Biblioteca Multimediale Marxista
Nell'aprile 1971 esce il primo numero di "Nuova Resistenza."
Sotto la testata, la parola d'ordine "Proletari di tutto il mondo unitevi"
con accanto il simbolo di Sinistra Proletaria: falce, martello e fucile incrociati.
Il periodico, che si definisce "giornale comunista della nuova resistenza,"
uscirà anche il mese successivo per poi cessare immediatamente le pubblicazioni.
Il precipitare della lotta di classe e le scelte delle BR fanno abbandonare
presto questa ultima esperienza legale.
Emanazione diretta di Sinistra Proletaria, nasce con un disegno ambizioso: divenire
il punto di incontro e di riferimento per tutti quei gruppi spontanei o no che
riconoscono valida la necessità di opporsi con la violenza alla controrivoluzione
armata: "Un problema di fondo si fa avanti [...], il problema di una strategia
unitaria del movimento di lotta. Molti ostacoli teorici e pratici rendono difficile
la sua risoluzione [...]. Tutto il lavoro del nostro giornale vuol essere un
contributo a sciogliere questi ostacoli presentando la pratica, le tesi e le
tendenze di quei movimenti di classe che hanno come base comune lo sviluppo
della guerriglia come forma di lotta dominante per la liberazione della classe
operaia da ogni forma di sfruttamento. "[1]
In questo quadro vengono pubblicati non solo i comunicati delle BR ma anche
quelli dei GAP e di altre formazioni minori.
Quasi a significare la dimensione mondiale dello scontro di classe, una particolare
attenzione viene rivolta alle guerriglie in Germania, Uruguay, Palestina. Vengono
pubblicati per la prima volta un lungo documento della RAF ed un'intervista
ad un compagno tupamaro, non recente, ma allora quasi sconosciuta in Italia.
Per i compagni di NR non si tratta solo di dare dell'informazione su movimenti
verso i quali non si nascondono le proprie simpatie: il problema è quello
di superare il livello della generica solidarietà. Polemizzando con il
collettivo romano Palestina Rossa si ammonisce: "Con tutta probabilità
sta arrivando il momento della fine dei comitati di solidarietà, per
assunzione di diretta responsabilità da parte di coloro che legano le
lotte dei popoli con la lotta rivoluzionaria nel loro paese [...]. Mentre i
comitati di solidarietà servono al revisionismo o giungono alla loro
decomposizione, le forze extraparlamentari marxiste-leniniste dovrebbero trovare
il loro momento di unità in un'analisi collettiva dei rapporti concreti
tra la lotta rivoluzionaria del nostro paese e le lotte e le guerre di popolo.”[2]
L'editoriale del primo numero è scritto con stile che rievoca l'apocalisse:
padroni e borghesi vengono calati in un'atmosfera da anno mille. La sensazione
dominante è che la storia stia voltando pagina: la rivoluzione è
una forza della natura o meglio una stagione dell'anno che bussa prepotente
alla porta. Non mancano le immagini poeticopolitiche come: "Sul terreno
della loro controrivoluzione cresce il fiore della lotta partigiana," oppure:
"si avvicina la primavera di una forte resistenza":
Compagni, anni di lotte quotidiane su tutti
i problemi della nostra vita produttiva e sociale, danno finalmente un primo
e rilevante risultato: lo stato dell'ordine e della strage è sconvolto
da contraddizioni non risolvibili e la crisi di regime è ormai prossima
al punto di tracollo.
Ministri, Generali, Ricchi industriali, Parassiti e Benpensanti sentono con
angoscia che il tempo sta cambiando, che si avvicina la primavera di una forte
resistenza; di una profonda rivoluzione sociale.
Presi dal terrore, tentano allora di fermare la storia: attaccano le forme di
lotta, lo sciopero a scacchiera, il blocco delle merci, l'autolimitazione della
produzione; militarizzano parti consistenti di territorio e mettono poliziotti
nella scuola, nelle fabbriche; alimentano con generosità i movimenti
fascisti di reazione armata. Ma sul terreno della loro controrivoluzione cresce
il fiore della lotta partigiana e dei vasti movimenti di massa per il comunismo.
