Biblioteca Multimediale Marxista
Per conoscere la genesi delle Brigate Rosse è indispensabile
rivolgere alla facoltà di sociologia di Trento, dove crebbero politicamente
e si imposero come quadri dirigenti Margherita Cagol e Renato Curcio, una particolare
attenzione. Non solo perché il carattere di questa città può
spiegare l'origine della cosiddetta componente cattolica delle BR (troppe volte
ricordata, e spesso a sproposito), ma soprattutto perché il Movimento
studentesco di Trento per le sue correlazioni con le lotte analoghe in altri
paesi europei (fortissima per esempio l'influenza della Kritische Universität
tedesca) e per il suo carattere fortemente anticipatorio, rimane esemplare per
tutto il movimento studentesco italiano.
L'ISSS (Istituto superiore di studi sociali) sorge a Trento nel 1962 per iniziativa
diretta del gruppo dirigente democristiano della provincia. Finito il periodo
di ricostruzione, l'Italia sta attraversando il boom economico che "segna
il passaggio da una fase capitalistica a una di capitalismo maturo, in cui la
struttura del potere industriale non si limita piú ad esercitare il suo
dominio totalitario soltanto sulle fabbriche, ma tenta sempre píú
decisamente di estendersi verso il controllo rigido ed autoritario di tutti
i meccanismi del sistema.”[1] Sorge pertanto per il capitale la necessità
di un maggior controllo sulla classe operaia e sugli altri strati sociali, nel
quadro della cosiddetta "razionalizzazione neocapitalistica."
In questo quadro non sono piú sufficienti i tecnici tradizionali, ma
occorrono tecnici di tipo nuovo, "ingegneri sociali" (sociologi, antropologi,
psicologi, ecc.) che, allo stesso modo in cui l'ingegnere tradizionale conosce
e utilizza in senso produttivo ogni parte della macchina, sfruttino ogni parte
dell'uomo, carne e nervi. La sede di Trento, scelta perché considerata
"zona tranquilla," costituisce oltretutto un terreno di incontro favorevole
tra autorità politiche ed accademiche. Tuttavia, allo scopo di incrementare
il numero degli iscritti, vengono ammessi per la prima volta in una facoltà
diversa da quelle di economia e commercio e di agraria anche gli studenti provenienti
da istituti tecnici; errore imperdonabile che il sistema pagherà molto
caro, perché questi ultimi presto porteranno tutto il peso della loro
origine di classe.
Anche a Trento, come in tutte le università italiane, c'era una volta
il parlamentino degli studenti: l'ORUT, il quale tuttavia non organizzava alcuna
lotta vincente, nemmeno sul piano rivendicativo-sindacale. Alla fine del 1965,
viene presentato un DDL che declassa la laurea in sociologia in laurea in scienze
politiche ad indirizzo sociologico. Il 24 gennaio 1966, l'assemblea generale
(istanza quasi inedita per quei tempi) decide, per protesta, l'occupazione della
facoltà che termina il 10 febbraio 1966.
La lotta conclusasi con una vittoria sull'obiettivo corporativo della laurea,
è rilevante perché rende manifesto lo svuotamento dei parlamentini,
dà agli studenti la coscienza della propria forza, valorizza una forma
di lotta quasi nuova, l'occupazione, praticata fino ad allora solo in alcune
facoltà di architettura. Tuttavia, "una volta conquistata la laurea
in sociologia, non sono affatto risolti tutti i problemi riguardanti la struttura
di potere dentro l'istituto, l'impostazione scientifico-culturale dei corsi,
l'organizzazione accademica e la finalizzazione professionale della facoltà.”[2]
La situazione è matura per la seconda occupazione, sempre su obiettivi
corporativi (si chiede che alla stesura dello statuto della facoltà partecipino
pariteticamente gli studenti), che si conclude con una vittoria.
