gli
effetti, dipende solo da noi il sottometterle sempre più al nostro
volere e per mezzo di esse raggiungere i nostri fini. E questo vale in modo
tutto particolare per le odierne potenti forze produttive. Sino a quando ostinatamente
ci rifiuteremo di intenderne la natura e il carattere, e a questa intelligenza
si oppongono il modo di produzione capitalistico e i suoi sostenitori, queste
forze agiranno malgrado noi e contro di noi, e, come abbiamo diffusamente
esposto, ci domineranno. Ma una volta che siano comprese nella loro natura,
esse, nelle mani dei produttori associati, possono essere trasformate da demoniache
dominatrici in docili serve. è questa la differenza tra la forza distruttiva
dell'elettricità nel lampo della tempesta e l'elettricità domata
del telegrafo e della lampada ad arco; la differenza tra l'incendio e il fuoco
che agisce a servizio dell'uomo. Quando le odierne forze produttive saranno
considerate in questo modo, conformemente alla loro natura finalmente conosciuta,
all'anarchia sociale della produzione subentrerà una regolamentazione
socialmente pianificata della produzione, conforme ai bisogni sia della comunità
che di ogni singolo. Così il modo di appropriazione capitalistico,
in cui il prodotto asservisce anzitutto chi lo produce, ma poi anche colui
che se lo appropria, viene sostituito dal modo di appropriazione dei prodotti,
fondato sulla natura stessa dei moderni mezzi di produzione: da una parte
da un'appropriazione direttamente sociale come mezzo per mantenere ed allargare
la produzione, dall'altra da un'appropriazione direttamente individuale come
mezzo di sussistenza e di godimento"6.
2. - Questione delle misure dirette a elevare la proprietà colcosiana
al livello di proprietà di tutto il popolo.
Quali misure sono necessarie per elevare la proprietà colcosiana che,
naturalmente, non è proprietà di tutto il popolo, al livello
di proprietà di tutto il popolo ("nazionale")?
Alcuni compagni ritengono che è necessario semplicemente nazionalizzare
la proprietà colcosiana, dichiarandola proprietà di tutto il
popolo, sull'esempio di ciò che è stato fatto a suo tempo con
la proprietà capitalistica. Questa proposta è assolutamente
sbagliata e indiscutibilmente inaccettabile. La proprietà colcosiana
è una proprietà socialista e noi non possiamo in nessun modo
procedere nei suoi confronti come con la proprietà capitalistica. Dal
fatto che la proprietà colcosiana non è proprietà di
tutto il popolo non deriva in nessun modo che la proprietà colcosiana
non sia proprietà socialista.
Questi compagni suppongono che il passaggio della proprietà di singoli
gruppi e di singole persone in proprietà dello Stato sia l'unica o,
in ogni caso, la migliore forma di nazionalizzazione. Questo non è
vero. In realtà il passaggio in proprietà dello Stato non è
l'unica e neppure la migliore forma di nazionalizzazione, ma è la forma
iniziale della nazionalizzazione, come dice giustamente Engels nell'Antidühring.
è incontestabile che, finché esiste lo Stato, il passaggio in
proprietà dello Stato è la forma iniziale più comprensibile
di nazionalizzazione. Ma lo Stato non esisterà in eterno. Con l'estendersi
del campo d'azione del socialismo nella maggior parte dei paesi del mondo
lo Stato si estinguerà e, naturalmente, in legame con ciò cadrà
la questione del passaggio del patrimonio di singole persone e di singoli
gruppi in proprietà dello Stato. Lo Stato si sarà estinto, ma
la società continuerà a esistere. Di conseguenza, erede della
proprietà di tutto il popolo non sarà lo Stato, che si sarà
estinto, ma sarà la società stessa, rappresentata dal suo organo
economico dirigente, centrale.
Stando così le cose, che cosa si deve fare per elevare la proprietà
colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo?
Come misura principale per elevare a questo livello la proprietà colcosiana,
i compagni Sanina e Vensger propongono di vendere in proprietà ai colcos
i principali strumenti di produzione concentrati nelle stazioni di macchine
e trattori, sgravare così lo Stato dagli investimenti di capitali nell'agricoltura
e ottenere che i colcos stessi si assumano la responsabilità di provvedere
al mantenimento e allo sviluppo delle stazioni di macchine e trattori. Essi
dicono.
"Sarebbe errato pensare che gli investimenti dei colcos dovranno essere
principalmente diretti a soddisfare i bisogni culturali della campagna colcosiana,
e che lo Stato dovrà continuare a effettuare la massa principale degli
investimenti per soddisfare i bisogni della produzione agricola. Non sarebbe
più giusto liberare lo Stato da questo carico, dato che i colcos sono
pienamente in grado di prenderlo interamente su di sè? Lo Stato avrà
non poco da fare per investire i propri fondi allo scopo di crare nel paese
abbondanza di beni di consumo".
