Biblioteca Multimediale Marxista


Elaborazione dei prigionieri



Campagna di Primavera. Fin dal primo comunicato si vuole evidenziare il legame dei termini generali della ristrutturazione dello SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali) con il termine particolare del partito, la DC; che in modo trainante se ne fa carico, nella direttrice di approfondire la crisi di regime e su questo mobilitare il MPRO (Movimento Proletario di resistenza Offensivo).
In questo senso la cattura di Moro viene collocata all’interno della problematica generale posta dal cambiamento in atto dello Stato, quale necessità, nell’ambito della crisi dell’imperialismo, di stabilizzare l’anello debole Italia, facendolo uscire definitivamente dai residui di Stato-nazione, ed affermare la costruzione dello SIM. Una costruzione che si avvale del personale politico-economico-militare imperialista, personale che anche in Italia è già emerso in modo egemone ravvisabile in tutte le forze dell’arco costituzionale, ma principalmente nella DC, che è quella trainante il processo. Questo partito è già stato individuato dalle avanguardie comuniste come il più feroce nemico del PM (Proletariato Metropolitano) e va battuto perché fulcro della ristrutturazione in SIM così da estendere ed approfondire la crisi di regime. La costruzione dello SIM è d’altra parte spinta dagli interessi dei paesi più forti della catena imperialista allo scopo di governare le trasformazioni istituzionali adeguate ad imporre le feroci politiche economiche tramite la funzione apertamente repressiva sul PM. Va sottolineato come l’O intenda dare in quel momento una lettura dello Stato che rispecchi i termini generali della sua evoluzione in Stato Imperialista come una necessità irrimandabile di adeguamento nel livellarsi al quadro imperialista che, oltre a rispondere agli interessi della BI (Borghesia Imperialista) nostrana, rispondeva anche a quelli complessivi del sistema. Quindi si parla dello Stato in questa accezione specifica di cambiamento e poiché segnava un passaggio cruciale nei rapporti di classe era necessario intervenire proprio su questo nodo per sfruttarne le debolezze.
In questo quadro la cattura di Moro non è che l’inizio di un attacco che deve essere esteso alla DC, quindi non un obiettivo simbolico, ma il dare slancio a tutta l’attività armata su cui il MPRO deve sapersi misurare. A lato le BR si richiamano al processo in corso a Torino ai militanti catturati e sulla base della forza e iniziativa rivoluzionaria, ribaltando i termini del processo che lo Stato sta conducendo, perché in realtà è il regime ad essere sotto accusa da parte del PM e delle sue avanguardie. In questo quadro si sottolinea la natura del rapporto che intercorre tra i comunisti combattenti e lo Stato che è di guerra, di conseguenza si avverte lo Stato che l’O è in grado di assumersi le rappresaglie per eventuali crimini da esso commessi, che sono crimini di guerra.
Si avverte subito il MPRO delle manipolazioni già scattate dopo l’azione come espressione della guerra psicologica scatenata dal regime, precisano che è pratica dell’O rendere tutto pubblico, in quanto le trattative segrete sono proprie delle trame della BI. Una precisazione che verrà continuamente ribadita a fronte di tutte le operazioni di mistificazione insieme al principio che nulla è nascosto al popolo.
L’O sottolinea le caratteristiche che vanno ad assumere nello SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali) le forze politiche all’interno del rovesciamento dialettico tra istanze parlamentari e Stato, per cui le forze politiche si attivizzano in funzione degli interessi e bisogni dello Stato (interessi della BI) questione che si è esplicitata completamente in questa battaglia in quanto ha significato l’attivizzazione dei partiti a sostegno delle pratiche antiterrorismo subito varate e di mobilitazione reazionaria e lealista contro l’attività rivoluzionaria. Si distingue su questo terreno il ruolo che inevitabilmente vanno ad assumere i revisionisti e i sindacati collaborazionisti in quanto quelli che possono intervenire nel campo di classe nel quadro dei cambiamenti dello Stato che si vogliono imporre, le BR evidenziano il ruolo specifico di Moro che per altro, nel lungo processo di evoluzione della DC dal dopoguerra ad oggi, ha sempre rivestito un ruolo di primo piano dentro quella che è stata la politica di questo partito a sostegno della borghesia nell’assumersi fedelmente nello scontro col proletariato le politiche antiproletarie e repressive che hanno scandito le tappe dello scontro: dalla restaurazione del potere borghese coi governi Tambroni-Scelba alla strategia della tensione come risposta alla ripresa dell’iniziativa proletaria fino ad oggi, in cui la DC, dentro un processo non lineare di rinnovamento, si è assunta la direzione del trapasso allo SIM. Trapasso che è veicolato da un progetto di riforma istituzionale che all’accentramento dei poteri all’esecutivo affianca una modifica del ruolo del presidente della repubblica tale che assuma pienamente le sue prerogative di capo della magistratura e delle forze armate (ruolo a cui Moro ambiva).
Proprio da questa figura di punta della BI l’O vuole sapere i progetti antiproletari, strutture e personale, le filiazioni e interconnessioni nazionali e internazionali sulle cui gambe marcia il progetto delle multinazionali. In concreto proprio sulle politiche antiproletarie e controrivoluzionarie si mette a nudo il nesso dell’intervanto attivo dei paesi più forti in “ sostegno” di quelli più instabili, affinché ne facciano propri i termini più avanzati. Una realtà già operante e riscontrabile nella presenza di esperti inglesi, tedeschi, israeliani, non a caso quelli che si confrontano con i livelli più avanzati di guerra di classe e di popolo, mentre gli USA già sovrintendono direttamente a questa funzione in quanto da sempre presenti in Italia. E d’altra parte proprio la NATO incarna al massimo grado la controrivoluzione imperialista. Una realtà che mette di fronte al proletariato il carattere internazionalista della guerra di classe che immediatamente antimperialista. Guerra di classe che deve tenere conto nel suo calibramento di questi fattori internazionali del sistema imperialista, che nella fattispecie va combattuto a livello continentale. Da qui e dalla disponibilità alla mobilitazione internazionalista manifestata dal PM europeo la necessità di costringere all’integrazione politica delle OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti) in Europa. Alla strategia del terrore imperialista va saputa contrapporre l’unità strategica delle forze comuniste. In sintesi l’O imposta il discorso politico in modo tale che emergano i legami che esistono tra lo specifico progetto di modifica istituzionale dello SIM, di cui Moro è ideatore con tutto il corollario che ne consegue [politico], e le interconnessioni della controrivoluzione imperialista come sistema, già attivizzata per sostenere questo processo. Questo al fine di rimarcare il carattere antimperialista e internazionalista della guerra di classe, su cui viene propagandata la parola d’ordine dell’unità continentale delle OCC (Internazionale Comunista).
Dopo un breve resoconto degli interrogatori di Moro nei quali, per altro, il prigioniero collabora ampiamente chiamando in correità i suoi complici, si conferma come il “nuovo regime” che si vuole instaurare sia fin nel suo profondo impregnato dai legami di interdipendenza e subordinazione con gli organismi internazionali rispetto ai piani economico, politico e militare da attuare in Italia. Quindi la cattura di Moro si qualifica come iniziativa che deve estendersi in quanto attaccare lo Stato imperialista è l’obiettivo primario per il PM se vuole disfarsi di quello che comporta il dominio imperialista e affermare il progetto comunista. In questa fase storica ciò vuol dire assumersi il portato della violenza rivoluzionaria per affrontare la contraddizione antagonista fra PM e BI. In questa fase storica la lotta di classe assume perciò per l’iniziativa delle avanguardie rivoluzionarie la forma della guerra, ed è questa che impedisce la “normalizzazione” della crisi e di riportare una vittoria tattica sul PM, ovvero sul movimento di lotta degli ultimi dieci anni.
L’O rivendica la necessità di prendere l’iniziativa nella fase che si è aperta, assunzione che ha lo scopo di determinare l’andamento della guerra. Questo però non significa che è l’avanguardia a creare la controrivoluzione in quanto questa è insita nell’evoluzione dello Stato Imperialista, semmai compito dell’avanguardia rivoluzionaria è di stanarla dalle pieghe della “società democratica”, e questo perché la controrivoluzione non è la forma ma la sostanza dello Stato imperialista. Una sostanza già posta in essere in questi anni, dalla creazione dei corpi speciali, carceri speciali, tribunali speciali e dalle pratiche antiproletarie e repressive contro il movimento proletario nelle fabbriche,nei quartieri, ecc. Ma questa controrivoluzione non ha impedito l’estendersi dell’iniziativa proletaria con lo sviluppo del MPRO fino ad assumere i contenuti e le forme della guerra di classe, guerra che deve essere estesa a tutti i centri dell’oppressione imperialista e che a questo fine presuppone che vengano operati salti politici e organizzativi relativi alla responsabilità di sviluppare la direzione rivoluzionaria di questo processo quale passaggio indispensabile verso la vittoria strategica del PM. Per quanto feroce sia lo Stato imperialista è possibile combatterlo e affrontarlo per annientarlo strategicamente, e questo al di là di chi, intrappolato dai propri legalismi piccolo-borghesi, si è arreso e ha già accettato la sconfitta.
Quindi l’O sottolinea come la questione dell’attacco allo Stato quale linea di intervento fondamentale del PM e la questione dello sviluppo della guerra sono intrinsecamente legate per affermare la progettualità comunista, l’alternativa proletaria in un discorso che ne mette in luce l’affermazione che è necessario e possibile combattere e vincere il nemico. Elementi di forza che non sono sempre e in ogni momento visibili a tutti anche perché possono essere offuscati dalla messa in campo delle risposte controrivoluzionarie.
Via via che la cattura e il processo a Moro produce i suoi effetti politici subentra da parte dello Stato e dei dirigenti DC un tipo di affrontamento che ricorre a squallide manovre e comunque sia a sfuggire al problema politico che la guerriglia gli ha posto di fronte. Anche Moro stesso, pur avendo preso atto della sua condizione di essere processato da un tribunale del popolo non sfugge a questa logica e suggerisce ai suoi complici di considerare come soluzione lo scambio di ostaggi. Le BR ribaltano questo piano, e questo non perché la liberazione dei prigionieri non sia già un punto di programma dell’O e come tale perseguito, ma perché la cattura e il processo a Moro è un’iniziativa che risponde alla necessità di approfondire la crisi di regime per risolvere la questione centrale del potere, in quanto per il PM uscire dalla crisi vuol dire comunismo. Vengono quindi ribaditi e propagandati i fini ideologici della guerra, ovvero le prospettive del cambiamento sociale verso cui tende il proletariato in quanto si tratta di assolvere al ruolo storico di dare soddisfazione ai bisogni di ciascuno e di tutti, finalità che obiettivamente scaturiscono dallo stato di crisi storica dell’imperialismo che non ha più niente da offrire e che governa sulla base della controrivoluzione preventiva, ovvero la forza è la sua unica ragione. Una natura quella della crisi storica dell’imperialismo, resa evidente in questa fase dal passaggio dalla “pace armata” alla “guerra”, passaggio che va a coincidere con la necessità della ristrutturazione dello Stato in SIM. Questa concomitanza determina l’importanza della congiuntura la cui durata ed evoluzione dipenderà da come si darà l’andamento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, e in ogni caso questo passaggio non sarà affatto lineare e pacifico e assumerà progressivamente i caratteri della guerra. Per parte rivoluzionaria si tratta di trasformare il processo di guerra civile strisciante in un’offensiva generale e su un progetto unitario che unifichi il MPRO e costruisca il PCC fuori dalle tendenze movimentiste e spontaneiste l’O ribadisce la concezione leninista alla base di questo processo nel rapporto che intercorre fra coscienza e spontaneità per cui l’avanguardia raccoglie stimoli e bisogni che provengono dalla classe, li centralizza e sintetizza in teoria e organizzazione stabile per riportarli alla classe sotto forma di linea strategica di combattimento, programma e strutture di massa del potere proletario. Processo tutt’altro che spontaneo, ma che è posto in essere dall’agire da Partito dell’avanguardia combattente, un’agire da Partito che, come esprime la gestione della battaglia Moro, si colloca come iniziativa politico-militare all’interno e al punto più alto dell’offensiva proletaria, cioè sulla contraddizione principale classe/Stato, sul progetto politico di ristrutturazione dello SIM come aspetto dominante di quella congiuntura.
Un agire da partito che ha un duplice carattere: disarticolazione politico-militare del nemico per rendere disfunzionale la macchina statale, e nel contempo proiettarsi dentro al movimento di massa per essere indicazione politico-militare per orientare, mobilitare, dirigere, organizzare il MPRO sulla guerra civile antimperialista. Un duplice aspetto nel quale non ci sono livelli più alti o più bassi, ma livelli che incidono e intaccano il progetto imperialista e organizzano strategicamente il PM, oppure no. L’organizzazione del potere proletario si da sulla linea d’attacco contro i centri fondamentali politici, economici e militari dello stato imperialista. Infine ribadisce il ruolo strategico della clandestinità perché si può e si deve vivere clandestinamente in mezzo al popolo e mettendo in guardia dalla visione difensiva di questa.
……………da una parte ha lo scopo di inchiodare la DC in quanto garante degli equilibri politici di trent’anni di regime, è soprattutto teso ad individuare ed accettare le responsabilità DC e dei suoi protettori internazionali rispetto agli equilibri di potere che devono essere sostenuti riguardo alla ristrutturazione dello SIM che è infatti l’aspetto centrale delle indicazioni di combattimento aperta da questa battaglia in quanto sulla ristrutturazione in SIM passa il progetto dominante nella congiuntura. Peraltro l’interrogatorio sulle responsabilità passate e presenti della DC non rivela nulla che non sia già risaputo al proletariato, perché ha vissuto le sue politiche e le sue manovre tutte sulla sua pelle, quindi non si tratta tanto di “svelare misteri”, ma di individuare le responsabilità di personaggi già ben noti al popolo come Taviani e la cricca genovese, ecc. Nel mentre si ribadisce che tutti dovranno rispondere al popolo si avverte che non c’è spazio per manipolazioni e trattative segrete, come dagli ambienti DC si cerca di accreditare. Ma, a prescindere da questi miserabili tentativi, l’O mantiene fermo il governo della gestione che si è prefisso, e la barra ferma sugli obiettivi da propagandare dentro lo sviluppo della campagna con la capacità di stigmatizzare di volta in volta i risultati politici di quello che l’iniziativa ha aperto nello scontro, chiarendo cioè quello che effettivamente si andava a coagulare come dato principale, vale a dire, malgrado lo scatenamento di una repressione indiscriminata ed estesa a tutta la classe, vi era un’offensiva proletaria in atto, nel MPRO e nelle organizzazioni rivoluzionarie, contro i covi e gli uomini della DC, della confindustria e dell’apparto militare, elemento principale appunto nello scontro, che approfondisce e da risalto al processo contro il regime, tanto da marginalizzare persino l’opera dei revisionisti, di delatori e spie del regime. Nel mentre si sottolinea questo dato significativo dello scontro, si indica la necessità di non fermarsi a contemplare i successi, men che meno a spaventarsi per la ferocia dello Stato in quanto questione prioritaria è quella di lavorare ad estendere e approfondire l’iniziativa armata, che comporta in sé la necessità fondamentale di organizzarsi (per sedimentare e non disperdere il fiorire delle iniziative), e soprattutto di assumersi la responsabilità dei salti politici da compiere, uno sprone rivolto alle avanguardie rispetto all’obiettivo della costruzione del PCC.
A conclusione del processo, le BR motivano dal punto di vista rivoluzionario e di classe le responsabilità politiche di Moro e di tutta la DC, motivazioni che sono la base per il giudizio di condanna. Da questo punto di vista le responsabilità di Moro sono quelle di tutta la DC da De Gasperi in poi e che il proletariato metropolitano conosce bene perché ha vissuto sulla sua pelle come la DC si è fatta garante degli interessi della BI interni ed internazionali che hanno significato il “garantire” lo sfruttamento del proletariato.
Seppure dall’interrogatorio è emerso anche il marciume e la corruzione della DC, le trame, i sicari palesi e nascosti, non è da questi aspetti che deriva il giudizio di condanna che invece riguarda il ruolo di questo partito nella sua funzione controrivoluzionaria al servizio delle multinazionali, si dichiara quindi Moro colpevole e condannato a morte. Infine c’è una precisazione rispetto alla circolazione delle informazioni in quanto tutto sarà reso noto ala popolo, ma tramite canali clandestini e non più attraverso la stampa ala servizio del potere.
A un mese dalla cattura, l’O intende fare completa chiarezza a fronte di tutto quello che si era innescato intorno all’iniziativa sia per parte dello Stato che per parte rivoluzionaria, soprattutto a partire dal significato della condanna che è condanna all’intera DC, alla borghesia e allo Stato e che il movimento rivoluzionario si incaricherà di portare a termine. Nel momento in cui la DC sta subendo questo attacco articolato, la sua reazione è quella, nel solco della sua vile tradizione, di sottrarsi alle responsabilità politiche in primo luogo cercando di stornare dal significato dello Stato imperialista, mutata dai suoi complici, in quanto è proprio questo l’oggetto di attacco dell’iniziativa rivoluzionaria. Un significato che però è esplicitato a pieno proprio nel contesto della cattura di Moro tanto per la repressione generalizzata, quanto per le palesi intenzioni di scatenare un’offensiva contro il movimento rivoluzionario allo scopo di annientarlo, per non parlare dell’esistenza di campi di concentramento dove sono imprigionati i comunisti, caratteristica del resto di tutti gli stati imperialisti. È proprio rispetto ai prigionieri comunisti che è in piedi un progetto di genocidio politico attraverso il trattamento in questi campi. Un modo di sottrarsi alle responsabilità che arriva al grottesco, con i cosiddetti “appelli umanitari” all’O rispetto al presunto maltrattamento di Moro, tenuto conto che proviene proprio da chi esprime il massimo della barbarie sui prigionieri comunisti. A questo proposito l’O è molto netta nel troncare ogni ambiguità, ribadendo che saprà combattere per stroncare il progetto di genocidio politico e che l’unico appello che intende fare è al movimento rivoluzionario per la distruzione dello Stato, dei campi di concentramento e per la libertà dei comunisti. Per portare alle estreme conseguenze questo aspetto contraddittorio delle reazioni della DC di fronte all’attacco, l’O la mette di fronte all’unica ipotesi praticabile di fronte a questi fantomatici appelli umanitari, cioè lo scambio di ostaggi, l’unico modo di riportare la questione sul terreno che le è proprio, quello della guerra di classe a prescindere dalla sua praticabilità. Infatti è il prodursi degli eventi a far maturare questa eventualità proprio in virtù degli effetti prodotti dai livelli di disarticolazione politica, questione che per altro rientra nelle leggi della guerra per cui in certe circostanze la condanna a morte può essere sospesa, per lo scambio di ostaggi, cosa che non significava recedere dallo scopo politico, ma in questo caso intendeva sfruttare ulteriormente le conseguenze della sentenza. Infine rispetto alle manovre (finti comunicati) di controguerriglia psicologica, l’O molto bruscamente richiama i dirigenti DC alle loro responsabilità rispetto ai giochi che stavano facendo sulla pelle di Moro. Intrighi mafiosi che buttavano fumo negli occhi e tentavano di aggirare con furbizia la questione dell’attacco e della condanna a morte, fra l’altro cercando anche di trarne un tornaconto personale di potere.
