Biblioteca Multimediale Marxista
Le lotte studentesche del '68, da alcuni considerate "detonatore,"
da altri "elemento dinamico del processo di formazione del proletariato
moderno," producono come primo effetto il diffondersi in fabbrica di nuove
forme di lotta, violente e illegali. Questa infezione di libertà da un
lato mette in crisi le organizzazioni tradizionali, impreparate a contenere
la spontaneità operaia, dall'altro pone prepotente l'esigenza dell'organizzazione
rivoluzionaria, adatta all'offensiva proletaria in atto.
E' cosí che, a partire dal '69, si assiste alla nascita di numerosi partiti,
gruppi o collettivi che si pongono il problema dell'organizzazione. Uno di questi
è il Collettivo Politico Metropolitano promosso a Milano dal CUB Pirelli,
dal GdS Sit-Siemens, dal GdS IBM, da alcuni collettivi di lavoratori-studenti,
da gruppi di compagni dell'Alfa Romeo, della Marelli, dei telefoni dello Stato,
del Movimento studentesco, oltre che da militanti senza organizzazione. Sarà
proprio il CPM il nucleo iniziale da cui attraverso varie trasformazioni, nasceranno
e si svilupperanno le BR.
L'atto di nascita ufficiale del CPM risale all'8 settembre 1969, data in cui
fu preparato un bollettino ad uso interno dei militanti. Scritto sotto forma
di relazioni compilate a cura dei singoli comitati di azienda di Torino, Milano,
o di lavoratori-studenti, definisce il CPM come strumento che deve predisporre
"le strutture di lavoro indispensabili a impugnare in modo non individuale
l'esigenza-problema dell'organizzazione rivoluzionaria della metropoli e dei
suoi contenuti (ad esempio democrazia diretta, violenza rivoluzionaria ecc.)."[1]
In contrasto con l'astratto e spesso falso rigore marxista-leninista allora
in voga, vi si sottolinea che "attualmente il processo di costruzione del
collettivo non avviene sulla base di un programma e neppure sulla base di una
rosa di principi ideologici.”[2]
Il CPM non è il prodotto di un atto volontaristico, non nasce dal nulla,
ma è il frutto delle lotte condotte nelle fabbriche dove erano presenti
in posizione egemone, o comunque di rilievo, i comitati che in seguito alla
maturazione della loro esperienza decidono di dare vita a questa organizzazione.
Lo scopo non è limitato al collegamento tra diverse aziende: l'intento
dichiarato è quello, assai piú ambizioso, di portare fuori dalle
fabbriche e dalle scuole l'offensiva generalizzata al sistema, investendo l'intera
area metropolitana. È quindi indispensabile, per comprendere la genesi
delle BR (che, in quanto tali, nasceranno nel 1970), riandare al 1968 e analizzare,
sia pure in breve, le principali esperienze di fabbrica dei comitati che hanno
dato vita al collettivo politico metropolitano.
Con il fine generico di "studiare e proporre a tutti gli impiegati obiettivi ed azioni atte a migliorarne le condizioni generali [...] non dall'esterno come il sindacato [...] ma dall'interno attraverso analisi e assemblee a cui tutti possono partecipare,"[3] nasce a Milano nel '68 il Gruppo di studio Sit-Siemens. Costituito inizialmente di soli impiegati, cosí ne viene spiegata in un volantino distribuito alla Face-Standard l'origine:
Un anno fa eravamo [...] disorganizzati, senza collegamenti
tra di noi [...]. Tutti ci lamentavamo e l'alternativa in pratica era una sola,
andarsene o subire [...]. Non c'era ancora apparso chiaro che la maggior parte
dei problemi non erano individuali ma comuni, che il rapporto tra ciascuno di
noi, isolato e debole, e la direzione poteva essere rovesciato. Si è
formato così un gruppo che abbiamo chiamato di studio [...].
Riuscimmo a elaborare una serie di richieste che, sottoposte mediante referendum
all'attenzione di tutti, diventarono la base delle nostre rivendicazioni. Infatti
in un'assemblea decidemmo di avanzare ufficialmente le richieste alla direzione
che le respinse. Sempre l'assemblea decretò allora lo sciopero, il primo
da oltre 20 anni fatto da noi impiegati, cui partecipò piú del
90%. Alla fine dello sciopero, a parte i risultati che possiamo giudicare soddisfacenti
in sé, [...] possediamo degli strumenti ormai collaudati, come il gruppo
di studio e l'assemblea, che ci consentono di operare scelte collettive.[4]
La fase iniziale del GdS si conclude pertanto con un grosso successo, ma anche
con non poche ombre: composto di soli impiegati, non riesce ad elaborare una
analisi di classe sulla reale condizione di sfruttamento dei lavoratori, né
trova collegamenti con altre forze simili operanti in altre fabbriche. Si tenta
allora di superare le tradizionali divisioni tra operai e impiegati entrando
nella CI "con il preciso mandato di riferirsi sempre al GdS" e si
cercano collegamenti all'esterno col CUB Pirelli, con i lavoratori della Face-Standard,
con il GdS IBM, e con altri gruppi di lavoratori e studenti.
Le lotte per il contratto (autunno 1969) vedono il GdS Sit-Siemens in prima
fila.
Suo merito è l'uso generalizzato dell'assemblea, che in piú di
una occasione esprime parere negativo sulle trattative tra CI e direzione.
Non sono gli obiettivi (cottimo, categorie) a mettere in contrasto la CI col
GdS, ma è il tema legalità-illegalità assieme alle nuove
forme di lotta che la fantasia operaia va via via creando: cortei interni, non
collaborazione, rifiuto di sottostare alla perquisizione all'uscita, rifiuto
di timbrare durante gli scioperi, blocco dei passi carrai, sabotaggi. Un volantino
del GdS cosí si esprime contro l'autoritarismo in fabbrica:
... lo sciopero prolungato ha come effetto che noi non produciamo
[...] ma il padrone per questo tempo non ci paga [...]. È necessario
trovare forme di lotta che danneggino la produzione piú di quanto danneggino
noi [...]. Alcune forme di lotta non piacciono alla direzione che le dichiara
illegali [...]: illegali sono cosí lo sciopero, il picchetto, la caccia
ai crumiri, un vetro rotto durante le manifestazioni...
Legali sono invece il cottimo, il basso salario, l'intimidazione diretta o mascherata,
le multe, il lavoro pericoloso o nocivo...
Contro la sua volontà, contro le sue leggi, dobbiamo imporre la nostra
volontà, contrapporre il nostro potere [5]
Ai sindacati che cercano di convincere i lavoratori sul discorso del merito,
cosí replica il GdS:
La lotta per il salario svincolato dalla produttività
e dalla mansione deve essere il primo passo [...] verso l'abolizione del lavoro
salariato, cioè contro il sistema dei padroni [...]. Va ripresa l'indicazione
strategica di Marx "invece della parola d'ordine conservatrice un giusto
salario [...] gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario
'soppressione del lavoro salariato."[6]
La lotta contrattuale assume forme cruente e anche i padroni perdono la calma.
