Biblioteca Multimediale Marxista
Dalla "campagna Sossi" le BR escono con l'immagine
dei banditi gentiluomini, di coloro che mettono in scacco l'intero apparato
dello stato, senza spargimento di sangue.
Da Padova, però, giunge una notizia che sembra contraddire questa fama.
Il 17 giugno, a meno di un mese dalla strage di Brescia, due fascisti vengono
trovati uccisi in una sede del MSI di Padova. Si scatena una ridda di ipotesi
su piste nere e regolamenti di conti tra fascisti, fino a che non viene diffuso
un comunicato, firmato "BR," in cui ci si assume la responsabilità
dell'accaduto:
Lunedí 17 giugno 1974, un nucleo armato
delle Brigate Rosse ha occupato la sede provinciale del MSI di Padova in via
Zabarella. 1 due fascisti presenti, avendo violentemente reagito, sono stati
giustiziati.
Il MSI di Padova è la fucina da cui escono e sono usciti gruppi e personaggi
protagonisti del terrorismo antiproletario di questi ultimi anni. Freda e Fachini
hanno imparato lí il mestiere di assassini e i dirigenti di questa federazione
(Luci, Switch, Marinoni) hanno diretto le trame nere dalla strage di piazza
Fontana in poi, Il loro piú recente delitto è la strage di Brescia.
Questa strage è stata voluta dalla Democrazia cristiana e da Taviani
per tentare di ricomporre le laceranti contraddizioni aperte al suo interno
dalla secca sconfitta del referendum e dal "caso Sossi": piú
in generale per rilanciare anche attraverso le "leggi speciali" sull'ordine
pubblico il progetto neogollista. Gli otto compagni trucidati a Brescia non
possono essere cancellati con un colpo di spugna dalla coscienza del proletariato.
Essi segnano una tappa decisiva della guerra di classe, sia perché per
la prima volta il potere democristiano attraverso i sicari fascisti scatena
il suo terrorismo bestiale direttamente contro la classe operaia e le sue organizzazioni,
sia perché le forze rivoluzionarie sono da Brescia in poi legittimate
a rispondere alla barbarie fascista con la giustizia armata del proletariato.
Non colpisce nel segno chi continua a lottare contro il fascismo vedendolo come
forza politica autonoma che si può battere isolatamente senza coinvolgere
lo stato che lo produce. Non colpisce affatto chi non si muove contro i fascisti
con la scusa che sono "solo servi."
Al progetto controrivoluzionario che mira ad accerchiare e battere la classe
operaia, dobbiamo opporre un'iniziativa rivoluzionaria armata che si organizzi
a partire dalle fabbriche contro lo stato ed i suoi bracci armati. Le sedi del
MSI non sono piú inviolabili roccaforti nere! Nessun fascista può
piú considerarsi sicuro! Nessun crimine fascista rimarrà impunito!
Portare l'attacco al cuore dello stato! Lotta armata per il comunismo!
Martedí 18 giugno 1974.
BRIGATE ROSSE.[1]
Non siamo in grado di valutare con esattezza l'autenticità
del volantino che pure come stile appare attendibile. Anche se non ci troviamo
di fronte ad un falso è, tuttavia, molto probabile che si tratti di un'iniziativa
"autonoma" di un gruppo collegato con le Brigate Rosse e conclusasi
con un "incidente sul lavoro." L'azione sarebbe stata compiuta senza,
o addirittura contro, il parere dell`esecutivo" e della "direzione
strategica," secondo la quale, già da qualche tempo, la lotta va
portata contro la DC ed il fascismo in camicia bianca.
Sta di fatto, tuttavia, che dalle BR non è giunta smentita, e anche di
questo bisogna tenere conto.
Esiste sull'episodio di Padova una testimonianza della spia Girotto che, seppure
da prendere con beneficio di inventario, è giusto registrare. Secondo
frate Mitra, Curcio avrebbe detto che "la colonna veneta aveva chiesto
di fare un'azione contro la sede del MSI, ma noi non pensavamo che volessero
attaccare Padova, sede ben guardata.”[2]
Sull'episodio ha preso posizione la rivista "Controinformazione":
Quanto all'opinione di sinistra essa è rimasta sconcertata: credere alla responsabilità delle BR voleva dire distruggere un'immagine cara, constatare che le BR potevano anche interrompere la loro "tradizione cavalleresca" con la violenza delle armi [...]. Non sono mancati nemmeno quelli che hanno ipotizzato il sopravvento nelle BR di una linea militarista: accanto ai colonnelli spuntano i samurai [...]. Solo qualcuno ha avanzato l'unica ipotesi che sembra accettabile: che il comunicato delle BR era diretto ad evitare lo scatenarsi della caccia al rosso. Le BR, sottoponendosi ad un giudizio generale inevitabilmente non tenero, hanno ammesso la doro responsabilità per quanto è accaduto nella sede del MSI. Non una inaccettabile sfida all'opinione pubblica ed al consenso delle avanguardie: né la sottovalutazione del momento storico, dunque; ma il riconoscimento di quello che noi riteniamo sia stato uno sbaglio: questo appare da una lettura attenta del comunicato: rivendicare anche gli sbagli [...]. È questa una lezione inedita che rimarrà in gran parte incompresa [...]. A chi pensava che si potesse procedere all'infinito con azioni di propaganda armata innocue, simpatiche, alla tupamaros prima maniera, le BR hanno risposto che quando si agisce davvero gli incidenti sono sempre in agguato. Nonostante tutto questo le BR non hanno voluto trasformare in indicazione politica un'azione che non perseguiva l'esecuzione dei fascisti.[3]
Si può osservare che, per quanto funestata da "un
incidente sul lavoro," l'azione di Padova non modifica certamente la linea
strategica né l'impostazione tattica delle BR. Essa infatti va ricollegata,
per gli obbiettivi che si poneva, alle altre incursioni incruente compiute contro
il CRI) ed il Centro Sturzo a fini "di inchiesta."