Ecco allora i colpi di stato da baraccone costruiti per occultare i veri colpi
di mano di Colombo e Restivo; ecco la falsa crociata contro "le destre"
sporca manovra della reazione che prelude a cinici ed efferati attacchi verso
le forze proletarie e rivoluzionarie. Una truculenta parodia della storia costruita
ad arte nei ministeri della provocazione al servizio di un miope progetto di
rafforzamento delle "istituzioni repubblicane," ultimo e ridicolo
tentativo di agitare le acque per confondere le idee.
Le classi dominanti non vogliono ammettere di essere state politicamente sconfitte
e con l'ultima cosa che gli rimane - le armi - tentano di soffocare l'aspirazione
delle masse ad una giustizia nuova che nasca dal popolo e che da questo sia
controllata e gestita.
Ora dobbiamo dimostrare che anche su questo piano il popolo è invincibile!
Non sarà semplice, ma questo è il nuovo compito. In questo spirito
abbiamo assunto a testata del nostro giornale politico la parola d'ordine: "NUOVA
RESISTENZA."
Ad indicare nel contempo l'orizzonte nuovo che ci si apre dinanzi e la continuità
con tradizioni di lotta che seppur pervertite da una guida revisionista o borghese
hanno coinvolto le migliori forze del nostro paese.
"Nuova Resistenza" quindi non ha il sapore di una nostalgica ed impolitica
riproposta della viziosa tematica resistenziale e non assume da questa gli umori
difensivi che alimentarono quella lotta contro gli aspetti aberranti della "democrazia"
senza saper coinvolgere nella critica del movimento armato le strutture stesse,
politiche e produttive, dello Stato capitalista.
"Nuova Resistenza" ha invece per noi il senso tutto giovane ed offensivo
che questa parola d'ordine assume nel quadro della guerra mondiale imperialista
che oppone al di là di ogni frontiera "nazionale" la controrivoluzione
armata alla lotta rivoluzionaria dei proletari, dei popoli e delle nazioni oppresse.
la resistenza orientata dalla Cina rivoluzionaria del presidente MAO.
È la resistenza capeggiata dal Vietnam e dai popoli rivoluzionari dell'Indocina.
È la resistenza dei popoli palestinesi e dell'America latina.
E' la resistenza nelle metropoli imperialiste, nei ghetti neri e nelle città
bianche.
È questo slancio rivoluzionario, unitario e mondiale, perché compatta
e mondiale è la repressione imperialista, ciò che noi intendiamo
facendo nostra la parola d'ordine: "Nuova Resistenza." D'altra parte
questo è l'imperativo sprofondato in ogni anche minimo sussulto del movimento
di classe nel nostro paese.
Tremano infatti i padroni e revisionisti costretti a ballare il tamtam delle
lotte nelle grandi fabbriche del Nord e delle regioni povere e sfruttate del
Centro e del Sud.
Lotte che non si attenuano, che non si fanno intimorire dai denti digrignati
dei padroni, che sanno ogni giorno inventare nuove forme di espressione.
È un fatto che il movimento di classe trabocca quotidianamente oltre
ogni gabbia sindacale, che una nuova giustizia rinata in mezzo al popolo impone
prepotente la sua legge.
E un solco si viene tracciando tra proletari e governo, tra proletari e reazione
che esprime il rifiuto piú incomponibile della intera organizzazione
del lavoro e del potere, che stacca la società civile a suo riflesso
politico e catapulta quest'ultimo [...] nella solita pattumiera della storia.
Ma in questa fase avanzata di scontro, dove rivoluzione e controrivoluzione
si fronteggiano "assaggiandosi" vicendevolmente, un problema di fondo
si fa avanti e bussa alla porta di ogni gruppo rivoluzionario: il problema di
una strategia unitaria del movimento di lotta.
