Biblioteca Multimediale Marxista


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La crisi energetica e l'austerity. Il sequestro Amerio

Nell'autunno 1973 vengono al pettine i nodi della crisi del capitale monopolistico internazionale. Attaccato congiuntamente dalle lotte di liberazione nazionale dei popoli d'Africa, Asia, America latina, da quelle dei paesi emergenti che vogliono imporre nuovi rapporti di forza, dalla lotta di classe dei proletari i quali nel cuore della metropoli capitalistica chiedono piú potere e piú salario, l'imperialismo si trova di fronte alla piú grave crisi economica dopo quella del 1929.
Il conflitto arabo-israeliano di ottobre, la cosiddetta guerra del petrolio, con il conseguente aumento del prezzo del greggio, non fa altro che accelerare i tempi della storia.
Lungi pertanto dall'essere il risultato di una bizzarria degli sceicchi, la crisi trae origine dall'impossibilità, da parte del capitale, di sanare le contraddizioni che esso stesso produce. Collocata nella sua dimensione mondiale, la crisi colpisce in maniera particolare alcune aree geopolitiche. In una di queste, il Mediterraneo, teatro diretto della guerra del petrolio, si registra la decomposizione di due pilastri della NATO: i colpi portati dalle lotte degli studenti greci e dalle vittoriose guerre di liberazione dei popoli africani rendono agonizzanti i già marcescenti regimi fascisti greco e portoghese.
L'Italia, al centro di questa area, è forse il paese dove le contraddizioni sono piú acute: il settore metalmeccanico, quello piú colpito in tutto il mondo dalla crisi, ha qui una funzione trainante per l'intera industria. Nello stesso tempo il movimento operaio è combattivo come in nessun altro paese d'Europa. Le risposte date nel nostro paese dalla borghesia all'inflazione strisciante (blocco imperfetto dei prezzi e "cento giorni") hanno portato ad un miglioramento solo fittizio: in realtà la cosiddetta "ripresa drogata" non ha fatto altro che ritardare di qualche mese la crisi aggravandola.[1]
La collocazione geopolitica e le nuove condizioni venutesi a creare, fanno dell'Italia il paese chiave per il mantenimento di un sia pur traballante equilibrio americano nel Mediterraneo.
L'imperialismo non può permettersi scossoni. Il suo obiettivo si salda perfettamente con quello della borghesia nazionale: far pagare la crisi agli operai; salari piú
bassi, prezzi piú alti, piú lavoro, piú disciplina. Terminato il "blocco," si assiste ad un aumento selvaggio dei prezzi dei beni di prima necessità: olio, farina, zucchero, pane, pasta, ecc. L'affitto di una casa porta via ormai metà dello stipendio.
Il governo vara, a novembre, il decretone dell'austerità; oltre all'aumento del prezzo della benzina e del gasolio da riscaldamento, viene imposta una sorta di coprifuoco: cinema, bar, locali pubblici, devono chiudere poco dopo il tramonto. Il termine dei programmi televisivi viene anticipato. Il razionamento del cherosene tiene al freddo i proletari, ma è soprattutto il divieto di circolare in automobile nei giorni festivi che ha l'effetto psicologico piú incisivo, perché induce a cambiare abitudini.
La sostanza del decretone sta tutta nel terrorismo psicologico. L'operaio deve essere calato in un'economia di guerra, deve avere freddo, non si deve divertire, deve essere piegato, mortificato. Solo in questo clima da "Caporetto" l'italiano potrà essere addomesticato a non sprecare energie per fare sciopero, a non perdere tempo per ammalarsi, a non mettersi in mutua. E poi, in fondo, se si vuole avere l'illusione di essere "uguali" basta pensare che la domenica perfino il Papa, dando il buon esempio rinuncia all'automobile, e si accontenta di fare un giro in carrozza. Per fare accettare questa serie di provvedimenti, Agnelli mobilita l'esercito dei suoi pennivendoli. I corifei della borghesia, ancora una volta, danno prova della loro miseria professionale e morale, esaltando i valori perduti del bel tempo antico, la povertà, la modestia, lo spirito di sacrificio, la poetica bellezza delle gite in bicicletta...
I provvedimenti restrittivi faranno "riscoprire il valore perduto della parsimonia e il gusto d'antichi e semplici piaceri" canta "La Stampa."
Il milanese "Corriere della Sera," piú pratico, dà consigli utili alle massaie: "fare la doccia invece del bagno per risparmiare, spegnere le luci superflue, tenere il rasoio di sicurezza nell'acool denaturato" per far durare di piú le lamette. Mentre Rumor ammonisce con tono grave e solenne in uno storico appello televisivo alla nazione "dove basta una lampada, cerchiamo di non usarne due," il quotidiano fascista "Il Tempo" organizza festose e spensierate manifestazioni in bicicletta per Roma.
Ma per far pagare la crisi ai proletari, occorre attuare prima di tutto la "ristrutturazione produttiva" e buttare a mare il nuovo modo di fare l'automobile a cui, del resto, non crede piú nessuno.
Il problema centrale è quello di mettere a tacere l'insubordinazione operaia. Per raggiungere questo obbiettivo Agnelli ha bisogno dell'aiuto del governo, dei sindacati, dei partiti. Dal governo, Agnelli conta di avere facilitazioni per gli investimenti nel Mezzogiorno, per ingenti commesse statali, per una forte espansione nei mercati arabi e dell'est europeo. Alle organizzazioni sindacali prospetta "un disegno strategico" che le ponga come interlocutore privilegiato per le principali scelte economiche. Quanto al Partito comunista, il flirt Agnelli-Amendola di Bologna (convegno del Mulino) ha avuto uno sviluppo clamoroso: da alcune settimane, su "Rinascita," lo stesso Berlinguer, in seguito a delle meditazioni sul golpe cileno, ha lanciato l'ipotesi del compromesso storico, cui il padrone della FIAT strizza l'occhio.
Ma c'è qualcuno con cui il compromesso non è possibile. Contro il Partito di Mirafiori, contro i fazzoletti rossi, che si staccano dai cortei interni per punire spie e crumiri, non c'è compromesso: bisogna bastonarli. Allora ecco che Agnelli mobilita la sua centrale di spionaggio e terrorismo. Il regolamento di disciplina viene applicato con i criteri piú estensivi possibili. In poche settimane, 250 licenziamenti, per troppa mutua o scarso rendimento, colpiscono le avanguardie di lotta. Le multe e le ammonizioni non si contano:
A novembre, quando iniziano le trattative per il rinnovo del contratto aziendale, è chiaro a tutti che ci si trova di fronte ad un banco di prova per questo disegno neocorporativo. Per questo motivo gli incontri si svolgono ad altissimo livello: per la prima volta siedono al tavolo lo stesso amministratore delegato, Umberto Agnelli, e i tre segretari confederali. Per fare pressione, il terrorista Agnelli ventila lo spettro della cassa integrazione.
A qualcuno, anche all'interno del governo, non sfugge il significato strumentale della manovra. In un articolo di quattro colonne, in prima pagina, dal titolo: COSA C1 DIETRO LE MINACCE DI SOSPENSIONE ALLA FIAT, l"`Avantil" osserva: "lo spauracchio della cassa integrazione aleggia sinistro [...] ci sono manovre poco chiare e tutt'altro che raccomandabili" secondo le quali, in cambio della rinuncia alla cassa integrazione, Agnelli chiederebbe il monopolio della distribuzione e dell'approvvigionamento del combustibile, 1-approvazione di un progetto per il potenziamento dei trasporti su autobus e una forte incentivazione governativa per investimenti nel Mezzogiorno.[2]
La classe operaia di fronte a questi attacchi dà prova di smarrimento: scarsa la partecipazione ai primi scioperi. CISNAL e SIDA rialzano la testa. Alla stessa sinistra sindacale manca una strategia complessiva da opporre alle pretese padronali. Lo sciopero del 6 dicembre riesce solo al 25%. Dopo venti giorni dall'inizio delle trattative la situazione è ancora stagnante.
Il 10 dicembre le BR sequestrano il cavalier Ettore Amerio.
Capo del personale FIAT, era stato indicato da Labate come il primo tra quelli che "si interessano affinché quegli operai che noi [della CISNAL, N.d.R.] raccomandiamo, vengano assunti nelle sezioni FIAT.[3]
L'operazione ha luogo alle ore 7,30 presso l'autorimessa del dirigente: un gruppo di brigatisti, travestiti con tute della SIP, scesi da un furgoncino lo prelevano e lo portano in un "carcere del popolo."
Il processo proletario verte sul fascismo FIAT, sui licenziamenti, la cassa integrazione. Durante la "detenzione" il cavalier Amerio, la cui vita non viene mai messa in pericolo, collabora con i suoi carcerieri.
Il giorno stesso viene lasciato in una cabina telefonica un volantino nel quale si spiegano i motivi dell`arresto" e si fissano le condizioni per il rilascio:

Lunedì 10 dicembre alle 7,30 del mattino un nucleo armato delle Brigate Rosse ha prelevato nei pressi della sua abitazione il cavalier Ettore Amerio, capo del personale, gruppo automobili, della FIAT.
Egli attualmente è detenuto in un carcere del popolo. Qualunque indagine poliziesca può mettere a repentaglio la sua incolumità.
Il periodo di detenzione di questo artefice del terrorismo antioperaio dipende da tre fattori:
1. Il proseguimento delle manovre antioperaie (cassa integrazione, ecc.) di strumentalizzazione della "crisi" creata e gonfiata ad arte dalla FIAT in combutta con le forze piú reazionarie del paese. Crisi che va nel senso di un mutamento reazionario dell'intero quadro politico.
2. L'andamento degli interrogatori attraverso i quali intendiamo mettere in chiaro: - la politica fascista seguita dalla FIAT nella sua offensiva post-contrattuale contro le avanguardie autonome, l'organizzazione operaia dentro la fabbrica e le forme di lotta; - la questione dei licenziamenti usati terroristicamente per piegare la resistenza operaia alle incessanti manovre di intensificazione 'del lavoro. Dovrà spiegarci, il cavalier Amerio, la qualità e la quantità di questo attacco che solo negli ultimi mesi ha voluto dire l'espulsione dalla fabbrica di oltre 250 avanguardie; - l'organizzazione dello spionaggio FIAT piú attivo che mai, come dimostrano le motivazioni di alcuni recenti licenziamenti, dopo l'affossamento delle indagini iniziate dal pretore Guarinello; - la pratica di assunzioni controllate dai fascisti attraverso la CISNAL e il MSI, visto che proprio il segretario di quello pseudosindacato fascista (da noi arrestato e interrogato nel febbraio scorso) lo ha chiamato in causa attribuendogli pesanti responsabilità.
3. La correttezza e la completezza dell'informazione che verrà data di questa azione in particolare e della nostra organizzazione in generale dai giornali di Agnelli.
Compagni, quando "la paura" si afferma tra le larghe masse il padrone ha già vinto metà della guerra. Questa è la posta in palio nel gioco della "crisi economica" a cui stiamo assistendo. Ma tutti sappiamo che in crisi non è tanto l'economia dei padroni, ma il loro potere. È la loro capacità di sfruttamento, di dominio e di oppressione che è stata definitivamente scossa dalle lotte operaie di questi ultimi anni.
In questa situazione non siamo noi che dobbiamo avere paura, come non l'abbiamo avuta alla fine di marzo quando abbiamo issato, contro padroni e riformisti, la bandiera rossa sulle piú grandi fabbriche di Torino.
In questa situazione dobbiamo accettare la guerra... Perché non combattere quando è possibile vincere?
Quello che noi pensiamo è che da questa "crisi" non se ne esce con un "compromesso." Al contrario siamo convinti che è necessario proseguire sulla strada maestra tracciata dalle lotte operaie degli ultimi 5 anni e cioè:
Non concedere tregue che consentano alla borghesia di riorganizzarsi.
Operare nel senso di approfondire la crisi di regime. Trasformare questa crisi in primi momenti di potere proletario armato, di lotta armata per il comunismo. Compromesso storico o potere proletario armato: questa è la scelta che i compagni devono oggi fare, perché le vie di mezzo sono state bruciate.
Una divisione si impone in seno al movimento operaio, ma è da questa divisione che nasce l'unità del fronte rivoluzionario che noi ricerchiamo.
Questa scelta, del resto, ci si ripresenta ogni giorno in fabbrica e fuori, posti come siamo di fronte all'aperta aggressione del padrone, del governo e dello stato, e al deterioramento dei nostri tradizionali strumenti di organizzazione e di lotta.
Battere l'attendismo!
Dire no! al compromesso col fascismo FIAT! Accettare la guerra!
Queste tre cose sono oggi necessarie per andare avanti nella costruzione del potere proletario.
Creare costruire organizzare il potere proletario armato! Nessun compromesso col fascismo FIAT!
I licenziamenti non resteranno impuniti! LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO!