Non si può sottovalutare, tuttavia, che l'immagine delle BR ne risulterà
alterata e che, a partire da questo momento, non poche simpatie verranno loro
a mancare.
L'estate è un fuoco di fila di fermi, perquisizioni,
arresti, ecc.
Una serie di militanti delle BR, o presunti tali, vengono perseguiti.
Altri, anche completamente estranei all'organizzazione, vengono coinvolti come
misura di rappresaglia.
Il SID e le sue articolazioni armate riescono ad infiltrare la spia Girotto.
L'operazione, che vuole essere di grossa portata, tende a distruggere l'intero
apparato delle BR. Tuttavia la provocazione non verrà spinta alle estreme
conseguenze da parte di chi l'aveva promossa. A settembre, proprio all'inizio
dell'operazione "frate spia," scoppia la bomba dell'arresto del generale
Miceli. Vengono alla luce, in modo chiaro, le complicità del SID con
le forze piú reazionarie del paese nella preparazione di un golpe fascista.
Nasce la necessità per il SID di un colpo a sensazione, che serva a ristabilire
l'equilibrio, se non a fare riconsiderare il golpe nero come un antidoto preventivo
al pericolo rosso incombente.
Per questo 1'8 settembre, e non dopo, viene arrestato Curcio insieme a Franceschini
che si trovava con lui. In quel periodo era stato fatto circolare in Italia
un numero speciale di "Politica e Strategia," la rivista diretta dal
consigliere regionale democristiano Filippo de Iorio, golpista attualmente ricercato
e dal suo collega di indizio, generale Duilio Fanali, ex capo di stato maggiore
dell'aeronautica. L'argomento della pubblicazione, già in preparazione
da alcuni mesi, era lo stesso - già elaborato da Sossi, dal SID, dal
libretto azzurro dei CC - dell"`iceberg polipiforme" rosso che estende
i tentacoli in tutte le articolazioni dello stato, non escluso l'esercito.
Piú tardi lo stesso Curcio, ammettendo alcuni suoi errori, riconoscerà:
Gli uomini dell'antiguerriglia del generale Della Chiesa, servendosi di una guida e sfruttando un mio errore di valutazione avevano portato a termine proprio in quel periodo [settembre. N.d.R.] una manovra di agganciamento che ha consentito la trappola e l'arresto. Ma dietro alla semplice operazione di polizia c'era dell'altro: ventilare il pericolo di una prova di forza della sinistra per giustificare un controgolpe preventivo nero e, in via subordinata, proporre un contraltare all'attacco alle trame nere che si rifaceva via via piú consistente. Il SID era pesantemente implicato in quelle losche vicende e bisognava distrarre l'attenzione. Le BR entravano in questo disegno nella misura in cui potevano essere presentate come punta armata emergente di un iceberg polipiforme ramificato, oltre che nelle grandi fabbriche del Nord, nel mondo della cultura, nell'apparato della magistratura, negli ambienti piú quotati del giornalismo, nelle forze armate e addirittura nei Ministeri dell'interno e della difesa. Dopo Sossi l'ideaforza che le BR rappresentavano si era fatta pericolosa perché trovava consensi e simpatie in strati sempre maggiori di avanguardie e di movimento. Dunque da parte dell'antiguerriglia bisognava colpire urgentemente e clamorosamente per dimostrare che questa organizzazione non era invincibile, per inquinarne l'immagine con ignobili .trucchi, e per anticiparne le probabili iniziative d'autunno.[4]
Un comunicato delle BR denuncia prontamente e pubblicamente l'attività di spia di Girotto:
Compagni, domenica 8 settembre i compagni Renato
Curcio e Alberto Franceschini sono caduti nelle mani del SID. I comunicati che
questo ha emesso e le manipolazioni della stampa ci inducono ad alcune precisazioni:
la cattura di Curcio e Franceschini non è avvenuta, nel modo piú
assoluto, in seguito alla delazione o defezione di membri della nostra organizzazione,
né quantomeno per opera, di infiltrati. Ma essa non è neanche
da attribuire alle. tanto sbandierate virtù investigative dei carabinieri
e dei poliziotti torinesi, che non sono mai stati in grado di attuare alcun
controllo sui movimenti dei due compagni.
La loro cattura è avvenuta in seguito ad un'imboscata tesagli attraverso
Silvano Girotto, piú noto come "Padre Leone," il quale sfruttando
la fama di rivoluzionario, costruita ad arte in America latina, presta l'infame
opera di provocazione al soldo dei servizi antiguerriglia dell'imperialismo.
Ma se il potere riesce con "brillanti operazioni" a colpire qualche
nostro militante non riuscirà a neutralizzare la forza politica della
nostra proposta strategica: la lotta armata per il comunismo.
Compagni, se la borghesia usa le stragi nei comizi e,sui treni, scatena sempre
piú la polizia contro i proletari, ricorre ai servizi antiguerriglia
internazionali, questo non è una prova di forza, ma dimostra la sua paura
e la sua incapacità a risolvere la crisi di regime che, oggi piú
che mai, è la crisi della sua egemonia sul proletariato.
Alla richiesta di potere che sale dalle lotte del proletariato i servi nostrani
dell'imperialismo USA rispondono con le bombe, la polizia e la disoccupazione.