Molti ostacoli teorici e pratici rendono difficile la sua risoluzione. Ostacoli
teorici sono la scarsa elaborazione, riflesso di una scarsa "pratica"
dei temi decisivi connessi alla questione dell'organizzazione della guerra di
classe, al problema del passaggio dalle forme di violenza spontanea e di massa
a forme organizzate di lotta partigiana e di guerriglia, al problema del Partito
combattente!
Ostacoli pratici sono le tendenze conservatrici e spesso non proletarie che
prevalgono in molti gruppi i quali non riuscendo a prendere nelle loro mani
i primi fenomeni di lotta partigiana, ricorrono agli "epiteti imparaticci"
e liquidano la questione bollandoli di anarchismo, blanquismo, vecchio terrore,
atti di singole persone staccate dalle masse, che demoralizzano gli operai,
respingono da essi i larghi strati della popolazione, disorganizzano il movimento,
nuocciono alla rivoluzione (...) e finalmente sono oggettive provocazioni![3]
Un articolo sulla violenza, pubblicato per aprire una discussione
nell'ambito di quelli che in proposito "non hanno obiezioni di principio"
teorizza, forse per la prima volta in Italia, la necessità dell'edificazione
del partito-guerriglia, vista in contrapposizione alla dicotomia tra partito
e "braccio armato." Dopo aver definito la violenza come "categoria
storica" e come "esigenza imprescindibile" si passa a discutere
del rapporto rivoluzione-repressione. Fatta una citazione di Marx e Lenin, secondo
cui la rivoluzione progredisce suscitando una controrivoluzione, si prosegue
affermando che "il progresso della rivoluzione è [...] la capacità
da parte proletaria di acquisire strumenti [...] al passo con i nuovi compiti."[4]
Viene compiuta un'analisi sulle differenti forme di violenza. Le principali
sono tre: la violenza spontanea non di massa, "il modo peggiore di esprimere
una giusta esigenza"; la violenza spontanea di massa, come i cortei interni,
le lotte spontanee in fabbrica; infine le azioni partigiane, "i primi momenti
di una volontà proletaria d'organizzazione politica armata." Si
osserva poi che "la tendenza generale è l'organizzazione, cioè
il passaggio dalle forme spontanee a quelle organizzate."
Il dibattito nella sinistra di classe sulla questione della strategia rivoluzionaria,
e quindi dell'organizzazione, è ostacolato dalla "tenace resistenza
che schemi tradizionali sull'esperienza rivoluzionaria europea oppongono ad
una piú coraggiosa riflessione." "L'ipotesi classica dell'insurrezione
centrata sulle masse urbane, per lunghissimi anni preparata da un infaticabile
lavoro di propaganda" impedisce a molti compagni di vedere l'importanza
e le funzioni di avanguardia che le azioni partigiane sviluppano attraverso
una "lotta popolare, prolungata e violenta": "1' accumulazione
delle forze rivoluzionarie, la mobilitazione delle masse, l'edificazione del
partito-guerriglia," vale a dire "una unica realtà organizzativa
politica ed armata che fa giustizia delle distinzioni opportuniste tra partito
e guerriglia, tra organizzazione dei politici e organizzazione dei militari."
In conclusione "le azioni partigiane sono ammissibili dal punto di vista
di principio, e necessarie nel momento attuale.”[5]
Non mancano le polemiche, sia pure a distanza, con altre formazioni armate.
In un articolo sul fallito golpe Borghese si evidenziano alcune differenze fondamentali
con i GAP. Il golpe militare non è visto da NR come un reale e immediato
pericolo. Valerio Borghese conta come il "due di briscola." "Ciò
che invece è molto importante è l'uso che di questi sogni hanno
inteso fare il governo ed i revisionisti." Da tre anni la classe operaia
è sempre all'attacco. Il potere "preso da difficoltà irresolubili,"
dovendo "nascondere agli occhi delle masse la lebbra che lo scarnifica
ogni giorno piú profondamente," inventa "la bella favola del
principe nero" da "vendere alla pubblica opinione."