Da un volantino del GdS:
Verso le 16 all'ottavo piano, l'amministratore delegato rag. Ravalico ha accolto
gli operai saliti per dare la caccia ai crumiri con termini come "branco
di mascalzoni" e ha schiaffeggiato un'operaia.
Gli operai hanno reagito inseguendolo nell'ufficio ed invitandolo a scendere
in cortile [...]. Sotto la pressione della gente Ravalico è stato pressato
tra la scrivania e il muro. Sgusciato fuori si è rifugiato in un altro
ufficio ..[7]
La linea del GdS appare insomma sempre meno recuperabile dal sindacato, che
non riesce a farne propri i contenuti e i metodi. Da parte del GdS si muovono
dure critiche contro la CI, considerata un'équipe di "professionisti
della contrattazione":
A noi non interessa parlar male del sindacato, né accusare
gratuitamente qualcuno di essere venduto al padrone [...]. Il sindacato non
è venduto [...] soltanto ha scelto, insieme ai cosiddetti partiti dei
lavoratori, la strada delle riforme, cioè la strada dell'accordo complessivo
e definitivo con i padroni.
Si va sempre piú chiarendo il vero ruolo del sindacato e dei partiti
"dei lavoratori" che stanno barattando la loro capacità di
egemonizzare e controllare i lavoratori con il loro ingresso in alcune strutture
di potere (Uff. collocamento, scuole professionali, INPS, INAM).
Appare sempre piú chiaro nella lotta contrattuale che la lotta di base
sta assumendo un aspetto generale, uscendo dalla fabbrica per coinvolgere tutta
la struttura sociale. Di qui la necessità per il gruppo di darsi una
dimensione adeguata al livello dello scontro, cioè di agire non solo
in fabbrica, ma anche nella scuola, nei quartieri, in una parola nella metropoli,
di qui la costruzione di un collettivo metropolitano (CPM) a cui il gruppo partecipa.[8]
Il gruppo continua la sua azione politica "ponendosi non già in
fabbrica come alternativa al sindacato e fuori come alternativa ai partiti,
ma cercando di riassumere le due necessarie componenti della lotta di classe,
l'economico con il politico, al livello richiesto dalla lotta stessa.”[9]
Il processo di ristrutturazione tecnologica voluto da Pirelli
negli anni Sessanta, comporta un aumento assoluto dei ritmi e un conseguente
peggioramento delle condizioni di lavoro. Nel febbraio 1968 i sindacati firmano
con la direzione un accordo che segna la svendita di una lotta dura concretatasi
in 72 ore di sciopero.
Si diffonde il malcontento e un volantino di dissenso viene firmato da operai
iscritti alla CGIL e alla CISL. I lavoratori che vengono assunti negli anni
sessantotto/sessantanove (anni di espansione per il settore della gomma) portano
una caratteristica comune: sono tutti giovani o giovanissimi: molti di questi
vengono da istituti di istruzione secondaria, numerosissimi sono lavoratori-studenti.
L' alta conflittualità verificatasi in Italia e in Europa nel '68 si
riflette anche all'interno della fabbrica.
Il primo risultato è la costituzione del CUB che si presenta per la prima
volta con un volantino nel giugno 1968, piuttosto generico, nel quale si differenzia
dai sindacati solo per la premessa generale, e per 1'enfatizzazione del carattere
di base del comitato. L'assenza di una ideologia precostituita allarga la base
delle adesioni operaie. Mentre la proposta del sindacato è fondata essenzialmente
sulla richiesta di aumenti salariali, il CUB propone un ventaglio di richieste
articolate nei seguenti punti:
1) abolizione di ogni condizione di nocività;
2) nuove assunzioni per aumentare l'organico;
3) riduzione dell'orario a parità di salario;
4) rivalutazione del cottimo;
5) prospettiva di eliminazione di quest'ultimo con assorbimento in paga base.
A differenza del sindacato, che intende operare all'interno dell'organizzazione
del lavoro in atto, il CUB si propone di contrastarla contestando l'autorità
del padrone e l'uso capitalistico del lavoro.
L'accordo raggiunto dai sindacati (22 dicembre 1968) rende tuttavia ancora piú
incentivante il cottimo costringendo l'operaio a lavorare di piú. Il
CUB ne denuncia senza mezzi termini il carattere di compromesso, in un volantino
nel quale si esamina la situazione in fabbrica dopo la firma del contratto del
settore:
Il piano del Capitale
a) l'espansione dell'economia necessita di una riduzione dei costi che può
essere imposta soltanto con un aumento dei ritmi, e il blocco delle lotte, o
meglio l'inserimento delle stesse in un ambito controllato e programmato;
b) i sindacati devono sempre piú funzionare oggettivamente da "gestore
dei contratti" e "non possono quindi portare un attacco a fondo al
piano economico." Viceversa bisogna partire dall'assunto che "la lotta
è l'unica arma operaia," il nostro obiettivo deve essere quello
di partire direttamente dalla condizione operaia in fabbrica e di trovare quei
punti comuni a tutti i reparti, quegli obiettivi di fondo su cui far partire
la lotta [...]. Gli obiettivi non possono venire dall'alto ma devono crescere
e precisarsi nel dibattito di base.[10]
Emblematica per comprendere la differenza di ottica tra CUB e sindacati è
la lotta contro la nocività: mentre il sindacato si limita a proporre
"l'eliminazione del periodo di carenza in caso di malattia, e del fiscalismo
del controllo medico," il CUB capovolge l'approccio, e chiede non già
il miglioramento dell'assistenza della malattia (effetto del lavoro), ma pretende
che si intervenga sulle cause, considerando che la nocività è
strettamente legata ai ritmi di lavoro, al taglio dei tempi, ecc.
Del resto, il rifiuto del taglio dei tempi diviene una pratica spontanea da
parte degli operai che spesso senza comunicare le loro richieste, né
ai padroni, né ai sindacati, arrestano il lavoro, rifiutandosi di riprenderlo
in de-terminate condizioni. Presto sarà lo stesso sindacato ad abbandonare
la tematica "mutualistica" per adottarne un' altra piú aderente
alle esigenze degli operai.
Al momento di massima espansione nell'estate-autunno 1969 segue un rapido declino
nel successivo ciclo di lotte operaie ('70-71), dovuto al recupero del sindacato:
nelle piattaforme sindacali vengono assorbiti i suggerimenti dei CUB e in qualche
caso viene addirittura accettato il ricorso a metodi di lotta violenti.
Il CUB che si era costituito come "nucleo di organizzazione della lotta,
ma mai come organo di direzione politica della classe operaia," viene messo
in discussione da quei compagni che, nella presunzione dell'esistenza del partito
rivoluzionario, identificato con AO, propongono un "salto qualitativo"
nella funzione del comitato. Altri, al contrario, non ritengono sia il momento
di aprire un processo che tenda alla formazione di un'organizzazione politica
complessiva ma preferiscono concentrarsi nello sviluppo della lotta in fabbrica.
Nel giugno 1969 si giunge pertanto a una spaccatura e alla formazione di due
CUB, uno dei quali controllato da AO.