Ii movimento ha un'unica strada per rispondere: organizzarsi sul terreno della
lotta armata per portare l'attacco al cuore dello stato.
BRIGATE ROSSE.[5]
Un mese piú tardi, in questo quadro di provocazione,
scatta l'operazione contro il compagno Lazagna, partigiano e comunista di antica
milizia. Con lui si vuole colpire l'intera sinistra, dal PCI ai gruppi extraparlamentari,
alle organizzazioni che hanno scelto le forme di lotta armata.
Una serie di altre operazioni vengono portate avanti. Alcuni "covi"
delle BR vengono individuati e perseguiti. Molto materiale di natura informativa
cade nelle mani dei carabinieri. Durante una di queste azioni, a Robbiano di
Mediglia, una sparatoria provoca il ferimento di un militante delle BR e la
morte di un maresciallo dei carabinieri.
In carcere i brigatisti, o presunti tali, si comportano con
dignità, secondo le regole comuniste. Si rifiutano di rispondere durante
gli interrogatori, e si appellano alla Convenzione di Ginevra, ritenendosi prigionieri
di "una guerra che è stata dichiarata dalla borghesia.”[6]
Continuano la lotta anche in carcere: "Da sempre le galere sono terreno
rivoluzionario. Non mancherò certamente dunque di essere al mio posto
di lotta, forte della esperienza politica cosí accumulata."[7]
Altre volte ostentano disprezzo verso i loro carcerieri. È il caso di
Franceschini che prende a schiaffi il giudice Caselli, il quale pretendeva di
interrogarlo senza difensori, e si rifiuta di intervenire ad un processo "senza
prove in cui la condanna è già scontata in partenza" dichiarando
ai giudici per iscritto: "Controbattere alle vostre calunnie non mi interessa,
significa accettare la vostra logica infame. Del resto, non é a voi 'egregíe
eccellenze' che devo spiegare perché sono un combattente comunista [...].
La crisi accelera sempre più i tempi della fine del vostro dominio di
classe e rende ormai matura la inevitabile rivoluzione comunista. Allora, e
sarà molto presto, anche io mi presenterò da voi.”[8]
Curcio, a sua volta, produce in carcere due importanti documenti. Il primo,
che viene parzialmente e non del tutto fedelmente pubblicato dall` Espresso"
sotto la forma di intervista, ci fornisce un aggiornamento delle sue posizioni
politiche:
D. Il progetto golpista è stato
rimandato?
R. Il governo Moro non può aspirare a risolvere lo scontro di potere
in atto nel paese, e la macabra tendenza controrivoluzionaria che dal 1969 si
snoda nel paese in questi mesi non è stata liquidata, ma solo disturbata.
Del resto non poteva esserlo. Essa infatti è parte della crisi profonda
che attraversano i paesi capitalistici e risponde all'esigenza che questi manifestano
di non vedere modificati i confini politici del sistema democratico occidentale.
In particolare in Italia il ciclo crisi-recessione-ristrutturazione non può
essere gestito con strumenti politici di ordinaria amministrazione.
La crisi dello stato, del partito di maggioranza e del modello di sviluppo sono
ormai tali da esigere una "rottura storica" piú che un compromesso.
La situazione evolve verso un punto limite oltre il quale le regole del gioco
non valgono piú per nessuno. Oppure dovranno essere fatte valere per
tutti.
Io credo che non siano giustificati né il pessimismo di molti intellettuali
né la proposta di compromesso dei revisionisti. Esistono le condizioni
e le forze per trasformare questa crisi in una "svolta storica per il socialismo."
Ma occorre preparare in tutti i sensi le masse proletarie ai nuovi compiti,
ovvero all'inevitabile scontro coi progetti e con le forze della controrivoluzione
nazionale e imperialista.
Il socialismo non è inevitabile, ma è inevitabile che l'intera
sinistra sarà chiamata a definirsi rispetto a questo scontro.
D. C'è chi sostiene che l'esperienza
BR ha subito un colpo forse decisivo con l'arresto di un certo numero di compagni.
Insomma, cosa resta delle BR?
R. È vero che l'arresto di alcuni compagni ha fatto tirare un sospiro
di sollievo a certe sette della sinistra che, non sapendo piú come giustificare
la propria posizione parassitaria e subalterna, non hanno esitato a farsi complici
della controrivoluzione nello sparare a zero sulla giovane esperienza di guerriglia.
È altrettanto vero che la delusione per questa gente sarà grande
quanto quel sospiro.
L'arresto di alcuni compagni non significa la sconfitta della necessità
della guerra di classe. E nemmeno della necessità della sua organizzazione
da parte proletaria. Ciò è dimostrato dalla continuazione delle
attività offensive. Ad esempio le due recenti incursioni armate nelle
centrali spionistiche del SIDA di Mirafiori e Rivalta.
La guerriglia è ormai un dato oggettivo della situazione politica italiana
ed europea, un bisogno politico delle avanguardie proletarie. Il suo sviluppo
può essere ritardato ma non impedito.
In tutti i poli di classe esistono avanguardie che, superata la fase della protesta,
hanno fatto propria la tesi - sostenuta dalle BR - che nell'Europa occidentale
l'improponibilità attuale dell'ipotesi insurrezionale classica non significa
rinuncia alla guerra di classe ma sviluppo della medesima nella forma di guerriglia
urbana.
I "gruppi," le varie forze della sinistra devono capire, pur facendo
salve le differenze di valutazione anche rilevanti, che l'indebolimento dell'esperienza
delle BR non è nell'interesse del movimento di sinistra.