Dal canto loro i revisionisti se ne servono per indurre le avanguardie di classe
ad accettare il gioco parlamentare e per contenere la loro volontà di
lotta.[6]
Ben diversa è la valutazione dei GAP, che si muovono sotto l'ipotesi
di un imminente colpo di stato. Per i GAP, il fallito colpo Borghese non è
stata la favola del "principe nero." In un loro documento pubblicato
su "Potere Operaio" si mostrano preoccupati dell'offensiva reazionaria
la cui caratteristica è il "ruolo sempre piú preminente delle
forze militari dello stato e delle forze paramilitari fasciste." Solo "una
fuga di notizie ha permesso all'ultimo momento di sventare un colpo di stato
preordinato con meticolosa cura [...] da centinaia di ufficiali delle FFAA,
dai comandi superiori e periferici dei carabinieri, dagli esponenti della finanza
e dell'industria capitalista italiana, nonché dai rappresentanti dell'imperialismo
americano."[7]
Naturale corollario di questa posizione è una valutazione del revisionismo
ben diversa da quella data dalle Brigate Rosse.
Secondo i GAP "anche la sinistra tradizionale rappresentata dal PCI [...]
vede ogni giorno con preoccupazione, sempre piú ristretto il suo campo
di manovra." Di qui i reiterati appelli ai militanti del PCI: "La
classe operaia, i lavoratori tutti reclamano ed esigono una politica, un fronte
ampio contro il fascismo, contro il padronato capitalista e contro l'imperialismo
[...]. Vogliono i compagni iscritti al PCI far parte di questo fronte rivoluzionario
ed antifascista?"[8]
È importante sottolineare la diversità di queste due linee, l'una
offensiva, l'altra difensiva, perché troppo spesso vengono confuse ed
accomunate, anche da quei compagni che non hanno fatto mai mancare la loro solidarietà
rivoluzionaria a queste due organizzazioni. E' il caso dei Comitati Autonomi
Operai di Roma (via dei Volsci) che in un ciclostilato del 27 maggio 1974 cosí
si esprimono: "Per i compagni delle BR valgono gli stessi giudizi da noi
espressi sull'esperienza dei GAP [...]. L'esperienza dei compagni delle BR è
interna all'area del movimento rivoluzionario, oggi incapace di esprimere un
dato comune sul `che fare' e sull'organizzazione. Incapacità che non
si risolve promuovendo la scelta della clandestinità che oggi è
interna alla scelta politica sbagliata di una minaccia golpista in Italia."[9]
L'attività dei GAP era consistita in una serie di attacchi ad alcuni
centri di potere borghese (consolato USA, sede del PSU, fabbriche, deposito
Ignis, raffineria Garrone) e soprattutto in una serie di trasmissioni radio
"pirata." Il campo d'azione dei GAP, secondo la vecchia impostazione
partigiana, è costituita dalle zone montagnose e isolate. Le loro azioni
ed i loro comunicati erano stati divulgati da Lotta Continua e da Potere Operaio.
"Nuova Resistenza" nei suoi due numeri pubblica un comunicato su un
attacco ad una sede fascista di Lodi ed il testo di due "trasmissioni del
popolo" captate rispettivamente a Trento ed a Milano:
Attenzione: qui Radio GAP, Gruppi di Azione
partigiana... Mentre padroni e governo accentuano la crisi economica, mentre
centinaia di aziende vengono deliberatamente messe in difficoltà e su
centinaia di migliaia di lavoratori grava la minaccia della cassa integrazione,
della disoccupazione e della fame, le tanto promesse riforme diventano l'occasione
per nuovi aggravi, per nuove tasse per i lavoratori.
Con il decretone e con la riforma fiscale il governo ed il padronato tentano
di scaricare sui lavoratori i sempre maggiori costi di una burocrazia parassitaria
e inutile. Con la riforma per
la casa il governo crede potere ancora una volta prendere i lavoratori per il
culo con vuote promesse.
Sul fronte politico padroni e governo ricorrono all'arma dello squadrismo fascista
per intimidire e colpire i lavoratori, le loro organizzazioni sindacali e politiche.
