Biblioteca Multimediale Marxista


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Le ultime azioni e la morte di Margherita Cagol

L'attacco verbale contro la DC, contenuto nel volantino del 20 febbraio e ribadito ampiamente nel documento teorico d'aprile, si concretizza in una spettacolare serie di azioni che avvengono, quasi contemporaneamente, il 15 maggio in tre diverse città.
A Mestre viene "perquisita" una sede della DC.
A Torino vengono incendiate nove auto di sindacalisti
"gialli."
Ma l'azione piú clamorosa avviene a Milano, dove viene "visitata" dalle BR la sede di Iniziativa Democratica, organizzazione di destra, strettamente legata al democristiano De Carolis, uno dei leaders della maggioranza silenziosa. In questa occasione viene per la prima volta deliberatamente sparato un colpo di pistola, sia pure a scopo dimostrativo. Nel documento che accompagna l'azione le Brigate Rosse esprimono anche un giudizio sui NAP, che da pochi giorni sono alla ribalta della cronaca per il sequestro del giudice Di Gennaro, ponendo cosí fine alle insinuazioni fatte circolare dallo stesso Di Gennaro su presunti collegamenti operativi tra BR e NAP;

Un nucleo armato delle Brigate Rosse ha perquisito e distrutto il covo democristiano di via Monte di Pietà, 15, sede di Iniziativa Democratica, gruppo di provocazione anticomunista, piú noto come "banda De Carolis."
La Democrazia cristiana è il vettore politico principale del progetto di ristrutturazione imperialista dello stato. È il punto di unificazione del fascio di forze reazionarie e controrivoluzionarie che unisce Fanfani a Tanassi, a Sogno, a Pacciardi, ad Almirante ed ai gruppi terroristici.
LA DC È IL NEMICO PRINCIPALE DEL MOMENTO: è il partito organico della borghesia, delle classi dominanti e dell'imperialismo. È il centro politico ed organizzativo della reazione e del terrorismo. È il motore della controrivoluzione globale e la forza portante del fascismo moderno: il fascismo imperialista. Non ci si deve lasciare ingannare dalle "professioni di fede democratica ed antifascista" che talvolta vengono da taluni dirigenti di questo partito, perché esse rispondono al bisogno tattico di mantenere aperta la finta dialettica tra "fascismo" e "antifascismo" che consente alla DC di rastrellare voti, facendo credere che contro il pericolo "fascista" sia meglio la "democrazia riformata" e cioè lo stato imperialista. Il problema delle avanguardie rivoluzionarie è quello di fare chiarezza sull'intero gioco, colpendo covi, collegamenti, connivenze e progetti. La DC non è solo un partito, ma l'anima nera di un regime che da 30 anni opprime le masse popolari ed operaie del paese. Non ha senso comune dichiarare a parole la necessità di battere il regime e proporre nei fatti un compromesso storico con la DC. Ne ha ancora meno chiacchierare su come riformarla.
LA DC VA LIQUIDATA, BATTUTA E DISPERSA. La disfatta del regime deve trascinare con sé anche questo immondo partito e l'insieme dei suoi dirigenti; come è avvenuto nel '45 per il regime fascista e per il partito di Mussolini. Liquidare la DC e il suo regime è la premessa indispensabile per giungere ad un'effettiva "svolta storica" nel nostro paese. Questo è il compito principale del momento. Iniziativa Democratica è una centrale reazionaria e controrivoluzionaria molto articolata nelle strutture politiche ed economiche della metropoli milanese. Gli uomini di questa centrale che, secondo il suo leader Massimo De Carolis, rappresenta oggi "la forza piú importante nella DC cittadina e regionale, ed il gruppo numericamente piú forte nel consiglio comunale," sono tutti apertamente e scopertamente compromessi con la reazione piú bieca:..
In questi giorni la banda De Carolis si prepara nel suo covo ad una campagna elettorale indirizzata "a far convergere i voti milanesi verso la DC e nella DC verso i candidati piú sicuri." Con questa azione gli abbiamo anticipato il giudizio che i proletari danno di lui, dei suoi compari e del suo immondo partito. Ma è solo un anticipo. Il resto lo potrà riscuotere direttamente sulle piazze proletarie se proverà a metterci anche un solo piede. Le leggi speciali sull'ordine pubblico volute dalla Democrazia cristiana incitano all'uso delle armi contro la "criminalità politica." Abbiamo raccolto, per una volta, il suggerimento, colpendo alle gambe uno dei piú convinti sostenitori di queste leggi liberticide.
Certo meritava di piú, ma in queste cose non c'è fretta. Ad alzare il tiro si fa presto e ad individuare i veri "criminali" pure! PORTARE L'ATTACCO AI COVI DEMOCRISTIANI, CENTRI DI DELINQUENZA POLITICA E COMUNE, DI REAZIONE, DI CONTRORIVOLUZIONE. BRIGATE ROSSE.