L'attacco ai livelli di organizzazione clandestina e armata, il tentativo di
relegare i nuclei combattenti nella sfera prepolitica della marginalità
criminale, segnano solo il bisogno della borghesia di distruggere ogni ipotesi
di organizzazione della violenza proletaria, di annientare ogni insorgenza antagonistica,
di limitare progressivamente ogni forma di lotta e infine di canalizzare e controllare
l'urto tra le classi.
Mi sembra un prezzo troppo alto per la soddisfazione di qualche capriccio polemico
o di qualche esigenza tattica.
D. Scrive "l'Unità". "Vi
sono alcuni che hanno teorizzato 'l'azione armata' in odio e in lotta contro
i comunisti." Cosa ne pensi?
R. È una frase forse di effetto, ma priva di senso. Intanto stabilisce
una identità impropria tra i comunisti e il PCI. Poi contrappone "l'azione
armata" ai comunisti. Infine presuppone un odio nei confronti dei "comunisti-PCI."
Vediamo di sbrogliare la matassa.
Primo: il comunismo è, prima che un partito, una concezione del mondo.
In questo senso, anche in Italia vi sono molti comunisti che non sono iscritti
al PCI (e alcuni iscritti al PCI che è difficile pensare comunisti).
Secondo: parte dei rivoluzionari comunisti italiani non condivide la linea strategica
del compromesso e ha scelto di battersi per una diversa prospettiva di svolta
storica per il socialismo.
Terzo: ciò non significa e non presuppone alcun "odio," bensì
una lotta politica tra due strategie divergenti. Non l'odio, ripeto, non l'insulto,
ma una lotta politica, perché anche le forze che hanno teorizzato il
passaggio alle guerriglia urbana come forma specifica storica della guerra di
classe sono parte integrante del movimento di sinistra, che piaccia o meno al
signor Berlinguer.
D. A Firenze, a Bologna, per non citare
che i piú clamorosi, si sono verificati episodi di "criminalità"
che qualcuno definisce "comune," altri "politica." Illusi?
Disperati? Guerriglieri?
R. Non condivido l'opinione di chi liquida la questione come "aberrante
follia provocatoria." Non vi è nulla di aberrante, di folle, di
provocatorio in ciò che hanno fatto quei compagni. Vi sono invece degli
errori di impianto politico e di tecnica militare. Per trasformare queste sconfitte,
questi errori, in una piccola vittoria, bisogna individuare la lezione politica
che da quei fatti emerge, di modo che anche gli errori siano, come acquisizione
di esperienza, parte del patrimonio positivo del movimento di sinistra.
Una lezione - che è poi una conferma di una tesi sempre sostenuta dalle
BR - e cioè: guerra di classe non vuol dire "imbracciare un fucile"
ma interpretare, in termini organizzativi e politicomilitari l'antagonismo ribollente
nei grandi poli industriali e metropolitani sotto la crosta pacifista e legalitaria
della sinistra ufficiale.
Perché credo abbia ragione Mahler quando sostiene che rispetto alla realtà
l'immagine che i comunisti europei hanno del capitalismo è idilliaca
e pertanto sono idilliaci i metodi di lotta anticapitalistici che essi teorizzano:
mentre questa realtà idillica non è, e di qui nasce la contraddizione,
lo spazio politico e la base sociale della tendenza rivoluzionaria.
D. Insomma, quali sono i confini tra "delinquenza
comune" e "rapina per fini politici"?
R. Bertolt Brecht mette in bocca a un suo personaggio un interrogativo di questo
genere: "chi è veramente criminale: chi fonda le banche o chi le
sfonda?"
Per la gente perbene la risposta è scontata: chi le sfonda è un
delinquente comune; chi le fonda è un signore rispettabile! L'espropriazione
è però esterna a questa dialettica della miseria. In altre parole,
non può essere definita "rapina per fini politici."
Per quanto ciò possa apparire paradossale, l'espropriazione non è
calibrata sulle esigenze di sussistenza della organizzazione di guerriglia che
la pratica, bensí sull'effettiva capacità offensiva che essa ha
raggiunto. Tanto piú solida è l'organizzazione, tanto piú
incisiva è la sua attività di espropriazione.
Per questo si dice che l'espropriazione è una componente strategica (non
tattica) di ogni guerriglia. Anche in una fase iniziale, essa è già
praticata come tassazione che il movimento rivoluzionario impone alla borghesia;
mentre, alla fine del processo, assumerà la forma di espropriazione generale
di ogni proprietà sulla quale possano essere costruiti rapporti di sfruttamento,
parassitismo od oppressione.
Nell'espropriazione dunque si oggettivano una legalità ed una moralità
rivoluzionaria che, in condizioni "normali," emergono con chiarezza
anche nella forma della sua realizzazione.
D. Rimane il fatto che, all'interno della
classe operaia, la maggioranza o molti non condividono la scelta del passaggio
alla lotta armata.
R. La classe operaia non è un mito. Il giudizio del "proletario
condizionato" la cui coscienza è manipolata ed espropriata, non
può far testo. E' un proletario teleguidato, telediretto. O, se preferisci,
in termini piú teorici, "in sé, ma non per sé."
Oggi, il messaggio che lanciano le avanguardie armate si rivolge e può
essere compreso principalmente dalle fasce proletarie di avanguardia che per
la definizione dei loro interessi reali non hanno bisogno di suggerimenti premasticati.
L'approfondimento della crisi e lo sviluppo della guerra di classe porranno
poi anche gli attuali proletari condizionati di fronte alla realtà del
loro interesse di classe ed il loro giudizio sarà allora genuino.