Le “estreme conseguenze” non tardano a venir fuori, infatti la DC risponde con una dichiarazione fumosa che si rifà alla “ragion di Stato” come se fosse soggetta alla legge, cosa ridicola, in quanto la DC è la principale responsabile politica delle leggi dello Stato. Si tratta di una risposta negativa senza però che se ne assuma chiaramente le responsabilità, cosa che l’O svela fino in fondo, ribadendo che l’unica possibilità di salvare Moro è la liberazione dei prigionieri. Questo è del resto l’unico piano che mette di fronte anche tutti quegli organismi e figure pubbliche che si stanno pronunciando sulla “questione umanitaria”, in quanto, se vogliono essere coerenti con i loro proclami, non hanno che da porre la questione dello scambio con i 13 prigionieri comunisti indicati dall’O fuori da ciò i loro appelli avevano solo il significato di fare quadrato a sostegno della DC, come era peraltro chiaro all’O a questo riguardo viene tolta ogni illusione a chi pensava possibile un esito incruento come per Sossi, nell’indicare i nomi dei prigionieri viene seguito il principio politico di prendere in considerazione le migliori avanguardie espresse dal proletariato, a partire da quelli di più lunga prigionia e con le pene più alte.
A conclusione dei 51 giorni l’O trae un primo immediato consuntivo della battaglia, che rende pubblico nell’ultimo comunicati rivolgendosi alle OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti), al movimento rivoluzionario ed al proletariato, in quanto a loro sono dirette valutazioni e indicazioni. Quello che viene in primo luogo rivendicato è che l’esito della battaglia e di tutte le iniziative che intorno ad essa si sono sviluppate segnano una cocente sconfitta del regime e delle forze imperialiste.
Un regime che in questi 51 giorni ha mostrato il suo vero volto con i rastrellamenti, le leggi speciali, le torture, con cui vorrebbe annientare la resistenza proletaria frantumando esso stesso la maschera della democrazia formale e della “legalità” borghese. Una ferocia che non dimostra affatto la forza del regime, ma al contrario la sua debolezza, un regime che ha subito l’offensiva del MPRO, di cui la battaglia Moro è solo un momento dentro al dispiegarsi delle iniziative di combattimento e di tante battaglie che si sono sviluppate per l’O è possibile dire fin da quel momento che quanto si è prodotto sul piano rivoluzionario e di classe ha impresso un formidabile impulso alla guerra di classe per il comunismo, ed è proprio di fronte a questo processo reale che le manovre controrivoluzionarie con tutto il loro armamento dispiegato, compresi gli esperti di antiguerriglia e l’attivazione dei berlingueriani, sono impotenti. Gli attacchi ai covi della DC, ai centri vitali dello Stato imperialista che si sono sviluppati intorno alla battaglia Moro, sono un primo momento che indica la necessità che su questa linea si estenda e approfondisca l’attività di combattimento concentrando l’attacco armato contro i centri vitali dell’imperialismo costruendo nel proletariato il PCC, perché questa è la strada per inceppare e vanificare i piani delle multinazionali, e per non permettere la sconfitta del movimento proletario, annientare definitivamente il mostro imperialista e costruire una società comunista. A questa prima valutazione seguirà necessariamente un bilancio complessivo politico-militare della battaglia, che verrà reso noto attraverso canali clandestini, al movimento rivoluzionario e alle OCC. La lettura dello Stato che le BR evidenziano nella battaglia Moro è tesa ad inquadrarlo costantemente nel suo stretto rapporto col sistema imperialista. Questo per evidenziare come questo inserimento comportava l’ultimazione di quei passaggi affinché diventasse a pieno titolo uno stato imperialista. L’analisi è perciò mantenuta su questo terreno ed è quindi necessariamente di tipo generale e quindi prevalentemente calibrata sulla trasformazione. E questo per la necessità che ci fosse il massimo di coscienza sulla natura di questa trasformazione, che segnava un passaggio cruciale per le BR e per il proletariato, e come si sarebbe dato questo passaggio era di enorme importanza per le sorti dello scontro rivoluzionario. Quando le BR accennato al fatto che lo Stato si stava liberando degli ultimi residui di “Stato-nazione” non intendono caratterizzare la sua “arretratezza” visto che anche in Italia il personale politico imperialista nei partiti e nella burocrazia di Stato era già egemone, ma legare la sua specificità di percorso al suo essere comunque interno al sistema imperialista e nel sottolineare questo rapporto, chiarificare la natura della trasformazione da attuare, vale a dire liberarsi di questi residui per la BI significava adeguare le forme istituzionali in modo da completare anche il processo politico necessario allo Stato imperialista. In sintesi, questo modo di porre la questione dello Stato rispondeva in effetti alla situazione di allora in cui quel preciso passaggio dello Stato imperialista era fortemente “promosso” dagli altri Stati imperialisti che richiedevano una stabilizzazione a loro necessaria dell’Italia, in quanto anello debole proprio per quella specificità a cui la riforma istituzionale in qualche maniera intendeva dare soluzione.
Un quadro dello Stato che in seguito, evolvendo non si presenterà più in questi termini, non vi è dubbio che la battaglia Moro è la prima iniziativa che entra direttamente nel rapporto di scontro con lo Stato, nel senso che per la prima volta viene affrontato nel suo significato di attacco agli equilibri politici dominanti. E questo comporta che tutte le argomentazioni e di tipo propositivo e di analisi politica sono incanalate sull’attacco allo Stato, e stante il livello raggiunto dal processo rivoluzionario questo significava anche capacità di articolazione dell’attacco a tutti i livelli dell’aggressione imperialista, attacchi che dovevano essere sempre in rapporto ala contraddizione principale e, all’interno di essa sull’aspetto dominante della congiuntura. In altri termini articolare a tutti i livelli l’attacco non significava colpire indiscriminatamente simboli o contraddizioni secondarie, ma indirizzarlo sempre sugli equilibri politici dominanti, ovvero gli equilibri di potere allora incarnati soprattutto alla DC. Ed erano materialmente dati dalle forze organizzate della guerriglia sul territorio nazionale, in altri termini l’articolazione dell’attacco dai nodi nevralgici ai centri periferici riflettere concretamente la costruzione-elevamento della guerra di classe fatto vivere nel duplice piano dell’iniziativa combattente, cioè, di distruzione/costruzione, come è esplicitato dallo slogan: “a tutti i livelli dell’oppressione imperialista, a tutti i livelli della composizione di classe”.
In altri termini già in quella congiuntura le BR si misuravano con la necessità di connettere in un processo politico-militare il più possibile unitario l’attacco, la costruzione e elevamento della guerra di classe, in quanto processo che viveva realmente di questi termini stante anche la mobilitazione armata che si è sviluppata con la battaglia Moro e che poneva compiti di direzione rispetto all’innalzamento e sempre presente nella coscienza dell’O ed è lo scopo a cui lavorano proprio dentro a quella che era l’analisi di passaggio di fase in riferimento a cui intendevano costruire le condizioni più favorevoli per il terreno rivoluzionario, con l’obiettivo di trasformare una guerra civile strisciante e ancora dispersa in guerra civile. Entro questa coscienza le BR lavorano alla sedimentazione di questi livelli d’iniziativa politico-militare in organizzazione di classe armata, in questo senso cruciale era verificare le iniziative sull’indirizzo strategico di attacco allo Stato, capace di mettere il MPRO nelle condizioni di fare i salti politici, vale a dire la capacità di assumersi la responsabilità della direzione della guerra di classe, e cioè consolidamento dell’organizzazione rivoluzionaria della classe con riunificazione del PM e unità dei comunisti per la costruzione del PCC. Quello che va sottolineato è che gli obiettivi politici su cui hanno lavorato le BR (indicazioni di combattimento, i salti da compiere sul terreno di direzione, chiarificazione del terreno di guerra di classe, su cui tale intervento era la l.a. …) erano assolutamente indispensabili considerando che lo scontro rivoluzionario si situava in una congiuntura di transizione dentro la quale la guerra di classe avanza nei termini posti dall’O o si sarebbe corso il rischio di perdere terreno e d are alla BI e allo Stato tempo e modo di reagire e “riprendersi” dallo stato di crisi politica, così da riaggiudicarsi il suo intervento sull’andamento dello scontro. Non erano perciò “obiettivi” “troppo avanzati” come spesso è stato detto fuori luogo nelle critiche postume, ma quelli necessari e corrispondenti a quella situazione dello scontro, casomai è vero, al contrario, che la loro non completa realizzazione è stata causa dell’accumularsi critico delle contraddizioni in campo rivoluzionario.
A merito dell’O va detto che nella gestione della battaglia e più in generale nella campagna di primavera questi obiettivi politici, oltre ad essere stati da essa praticati, sono stati propagandati al massimo affinché il MPRO assumesse in piena coscienza il terreno della guerra di classe nei termini in cui doveva essere assunto in quella congiuntura di transizione, affinché superasse i particolarismi e le visioni delimitate dello scontro. Da un punto di vista più generale, la gestione della battaglia Moro è esemplare nel come riesce ad esplicitare l’articolazione della LP (linea politica) della DS ’78, ma soprattutto nella sua essenza incarna l’assunzione e la esternazione della legalità rivoluzionaria e proletaria, materializzata al massimo grado nel processo popolare. Questione di grande importanza strategica ed ideologica, in riferimento alla pratica del contropotere proletario possibile nel corso del processo rivoluzionario e che ha un forte valore propedeutico nell’esercizio della giustizia proletaria in quanto sorte della BI è quella di essere alla fine giudicata e condannata dal PM.
Restano da fare considerazioni generali aperte dalla congiuntura di transizione sul piano dell’agire tattico. Infatti l’iniziativa Moro si situa al coronamento del processo di sviluppo della guerra di classe raggiunto fino a quel momento che aveva prodotto con lo sviluppo dell’autonomia di classe e del MPRO, un vasto potenziale rivoluzionario con caratteristiche da “guerra civile strisciante”. In questo quadro la cattura di Moro è la battaglia principale di una campagna che le BR approdano ai fini del cambiamento della fase rivoluzionaria. Si trattava cioè, a fronte di uno scontro che al lato della crisi della BI evoleva obiettivamente dalla “pace armata” alla “guerra”, di assumere l’iniziativa per stabilire le condizioni rivoluzionarie in grado di sviluppare le premesse alla guerra civile. In questo senso la battaglia se da un lato porta ad esaurimento le caratteristiche delle fasi rivoluzionarie di propaganda armata, nel contempo ha in se le premesse proprie dell’agire tattico che deve vivere nella congiuntura di transizione vale a dire un agire che, pur dominato ancora dalla massima disarticolazione politica dell’attacco allo stato, deve operare a un certo grado di distruzione pol-mil del nemico.
Infine le caratteristiche della battaglia che va dalla cattura al processo all’esecuzione di Moro contengono tanto in concreto quanto in potenziale le tre direttrici di sviluppo della guerriglia:
- concentrazione e mobilità delle forze per condurre un’azione rapida e di sorpresa, come si verifica ala momento della cattura;
- prolungamento del tempo ai fini del più ampio sviluppo delle contraddizioni del nemico e della massimizzazione dei vantaggi politici, che con la battaglia Moro si è dato con la durata del sequestro;
- muoversi per campagne nell’estensione e attivazione su tutto il territorio delle strutture di O soprattutto nei grandi poli industriali sullo stesso obiettivo di combattimento, sviluppando tante azioni contemporaneamente.
Queste direttrici con la battaglia Moro sono portate rispetto alla fase precedente ad un grado di articolazione maggiore, mentre in ragione del principio tattico operante in quella congiuntura non si da ancora sviluppo all’altra direttrice, ossia le grandi e medie battaglie che impegnavano il nemico con forze consistenti.



OPUSCOLO N°5 ottobre 1978

L’opuscolo sviluppa ulteriormente la sintesi politica e la propaganda sulle direttrici lanciate dalla Campagna di Primavera e in rapporto a come si era evoluto il terreno da questa aperto. Con l’estensione della LA e lo sviluppo stesso del MPRO vengono affrontati in maniera più approfondita i compiti di radicamento e sviluppo della costruzione della guerra di classe. Più precisamente viene sviluppata sul piano distruzione-costruzione la direzione rivoluzionaria e il massimo della dialettica con i settori di classe operaia attivizzati sulla LA e il MPRO. Quindi, nell’opuscolo, tutta l’analisi formulata in relazione a questi fini politici, cioè inquadrando gli aspetti particolari delle politiche dello stato e delle scelte padronali che si ripercuotevano fin dentro la fabbrica, sul piano complessivo della crisi dell’imperialismo. Si può però ipotizzare che l’opuscolo sia prodotto dal fronte delle fabbriche.
Punto di partenza è proprio quello di individuare le linee portanti della ristrutturazione delle multinazionali ai fini di stabilire le indicazioni di combattimento, linee interne alle strategie delle multinazionali per far fronte alla crisi dell’imperialismo. Ed è proprio nel caratterizzare la crisi dell’imperialismo che si ha la lettura più aderente a quella che era la fase di scontro sul piano mondiale. Non v’è dubbio che alla fine degli anni ’70 l’incalzare delle lotte di liberazione, le lotte della classe operaia in Europa e Usa , la guerriglia nella metropoli avevano portato all’inceppamento degli strumenti di recupero politico-economico-militare dell’imperialismo, un vero e proprio accerchiamento dell’imperialismo che già nel ’75 lo aveva iniziato a stringere d’assedio, tale da caratterizzare la fase come le BR avevano ben individuato nell’inquadramento generale della crisi dell’imperialismo fin dall’inizio. Ma è nel ’78-79 che ci sarà un’impennata quantitativa e qualitativa dei processi di liberazione dei popoli e di lotta di classe tale da divenire chiaramente il fattore determinante la crisi e a qualificarla come crisi di egemonia. In sintesi, quest’ultimo fattore, sopraggiungendo alla crisi strutturale porta la crisi ad un livello generale e complessivo, le lotte di liberazione e di classe, in quella fase, erano i catalizzatori della crisi interna del capitale, tali che le stesse contromisure prese si trasformavano in ulteriori fattori di contraddizione. Come non mai, quando la crisi raggiunge caratteri complessivi, l’imperialismo reagisce come sistema, una reazione che ha alla base l’interdipendenza economica che fa si che la crisi si ripercuota su tutti gli anelli e in questo caso proprio per la sua gravità tocca anche paesi forti, ma è l’accerchiamento da parte delle lotte di liberazione e di classe che mettendone in discussione il dominio costringe gli organismi soprannazionali dell’imperialismo ad adottare strategie di sopravvivenza e in difesa degli interessi delle multinazionali. E poiché l’elemento scatenante della crisi è dato proprio dalla messa in discussione del piano del potere la strategia è quella della ristrutturazione degli strumenti di dominio, sia dentro gli stati che a livello degli organi soprannazionali. In questo senso il carattere di queste ristrutturazioni è intrinsecamente controrivoluzionario in quanto prerequisito è fare indietreggiare le posizioni raggiunte dalla classe operaia e dai movimenti di liberazione. Accerchiamento che le BR sottolineano non significa “capitolazione” dell’imperialismo, ma sviluppo di processi di ristrutturazione dei suoi strumenti di dominio.
L’aver identificato la crisi di dominio come fattore caratterizzante la crisi in quella fase significava tutt’altro che mettere in secondo piano le contraddizioni economiche in quanto proprio queste venivano acutizzate dall’influenza immediata dei fattori politici di crisi sia per la sottrazione di mercati determinata dalla liberazione dei paesi dipendenti, insieme alla loro maggiore forza contrattuale sui prezzi delle materie prime, sia per la forza della classe operaia che opponeva una maggiore rigidità allo sfruttamento, con una tenuta dei salari, limitando profitti. In questo senso le BR non concedono niente a letture fenomeniche, che erano alimentate da come allora si presentava la crisi di un dominio forzoso privato delle contraddizioni fondamentali del capitale da superimperialismo, al contrario la loro lettura scaturisce da un’analisi marxista rigorosa della dinamica del capitale e dei caratteri di sviluppo contemporanei, cosa dimostrata anche in questo opuscolo, dove oggetto centrale dell’analisi sono i termini economici. I compagni partono dall’analizzare gli aspetti più evidenti, tipici di quel periodo, che immediatamente si ripercuotevano sulla crisi dei profitti, vale a dire il ristagno della domanda e gli alti tassi di inflazione, legando giustamente questi aspetti alla limitazione dei profitti determinata dalla forza della classe operaia e dai processi di liberazione. Questa limitazione dei profitti è l’espressione ultima della crisi di sovrapproduzione e di caduta del saggio medio di profitto alla base dell’inceppamento dei meccanismi dell’accumulazione capitalistica ed è proprio in questo punto dell’analisi che è evidente l’impostazione materialistica dei compagni (fuori da concezioni d crisi crollo) consapevoli della dinamica intrinseca al capitale che attraverso la dialettica crisi-ristrutturazione pone in essere processi di concentrazione, da un lato, e di espansione dei suoi mezzi di produzione, dall’altro.
N. lo scritto presenta discontinuità e avanzamenti rispetto all’approfondimento e articolazione dell’analisi economica. Discontinuità laddove per argomentare il carattere della crisi si ricade negli errori di crisi di sottoconsumo (come nella DS ’75), nello specifico nel far coincidere il significato di sovrapproduzione con la produzione di troppe merci rispetto all’assorbimento del mercato, mentre è noto che si deve parlare di sovrapproduzione quando periodicamente si producono troppi mezzi di produzione, merci, ecc… che sono superflui rispetto al grado di sfruttamento richiesto, cioè che non possono agire come capitali. È vero che alla crisi generale di sovrapproduzione si univa l’esaurimento del ciclo espansivo con la messa in crisi dei settori produttori di beni di consumo, eh verosimilmente per la sua dimensione appariva come l’aspetto predominante considerando che alla caduta della domanda dei beni di consumo seguiva l’aumento dei prezzi delle materie prime, vedi petrolio, e il perverso meccanismo dell’iperinflazione innescato dalle politiche keynesiane di quel periodo, basate su una leggera stimolazione dell’inflazione. Tutti fenomeni tipici di allora che i compagni individuano correttamente come gli “aspetti evidenti” della crisi.
In riferimento ai caratteri della crisi, cioè di sovrapproduzione assoluta di capitali, da cui il capitale può uscirne solo riattivando i meccanismi di accumulazione e riallargando la base produttiva, due erano le soluzioni fondamentali possibili in quella fase: la rima relativa alla produzione nel cuore dell’imperialismo si basava sull’introduzione di nuove tecnologie che comportavano processi di riconversione e ristrutturazione di enorme portata perché investivano tutto l’apparato produttivo, una scelta obbligata stante la rigidità acquistata dalla classe operaia nel centro imperialista. La seconda era data dall’esportazione nei paesi dipendenti dei mezzi di produzione obsoleti, sulla cui base si rideterminavano i rapporti di sfruttamento e subalternità verso questi paesi.