Con la massiccia offensiva economica e con lo squadrismo fascista i padroni
ed il governo vogliono rimangiarsi i contratti, vogliono rimangiarsi l'impegno
delle 40 ore, vogliono accentuare lo sfruttamento capitalista ed imperialista
sui lavoratori italiani.
Ma dalle lotte per i contratti e le riforme del '69 e del '70, dall'offensiva
padronale e fascista in atto è nata una nuova resistenza di massa, è
nata la ribellione operaia al padrone ed allo stato dei padroni, è nata
la ribellione all'imperialismo straniero, è nata la ribellione delle
popolazioni e delle classi lavoratrici del Sud. Sono nate le Brigate Rosse,
e si sono costituite le Brigate GAP. Per i padroni e per i fascisti questa è
stata una dura sorpresa.
Non si aspettavano i padroni che all'offensiva reazionaria e fascista il proletariato
italiano rispondesse passando ancora una volta all'offensiva, scatenando la
guerra partigiana rivoluzionaria.
La guerra che i padroni hanno voluto continuerà fino alla vittoria, fino
a che avremo spazzato via, una volta per tutte, fascisti e padroni, fino a che
avremo spazzato i loro strumenti di paura e di oppressione, fino a che ci saremo
liberati dal giogo dell'imperialismo straniero.
La via delle riforme, la via della rivoluzione comunista, la via della liberazione
definitiva del proletariato e dei lavoratori italiani dalla dominazione e dallo
sfruttamento del capitale italiano e straniero comporta una lunga e dura guerra.
Ma su questa via le brigate partigiane, i compagni ed i lavoratori italiani
si sono ormai avviati. Sulla via della liberazione, sulla via della rivoluzione
comunista avanguardie partigiane, lavoratori, braccianti, studenti rivoluzionari
marceranno compatti ed uniti fino alla vittoria.
Viva l'unità fra le avanguardie partigiane e i lavoratori italiani!
Per il Comunismo e la Libertà avanti fino alla vittoria definitiva sul
capitalismo e l'imperialismo.[10]
Altro gruppo che si poneva sul terreno della lotta armata,
e che molti hanno ritenuto appartenere ai GAP, è il gruppo 22 Ottobre
di Genova.
In realtà, pur considerando le analogie con i GAP, ed in particolare
la linea difensiva "antigolpista," e l'origine comunista di molti
militanti, il ben diverso impianto organizzativo testimonia della mancanza di
solidi legami operativi tra le due organizzazioni. Resta il fatto che in un
loro documento i GAP di Milano definiscono Mario Rossi "un compagno fino
a poco tempo fa iscritto al PCI ed oggi valoroso gappista."
Ma si tratta, con ogni probabilità, di una doverosa testimonianza di
solidarietà rivoluzionaria verso un compagno in galera, vittima di una
mostruosa montatura.
Il processo di Genova contro il gruppo 22 Ottobre dà a "Nuova Resistenza"
l'occasione per individuare nella "criminalizzazione del movimento"
la strada maestra che la borghesia si avvia a percorrere per contenere l'offensiva
rivoluzionaria. Questo articolo dal contenuto quasi profetico anticipa di 4
anni alcune teorizzazioni fatte proprie attualmente da gran parte della sinistra
rivoluzionaria:
Oggi lo scontro di classe è a un punto
di rottura. La sinistra rivoluzionaria, in questi ultimi anni, ha praticato
con vera creatività nuove e piú incisive forme di lotta che si
sono estese e generalizzate, sino a costringere il potere alla difensiva.
Nelle fabbriche in modo sempre piú ampio ed organizzato gli operai diminuiscono
la produzione, fanno sabotaggi, praticano l'assenteismo...
Non è semplicemente una difesa dal bestiale sfruttamento che logora ed
uccide un po' per giorno, ma è una dichiarazione di guerra che il proletariato
ha lanciato!
Inutilmente padronato e revisionisti cercano dunque di convincerlo che vi è
un suo interesse al "buon andamento" della produzione, che tutto il
resto è estremismo sterile provocatorio.