Renato Curcio, dicembre 1974 dal carcere di Casale Monferrato.[9]
Un altro documento, scritto da Curcio in occasione dell'uccisione
in carcere di Holgher Meins, militante della RAF, dà l'occasione per
ribadire la dimensione europea
e mondiale dello scontro in atto: l'Italia e la Germania sono rispettivamente
"l'anello debole e l'anello forte della stessa catena: il sistema democratico
occidentale":
La RAF ha posto una questione politica e cioè la questione
della rivoluzione proletaria in una società tecnologica-metropolitana...
La RAF ha costretto da un lato la borghesia tedesca a svelare senza reticenze
la sua natura ferocemente controrivoluzionaria, dall'altro si è assunta
la funzione di nucleo strategico politico-militare del movimento di resistenza
e di polo di aggregazione delle forze rivoluzionarie disperse [...]. In una
società tecnologica, altamente industrializzata e urbanizzata, nessuno
ha mai fatto una rivoluzione [...]. I militanti della RAF [...] combattendo
nel cuore della metropoli, dove pochi ancora credevano fosse possibile, hanno
messo in crisi il meccanismo paralizzante: in ciò sta la rottura storica
che essi hanno realizzato e la loro prima e piú importante vittoria.
Di qui parte anche "la necessità" di annientare la RAF come
obbiettivo ossessivo e confessato dalla controrivoluzione tedesca [...] La controrivoluzione
in Germania occidentale esprime meglio che altrove l'essenza del fascismo tecnologico
imperialista [...]. La RAF si è opposta a tutto ciò e non solo
con le armi della critica [...] ha avuto cioè quel coraggio intellettuale,
politico e militare che a troppi altri purtroppo manca ed è mancato.
Si è sporcata le mani impugnando le armi, ma è come se avesse
messo davanti alla borghesia tedesca e alla sua "intellighenzia" frustrata
e volubile piú che un revolver un grande specchio della verità.
Uno specchio in cui sono riflessi i contorni agghiaccianti di un nuovo fascismo
[...]. Tra i pessimi commenti apparsi sulla stampa leggibile nel nostro paese
vi è un piú o meno esplicito denominatore comune. Si tratta della
tesi seguente: la RAF ha tentato una impossibile e isolata svolta nel cuore
del capitalismo europeo. La sua è stata la recita di uno scontro tra
pochi e isolati estremisti e lo stato. L'apparente ovvietà di queste
argomentazioni nasconde la loro sostanziale falsità. Chi le sostiene
senza l'aggravante della malafede deve ammettere di non aver capito una questione
abbastanza rilevante e cioè che una linea di massa rivoluzionaria si
costruisce solo intorno a una guerra rivoluzionaria e una guerra rivoluzionaria
non è mai un prodotto "naturale," spontaneo dell'urto tra le
classi, ma il progetto e l'intervento cosciente nella storia di un partito combattente...
Il limite piú rilevante della RAF [...] sta a mio avviso nell'impianto
del rapporto politico-militare con lo stato da un lato e del rapporto politico-organizzativo
con il movimento operaio e rivoluzionario tedesco dall'altro. Un limite di tattica
e di organizzazione [...]. C'è poi la questione del rapporto politico-organizzativo
con il movimento. In sostanza la critica che viene mossa è questa: la
RAF ha iniziato a costruire la sua organizzazione per linee esterne al movimento
ed è stata assente nel suo lavoro una indicazione, anche embrionale,
anche solo di tendenza, della strada da percorrere per la costruzione di un
potere proletario e popolare non delegato. Questo vuol forse significare che
per la RAF la "questione operaia" non si pone? Che un irrimediabile
pessimismo nei confronti della possibilità rivoluzionaria del proletariato
industriale tedesco sta alla radice delle sue scelte? La RAF vuole forse una
rivoluzione sociale senza la classe operaia?
Io non credo che la scelta tattica della RAF di svolgere nella prima fase della
sua guerriglia un'azione di potenziamento logistico e di attacco sul terreno
parziale della controrivoluzione voglia dire il rifiuto di affrontare la questione
operaia. Queste sue scelte vanno misurate sulla situazione tedesca indubbiamente
molto diversa da quella italiana e francese. È un fatto che la "coscienza
possibile" del proletariato industriale tedesco occidentale, oggi non va
oltre la difesa degli interessi immediati.
Indicando nella controrivoluzione organizzata direttamente dallo stato la contraddizione
principale, la RAF non esaurisce certo l'area politica dei bisogni reali ma
non ha neppure la pretesa di farlo.
La battaglia che dentro e fuori delle carceri tedesche viene combattuta dalla
RAF non è solo eroica, ma ha un'importanza eccezionale per le forze rivoluzionarie
di tutto il continente europeo. È nostro dovere sostenerla con ogni mezzo.
Dal suo esito dipende il rafforzamento o l'indebolimento della guerra rivoluzionaria
in Europa.
Bisogna che ci diventi familiare il concetto che Berlino e Stoccarda sono piú
vicine a Roma o a Milano di quanto non lo siano Frascati e Vigevano.
Il fenomeno della controrivoluzione assume nelle metropoli europee una specificità
differente solo per intensità e per forma, non per qualità. Perciò
la resistenza deve essere continentale e prendere l'avvio dai grandi poli di
oppressione e di sfruttamento. Perché questi sono i crogioli del fascismo
metropolitano e i punti da cui esso si irradia. Il fascismo metropolitano è
la risposta che le classi dominanti europee e teleguidate dagli USA si preparano
a dare alla richiesta di potere che sta alla base dei "movimenti"
di "forze comuniste" che si registrano nei vari paesi.
William Colby, il famigerato direttore della CIA, parlando della situazione
in Europa ha detto recentemente: "Certo noi non diciamo non importa se
i comunisti partecipano al potere."