In conclusione il bilancio delle lotte alla Pirelli resta comunque positivo:
le lotte del '69 hanno reso manifesta la possibilità di uno sbocco rivoluzionario
anche in una società industriale avanzata. Per gli obbiettivi posti e
per le forme di lotta via via inventate dalla fantasia operaia, il CUB Pirelli
ha segnato forse uno dei piú alti livelli di espressione dell'autonomia
operaia in Italia e in Europa. Tuttavia sono emersi non pochi limiti, alcuni
dei quali sono alla base della scelta di molti compagni di entrare nel CPM,
struttura considerata piú idonea a portare l'attacco al sistema.
Infatti a causa dell'impossibilità di generalizzare lo scontro aziendale
all'intera società, e della mancanza di istituzioni alternative a quelle
del sindacato, il CUB non è riuscito ad andare oltre "l'organizzazione
della spontaneità" ponendosi spesso nel ruolo di gruppo di pressione
che agisce a fianco del sindacato.
La pace sociale propiziata dai tre sindacati aveva consentito
alla direzione IBM di introdurre nella fabbrica di Vimercate in maniera sempre
piú accentuata la completa meccanizzazione dell'intera struttura di fabbrica.
Il lavoro viene via via svuotato di ogni carattere di professionalità.
La conseguente parcellizzazione è spinta a tal punto da ridurre i tecnici
a "semplici appendici dei programmi meccanografici."
Di fronte a questa situazione "le organizzazioni sindacali si perdono in
una politica di piccolo cabotaggio fatta di questioni minime e quotidiane [...]
eludendo di affrontare i veri problemi della classe operaia in una azienda ad
alto sviluppo tecnologico.[11]
In fabbrica lavora essenzialmente un proletariato giovane, costituito da operai
"specializzati" o impiegati "tecnici," molti dei quali,
contagiati dalle lotte studentesche e operaie che avevano interessato il paese
intorno agli anni '68-69, mostrano insofferenza per la politica sindacale. Esiste
quindi il terreno propizio perché, nel marzo '69, alcuni tecnici costituiscano
il GdS IBM: "L'eterogeneità politica, culturale (cattolici, marxisti,
ex liberali) e sociale (alcuni tecnici, un ex capo dimessosi per motivi politici,
un capo in crisi, un ex operaio sindacalista e rappresentante di CI) del gruppo
è la dimostrazione [...] che lo sviluppo capitalistico [...] apre continuamente
nuove contraddizioni nella società [...] e nuovi schieramenti prima impediti
dai grado inferiore di sviluppo del capitale."[12]
Il primo episodio in cui fu vittoriosamente impegnato il GdS è la lotta
in seguito al licenziamento di un capo, avvenuto nel settembre 1969:
La direzione [...] licenzia in tronco un capo colpevole di aver
chiesto di essere esonerato dalle proprie funzioni, di partecipare ai picchettaggi
e di far parte del gruppo politicamente schierato contro la direzione [...].
In questa fase si assiste al grottesco comportamento della CI che in "un'estenuante
trattativa" con la direzione del personale, finisce per accettare la decisione
padronale giungendo ad imporla al compagno licenziato "per il suo bene"
[...]. I lavoratori della IBM si fermano e si riuniscono in assemblea [...].
L'operato della CI viene interamente sconfessato e questa di fatto è
spazzata via come presenza e riferimento dirigente: si impone alla CI di intimare
alla direzione il ritiro del provvedimento. Viene deciso di costituirsi in assemblea
permanente saldando la lotta contro la repressione a quella contrattuale. E'
una giornata memorabile per la IBM, per l'autonomia e la carica di classe che
i lavoratori vi esprimono in forme del tutto spontanee; essa viene vissuta in
un clima di accesa tensione. Lo sciopero spontaneo dura tutto il giorno passando
dalla forma assembleare al corteo snodatosi per tutta la fabbrica per poi ricomporsi
nuovamente in assemblea, e decidervi le forme di lotta per i giorni successivi.[13]
Queste notizie fanno scalpore. Un volantino le diffonde nelle altre sedi; la
lotta si estende:
La democrazia IBM ha colpito ancora
Nello stabilimento di Vimercate un capo dallo stomaco troppo delicato per fare
il capo è stato licenziato [...]. La IBM, che si vanta di avere innalzato
l'uomo fino alla luna, seppellisce su questa terra altri uomini che non accettano
di essere strumenti di produzione e di consumo, ma intendono fare un uso completo
del loro cervello...
Ora nessuno piú in IBM potrà presentarsi alla gente parlando di
democrazia, porte aperte, diritto al lavoro, e altre puttanate di questo genere.
Il marciume che si nasconde sotto queste parole è ormai tale che nessuno
potrebbe ancora fingere di non avvertirne il fetore. LE NOSTRE SORTI VOGLIAMO
AVERLE IN MANO NOI, E GUIDARLE FINO IN FONDO.
Ogni lotta individuale non pub che condurre al suicidio [...]. Solo l'UNIONE
DI TUTTI I LAVORATORI SCONFIGGE QUALSIASI FORZA DI OPPRESSIONE PADRONALE .[14]
La direzione IBM è costretta a rimangiarsi il provvedimento.
"Il bilancio è indubbiamente positivo: lo sciopero spontaneo e la
conquista dell'assemblea [...] costituiscono la nuova base politica da cui muovere."
Tuttavia:
l'insufficienza politica e una certa dose di opportunismo presente nel gruppo permettono ai sindacati di riassorbire ben presto il movimento nei canali della logica contrattuale[16]
Il vuoto politico nel quale cammina la lotta in fabbrica segna
un progressivo allentamento della tensione. Di tanto in tanto qual
che incidente; qualche scossone, quali gli scontri con irriducibili crumiri,
incidenti alle loro autovetture; ai quali non si sa dare un giusto peso politico,
ed uno sbocco adeguato [...]. Le bombe di Milano chiudono oggettivamente la
lotta contrattuale.[17]
Tra novembre e dicembre il gruppo analizza la propria crisi,
manifestatasi nella contraddizione tra "il successo dell'obbiettivo generale
di mobilitazione della classe operaia, e il fallimento del presupposto di autonomia
che ne doveva essere il fondamento."[18]
Ad una critica radicale "contribuisce in modo determinante il confronto
politico con altri gruppi che nello stesso periodo vivono la stessa esperienza,
quali il CUB Pirelli e il gruppo Sit-Siemens."