Per giustificare questa proposta, i suoi autori ricorrono ad alcuni argomenti.
In primo luogo. Citando le parole di Stalin, secondo cui i mezzi di produzione
non vengono venduti neppure ai colcos, gli autori della proposta mettono in
dubbio questa tesi di Stalin, dichiarando che lo Stato vende tuttavia ai colcos
mezzi di produzione, quali l'attrezzamento agricolo minuto che comprende i
vari tipi di falci, i piccoli motori, ecc. Essi ritengono che se lo Stato
vende ai colcos questi mezzi di produzione, esso potrebbe vendere loro anche
tutti gli altri mezzi di produzione, come le macchine delle stazioni di macchine
e trattori.
Questo argomento è inconsistente. Naturalmente, lo Stato vende ai colcos
l'attrezzamento agricolo minuto, come si desume dallo statuto dell'artel agricolo
e dalla Costituzione. Ma si può mettere su uno stesso piano l'attrezzamento
agricolo minuto e mezzi essenziali della produzione in agricoltura quali sono
le macchine delle stazioni di macchine e trattori o, poniamo, la terra che
indubbiamente è anch'essa uno dei principali mezzi di produzione nell'agricoltura?
è chiaro che è impossibile. è impossibile perché
l'attrezzamento agricolo minuto non decide in nessuna misura le sorti della
produzione colcosiana, mentre mezzi di produzione come le macchine delle stazioni
di macchine e trattori e la terra decidono interamente le sorti dell'agricoltura
nelle nostre attuali condizioni.
Non è difficile capire che quando Stalin diceva che i mezzi di produzione
non vengono venduti ai colcos, non intendeva l'attrezzamento agricolo minuto,
ma i mezzi principali della produzione agricola: le macchine delle stazioni
di macchine e trattori e la terra. Gli autori della proposta giuocano con
l'espressione "mezzi di produzione" e confondono due cose diverse,
senza accorgersi che si mettono su una falsa strada.
In secondo luogo, i compagni Sanina e Vensger citano poi il fatto che nel
periodo in cui ebbe inizio il movimento colcosiano di massa, tra la fine del
1929 e l'inizio del 1930, lo stesso Comitato centrale del Partito comunista
(b) dell'Urss sosteneva la necessità di trasferire le stazioni di macchine
e trattori in proprietà ai colcos, chiedendo ai colcos di compensare
il valore delle stazioni di macchine e trattori entro un termine di tre anni.
Essi ritengono che, sebbene allora questa operazione non fosse riuscita "data
la povertà" dei colcos, oggi, che i colcos sono diventati ricchi,
si possa ritornare a questa politica, a vendere ai colcos le stazioni di macchine
e trattori.
Anche questo argomento è inconsistente. Il Comitato centrale del Partito
comunista (b) dell'Urss decise effettivamente all'inizio del 1930 di vendere
ai colcos le stazioni di macchine e trattori. Questa decisione fu approvata
su proposta di un gruppo di lavoratori d'assalto colcosiani a titolo d'esperimento,
come prova, con la riserva di ritornare entro breve tempo sulla questione
e riesaminarla. Ma, sin dal primo controllo dei risultati, si vide che questa
decisione non era opportuna, e dopo alcuni mesi e precisamente alla fine del
1930 fu abrogata.
L'ulteriore ascesa del moviento colcosiano e lo sviluppo dell'edificazione
colcosiana convinsero definitivamente sia i colcosiani, sia i dirigenti che
la concentrazione dei principali strumenti della produzione agricola nelle
mani dello Stato, nelle mani delle stazioni di macchine e trattori, era l'unico
mezzo per assicurare ritmi elevati di sviluppo alla produzione colcosiana.
Tutti noi siamo lieti della gigantesca ascesa della produzione agricola del
nostro paese, dell'aumento della produzione cerealicola, della produzione
del cotone, del lino, della barbabietola, ecc. Qual è la fonte di questa
ascesa? La fonte di questa ascesa sta nella tecnica moderna, nelle numerose
macchine moderne poste al servizio di tutte queste branche produttive. Qui
non si tratta solo della tecnica in generale, ma del fatto che la tecnica
non può restar ferma allo stesso punto, deve continuamente perfezionarsi,
che la vecchia tecnica deve essere messa da parte e sostituita da quella moderna
e la tecnica moderna deve essere sostituita da quella modernissima. Senza
questo è inconcepibile il progresso della nostra agricoltura socialista,
sono inconcepibili sia i grandi raccolti, che l'abbondanza dei prodotti agricoli.