Il volto politico dell'Europa sta mutando. Gli equilibri di Yalta sono sempre
piú instabili. La loro ridefinizione a medio termine è inevitabile
e non sarà indolore. L'alternativa non è tra Europa dei 9 autonoma
ed equidistante ed Europa degli USA subalterna e servile. La contraddizione
passa all'interno di ogni paese. Si chiama socialismo. Si chiama comunismo.
Questa è la tendenza principale. La controtendenza è il nuovo
fascismo. In mezzo c'è lo sgretolamento lento ma irreversibile di ciò
che resta del "sistema democratico occidentale" [...1 L'Italia
è l'anello debole del "sistema democratico occidentale." La
RFT quello piú forte.
Dunque se in Italia i compiti delle avanguardie armate si pon-gono ormai dentro
uno scontro aperto tra il movimento proletario e il regime in agonia, nella
RFT si tratta ancora di logorare il cervello, di aprire contraddizioni nello
"Stato Forte," e di coinvolgere, attraverso un'attenta fase di propaganda
armata, un numero crescente di avanguardie proletarie nella prospettiva della
guerra di classe.
Mi sembra che una strategia continentale unitaria deve stare alla base dell'azione
delle diverse organizzazioni che combattono in Europa l'ultima guerra: per il
comunismo.[10]
Durante la seconda metà del 1974 si registra una proliferazione
di gruppi che sviluppano una serie di azioni armate e di sabotaggio.
Alcune di queste colpiscono nel segno: per esempio l'incendio alla Face Standard,
firmato "Senza tregua per il comunismo," che provoca 8 miliardi di
danni.
Altre, al contrario, finiscono in modo tragico, come la tentata "rapina"
in cui vengono fucilati dalle forze dell'ordine Luca Mantini e Sergio Romeo,
dei NAP, o come lo scontro a fuoco di Argelato, in seguito al quale verrà
suicidato Bruno Valli.
L'11 dicembre, con due assalti quasi contemporanei alle sedi
SIDA di Mirafiori e Rivalta, le BR danno una smentita a chi, come il "Corriere
della Sera," le riteneva "definitivamente debellate." Una parola
d'ordine nuova viene lanciata in questa occasione: "COSTRUIRE NUCLEI ARMATI
CLANDESTINI."
Un'altra incursione viene compiuta dalle BR alla Singer di Leiní, il
3 febbraio 1975. In questa occasione vengono "puniti" due dirigenti.
Ma l'azione piú clamorosa di questo periodo è senza dubbio la
liberazione di Curcio dal carcere di Casale, che riesce nuovamente a scatenare
una serie di contraddizioni fra i vari organi dello stato che si palleggiano
le responsabilità della "fuga."
Nel comunicato delle BR relativo all'azione viene portato un violento attacco
alla DC:
Il 18 febbraio un nucleo armato delle Brigate
Rosse ha assalito e occupato il carcere di Casale Monferrato liberando il compagno
Renato Curcio.
Questa azione si inquadra nella guerra di resistenza al fascio di forze della
controrivoluzione che oggi nel nostro paese sta attuando un vero e proprio "golpe
bianco" seguendo le istruzioni dei superpadroni imperialisti Ford e Kissinger.
Queste forze, usando il paravento dell'antifascismo "democratico,"
tentano di far credere che il grosso pericolo al quale si va incontro sia la
ricaduta nel fascismo tradizionale. Per questa via esse ricattano le sinistre
mentre attuano il vero fascismo imperialista. Siamo giunti cioè al punto
in cui la drammatica crisi di egemonia della borghesia sul proletariato sfocia
nell'uso terroristico dell'intero apparato di coercizione dello stato.
La campagna costruita ad arte e scatenata negli ultimi mesi in principal modo
dalla DC sull'ordine pubblico lo dimostra. Le caratteristiche fondamentali di
questo attacco controrivoluzionario sono due:
1) la volontà di ridurre ad una funzione neocorporativa il movimento
sindacale e la sinistra;
2) la pratica di annientamento per via militare di ogni focolaio di resistenza.
La crisi di regime non evolve dunque verso la catastrofica dissoluzione delle
istituzioni, ma al contrario gli elementi di dissoluzione sono gli anticorpi
di una ristrutturazione efficientistica e militare dell'intero apparato statale.
Il terreno della resistenza alla controrivoluzione si pone cosí come
terreno principale per lo sviluppo della lotta operaia.
Il movimento operaio ha infatti di fronte a sé il problema di trasformare
l'egemonia politica, che già oggi esercita in tutti i campi, in un'effettiva
pratica di potere e cioè deve porre all'ordine del giorno la necessità
della rottura storica con la DC e della sconfitta della strategia del compromesso
storico. Deve porre all'ordine del giorno la questione del potere, della dittatura
del proletariato.
Compito dell'avanguardia rivoluzionaria oggi è quello di combattere,
a partire dalle fabbriche, il golpismo bianco in tutte le sue manifestazioni;
battere nello stesso tempo la repressione armata dello stato e il neocorporativismo
dell'accordo sindacale.
La liberazione dei detenuti politici fa parte di questo program
ma.
Liberiamo e organizziamo tutte le forze rivoluzionarie per la resistenza al
golpe bianco. Lotta armata per il comunismo.
BRIGATE ROSSE.[11]
Questo documento sarà oggetto di alcune interessanti
critiche da parte di "Bandiera Rossa," organo dei Gruppi Comunisti
Rivoluzionari, sezione italiana della IV Internazionale.
Scrivono i compagni dei GCR:
... non possiamo che rallegrarci che un compagno
sia stato liberato...