15 maggio 1975

Precisiamo che non esiste alcun legame operativo né organizzativa tra Nuclei Armati Proletari (NAP) e le Brigate Rosse. Viva la lotta dei Nuclei Armati Proletari![1]

A dimostrazione che il tempo molto spesso passa invano, la stampa di destra, di centro e di sinistra, dal "Gazzettino" al "Quotidiano dei Lavoratori," immutabile propende per la tesi della provocazione in vista delle elezioni. Spunta anche come variazione sul tema la tesi dell'autolesionismo. Se Amerio si è autorapito ("Avanguardia Operaia") e Labate si è autorapato ("il Manifesto"), basta solo un pizzico di fantasia per far dire al "Quotidiano dei Lavoratori" che De Carolis 'si è autosparato una rivoltellata.
Del resto, c'è anche il precedente del missino Brivio ("ultima raffica") che a bella posta si era procurato una decina di anni fa una scalfittura in periodo elettorale. La ghiotta notiziola fa il giro d'Europa e perviene al quotidiano parigino "Liberation," che la pubblica mostrando il parallelismo storico.
Le nuove azioni delle BR fanno scattare un meccanismo oramai noto. Grossolane provocazioni vengono tentate dalla stampa e dai carabinieri. Quasi ogni episodio di "criminalità" viene attribuito alle BR, Curcio viene visto un po' dovunque. Il rotocalco parafascista "Il Settimanale" insinua il dubbio che sia stato Curcio a mettere le bombe in piazza della Loggia a Brescia. La prova è "inoppugnabile": viene pubblicata una fotografia di un tizio con i baffi scattata a Brescia, e presentata in occasione di una manifestazione organizzata dal Comitato per la libertà di opinione. In realtà l'uomo non è Curcio, ma un baffuto lavoratore di Comacchio, e la foto era stata scattata qualche giorno dopo la strage. Ma "Il Settimanale" tirerà diritto, senza smentire i suoi falsi. In tutta questa storia, intanto, il GI Caselli nuota come un pesce nell'acqua e ordina una perquisizione nella sede del Comitato. Per cercare che cosa non si sa, ma col chiaro intento di coinvolgere il Partito comunista (m-1), cui questa organizzazione è legata.
Intimidazioni e provocazioni vengono compiute, sullo esempio della Germania e della RAF, a danno degli avvocati dei militanti delle BR, o presunti tali: numerose perquisizioni nello studio dell'avvocato Costa; avviso di reato contro l'avvocato Stasi, cui si chiede di testimoniare su circostanze coperte da segreto professionale; una bomba da 1 kg di plastico viene fatta esplodere presso lo studio dell'avvocato Di Giovanni, il quale, piú tardi, riceverà a sua volta l'avviso di reato dal giudice Caselli.
Attacchi e intimidazioni vengono portati da CC, magistratura e stampa reazionaria ad alcuni giornali, soprattutto a "L'Espresso." Un'intera redazione, o quasi, per la prima volta nella storia dell'Italia post-fascista, viene messa in galera o incriminata: è il caso di "Controinformazione."
Della Chiesa invia un rapporto alla procura generale, in cui si denunciano le presunte complicità del GI De Vincenzo con le BR. Quest'ultimo viene costretto a rinunciare all'inchiesta.
"Il Borghese," "Candido," "Il Settimanale," riprendono a grandi titoli la notizia, propagata dai provocatori di Stella Rossa parecchi mesi prima, secondo la quale le BR altro non sarebbero che una emanazione della KGB e della tendenza filosovietica del PCI che fa capo a Cossutta. Anche il materiale ritrovato nei "covi" è oggetto di speculazione e provocazioni. A queste manovre si prestano molto bene i soliti pennivendoli della borghesia. Nasce quindi una esigenza di chiarezza, cui le BR tentano di dare una risposta con la diffusione di un documento:

1. La guerra psicologica
In termini "militari" la funzione di un certo giornalismo si chiama "azione psicologica." Mediante questa azione le forze raccolte intorno al regime organizzano il discredito sulle organizzazioni rivoluzionarie, sui loro dirigenti, sui loro militanti. Rispetto a noi questa azione viene esercitata con l'obbiettivo di condizionare l'opinione del semiproletariato e delle aristocrazie operaie. Chi c'è dietro le BR?
Ma saranno veramente rosse? E se fosse Brigate di regime? Domande a cui non viene data una risposta, ma solo indotta, selezionando dati stravolti che però conducono il lettore sulla spiaggia voluta. Ora ogni combattente ha certo valutato interessi e rischi impliciti nelle scelte.
Cosí crediamo abbiano fatto anche quei giornalisti che fino ad oggi hanno alimentato questo fronte. Ciò nonostante a questi seminatori di odio, dubbi, insinuazioni e sospetti, diamo un ultimo consiglio: riflettano prima di stendere l'ultimo pezzo. È un esercizio che non costa nulla e se esercitato con moderazione può anche giovare. Perché alla guerra psicologica risponderemo con la guerra psicologica e con la rappresaglia.

2. Robbiano di Mediglia
E veniamo a Robbiano [il rifugio delle BR scoperto dai carabinieri e nel quale è stato trovato molto "materiale compromettente,", N.d.R.].
Che il "covo" sia caduto portando con sé alcuni materiali dell'organizzazione, peraltro periferici, ci costringe a riconoscere errori certamente commessi sul terreno della compartimentazione e dello stile di lavoro. Errori commessi e anche duramente pagati [...]. Ma siamo combattenti e sappiamo imparare dagli errori, dalle delusioni e dalle sconfitte che la lotta inevitabilmente porta con sé. Siamo marxisti-leninisti e sappiamo che "combattere, soccombere, ancora combattere, ancora soccombere, combattere di nuovo fino alla vittoria finale" è una legge della storia. Riconoscere i nostri errori non significa però avallare le favole che su Robbiano si fanno circolare. A Robbiano non è caduta nessuna inchiesta fatta dalle BR, ma materiale di inchieste fatte pervenire alle BR. Le BR in nessuna occasione hanno fatto inchieste su Pinelli, Calabresi o su Bertoli. Hanno condotto, è vero, una inchiesta sulla morte del compagno Feltrinelli. Ma questa inchiesta non è caduta a Robbiano né è stata rinvenuta dalle forze antiguerriglia. Tutto ciò che è stato rinvenuto a Robbiano su Feltrinelli, Calabresi e Bertoli esprime il lavoro e gli eventuali punti di vista di chi lo ha realizzato autonomamente e non per conto dell'organizzazione.
E del resto l'autore se ne è già assunto pubblicamente la responsabilità ("Abc" n. 14, 10 aprile 1975)
.[2]

La morte di Margherita Cagoi ("Mara")

Nel corso di una perlustrazione dei CC per ricercare Vittorio Vallarino Gancia, l'industriale del liquore da pochi giorni rapito, il 4 giugno 1975 a 11 giorni dalle elezioni regionali, ha luogo, presso Acqui, uno scontro a fuoco in seguito al quale muore una donna. Piú tardi si viene a sapere che la donna è Margherita Cagol, e che a sequestrare Gancia erano state le Brigate Rosse. Un comunicato delle BR conferma l'identità di Margherita "Mara," e le rende l'onore dovuto a un rivoluzionario caduto:

Ai compagni dell'organizzazione, alle forze sinceramente rivoluzionarie, a tutti i proletari. E' caduta combattendo MARGHERITA CAGOL, "MARA," dirigente comunista e membro del comitato esecutivo delle Brigate Rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà piú dimenticare. Fondatrice della nostra organizzazione, "MARA" ha dato un inestimabile contributo di intelligenza, di abnegazione e di umanità alla nascita e alla crescita dell'autonomia operaia e della lotta armata per il comunismo. Comandante politico-militare di colonna, "MARA" ha saputo guidare vittoriosamente alcune tra le piú importanti operazioni dell'organizzazione.
Valga per tutte la liberazione di un nostro compagno dal carcere di Casale Monferrato. Non possiamo permetterci di versare lacrime sui nostri caduti, ma dobbiamo impararne la lezione di lealtà, coerenza, coraggio ed eroismo!
E' la guerra che decide in ultima analisi, della questione del potere: la guerra di classe rivoluzionaria. E questa guerra ha un prezzo: un prezzo alto certamente, ma non cosí alto da farci preferire la schiavitú del lavoro salariato, la dittatura della borghesia nelle sue varianti fasciste o socialdemocratiche. Non è il voto che decide la questione del potere; non è con una scheda che si conquista la libertà. Che tutti i sinceri rivoluzionari onorino la memoria di "MARA" meditando l'insegnamento politico che ha saputo dare con la sua scelta, con il suo lavoro, con la sua vita. Che mille braccia si protendano per raccogliere il suo fucile! Noi, come ultimo saluto le diciamo: "Mara" un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria!
LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO

5 giugno 1975


BRIGATE ROSSE
[3]

La morte di "Mara" si presta a vari commenti da parte della stampa di sinistra. Per il PCI e Avanguardia Operaia, entrambi impegnatissimi nella campagna elettorale, si tratta ancora una volta di fascisti e servizi segreti.
Il "Quotidiano dei Lavoratori" spiega la sua posizione in un articolo dal titolo "UNA MORTE PER FANFANI": "La criminalità del bandito e quella del carabiniere sono complementari, sono due facce della stessa medaglia. La morte di Margherita Cagol è una morte `fanfaniana."[4]
In tutti questi anni l'atteggiamento di AO è rimasto fermo alle indicazioni contenute nelle vignette di Chiappori, candidato del PCI alle elezioni, collaboratore fisso di "Panorama," rivista peraltro da molte parti chiacchierata di infiltrazione sia per aver contribuito al "lancio" di GirottoFrate Mitra, sia perché, al tempo in cui a capo del SID era l'ammiraglio Henke, aveva come segretaria di redazione Marina Henke, figliola di tanto padre.
L`Unità" a sua volta, dopo aver acutamente notato che Acqui è sulla strada di Savona e che a Savona i fascisti hanno già buttato le bombe, esprime il desiderio, dal momento che se ne è già uccisa una militante, di "vedere finalmente finire questa incredibile storia delle Brigate Rosse"[5] e aggiunge: "La gente è stufa di provocatori che, si qualifichino come neri o come rossi, portano tutti acqua al mulino dei nemici della democrazia e dei lavoratori."[6]
Il "Manifesto," forse per la prima volta, sottolinea perlomeno la buona fede di Margherita: "'Il Popolo' ha pensato bene di accusare niente di meno che la KGB [...].
'1 'Unità!' gli ha replicato 'sono criminali comuni, prendeteli, siete voi lo stato.' Né 'Il Popolo' né 'l'Unità' si chiedono come sia avvenuto che una ragazza trentina di buona famiglia, cattolica praticante - il suo corpo è stato benedetto al cimitero di Trento, da monsignor Bertolini - sia finita crivellata [...] mentre credeva di lottare contro il capitalismo."[7]
C'è anche chi la considera una militante rivoluzionaria e, come tale, pur nella divergenza di linea strategica, le rende l'onore quale compagna caduta in combattimento. È il caso, ad esempio, di LC:

Leggiamo con disgusto le frasi di scoperta esultanza, o di deplorazione pietistica - e perfino razzistica: una donna fragile, piccolo borghese, travolta dal destino del suo uomo - che vengono dedicate alla morte di Margherita Cagol. Leggiamo con rispetto, ma con un ancor piú fermo dissenso politico, le parole con le quali i suoi compagni l'hanno salutata, che parlano di eroismo e della vittoria.
Non c'era la vittoria in fondo alla strada intrapresa dalle Brigate Rosse: al contrario, c'era la loro sconfitta, la dimostrazione del loro errore. Ma non bisogna consentire che a denunciare e a far tesoro di quell'errore sia il nemico di classe, che cerca nelle debolezze dei rivoluzionari forza e legittimità per il proprio dominio oppressivo [...] Cosí, da ogni parte, la ripulsa o la dissociazione politica verso le Brigate Rosse - e chiunque con una analoga linea si identifichi - esclude ogni volontà (e capacità) di capirne le radici, le domande, gli errori, le lezioni...
... [Le BR] sembrano citare solo ritualmente il lavoro salariato, e testimoniare invece molto piú nettamente la concezione di una ribellione di uomini liberi contro la schiavitú...
Oltre la tristezza per la morte di Margherita Cagol, c'è nel suo destino - e di altri prima di lei - una misura indiretta della strada che ancora resta da percorrere alla politica rivoluzionaria, a una trasformazione del mondo che non consente forzature soggettiviste, distaccate dalla fiducia razionale nella lotta di classe; e nemmeno la faciloneria di nuovi miti, che fingono una nascita senza dolore dal vecchio mondo, e un destino senza dolore del mondo nuovo. Il primato della politica non può essere altro se non un'ininterrotta lotta e conquista collettiva e personale.
[8]