L’intervento degli organismi soprannazionali a sostegno del capitale, che è una costante nella fase dell’imperialismo, assume in rapporto alla natura della crisi ed alla sua generalizzazione un carattere di rigida “pianificazione”,stante la portata delle misure da adottare e considerando che una simile riorganizzazione dell’apparato produttivo avviene entro una rigida divisione a livello internazionale delle aree di produzione e di mercato. Quindi gli organismi soprannazionali, in particolare FMI e CEE, sovrintendono non solo ai pini generali che si danno in un’ottica internazionale, e che stabiliscono in dettaglio cosa, come e quanto produrre, ma anche agli indirizzi specifici che ogni stato è tenuto a seguire. Anche la BI italiana sceglie di imboccare la strada delle ristrutturazioni, e lo stato al riguardo ha già predisposto un “piano di riconversione industriale”, ovviamente interno al rigido indirizzo dato dagli organismi soprannazionali, funzionale a sostenere lo svolgersi di questa riconversione, stabilendo priorità, condizioni e finanziamenti. Le BR sottolineano il ruolo che svolge lo stato al servizio della BI quale supporto indispensabile soprattutto per farla uscire dalla crisi, con l’obiettivo di ridare efficienza all’apparato riproduttivo ristrutturato a livello multinazionale e questo stando obbligatoriamente entro i limiti della posizione gerarchica dell’Italia, senza cioè sconfinare rispetto ai paesi più forti (USA, RFT, Giappone).
In questa analisi emerge come non mai come si è evoluto il ruolo dello stato rispetto al suo farsi garante dell’interesse generale della BI come si evince dallo stesso piano di riconversione a sostegno del proprio capitale multinazionale, un dato che proprio in rapporto alla fase odierna dell’imperialismo vive in stretta interazione con le pianificazioni economiche degli organismi soprannazionali, una peculiarità dell’oggi alla cui base sta l’integrazione e l’internazionalizzazione raggiunta dal capitale multinazionale. Livelli di intervento che per quanto intendano sostenere il capitale sono tutt’altro che la possibilità di pianificare la soluzione della crisi, tant’è vero che la necessità di allargare la base produttiva non è stata raggiunta, anzi questa ha visto una sostanziale restrizione.
Secondo il “piano di riconversione” la ristrutturazione doveva seguire 4 direttrici principali:
La prima. Ristrutturazione prioritaria dei settori trainanti a tecnologia avanzata, prioritaria in quanto vanno garantiti gli sbocchi di mercato alle multinazionali più forti, che sono quelle che accumulano maggiori profitti. Settori trainanti che sono il cuore della potenza dell’imperialismo e che riguardano: nucleare, elettronico, bellico aerospaziale. Di questi settori sono assegnati all’Italia spezzoni di ciclo produttivo a livello tecnologico intermedio.
La seconda direttrice è la generalizzazione dei sistemi produttivi ad alto livello tecnologico e a più alta intensità di capitale in tutti gli altri settori, un processo che porta ad espellere forza-lavoro in modo massiccio perché l’automazione sostituisce gli operai. È dalla riconversione di questi settori che i macchinari arretrati vengono esportati nei paesi del terzo mondo dove le multinazionali ne trarranno ancora profitto sfruttando la manodopera a basso costo.
La terza direttrice è la riconversione della piccola e media industria in funzione delle multinazionali.
La quarta direttrice è lo sviluppo del settore bellico.
Le BR analizzano questo aspetto come uno sviluppo legato agli sbocchi di guerra controrivoluzionaria al proprio interno che di guerra imperialista. In questa logica il settore viene visto come destinato a una sicura espansione, argomentata con i dati della “corsa agli armamenti” (spese Nato nel conflitto Est/Ovest) e dati statistici sul mercato delle armi, in cui si è inserita anche l’Italia. L’attenzione dei compagni è soprattutto focalizzata sull’armamento dello stato per l’ordine pubblico: le produzioni di armi per questo fine vengono viste in progressione, con un “contagio” sui rimanenti settori economici tanto da accennare a esigenze di “economia di guerra”. Ma a parte questa affermazione imprecisa e poco argomentata, una affermazione giusta è che lo sviluppo bellico non sarà mai una soluzione alla crisi perché improduttivo, in quanto il capitale non fa la sua circolazione, rialimentando la crisi e aggravando il bilancio dello stato.
I settori produttivi individuati sono quelli in cui si concentrano le contraddizioni principali sia tra i vari strati di borghesia che tra borghesia e proletariato, in questo senso per la BI affrontare nel modo dovuto questa ristrutturazione significa, da una parte, riassestare i meccanismi di accumulazione del capitale, ristabilire nuovi livelli di sfruttamento e nuove forme di controllo sulla classe operaia, motivo per cui saranno questi settori trainanti ad essere per primi oggetto di ristrutturazione.
La conseguenza dell’applicazione di queste linee di ristrutturazione è il superamento all’interno dello stato ristrutturato delle contraddizioni politiche esistenti tra i vari gruppi economici, così che non ha più senso parlare di contraddizione tra industria pubblica e privata (se non in forma molto secondaria) in quanto il confronto avviene tra multinazionali che tendono superare i contrasti politici per spartirsi la torta sotto il controllo di esecutivo e confindustria (es: ”pace nucleare” tra Fiat e Finmeccanica), e seguono le stesse linee e logiche nella ristrutturazione, un dato che le BR sottolineano per sfatare la demagogia del Pci nella difesa dell’”industria pubblica”.
A dirigere la ristrutturazione dell’apparato economico del paese viene istituito il CIPI, organismo apposito dell‘esecutivo che comprende i ministeri economici e la banca d’Italia e che sulle linee del piano di riconversione industriale” sviluppa piani di settore, interni alle direttive soprannazionali nell’istituzione stessa di questo organismo si esplicita la tendenza alla centralizzazione in funzione di una direzione unificata dell’intervento economico che superi anche le contraddizioni tra istanze politiche, ministeri, interessi locali. Un approccio che qualifica l’intervento dello stato nell’economia rispetto a quella fase di crisi e che alla “programmazione” rispetto alla ristrutturazione unisce il compito fondamentale di reperire i fondi per le multinazionali ,fondi che nella crisi sono destinati non solo all’industria pubblica ma anche a quelle private. In ciò si esplicita, nella fase dell’imperialismo, la funzione cardine dello stato-banca, perché è lo stato che può farsi carico di rastrellare finanziamenti con l’aumento delle tasse, i costi dei servizi, ecc., comprimendo le condizioni proletarie, ma, con la crisi, toccando anche le fasce di piccola borghesia che privata dei suoi piccoli privilegi, finisce per contrapporsi talvolta alla borghesia imperialista. Per altro verso i pesi imperialisti usufruiscono dei finanziamenti sul mercato internazionale, tanto degli organismi finanziari internazionali , quanto negli stati più forti. A questo proposito i compagni interpretano la necessità di ricorrere ai forti tagli alla spesa pubblica per reperire fondi del bilancio dello stato come conseguenza della difficoltà di ottenere finanziamenti sul mercato internazionale (come se non ci fossero sufficienti risorse per tutti): una interpretazione che non corrisponde alla realtà dell’economia capitalistica in quanto se venivano negati i finanziamenti internazionali più che essere un problema di reperibilità dei fondi, questo manifestava la volontà di spingere l’Italia a intervenire indirettamente per abbassare il valore della forza lavoro.
Rispetto ai provvedimenti di quel periodo i compagni registrano tutte le iniziative e leggi che vengono fatte, compresa quella delle “regioni”. Quest’ultima in particolare poteva effettivamente dare adito a chissà quali sviluppi sul piano dell’articolazione locale delle direttive centrali prospettando un’ipotetica razionalizzazione tra centro e periferia sulla quale poteva trovare impulso una corrispettiva articolazione locale sia delle linee neocorporative Stato-confindustria-sindacati che dalle strutture territoriali della confindustria (le “feder-industria”) nell’ottica di gestire la ristrutturazione industriale capillarmente. Se la legge sulle “regioni” intendeva rispondere a questo tipo di esigenze della BI, l’applicazione pratica è rimasta almeno in quella fase sulla carta, se non sul piano di esiti di tipo amministrativo, mentre soprattutto lo sviluppo neocorporativo e delle politiche confindustriali si è dato in senso fortemente centralizzato.
Riguardo alla confindustria si ribadiscono i concetti della DS ’78, quale centro di iniziativa padronale che nel suo ristrutturarsi ha portato a compimento la costruzione di un’unità politica sulla linea della borghesia imperialista. Un processo che dal ’70 al ’78 ha effettivamente unificato politicamente tutti i padroni (anche piccoli e medi e l’intersind), unificazione avvenuta soprattutto negli accordi contro la classe operaia. La confindustria essendo l’asse portante dell’iniziativa imperialista nella ristrutturazione, è quella che elabora piani e li propone all’esecutivo e che interviene su ogni ambito e questione della vita politica del paese facendo contare le sue posizioni. Più precisamente rispetto alla crisi e alle linee per uscirne la Confindustria, oltre a dotarsi di un suo centro dati, si è soprattutto impegnata nella formazione di quadri nell’ottica di creare “manager” rispondenti alla struttura dirigenziale delle multinazionali, sotto la parola d’ordine dell’efficientismo e l’imprenditorialità, così da poter articolare in modo univoco ad ogni livello la sua linea politica nelle ristrutturazioni, una formazione di mananger che è anche curata direttamente da ogni multinazionale. Queste scuole dirette da “esperti” il cui ruolo è stato spesso camuffatola studiosi e professori, elementi dirigenziali da individuare e colpire, non a caso queste teste pensatisi ritrovano poi negli organismi soprannazionali e nei centri di direzione imperialista e non è un caso che ruotino nell’area DC, nei suoi centri studi.
Le conseguenze previste della ristrutturazione nelle fabbriche venivano individuate in:
-La disoccupazione: questa si sarebbe data sia per la chiusura di fabbriche piccole e medie, sia con la cassa integrazione, pensionamento anticipato, blocco del turn-over e, dove erano in grado, con licenziamenti politici motivati da assenteismo. Una disoccupazione che proprio per i piani di riconversione con l’introduzione di tecnologie che avrebbe comportato, diveniva un dato stabile e tendenzialmente progressivo, con tutto il portato di contraddizioni e conflitti sul piano di classe, ma che in ultima istanza, per il loro portato di radicalizzazione, avrebbe favorito le condizioni dello scontro rivoluzionario.
- La mobilità: strumento che per i padroni aveva, come sempre ha due obiettivi: il primo è l’utilizzo razionale degli impianti, il secondo la rottura della capacità di resistenza e lotta della classe operaia, una mobilità che avviene da reparto a reparto e tra fabbriche dello stesso padrone, mentre quello che i compagni definivano”mobilità regionale” nei fatti non si è poi verificata, non solo perché priva dei presupposti di convenienza economica per il capitalista, ma anche perché non si sono attivati quegli organismi regionali di coesione prefigurati.
- L’aumento della produttività e quindi dello sfruttamento operaio che passa in primo luogo con il livello tecnologico che doveva essere introdotto, e con il taglio dei tempi, aumento dei ritmi, straordinario fino di sabato e lavoro notturno.
Per garantirsi l’applicazione di queste ristrutturazioni, stante tutte le conseguenze a carico degli operai, i padroni puntavano su tre strumenti: patto neocorporativo, militarizzazione delle fabbriche, ristrutturazione del comando.
La gerarchia di fabbrica doveva essere necessariamente riqualificata in rapporto al tipo di ristrutturazione che doveva essere introdotta, riqualificazione che sostanzialmente doveva formare un personale che a tutti i livelli della gerarchia fosse in grado di avere una visione insieme tecnica e politica, ricomponendo cioè il lavoro dei “tecnici”, quei dirigenti che dietro le quinte studiano le tecnologie e come devono essere applicate, e dei “politici”, incaricati dei rapporti con gli operai e i sindacati. In questo senso le scuole quadri dovevano formare dirigenti in grado di avere sia la conoscenza del funzionamento della produzione sia un’elevazione politica e culturale che gli consentiva di aver chiari gli obiettivi complessivi per cui lavoravano. In sintesi per colpire la struttura di comando non era sufficiente individuare i capi più reazionari, ma arrivare ai livelli decisionali sempre più centralizzati anche se meno esposti, a partire dal loro effettivo ruolo.
Il secondo strumento è la militarizzazione dei luoghi di lavoro con la velleità di stroncare la capacità di resistenza della classe operaia e il diffondersi della lotta armata. Da questo punto di vista le fabbriche assomigliano sempre più a caserme, con la presenza di guardiani, digos in incognito, accompagnata da una attività spionistica capillare a cui lavorano finti operai, ex CC, fascisti, ecc. I compagni nella militarizzazione includevano anche l’introduzione di macchine a controllo numerico (come pure i collaudatori nelle fabbriche militari). Non v’è dubbio che la macchina a controllo numerico determina un controllo di quanto produce l’operaio, i suoi tempi movimenti, ecc, ma ci sembra azzardato motivare la sua introduzione a scopo di controllo, fuori dalla sua funzione produttiva, sarebbe come trasportare su un piano soggettivo un portato oggettivo proprio all’introduzione di macchinari tecnologizzati che di per sé, obbligando l’operaio ai suoi ritmi, contribuisce al comando dispotico del capitale sul lavoro.
Terzo e più importante strumento è la costruzione del patto neocorporativo che in quella fase si proponeva di coinvolgere il PCI nella gestione della ristrutturazione rispetto alle sue conseguenze sulla classe operaia. Una corporativizzazione che come sempre partiva dal presupposto di marginalizzare l’identità operaia per coinvolgere gli operai intorno alle scelte padronali e stornarli dagli obiettivi politici di classe, perseguendo in questo modo il tentativo di “pace sociale” e isolamento della lotta armata. Su quest’ultima questione il PCI era particolarmente attivizzato e non solo, ma anche nell’isolare le avanguardie e tutte le pratiche violente e incisive e denigrare i compagni che già praticano la lotta armata. Un attivismo che non disdegna la delazione e lo stretto controllo delle situazioni operaie, fino agli scioperi reazionari “contro il terrorismo” fatti insieme ai poliziotti.
Nell’analisi del riformismo in rapporto alla crisi e alla ristrutturazione i compagni affermano che il ruolo del PCI andrà a definirsi sempre più come apertamente controrivoluzionario in quanto la crisi brucerebbe le possibilità di risolvere in termini di mediazione le contraddizioni con la classe operaia. Se ne conclude che la borghesia imperialista si prepara alla guerra come solo modo di contrapporsi al proletariato. Nella fase passata il PCI aveva potuto fare una politica basata sul tentativo di deviare in senso riformista le lotte operaie, tutt’al più reprimendo selettivamente le avanguardie per contrastare il contropotere operaio, e questo perché in quella fase l’enorme crescita dei profitti consentiva di rispondere parzialmente alle richieste operaie, e si dava anche la possibilità dell’ammodernamento riformista dello Stato, un contesto in cui il PCI poteva parlare di “nuovo modello di sviluppo” su cui incanalare in senso riformista le tensioni operaie.
Era quello il periodo in cui due ipotesi strategiche si contrapponevano nella borghesia imperialista, quella golpista, che poi è stata sconfitta, e quella illuminata che puntava sul pieno sviluppo delle articolazioni dello Stato democratico, ed è quest’ultima che il PCI caldeggiava cercando di coinvolgere la classe in un’ipotesi strategica che sfruttava tatticamente le contraddizioni interborghesi.
Con il blocco dell’accumulazione cadono le mistificazioni riformiste e i compagni valutano che l’unica strada della borghesia imperialista sarebbe quella di preparare la guerra contro la classe operaia. In questo quadro il ruolo del PCI va a smascherarsi fino in fondo costretto a schierarsi organicamente a sostegno della borghesia imperialista ( come era evidente nel ’73 con il sostegno al governo di unità nazionale). Ridefinendo il suo ruolo in funzione della strategia di ristrutturazione imperialista dello Stato facendosi garante di coinvolgere la classe operaia a sostegno di questa linea strategica.
Una linea che in concreo si traduce in repressione dell’autonomia di classe e la cogestione per costruire il patto neocorporativo. Per i compagni, cioè, la borghesia imperialist affida al PCI il compito di “mettere ordine nelle fabbriche” il che vuol dire opera di individuazione dei compagni che praticano la lotta armata, e intervento preventivoverso la massa di operai che appaiono “indifferenti” e quindi sospetti. Intanto sdi rende subito disponibile alle ristrutturazioni economiche per gestire le conseguenze antioperaie visto che la resistenza della classe operaia è il principale ostacolo alla ristrutturazione economico-politica-militare dello SIM, motivo per cui la BI scatena la guerra contro il proletariato. È rispetto a questi scopi che il sindacato diviene centrale sia rispetto alla BI che al PCI visto che è la sola organizzazione di massa degli operai. Si chiede al sindacato di assumere sempre di più un ruolo politico rispetto alla cogestione necessaria per costruire il patto neocorporativo. Per contro non ci sono contropartite da offrire, anzi la crisi porta operai e padroni a scontrarsi sul terreno economico. Questa contraddizione, intrinseca al progetto del patto neocorporativo, diventa la contraddizione del sindacato nel rapporto con la classe operaia. L’assunzione di questa linea si traduce nel fatto che i vertici sindacali si trovano a cancellare ogni tratto di classe dal corpo sindacale, per potersi adeguare ai modelli di cogestione inglese e tedesco. Una scelta che si concretizzava allora nel dotarsi di una nuova linea di politica economica del sindacato: piena occupazione, investimenti, perequazione dei salari, appoggio alla riforma sanitaria, obiettivi demagogici che dimostrano la volontà di dialettizzarsi con la ristrutturazione economica e quindi cogestire le sue conseguenze in fabbrica. Ma malgrado questa volontàil sindacato è obbligato per la sua stessa sopravvivenza al “consenso” operaio, ai rapporti con la classe, e quindi, quando non riesce ad incanalare le lotte, si trova obbligato a cavalcare e anche a promuovere le rivendicazioni operaie, finendo anche con l’andare in contraddizione con la dichiarata disponibilità politica dei vertici sindacali. Una situazione contraddittoria che la classe vive, rispetto al suo istinto di classe, in modo ambivalente: quando le scadenze sono indette dal sindacato su obiettivi di cogestione, la partecipazione è scarsa, comunque vissuta passivamente, pur non rinunciando mai ad ogni scadenza per il rifiuto intrinseco del crumiraggio e degli atteggiamenti qualunquisti. Se invece è il sindacato a dover cavalcare l’iniziativa operaia, c’è una forte partecipazione di massa, capace di esprimere attivamente autonomia politica, motivi questi per cui il sindacato limita più che può le iniziative di sciopero e mobilitazione,proprio perché non è in grado di controllare il movimento di resistenza che si è sviluppato a partire dalle fabbriche intorno alla l.a. contro la ristrutturazione. La L.A. per il C che ha spazato via le illusioni gruppettare e neorevisioniste dando forza e continuità al movimento di resistenza.