Tutto sembra indicare che questa organizzazione stia superando il momento di
"impasse" che l'aveva colpita fin dall'estate scorsa, dopo la conclusione
del caso Sossi e l'incidente della Federazione del MSI di Padova [...]. Oggi
le Brigate Rosse prendono atto di una certa rivitalizzazione di tutta l'area
della cosiddetta "autonomia," di una sua maggiore capacità
di intervento a livello sociale [...1 e si ripropongono come un elemento di
questa area, come un catalizzatore di questi processi. In realtà ci sarebbe
da discutere sul carattere estremamente contraddittorio ed effimero del rilancio
dei gruppi "autonomi," che corrisponde piú a un rifiuto crescente
dell'accomodamento dei centristi alla burocrazia che non all'effettiva rispondenza
di una linea estremista alle caratteristiche dell'attuale fase. Ma - è
questo il punto su cui è piú interessante soffermarsi - l'analisi
e le proposte di cui sono portatrici le Brigate Rosse rivelano l'inesistenza
di una alternativa strategica [...]. Per respingere le schematizzazioni eccessive
sulla dialettica "ala avanzata-ala arretrata" della borghesia, rispolverano
la vecchia tesi, cara all'ala piú radicale dell'operaismo italiano, di
un progetto organico del capitalismo in cui tutte le posizioni hanno un ruolo
preciso, predeterminato.
... Tutti gli elementi di analisi della crisi e della risposta della borghesia
e dello stato sono appiattiti in un unico disegno onnicomprensivo. Fa da contraltare
a questa visione deformata delle iniziative borghesi una valutazione ingiustificata
e ottimistica della situazione della classe operaia. Sorprendentemente leggiamo
nel comunicato: "Il movimento operaio ha infatti davanti a sé il
problema di trasformare l'egemonia politica, che già oggi esercita in
tutti i campi, in una effettiva pratica di potere." Passando sopra ancora
una volta all'astrusità della formula, non possiamo che riconoscere la
coerenza delle posizioni: è chiaro che, se il movimento operaio esercitasse
"un'egemonia politica in tutti i campi" l'armamento delle masse sarebbe
già concretamente all'ordine del giorno (non solo come parola d'ordine
propagandistica) e anche iniziative armate delle avanguardie avrebbero un senso.
Purtroppo non siamo ancora a questo stadio di avanzamento della crisi, e lo
stesso comunicato è costretto ad avanzare un obiettivo ben piú
modesto (in linea con l'andazzo centrista), cioè "la necessità
della rottura storica con la DC." La resistenza al "golpe bianco"
è una prospettiva ben misera, e ancora una volta le Brigate Rosse non
si rivelano capaci di contrapporre alla "via pacifica al socialismo"
altro che "la via armata alle riforme."[12]
La sinistra in genere rimane peraltro incredula di fronte alla
liberazione di Curcio.
"Avanguardia Operaia" e "l'Unità" non hanno dubbi:
sono stati i servizi segreti. Il quotidiano del PCI, con uno slancio di fantasia,
arriva ad evocare l'immagine di un Curcio spia fin da giovinetto e con i pantaloni
corti, formulando ipotesi di legami con Ordine Nuovo, CIA, SID, KYP, perfino
con l'ormai da tempo disciolta OAS.
Per "Lotta Continua," invece, la liberazione di Curcio "è
un fatto sospetto solo per chi è definitivamente vittima d,=1 mito dell'onnipotenza
dello stato."
Cosí le BR stesse in un loro documento commenteranno la liberazione di
Curcio:
L'assalto al carcere di Casale per la liberazione
di un compagno è un'azione di propaganda armata nel senso che:
- ha prodotto una disarticolazione profonda nello stato; ribaltamento della
campagna di propaganda con cui si tentava di darci per "spacciati";
vanificazione di progetti democristiani di un "processo esemplare"
sotto le elezioni; accentuazione delle contraddizioni tra magistratura e CC,
tra magistratura di Milano e di Torino, tra alti e bassi gradi della magistratura,
tra DC e altre forze politiche, e via elencando;
- ha battuto la pista al movimento di resistenza nei due sensi: di aver realizzato
una parola d'ordine del programma rivoluzionario (liberazione dei prigionieri
politici) e perciò aver creato un clima di fiducia nella massa dei prigionieri
politici oltre che tra le avanguardie rivoluzionarie; aver esplorato un nuovo
terreno di scontro ed aver tratto indicazioni ed esperienze che nei prossimi
tempi risulteranno decisive;
- ha creato le premesse reali per organizzare l'avanguardia rivoluzionaria rinchiusa
nelle carceri del regime su un programma rivoluzionario di attacco allo stato.[13]
-
Tra discussioni e recriminazioni, le forze dell'ordine danno in lungo e in largo,
ma invano, la caccia a Curcio il quale in breve diviene un divo da rotocalco:
nel giro di una settimana, almeno quattro settimanali gli dedicano la copertina.[14]
Nel momento in cui sono piú "braccate," le BR portano a compimento
un'altra azione che si inquadra nella "lotta contro il fascismo in camicia
bianca."
Il 26 febbraio, a Milano, perquisiscono l'IDI (Istituto dirigenti italiani)
e rilasciano un comunicato:
Mercoledí 26 febbraio un nucleo armato
delle Brigate Rosse ha occupato e perquisito la sede della fondazione IDI (Istituto
dirigenti italiani) in via Chiaravalle 2.
Questa fondazione, collegata alle associazioni dei dirigenti, contribuisce alla
loro qualificazione e alla loro specializzazione nella politica di sfruttamento
e di repressione della classe operaia.