Torino 10 dicembre 1973
BRIGATE ROSSE
.[4]

Cominciano ad arrivare le prime espressioni di sdegno contro le BR e solidarietà con il rapito. Si chiede di fare luce sull'intera vicenda. Per la FLM di Torino "un fatto del genere rappresenta una provocazione di chiara marca fascista. La FLM si augura che i responsabili vengano al piú presto individuati, anche per fare luce."
I dirigenti FIAT, con un telegramma "esternano il loro piú amaro sdegno [...] per il ripetersi di fenomeni criminosi che hanno il chiaro obbiettivo di distruggere i principi di una civile convivenza e di scatenare l'odio di classe."
Da Roma il segretario della CGIL, Lama, rilascia una dichiarazione in cui si chiede una dura repressione: "Chiunque si mette contro la legge, da qualunque parte pretenda di essere, deve essere rapidamente colpito e punito."[5]
A qualcuno non sfugge la gravità di queste parole: se prese alla lettera significherebbero, da un punto di vista pratico, una sconfessione di tutti coloro che, a volte incoraggiati dallo stesso sindacato, si sono messi contro la legge, partecipando a cortei interni, picchetti ecc.; da un punto di vista teorico l'accettazione del diritto borghese e del codice Rocco-Mussolini come neutro ed immutabile.
Mentre i giornali padronali fanno a gara nell'esaltare la figura del dirigente esemplare "venuto dalla gavetta," si cominciano a scoprire alcuni interessanti particolari biografici. "Tutti confermano il ruolo di primo piano che Amerio aveva all'interno di Iniziativa Sindacale, la sigla con cui nel '67 la FIAT tenta di sostituire la ormai completamente smascherata SIDA [...]. Iniziativa Sindacale, cui promotore era Cavallo, già noto per l'organizzazione fascista Patria e libertà e per i suoi precedenti di spia infiltrato nel PCI, viene sciolta nel '71 in singolare coincidenza con la promozione di Amerio a capo del personale."[6]
Quanto alle rivelazioni di Labate, trovano un'indiretta conferma nelle parole del questore di Torino, Massagrande, il quale ammette, con un certo imbarazzo, che tra il sindacalista fascista e Amerio c'erano "contatti..." "che riguardano il lavoro."
"Il lavoro di assumere fascisti e di organizzare provocazioni antioperaie," commenta "Lotta Continua."[7]
Amerio viene descritto dalla stampa, che si commuove per la sua malattia di cuore, come un uomo tutto casa ed ufFicio. Si cerca cosí di far nascere pietà e sdegno tra i suoi stessi operai.
Perfino i sindacati ne parlano come di un "interlocutore stimato unanimemente."
Tuttavia c'è anche chi come LC la pensa diversamente: "Difficile trovare, fra gli operai, commenti pietistici nei confronti del rapito, del quale già le note di agenzia si preoccupano di informare che è malato di cuore. Si scopre che sono tutti malati di cuore questi funzionari del capitale: eppure adottano tranquilli senza infarti e senza lacrime i licenziamenti di rappresaglia, i trasferimenti punitivi, le minacce di lasciare senza lavoro decine di migliaia di operai. Amerio tra gli operai è notissimo per la spregiudicatezza con cui tratta quest'armamentario. Ora è toccato a lui, e non c'è nessuno che ci piange sopra, se non i suoi colleghi di sfruttamento."[8]
È ancora "Lotta Continua" che traccia le tappe principali della carriera di Amerio: "Già assunto come tecnico nel 1954, nel pieno della ventata repressiva voluta da Valletta per spezzare ogni residua capacità di risposta della classe operaia fu promosso al servizio sindacale [...], per poi diventare, licenziamento dopo licenziamento, direttore del personale."[9]
Mentre il procuratore capo di Torino, Lamarca, affida l'inchiesta al suo vice e braccio destro Severino Rosso, il ministro degli Interni Taviani ordina di "agire con la massima energia" e dà incarico al vice capo della polizia Parlato di affiancare il questore di Torino Massagrande. Secondo "Controinformazione," fin dal primo giorno "arrivano ai quotidiani le veline del Ministero degli interni con le istruzioni sulle modalità con cui trattare l'intera vicenda [...]. Tutti i giornali meno `Lotta Continua' si uniformano alle tesi in esse indicate."[10]
La repressione si scatena in forma inaudita: ad essa partecipano spesso in concorrenza tra loro, carabinieri e polizia, e perfino i VVUU... La città, per alcuni giorni, viene posta in stato di assedio, interi quartieri proletari vengono rastrellati: tra questi Barriera di Milano, Borgo San Donato, Barriera di Francia. Nelle azioni vengono impiegati gli elicotteri, collegati, via radio, con la polizia di terra. Montesano, capo della Criminalpol, va di persona a perquisire la residenza di campagna della famiglia Feltrinelli "per trovare oggetti di provenienza furtiva" o piuttosto, come commenta il "Corriere della Sera" per seguire "il solco delle vecchie storie e dei vecchi fantasmi."[11] Anche le case di tre intellettuali di sinistra vengono inspiegabilmente perquisite.
"La Stampa," che ha da poco visto fallire la campagna moralistica per bonificare Torino dalle prostitute e che ora monta l'opinione pubblica con la pubblicazione di pressanti richieste del ripristino della pena capitale, annuncia con sollievo che sono arrivate a Torino decine di agenti "specializzati in infiltrazioni nei gruppi extraparlamentari."
La DC, per ispirazione di Fanfani, propone il disegno di legge Bartolomei contro i sequestri: in esso si autorizza la polizia a far uso delle armi, si minaccia di arresto chi pubblica notizie "pregiudiziali all'indagine," si consente alla polizia di interrogare prima del magistrato, ecc.
Nel frattempo si rifanno vive le BR con un secondo comunicato in cui rendono noti i risultati dell'interrogatorio relativi ad alcuni particolari sull'esistenza della Centrale di spionaggio FIAT, e si prende atto che il prigioniero sta collaborando. Questo secondo volantino viene lasciato, per colmo di beffa, nella stessa cabina telefonica della centralissima piazza Statuto dove era stato lasciato il primo comunicato. A questo punto le autorità, irritate, dispongono di piantonare in forze la cabina.

I licenziamenti non resteranno impuniti!