Nota. In alcune parti di questo documento ci sembra si intraveda la contraddizione relativa alla linearizzazione del giusto concetto del passaggio dalla fase generale di pace armata, alla guerra, visto come processo già in atto, di scelta della borghesia imperialista nel rapporto col proletariato, come si evince dalle considerazioni sul bellico e, in modo più evidente nell’analisi sul riformismo tale da renderla controversa. È evidente che questa contraddizione in questo documento è solo embrionale, non è ancora una teorizzazione, come lo sarà in futuro, verosimilmente indotta in questo stadio dal leggere la progressione della lotta armata sul territorio nazionale e i provvedimenti controrivoluzionari antiguerriglia dello Stato come l’immediata assunzione dei termini di guerra in forma assoluta da parte dello Stato di contro alla classe lettura che già contiene l’inevitabile impoverimento dell’analisi dello Stato e dei suoi strumenti di governo, ad esempio laddove si afferma che sono “bruciati” i margini di mediazione “riformista” rispetto al rapporto con la classe. Si argomenta ciò confondendo in primo luogo riformismo e socialdemocrazia. Mentre la socialdemocrazia è effettivamente stata espressione della fase di espansione delle forze produttive, e quindi storicamente da tempo esaurita, il riformismo è espressione politica propria allo Stato imperialista, ai suoi strumenti di governo, intrinsecamente legato all’annientamento e, in quanto tale, la crisi economica non elimina le condizioni della sua esistenza restando una necessità, pur nella mera forma ideologica e questo anche quando nella fase della guerra prevale il termine dell’annientamento rispetto al riformismo.
Ulteriori argomentazioni su questa falsariga sono portate equivocando la congiuntura politica precedente, quella che a partire dai sovrapprofitti aveva fatto vivere l’ipotesi del compromesso storico come se si fosse di fronte ad una espansione delle forze produttive, quando, come si è detto negli altri documenti è dagli anni ’70 che il capitale, entrando nella crisi generale di sovrapproduzione, non può più espandere le sue forze produttive. In sostanza, per sostenere l’abbaglio politico di una entrata in guerra della borghesia imperialista contro il proletariato in quella congiuntura, se ne dà una motivazione economica legata alla crisi, confondendo aspetto particolare con il piano generale. Dentro questo schematismo in cui è analizzato anche correttamente il ruolo del PCI, viene potenzialmente unificata l’analisi corretta fatta nella DS ’78 sull’avvicendamento delle fasi pace armata-guerra, in cui i compagni non assolutizzano mai del tutto uno dei termini del binomio riformismo-anientamento, perché anche nella fase di prevalenza degli strumenti controrivoluzionari e repressivi contro la classe, lo Stato continua ad usare gli strumenti politici, un piano di totale guerra col proletariato è pressoché impossibile a sostenere, a meno che non ci si trovi vicino alla presa del potere, con una crisi rivoluzionaria matura, questione più che confermata nel periodo della controrivoluzione degli anni ’80, nel pieno di quella fase obiettiva di guerra.
Detto questo la funzione del riformismo nella crisi e quindi l’evoluzione in cui era entrato il PCI è ben analizzata, rispetto alle ragioni economiche e politiche, in primo luogo rispetto al suo coinvolgimento controrivoluzionario a sostegno dello Stato e di supporto ai processi di ristrutturazione dello Stato soprattutto perché messi in discussione dall’innalzamento della guerriglia e dall’estensione dell’autonomia di classe. Sarà la crisi nel suo aggravarsi, nonostante la difensiva rivoluzionaria, che creerà le condizioni oggettive e politiche che da un lato renderanno obsoleta la vecchia classe dirigente e dall’altro costringeranno le forze riformiste a “farsi Stato” per salvare lo Stato.
N. 2 l’analisi sul sindacato rispecchia fedelmente il ruolo che questo ricopriva e i cambiamenti che lo investivano soprattutto in quella fase e questo perché, parlando di un terreno in cui l’attività dell’O è estesa e articolata, cioè la fabbrica, vengono colte le dinamiche reali che riguardano il rapporto tra il movimento operaio e il sindacato e quello che implicava lo sviluppo dell’autonomia di classe nel suo legame con la l.a. Un quadro di relazioni in cui risalta il condizionamento al “ consenso” a cui è soggetto il sindacato e quindi la contraddittorietà che ne consegue per le scelte del sindacato. Un dato questo che non è eliminabile malgrado l’evoluzione del neocorporativismo con tutto quello che ha comportato sia rispetto al progressivo cambiamento delle forme di rappresentanza in fabbrica che della struttura organizzativa e gerarchica del sindacato. Si può dire che tutti i passaggi affermati dal neocorporativismo, possibili entro una condizione politica sfavorevole al proletariato, hanno necessariamente comportato una progressiva formalizzazione del rapporto sindacato-base operaia sia con l’istituzione di filtri ai vari livelli rispetto alle sue rappresentanze dirette in fabbrica con l’inclusione di istanze esterne alla rappresentanza operaia) sia istituendo consultazioni tipo referendum che hanno reso sempre più formale il rapporto tra operai e istanze sindacali. Nel contempo le stesse istanze sindacali, dai direttivi in su, hanno subito una riformulazione organizzativa che ha svuotato i quadri intermedi delle problematiche che avevano per renderli funzionali all’applicazione delle decisioni dei vertici. Modifiche che sicuramente hanno reso più agibile la politica neocorporativa dei vertici sindacali ma che, per quanto sia divenuto rarefatto il rapporto con la classe operaia, non eliminano l’influenza di questa sulla politica sindacale, e questo per il ruolo politico che ricopre la classe operaia nello scontro, nonostante la sua relativa debolezza odierna. Un ruolo che spiega anche il fiorire del sindacato di base avvenuto dentro al venir meno del ruolo tradizionale, per i rapporti di classe in Italia, del sindacato.
Nella parte propositiva lo spaccato che le BR danno dello Stato del MPRO (Movimento Proletario di Resistenza Offensivo) è una lezione di metodo e lucidità politica che manifesta la profonda internità delle BR alla classe. Da una parte i compagni riescono a valorizzare la portata reale del MPRO rispetto all’evoluzione dello scontro rivoluzionario, movimento che è cresciuto in quantità e qualità per estensione, radicalizzazione, forme di resistenza, area di consenso alla l.a. Nel contempo questa lettura si avvale di un criterio metodologico di classe in grado di discriminare i comportamenti operai e proletari in tutte le sfumature e i livelli che compongono l’attività del MPRO, cioè rientrano in questo movimento tutti quei comportamenti, individuali, collettivi, legali o clandestini, sindacali o politici, che si oppongono alla ristrutturazione imperialista. In altri terminasi moltiplicano gli episodi di resistenza alla ristrutturazione in fabbrica sempre più spesso di tipo autonomo e, per altro verso, si organizzano azioni armate contro i capi, pestaggi, ecc…., sempre più aperta è la contestazione della politica del PCI rispetto all’accordo a cinque e al sindacato.
Unitamente alla capacità di analizzare i comportamenti operai che rientrano nel movimento offensivo, si sottolinea l’importanza della scesa n campo, con la crisi, degli strati proletari espulsi dal processo produttivo con la ristrutturazione. Strati destinati a crescere quantitativamente e che sono il miglior alleato della classe operaia, ma è quest’ultima che costituisce il principale strato di radicamento della lotta armata.
Più in particolare i compagni valutano che nell’ultimo anno il salto di qualità che si è verificato ha significato un allargamento di massa del consenso alla l.a. e una maggiore comprensione dei termini politici dello scontro che ha portato all’assunzione spontanea di livelli organizzativi armati e clandestini da parte di nuclei operai che affiancano le OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti). Un’evoluzione che per estensione e qualità politica non ha precedenti (gli attacchi organizzati spontaneamente contro la DC, i carabinieri, nelle fabbriche…) e che, pur nella loro parzialità si riconoscono in una strategia unificante, quella dell’attacco al cuore dello Stato. In questo i compagni ravvisano un passaggio sempre più aperto alla guerra di classe.
N. in quest’ultimo passaggio ci sembra che è ravvisabile ancora una volta la contraddizione potenziale della linearizzazione e anticipazione della fase di guerra. In altri termini se non c’era dubbio che l’attacco al cuore dello Stato era la parola d’ordine a cui si relazionava l’iniziativa spontanea e che vi era un obiettivo riconoscimento della linea strategica unificante, cioè la strategia della l.a., questo dato, per costituire un effettivo spostamento sul piano della guerra di classe, poteva darsi soltanto dell’attivo intervento soggettivo dell’avanguardia, che solo con la sua opera di direzione poteva modificare qualitativamente i caratteri del MPRO per la concretizzazione degli elementi soggettivi della fase rivoluzionaria di guerra. Motivo di questa sfasatura non è affatto la tendenza a negare il rapporto coscienza/spontaneità e la funzione di Partito, ma è verosimilmente il prodotto dell’anticipazione dei caratteri di fase di guerra come se tutti i processi rifossero accelerati e risolti di per sé, una sfasatura a nostro avviso alimentata sempre dal contesto congiunturale di crescita rivoluzionaria della fase scontro, una sfasatura che solo più tardi e unitamente all’insorgere di altre contraddizioni, contribuirà alle deviazioni politiche.
Si afferma giustamente che proprio il legame che si è stabilito tra l’attività delle OCC e questo movimento di resistenza offensivo,con le sue caratteristiche di estensione, coscienza politica, radicalizzazione e continuità che fa traballare l’accordo a cinque, delegittimando e smascherando la cogestione e il ruolo collaborazionista dei berlingueriani.
È a partire da questo dato qualitativo dello scontro che l’attacco della BI non si limita più a colpire l’avanguardia, ma cerca di rompere le radici che questa ha affondato nella classe operaia, intenzione che se già si era manifestata in una campagna terroristica di stampa rispetto ai settori operai dell’area torinese e ligure, dopo l’azione Moro con le leggi speciali opera con vere e proprie azioni di guerra contro interi quartieri proletari. Ma tra i termini dello scontro il principale è la crescita del terreno rivoluzionario. Ed è a partire da questa crescita che i compagni criticano e analizzano la politica del riformismo in quel momento. Si individua con chiarezza il ruolo assegnato dalla borghesia imperialista ai berlingueriani, che nella cogestione è quello di reprimere e fare del terrorismo rispetto alla l.a. e alle avanguardie di classe, motivo per cui le avanguardie dovevano assumersi il compito di fare chiarezza negli ambiti di classe riguardo al ruolo dei berlingueriani, affinché questi fossero isolati politicamente. Ma questo significava anche precisare che i riformisti non sono la contraddizione principale, perché se è vero che costoro si identificano totalmente con i problemi e le direttrici imperialiste, sono un aspetto complementare la cui esistenza è un prodotto dell’esistenza del capitale.
Una precisazione indispensabile di metodo e di merito che contribuisce a mettere nella giusta luce l’affermazione contenuta nella DS ’78 circa il ruolo ideologico e controrivoluzionario che i riformisti vanno ad assumere nell’approfondimento della guerra di classe, motivo per cui non è escludibile che andranno affrontati anche militarmente. In altre parole vanno attaccati per il ruolo di spie e infiltrati che si sono assunti, e non in quanto esponenti del partito riformista.
Proprio a partire dal ruolo che i berlingueriani (e il sindacato) si erano già assunti in quella fase contro la guerriglia e cioè di individuazione delle avanguardie che praticavano la l.a. i compagni spiegano ancora i comportamenti di classe nei confronti dei riformisti, con quel criterio che espressione della massima coscienza di classe e che sa leggere nel modo dovuto quelli che possono apparire comportamenti “contraddittori”: la diminuzione delle contestazioni palesi,anche clamorose degli operai contro il sindacato e i PCI, che poteva apparire come un calo di tensione dell’autonomia di classe, in realtà indicava l’adeguarsi degli operai ad una situazione di criminalizzazione e spionaggio, a cui facevano fronte sul piano generale con atteggiamenti di indifferenza, in particolare assumendo logiche clandestine anche nel ricollocare il dibattito. Un’attivazione del dibattito per linee interne a gruppi operai che soprattutto sposta la problematica della discussione dai problemi sindacali a quelli della l.a. Questo dimostrava già la forte politicizzazione dello scontro ma soprattutto la conferma che nella coscienza del proletariato era ormai radicata la necessità storica della lotta armata.
A conclusione di questa valutazione dello stato delle OCC e della ricchezza politica che si è maturata, dei livelli di combattimento espressi dal movimento, riguardo al trovarsi di fronte ad una situazione di passaggio di fase rivoluzionaria, se ne precisano i termini e i compiti che comporta, sia come indicazioni che come atteggiamento tattico, nel senso che col progressivo esaurirsi della fase di PA (Propaganda Armata) si entra in quella di disarticolazione dello Stato in tutte le sue ramificazioni, nella prospettiva della guerra civile vera e propria. Un cruciale passaggio che imponeva un salto di qualità alle OCC in termini di comprensione e di iniziativa politico-militare. Da qui la necessità di chiarire (e liquidare) le tendenze erronee presenti nel movimento rivoluzionario: la tendenza al sindacalismo armato che significava tramutare la l.a. in forma difensiva come strumento per difendere gli spazi acquisiti. Contro questa linea economicista c’è il massimo della chiarezza e determinazione considerando che proprio nell’intervento in fabbrica si presentavano già i primi episodi di sindacalismo armato. All’interno di ciò si critica anche il sabotaggio dei mezzi di produzione in quanto del tutto inadeguato alla fase dello scontro perché forma tradizionale di resistenza individuale della classe operaia e l’alzare il tiro su questo terreno non la qualificava diversamente. Poi, però a patire dall’errore di valutazione su alcuni aspetti delle innovazioni tecnologiche, come le macchine a controllo numerico, viste come elemento di repressione, si concepisce un livello di intervento su questo terreno. Una contraddizione in termini considerando che la critica al sabotaggio è motivata richiamandosi al fatto che bisogna interpretare i bisogni politici della classe operaia, la sua esigenza di potere , dando respiro strategico nel combattimento contro la struttura imperialista, di momenti parziali di resistenza della classe operaia.
A conclusione dell’opuscolo viene posto al centro dei compiti della fase di scontro la costruzione del PCC come improrogabile, precisando che la costruzione del Partito non può essere intesa come una sommatoria di forze, ma si da dentro un confronto e una battaglia politica anche aspra sulla costruzione di una linea politico-militare. Solo così, infatti, è possibile riunificare le espressioni parziali di resistenza, non disperdendo il vasto potenziale che si è prodotto, vale a dire nella capacità di sintetizzare al punto più alto quello che si esprime nel movimento di resistenza, articolando l’attacco a partire dalla contraddizione principale nel suo aspetto dominante. Solo nel Partito è possibile riunificare intorno alla direzione della classe operaia tutti gli strati proletari che si sono mobilitati in questa fase e che hanno contribuito all’estensione e alla radicalizzazione del movimento. Per altro verso la costruzione del Partito si da solo a partire dalla più stretta clandestinità, che va intesa in senso strategico e non difensivo e dentro ai criteri del centralismo democratico. Solo così è possibile confrontarsi e resistere alla repressione e all’accerchiamento strategico dell’imperialismo pur vivendo in mezzo al popolo. Queste sono le premesse indispensabili per l’organizzazione del reparto più avanzato della classe operaia nucleo strategico dell’esercito proletario nella prospettiva della guerra di popolo di lunga durata.
Proprio in riferimento ai cambiamenti della situazione rivoluzionaria che evolvevano nel superamento della fase della PA non si trattava più tanto di radicare la l.a., ma di organizzare la lotta sotto la direzione del Partito, un obiettivo che comportava già in quella fase la costruzione di un Programma in grado di riunificare i diversi terreni di combattimento così da articolarli all’interno di un’unica linea strategica. Entro questa prospettiva sono consequenziali le indicazioni al MPRO: organizzarsi sulla l.a. articolando le indicazioni delle OCC per estendere le lotte contro la ristrutturazione nelle fabbriche, unificarsi intorno alla costruzione del PCC sul programma strategico della Guerra Civile Antimperialista per il Comunismo.
Nota. Pensiamo di poter affermare che l’opuscolo sia il prodotto del fronte delle fabbriche, in quanto nella sintesi politica e nelle indicazioni si riflette la tipica attività del FF (Fronte delle Fabbriche). Se consideriamo che la DS ’78 poneva la necessità di un rilancio dell’attività dei fronti e tenendo presente l’innalzamento dello scontro a seguito della Campagna di Primavera, l’opuscolo dimostra proprio l’impulso che vuole essere dato all’attività di fronte. Infatti è tangibile dall’opuscolo la volontà di far vivere il principio che i fronti sono i vettori della linea politica sui terreni specifici di combattimento, cercando di concretizzare un nodo posto dal rilancio e cioè che i fronti dovevano assolvere alla centralizzazione politico militare nella funzione di direzione in relazione all’estensione nel territorio delle strutture d’O. Ovvero tutte le iniziative particolari che si davano sul terreno delle fabbriche, nonché la loro dimensione parziale, sono riportate al piano generale e sempre ricondotte al punto più alto dello scontro. In questo senso a partire dall’analisi della ristrutturazione in fabbrica e ella controparte, le iniziative di combattimento dirette contro tutti i diversi livelli del comando in fabbrica, della linea confindustriale, della DC, dei CC … sono articolazioni interne alla linea d’attacco unificante contro la ristrutturazione imperialista.
Alla stessa maniera l’analisi della situazione politica in fabbrica sia in rapporto ai padroni che ai riformisti è ricondotta al quadro dell’analisi generale, ovvero alle tendenze reali operanti nel rapporto generale tra le classi. Sotto questo profilala riprova in positivo sta nel collocare sul terreno generale la lettura particolare di quello che si verificava sul terreno di scontro in fabbrica e nel contempo nel ricondurre le espressioni particolari di lotta sul terreno generale.
Un’ulteriore dimostrazione dell’impulso che come fronte si intende dare all’attività di direzione sta nel porre indicazioni generali dell’O quale piano propositivo rispetto al movimento rivoluzionario e ai gruppi organizzati sulla l.a. che agivano sul terreno delle fabbriche, come anche sta nelle valutazioni che vengono date sull’evoluzione dello scontro riv allora in atto.
A questo proposito due passaggi dell’opuscolo dimostrano come i compagni abbiano il polso concreto delle modifiche che stanno intervenendo sul piano rivoluzionario in quanto sono in grado di cogliere nel profondo quello che ha innescato la crescita dei fattori soggettivi della rivoluzione, in particolare quando si valutano lo sviluppo del MPRO, per le caratteristiche che ha raggiunto in rapporto a quanto immesso dalle OCC, un rapporto che ha costituito elemento qualificante dell’evoluzione della fase rivoluzionaria. Una valutazione che mette a fuoco una modifica divenuta irreversibile nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione a prescindere dal subentrare delle fase di ritirata e dal conseguente riflusso del MPRO.