Naturalmente, in seguito all'episodio di Acqui, la stampa borghese dà fiato alle trombe, dando ormai per spacciate le BR: "Le Brigate Rosse [...] hanno ricevuto un colpo mortale." Ritenendo di aver ottenuto ormai la "prova regina" della loro natura delinquenziale, cosí prosegue Andrea Barbato sulla "Stampa": "È caduto l'ultimo esile diaframma che separava le Brigate Rosse dalla criminalità comune piú crudele e sfrontata [...] tutto l'impianto è di pura malavita, un'anonima sequestri che sventola bandiere stracciate."[9]
Peccato però che l'ex speaker del Telegiornale ora ingaggiato da Agnelli, che ne ha fatto un portavoce della FIAT, sia poco informato. Se infatti avesse letto i documenti delle BR resi pubblici avrebbe scoperto che nulla di sensazionale c'è in questo episodio. Le Brigate Rosse già da tempo avevano reso nota la loro posizione in proposito: "L'espropriazione è una componente strategica (non tattica) della guerriglia [...]. Nell'espropriazione dunque si oggettivano dei valori di legalità e moralità rivoluzionarie."[10]
Quindi nessuna scoperta sensazionale da parte degli scrivani della borghesia. Resta invece da spiegare ai compagni come mai fino a quel momento, e nemmeno in quell'occasione, se non fossero state scoperte, le BR non avessero ritenuto di firmare le loro azioni di "esproprio." La risposta, che ci viene dalle stesse BR, è contenuta in una circolare interna di alcuni anni precedente l'episodio di Acqui:

Espropri

... L'esproprio non deve essere affrontato semplicemente per necessità contingenti di autofinanziamento, ma va considerato come uno degli aspetti fondamentali della lotta per la costruzione del potere proletario e come una delle vie obbligate per la quale deve passare la crescita del movimento rivoluzionario. Sino a ora, per valutazione di carattere tattico, si è preferito rinunciare a fare delle azioni di esproprio oggetto di propaganda armata a livello di massa per evitare, per quanto possibile, di fornire al potere il destro per una repressione e un attacco politico che, date le nostre attuali condizioni di debolezza, sarebbe stato difficile parare. Ora valutando anche che comunque sarà il potere quanto prima a prendere l'iniziativa su questo terreno (tentando di criminalizzare il movimento faranno a gara a dipingerci come una banda di rapinatori), è necssario riconsiderare la situazione.
Sebbene siamo dell'avviso che sarebbe nostro interesse "esporci" in condizioni di maggior radicamento delle BR nel movimento di massa, essendoci costretti, dovremo prendere posizione su questo argomento. Riteniamo che è intellettualistico e politicamente infantile sperare di ottenere una vittoria politica sul terreno degli espropri semplicemente pubblicando un documento che spieghi come la pensiamo su questo argomento. Per avere una posizione dialettica, che abbia forza nel movimento, è necessaria un'azione di esproprio avente dei connotati organizzativi inequivocabili politicamente, e tali da costituire un punto di riferimento a livello generale. Solo cosí un eventuale documento avrebbe efficacia a livello di massa e non solo per i gruppi della sinistra.
Tutto sta a vedere se abbiamo la sufficiente forza organizzativa per un esproprio del genere, ma se non ci proviamo e non lo costruiamo non l'avremo.
[11]

Il clamoroso fallimento del sequestro Gancia e la violenta campagna promossa dallo stato, nel tentativo di criminalizzare l'intero movimento, convincono le BR che ormai non restano piú motivi validi per continuare a non firmare le azioni di esproprio. Il 14 luglio a Lonigo (Vicenza) portano a compimento un'azione di esproprio.
Si tratta di un'azione di limitate dimensioni e con effetto "pedagogico" modesto. Tuttavia l'azione appare rilevante, perché, compiuta in un momento di crisi dell'organizzazione, ne ribadisce l'esistenza e l'efficienza.
In questa occasione per la prima volta le BR firmano con un comunicato un esproprio:

Lunedí 14 luglio un nucleo armato delle Brigate Rosse ha occupato ed espropriato la sede centrale della Banca Popolare di Lonigo (Vicenza). Nel corso dell'azione sono stati requisiti alcuni documenti sull'attività della banca e sono stati espropriati 42 milioni di lire. Presidente della banca è tale Enrico Della Grana, vicepresidente nazionale delle Banche Popolari e tirapiedi di Rumor nella zona. Vicepresidente è tale Guglielmo Cappelletti che presiede il centro studi vicentino "Nicolò Rezzara," cinghia di trasmissione tra il potere economico (rappresentato da questa e da altre banche) e la palude clientelare dell'autostrada di Piccoli-Rumor-Bisaglia. Chiude il cerchio del controllo mafioso che questa banda esercita su tutta la regione il possesso azionario del "Gazzettino" che ha assunto il monopolio nel Triveneto della menzogna e della provocazione antiproletaria.
Compagni, la borghesia ha approntato una serie di strumenti e di organismi a livello politico, militare ed economico, attraverso i quali esercita la sua feroce dittatura sul proletariato. Le banche sono i perni del suo apparato economico e gestiscono i frutti della continua e sistematica rapina che i padroni hanno organizzato ai danni della classe operaia. Attaccare, perquisire ed espropriare queste istituzioni è compito di ogni organizzazione rivoluzionaria. Perquisire perché gli autori delle manovre speculative e degli intrallazzi clientelari devono essere individuati e colpiti. Espropriare perché la guerra di classe per una società comunista condurrà all'espropriazione completa di tutti i mezzi di produzione attualmente in mano alla borghesia, e oggi i costi economici di questa guerra devono già ricadere su di essa, con la tassazione che le forze rivoluzionarie sono in grado di imporre. Tutto il potere al popolo armato! LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO. BRIGATE ROSSE.
[12]

Un'altra azione di esproprio che frutta 118 milioni viene compiuta 1'8 ottobre a Genova. Questa volta è lo sportello della Cassa di Risparmio situato all'interno di un grosso complesso ospedaliero ad essere preso di mira. Non manca nel volantino che firma l'azione una spiegazione politica della scelta dell'obiettivo: "Il sistema sanitario nella società capitalistica è un anello essenziale dello sfruttamento del proletariato. Infatti il sistema dei padroni dopo aver creato la maggior parte delle malattie attuali, non ha alcun interesse a curare decentemente un lavoratore ammalato, preferisce cinicamente sostituirlo con uno nuovo di zecca, produce certamente di piú."[13]
Le azioni di Lonigo e Genova sono fino ad ora i soli espropri firmati. Certamente in nessuna delle due occasioni si è raggiunto l'obbiettivo descritto in una loro circolare interna ("un'azione di esproprio avente dei connotati organizzativi inequivocabili politicamente e tale da costituire un punto di riferimento generale")[14] Piuttosto sembra trattarsi di una mera tassazione, dettata da esigenze logistiche e da uno stato di necessità impellente.
Seppure non debellate, non esistono dubbi della profonda crisi in cui attualmente si dibattono le Brigate Rosse, una crisi che è insieme organizzativa e di prospettive politiche. Come già in passato, il periodo di silenzio potrebbe coincidere con un momento di riflessione o di ripensamento.
Non siamo in grado di formulare ipotesi sull'oggetto della discussione in atto al loro interno anche se ci sembra assai riduttivo ricondurre il dibattito, come hanno insinuato alcuni giornali borghesi, a uno scontro tra linea "dura" e linea "morbida." Non si possono, allo stato, trarre conclusioni o formulare pronostici sulle possibilità di sviluppi ottimali delle tendenze o delle prospettive delle ipotesi di pratica politica proposte in questi anni da questi compagni.
Quello che, invece, ci sembra un dovere a cui è impossibile sottrarsi è la discussione consapevole, l'approfondimento e l'allargamento del dibattito sui temi interni alla lotta di classe e alla milizia per il comunismo che questi compagni con la loro analisi e la loro pratica hanno riproposto e continuano a riproporre.

  1. Corriere della Sera," 16 maggio 1975.
  2. "L'Espresso," n. 21, 25 maggio 1975.
  3. "Corriere della Sera," 7 giugno 1975.
  4. "Quotidiano dei Lavoratori," 8 giugno 1975.
  5. "l'Unità," 8 giugno 1975.
  6. "l'Unità," 9 giugno 1975.
  7. "il Manifesto," 8 giugno 1975.
  8. "Lotta continua," 8 giugno 1975.
  9. "La Stampa," 8 giugno 1975.
  10. Intervista di Curcio, in "L'Espresso," n. 1, 1975.
  11. "Panorama," 29 giugno 1975.
  12. "Corriere della Sera," 16 luglio 1975.
  13. "La Stampa," 10 ottobre 1975.
  14. "Panorama," 29 maggio 1975.