Dei tre fattori da cui dipende la detenzione del direttore del personale-auto della FIAT Ettore Amerio due sono, per ora, disattesi.
E cioè:
- la FIAT continua a far pesare la minaccia della cassa integrazione nella conduzione della trattativa;
- i giornali di Agnelli (ma anche quelli dei suoi soci) coi loro servizi sull"`incerto colore politico" della nostra organizzazione rendono un pessimo servizio ad uno tra i piú fedeli servi del loro padrone.
Per parte sua, invece, il detenuto Amerio sta "collaborando" in modo soddisfacente.
Riconfèrmiamo inoltre che l'insensato comportamento delle forze di polizia mette in pericolo la sua incolumità.
Compagni, gli interrogatori a cui abbiamo sinora sottoposto il capo del personale Amerio:
1. Hanno confermato e precisato l'esistenza, ancora oggi, di una centrale dì spionaggio FIAT che fa capo direttamente a Cuttica, quello che rappresenta Agnelli al tavolo delle trattative,
in attesa di essere messo da parte perché alla FIAT non piacerebbe avere nei prossimi mesi un capo del personale rinviato a giudizio quale corresponsabile di corruzione di funzionari dello stato e organizzatore di un mini SIFAR ad uso privato dei fratelli Agnelli!
Questa centrale è direttamente manovrata dal cavalier Negri, responsabile in quanto capo dell'ufficio centrale assunzione, dei famigerati "servizi generali."
2. Hanno confermato il carattere punitivo e persecutorio degli oltre 250 licenziamenti per "troppa mutua" o per "insubordinazione," che hanno colpito le avanguardie politiche e di lotta dopo il contratto nazionale;
3. Hanno confermato la pratica sistematica e organizzata degli accertamenti sul colore politico di chi fa domanda di assunzione, pratica che ora, con maggior prudenza, i "servizi generali" FIAT hanno affidato ad una agenzia privata di investigazioni, l'agenzia Manzini;
4. Hanno confermato le assunzioni selezionate di fascisti, che come già ci aveva detto il. Labate, segretario di uno pseudo-sindacato fascista, da noi interrogato, punito e rapato, avvengono con molta facilità,- dato che a capo dell`ufficio centrale assunzioni" di palazzo Marconi c'è un boia fascista quale è il cavalier Negri (alla FIAT dagli anni '30 e che da allora indossa la camicia nera), servo fedele in egual misura di Agnelli e di Abelli.
Gli interrogatori inoltre hanno confermato altri importanti fatti che renderemo noti e documenteremo quanto prima. Queste, come capirete compagni, sono questioni che possono essere affrontate e risolte solo con uno scontro di potere, uno scontro che è di conseguenza politico e armato. Noi non pensiamo di risolverlo "in proprio," con una nostra piccola guerra privata. Al contrario la nostra azione è fortemente unitaria con tuttte le componenti del movimento operaio che operano nel senso della costruzione nelle fabbriche e nei quartieri di un reale potere operaio e popolare armato.


BRIGATE ROSSE.
[12]

Intanto le BR continuano a farsi propaganda. In alcuni casi, come alla FIAT, vengono distribuiti volantini di persona. Comunicati vengono diffusi anche all'Ansaldo Nucleare (Sampierdarena), Sit-Siemens (Milano), Breda (Porto Marghera), Breda (Sesto S. Giovanni), Alfa (Arese), a Piacenza, a Modena, sulla linea ferroviaria Milano-Luino ecc.
Operazioni spettacolari vengono compiute davanti alla Sit-Siemens e alla Breda di Porto Marghera durante l'orario di uscita: due auto collegate con altoparlanti trasmettono un vero e proprio programma di 45 minuti, a cura delle BR. In esso, gli slogan e la lettura dei comunicati vengono intervallati da Bandiera Rossa e dall'Internazionale. Attorno alle auto si formano gruppi di persone che "nel giro di pochi minuti diventano una vera folla."[13] Polizia e direzione FIAT cercano di reprimere questa opera di attiva propaganda: a Mirafiori la direzione fa "intervenire d'urgenza la polizia. Mascherati con tute e affiancati da guardiani, i questurini hanno perquisito tutti gli spogliatoi, moltissimi armadietti scelti tra quelli dei compagni."[14] I nominativi della maggior parte dei perquisiti sono stati fatti direttamente alla polizia dai capi del personale delle rispettive fabbriche."[15]
Quattro lavoratori delle presse sono convocati in questura e interrogati a lungo per sapere chi erano gli operai che avevano letto il volantino e quali erano stati i commenti. Le forze dell'ordine perdono la calma: "fermano" e trascinano in questura alcuni delegati, intenti a distribuire dei volantini sindacali che, forse, per la loro forma rettangolare e il colore bianco della carta, potevano ricordare quelli delle BR. La federazione CGIL, CISL, UIL, in un comunicato di protesta, parla di "interventi polizieschi di massa preordinati."
Le ricerche dopo alcuni giorni finiscono per ristagnare. Scoppiano contraddizioni tra PS, CC e magistratura. La polizia mette il black-out sulle indagini. Alcune foto lasciate dalle BR nella cabina di piazza Statuto vengono sequestrate all'ANSA dal questore, il quale ne fa venti copie e le mostra, secondo "Il Giorno," a una serie di personalità tra cui Umberto Agnelli. Solo dopo due giorni le consegnerà al magistrato interessato all'inchiesta. Quest'ultimo si lamenta perché la questura non lo tiene al corrente, mentre lo "avrebbe dovuto" fare.[16] A loro volta i CC polemizzano con la polizia: "I cugini stanno prendendo una cantonata grossa come una casa [...] stanno facendo una grossa porcheria."[17]
Ma anche i giornalisti scalpitano: "Tra i cronisti che seguono ormai da una settimana i movimenti della polizia, comincia a serpeggiare un certo nervosismo, determinato soprattutto dal comportamento contraddittorio e a volte incomprensibile di chi sta conducendo le indagini.”[18]
Il grande accusato, il questore Massagrande, tra un sorrisetto ed una smorfia, fa capire di essere alla vigilia di grandi scoperte: "Le indagini sono avanti e ci sono cose grosse. Bisognerà vedere ora se abboccherà il pesciolino o la trota da due chili."
Purtroppo il questore rimarrà con la canna da pesca e l'amo in mano.
Si dovrà accontentare dell'arresto di due coniugi sorpresi nei pressi della FIAT con una bomboletta spray gialla nella borsetta della donna, con la quale,, a dire della polizia, avrebbero potuto scrivere sui muri della fabbrica "W le Brigate Rosse."
Ma, scrive "Controinformazione," "la presunta scritta sui muri di Mirafiori non è stata trovata." Sempre secondo "Controinformazione," all'uomo, cui si impedisce di parlare con il suo avvocato, vengono offerti dalla polizia, 20.000.000 per "aiutarli nell'indagine."[19] Lo stesso questore due giorni piú tardi, dichiarando alla stampa: "Non c'entrano col rapimento, non sono mai stati arrestati, sono fermati...," tramuterà il loro arresto in fermo.
Visto che le indagini ristagnano, si cerca lo stesso di offrire qualche cosa in pasto all'opinione pubblica. Una troupe televisiva va a intervistare gli operai, fuori dai can-celli FIAT, con la speranza di registrare dure condanne contro il "gesto criminale." Ne ricaverà molto materiale, ma tutto inutilizzabile per il telegiornale: "L'enorme capannello che si è ,formato intorno alle telecamere ha visto dal principio 'alla fine la regia degli operai. Dopo aver sconfessato le dichiarazioni del delegato Milano, che ha propagandato la democraticità di Amerio (e il giorno dopo il titolo :piú gentile che i suoi compagni gli hanno dato, era `Pippo Baudo'), il discorso è stato molto chiaro: è inutile che veniate qua, tanto il giorno dopo in TV si vede solo quello che vogliono i padroni, cioè la faccia e,: le parole dei crumiri, che prima o poi riuscite a trovare.. Se volete, ri-prendeteci in diretta, cosí: e gli operai: si sorso schierati con il pugno chiuso."[20]
Il giorno 18, dopo che Agnelli aveva ritirato la : minaccia; di cassa integrazione, Amerio viene messo in, libertà. Sono ;passati otto giorni Contemporaneamente, viene diffuso un comunicato in cui si traccia un primo bilancio di questa azione:

Oggi, martedì 18 dicembre, nelle prime ore del mattino è stato rimesso in libertà il capo del personale FIAT-Auto Ettore Amerio.
Negli otto giorni di detenzione egli è stato sottoposto a precisi interrogatori sulle questioni dello spionaggio FIAT, dei licenziamenti, del controllo delle assunzioni, delle assunzioni selezionate di fascisti e piú in generale sull'organizzazione e la storia della contro-rivoluzione all'interno della FIAT.
Egli ha "collaborato" in modo soddisfacente.
Durante la sua detenzione la FIAT ha ritirato ogni minaccia di messa in cassa integrazione.
Negli stessi otto giorni:
- le forze di polizia nonostante false dichiarazioni e il terrorismo usato contro militanti di sinistra e in particolare contro alcune avanguardie operaie, sono state seccamente sconfitte;
- i giornali di Agnelli non sono riusciti a nascondere la qualità politica della nostra azione e contemporaneamente hanno messo sotto gli occhi di tutti le loro disinvolte manipolazioni, le loro "audaci" interpretazioni, riconfermando un'antica convinzione proletaria: LA "STAMPA" E' BUGIARDA;
- i giornali riformisti sono andati oltre la manipolazione. Essi hanno inventato di sana pianta storie infami, storie che - sia chiaro - mai uscirebbero dalla testa di un comunista, soprattutto perché discreditano piú il movimento operaio che la nostra organizzazione.
Gli uni e gli altri hanno operato una significativa "censura" sui problemi di fondo che abbiamo agitato: il FASCISMO FIAT e la QUESTIONE DEI LICENZIAMENTI, Sono questi i primi frutti del compromesso storico?
Compagni, otto giorni fa imprigionando Amerio sottolineavamo una cosa soprattutto: NON SIAMO NOI CHE DOBBIAMO AVERE PAURA. Al contrario DOBBIAMO ARMARCI e accettare la guerra perché vincere è possibile.
Oggi rilasciandolo vogliamo cancellare un'illusione: che portando all'estremo una battaglia si possa vincere una guerra. Non siamo che all'inizio.
Siamo nella fase di apertura di una profonda crisi di regime, che soprattutto è crisi politica dello stato e che tira verso una "rottura istituzionale," verso un mutamento in senso reazionario dell'intero quadro politico.
Nostro compito in questa crisi, compagni, è quello di costruire nelle grandi fabbriche e nei rioni popolari i primi centri del POTERE OPERAIO PROLETARIO ARMATO! CREARE COSTRUIRE ORGANIZZARE IL POTERE PROLETARIO ARMATO! NESSUN COMPROMESSO COL FASCISMO FIAT! I LICENZIAMENTI NON RESTERANNO IMPUNITI! LOTTA ARMATA PER IL - COMUNISMO.

18 dicembre 1973
BRIGATE ROSSE.
[21]