Valutazione che non poteva che essere tratta a seguito della Campagna di Primavera, a partire dalla ricchezza politica che questa ha sviluppato, come anche solo in quel momento poteva essere rilevato in tutta la sua portata politica il fatto che nel proletariato si era radicata la coscienza della necessità storica della lotta armata.
In altri termini l’affermazione generale resa possibile dall’esordio della guerriglia, e cioè che solo questa rispondeva ai bisogni politici del PM (Proletariato Metropolitano), a seguito della promozione del processo rivoluzionario innescato dalla l.a., diventava evento politico concreto, fatto proprio dalle espressioni più avanzate della classe operaia.
Queste affermazioni hanno un valore di carattere generale e costituiscono a tutt’oggi il pilastro del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, classe/Stato.
Lo sforzo di direzione è ugualmente ravvisabile nel saper ricondurre tutta quella che è l’articolazione dell’attività combattente sul terreno delle fabbriche all’interno di quella che è, sul piano generale, una definizione più precisa della modifica della fase rivoluzionaria. In questo quadro si precisa l’atteggiamento tattico inerente all’entrata in una fase di transizione che con l’esaurirsi della P.A. va verso la guerra civile aperta, cioè di disarticolazione politico-militare del regime. Conseguentemente si definisce la disposizione delle forze sulla l.a. che, non ruotando più sulla necessità di radicare la l.a., è volta ad organizzare le forze sulla l.a. intorno alla costruzione del PCC.
Questi a nostro avviso sono gli elementi qualificanti che rispecchiano un’attività da Partito interna a un fronte di combattimento, quello delle fabbriche. In questo quadro le discrepanze con la L.P. (Linea Politica) della DS ’78 a livello dell’analisi economica come anche la potenziale contraddizione relativa all’anticipazione della fase rivoluzionaria di scontro sono elementi che non hanno ripercussione pratiche nell’indirizzo di lavoro di questo Fronte.
09/06/1997

L’inadeguatezza delle finalità in cui veniva incanalato il lavoro di costruzione (il PGdC) rendeva fragile lo sforzo orientato alla riqualificazione della direzione, e l’O invece di averne un risultato di coesione si trovava a fare i conti con le spinte disgregative prodotto della dinamica dei Fronti. Se questo è il quadro di fondo che crea la tendenza al collassamento dell’O, avvertita ma non collocata, la coscienza che l’O ne aveva era limitata ai problemi più manifesti, alle contraddizioni che erano deflagrate (il frazionismo di Mi e Na). In altri termini in quel momento della vita dell’O essa non poteva avere coscienza delle dinamiche complesse che sottintendendo le problematiche con cui un’O guerrigliera si deve misurare nell’assolvere ai compiti posti dallo scontro, ovvero non poteva avere chiaro in quel momento i diversi livelli di contraddizione e inadeguatezze che si erano accumulati nel suo percorso. Il primo atto politico che l’O fa suo di fronte alle deviazioni è di affermare la necessità di affrontare la battaglia politica, perché solo espellendo le concezioni sbagliate può avvenire il consolidamento sui contenuti, si può affermare la linea giusta.
È l’assunzione di questo principio rivoluzionario, piuttosto che le indicazioni della DS ’80 che consentirà di mantenere fermi i capisaldi di strategia dell’agire della guerriglia e che nella battaglia consentirà di precisarli meglio sfrondandoli dagli errori e dalle inadeguatezze. In pratica l’O, proprio nel misurarsi con le forme negative che assumevano le deviazioni della colonna napoletana, è obbligata a riprecisare la visione e la pratica corrette: dalla critica alla parzialità, alla riaffermazione della centralità operaia, dalla critica dell’uso contraddittorio della LA alla riaffermazione della pratica di potere, infine la critica ad una prassi sviluppata per affermare delle tesi anziché affermare il programma rivoluzionario. Anche se in questo momento della sua vita l’O non riesce a dare soluzione al complesso delle contraddizioni e delle inadeguatezze, è vero che nel momento in cui riesce ad affrontare quelle che si pongono davanti, il modo con cui le affronta consentirà di salvaguardare il corpo centrale delle tesi d’O e la metterà nelle condizioni di operare la scelta più giusta, la RS, quando le contraddizioni deflagreranno tutte nell’impatto con la controrivoluzione. È grazie a questo percorso, pur nella sua estrema non linearità, che l’O prenderà coscienza che è cambiata la fase storica, e che quindi deve modificare i termini della fase rivoluzionaria, e solo nel prendere coscienza dei problemi di fase l’O sarà in grado di prendere coscienza delle proprie inadeguatezze, capendo la natura dei limiti accumulati e disponendosi a ricentrarli e rilanciare adeguatamente l’attività. Lo svolgimento pratico di questa dinamica rende il senso della natura dei riadeguamento che sono caratterizzati storicamente a seconda del grado di evoluzione politica dell’O, ossia quanto sapere ha accumulato dall’esperienza rispetto a tutti i diversi piani che investono una forza rivoluzionaria che sviluppa un processo di guerra (sia al suo interno che nella sua opera di direzione) in quanto lo sviluppo della guerra di classe mette in moto dinamiche che implicano l’affrontamento di piani complessi la cui conoscenza è un processo indotto da come procede lo scontro e da come interagiscono i suoi protagonisti, Stato/classe/forze rivoluzionarie. Nella fattispecie dei due documenti letti, l’O in quella fase della sua vita è in grado di affrontare all’inizio le deviazioni politiche e poi, quando lo Stato scatenerà la controrivoluzione, prenderà coscienza e affronterà i problemi di fase. È nel frangente della controrivoluzione dell’82 che l’O acquisisce una straordinaria lucidità sui termini della guerra in generale, e di come si riverberavano nella fase di scontro e, di conseguenza, cosa comportavano nella fase rivoluzionaria per i compiti che apriva, primo fra tutti la giusta collocazione della natura della repressione dello Stato democratico borghese, e contemporaneamente imparare a praticare la ritirata.
La lucidità con cui tratteggia i caratteri generali dello scontro per come si presenta in quel momento non contiene la capacità di vedere a fondo tutte le implicazioni che vivono in potenza nella controrivoluzione scatenata dallo Stato e nella scelta che l’O stessa aveva operato con la RS, in quanto la situazione è collocata in un quadro dinamico che porta ad evoluzione rapida i fattori che la contraddistinguono; in questa situazione la visione della RS è limitata alla questione della salvaguardia delle forze (di classe e rivoluzionarie) dagli effetti della tortura e della controffensiva del nemico e il riadeguamento alla “nuova fase della guerra di classe” più come un’intuizione non suffragata da una cognizione di causa effettiva di quello che necessitava, perché in quel momento la RS è concepita all’interno delle direttive della DS ’80 e l’O è ben lontana dal qualificare la reale connotazione che andava assumendo il rapporto rivoluzione/controrivoluzione e quindi di come dovevano essere ricondotti i termini della guerra rivoluzionaria dentro all’approfondimento che si profilava. Questo approfondimento, come sappiamo, porterà a mettere in discussione anche i concetti più saldi ma questo non impedirà, secondo una legge della rivoluzione che tutte le acquisizioni e le intuizioni affermate dall’O troveranno, nel corso dell’affrontamento delle contraddizioni, la loro riproposizione in avanti.
Se questo è il quadro in cui inizia il processo autocritico di individuazione dei limiti e degli errori, ha una sua precisa importanza analizzare bene la dinamica reale che ha investito l’O, il perché l’affrontamento si è dato in un certo modo, assumendo certe forme. Questa analisi non si può fare senza avere di fronte il processo reale che l’O aveva messo in moto e il tipo di problematiche su cui esso si sviluppava, ovvero su cui si imperniava l’adesione di massa sulla LA. In questo senso è ovvio che l’O si mette sotto esame a partire dal percorso materiale che ha compiuto e quindi non può che iniziare col chiedersi se ha assolto o meno agli obiettivi della DS ’80, primo fra questi l’obiettivo centrale della riqualificazione della direzione. Nella coscienza di aver sempre fatto battaglia con il movimento rivoluzionario proprio per affermare la concezione giusta del ruolo dell’avanguardia rivoluzionaria, cioè una concezione che rifugga dalla logica di gruppo per porsi come “fusione teorico-politico-militare di organizzazione di soggetti reali ed interni alla classe”, dentro questa coscienza l’O si mette a nudo per individuare come è stato possibile che queste tendenze si ripresentassero al suo interno nella forma del soggettivismo d’O.
Nel tentativo di stanare questa tendenza si cerca di mettere in relazione le leggi della guerra rivoluzionaria, a partire dallo sviluppo raggiunto dalla guerra di classe in Italia, con i come l’O è riuscita a svolgere il ruolo di direzione in questo movimento da essa stessa prodotto. Ovvero cerca di mettere in relazione l’organizzazione di strati di classe e di avanguardie sulla LA e la direzione dell’O di questo processo, più precisamente la critica entra nel merito di come la tendenza soggettivista abbia snaturato la realizzazione di questa dialettica. L’O si trova a mettere sotto la lente d’ingrandimento la concezione leninista del rapporto Partito/masse, proprio a partire dalle manifestazioni più evidenti del soggettivismo che si erano prodotte in quel periodo, per stigmatizzarle. Nell’indagare il perché la tendenza soggettivista ha confuso la disposizione delle avanguardie e dei comunisti sulla LA con l’adesione di massa alla LA, ovvero l’attività dei gruppi organizzati sulla LA come se fossero strati di classe, ovvero come è stato possibile perdere il principio che direzione delle masse implica assumere l’analisi del movimento generale di classe e non solo degli strati immediatamente disponibili alla LA, l’O è obbligata ad esaminare i motivi che hanno originato questa tendenza al soggettivismo, in questo senso esamina la questione della proprietà della guerriglia di essere sempre all’offensiva. Questo nel tentativo di distinguere il movimento reale di offensiva, che è aderente ad una determinata situazione di scontro, dal carattere generale di fase che imprime l’indirizzo generale ai compiti: l’O si rende conto di come, a partire dalla peculiarità della guerriglia e da quanto da essa messo in campo, ad un certo punto sia entrata in una logica di rincorsa dell’offensiva, e questa cosa nella misura in cui era percepita con metro soggettivo, ha creato una sfasatura con il reale stato della classe, dello scontro e della fase rivoluzionaria.
Per meglio mettere a nudo tutte le conseguenze negative di questa logica soggettivista, alimentata anche inconsapevolmente dalla frenesia di mantenere l’offensiva, l’O è obbligata ad esaminare come questa incida sulle valutazioni della fase di transizione e come induca ad accorciare o prefigurare gli anelli mancanti di questa, e questo perché è portata ad assolutizzare, nel rapporto crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione il secondo termine leggendolo rispetto all’attività d’avanguardia, non riuscendo a legare il movimento reale di classe che è condizionato dal primo termine. Ed è nella necessità di precisare questa critica che viene esaminata la questione delle fasi rivoluzionarie, proprio per distinguere cosa caratterizza una fase rivoluzionaria, ovvero quali sono i fattori che vi influiscono dentro la dialettica crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione, e quali sono le condizioni da ottemperare per dichiarare la chiusura di una fase e l’apertura di un’altra. Nel richiamo al percorso generale della guerra di classe che dalla difensiva strategica si muove verso l’offensiva strategica, l’O definisce la natura di fase generale, come ad esempio la fase di Propaganda Armata che si è appunto evoluta dentro a diversi momenti congiunturali; all’interno di questa precisazione l’O cerca di qualificare il processo reale che fa muovere le condizioni di una fase, e preciso che comunque il carattere di una fase generale da il quadro strategico che informa il tipo di attività d’O, e non viceversa. In sintesi c’è uno sforzo di depurare dalle deviazioni soggettiviste che si erano manifestate in quel periodo, l’analisi rivoluzionaria di come dev’essere condotta la guerra di classe per meglio precisare l’attuale momento della congiuntura della transizione. Non è strano che a partire dal mettere al centro la correttezza o meno del rapporto Partito/masse ne scaturisca un’indagine concatenata dei vari piani della guerra di classe. Questo perché il rapporto Partito/masse per la guerriglia implica immediatamente la messa in atto del processo distruzione/costruzione, proprio di una guerra che unisce il politico e il militare. In questo senso necessariamente mette in gioco la capacità dell’O di avere una visione strategica e tattica corrette, ovvero implica la correttezza di visione della disposizione generale delle forze e di quella tattica, quindi richiede una chiarezza estrema sul carattere della fase in cui in un certo momento è situata la guerra di classe, proprio perché la dialettica con la classe è mirata a disporla confacentemene secondo le finalità proprie della fase. Quello che viene fuori dall’analisi del materiale è che il processo autocritico che l’O ha messo in moto in questa fase, pur toccando i nodi focali della sua inadeguatezza, compresa l’intuizione di essere soggetta anche “involontariamente” a una visione linearista dello scontro, non riesce a sviscerare completamente la natura del problema, non riesce ma non potrebbe nemmeno, stante lo stadio di maturazione delle problematiche in quel momento imperniatesi limiti del soggettivismo d’O. in altri termini al concezione linearista della guerra rivoluzionaria che era a monte dei limiti d’O e che permea le direttive della DS ’80, grava come un involucro sul tentativo di ricentramento autocritico delimitandone in quel momento lo sbocco. Una visone lineare che, estremizzando il paradigma crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione, influenza in negativo l’analisi dello scontro, perché nella linearizzazione della crisi della borghesia, privata dei suoi processi contraddittori, l’analisi dello Stato ne risulta appiattita in un processo meccanico che ormai è rivolto alla guerra esterna-guerra interna.
In questo quadro l’O pur avendo intuito la profondità della controrivoluzione dello Stato degli anni ’80, la colloca come un prodotto”consequenziale” dell’acutizzarsi del processo crisi-ristrutturazione a cui l’O doveva adeguarsi con la RS, non a caso per scongiurarne gli effetti repressivo-militari, visto il livello raggiunto con le torture. Di conseguenza è ovvio che la RS, pur collocata nella fase di difensiva strategica e vista come prima tappa per raggiungere l’obiettivo di tornare all’offensiva. I percorso autocritico dell’O sarà comunque destinato ad infrangere l’involucro del linearismo, e questo perché lo stadio autocritico dell’O sarà comunque destinato ad infrangere l’involucro del linearismo, e questo perché lo stadio autocritico messo in moto produrrà, in un processo per salti, in rapporto allo scontro, le condizioni soggettive per l’affrontamento dei nodi rimasti irrisolti, ricalibrando anche la natura reale della controrivoluzione degli anni ’80 rispetto ai caratteri effettivi dello scontro. Ciò che va sottolineato, è la valenza che assume anche in questo stadio, l’aver toccato problematiche così complesse relative alle fasi rivoluzionarie nella conduzione della guerra di classe, senza che siano messe in discussione le peculiarità dell’agire della guerriglia, anzi considerando tutte le implicazioni che ne scaturiscono rispetto alle particolari leggi della guerra del nostro processo rivoluzionario.
È da sottolineare l’analisi approfondita della controrivoluzione circa gli obiettivi politici ricercati dalla borghesia e non raggiunti, nella messa a fuoco della portata della controffensiva che va ben oltre il ridimensionamento della guerriglia per riversarsi sul corpo di classe allo scopo di far retrocedere le posizioni di classe. A quattro mesi dal volantino sulla RS si coagulano le prime riflessioni in una bozza di documento che cerca di fare il punto e trarre delle indicazioni dal rapido mutare degli eventi. È interessante notare come il processo di razionalizzazione da parte dell’O sulla controrivoluzione dello Stato si faccia strada man mano facendo avvertire nella coscienza dei compagni tutto il peso delle conseguenze sul piano di classe e dei rapporti di forza. Infatti nella «bozza» si fa una fotografia fedele e spietata della natura e genesi della controffensiva della borghesia, di come l’O nei fatti si è trovata impreparata non avendo colto i segnali che si erano manifestati su più piani rispetto alle avvisaglie materiali e politiche, rispetto alla necessità della borghesia dentro alla sua crisi crescente di ristabilire il controllo sullo scontro di classe facendo i conti con le BR e con la strategia rivoluzionaria; è per questo che l’offensiva assunta dallo Stato coinvolge anche i padroni e tutte le articolazioni sociali e istituzioni che contribuiranno ad articolarla in tutti gli interstizi sociali. È fuor di dubbio che l’ondata controrivoluzionaria per la profondità degli obiettivi che persegue e i mezzi con cui li persegue, è destinata ad avere un impatto incisivo nei rapporti di forza, stante lo scopo di distruggere sul nascere il SPPA in costruzione. Ed è per questo che non si limita a colpire l’O ma tocca tutti i settori di classe dialettizzati con la LA. In poche parole già allora l’O individuava tutte le caratteristiche di una vera e propria controrivoluzione, lucidità suffragata dai fatti che si succedevano quotidianamente, che di per sé no consentivano più di argomentare il carattere del quadro di scontro negli stessi termini di qualche mese prima, quando la stessa controffensiva era vista come una reazione lineare della Stato alla sua crisi che però non incideva in modo decisivo sullo stato della rivoluzione e ai suoi obiettivi a medio termine. Ora anche se mancava la chiarezza completa e la contestualizzazione giusta dei caratteri dello scontro e della situazione rivoluzionaria, si avverte che c’è un cambiamento generale nella fase di cui si prende atto, non fosse altro per lo scompaginamento della base sociale del SPPA in costruzione.
Su un altro piano è possibile rilevare il fenomeno dell’effetto ridimensionamento sul sentire dell’O. Ci riferiamo al fatto che la coscienza del primato della controrivoluzione inevitabilmente produce un istinto di sottrazione ai suoi effetti, con delle conseguenze sul piano politico di proposte incoerenti, che in quel contesto non sono l’origine di chissà quali deviazioni, né di quella futura che, come sappiamo, poggia su una dinamica differente e ben definita. Queste proposte incoerenti, pura reazione all’attacco dello Stato, teorizzano di sottrarre l’individuazione dei diversi anelli di costruzione dell’articolazione del potere proletario armato, investendo le più “larghe masse” del terreno della LA, cioè allargando a livello di massa l’area rivoluzionaria come barriera alla caccia repressiva e come futuro bastione da rivolgere contro la controffensiva della BI. Una proposta così incoerente non può che trovare una ipotesi di praticabilità ancora più incoerente, dato che l’attivizzazione di queste larghe masse sarebbe dovuta avvenire attraverso il lavoro legale! Non solo la teorizzazione dell’adesione di larghe masse contemporaneamente sulla LA cozza con la concezione scientifica di come gli spezzoni di classe si accorpano nella guerra di classe, concezione, è inutile ripeterlo, teorizzata e praticata dall’O fin dalla sua origine, ma soprattutto il compendio del lavoro legale, con le sue presunte proprietà di uso propagandistico del lavoro rivoluzionario, è la negazione di quanto la LA stessa ha dimostrato nella sua pratica.