Finalmente, durante la prima metà del '67, si registra un salto qualitativo:
non piú obiettivi corporativi. La lotta viene centrata sulla tematica
dell'antimperialismo. Gli studenti escono dal ghetto dell'università
e per una settimana, dal 12 al 18 marzo, l'intera città è investita
da una serie di iniziative di solidarietà con il Vietnam. Nell'università
viene proclamato uno sciopero politico di due giorni. Durante un'affollata assemblea,
tenutasi il primo giorno di sciopero, il direttore dell'istituto chiama per
la prima volta ingenti forze di polizia. Uno ad uno gli studenti sono trascinati,
fotografati, schedati e denunciati, col risultato di provocare un salto enorme
di coscienza politica: si fa strada in molti la convinzione che il vero nemico
non è l'autorità accademica ma il potere in tutte le sue articolazioni
statuali. L'anno accademico successivo, il '67-68 non può di fatto neppure
aprirsi: l'assemblea generale proclama uno sciopero "attivo" che ha
il merito di spazzare via completamente l'ORUT. Durante questa fase il MS matura
un radicale salto qualitativo, che lo conduce, sul piano dell'analisi sociale,
a superare il momento sindacale, per recuperarlo ed inglobarlo in un disegno
politico di piú ampia dimensione.
Il frutto piú emblematico e piú discusso di questa presa di coscienza
è la proposta di una università negativa. In un manifesto a cura
del Movimento per una Università Negativa (dell'autunno '67) tra l'altro
si legge:
Università e società
Oggi, di fatto, l'università strutturalmente si pone come una organizzazione la cui funzione è quella di soddisfare gli svariati bisogni tecnici della società. L'università fornisce gli strumenti aggiornati (tecnici) per mettere sempre piú a punto l'organizzazione del dominio di una classe sulle altre classi. L'apparato tecnologico, così potenziato, può finalmente sostituirsi al "Terrore" nel domare le forze sociali centrifughe e fornire alla classe sociale che ne dispone una superiorità immensa sul resto della società...
Università come strumento di dominio
L'università è uno strumento di classe. Essa, a livello ideologico, ha la funzione di produrre e trasmettere una ideologia particolare - quella della classe dominante - che presenta invece come conoscenza obiettiva e scientifica, e delle attitudini - comportamenti particolari - quelli della classe dominante - che presenta invece come necessari e universali.
Università e repressione
Alle volte, però, gli strumenti tecnici non sono sufficienti a mantenere lo status quo. È il caso in cui frange non integrate turbano la quiete manipolata dell'universo politico. Nell'università viene negato agli studenti il diritto di esprimersi sui problemi fondamentali (e non) della politica nazionale ed internazionale [...] REPRESSIONE E VIOLENZA sono il tessuto connettivo della nostra società. Ma noi formuliamo come ipotesi generale che vi sia ancora la possibilità concreta di un rovesciamento radicale del sistema a capitalismo maturo attraverso nuove forme di lotta di classe interna ed esterna (nazionale ed internazionale) e lanciamo l'idea di una UNIVERSITA NEGATIVA che riaffermi nelle università ufficiali ma in forma antagonistica ad esse la necessità di un pensiero teorico, critico e dialettico, che denunci ciò che gli imbonitori mercenari chiamano "ragione" e ponga quindi le premesse di un lavoro politico creativo, antagonista ed alternativo.
Contestazione politica
... Solo il rovesciamento dello stato permetterà
una reale ristrutturazione del sistema d'insegnamento [...] Lo studente deve
quindi, al di là del suo status, agire, in una prospettiva di lungo periodo,
per la formazione (stimolazione) di un movimento "rivoluzionario"
delle classi subalterne, che si esprima nella forma organizzativa piú
adeguata al nuovo tipo di lotta che si deve condurre...
Noi abbiamo individuato l'Università Negativa come luogo di integrazione
politica e analisi critica dell'uso degli strumenti scientifico-tecnici proposti
dallo strato intellettuale della classe dominante nelle nostre università.
Ad un uso capitalistico della scienza bisogna opporre un uso socialista delle
tecniche e dei metodi piú avanzati.
Forme di contestazione ideologica
... La contestazione ideologica si esplica
in forme diverse:
a) Controlezioni e occupazioni bianche. Le controlezioni si tengono di regola,
alla stessa ora delle lezioni ufficiali, su argomenti di insegnamento universitario,
e tendono a sottrarre a queste, quando lo si ritenga opportuno, la totalità
dell'uditorio...
b) Controcorsi: forme piú organiche di contestazione, con finalità
meno immediate e spettacolari, che consistono in una piú profonda e consapevole
socializzazione politica di studenti già precedentemente sensibilizzati.