Secondo questa analisi autocritica:
... rivolgersi a tutti i lavoratori [...] è stato far finta di non scorgere la realtà, non agire per individuare la sinistra di fabbrica e all'ìinterno di questa cercarsi lo spazio politico per costituirsi quale punto di riferimento [...]. Alla IBM si è voluto essere il punto di riferimento di tutti i lavoratori e non lo si è stato per nessuno, si è raccolta la simpatia di tutti e si è stati considerati una frangia dissidente dei sindacati, si è voluto deviare la direzione e il terreno dello scontro alla IBM in opposizione alle scelte sindacali e si è stato soltanto strumento quasi sempre inconsapevole del sindacato. Errori sono stati compiuti nello "scambiare per coscienza, politica un generico opportunismo da `maggioranza silenziosa' che si schiera monotonamente con la tesi vincente."[19]
Si avverte l'esigenza di superare il livello spontaneo della
lotta in fabbrica e di unificare il fronte anticapitalistico a quello antirevisionista
e antimperialista. Per tentare di saldare il fronte anticapitalista con quello
antimperialista viene compiuta un'azione dimostrativa: durante l'inaugurazione
di un nuovo modello IBM, a cui partecipano oltre che i massimi dirigenti IBM,
anche vari ospiti delle "consorelle americane," vengono affissi manifesti
e striscioni, con scritte del tipo "IBM PRODUCE GUERRA" e "IBM
IN ITALIA, IMPERIALISMO IN CASA," "SCIOPERO, FUORI I SERVI DELL'IMPERIALISMO."
È questa l'accoglienza che il CPM, organizzazione nella quale si era
da poco integrato il GdS IBM, riserva agli ospiti, che vengono cosí costretti
ad entrare dalla porta di servizio. È solo un primo episodio, che rimane
tuttavia rilevante perché "traccia definitivamente la discriminante
tra chi intende condurre la lotta solo nei termini di rivendicazione economica
e coloro che dichiarano apertamente la loro determinazione a portare lo scontro
fin dentro le intime strutture del capitale. Da questo punto in poi la sinistra
reale fornisce con la chiarezza delle sue posizioni, un alibi alla inerzia sindacale
in fabbrica. I sindacati riscoprono cosí fino in fondo la loro vocazione
[...] di interpreti della maggioranza silenziosa."[20]
Questo obiettivo, e in generale l'esigenza di unificare nel fronte del potere
i tre fronti (anticapitalista, antirevisionista, antimperialista) "non
può essere realizzato con i mezzi vecchi, con un tipo di organizzazione
e di rapporto con il movimento che continua a ricalcare i CUB e i GdS, ancora
riferito alla fabbrica, quando il quadro istituzionale si è oramai riorganizzato
per imbrigliare le lotte spontanee di fabbrica e dirigerle nel sociale.[21]
La crisi del CUB Pirelli (determinata dal venir
meno della lotta all'indomani dell'accordo aziendale, e dal non essere riuscito
ad esprimere un'avanguardia operaia interna alla fabbrica), l'impasse dei gruppi
IBM e Sit-Siemens e di altri gruppi sorti come funghi nell'autunno sindacale,
alcuni dei quali erano in rapida dissoluzione, sollecita una profonda revisione
dei presupposti politici alla base della loro azione e un ripensamento radicale
che ne giustifichino l'esistenza al di fuori delle organizzazioni sindacali
e dei partiti della sinistra.
L'alternativa è chiara: o i gruppi [...] superano questa fase, profondamente
imbevuta di spontaneismo, volontarismo, settarismo, e priva quindi di una seria
prospettiva di classe contrapponibile alle
organizzazioni che rifiutano, assumendo il punto di vista generale dello scontro
tra borghesia e proletariato, oppure sono destinati ad essere spazzati via inesorabilmente
dalla scena politica ... [22]
In parole povere l'autunno sindacale ha decretato la morte
del "gruppismo." Quanto alla lotta in fabbrica va inquadrata "nel
movimento piú ampio della lotta di classe a livello mondiale, e nelle
sue articolazioni europee."
Per quel che riguarda il terreno di lotta si conclude che "soprattutto
nell'area metropolitana la lotta di classe si pone in termini rivoluzionari
il cui sbocco è rappresentato dalla LOTTA ARMATA DI POPOLO."
Il superamento dei gruppi si pone quindi come momento corrispondente del livello di scontro in atto e detta la necessità di costituire un gruppo politico di intervento omogeneo all'interno di un'area politica definita dalle strutture capitalistiche che tale area determinano, la metropoli, con l'obbiettivo fondamentale di indicare le necessità e di contribuire all'organizzazione della lotta rivoluzionaria europea. Nasce cosí il Collettivo Politico Metropolitano quale nucleo politico agente all'interno dell'area capitalistica e come momento corrispondente del processo rivoluzionario in atto.[23]
Alla fine del 1969, in un convegno del Collettivo, a Chiavari, viene posto all'ordine del giorno il problema della lotta armata e della violenza: su questi temi si creano profonde divisioni ma, nello stesso tempo, si sviluppano nuove aggregazioni. Il frutto piú interessante del convegno, dal punto di vista teorico, è senza dubbio l'opuscolo, ormai raro, Lotta sociale e organizzazione nella metropoli, dove viene definita, una volta sistematizzata, la linea politica del collettivo. Nel documento, che rimane a tuttoggi la piú alta espressione del livello teorico prodotto da questi compagni, viene tracciato "il bilancio di una :esperienza politica concreta e la progettazione di un lavoro futuro."
Viene innanzitutto data una prima definizione di autonomia proletaria:
Noi vediamo nell'autonomia proletaria il contenuto
unificante delle lotte degli studenti, degli operai e dei tecnici che hanno
permesso il salto qualitativo 1968-69.
L'autonomia non è un fantasma o una formula vuota alla quale oggi, di
fronte alla controffensiva del sistema, si aggrappano i nostalgici delle lotte
passate. L'autonomia è il movimento di liberazione del proletariato dall'egemonia
complessiva della borghesia, e coincide con il processo rivoluzionario. In questo
senso l'autonomia non è certamente una cosa nuova, un'invenzione dell'ultima
ora, ma una categoria politica del marxismo rivoluzionario, alla luce della
quale valutare la consistenza e la direzione di un movimento di massa.
Autonomia da: istituzioni politiche borghesi (stato, partiti, sindacati, istituti
giuridici, ecc.), istituzioni economiche (l'intero apparato produttivo-distributivo
capitalistico), istituzioni culturali (l'ideologia dominante in tutte le sue
articolazioni), istituzioni normative (il costume, la "morale" borghese).
Autonomia per: l'abbattimento del sistema globale di sfruttamento e la costruzione
di un'organizzazione sociale alternativa.[24]
Riguardo alla prassi politica che deve stare alla base dell'autonomia, viene sviluppata una polemica con i gruppi della sinistra extraparlamentare. Alla fine, seppure con diverso accento, ritorna il concetto di lotta di lunga durata già teorizzato da Curcio e Rostagno nel documento di Trento del '68:
Un primo modo, elementare ma immediato, di
essere presenti nelle lotte sta nel rincorrere gli scoppi di lotta ovunque essi
si manifestino (università, Battipaglia, Fiat, Pirelli, tecnici, bancari,
ecc.) con un unico fine: produrre una "radicalizzazione" della lotta
attraverso l'esaltazione delle forme in cui si manifesta; i contenuti della
lotta sono lasciati in secondo piano.
Questa prassi politica è fondata sulla tesi spontaneistica che la lotta
di classe è possibile solo creando lotte di massa, non importa su quali
obbiettivi, purché tali lotte si facciano in modo violento...
Un secondo modo, piú politico e accorto; vede le forme della lotta come
condizione della lotta di classe, ma indica come condizione non meno importante
gli obbiettivi della lotta, soprattutto per arrivare alla unificazione e alla
generalizzazione dello scontro...