A un anno di distanza dall’apertura della RS nella vita dell’O matura un passaggio cruciale rispetto al processo autocritico, che per essere ben compreso va calato all’interno dei mutamenti che nel frattempo si erano verificati nello scontro:
- per quanto riguarda lo Stato la controffensiva ha decantato il suo massimo impatto controrivoluzionario avendo conseguito lo scompaginamento degli ambiti di classe che si dialettizzavano con la LA insieme al forte ridimensionamento politico organizzativo delle BR; controffensiva che ora viene capitalizzata sul piano politico dei rapporti tra le classi come si evinceva dalla messa in discussione della scala mobile e degli altri provvedimenti antiproletari in cantiere; al lato di questo rilancia sulla scena internazionale il suo protagonismo interventista all’interno della più generale tendenza guerrafondaia imperialista esplicitata in quella fase.
- per quanto riguarda l’O il ridimensionamento ha comportato modifiche al suo stato di forza rivoluzionaria costringendola a derogare da quelle che erano le sue strutture politico-organizzative e a ridurre la portata dell’attività d’O; una condizione che ha un riflesso implicito di sbandamento nel militarismo d’O, in ultima istanza recuperato dall’O tenendo fermi due capisaldi fondamentali: che l’O non si scioglie nel movimento rivoluzionario e che la strategia della LA non è messa in discussione;
- per quanto riguarda il movimento rivoluzionario, non c’è dubbio che la crisi del processo rivoluzionario e la controffensiva dello Stato si riversano in negativo sul suo stato politico: un arretramento nello scontro che apre spazi alle tendenze piccoloborghesi e opportuniste nel movimento, non più frenate dalla guida teorico-ideologica-programmatica operata dalla prassi rivoluzionaria prima della spaccatura; tendenze piccoloborghesi che in questo contesto saranno portate a legarsi all’ultrasoggettivismo del PG creando una situazione di degenerazione politica;
- infine, per quanto riguarda la classe operaia, dove l’influenza delle tesi soggettiviste è minima, essa pur se attaccata profondamente dallo Stato e dalla borghesia, riesce a mettere in campo quella che l’O chiama “resistenza attiva”, in quanto la controffensiva non ha potuto eliminare né il carattere antagonista dell’attività di classe, né i suoi livelli di autonomia politica.
Questa è la ragione per cui l’O si trova a dover stringere le fila dovendo fare i conti materialmente con tutti questi piani; stringere le fila per l’O significa da una parte non concedere niente sul piano del processo autocritico che andava portato fino in fondo, e nello stesso tempo condurre un’intransigente battaglia non solo al suo interno ma proprio nel movimento rivoluzionario per tentare di debellare tutte le forme individuate del germe soggettivista. Una battaglia che conduce in una condizione obiettiva di massima debolezza dove appunto risulta appannata l’autorevolezza del suo ruolo (se paragonato a quello avuto fino all’82), ma sarà questa battaglia, e la determinazione a condurre fino in fondo l’autocritica, che in queste circostanze è il massimo del coraggio politico, che consentirà di operare una profonda discriminazione nelle posizioni che si esprimono nel movimento rivoluzionario e di classe, facendo emergere, tra le sue fila, le componenti più mature, un discrimine che, obiettivamente prima ancora che soggettivamente, porta a maturazione la disposizione di questi compagni verso gli inderogabili compiti del processo rivoluzionario, nel senso che la loro attività è immediatamente funzionalizzata al rapporto con l’O e quindi alle sue indicazioni di lavoro nello scontro, rompendo con quella che era la prassi passata di fare cioè gruppo pur se in riferimento alla LA
Un dato che determina nei fatti un’evoluzione nella disposizione delle forze alle nuove condizioni, frutto in primo luogo di come l’O ha lavorato tenacemente in quel frangente a tenere le fila della proposta rivoluzionaria, proprio nel mentre la riesamina per individuarne gli errori. L’opera di ricentramento iniziata dagli aspetti più manifesti del soggettivismo nel corso dell’ultimo periodo critico viene assunta dall’O nella sua totalità, anche perché gli obiettivi posti con la DS ’80 e i termini di lavoro rivoluzionario (costruzione del SPPA, Programmi immediati, ecc) sono via via franati a fronte della deriva delle deviazioni soggettiviste e della controffensiva dello Stato. Dentro a questa consapevolezza per l’O non vi è altra strada che rimettere in discussione l’intero impianto strategico (inteso nella prospettiva delle fasi rivoluzionarie per come era stata prefigurata), in quanto un ricentramento che fosse rimasto alla superficie non sarebbe stato in grado di mettere l’O nelle condizioni di rettificare la portata reale degli errori e “per adeguarsi ai nuovi compiti”. È all’interno di queste considerazioni che l’O sceglie, nella dialettica continuità/rottura, di privilegiare la rottura. Una scelta questa obbligata per una forza rivoluzionaria, e in questo senso, come essa stessa ha coscienza, è indice di maturità politica e del suo spessore, in quanto nessuna forza rivoluzionaria può aggirare gli ostacoli dati dall’accumularsi delle inadeguatezze. Nello stesso tempo questa scelta mette a repentaglio l’O in quanto è effettuata nel contesto di massima debolezza politica e militare dell’O e Tanto più prevale la necessità di mettersi a nudo, tanto più risente delle spinte e controspinte che scaturiscono dal contesto politico in cui l’O agisce nel suo ruolo d’avanguardia. Seppure c’è la consapevolezza, come considerazione politica, dei pericoli potenziali, tuttavia l’O è ben lontana dal poter conoscere tutte le contraddizioni a cui andrà incontro. Già questo materiale è un primo punto di approdo, dopo aver superato un forte sbandamento, determinato dalla deroga al modulo politico-organizzativo e la rimessa in discussione dell’impianto, un approdo imperniato sui due punti cruciali detti sopra.
Infatti, se l’O è attrezzata al compito di affrontare fino in fondo le infiltrazioni piccoloborghesi di soggettivismo ed economicismo militarista ritenuti a ragione antagonisti allo sviluppo della politica rivoluzionaria, in quanto sono gli ostacoli che ha avuto di fronte e che ha imparato a conoscere, è inconsapevole rispetto a contraddizioni di tipo nuovo che nascono da precise leggi della guerra in questa fase di offensiva dello Stato e che si innesteranno con le problematiche accumulate fino a quel momento Queste contraddizioni possono già essere percepite in questo scritto proprio laddove l’O esamina se stessa come forza rivoluzionaria in quanto è proprio questo l’ambito che investono. E proprio nel momento in cui l’O cerca di ristabilire, rivendicandoli, i punti fermi del suo ruolo d’avanguardia, e quindi sulla giustezza della scelta di operare la rottura, e soprattutto di farlo -senza delegare a nessuno questi compiti- che emerge la sfasatura e l’oscillazione tra affermazioni giuste e valutazioni contraddittorie, sfasatura che è subito visibile quando l’O, motivando la sua scelta di rimettere in discussione l’impianto, valuta la portata della sconfitta, infatti si contrastano i compagni che criticano la definizione di sconfitta generale, giustificandosi che il termine non coincide con la sconfitta della rivoluzione. Gli argomenti portati contro un’accezione limitata della portata della sconfitta, ad esempio di tipo tattico, manifestano l’influenza nell’O della contraddizione difensivistica propria dei rovesci militari, contraddizione che va a legarsi con il nodo irrisolto della concezione lineare per cui il fallimento degli obiettivi della fase di transizione, ovvero del SPPA in costruzione, sono tout court fallimento del progetto, e non fallimento di come è stata valutata l’apertura di una fase.
Più in generale pesa nella valutazione dell’O, la coscienza di come il suo ridimensionamento, la sconfitta di una campagna del peso di quella di Dozier, la repressione degli strati in cui viveva l’articolazione del progetto del SPPA e pure la distruzione del PG, abbiano inciso profondamente sui rapporti di forza tra le classi facendo indietreggiare le posizioni del campo proletario. Di fronte a questa coscienza e al senso di responsabilità che sente pienamente per il ruolo che svolge, l’O non può che valutare gli errori commessi come strategici, attaccando in questo senso la concezione della sconfitta tattica come lettura superficiale che non vuole assumersi tutto il portato del ruolo dell’avanguardia nello scontro rivoluzionario e di classe.
L’altra valutazione contraddittoria e incoerente nasce da come l’O si assume la battaglia al soggettivismo d’O, in quanto è tutta calata sulla falsariga che gli errori e le inadeguatezze risiedono nel non aver saputo dare soluzione ai “nuovi compiti”, e cioè ai compiti propri alla fase di transizione, dentro ai quali l’O doveva compiere “il salto da OCC a Partito che costruisce il Partito costruendo il SPPA”. Su questa falsariga, gli errori di soggettivismo sarebbero quelli di aver continuato ad agire come nella vecchia fase, cioè sviluppando l’attività “mettendo al centro se stessa come OCC” e in questo perdendo di vista il modo complessivo di operare dialettica con l’attività generale delle masse, una dialettica che nella critica fatta dall’O era menomata, limitandosi alla sola costruzione di “Nuclei” invece che OMR, ovvero il soggettivismo d’O veniva stigmatizzato nell’aver scambiato la costruzione e l’estensione di cellule e nuclei come l’estensione degli OMR, mentre invece in questo modo restava inevaso il passaggio cruciale nella fase di transizione, cioè la conquista delle masse sulla LA, attraverso la costruzione del vasto e articolato SPPA che può darsi nella capacità dell’O di saper attirare nel programma tutti i diversi livelli che si esprimono nella classe dentro la resistenza attiva a partire da quelli più alti. È evidente che non è sbagliata in sé la critica al soggettivismo d’O che pure c’era, come non è sbagliato l’inquadramento di questo tipo di dialettica, soprattutto se ci si riferisce ad una fase di offensiva strategica, ma al livello reale raggiunto dalla guerra di classe, questo tipo di inadeguatezze erano secondarie rispetto all’errore di impostazione di fase. Ma il mantenimento, nella visione d’O, della vigenza in quel momento della congiuntura di transizione al comunismo, non poteva che portare l’O a focalizzare la sua critica su questo campo e a vedere le soluzioni dentro a direttive che portassero al rilancio del SPPA. Ed è per questo che tutta la critica ruota intorno al presunto errore di dialettica con la classe e che sotto il peso del ridimensionamento militare degli addentellati del nascente SPPA, la soluzione data proponesse un fantomatico lavoro legale come panacea per contrapporre alla BI la ricostruzione di una controffensiva che per essere adeguata doveva appunto basarsi su una attivizzazione di massa, trasformando il potenziale della resistenza
Questa soluzione contraddittoria è un elemento di incoerenza che dalla apertura della RS viene fuori nella lettura critica dell’O, come terreno di immediato riflesso difensivistico dei colpi ricevuti e rimane un’espressione incoerente e impotente in quanto non trova sbocco pratico all’interno della concezione di distruzione/costruzione con cui l’O fa vivere lo sviluppo della LA. Oltretutto la soluzione del lavoro legale è resa ancor più contraddittoria dall’erosione profonda avvenuta nell’83 con i ridimensionamenti del terreno materiale su cui si basava la concezione del SPPA a cui comunque il lavoro legale si ispirava e doveva essere funzionale. Una soluzione incoerente che viene contrastata nell’O da chi la vede come una reazione alla sconfitta, critica a cui viene contrapposta una motivazione ancor più contraddittoria, affermando la praticabilità del lavoro legale in rapporto ad un movimento rivoluzionario e a una condizione di classe che non vengono visti in riflusso, quando in realtà era obiettivo l’arretramento del campo di classe. Se questi sono gli aspetti contraddittori che scaturiscono dall’affrontamento della controffensiva malgrado le posizioni di ripiegamento dell’O, e che restano non focalizzati perché nascondono problemi di cui l’O non ha coscienza, per contro, grazie alla stessa posizione di ripiegamento e al doversi confrontare con le degenerazioni dell’idealismo soggettivista nello scontro e con i problemi del ridimensionamento politico-militare, l’O è obbligata per mantenere una concezione materialista e realista del processo rivoluzionario, ad andare a fondo sia delle leggi della guerra rivoluzionaria in relazione a come si è evoluto il processo di guerra di classe in Italia, allo scopo di mettere a nudo la problematica dell’evoluzione delle fasi rivoluzionarie a partire dalla critica al soggettivismo, sia ad approfondire e a mettere a fuoco, nel combattere le degenerazioni dell’idealismo soggettivista, le categorie dell’analisi leninista dello Stato e della rivoluzione, riaffermando la conquista del potere politico come sbocco della fase di transizione.
Un avanzamento di rilevanza strategica perso di vista nella linearizzazione delle fasi che ridà concretezza agli obiettivi rivoluzionari in quanto toglie di per sé terreno alla concezione linearista e consente oggettivamente di porre le basi per riconquistare un criterio materialista di periodizzazione delle fasi rivoluzionarie. Il primo punto, ovvero le leggi della guerra di classe, viene approfondito per la necessità di meglio argomentare al movimento rivoluzionario e di classe le problematiche sorte intorno al nodo delle fasi rivoluzionarie e soprattutto nella scelta della RS. Nel fare ciò l’O ripercorre il corso del processo rivoluzionario fino a quel momento, puntualizzando in questa analisi i diversi momenti con un approfondimento e una riprecisazione che gli deriva da un accumulo di esperienza da essa maturate. In altri termini in questo breve bilancio, da un lato vengono rivendicate le motivazioni sostanziali dell’affermarsi della LA per il Comunismo, ovvero non risposta difensiva all’attacco padronale, ma “mantenimento” dell’offensiva di classe e soprattutto la precisazione che l’esordio della guerriglia non è legato all’acuirsi del nesso crisi-ristrutturazione, ovvero al suo precipitare, e al crearsi delle condizioni di crisi-rivoluzione.
Una precisazione che rivendica il carattere offensivo della proposta strategica e la colloca storicamente nel modo corretto. Dall’altro si periodizzano con maggiore precisione i momenti succedutisi nella Propaganda Armata contraddistinti da modalità tattiche diverse in relazione alla situazione di scontro e nel quadro delle finalità della fase: se fino al ’74 l’agire della guerriglia sviluppa un’offensiva sul terreno della resistenza operaia in fabbrica, nel secondo momento (’74 – ’78) si sviluppa e si precisa la disarticolazione rispetto all’attacco al cuore dello Stato nel quadro della sua ristrutturazione, e si approfondisce il radicamento della LA. In sintesi si raggiungono ampiamente gli obiettivi della fase di PA. Un bilancio che serve all’O per mettere in evidenza il fatto che se dalla PA non si era passati ad assolvere i compiti della fase di transizione alla guerra civile dispiegata, è perché l’offensiva guerrigliera non era adeguata ai compiti di fase, ovvero l’inadeguatezza (per gli errori del soggettivismo d’O) è inquadrata dal punto di vista del rapporto che deve esistere fra il carattere dato all’attività rivoluzionaria e il carattere della fase rivoluzionaria. A partire dalla necessità di ripristinare questo principio di relazione dialettica mantenendo valido lo schema di sviluppo della rivoluzione nel raggiungimento della guerra civile dispiegata, si motivano le ragioni della scelta della RS, come necessità di difendere strategicamente il processo di costruzione del SPPA, una difesa che si da in primo luogo sul piano politico, in quanto il rilancio della controffensiva può darsi soltanto dentro la ratifica e i salti politici in dialettica con la classe.
Da questa visione giusta, pur se delimitata dalla visione lineare dello schema rivoluzionario, si comprende bene il significato dello slogan dell’O “ritirarsi nelle masse” al fine di “rifondare il SPPA”. In questo senso la RS si arricchisce del suo significato più propriamente politico che completa l’approccio iniziale più prettamente a carattere militare. L’importanza di questa precisazione è data poi dal suo risvolto pratico, e qui passiamo al secondo punto relativo alla battaglia sui nodi teorici, in quanto per “rifondare il SPPA” è necessario farsi carico di battaglie politiche nel movimento rivoluzionario per debellare le concezioni sbagliate che allora significava trovarsi a confutare le degenerazioni dell’idealismo soggettivista che prosperavano nel movimento rivoluzionario. E sarà questa necessità che costringerà l’O ad andare a fondo dei nodi teorici e ideologici delle categorie leniniste e, tramite ciò, a svuotare sempre di più la concezione linearista. In primo luogo riporta sul terreno materialista la lettura idealista del nesso crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione propria ai soggettisti che davano dominante il nesso crisi-rivoluzione a partire dall’offensiva di combattimento scambiata per i rapporti di forza reali tra BI e PM. È evidente che nel rendere dominante il secondo nesso il soggettivismo faceva vivere spontaneamente sul piano sociale l’allusione al comunismo, appiattendo i rapporti relativi ai diversi aspetti della FES. A partire da questo terreno di battaglia si rivendica la concezione leninista della dominanza del politico nella FES, precisazione non nuova per l’O, ma che in questa situazione risulta arricchita dalla maggior comprensione acquisita dall’O attraverso la sua pratica sociale. Il complesso processo di elaborazione politica contenuto nel documento manifesta una duplice valenza in cui l’aspetto del ricentramento è strettamente legato alla necessità della battaglia politica sui nodi teorici e strategici in discussione nel movimento rivoluzionario. Ovvero l’O, nel mentre rientra se stessa ed il suo ruolo, da ciò trae la capacità di dare un contributo fondamentale “all’arricchimento della teoria e della pratica della rivoluzione comunista”, per questo la “Sintesi” all’epoca ha avuto un ruolo guida nelle fila delle avanguardie e dei gruppi di compagni organizzati, in quanto ha reso possibile discriminare una visione materialista dalla diffusione di quella metafisica.
Un arricchimento che necessariamente parte dal rimettere al centro la fabbrica e la produzione di merci, il rapporto dialettico FP/RP e quello tra guerra e politica. Se da un lato la battaglia è obiettivamente di retroguardia rispetto ai nodi che ha affrontato in passato, dall’altro, affrontarla in quel momento e in quelle circostanze ha consentito un avanzamento reale, perché era divenuto chiaro quale portata doveva assumere la battaglia per la riaffermazione della concezione materialistica della rivoluzione, a fronte della visibilità di tutte le contraddizioni delle tesi soggettivistiche portate alle estreme conseguenze sul piano della pratica rivoluzionaria. Nodi teorici che vengono approfonditi anche perché trattati alla luce dell’analisi non solo storica ma anche politica rispetto all’attualità. In primo luogo viene riaffermata la dominanza del politico in tutte le regioni della FES proprio per garantire la riproduzione capitalistica. Riaffermazione che serve a riprecisare attraverso la centralità del ruolo della politica, il ruolo dello Stato nella sua evoluzione storica, quella raggiunta col capitale multinazionale. Lo Stato non è più solo e semplice gendarme, ma va a compimento il processo di evoluzione storica di statalizzazione della società, a partire dal ruolo enorme che ha sviluppato nel sostegno dell’economia capitalistica (Stato capitalista reale, Stato banca, stato capitalista collettivo) e dallo sviluppo della controrivoluzione preventiva. Statalizzazione che si accentua con la crisi implicando la funzionalizzazione delle istanze sociali (sindacati, partiti) e istituzionali al “ruolo politico” dello Stato.