Ma che cosa significa togliere dalla circolazione centinaia di migliaia di
trattori a ruote e sostituirli con trattori a cingoli, sostituire decine di
migliaia di mietotrebbiatrici invecchiate con mietotrebbiatrici nuove, creare
nuove macchine, poniamo, per le culture tecniche? Significa sopportare spese
di miliardi, che possono essere recuperati solo entro 6-8 anni. Possono sopportare
queste spese i nostri colcos, anche se sono milionari? No, non possono, perché
non sono in grado di addossarsi spese di miliardi che possono essere recuperate
solo entro 6-8 anni. Solo lo Stato può prendere su di sé queste
spese, perché esso e soltanto esso è in grado di addossarsi
le perdite dovute all'accantonamento delle vecchie macchine e alla loro sostituzione
con macchine nuove, perché esso e soltanto esso è in grado di
coprire queste perdite in un periodo di 6-8 anni, compensando entro questo
termine le spese sostenute.
Che cosa significa, dopo tutte queste considerazioni, chiedere la vendita
delle stazioni di macchine e trattori trasferendone la proprietà ai
colcos? Significa causare gravi perdite ai colcos e rovinarli, scalzare la
meccanizzazione dell'agricoltura, diminuire i ritmi della produzione colcosiana.
Di qui la conclusione: proponendo di vendere le stazioni di macchine e trattori
e di trasferirne la proprietà ai colcos, i compagni Sanina e Vensger
fanno un passo indietro verso l'arretratezza, cercano di far girare all'indietro
la ruota della storia.
Ammettiamo per un istante di aver accettato la proposta dei compagni Sanina
e Vensger e di aver cominciato a vendere e passare in proprietà ai
colcos i principali strumenti di produzione, le stazioni di macchine e trattori.
Quale sarebbe la conseguenza?
La prima conseguenza sarebbe che i colcos diventerebbero proprietari dei principali
strumenti di produzione, cioè verrebbero a trovarsi in una situazione
di eccezione, quale non ha nessuna azienda del nostro paese, perché,
come è noto, da noi neppure le aziende nazionalizzate sono proprietarie
degli strumenti di produzione. Come si può giustificare questa situazione
di eccezione dei colcos, con quali considerazioni di progresso, di movimento
in avanti? Si può dire che questa situazione favorirebbe l'elevamento
della proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto
il popolo, che essa affretterebbe il passaggio della nostra società
dal socialismo al comunismo? Non sarebbe più giusto dire che questa
situazione potrebbe solo rendere più lontana la proprietà colcosiana
dall'essere proprietà di tutto il popolo e determinerebbe non un avvicinamento
al comunismo, ma un allontanamento da esso?
La seconda conseguenza sarebbe l'estendersi del campo d'azione della circolazione
mercantile, perché un numero colossale di strumenti della produzione
agricola cadrebbe nell'orbita della circolazione mercantile. Che ne pensano
i compagni Sanina e Vensger: l'estendersi della sfera della circolazione mercantile
può favorire la nostra avanzata verso il comunismo? Non sarebbe più
giusto dire che tale estensione può solo frenare la nostra avanzata
verso il comunismo?
L'errore fondamentale dei compagni Sanina e Vensger è di non capire
la funzione e l'importanza della circolazione mercantile nel socialismo, di
non capire che la circolazione mercantile è incompatibile con la prospettiva
del passaggio dal socialismo al comunismo. Essi, evidentemente, ritengono
che si possa passare dal socialismo al comunismo pur permanendo la circolazione
mercantile, che la circolazione mercantile non possa impedire questo passaggio.
Questo è un profondo errore, che nasce sulla base di una incomprensione
del marxismo.
Engels, nel suo Antidühring, criticando la "comune economia"
di Dühring operante nelle condizioni della cirolazione mercantile, ha
dimostrato in modo convincente che l'esistenza della circolazione mercantile
deve inevitabilmente portare le cosiddette "comuni economiche" di
Dühring alla rinascita del capitalismo. I compagni Sanina e Vensger,
evidentemente, non sono d'accordo con questo. Peggio per loro. Ma noi, marxisti,
partiamo dalla nota tesi marxista secondo cui il passaggio dal socialismo
al comunismo e il principio comunista della ripartizione dei prodotti secondo
i bisogni escludono qualsiasi scambio mercantile, quindi anche la trasformazione
dei prodotti in merci e al tempo stesso la loro trasformazione in valore.
Così stanno le cose per quanto riguarda la proposta e gli argomenti
dei compagni Sanina e Vensger.
Che cosa si deve fare, in fin dei conti, per elevare la proprietà colcosiana
al livello di proprietà di tutto il popolo?