Nella lotta di classe vengono distinti tre elementi: gli obbiettivi, le forme
di lotta, l'organizzazione.
Alla classe operaia spetta di radicalizzare la lotta sugli obbiettivi unificanti,
ma l'organizzazione è il risultato delle lotte...
La lotta viene quindi considerata avanzata o arretrata nella misura in cui esprime
obbiettivi unificanti e forme radicali. L'organizzazione emerge dopo, come esigenza
di "conservare" i risultati conseguiti durante la lotta, a livello
di coscienza...
L'ipotesi è quindi quella di una lunga "guerra di posizione,"
nel corso della quale la classe operaia si rafforza nella misura in cui si organizza.
Per entrambe le due posizioni analizzate (alla prima appartengono, in linea
di massima, Lotta Continua e le assemblee operaistudenti; alla seconda Potere
Operaio) l'autonomia è la condizione preliminare perché si ponga
la lotta stessa. L'autonomia è intesa come "indipendenza" dal
sindacato e dal partito...
Lo sviluppo dell'autonomia è inteso dunque come sviluppo organizzativo
da contrapporre alle organizzazioni tradizionali.
Noi riteniamo restrittiva e superficiale questa concezione dell'autonomia, la
quale, cosí considerata, diventa unicamente strumento e condizione per
fare sviluppare le lotte...
Possiamo distinguere, all'interno del movimento operaio, due atteggiamenti fondamentali
rispetto alle lotte autonome di massa del 1968-69:
- di chi non intende l'aspetto di rottura e tenta di recuperarne
e sfruttarne le potenzialità ai fini di una sorta di "restaurazione
politica."
La forma di questa restaurazione è varia: da quella revisionista [...]
a quella dei gruppi ideologici minoritari che si sono affrettati a riprodurre
i loro vecchi schemi, senza intendere che proprio il movimento autonomo costituisce
la piú radicale critica pratica di massa a tutte le posizioni imperniate
sulla rimasticatura ideologica e sulla riproposta delle linee perdenti del movimento
operaio. Queste posizioni, seppure fortemente concorrenziali tra loro, concordano
su un punto: la sottovalutazione e il rifiuto del frutto politico piú
maturo delle lotte: l'autonomia proletaria;
- di chi, pur essendo di varia derivazione e tendenza, ha compreso che l'autonomia
proletaria è il punto nodale dal quale partire per il lavoro politico
futuro...
Noi - che in questo ambito ci collochiamo - riteniamo che sia questa l'unica
posizione feconda, l'unica in grado di sviluppare la lotta rivoluzionaria nella
metropoli europea.
Perché di questo si tratta. Non tanto di vincere subito e di conquistare
tutto (i facili slogan degli apprendisti manipolatori), ma di crescere in una
lotta di lunga durata, utilizzando gli stessi potenti ostacoli che il movimento
incontra sul suo cammino per compiere un salto da movimento spontaneo di massa
a movimento rivoluzionario organizzato.[25]
Il discorso passa poi all'organizzazione:
L'ipotesi di fondo è che: l'elemento
oggettivo capace di definire il proletariato dentro e fuori la fabbrica è
la struttura politica del salario. Viene abbandonata la tesi che l'operaio e
il tecnico sono tali solo in fabbrica e che fuori da essa diventano "cittadini."
La socializzazione delle lotte si presenta con tutta la sua pregnanza come attacco
all'organizzazione del lavoro e alla condizione salariale nella fabbrica, nella
scuola.e nella società...
L'attacco alla condizione salariale si presenta dunque all'autonomia proletaria
come il contenuto fondamentale delle lotte sociali, capace cioè di impegnare
tutti i singoli contenuti del disagio sociale, tutti i singoli momenti dello
sfruttamento globale.
Il nostro, vero problema è dunque non tanto l'estensione orizzontale
quantitativa dello scontro (dalla lotta di fabbrica per un maggior salario alla
lotta sociale per la difesa del salario), ma un salto politico della lotta,-
che contemporaneamente difenda ed estenda il livello di autonomia faticosamente
conquistato in questi ultimi anni di lotta. Estendere la lotta continua dai
centri produttivi alla società, dalle manifestazioni dello sfruttamento
diretto alle manifestazioni complessive dello sfruttamento, realizzare questa
estensione comprendendo tutti i termini, i vincoli e i problemi che il nuovo
ambito sociale di lotta pone all'autonomia è la condizione perché
l'esigenza espressa dalle lotte, esigenza d'organizzazione rivoluzionaria, si
traduca in realtà operante.
Dobbiamo porci il problema concretamente. Quale livello d'organizzazione è
oggi possibile e necessario?...
CUB, GdS, Movimenti studenteschi di sede, ecc. hanno avuto una funzione: essere
gli strumenti della rinascita del movimento autonomo del proletariato, attraverso
lotte autodeterminate e autogestite.
L'ambito politico di tale lotta era collocato fondamentalmente nella scuola
e nella fabbrica, cioè all'interno delle istituzioni... Nel momento in
cui le lotte si sono generalizzate, e in cui molti dei contenuti politici dell'autonomia
sono stati acquisiti [...], lo strumento organizzativo interno, settoriale,
non ha piú funzione politica reale e giustamente viene travolto dalle
stesse lotte che ha generato.
Sviluppare l'autonomia proletaria oggi significa superare le lotte settoriali
e gli organismi settoriali. Questo superamento non può che avvenire attraverso
la lotta contro le tendenze "conservatrici," presenti all'interno
del movimento, che confondono l'autonomia con il suo primo livello di espressione
organizzata: appunto i CUB, GdS, MS.
Quale è oggi il reale spazio politico degli organismi di base? L'esperienza
delle lotte contrattuali e la paralisi del movimento studentesco, ci dimostrano
che lo spazio politico all'interno della lotta rivendicativa si è ristretto
a tal punto che l'azione degli organismi settoriali è sì funzionale
allo sviluppo della lotta, ma nella stessa direzione e verso gli stessi obiettivi
dei sindacati...
La dimensione sociale della lotta richiede organismi di base a livello sociale
[...]. Non si tratta quindi di fare un salto da organizzazione di base a organismo
di vertice [...], ma di costruire organismi politicamente omogenei per intervenire
nella lotta sociale metropolitana.
Il superamento dell'operaismo e dello studentismo [...] non può avvenire
attraverso l'unione spontanea, sporadica e apolitica di operai e studenti [...],
ma attraverso la creazione di nuclei organizzativi che si pongano a livello
dei problemi sociali complessivi.[26]
In questi anni si sviluppa un dibattito sulla funzione del
tecnico, da alcuni definito come "ceto medio in via di proletarizzazione,"
da altri come esterno alla classe operaia, seppure di questa buono e leale alleato.
Viceversa per il CPM "il tecnico non è altro che un operaio inserito
in un'azienda ad alto livello tecnologico." Le lotte dei tecnici, "il
fenomeno piú nuovo di questa fase di lotta," hanno dimostrato che
"l'automazione delle funzioni, cioè la parcellizzazione e la canonizzazione
in schemi scientifici e razionali,' ha determinato la fine della distinzione
tra lavoro manuale e intellettuale, e la loro sostituzione con una unica catena
in cui è impossibile distinguere le mansioni manuali da quelle intellettuali..."