Compagni, attraverso la ristrutturazione delle fabbriche, i licenziamenti, la
cassa integrazione, il padronato vuole ristabilire il suo dominio e distruggere
l'organizzazione di lotta del movimento operaio.
La restaurazione dell'egemonia e del controllo dei padroni passa anche attraverso
una riqualificazione dei dirigenti ed il ristabilimento della loro "autorità,"
che le nostre lotte di questi anni hanno messo duramente in crisi. Per questo
oggi i dirigenti mentre da una parte attuano le manovre antioperaie nella fabbrica,
mentre decretano la cassa integrazione per migliaia di lavoratori, mentre denunciano
e licenziano le avanguardie operaie, mentre ristrutturano la fabbrica in funzione
antioperaia, dall'altra parte cercano di mascherare il loro ruolo effettivo,
di farsi passare per una categoria di lavoratori e di costruirsi una patente
di neutralità. In sostanza i dirigenti cercano di nascondere la loro
vera funzione di struttura di comando padronale e di artefici dell'attacco antioperaio
dietro una loro pretesa funzione puramente tecnica e neutrale, estranea cioè
ai rapporti di sfruttamento.
In realtà attraverso queste manovre si cerca di bloccare la lotta operaia
contro la struttura di comando della fabbrica, si cerca di ripristinare ad un
nuovo livello l'egemonia e il controllo dei pa
droni, e di cancellare le conquiste e gli spazi di potere dei lavoratori. In
questo caso la riqualificazione del ruolo dei dirigenti si inserisce nella strategia
delle forze reazionarie. Si inserisce nel golpe strisciante che queste forze
stanno attuando nel paese attraverso la crisi economica, la militarizzazione
dei quartieri popolari, l'incarceramento delle avanguardie rivoluzionarie, per
piegare la resistenza dei lavoratori e stroncare la loro lotta.
Contro questa offensiva reazionaria dobbiamo rispondere organizzando nelle fabbriche
e sul territorio nuclei armati di resistenza. COLPIRE I NEMICI DELLA CLASSE
OPERAIA! ORGANIZZARE OVUNQUE NUCLEI ARMATI CLANDESTINI! LOTTA ARMATA PER IL
COMUNISMO!
Milano 28 febbraio 1975
BRIGATE ROSSE[15]
Dopo la liberazione di Curcio il regime adotta nuove rappresaglie
contro i brigatisti detenuti. È a questo punto che i militanti delle
BR in carcere vengono autorizzati dalla loro organizzazione ad assumere la propria
identità politica, anche per rifiutare "ogni tentativo di frantumare
l'insieme delle iniziative politiche dell'organizzazione in mille episodi separati"
e per esigere un unico processo "politico" all'intera organizzazione.
In proposito le BR diffondono un documento datato 11 aprile 1975:
Le carceri
Nelle carceri del regime sono oggi rinchiusi
molti militanti tutti accomunati dalla stessa generica accusa: Brigate Rosse.
1 compagni delle BR, per neutralizzare le manovre del potere contro altri compagni
ingiustamente incarcerati ed estranei all'organizzazione, sono stati autorizzati
ad assumere pubblicamente la propria identità politica.
Il trattamento dei nostri compagni nelle carceri ha attraversato due fasi: prima
dell'assalto al carcere di Casale, dopo l'assalto.
Prima: i nostri militanti sono stati dispersi nei diversi carceri giudiziari
periferici allo scopo di evitare che potessero svolgere attività politica
tra le masse carcerate degli istituti maggiori.
Si è voluto cioè evitare, formalmente, un isolamento di tipo tedesco
che avrebbe dato spunto ai compagni incarcerati per un movimento di lotta dannoso
al regime.
Nei carceri periferici ogni nostro militante è stato sottoposto ad un
regime di "sorveglianza speciale." Ciò è accaduto anche
per Curcio, tanto a Novara che a Casale.
Se nonostante ciò egli è stato liberato è perché
il nucleo di liberazione ha realizzato un progetto scientifico, concentrando
forze sufficienti e ben addestrate al combattimento.
Dopo: i nostri militanti sono stati trasferiti in "istituti penali"
(Porto Azzurro, Saluzzo ecc.) e ciò nonostante essi rimangono a tutti
gli effetti "in attesa di giudizio." Ciò vuol dire che il giudizio
è già stato dato: senza bisogno di processo. Inoltre gravissime
provocazioni sono state inscenate contro alcuni militanti mentre altri sono
stati ridotti ad un regime di assoluto isolamento che non ha giustificazioni.
Dobbiamo credere che queste misure, evidentemente persecutorie, siano volute
dal ministro di polizia e di giustizia (si fa per dire) oltre che dal solito
generale e dal solito procuratore. Rappresaglia? A rappresaglia, rappresaglia!
I processi
I militanti delle BR rifiutano e rifiuteranno
ogni tentativo di frantumare l'insieme dell'iniziativa politica dell'organizzazione
in mille episodi separati, che staccati dal loro contesto vengono presentati
all'opinione pubblica come "reati comuni," "fatti criminali."
L'obiettivo del regime è quello di dividere uno dall'altro i nostri compagni
per pesarli e giudicarli separatamente. Noi non accettiamo questo modo di procedere
[...]. Pertanto s'ha da fare un unico processo. Nessun compagno, che sia stato
catturato o meno, ha responsabilità piú grande o piú piccola
di fronte al nemico di classe perché ognuno ha posto, secondo le direttive
dell'organizzazione, la sua tessera nel grande mosaico della rivoluzione proletaria.
La liberazione dei compagni detenuti politici è un punto irrinunciabile
del nostro programma! Niente resterà impunito! Costruire il potere proletario!
Lotta armata per il comunismo!
11 Aprile 1975[16]