Quello che è dominante è il rapporto Stato/fabbrica e non fabbrica/stato e, più in generale stato/società e non il contrario, cosa che rimarca la dominanza del politico in cui lo Stato è la massima espressione politica sviluppata dalla borghesia. Poiché con la crisi non viene meno la legge del “valore, né la borghesia impone il suo dominio”forzosamente”, dominanza del politico significa che lo Stato si fa carico di sostenere i processi di crisi, mette cioè in campo la “ristrutturazione per la guerra imperialista”. Questo per garantire la crescita del capitale considerato che l’estensione del suo dominio è data dall’estensione della massa di lavoro salariato, dato che da questo ne deriva l’estensione dei rapporti sociali di produzione, ovvero il dominio non si estende perché si moltiplica il comando coercitivo. È la legge del valore-lavoro, in dialettica con la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, che ne è parte integrante, a rendere necessaria l’uscita dalla crisi attraverso i processi di ristrutturazione. Lo stato nella crisi è reale organizzazione del rapporto sociale esistente tra le classi, nel favorire la riproduzione del rapporto di produzione. In ultima analisi è la legge del valore-lavoro, la regione economica, il MPC, a promuovere la dominanza del politico mediante la rifunzionalizzazione dello Stato. Il ruolo dello Stato, pur messo nella sua ineludibile centralità, è analizzato soggettivisticamente come riflesso della visione meccanica della crisi (crisi-guerra imperialista). Infatti, la rifunzionalizzazione dello Stato vede come equilibrio di forze dominante il partito della guerra. Tralasciando la visione della guerra in atto, importante in quel momento è stato ricentrare il fatto che il nemico non è disperso nel dominio sociale, ma individuabile politicamente dentro lo Stato, tra le forze che si saldano nel progetto dominante-cuore dello Stato-partito della guerra che attraversa organicamente ogni compagine partitico e padronale, quale rappresentante reale della BI e delle sue determinazioni soprannazionali, che funzionalizza ogni politica allo sbocco alla guerra. Pur nella riaffermazione di elementi giusti gli aspetti di linearismo e soggettivismo contenuti nell’analisi hanno come sbocco consequenziale quello della maturità superiore della contraddizione BI/PM, e il rapporto classe/Stato diviene sempre più rapporto di potere: per l’avanguardia si tratta di trasformare lo scontro di potere in scontro per i potere. Trasformazione possibile nell’accelerazione del rapporto crisi/guerra. Questo postulato soggettivista (di soggettivismo d’O) non avrà un portato pratico conseguente al significato teorico, mentre avranno un portato politico decisivo, sia nel ricentramento che nell’orientamento del movimento rivoluzionario. Su queste posizioni, le giuste affermazioni del primato della politica, del ruolo dello Stato a partire dai meccanismi di sviluppo del MPC, dell’individuazione del nemico-cuore dello Stato, visto nel complesso di forze che si saldavano sul progetto della BI.
Un altro nodo teorico affrontato è il rapporto tra la guerra e la politica, in quanto le tesi dell’idealismo soggettivista erano arrivate a sovvertire un caposaldo delle leggi della guerra e che, cioè, questa è dominata dalle leggi della politica. In altri termini l’affermazione idealista che “la guerra informa la politica” aveva come risvolto la dominanza del militare sul politico, fino ad arrivare a vedere separato il politico dal militare e, conseguentemente, riproporre una concezione terzinternazionalista, in questo caso come esito della visione della “guerra sociale totale”. Le ripercussione dell’inversione tra i due poli, guerra e politica, sul piano della pratica rivoluzionaria, portano a fare della politica rivoluzionaria un’appendice di una inimicizia assoluta che già vive in quanto domina la guerra tra BI e PM, e quindi non è più necessario che la guerriglia, riunendo il politico e il militare sulla base della politica che guida il fucile, trasformi l’autonomia proletaria, all’interno della strategia della lotta armata per il comunismo, in inimicizia assoluta.
A partire dalla linearizzazione delle tendenze proprie col soggettivismo viene soppresso un polo della dialettica tra politica e guerra nel senso che la prima viene via via resa inutile dal prevalere della seconda, ed è attaccando a fondo le tesi della guerra sociale che l’O precisa i termini materialistici di questo nodo teorico rimettendo al centro il ruolo indispensabile dell’avanguardia e della politica rivoluzionaria. È la politica rivoluzionaria che può operare la trasformazione verso l’inimicizia assoluta (che in quel momento restava la costruzione del SPPA), in quanto deve canalizzate scientificamente la lotta e il combattimento proletario non certo colpendo i mille cuori del potere sociale ma dirigendo il combattimento contro lo Stato, contro il potere politico (individuato in quel momento nel partito della guerra). Un combattimento teso a conquistare rapporti di forza che consentono al PM di pesare sul piano politico e non tanto di avere un generico potere sociale. Qui si esemplifica come, a partire dalla manifestazione concreta sul piano della pratica delle tesi idealiste, che rende palese l’inadeguatezza di tale impianto, le BR, sulla base dell’impostazione leninista, sviluppano e precisano il che fare sul piano della conduzione della guerra di classe. Attraverso la logica dialettica viene ribaltato il piano del “potere sociale” perché è a partire dai contenuti sociali della necessità-possibilità della transizione al comunismo che il PM deve conquistare ciò che la borghesia gli nega: il potere politico, che per il PM è potere politico rivoluzionario per il comunismo. Il politico, il militare e il sociale sono aspetti che vivono nella società nella misura in cui esiste un progetto rivoluzionario che in quanto sapere condensato per la transizione al comunismo è il modo storico di arricchire il marxismo-leninismo nella metropoli. Qui la battaglia assume i toni più alti propri delle contrapposizioni ideologiche e, rivendicando il metodo del materialismo storico-dialettico, l’O attacca le tendenze metafisiche nella loro forma dell’ideologismo e del soggettivismo che appunto palesavano il comunismo come comunità illusoria e non reale da raggiungere in una metafisica rivoluzione permanente (leggi guerra sociale totale che esiste dentro i rapporti di produzione inficiati dalla prevalenza delle forze produttive). Di contro l’O ribadisce la concezione materialistica della rivoluzione che si realizza per tappe storicamente determinate. E questo perché la guerra di classe è un prodotto storico materiale, non un concetto dell’avanguardia comunista, che definisce la molteplicità dei compiti presenti nel processo rivoluzionario e la sua attività. Al contrario l’avanguardia comunista non è solo il soggetto portatore della teoria rivoluzionaria, ma è parte e direzione della guerra di classe, per trasformarla in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo. La la per il c non è più come nella propaganda armata la strategia che l’avanguardia politica pratica e propaganda tra le masse, ma sempre più l’unica reale politica rivoluzionaria e proletaria. Affermazione quest’ultima che va intesa nel contenuto soggettivista che l’O gli dava, di rapporto di scontro di potere tra BI e PM. Infatti è argomentata con l’affermazione che la possibilità-necessità della trasformazione della guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo è un movimento da vedere nel rapporto dialettico con i processi di crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista. Nonostante questo passaggio soggettivistico non è inficiata la portata della battaglia e dei contenuti affermati e approfonditi, in particolare nella rimessa al centro del ruolo dell’avanguardia in rapporto all’antagonismo del PM l’O attaccava la visione che considerava ricomposto oggettivamente l’antagonismo dispiegato del PM, visione che finisce per relegare il ruolo di direzione dell’avanguardia alla coda, in quanto il suo rapporto con l’antagonismo proletario si limita a riassumere tutto ciò che si esprime, dentro al quale tutti i bisogni hanno lo stesso peso, perché tutti allusivi al comunismo. Al contrario il compito dell’avanguardia, di fronte all’attività generale delle masse di per sé differenziata e scomposta, è quella di leggerla come è, nella sua realtà, ricomponendo e unificando i diversi livelli sul piano più avanzato e all’interno del PPG, al fine di disarticolare i processi in atto sviluppati dalla BI per costruire nuovi rapporti di forza. E questo perché il rapporto di forza esistente tra BI e PM si può ribaltare solo trasformando i rapporti di forza generali, solo con la conquista proletaria del potere politico, l’abbattimento dello Stato e la disarticolazione del MPC, quale tappa preliminare rispetto alla possibilità-necessità della dittatura rivoluzionaria per il comunismo.
Solo con la conquista del potere politico è possibile trasformare l’aspetto dominante della contraddizione principale e l’aspetto secondario, mentre la rivoluzione proletaria da tendenza principale diventa aspetto dominante. Puntualizzazioni queste che hanno un valore strategico per il futuro riadeguamento complessivo dell’O in quanto l’aver finalizzato l’attività alla trasformazione dei rapporti di forza generali per la presa del potere politico obiettivamente mina la visione lineare delle fasi ancora vigente fino a quel momento. Si affronta ora il nodo teorico più importante per come si riflette nella concezione dell’ sviluppo del processo rivoluzionario, quello relativo al rapporto FP/RP, questo a partire dalla messa in chiaro di come si qualificano i rapporti di scontro tra PM e BI, ovvero se si collocano o meno dentro e contro i RP, fuori e contro lo Stato. L’O inizia affermando che la necessità/possibilità della transizione al comunismo vive latentemente al livello mondiale, dato che la crisi del capitale monopolistico multinazionale, non riuscendo a valorizzarsi ulteriormente, non fa che acuire la lotta di classe sia dove esso domina realmente, metropoli, che dove lo fa informalmente, periferia, a prescindere dai modi diversi, qualitativamente e quantitativamente, in cui si esprime la lotta di classe, e delle diverse tappe che deve percorrere il processo rivoluzionario nella periferia rispetto a quello della metropoli. Questa latenza della transizione al comunismo diviene per l’O la base per il nuovo internazionalismo proletario.
Un’analisi questa, verosimilmente portato della lettura della crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista che l’O faceva in quel momento e che, riportata sul piano della lotta di classe nella nostra fes, motiva la maturazione della lotta di classe in guerra di classe, in quanto il processo in atto della ristrutturazione per la guerra imperialista informava i rapporti di classe, processo questo che in ultima analisi avrebbe favorito la rivoluziona proletaria, nonostante i rapporti di forza congiunturalmente sfavorevoli, collocando la guerra di classe in termini di scontro di potere. D’altra parte il processo di generalizzazione dei contenuti della lotta di classe e la sua qualità fa si che essa non può più essere recuperata dalla BI, considerato che la crisi non è certo ciclica e quindi non può darle sbocco in termini di recupero “riformista” dello scontro. L’O afferma pertanto che in questa fase la guerra di classe è il risultato dell’approfondimento della contraddizione FP/RP nella crisi, soprattutto dove l’antagonismo proletario è più forte e maturo, la fabbrica metropolitana. Perché è proprio qui che lo sfruttamento della classe operaia aumenta a causa della ristrutturazione per la guerra imperialista, la classe operaia che, essendo dentro i rapporti di produzione capitalistica e crescentemente contro questi rapporti, possiede una maggiore potenzialità, dell’antagonismo complessivo ed assoluto al MPC. Processi di crisi che pure investono e peggiorano le condizioni del proletariato marginale, facendo aumentare le quote di quello emarginato che si riversa nell’extralegalità (e quest’ultima tocca tutte le fasce di PM) aumentando così anche i PP stabili relativamente agli instabili. Ma questo proletariato emarginato, essendo forza lavoro espulsa dal processo produttivo, nel suo divenire extralegale, si nega come forza lavoro, ma ciò non vuol dire che il proletariato emarginato e quello extralegale siano di per sé antagonisti assoluti e complessivi al MPC, non è certo un’enorme massa di capitale variabile che si aggira e che nel negarsi diventa antagonista. In realtà allo Stato e al MPC si contrappone un movimento proletario antagonista caratterizzato dalla resistenza attiva, a partire dalla lotta dentro e contro i rapporti di produzione, fuori e contro lo Stato. Resistenza attiva che si differenzia da quella passiva per essere offensiva. In questo modo i compagni valutano le mobilitazioni che in quel periodo a livello nazionale si esprimevano su vari piani contro l’offensiva padronale e statuale (attacco alla scala mobile, contro il tetto antinflazione, tagli alla spesa sociale), contro gli schieramenti e le spese militari, contro la Nato e la guerra imperialista.
Per l’O questa resistenza, pur confrontandosi con una approfondita controrivoluzione preventiva scatenata, ha contenuti molto avanzati ed è parte del movimento antagonista che è la “base sociale” da cui è possibile e necessario costruire le “basi sociali rivoluzionarie” e cioè il SPPA con le sue tre determinazioni. Il SPPA si costruisce cioè a partire dalla lotta proletaria e si estende dentro e contro i rapporti sociali di produzione capitalistici, fuori e contro lo Stato. Credere possibile costruire tale sistema esclusivamente fuori e contro i rapporti sociali di produzione non solo escluderebbe la centralità della classe operaia, ma addirittura si finirebbe per riproporre un programma immediato unico per tutto il PM basato sull’esproprio proletario! E qui il riferimento è alla centralità del proletariato extralegale ritenuto dal PG strato antagonista che ha come conseguenza di privilegiare la lotta alla distribuzione capitalistica della merce e dei redditi, cosa che sul piano teorico significa privilegiare il rapporto valore d’uso/valore di scambio, l’aspetto della distribuzione, dimenticando che questa in ultima analisi deriva dai rapporti di produzione. In questo modo è come concepire la costruzione del SPPA separatamente dai rapporti di produzione capitalistici dentro ad una visione del MPC in cui scompare l’unità degli opposti tra FP e RP anche laddove tendono a divaricarsi al massimo assumendoli come elementi separati. A partire dal fato che l’antagonismo proletario si sviluppa dentro e contro i rapporti di produzione sociali capitalistici, fuori e contro lo Stato, nella metropoli imperialista e soprattutto in questa fase la costruzione del SPPA non significa costruire basi rosse, dove esercitare potere rosso, perché non ci sono territori liberati da difendere e masse armate; tanto meno ci sono “basi rosse invisibili”, considerato che questo concetto ha finito col rendere invisibile il SPPA in costruzione alla classe,dato che l’ambiguità sul termine ha spesso significato concepire la clandestinità non riferita solo allo Stato ma anche al movimento rivoluzionario e antagonista.
Il SPPA non si costruisce per linee esterne al movimento antagonista, ma solo per linee interne, a partire dalle sue espressioni più avanzate. Espressioni che la guerriglia deve condensare nel PPG per dirigere, mobilitare, organizzare la lotta e il combattimento proletario contro lo Stato. In queste ultime affermazioni l’O si riferisce anche al soggettivismo ribadendo che le campagne da sviluppare non devono esser intese come “campagne d’O” ma devono servire per organizzare l’offensiva proletaria nelle nuove condizioni di controrivoluzione preventiva scatenata. Affermazione quest’ultima da cui è possibile evincere come non è ancora compresa la natura della controrivoluzione degli anni ’80, collocata com’è nella lineare accentuazione della crisi della borghesia imperialista verso la guerra dentro ad un meccanico riflesso della dialettica del nesso crisi-rivoluzione sui fattori dello scontro. Ragione per cui è normale prospettare il rilancio del SPPA in costruzione, a partire però dal ricentramento della dialettica partito/masse, e cioè costruzione della linea di massa rivoluzionaria per attaccare il cuore dello stato partendo dai contenuti più avanzati e definendo, nell’attuale fase storica, il rapporto Partito/masse come tra movimento proletario antagonista-Partito in costruzione da cui è possibile e necessario costruire il SPPA e trasformare lo scontro di potere in scontro per il potere. La battaglia contro il soggettivismo d’O che l’O persegue tenacemente è volta pure a correggere l’affermazione idealistica dell’”Ape …” per cui gli OMR sorgevano nel divenire oggettivo della crisi, concetto che conseguentemente dava alla costruzione del SPPA, del PCC e del MMR come già data, come un dato statico che non vive in rapporto di unità-distinzione con il movimento proletario antagonista.
Se non si comprende il rapporto che muta continuamente tra le tre determinazioni e il movimento antagonista da un lato, e dall’altro lo Stato e il MPC, gli OMR saranno sempre anelli permanentemente mancanti. In concreto la costruzione del PCC e degli OMR sono processi distinti e uniti in stretta dialettica tanto che non si da PCC senza costruzione e direzione degli OMR e conquista del movimento di massa antagonista in MMR. Quindi in questa fase trasformare lo scontro di potere in scontro per il potere significa trasformazione della guerra di classe in guerra rivoluzionaria all’interno della costruzione del SPPA intorno ad un programma generale che, congiuntura dopo congiuntura, disarticoli lo Stato in dialettica con i contenuti più avanzati delle lotte del PM. Il PPG vive tramite il PPI nei settori di PM e in questa fase di transizione dalla propaganda armata alla guerra civile dispiegata ha per obiettivo la conquista del potere politico. Obiettivo che comporta la costruzione di rapporti di forza generali a favore del PM e cioè distruzione-abbattimento dello Stato, disarticolazione del MPC, tappa preliminare per affermare il PM attraverso la sua dittatura rivoluzionaria come la classe che sola può abolire tutte le classi e con esse lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Obiettivo storico che nella metropoli può darsi solo sul terreno politico, attraverso la politica rivoluzionaria, così da attraversare tutti i rapporti sociali e caratterizzare la dittatura rivoluzionaria integrale a tutti i livelli, per la distruzione sistematica del MPC e costruire la società senza classi, società che è per tutti o per nessuno, e quindi va sconfitta la BI a livello mondiale. Ed è sotto questo punto di vista che l’internazionalismo proletario è elemento centrale e decisivo del programma rivoluzionario. L’affrontamento del nodo teorico relativo al rapporto FP/RP ha un’importanza decisiva nel futuro riadeguamento perché lo smantellamento delle proposte dell’idealismo soggettivista delle “basi rosse” sarà il presupposto per andare a raddrizzare la concezione da manuale della guerriglia e dello sviluppo della guerra rivoluzionaria, in quanto inficia la visione “territoriale” del Potere Rosso perché già riconduce la forza che la guerriglia fa acquistare al campo proletario dentro alla conquista dei rapporti di forza contro allo Stato e alla BI. Saggio questo che costituirà elemento obiettivo per dare superamento alla visione della linearizzazione delle fasi rivoluzionarie.