Inutilmente perché tre anni di lotte, di lotte molto dure, dentro e fuori
la fabbrica, hanno chiarito a troppi cosa vuol dire questo discorso, cosa si
vuol difendere attaccando come estremista il rifiuto degli operai a farsi sfruttare.
Anche nei quartieri il popolo in rivolta ha cominciato ad esprimere gli stessi
contenuti. Molte famiglie fanno lo sciopero degli affitti, occupano le case,
si conquistano la gratuità dei trasporti...
Rifiutano di farsi rapinare dal padrone di casa quello che sono riusciti a strappare
al padrone di fabbrica.
Ma soprattutto rifiutano il principio che questa rapina sia un diritto, un sacrosanto
ed indiscutibile diritto dei padroni. Dicono con la resistenza contro la legalità
borghese quale è la legalità proletaria!
Dunque anche nei tribunali borghesi, dove i padroni vorrebbero punire l'illegalità
proletaria, il popolo comincia a difendere la sua "illegalità."
Comincia a portare il suo attacco alla "giustizia," costringe i padroni
ad uscire dal rifugio sicuro delle formulette del codice per sostenere uno scontro
politico sotto il sole.
E mano a mano che la sinistra rivoluzionaria riconquista nella lotta la sua
autonomia di classe, viene fuori sempre piú scoperto il filo nero che
unisce in un unico piano di controrivoluzione tutte le istituzioni repressive
dello stato, i partiti revisionisti, i sindacati.
Cosí mentre il potere si arma, "l'Unità" attacca come
provocatorie e teppiste le azioni di violenza proletaria (perfino quando è
l'assalto ad una sede fascista, come a Venezia) e le attribuisce ai "gruppuscoli
strumentalizzatori pagati dai padroni!"
Mentre il padronato ancora una volta tenta di piegare la classe operaia sotto
le ferree leggi del massimo profitto, nelle grandi fabbriche, dove gli operai
sono piú forti e decisi, i sindacati attaccano e calunniano le forme
di lotta piú avanzate, tentano il pompieraggio dello scontro.
Le masse popolari dunque accerchiano il potere. Un accerchiamento che è
generoso e deciso, ma che è anche disperso e disorganizzato. E non vedere
questo limite, fare l'apologia di tutto questo, esaltarsi nella certo esaltante
prova di forza e di ricchezza che il movimento sta dando, sarebbe un grave errore
capace di partorire solo una tragedia storica per il movimento.
La storia della lotta di classe in fondo è spesso la storia della rivolta
disorganizzata del popolo che produce repressione organizzata del potere.
Quando in fabbrica i proletari non cessano di lottare, quando attaccano nei
quartieri, quando costringono la stampa e la giustizia a chiamare estremismo
la volontà del popolo, perché non regge piú agli occhi
di nessuno la distinzione fra "estremisti sobillatori" e "popolo
sobillato," allora il potere si sente tutto rimesso in discussione ed è
costretto per ristabilire l'ordine a ricorrere all'unica arma che ancora gli
resta, che gli dà un punto di vantaggio strategico, decisivo, nello scontro
di classe.
In questi ultimi mesi abbiamo visto chiaramente, tutti i giorni e dappertutto,
l'aggravarsi della repressione: il potere oggi risponde militarizzando lo stato,
il territorio, lo scontro politico stesso.
Risponde "criminalizzando" il movimento!
Manda la polizia nelle fabbriche e nelle scuole: alla Crouzet come al Feltrinelli;
a Fisica e ad Architettura di Milano.
Reprime le occupazioni delle case, da Mac Mahon a Roma, con l'accerchiamento
totale e la violenza, e militarizza la città per prevenirle.
Dà ai fascisti lo spazio per egemonizzare e strumentalizzare le giuste
rivolte popolari, ne deforma quindi la natura per isolarle dalle lotte proletarie
e poi reprimerle tranquillamente, in nome dell'antifascismo.