Contestazione sindacale
... Vorremmo infine aggiungere [...] che il
nostro interesse per il movimento studentesco non implica evidentemente una
sopravvalutazione dello stesso.
Il corpo studentesco non può, a nostro avviso, in alcun modo essere considerato
alla stregua di una "classe," i cui interessi siano oggettivamente
e potenzialmente antagonistici alla attuale formazione economico-sociale...
Consideriamo quindi l'università sí un centro di lotta, ma non
il solo, né il principale, comunque non sottovalutabile poiché
in essa prende corpo l'operazione livellatrice programmata dal capitale... Un
modo per opporsi a questa operazione è il tentativo, portato avanti con
gli strumenti da noi individuati, di "sottrarre" al flusso tecnocratico
potenziale forze antagonistiche (ANTIPROFESSIONISTI) per affiancarlo non episodicamente
alle altre forze antagonistiche della nostra società.
Per questo avanziamo il progetto di una UNIVERSITA NEGATIVA, che esprima in
forma nuova nelle università italiane quella tendenza rivoluzionaria
che sola potrà condurre la nostra società dalla "preistoria"
alla STORIA .[3]
Vengono pertanto organizzati due controcorsi: il primo sulla
rivoluzione in Cina e il pensiero di Mao (con relazioni, tra gli altri, di Mario
Cannella, Filippo Coccia, Giuseppe e Maria Regis); il secondo sull'attuale fase
dello sviluppo capitalistico (consigliati testi di Sweezy, Baran, Shanfield,
Sylos Labini, Meldolesi, Federico e Nicoletta Stame). Nel programma dei controcorsi
si legge: "ogni lezione proposta alla discussione viene elaborata da un
gruppo particolarmente competente in quella materia: tale elaborazione mira
a saldare quella frattura tra cultura e politica che quotidianamente viene riproposta
dal sistema di insegnamento capitalistico."[4]
L'iniziativa dei controcorsi viene travolta dagli eventi: le lotte che esplodono
quasi contemporaneamente in tutta Europa e soprattutto in Francia, Italia e
Germania, applicano un moltiplicatore politico al movimento di Trento. Il 31
gennaio 1968 viene proclamata la terza occupazione che si concluderà
il 7 aprile dello stesso anno. In un interessante documento si pone come indispensabile
per un saldo legame di massa tra operai e studenti il salto qualitativo dal
generico "collegamento" alla "convergenza strategica":
È [...] fondamentale affermare come l'autonomia del nuovo movimento [...] non debba diventare né rimanere autonomia delle lotte studentesche universitarie da quelle degli studenti medi, dalle lotte proletarie e in particolare dalle lotte operaie [...]. Il legame delle lotte studentesche con le lotte operaie deve realizzarsi tuttavia a livello di lotta di massa e non risolversi assolutamente in incontri verticistici di pochi burocrati dell'uno e dell'altro movimento. Le forme di questo collegamento tra lotte studentesche e lotte operaie [...] pongono [...] in modo già chiaro la necessità di un salto politico dal "collegamento" alla "convergenza" di esse, sia a livello tattico che strategico.[5]
Termina cosí l'anno accademico.