Appena in libertà, Amerio rilascia dichiarazioni in cui sottolinea il buon trattamento ricevuto dai suoi improvvisati secondini: "Mi sento bene, benissimo [...] sono stati gentili [...] mi hanno fornito pantofole di stoffa [...] mi hanno anche dato un paio di mutande lunghe di lana [...] fin dal primo giorno i rapitori mi hanno detto quando sarei stato liberato [...]. Questa esperienza mi aiuterà a meditare e a lavorare per un futuro migliore.[22] Piú tardi accusato di non "collaborare alle indagini," verrà dai carabinieri messo addirittura al primo posto nella lista dei presunti brigatisti rossi.[23] Dopo la liberazione, la FIAT, la quale in precedenza aveva comunicato che durante la prigionia del proprio funzionario non avrebbe risposto alle accuse infamanti dei brigatisti, prende finalmente la parola, per bocca di Umberto Agnelli, che definisce l'episodio "cupo e assurdo." Dopo un vivo ringraziamento ai sindacati per la "solidarietà espressa," conclude ammonendo che "la costruzione di quella società migliore che tutti vogliamo non può passare attraverso questi atti di violenza."[24]
Alla Camera il sottosegretario agli interni, Pucci, osserva che "l'episodio rappresenta una manifestazione dello espandersi di un certo tipo di criminalità, che impone la mobilitazione di tutte le energie dello stato." Traccia poi, con evidente soddisfazione, un bilancio dell'azione preventiva della polizia nel 1972: 1.200.000 persone identificate, 4.252 arresti, 11.575 denunce a piede libero. Infine aggiunge che si può fare ancora di piú e meglio.
Tornato a casa Amerio, la maggioranza silenziosa può tirare un sospiro di sollievo. Fino a quel momento era stata tenuta in ansia dalla grande stampa, la quale aveva fatto della paura il tema dominante di quei giorni: un atto brutale che ha avvelenato l'atmosfera "con gli spettri pericolosi della paura e del sospetto [...]. Fine preciso: quello di esasperare le ansie e le attese dei torinesi, colpendoli nel momento piú delicato" aveva detto il «Corriere."[25]
"Su Torino grava una atmosfera di cupa incertezza, chi ha agito [...] si è prefissato un obiettivo chiaro: speculare su quei motivi di paura, gettare nello sgomento la città già stanca dei sacrifici, che le vengono imposti, del freddo delle case, delle file per il cherosene" aveva detto "Paese Sera" sforzandosi di trattare lo stesso tema, ma con un taglio piú di sinistra .[26]
"Si comincia a temere per le condizioni di Amerio" aveva detto ancora "Paese Sera," dimenticando che la vita del dirigente non era stata mai minacciata.
C'è anche chi, come il milanese "Corriere," coglie P aspetto commerciale della PAURA: si avvisano i lettori che ci sono agenzie che forniscono guardie del corpo, non piú gorilla che si usavano tanti anni fa e che ormai sono "sorpassati," ma esperti di karatè. 1 prezzi sono 4.000 lire l'ora, 80.000 ogni 24 ore, con maggiorazione nei giorni festivi. "Sono previsti forfait da concordare" per lunghi periodi. Infine, per invogliare i propri lettori e per farli sentire piú importanti, il "Corrierone" rivela che già uomini d'affari, attori, attrici sono clienti di queste agenzie .[27]
Non manca chi, appassionato detective, studia ogni particolare per fabbricarsi una pista personale. E' il caso del "Giorno": "Le macchine da scrivere sono Olivetti d'ufficio [...] chi batte i tasti non commette errori. Insomma ci sa fare." Da qui il passo è breve: "... ci sarebbe spazio per dei professionisti," e siccome si sa, i professionisti sono tutti pagati dai fascisti, ci si potrebbe ricondurre "alle trame nere fomentatrici di nuove strategie della tensione."[28]
Del resto, si conclude con ragionamento circolare, non è forse vero che già qualche giorno fa avevamo detto che "nessuno è convinto che si tratti di 'Brigate Rosse autentiche'?" Conclusione: Sono stati i Giustizieri d'Italia [29]
Anche il "Corriere" è convinto che si tratti di trame nere e strategia della tensione. In un articolo la cui conclusione ha ricevuto il plauso dell"'Unità," Alberto Sensini ammonisce: "la domanda vera [...] riguarda proprio queste fantomatiche BR che vorrebbero apparire di estrema sinistra, ma fanno sistematicamente cose che giovano solo all'estrema destra." ' Lancia infine un appello perché si faccia "piena luce su queste 'brigate' di provocatori" e "anche sui loro mandanti e chi li finanzia."[30]
C'è infine chi è interessato soprattutto a un discorso culturale. È il caso dell`Espresso," il quale dà inizio al filone semantico-brigatista che si svilupperà prepotentemente a partire dalla primavera '74 grazie agli interventi di Umberto Eco e alle tavole rotonde del "Corriere."
"Due particolari semantici sono importanti. Nei testi diffusi dalle BR la dicitura Movimento Operaio è scritto con la maiuscola, il che, nel lessico esoterico della sinistra..."[31] "Hanno usato l'espressione 'divisione in seno' [...]. Se invece avessero scritto 'divisione del' [...] questa sí che sarebbe stata eresia..."[32] "L'espressione 'Fronte Rivoluzionario' [...] è fra le piú comuni e antiche... "[33]
Nette e di condanna sono le posizioni di tutti i partiti. I loro organi ufficiali danno ampio rilievo all'episodio, imposto all'attenzione pubblica dalla grande stampa di informazione: non è piú possibile, infatti, a proposito di un sequestro durato otto giorni, relegare la notizia in una colonna, come aveva fatto "l'Unità" per Macchiarini o tacere del tutto come il "Manifesto" per Macchiarini e Mincuzzi o l`Avanti!" per Macchiarini.

Partito socialista Italiano

L"`Avanti," annuncia la notizia su tre colonne in prima pagina, e si domanda:

A chi giova un'azione del genere? [...]. A Torino di Brigate Rosse non si è sentito parlare.[34] [...] Il contenuto del messaggio dei rapitori [...] può essere scritto da chiunque [...], insomma il dottor Amerio potrebbe essere stato sequestrato da un'organizzazione di estrema destra.[35] Si tratterebbe di circa 250 persone in gran parte delinquenti comuni, alcuni dei quali già noti per il loro passato di rapinatori [...]. Alcuni non mancano di avanzare l'ipotesi che riportiamo per dovere di cronaca, che in effetti dietro la sigla delle "Brigate Rosse" altro non ci sarebbe che una grossa accolita di delinquenti comuni [...]. L'opinione prevalente è che dietro la sigla "Brigate Rosse" si nasconde gente, sulla cui collocazione politica non esistono dubbi, si tratterebbe di elementi neofascisti, i quali per altro sono spesso un tutt'uno con la delinquenza comune, il cui obbiettivo principale sarebbe proprio quello della provocazione.[36]

Dopo aver fatto confusione tra GAP, BR e 22 Ottobre "le Brigate Rosse sono un tutt'uno coi GAP, Vandelli era alla testa dei GAP di Genova," il quotidiano socialista conclude con un appello alla repressione statale "sono chiaramente dei pericolosi delinquenti al servizio della strategia della tensione, da colpire con tutto il rigore dello stato Repubblicano."[37]