Attacca nelle fabbriche quelle forme di lotta che minacciano di colpirlo al
cuore: mette fuori legge la riduzione dei punti e il blocco delle merci. E per
dare peso reale e credibilità al suo provvedimento, ricorre senza paura
al taglio netto dei salari e al licenziamento per scarso rendimento.
Dove lo "scarso rendimento" non è solo un pretesto per colpire
le avanguardie di lotta, ma un avvertimento esplicito a tutti gli operai: è
il terrorismo in fabbrica che prepara il terreno alle leggi antisciopero. Esemplare
a questo proposito è l'arresto dei tre operai della FIAT, proprio all'inizio
del nuovo e importante scontro contrattuale, per fatti successi contro un crumiro
un anno fa. Come dire, badate, i crumiri saranno protetti, gli scioperanti colpiti.
Ed altrettanto esemplari sono i licenziamenti dopo i primi giorni di lotte,
di quei militanti rivoluzionari che erano alla testa dei cortei interni.
È infatti una esigenza vitale per il potere quella di riacquistare una
credibilità che coi mezzi politici "usuali" non è piú
sostenibile. Se il decretone Colombo è tanto necessario al potere quanto
in
difendibile di fronte alle masse, bisogna sostenerlo all'ombra dei fucili.
Lo scontro politico finalmente esce dalle infinite fumosità che per mesi
lo hanno paralizzato e ridicolizzato per assumere una ben diversa "persuasività"
e "concretezza." Lo scontro politico si militarizza. Il potere potenzia
cosí i suoi strumenti di controllo e organizza la repressione preventiva:
il rapporto Mazza è esplicito, e il "Corriere della Sera" ammonisce:
"per ripulire la città dagli attivisti che praticano la violenza,
il questore ha perfezionato il piano già studiato nei giorni scorsi.
Pattuglie civetta perlustrano ininterrottamente le strade, e speciali servizi
di sorveglianza sono stati istituiti presso le sedi di organizzazioni politiche."
E infatti è ormai prassi quotidiana fermare e perquisire macchine di
compagni, senza motivazione alcuna, e arrestare chi è a bordo, in caso
di rinvenimento di "arma impropria."
Nello stesso tempo il potere tenta un uso "terroristico" delle ambiguità
e della confusione che le prime azioni partigiane possono produrre nel movimento.
Il grosso "caso" del gruppo di Genova, ha segnato cosí l'inizio
di una velenosa manovra che giorno dopo giorno, con pazienza, tende a convincere
l'opinione pubblica che i rivoluzionari sono dei banditi e i "gruppuscoli"
associazioni a delinquere.
Questo vuol dire "criminalizzazione del movimento." Vuol dire convincere
piú gente possibile, svuotando di ogni senso politico l'azione rivoluzionaria,
che una nuova forma di criminalità si sta affermando: la criminalità
politica!
Anche qui l'azione è preventiva: contro la logica dell'esproprio rivoluzionario
e dell'illegalità militante, il potere pianta una foresta di cittadini
"onesti tutori dell'ordine." Puntando sulla "maggioranza silenziosa,"
esso cerca di contrapporre alla guerra del popolo una specie di sua "difesa
di popolo."
Quando il contrattacco è cosí globale, quando è insieme
politico, giuridico, ideologico e militare, quando nello scontro emerge, anche
confusamente, che la richiesta del popolo è il potere, e il potere per
sopravvivere si militarizza, è necessario che il movimento faccia a sua
volta un salto organizzativo.
Oggi il movimento, almeno nei suoi momenti di punta, è arrivato allo
scontro diretto con il potere: organizzarlo solo per le manifestazioni, vuol
dire produrre non rivoluzione, ma controrivoluzione, vuol dire produrre organizzazione,
ma solo per il potere. Vuol dire lavorare per la sconfitta della rivoluzione:
in una parola essere avventuristi.
È un momento decisivo: le organizzazioni veramente rivoluzionarie e ogni
singolo compagno, non ne possono sfuggire. Spaventarsi, insabbiare la testa
e negare la realtà dello scontro, oppure chiudere gli occhi e andare
avanti fiduciosi, verso la inafferrabile ora X, sono prassi politiche diverse
che hanno però in comune la volontà di fuggire di fronte ai compiti
reali, teorici e pratici, che abbiamo davanti.