"Il riferimento alla decrepita categoria dei ceti medi e lo stesso concetto
di proletarizzazione, che presume staticamente determinata la fisionomia del
proletariato (confuso con la categoria sociologica degli operai) impediscono
anche la rilevazione teorica del problema."
Infine allargando il discorso all'area europea si ammonisce: "qualunque
lavoro politico che prescinda in Europa dal movimento dei tecnici, si pone automaticamente
alla periferia della metropoli.”[27]
In un momento di obbiettivo recupero del sindacato il quale,
rafforzatosi numericamente in virtú della logica dei contratti nazionali,
che lo trova organizzativamente preparato, e della "socializzazione"
delle lotte promosse dalle organizzazioni tradizionali della classe operaia
col fine di trasferire la "tensione operaia dall'interno delle fabbriche
al sociale," terreno sul quale è impreparata la sinistra rivoluzionaria,
il CPM ritiene non giustificato il pessimismo dei gruppi extraparlamentari,
che soltanto qualche mese prima apparivano tanto ottimisti sulla funzione "rivoluzionaria"
delle lotte contrattuali e la conseguente "resa incondizionata" da
parte della borghesia.
In realtà "il terreno della socializzazione può rivelarsi
minato e assai pericoloso per il progetto politico [...] della classe riformista:
perché la sua attuazione comporta una radicale trasformazione di tutta
la struttura socio-politica italiana." Se il peso organizzativo dei sindacati
ha "bloccato l'iniziativa dei CUB, dei gruppi di studio e dei gruppi esterni
non significa che la lotta di classe sia rifluita, ma soltanto che essa ha assunto
e tenderà sempre piú ad assumere forme nuove di espressione. L'avversario
non è piú [...] il padrone singolo, ma il sistema dei padroni.
L' ostacolo non è piú il controllo sindacale delle lotte, ma il
complesso sistema di integrazione che si presenta sotto l'aspetto di una nuova
legalità (statuto dei lavoratori, ecc.)."[28]
Dalle "lotte sociali" alla lotta sociale
Il proletariato si trova di fronte ad un livello superiore di lotta: l'attacco
alla condizione di sfruttamento generale nella società.
L'avversario non è piú, se mai lo è sembrato, il padrone
singolo, ma il sistema dei padroni. L'ostacolo non è piú il controllo
sindacale delle lotte, ma il complesso sistema di integrazione che si presenta
sotto l'aspetto di una nuova legalità (statuto dei lavoratori, ecc.).
Le provocazioni repressive non sono piú le serrate di Agnelli e Pirelli,
ma un piano preordinato della destra nazionale e internazionale.
È tuttavia proprio di fronte a questo livello superiore di lotta che
il movimento spontaneo può raggiungere "la maturità di un
vero movimento rivoluzionario."
Spetta alla sinistra proletaria, ai nuclei di avanguardia che essa ha espresso,
intendere la reale dimensione dello scontro, generalizzarne i contenuti...
La condizione salariale essenza della condizione sociale
Arriviamo cosí al centro dei nostri problemi e cioè alla identificazione
di quei contenuti politici unificanti, capaci di denunciare lo sfruttamento
cosí come esso si manifesta nell'arco dell'intera giornata naturale e
non solo nel momento, pur fondamentale, della giornata lavorativa.
In tal senso va ripresa l'indicazione strategica di Marx: "Invece della
parola d'ordine conservatrice: un equo salario per un'equa giornata lavorativa,
gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: soppressione
del lavoro salariato."[29]
L'obbiettivo per il CPM è l'abbattimento violento del sistema, la rivoluzione. Ma che cosa significa fare la rivoluzione nell'Europa metropolitana?
E' necessario oggi ridefinire il concetto stesso
di rivoluzione, alla luce delle condizioni oggettive e dello sviluppo reale
del movimento autonomo del proletariato europeo. Due punti ci sembra importante
mettere in evidenza:
1. Processo rivoluzionario e non momento rivoluzionario. Scrive il rivoluzionario
brasiliano Marcelo De Andrade: "Prima della unificazione del capitalismo
mondiale da parte dell'imperialismo yankee, il proletariato aveva la possibilità
di armarsi attraverso vie non armate, cioè poteva prima organizzarsi
politicamente e sviluppare fino ad un certo punto la lotta politica e la violenza
non armata, per poi approfittare della disfatta sociale, politica e militare
delle classi dominanti dei rispettivi paesi per armarsi e prendere il potere
[...]. Oggi, dato che la possibilità di una guerra interimperialista
è storicamente esclusa, un'alternativa proletaria del potere, deve essere,
sin dall'inizio, politico-militare, dato che la lotta armata è la via
principale della lotta di classe."
Nella concezione corrente oggi in Italia del rapporto tra movimento di massa
e organizzazione rivoluzionaria, è implicita una immagine del processo
di questo genere: prima sviluppiamo la lotta politica, conquistando le masse
alla rivoluzione, poi, quando le masse saranno diventate rivoluzionarie, faremo
la rivoluzione [...]. Obbiettivo intermedio: costruzione del partito marxista-leninista.
Implicita è anche la tesi che la rivoluzione in Europa non possa che
coincidere con un momento insurrezionale [...]. In effetti l'ipotesi dell'insurrezione
generalizzata è oggi assolutamente illusoria. Ma questo non significa
rinunciare al proprio compito di rivoluzionari.
È la realtà stessa che ci sottrae alle suggestioni di una falsa
alternativa. La dimensione sociale della lotta, e il punto piú alto del
suo sviluppo: la lotta contro la repressione generalizzata, costituisce già
un momento rivoluzionario [...]. Quando ci si può beccare 4 anni di galera
per non avere aggredito un poliziotto, s'impone una scelta: o ci si rifugia
nel pantano del riformismo rinunciatario, o si accetta il terreno rivoluzionario
dello scontro [...]. La borghesia ha già scelto l'illegalità.
La lunga marcia rivoluzionaria nella metropoli è l'unica risposta adeguata.
Essa deve cominciare oggi e qui.
2. Processo rivoluzionario metropolitano.
Non è stato ancora sufficientemente inteso che cosa significhi sviluppare
un processo rivoluzionario in un'area metropolitana a sviluppo tardocapitalistico.
I modelli rivoluzionari del passato o delle aree periferiche sono inapplicabili...
a) Nelle aree metropolitane nordamericana ed europea esistono già le
condizioni oggettive per il passaggio al comunismo: la lotta è essenzialmente
rivolta a creare le condizioni soggettive...
b) Il mutato rapporto fra struttura e sovrastruttura, che tendono sempre piú
a coincidere, fa sí che oggi il processo rivoluzionario si presenti come
globale, politico e "culturale" insieme. Il che significa che mutano
sostanzialmente i rapporti tra movimento di massa e organizzazione rivoluzionaria,
e che di conseguenza vengono a mutare radicalmente anche i principi d'organizzazione.
c) Il terreno essenzialmente urbano della lotta. Un dato obiettivo: nel 1961,
14 431000 italiani erano concentrati in 8 aree urbane; si prevede che entro
il 2001 essi saliranno a 29 153 000, metà della popolazione totale.