Partito comunista italiano

Piú articolata la posizione del PCI il quale è costretto, controvoglia, a dare sul suo giornale rilievo all'episodio. Quando, il giorno 13 dicembre, la famiglia Amerio chiede il silenzio alla stampa, "l'Unità" coglie la palla al balzo e, unico tra tutti i quotidiani, accetta senza esitazioni: "La direzione del nostro giornale non ha difficoltà ad accogliere questo invito [...] siamo sicuri che i nostri lettori intenderanno il significato del nostro atteggiamento."[38] Per questa posizione viene duramente attaccato da LC: "Il meno che si può dire è che si tratta di una applicazione spontanea delle norme sulla stampa previste dal solito progetto democristiano sui rapimenti.[39]
Rimasta isolata "l'Unità" fa marcia indietro: "L'appello [...] non è stato raccolto, per ragioni che riteniamo discutibili, da tutta la stampa nazionale. Ci vediamo quindi costretti, per un doveroso rispetto nei confronti dei nostri lettori, a riprendere la trattazione di questa storia."[40] Per "l'Unità" la "grossa provocazione" è arrivata "puntuale come un cronometro svizzero."[41] Riferendosi al volantino delle BR ha però una parola di... apprezzamento: "va rilevato che, nell'insieme, la prosa del lungo documento appare meno goffa del solito, il che induce a pensare a un affrettato aggiornamento politico."[42]
La pista da battere è quella dei neofascisti: i rapitori indossavano tute della SIP. "Se fossero operai veri della SIP?" sembra chiedersi "l'Unità": in tal caso fa presente che in passato una squadra incaricata di un servizio di manutenzione telefonica nei pressi della Valle del Lanzo, era composta da operai che "sotto le tute [...] indossavano maglioni neri, con al collo medaglioni fascisti e croci uncinate."[43]
La pista telefonica dà però pochi frutti: viene presto abbandonata per lasciare il posto a quella piú torbida della droga: "Si tratterebbe di un giro piuttosto torbido, con la presenza di persone clinicamente malate (da un punto di vista psichico), e dedito all'uso di stupefacenti."[44]
Questa ipotesi torna buona all`Unità" anche per spiegare i collegamenti tra le Brigate Rosse di Torino e quelle di Milano. Infatti: "Si è parlato, con insistenza, in queste ultime ore, di un 'corriere' piuttosto anziano, che faceva spola tra Torino e Milano, e che forniva droga anche ai suoi amici torinesi." L"'Unità" passa poi a occuparsi del movente, e di come mai i rapitori non abbiano chiesto il riscatto. "Chi li paga? [...] a questa domanda, che abbiamo posto ad uno degli inquirenti, ci è stato testualmente risposto 'i quattrini [...] li hanno ricevuti non dalla famiglia, o dalla FIAT, ma dai mandanti [...].' È piú che evidente che alle spalle di questa banda esiste una organizzazione interessata a certe operazioni squisitamente politiche. Questa organizzazione si serve strumentalmente di questi rottami della nostra società."[45]
Rimane da spiegare come mai non vengono catturati. Evidentemente perché ci sono "inefficienze volute, complicità a diversi livelli..."
Finalmente il quotidiano del PCI conclude chiedendo per l'ennesima volta di fare luce:

Pochi giorni fa il "Corriere della Sera" ha scritto: "Noi ci chiediamo a questo punto se le forze di polizia, i carabinieri, i servizi di sicurezza, una volta tanto d'accordo, non possono finalmente far luce su queste brigate di provocatori." Torniamo a chiederlo, per l'ennesima volta anche noi, sicuri che fare luce significa strappare definitivamente la maschera a torbidi provocatori della strategia della tensione malamente travestiti da "rivoluzionari."[46]

Avanguardia Operaia

"Avanguardia Operaia" definisce "fantomatico" il sequestro, insinuando il dubbio di un accordo tra i servizi segreti, le Brigate Rosse e Amerio, il quale avrebbe fatto finta di essere rapito. Lo scopo è di "fornire alla polizia un ottimo pretesto per far presidiare militarmente la città" in occasione del 12 dicembre e per dar modo alla DC di sollecitare il fermo di polizia: "In che modo giova alle masse, e alla stessa lotta degli operai della FIAT, un simile sequestro? La realtà è che [...] le `Brigate Rosse' hanno un ruolo centrale per fornire l'alibi alla repressione antiproletaria e anticomunista.[47]

Manifesto

Singolare la posizione del "Manifesto" che all'inizio, mentre si domanda se non si tratti di uno dei tanti rapimenti della nuova mafia che opera al Nord, si rifiuta di credere alla paternità delle BR, nonostante i volantini che vengono definiti "compiacenti ciclostilati."
Nell'articolo, intitolato Rapito un funzionario. Provocazione del questore che collega il sequestro alle trattative dei metalmeccanici, ci si pone la domanda retorica "che cosa si proponeva di distribuire il dinamitardo fascista Nico Azzi... se non dei volantini Brigate Rosse? [una volta tanto, i compagni del Manifesto sbagliano: Nico Azzi simulava di appartenere a LC, di cui ostentava sul treno il quotidiano. N.d.R.]. R possibile sperare nel ritrovamento del rapito? R possibile che nel dicembre 1973 si ripeta il meccanismo del dicembre 1969?"[48]
Dopo questo scettico intervento, "il Manifesto," unico tra tutti i quotidiani italiani, cala una cortina di silenzio sulla vicenda.
Si risveglia dal torpore dopo quattro giorni: abbandonate le perplessità, non tira piú in ballo la nuova malavita del Nord. Ribadisce tuttavia che "il mandante è abbondantemente fornito di potere." Per dimostrarlo traccia una breve storia delle BR. "Le Brigate Rosse sono nate alla fine del '70 a Milano, ma uno dei suoi fondatori, Renato Curcio, trasferitosi all'università di Trento insieme a Marco Pisetta, diventa uno specialista della tecnica della infiltrazione. A farne le spese fu soprattutto LC (né va dimenticato che in quegli anni a Trento il vice-questore era Molino; solo da poco incriminato con i fascisti della strage di stato). A Genova le Brigate Rosse si chiamano GAP e sono comandate da Diego Vandelli...”[49]
Questo intervento, zeppo di inesattezze, suscita l'irritata risposta di LC che parla di notizie false, di distorsioni, di imbecillità. Nell'articolo intitolato Invenzioni e provocazioni, LC definisce. l'accenno ai GAP, contenuto nel "Manifesto," una "invenzione fantastica." "Un simile pateracchio tra GAP, BR e 22 Ottobre non osa piú farlo nemmeno la polizia." Quanto alle altre affermazioni del "Manifesto," LC scrive:

Per evidenziare l'imbecillità di chi ha inventato queste notizie fantapolitiche è sufficiente rilevare che: 1) Renato Curcio non si è trasferito a Trento dopo la fondazione delle Brigate Rosse (rispetto a cui non possiamo in alcun modo affermare' o smentire una sua eventuale responsabilità), ma vi si trovava come studente di sociologia fin dal 1964 e vi è rimasto ininterrottamente per piú di 5 anni; 2) né Marco Pisetta, che non ha mai frequentato sociologia, essendo semianalfabeta, né tanto meno Renato Curcio, si sono mai "infiltrati" in Lotta Continua, con cui non hanno avuto alcun rapporto; 3) esistono prove in abbondanza sul- ruolo di "provocatore di stato" di Marco Pisetta; altrettanto non si può dite di Renato Curcio, di cui mancano notizie da anni; 4) non risulta che sia stato l'allora commissario (non vice questore) Molino a manovrare il provocatore Pisetta a Trento, ma l'allora comandante dei carabinieri di Trento, tenente colonnello Santoro, in stretto collegamento con gli agenti del SID a livello nazionale e locale. [50]

Quando Amerio viene messo in libertà, il "Manifesto," .ancora una volta unico tra tutti i giornali italiani, seppellisce la notizia in poche righe di una colonna di terza pagina.