I compagni devono capire che non si può piú fare lotta politica
se non assumendosi anche la dimensione militare dello scontro; e questo perché
non ci può piú essere trasformazione pacifica delle cose.
Il potere ha preso l'iniziativa di militarizzare lo scontro, la sinistra rivoluzionaria,
i compagni devono prendere l'iniziativa di un progetto di organizzazione della
lotta rivoluzionaria che sia in grado di contrapporsi al potere militarizzato.
Al di fuori di questo, la sinistra rivoluzionaria non può che cessare
di essere protagonista dello scontro che è in atto.
Anche il suicidio è una scelta... ma non è quella dei proletari![11]
Nel secondo numero "Nuova Resistenza" passa a discutere
di due settori di lotta che si sviluppavano in quegli anni: la caserma e il
carcere. La lettera di un soldato offre l'occasione per una polemica con Lotta
Continua e il PID (Proletari in divisa): "L'obiettivo delle avanguardie
rivoluzionarie, anche di quelle presenti nell'esercito italiano, non deve piú
essere la creazione di movimenti di opinione e di massa, da dirigere poi logicamente
all'insurrezione, e alla sconfitta inevitabile, ma la costituzione di nuclei
politici-militari organizzati clandestinamente che agiscano all'interno delle
masse su obiettivi propri di queste ultime e che siano in grado di contrapporsi
concretamente, e a livello sempre piú alto, al potere."[12]
Per quanto riguarda le carceri viene spiegata, in un articolo dal titolo perentorio
Bruciare le carceri è giusto, la posizione del giornale sulla criminalità
e sulla funzione rivoluzionaria del sottoproletariato: "La rivoluzione
moderna non è piú la rivoluzione pulita [...] accumula i suoi
elementi pescando nel torbido, avanza per vie traverse e si trova degli alleati
in tutti coloro che non hanno nessun potere sulla propria vita e lo sanno [...].
In attesa della festa rivoluzionaria in cui tutti gli espropriatori saranno
espropriati, il gesto `criminale' isolato, il furto, l'espropriazione individuale,
il saccheggio di un supermercato non sono che un assaggio e un accenno del futuro
assalto alla ricchezza sociale, `il criminale rompe la monotonia e la sicurezza
quotidiana, banale della vita borghese' (K. Marx). Per il fatto stesso di esistere
egli pone in crisi l'ideologia della società capitalistica: si appropria
realmente di ciò che la borghesia gli mostra come astrattamente disponibile."[13]
Qui riteniamo che vadano fatte alcune osservazioni: 1' abitudine di riferirsi
ai classici del marxismo, il rigore ideologico portato fino all'esasperazione
e la rinuncia a costruire un discorso che cammini con le proprie gambe senza
le stampelle delle citazioni, conducono i compagni di NR a stravolgere il pensiero
di Marx trasformato in un Fanon ante-litteram. In realtà, Marx e Engels
avevano espresso sul furto e sul sottoproletariato anche posizioni che, prese
a sé stanti, appaiono aberranti:
Il sottoproletariato [...] è il peggiore di tutti i possibili alleati [...]. Se gli operai francesi nel corso di ogni rivoluzione scrivevano "mort aux voleursl" (morte ai ladri) e ne fucilavano anche alcuni, questo non accadeva perché fossero pieni di entusiasmo per la proprietà, ma perché giustamente erano consapevoli che bisognava anzitutto tenersi alla larga da questa genia. Ogni dirigente della classe operaia che usa questi straccioni [...] dimostra già di essere un traditore del movimento.[14]
[Il sottoproletariato] in tutte le grandi città
forma una massa nettamente distinta dal proletariato industriale, nella quale
si reclutano ladri e delinquenti di ogni genere, che vivono dei rifiuti della
società; gente senza mestiere definito [...] che non perde mai i caratteri
dei lazzaroni.[15]