A questo dato statistico corrisponde un dato politico: la città è
oggi il cuore del sistema, il centro organizzatore dello sfruttamento economico-politico,
la vetrina in cui viene esposto "il punto piú alto," il modello
che dovrebbe motivare l'integrazione proletaria. Ma è anche il punto
piú debole del sistema: dove le, contraddizioni appaiono piú acute,
dove il caos organizzato che caratterizza la società tardocapitalista
appare piú evidente...
E' qui, nel suo cuore, che il sistema va colpito.
La città deve diventare per l'avversario, per gli uomini che esercitano
oggi un potere sempre piú ostile ed estraneo all'interesse delle masse,
un terreno infido: ogni loro gesto può essere controllato, ogni arbitrio
denunciato, ogni collusione tra potere economico e potere politico messa allo
scoperto...
Il sistema può opporre soltanto il peso della sua oppressione, dei suoi
ricatti, della sua corruzione. Con queste armi nessun sistema è mai riuscito
a sopravvivere.[30]
Il CPM si sviluppa, divenendo forse una delle organizzazioni
maggiormente presenti a Milano e, certamente, una tra le piú dinamiche.
Continua ad operare all'interno delle fabbriche, dove hanno punti di base i
CUB e i GdS che hanno promosso il collettivo. Organizza azioni politiche dirette
contro il fronte imperialistico (come la manifestazione IBM già ricordata),
o si limita a distribuire fogli di lotta, sul Vietnam o la Cambogia "INDOCINA
- ITALIA LA STESSA LOTTA - IMPERIALISMO-RIFORMISMO LA STESSA CATENA."
Non mancano tentativi di intervento su un campo piú specificamente "sociale."
Per esempio nel marzo '70 viene distribuito un volantino che esprime un abbozzo
di linea del CPM sul problema della donna e sugli asili nido, che, per quanto
dia indicazioni poco praticabili, e in certo senso arretrate rispetto ad alcune
posizioni attuali sulla liberazione della donna, resta tuttavia un episodio
rilevante in relazione al periodo in cui fu scritto. Dimostra se non altro il
tentativo di individuare una linea alternativa sia alla politica cattolica che
a quella riformista, accusata di condurre la lotta "a colpi di mimosa":
Emancipazione della donna!?
Ma emancipazione nei confronti di chi?
Dei mariti che sono sfruttati in fabbrica 8 ore al giorno, che lavorano in condizioni
nocive, a cui il sistema dei padroni fa credere di avere dei privilegi?
Emancipazione perché la donna "può" lavorare? Emancipazione
perché la donna oggi "può" andare al bar o al cinema
sola, comprare qualche vestito o qualche collana in piú, prendere la
pillola?
Nella nostra società fondata sullo sfruttamento 24 ore su 24:
Gli uomini hanno il privilegio di essere sfruttati in fabbrica per "mantenere
la famiglia" magari facendo gli straordinari, quando nella parola "mantenere"
i padroni intendono pagare anche il lavoro casalingo della moglie (!!).
Poi in piú in nome della loro emancipazione i padroni offrono alle donne
il diritto allo sfruttamento in fabbrica, che loro chiamano diritto al lavoro.
Cosí la donna è supersfruttata:
Una volta perché deve andare in fabbrica per arrivare a pagare l'affitto,
per comperare i libri dei figli e mandarli a scuola... Un'altra volta quando
deve provvedere alla casa, ai figli, e magari fare "lotte" per la
costruzione di asili nido, a colpi di mimosa!
Tutto questo serve per mantenere in vita il sistema dei padroni; infatti la
proposta dell'asilo nido nei termini in cui la fa il sistema serve:
- per toglierti il cosiddetto "peso" dell'educazione dei figli per
farti lavorare come e quando vuole;
- per "chiederti la delega" di educarli dalla nascita secondo i suoi
interessi.
Lottare per gli asili nido significa lottare per educare noi i nostri figli
negli asili nido e quindi non permettere al sistema di sfruttarci a tutti i
livelli.
La vera emancipazione sta nella lotta di classe
COLLETTIVO POLITICO METROPOLITANO[31]
Molto piú interessanti sono le lotte per la casa, che
si svilupperanno soprattutto nel periodo successivo (Sinistra Proletaria).
Toccano, invece, in questa fase il momento di piú alta espressione le
lotte dei lavoratori-studenti, egemonizzate in tutto il territorio di Milano
dai compagni aderenti al CPM.
A Milano vi è la piú alta concentrazione di lavoratoristudenti
(circa 80.000 nel 1970). Per il carattere industriale della città le
agitazioni dei lavoratori-studenti creano un ponte naturale tra le lotte nella
scuola e quelle in fabbrica. All'inizio del '70 il movimento dei lavoratori-studenti
risulta cosí ripartito:
1) Movimento dei lavoratori-studenti aderente al CPM;
2) Corrente Proletaria dei lavoratori-studenti;
3) Comitato di agitazione dei lavoratori-studenti.
È praticamente assente la componente revisionista: durante l'anno scolastico
1969-70 la cellula della FGCI è presente in un solo istituto serale,
l'Einaudi![32]
Il Movimento dei lavoratori-studenti (già centro di informazioni politiche),
in cui confluiscono militanti di altre esperienze (quadri del CUB Pirelli, studenti
di Trento, ecc.), ha il suo punto di forza nell'Istituto tecnico Feltrinelli,
all'interno del quale si pone in funzione egemone. Il 12 settembre 1969 il MLS,
in polemica con il MLS di Torino e la Corrente Proletaria di Milano, pubblica
un lungo documento, di particolare interesse perché segna il distacco
dall'omonimo movimento torinese e l'ingresso del MLS di Milano nel CPM. In esso
si tendono a superare le posizioni spontaneistiche e psicologistiche impostando
un'analisi di classe dell'istituzione della scuola:
Il discorso del "diritto allo studio"
e della selezione attraverso la scuola sarà sempre piú recuperato
dal capitalismo in quanto per un concreto sviluppo di questo sarà sempre
piú necessaria "un'istruzione di massa."
Piú problematico sarà il recupero della funzione selettiva della
scuola; ma ciò non sarà impossibile in quanto [...] la differenziazione
"sociale" e la creazione di varie aristocrazie, avverrà in
azienda sempre piú in modo atomizzato.
Quello che si impone oggi è una severa autocritica e un'altrettanto severa
critica a tutti i modi [...] di concepire il lavoro politico nella scuola serale.
La scuola serale rappresenta un punto strategico importantissimo in quanto dovrà
assicurare la riqualificazione, ovvero l'educazione permanente. Per cui illudersi
che la scuola serale continui ad essere un'iniziativa blanda e incontrollata
dagli enti pubblici è pura illusione.