Il successivo 1968-69, si apre con un momento di riflessione. Viene sottoposta
a critica severa la funzione dell'assemblea generale: "Bastano poche assemblee
perché ci si accorga che qualcosa non funziona (oggi diciamo che le assemblee
generali sono repressive e non emancipatrici). A parlare sono in pochi, sempre
quelli, i 'leaders.' Gli altri, terrorizzati e intimiditi, annotano o si addormentano
o se ne vanno. Si sentono passivi, manipolati, ed è vero."[6]
Cosí si osserva in un lungo documento firmato da Renato Curcio e Mauro
Rostagno (che piú tardi sarà una delle vittime della montatura
Pisetta). Questo documento, interessante e contraddittorio, per alcuni versi
sconcertante, certamente rigettato quasi subito da entrambi gli autori, e comunque
superato presto dagli eventi, rimane importante perché "fotografa"
un momento di crisi teorica. In esso, tra l'altro, si teorizzano alcuni temi
fondamentali del movimento operaio, quali il contropotere, le basi rosse, i
tempi per vincere la guerra rivoluzionaria: "Si può colpire simultaneamente
la città e la campagna, il capitalismo debole e il capitalismo forte
[...]. L'università e la massa studentesca sono indubbiamente l'anello
forte."[7]
Per questo motivo vanno usate come basi zone da cui partire per una lunga marcia
attraverso le istituzioni:
Dobbiamo organizzare l'università e la scuola come zone
di ritirata, come zone di potere rosso [...] cioè come zona dalla quale
siamo liberi di partire usando la tattica della rete da pesca, andare nelle
masse e poi ritornare nei momenti di repressione [...], deve essere la zona
liberata dentro la società capitalistica. Da qui si inizia la lunga marcia
attraverso le istituzioni [...]. Dobbiamo già cominciare a realizzare
elementi di controsocietà. Cosí la lunga marcia attraverso le
istituzioni crea poteri rossi dove si comincia a gestire la società alternativa.[8]
Infine vengono fatte alcune interessanti considerazioni sull'avventurismo. Si prende la giusta distanza da slogan tipo "fascisti, borghesi, ancora pochi mesi." Si prospetta invece una lotta difficile e soprattutto lunga (concetto che rimarrà poi sempre presente nelle posizioni espresse dalle BR):
Questo non è un momento rivoluzionario, ma prerivoluzionario, e quindi non è un momento in cui si pone immediatamente il problema della presa del potere ma l'organizzazione di un lavoro politico. Allora occorre dire che è avventurismo far sembrare o far credere alle persone, alle masse che la presa del potere e la realizzazione di una società egualitaria è un'opera facile e rapida: bisogna invece continuamente sottolineare che sarà difficile e lunga. Non è l'esempio cubano, ma è l'esempio cinese, quello che abbiamo di fronte, cioè non è possibile l'organizzazione dell'isola felice con due anni di lotta, ma è possibile attraverso 40 anni di resistenza.[9]
Il movimento per l'UN di Trento e in particolare Renato Curcio,
Margherita Cagol, e alcuni altri che poi verranno inquisiti per le BR, collaborano
attivamente alla redazione di "Lavoro Politico," importante rivista
su cui vale la pena di soffermarsi. Fin dal 1962 il Centro di informazione (CDI)
di Verona curava la pubblicazione di un bollettino diretto da Walter Peruzzi.
Di periodicità mensile, aveva per lo piú carattere monografico.
Di particolare rilievo gli interventi sulla scuola e sul dialogo tra cattolici
e comunisti. Di origine cattolica, col tempo questo centro finirà col
collocarsi alla sinistra del PCI. Nell'ottobre del 1967 il bollettino si trasforma
in "Lavoro Politico," alla cui redazione concorrono il Centro di informazione
di Bolzano, la Comune di Verona, il Movimento per l'Università Negativa
di Trento, oltre ad altre partecipazioni a livello individuale, da varie parti
d'Italia.
"Lavoro Politico" si definisce fin dai primi numeri "un organo
marxista-leninista che si lega nelle sue origini ad alcuni avvenimenti del nostro
tempo, quali la rivoluzione culturale proletaria guidata dal pensiero di Mao
Tse-tung; l'invincibile lotta del popolo vietnamita e la contemporanea degenerazione
del PCI e del PSIUP sempre piú apertamente dimostrativa della politica
di 'nuove maggioranze' logico sbocco della 'via italiana e pacifica al socialismo'
[...]. Quanto appare su LP è il risultato di una elaborazione collettiva
del comitato redazionale e dei collaboratori: per questo non appaiono, generalmente,
firme individuali."[10]
Escono complessivamente nove numeri (di cui tre doppi): il primo datato ottobre
1967, l'ultimo (n. 11/12) nel gennaio 1969. Ogni numero è caratterizzato
da tre rubriche fisse, dall'editoriale e da una "monografia."