Lotta Continua

"Lotta Continua," in tutta la vicenda, è l'unico quotidiano a credere fin dall'inizio alle BR ed alla loro matrice di sinistra, pur sottolineandone le "deviazioni militariste piccolo-borghesi."
Dà atto alle BR di avere "l'ottima intenzione" di voler lottare contro i licenziamenti, la cassa integrazione, l'aumento dello sfruttamento e la rapina del salario. Di queste cose però sono gli operai, "con la loro lotta di massa, che devono chiedere conto, e non qualche surrogato di Robin Hood. Che può tutt'al piú mettere alla berlina uno sfruttatore e far correre qualche brivido lungo la schiena delle lettrici fanfaniane di 'Stampa Sera.’”[51]

Al di là del folclore, c'è la politica e l'uso che di questa vicenda ciascuna parte politica ha ritenuto di fare; le BR stesse, in primo luogo, che hanno confermato, anzi rafforzato la loro pazzesca distanza dalla lotta di classe e dalle sue scadenze. C'è uno scontro di portata decisiva fra la borghesia e la classe operaia. Le BR dichiarano che c'è il pericolo che la paura si affermi tra le grandi masse e si accollano il compito di rovesciare la paura con l'esempio delle loro imprese... invitano le masse ad una scelta per il "potere proletario armato," che sembra supporre la costituzione del proletariato in BR clandestine.
Che questa linea esprima, con particolare immodestia, un errore già vissuto dal movimento rivoluzionario, era già noto da tempo, e segnava la separazione drastica tra le BR e le organizzazioni rivoluzionarie. Non si è mai trattato di scegliere tra "legalità" ed "illegalità" bensì tra una linea di massa proletaria ed una linea militarista piccolo-borghese
.[52]

Tuttavia LC non si vuole accodare a rimorchio della strumentalizzazione borghese al pari delle altre organizzazioni extraparlamentari di sinistra le quali "con l'acqua sporca dell'avventurismo piccolo borghese buttano via il problema vivo e serio della violenza proletaria..."

La piú importante strumentalizzazione che la borghesia tenta di fare va al di là delle sue mosse contingenti e riguarda un obiettivo piú di fondo: il tentativo cioè di squalificare e "criminalizzare," con l'azione delle Brigate Rosse, la concezione stessa della violenza proletaria, del diritto proletario ad opporsi alla violenza cinica che la borghesia coltiva e mette in opera ogni qualvolta vede minacciati i propri privilegi.
Contro questa ipocrita strumentalizzazione il movimento rivoluzionario deve schierarsi inflessibilmente. Questo è il suo nemico principale. Si perda meno tempo a sostenere la peregrina ipotesi che le Brigate Rosse siano un'articolazione della pista nera, e che magari Amerio sia stato rapito da Amerio stesso: ci si impegni di piú a spiegare chi è Amerio, che cosa è lo spionaggio FIAT, che cosa sono i licenziamenti, quale è il pulpito "democratico" dal quale predicano i sacerdoti dell'ordine padronale. Si scelga cioè, di parlare alle masse, e con il punto di vista delle masse coscienti. Che non hanno nessuna intenzione di buttar via, con l'acqua sporca dell'avventurismo piccolo borghese, il problema vivo e serio della violenza proletaria.
[53]

  1. "Cento Giorni" era il periodo di tempo che il governo si era preso per risanare l'economia italiana. Fu istituito un blocco dei prezzi della durata di cento giorni. Il "nemico principale" fu individuato nel negoziante al dettaglio e tutta Italia fu ricoperta di manifesti, raffiguranti un telefono, che invitarono il cittadino a chiamare il governo in caso di aumento dei prezzi della spesa.
  2. "Avanti!," 10 dicembre 1973.
  3. "Controinformazione," n. zero, ottobre 1973.
  4. "ControinFormazione," n. 1/2, febbraio-marzo 1974.
  5. "l'Unità," 11 dicembre 1973.
  6. "Lotta Continua," 13 dicembre 1973.
  7. "Lotta Continua," 12 dicembre 1973.
  8. "Lotta Continua," 11 dicembre 1973.
  9. "Lotta Continua," 12 dicembre 1973.
  10. "Controinformazione," n. 1/2, febbraio-marzo 1974.
  11. "Corriere della Sera," 12 dicembre 1973.
  12. "Controinformazione," n. 1/2, febbraio-mano 1974.
  13. "Corriere della Sera," 13 dicembre 1973.
  14. "Lotta Continua," 13 dicembre 1973.
  15. "Controinformazione," n. 1/2, febbraio-marzo 1974.
  16. "Corriere della Sera," 15 dicembre 1973.
  17. Ibidem
  18. "l'Unità," 20 dicembre 1973.
  19. "Controinformazione," n. 1/2, febbraio-marzo 1974.
  20. "Lotta Continua," 15 dicembre 1973.
  21. "Controinformazione," n. i/2,: febbraio-marzo1974
  22. "Corriere della Sera," 19 dicembre 1973. "
  23. L'Espresso," n. 20, 19 maggio 1974.
  24. "Corriere della Sera," 19 dicembre 1973.
  25. "Corriere della Sera," 11 dicembre 1973.
  26. "Paese Sera," Il dicembre 1973.
  27. "Corriere della Sera," 12 dicembre 1973.
  28. "Il Giorno," 12 dicembre 1973.
  29. Sono brigatisti o giustizieri d'Italia? in "Il Giorno,» 11 dicembre 1973.
  30. "Corriere della Sera," 12 dicembre 1973.
  31. "L'Espresso," 3 febbraio 1974.
  32. "L'Espresso," 23 dicembre 1973.
  33. Ibidem
  34. "Avanti!," 11 dicembre 1973.
  35. "Avanti!," 12 dicembre 1973.
  36. "Avanti!," 13 dicembre 1973.
  37. "Avanti!," 14 dicembre 1973.
  38. "l'Unità," 14 dicembre 1973.
  39. "Lotta Continua," 15 dicembre 1973.
  40. "l'Unità;" 15 dicembre 1973.
  41. "l'Unità," 11 dicembre 1973.
  42. Ibidem
  43. Si delineano torbidi retroscena, in "l'Unità," 12 dicembre 1973.
  44. Vedi articolo di DIEGO NOVELLI in "l'Unità," 16 dicembre 1973.
  45. Ibidem.
  46. "l'Unità," 16 dicembre 1973.
  47. "Avanguardia Operaia," 14 dicembre 1973.
  48. "il Manifesto," 11 dicembre 1973.
  49. "il Manifesto," 15 dicembre 1973.
  50. "Lotta Continua," 19 dicembre 1973.
  51. "Lotta Continua," 11 dicembre 1973.
  52. "Lotta Continua," 18 dicembre 1973.
  53. Ibidem.