Il capitale ha bisogno di lavoratori in possesso di una solida preparazione
di base, e non di un diploma strappato frequentando la scuola serale. L'abolizione
della scuola serale non è obbiettivo corporativo [...] nella misura in
cui la lotta esce dalla scuola per entrare nel luogo di produzione, nella misura
in cui si riesce a generalizzare lo scontro, e farlo divenire di massa.[33]
Ma la piú alta espressione a livello teorico viene raggiunta
in un documento del CPM - Collettivo lavoratori-studenti del gennaio 1970.
In esso vengono trattati, dal punto di vista della classe, i temi della ristrutturazione
della scuola, del tecnico inteso come "forza-lavoro potenziata" e
pertanto individuato come parte integrante della classe operaia. Dopo aver ribadito
la necessità di un'elaborazione strategica indispensabile per il passaggio
dalla fase di lotta spontanea a quella organizzata, e dopo un'attenta analisi
della scuola serale e della sua funzione, durante i periodi di ricostruzione
capitalistica (anni Cinquanta) e di ristrutturazione (anni Sessanta), ne definisce
la funzione:
La scuola serale è uno degli istituti
produttivi [...1 produce l'uomo come merce. Le bocciature, i ritiri, gli esaurimenti
nervosi, le interruzioni [...1 sono da considerarsi come modi concreti con cui
la fabbrica serale decide di togliere una parte cospicua del suo materiale in
produzione dal processo di lavorazione. Pertanto "selezione" altro
non è che "un controllo di qualità" del prodotto. A
seconda che abbia bisogno di molti o pochi dipendenti il sistema sviluppa le
scuole serali, o inizia a falciare con le bocciature, come è avvenuto
dal '64 al '68.
Di qui si capiscono gli alti e bassi delle bocciature, il numero chiuso di iscrizioni,
ecc.
Ma la scuola serale ha anche una funzione ideologica: il controllo di qualità
presuppone che la produzione sia "omogenea" al sistema stesso, di
qui la necessità da parte dei padroni di costruire il "consenso
politico e ideologico delle masse proletarie." Insomma "lo sfruttamento
che nelle fabbriche si esprime come aspetto predominante nella forma economico-strutturale,
nella scuola si manifesta appunto in modo prevalente come oppressione politicoideologica."
Quanto al sindacato esso è "in forte ritardo nella scuola serale:
le lotte sviluppatesi finora lo hanno visto assente anzi hanno dimostrato nella
pratica come il movimento LS abbia rifiutato la sua logica contrattualistica."
"La lotta direttamente politica e non rivendicativa risulta essere il portato
di una esperienza storica quale quella del '68-69. L'autonomia si è espressa
in forma ancora embrionale ma in modo preciso."
Il suo sviluppo, che consiste "oggi nella costruzione di un movimento complessivo,
è l'unica preoccupazione che i militanti della sinistra tra i LS si devono
assumere. Le leggi, le riforme, le rivendicazioni sono preoccupazioni che si
assumono le forze politiche che vogliono sostenere, piuttosto che abbattere,
il sistema oppressore.”[34]
Per quello che riguarda gli aspetti pratici, la lotta piú importante
è quella combattuta per l'abolizione delle tasse. Oltrepassando il contenuto
intrinsecamente rivendicativo-sindacale, ha contribuito a far crescere in modo
determinante la coscienza politica del proletariato in quanto si è posta
come lotta per il rifiuto di ogni momento di sfruttamento del sistema:
Per noi studiare è un vero e proprio lavoro perché produce qualcosa di ben preciso e tangibile: una forza-lavoro con accresciuta capacità produttiva. La scuola di sera cioè equivale a 4 ore di straordinario. Una obiezione sorta è che la legge obbliga a pagare le tasse. Ma quale legge? Come la scuola, anche la legge appartiene ai padroni.
La lotta è la legge degli struttati
Noi abbiamo una sola legge da osservare e praticare: la lotta continua contro
quello sfruttamento che le leggi dello stato borghese tentano di rendere giusto
e quindi legale.[35]
Si fanno scioperi, cortei con parole d'ordine sempre piú
aggressive.
Giunge la repressione, soprattutto quella sottile e di tipo burocratico: controllo
entrate-uscite, intensificazione sorveglianza, applicazione rigida delle disposizioni
fasciste che regolano la disciplina.
In un altro volantino distribuito al Feltrinelli il 7-3-‘70 si esprime
la volontà di restare all'offensiva: "DELLA REPRESSIONE NON CI SI
LAGNA, MA LA SI COMBATTE." L'autorità si sente estremamente debole
di fronte alla forza impetuosa degli studenti. Al Feltrinelli si arriva al colmo
del ridicolo: il preside distribuisce 200 biglietti gratuiti per uno spettacolo
teatrale rappresentato contemporaneamente a un'assemblea di lavoratori-studenti,
allo scopo di boicottarla.
La piú grande manifestazione è quella contro le tasse. Diverse
migliaia di LS il 24 marzo 1970 fanno sentire a tutta la città la forza
di questo movimento. L"'Unità," fino a questo momento rimasta
guardinga e latitante, tenta di recuperare la lotta, e di strumentalizzarla
per ricondurla nell'alveo riformista. "La manifestazione di martedí
scorso sottolinea l'urgenza del dibattito in Consiglio comunale," scrive
"l'Unità" del 28 marzo 1970, e aggiunge (in un articolo dal
titolo a 5 colonne La giunta continua ad ignorare i problemi degli studenti
serali): "è certo che con la manifestazione degli studenti serali
si è avuta chiara la dimostrazione che anche questa massa di giovani
ha acquistato piena coscienza sulle necessità di battersi per una radicale
riforma."[36]
A dire il vero nessuna volontà "riformistica" è presente
nei dimostranti. In un volantino del 23 marzo 1970 a cura dei LS del Molinari
si legge:
La lotta non va esaurita all'interno del nostro istituto e neanche all'interno degli altri istituti serali [...1, bensí deve porsi nella diinensione generale dello scontro di classe in cui oggi siamo coinvolti sia in fabbrica che nei quartieri. Il sistema oggi ha adottato la repressione contro tutte quelle lotte che hanno espresso la volontà autonoma dei lavoratori di colpire alla radice lo sfruttamento e non di contrattarlo continuamente.[37]
Un foglio di lotta del CPM del marzo 1970, dedicato alla manifestazione
del 24 marzo, ne individua le principali caratteristiche:
"- la riscoperta del carattere autonomo della nostra lotta;
"- la coscienza di essere un elemento della lotta di classe che sta scuotendo
tutto il paese;
"- l'aver individuato il vero nemico e i suoi servi aperti e mascherati,
cioè i nostri falsi amici riformisti."
"Le parole d'ordine," viene aggiunto, "hanno dimostrato con chiarezza
il grado di coscienza politica: 'Lo stato borghese si abbatte non si cambia,'
'presidi e questori servi dei padroni,' 'presidi e questori fuori dai coglioni,'
'Sindacato = polizia operaia,' 'PCI + sindacato = popolo sfruttato,' 'Riformismo
no rivoluzione sí.'"[38]
L'anno scolastico si chiude con l'eco di questa grande e vittoriosa mobilitazione.