Le rubriche fisse sono:
"l) Orientamenti: pubblicazione di testi e documenti del marxismo-leninismo;
"2) Rassegna internazionale: analisi critiche dei principali avvenimenti;
"3) Teoria e lotta politica in Italia: discussioni critiche delle posizioni
teoriche e delle esperienze politiche che hanno corso nel nostro paese, integrate
con analisi particolari della realtà di classe e delle vertenze del capitalismo
in Italia."[11]
Di particolare interesse gli editoriali: scritti in un linguaggio incisivo,
seppure ricchi di citazioni di Marx, Lenin, Mao Tse-tung, Gramsci, costituiscono
una fonte di orientamento teorico fondamentale per la sinistra non revisionista,
ed in particolare per tutti coloro, ed erano molti in quegli anni, che si richiamavano
al marxismo-leninismo, o che, come si usava dire, "si ispiravano al pensiero
di Mao Tse-tung." Gli editoriali hanno il compito di approfondire alcuni
problemi di teoria, di organizzazione e addirittura di linea politica. Il loro
stile, la loro impostazione grafica, verrà largamente ripresa dai due
numeri della rivista "Sinistra Proletaria."
I titoli suonano come parole d'ordine m-1: "SENZA TEORIA NIENTE RIVOLUZIONE,
VIVA IL PENSIERO DI LENIN!," "L'IMPERIALISMO TIGRE DI CARTA,"
"NON DIMENTICARE MAI LA LOTTA DI CLASSE," "NON VOTARE PER I NEMICI
DI CLASSE!," "SENZA PARTITO NIENTE RIVOLUZIONE," "DALLE
MASSE ALLE MASSE," "APPLICHIAMO GLI INSEGNAMENTI DELLA GRANDE RIVOLUZIONE
CULTURALE PROLETARIA," "VIVA IL PARTITO COMUNISTA D'ITALIA (M-L)!"
Le monografie, redatte in collaborazione col Movimento per l'Università
Negativa, hanno trattato in ordine cronologico i seguenti argomenti: POTERE
NERO, LOTTE STUDENTESCHE, RIVOLUZIONE CULTURALE PROLETARIA, GIORNALI DI FABBRICA
E OPERAISMO IN ITALIA, IL REVISIONISMO IN ITALIA, L'EDIFICAZIONE DEL SOCIALISMO
NELL'URSS, IL REVISIONISMO NEI SINDACATI, IL BORDIGHISMO.
La rivista, a dispetto della modesta anche se non irrilevante
diffusione (2.000 copie il primo numero, fino a un massimo di 5.000), acquista
via via un grosso prestigio nel movimento, contribuendo in qualche misura ad
anticiparlo e a svilupparlo ponendosi senza dubbio per molti compagni come riferimento
teorico.
Verso la fine del 1968, l'intera redazione, tra cui Renato Curcio, Margherita
Cagol e Duccio Berio (che piú tardi ritroveremo nella Sinistra Proletaria),
aderisce al PCd'I. Poche settimane piú tardi la scissione del partito
tra "linea nera" e "linea rossa" vede confluire in quest'ultima
i compagni di LP. Ma la crisi del PCd'I s'intreccia con quella di LP, e il collettivo
redazionale si scioglie dopo alcuni mesi. Stessa fine fa il PCd'I - Linea Rossa,
mentre il PCd'I - Linea Nera subirà presto un'altra scissione (OCI).
Alla base della scissione (il 10 dicembre escono due numeri contrapposti l'uno
all'altro di "Nuova Unità") è l'accusa, da parte della
Linea Rossa, di mancanza di duttilità nella vecchia direzione del PCd'I
di fronte all'agitazione spontanea di studenti e lavoratori. Altro punto controverso,
il sistema della "candidatura," che precede l'iscrizione, il cui abuso
aveva allontanato una gran quantità di simpatizzanti e di militanti.
Quelli della "Linea Rossa" vengono a loro volta accusati di aver fatta
entrare "gli elementi piú eterogenei, vecchi e nuovi maneggioni."
Sta di fatto però che la gran parte di ex fascisti "convertiti"
al PCd'I[12] e poi denunciati come provocatori (Domenico Pilolli, Alfredo Sestili,
ecc.), erano vicini o avevano aderito alla tendenza che avrebbe dato luogo alla
"Linea Nera." Ma non possono certo ritenersi questi i reali motivi
della rottura. In realtà, la crisi del PCd'I del 1968-69 rientra nella
piú vasta crisi di tutta la sinistra m-1 in Italia.