Il colcos non è un'azienda di tipo ordinario. Il colcos lavora sulla
terra e coltiva la terra, che da tempo non è più proprietà
colcosiana, ma proprietà di tutto il popolo. Di conseguenza, il colcos
non è proprietario della terra che lavora.
Proseguiamo. Il colcos lavora servendosi dei principali strumenti di produzione,
che non sono proprietà colcosiana, ma di tutto il popolo. Di conseguenza,
il colcos non è proprietario dei principali strumenti di produzione.
Ancora. Il colcos è un'azienda cooperativa; esso impiega il lavoro
dei suoi membri e ripartisce fra loro le entrate in ragione delle giornate
lavorative; inoltre il colcos ha sementi proprie, che annualmente si rinnovano
e vengono immesse nella produzione.
Si domanda: che cosa possiede propriamente il colcos, dov'è la proprietà
colcosiana di cui può disporre in piena libertà, a suo piacimento?
Tale proprietà è la produzione del colcos, il prodotto dell'attività
produttiva colcosiana: il grano, la carne, il burro, i legumi, il cotone,
la barbaietola, il lino, ecc., senza contare gli edifici e l'azienda personale
dei colcosiani sul loro appezzamento. Il fatto è che una parte considerevole
di questa produzione, le eccedenze della produzione colcosiana si riversano
sul mercato ed entrano in questo modo nel sistema della circolazione mercantile.
Appunto questa circostanza impedisce oggi di elevare la proprietà colcosiana
al livello di proprietà di tutto il popolo. Perciò è
precisamente da questo punto che si deve sviluppare il lavoro per elevare
la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il
popolo.
Per elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà
di tutto il popolo è necessario escludere le eccedenze della produzione
colcosiana dal sistema della circolazione mercantile e inserirle nel sistema
dello scambio dei prodotti fra l'industria statale e i colcos. Questa è
la misura essenziale.
Non abbiamo ancora un sistema sviluppato di scambio dei prodotti, abbiamo
però embrioni di scambio dei prodotti nella forma di "smercantilizzazione"
dei prodotti agricoli. Come è noto, la produzione dei colcos produttori
di cotone, lino, barbabietole, ecc. già da tempo viene "smercantilizzata"
non per intiero, in verità, ma ad ogni modo "viene smercantilizzata".
Osserviamo tra parentesi che il termine "smercantilizzazione" è
infelice e dovrebbe essere sostituito con il termine "scambio di prodotti".
Il compito è di organizzare questi embrioni di scambio dei prodotti
in tutte le branche dell'agricoltura e svilupparli in un vasto sistema di
scambio dei prodotti, in modo che i colcos, in cambio della loro produzione
non ricevano solo danaro ma, principalmente, gli oggetti loro indispensabili.
Questo sistema richiederà un gigantesco aumento della produzione fornita
dalla città alla campagna; perciò dovrà essere introdotto
senza una fretta particolare, nella misura che si accumulano i prodotti della
città. Ma questo sistema deve essere introdotto fermamente, senza esitazioni,
restringendo gradualmente il campo d'azione della cirolazione mercantile ed
estendendo il campo d'azione dello scambio dei prodotti.
Questo sistema, restringendo il campo d'azione della circolazione mercantile,
favorirà il passaggio dal socialismo al comunismo. Inoltre, esso permetterà
di inserire la proprietà fondamentale dei colcos, il prodotto dell'attività
produttiva colcosiana nel sistema generale della pianificazione nazionale.
Questo sarà appunto un mezzo concreto e decisivo per elevare la proprietà
colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo nelle nostre
attuali condizioni.
è vantaggiso questo sistema per i contadini colcosiani? è incontestabilmente
vantaggioso. è vantaggioso perché i contadini colcosiani riceveranno
dallo Stato una quantità molto superiore di prodotti e a prezzi più
bassi di quelli della circolazione mercantile. Tutti sanno che i colcos i
quali hanno col governo un contratto per lo scambio di prodotti ("smercantilizzazione")
ricavano vantaggi incomparabilmente maggiori a quelli dei colcos che non hanno
questi contratti. Se il sistema dello scambio dei prodotti verrà esteso
nel paese a tutti i colcos, questi vantaggi saranno goduti da tutti i nostri
contadini colcosiani.
28 settembre 1952
G. Stalin
NOTE
1 F. Engels, Antidühring, Edizioni Rinascita, Roma 1950, p. 308.
2F. Engels, Antidühring, cit. p. 308.
3 Cfr. K. Marx, Per la critica dell'economia politica, prefazione, in K. Marx
- F. Engels, Sul materialismo storico, Edizioni Rinascita, Roma, 1949, pp.
43 - 44.
4 F. Engels, Antidühring cit., p. 167
5 Khlestakhov è lo spaccone della famosa commedia di Gogol, Il revisore.
6 F. Engels, Antidüring cit., p. 304.