La centralità della produzione di merci nella metropoli è l’altro nodo teorico affrontato ed è nella riaffermazione di questa centralità che l’O si contrappone alle tesi sociologiche della “fabbrica totale”, le quali sulla base dello sviluppo del capitale monopolistico multinazionale nella metropoli leggono questo sviluppo come capitale unico dentro una visione di stampo luxemburghiano. Ugualmente l’O si contrappone alle tesi della “fabbrica diffusa”, tesi che non distinguono più nell’area metropolitana differenze tra lavoro produttivo e improduttivo, scambiando le controtendenze con la tendenza principale, finendo per far prevalere nella metropoli l’estrazione del plusvalore assoluto. Tesi che hanno come risvolto l’individuazione di settori marginali del PM come proprio referente di classe perdendo di vista la centralità operaia. Di contro a questi tesi l’O le caratteristiche del dominio reale del capitale monopolistico multinazionale che è radicato nella metropoli e che è basato sulla estrazione del plusvalore relativo conseguentemente la forma principale del movimento antagonista è riferita alla centralità della classe operaia delle grandi concentrazioni industriali all’interno del PM. Stante le caratteristiche di sviluppo del capitale monopolistico multinazionale ne consegue che le cause oggettive della crisi di sovrapproduzione di capitali risiedono nel rapporto divaricante tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio medio di profitto. Il nodo teorico FP\RP è ripreso dall’O per battere le tesi metafisiche della rivoluzione permanente dei neosoggettivisti che appunto scaturiscono dal fatto che vengono prese per buone le tendenze al limite,senza tener conto che dall’analisi dall’astratto al concreto va assunto il concreto storico che è riempito dalla lotta di classe pena cadere in visioni della inevitabilità obiettiva della rivoluzione. Questo a partire dal fatto che le FP vengono viste separate dai RP come se potessero essere neutre e di per sé progressive,mentre secondo l’analisi marxista le FP sono permeate dai RP e il loro sviluppo è sviluppo dei rapporti sociali capitalistici di contro al lavoro salariato. Per cui la divaricazione fino alla rottura del rapporto FP\RP si da solo con la rivoluzione e non con lo sviluppo delle FP. La critica al soggettivismo si conclude con la confutazione della teoria della crisi-crollo che è propria alla linearizzazione delle tendenze, fino a dare già in atto quelle “al limite”. Linearizzazione che vive unita alla separazione dei nessi dialettici tra l’aumento del plusvalore relativo e caduta tendenziale del saggio medio di profitto, facendo prevalere quest’ultimo, in altre parole non considerando che nell’intrinseca dialettica dello sviluppo capitalistico tra la tendenza al limite e la realtà storica ci sono le controtendenze. Alla crisi-crollo l’O contrappone la crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista che da un punto di vista metodologico è corretta, in quanto risponde agli effettivi meccanismi della crisi-distruzione del sovrappiù prodotto per riplasmare le forze produttive, ecc. la puntualizzazione di questa analisi ha il pregio rispetto alla lettura del PG, che davano una relazione alla contraddizione BI/PM come dominante il nesso crisi-rivoluzione, di riportare come dominante il nesso crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista, però il fatto che nell’analisi delle controtendenze l’O assume come operante la ristrutturazione per la guerra imperialista, oltretutto con il corollario soggettivistico di leggerne le ricadute sullo scontro di classe in termini di guerra di classe, non è in grado di portare a fondo la critica alle tesi del PG, rimanendo sul terreno superficiale della semplice confutazione di qual è la contraddizione dominante


Questo documento nella sua contraddittorietà riflette l’effettivo stato politico dell’O. Si tratta di capire, dentro questa contraddittorietà il reale peso specifico dei suoi contenuti, ovvero perché determinate affermazioni impregnate di soggettivismo avranno scarso peso, mentre altri, pur se imprecisi e non sviluppati a fondo, costituiranno la chiave di volta del riadeguamento. Più precisamente va capito perché queste ultime possiedono una forza propositiva e ricompositivo pur essendo ancora contenute nell’involucro delle concezioni soggettiviste e lineariste. Ancora una volta la chiave di lettura va cercata dentro al principio generale che l’O avanza e rientra nella misura in cui da soluzione effettiva ai problemi che ha davanti, e si riadegua nella misura in cui riesce a compiere salti politici. Si può dire che questi elementi di chiarificazione hanno forza perché sono i primi risultati dell’affrontamento dei nodi posti alla controffensiva dello Stato e dalle tendenze soggettiviste, nodi a cui l’apertura della RS aveva dato una prima soluzione parziale (rispetto alla controffensiva, nel preservare le forze, per salvaguardare la prospettiva strategica di ricostruzione del SPPA, e rispetto al soggettivismo nell’affrontamento di quello d’O), e che ora saranno affrontati globalmente in quanto le tendenze soggettiviste hanno ormai esplicitato fino alle estreme conseguenze il loro significato nella pratica. Concezioni queste che avevano preso campo nel movimento rivoluzionario, con tutto il loro portato di confusione e ambiguità, e che nel loro risvolto pratico pregiudicavano lo sviluppo corretto del processo rivoluzionario. In questo senso la battaglia era di vitale importanza per le sorti della direzione che doveva prendere il processo rivoluzionario e andava affrontata globalmente perché metteva in discussione le concezioni teoriche, programmatiche e d’impianto della proposta rivoluzionaria. Da questo punto di vista è una battaglia di tesi che, arrivando ad interessare il piano ideologico, si connota come una battaglia tra la concezione materialista e quella idealista piccolo borghese, giustamente ritenuta dall’O antagonista al rilancio del processo rivoluzionario. L’affrontamento e la risoluzione di un nodo come questo, effettivamente posto nello scontro, costituisce la dinamica principale alla base del rientramento in quella tappa, e tanto più in questa battaglia l’O raggiungeva livelli teorici ed ideologici di chiarificazione complessiva sui nodi affrontati, tanto più questa determinava una migliore disposizione nello scontro ridando forza al ruolo d’O, e in questa misura l’O è in grado di esprimere forza di attrattiva e capacità ricompositivo sugli elementi più maturi del movimento rivoluzionario.
L’affrontamento di questa battaglia politica rappresenta dunque una tappa della RS che aggiunge elementi alla visione parziale che di essa l’O aveva alla sua apertura, connotando questa nel suo significato più politico, unitamente agli approfondimenti conseguiti sul terreno della comprensione della Difensiva Strategica, che viene arricchita dalle peculiarità politiche nelle metropoli, in cui la RS stessa è qualcosa di più complesso del semplice preservare le forze della distruzione del nemico.
È a partire da comete chiarificazioni acquisite con la battaglia politica si traducono nella disposizione dell’O nello scontro, che queste pur essendo ancora parziali e incoerenti, sono quelle che acquisiscono peso determinante nell’orientamento propositivo dell’O, mentre al contrario le espressioni di soggettivismo, pur nella loro argomentazione recente con l’impianto linearista, non potendo più essere trasferite nella pratica rivoluzionaria, restano un residuo ininfluente rispetto alle dinamiche del Rientramento. Del resto non c’è da meravigliarsi della loro persistenza teorica del materiale d’O, in quanto erano penetrate profondamente nel suo impianto durante la fase di sviluppo quantitativo della LA. In ultima analisi la dicotomia che caratterizza il documento riflette le leggi della dialettica che pure vivono nella materia sociale, nel senso che le risultanze che effettivamente rispondono alle necessità dello scontro, anche se ancora poco sviluppate, sono quelle che affermeranno (“il nuovo che avanza”) e avranno un ruolo positivo negli sviluppi futuri, soppiantando le reminiscenze della vecchia visione inadeguata. E ciò perché in queste risultanze si riflette come l’O ha affrontato i nodi teorici principali su cui poggiava la natura profondamente idealista del soggettivismo, e cioè le “basi rosse” e la “guerra totale sociale”. Un affrontamento complessivo reso possibile anche perché nello scontro queste tesi avevano dimostrato tutti i limiti di praticabilità, che ha smantellato sul piano pratico, teorico, ideologico i nessi su cui poggia la visione di sviluppo lineare della guerra di classe, nel ribadire che nella metropoli non è Dato un dualismo di potere e che la forza che acquisisce la guerriglia non può essere mantenuta in zone liberate, con ciò inficiando la visione di espansione territoriale da manuale della guerriglia del processo rivoluzionario, e nel riaffermare in pieno la “sfera del politico” in contrapposizione allo sviluppo dei rapporti di potere nel sociale. In conclusione, dell’affrontamento di questi nodi si ridà il suo posto alla politica rivoluzionaria e con essa al ruolo dell’avanguardia, ma soprattutto si riafferma che nella metropoli l’attività rivoluzionaria è finalizzata al conseguimento di rapporti di forza che devono pesare sul piano dei rapporti generali tra le classi e non in usufrutto immediato, ovvero in una traduzione estensiva di esse.
Se la «Sintesi» incarna, pur nella sua ambivalenza, il momento più alto del dibattito sviluppato dall’O dall’apertura della RS, nel quale dato essenziale è la capacità di recupero del suo ruolo di direzione e di d’indicazione pratico-teorica, l’attività complessiva d’O dentro alla precisa tappa della RS, si qualifica in primo luogo per essere un momento di passaggio tra l’ultima fase della battaglia al soggettivismo d’O e al soggettivismo idealista, e l’innesto dei primi elementi propri al processo di critica-autocritica-trasformazione. Dal punto di vista reale dell’O sulla linea della rivoluzione, ovvero dentro la Difensiva Strategica, la scelta del ripiegamento, con tutta la conseguente disposizione che ha comportato, ha messo l’O nelle condizioni di poter affrontare secondo la coscienza che di volta in volta ne aveva, le problematiche sollevate dal mutamento dello scontro, una scelta che oggettivamente prima ancora che oggettivamente, cioè più per condotta che per coscienza ha riportato l’agire dell’O all’interno del quadro strategico della Difensiva, ovvero l’ha fatta aderire in modo adeguato a partire dalle condizioni poste dallo scontro rivoluzionario, sulla linea della Rivoluzione, in quanto di per sé la posizione ripiegata, di contro alla controffensiva e ai mutamenti intervenuti, ha obbligato l’O a misurarsi nel modo dovuto, che ha consentito di tracciare sul piano politico le caratteristiche di una fase rivoluzionaria che non era stata preventivata nella visione che aveva l’O dello sviluppo in due grandi fasi della Rivoluzione, ma l’O, in forza della proprietà che aveva delle leggi generali della guerra, ha saputo adattarle allo sviluppo originale del nostro processo rivoluzionario, aprendo la RS, arricchendo in questo modo le conoscenze dello sviluppo della guerra di classe nelle metropoli. In altri termini la RS, mutuata dalle leggi della guerra di popolo in cui ha un’accezione puramente militare, calata dentro la guerra di classe, ne è stata immediatamente informata dai suoi caratteri fortemente politici. È quindi una scelta politico-militare in grado di imprimere una direzione di lungo termine al processo rivoluzionario, esplicitando però fin da subito il suo valore politico. E questo perché la posizione di ripiegamento fin da subito non solo consente di salvaguardare le forze dal dissanguamento del nemico, ma poiché essa è una scelta data dalla coscienza di non essere adeguati, obbliga l’O a rivedere criticamente la politica rivoluzionaria in rapporto alle problematiche concrete che ha di fronte e alla chiarezza che ne deriva dei compiti rivoluzionari.
È la posizione di ripiegamento, in sintesi, che le consentirà di maturare i processi di adeguamento di se stessa e dell’agire rivoluzionario, avanzando, tappa dopo tappa, sulla linea della rivoluzione, costruendo in questo modo materialmente le caratteristiche storicamente definite dalla RS, tappe che sono essenzialmente risoluzione politica delle problematiche immesse dalle deviazioni, processo politico che porta con sé il corollario della disposizione politico-militare adeguata allo scontro, in una dinamica che prima di essere soggettiva vive nella pratica, che diviene coscienza complessiva –in grado cioè di ricomporre tutti i suoi nessi- nel momento in cui l’O ha operato i salti politici.
Quello che l’attività storica ha dimostrato è che in virtù della valenza immanente delle leggi della RS, per come l’O se le è assunte nel concreto della pratica rivoluzionaria, ovvero a partire dalla coscienza che ha del suo ruolo storico, questa scelta ha consentito di mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria anche nei momenti più duri e di disorientamento politico, e ciò sulla base dell’affrontamento propositivo dei nodi politici e della conseguente precisazione della dialettica di sviluppo del processo rivoluzionario, ha dato concretezza alla continuazione del processo rivoluzionario. Ugualmente l’attività storica dimostra come nelle fasi di ritirata si esprimano al massimo grado le leggi della non linearità, infatti anche questa prima tappa dell’83 che doveva concludere il passaggio dove si è consumata la battaglia politica al soggettivismo, invece di aprire linearmente uno sviluppo in avanti, si è evoluta contraddittoriamente dentro ad una crisi politica di natura liquidazionista, quindi d’esistenza, a causa di contraddizioni generate dalle dinamiche di sconfitta, che penetreranno nell’O avvalendosi della precedente battaglia politica.
La ripresa del combattimento ad un anno e mezzo da Dozier con l’iniziativa Giugni per l’O rappresenta un primo momento di verifica rispetto alla capacità di rilanciare la proposta rivoluzionaria. Quello che è evidente è come in questa azione si riflette i riposizionamento maturato dall’O nello scontro grazie al processo di ricentramento messo in atto dall’apertura della RS. Un riposizionamento da cui l’O matura le chiarificazioni essenziali che contribuiranno alla sua evoluzione politica, chiarificazioni che hanno nella riaffermazione della dominanza del politico il punto forte del ricentramento teorico dal quale non le deriva solo la rimessa al centro del ruolo dello Stato come nemico principale e il ruolo dell’avanguardia rivoluzionaria e della politica rivoluzionaria, ma più in generale la capacità di leggere ogni aspetto dello scontro all’interno delle relazioni politiche, sbarazzandosi degli ultimi residui della sua visione idealista e soggettivista in chiave sociale. Conseguentemente, nella lettura delle condizioni dello scontro e dello stato del movimento di classe, l’O si disfa completamente del vecchio schema meccanico crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione e dalla non ricuperabilità dell’antagonismo politico, cosa che le consente di ricalibrare subito le proprie valutazioni riconducendole al quadro della situazione reale. Un avanzamento politico, quello dell’O, figlio in primo luogo del suo misurarsi con una situazione in evoluzione nel paese, che vedeva la BI riprendere l’iniziativa per capitalizzare in termini politici i risultati della controrivoluzione nei rapporti di forza con la classe. Un avanzamento che segna un passaggio di qualità rispetto al passato, proprio per penetrare le caratteristiche politiche dello scontro, che le consente di qualificare natura e portato dei cambiamenti in atto nel paese con il massimo della chiarezza di come questi si dipanavano a partire dallo stato in cui versavano i rapporti tra le classi, potendo meglio, valutare le condizioni del movimento rivoluzionario e di classe.
Solo oggi con quest’azione l’O prende coscienza con lucidità di cosa ha comportato la controrivoluzione scatenata nell’82 in termini di modifica dei rapporti di forza tra le classi, e sulla base di questa coscienza è decisa a far pesare gli interessi del proletariato per modificare i rapporti di forza, ed è grazie alle chiarificazioni del processo autocritico che è in grado di intervenire al punto più alto dello scontro nel cuore della contraddizione principale tra classe e Stato, attaccando l’esordiente “Patto Sociale”. Questo, mentre la classe reagisce a questo attacco con mobilitazioni sostanzialmente di carattere difensivo, in un momento in cui prosperano nella sinistra di classe letture inadeguate a coglierne il portato. In questo quadro l’O è l’unica che è in grado di cogliere interamente la sostanza del progetto della borghesia e di svolgere in quel momento cruciale quel ruolo d’avanguardia indispensabile alla tenuta del campo proletario. L’O vede come l’esordio del “Patto Sociale” sia reso possibile dal livello raggiunto dalla ridefinizione dello Stato, perché è al suo interno che l’Esecutivo funzionalizza partiti e sindacati al suo progetto, calato dentro alla situazione di scontro in cui la BI e lo Stato intendono stabilizzare la modifica dei rapporti di forza determinata dalla controrivoluzione, sospingendo indietro le posizioni di classe, che si colloca come strumento di normalizzazione dell’autonomia politica di classe e di pacificazione rispetto alla proposta rivoluzionaria. E poiché la classe operaia è l’oggetto principale della normalizzazione, l’attacco che deriva da questo progetto non può che partire dal piano capitale/lavoro, dove il patto ha la funzione di compatibilizzare l’antagonismo di classe nel modello di relazioni neocorporative.
In questo senso l’esordio del Patto in Italia segna un salto sul piano della contrattazione che, nella sua verticalizzazione, viene politicizzata, sterilizzandola al conflitto che si produce nelle fabbriche e nelle piazze. Una sterilizzazione funzionale ad imporre le ristrutturazioni e le più generali scelte di decurtazione delle conquiste sociali. Un modello di relazioni che per la sua natura tende a rendere ininfluente e a sospingere indietro il ruolo della classe. A gestire questo modello di relazioni non possono che essere i sindacati ed il PCI, tramite la proposta riformista dell’interclassismo, che non a caso esordisce nel quadro politico craxiano. L’O, dentro questa lettura, si pone il compito sia di disarticolare questo progetto che di svelarne alla classe la natura, e soprattutto il ruolo che in esso svolgono i revisionisti, registrandone la difficoltà a gestirlo, stretti come sono tra l’antagonismo di classe e l’essere garanti delle scelte della BI, in altri termini per l’O si tratta di rompere queste gabbie revisioniste per “liberare” l’autonomia di classe e ricondurre lo scontro sul terreno rivoluzionario. In sintesi l’O indica chiaramente che la situazione dello scontro va ricondotta sul terreno risolutivo adeguato al tipo di attacco e di modifica dei rapporti generali di classe avvenuti. In quest’ottica il discorso propositivo è teso a mettere in luce come sia perdente restare ancorati alla difesa di condizioni ormai indifendibili, perché legate al quadro di scontro precedente. Per l’O non si tratta di disperdere le forze lottando su questo o quel terreno attaccato dalla BI, perché a livello d’approfondimento verificatosi nello scontro significherebbe rincorrere obiettivi perdenti, una valutazione questa che l’O contrappone anche alle posizioni della sinistra di classe presenti in quel momento che riproponevano i terreni d’intervento del passato, perciò inadeguati. Al contrario si trattava di riuscire a pesare sul piano politico, contrapponendosi ai nodi generali dello scontro, come solo modo di modificare i rapporti di forza. Piano politico sul quale il PM può tornare a pesare solo rapportandosi all’attività dell’avanguardia rivoluzionaria ed è solo intorno a questa dialettica che l’autonomia di classe può trovare la sua ridefinizione in avanti.
In conclusione, con l’iniziativa Giugni si può constatare l’ampiezza dell’avanzamento politico compiuto dall’O da Dozier. In questa iniziativa è racchiuso il concentrato delle acquisizioni che lo scontro ha obbligato l’O a trarre, nell’aver saputo misurarsi con il nemico di classe proprio nel momento in cui questo sta evolvendo nelle sue forme di dominio, cosciente degli approfondimenti che su questo piano si verificano nel rapporto di scontro, e lo fa affrontando al punto più alto lo scontro politico tra le classi, cosciente di come in quel momento il suo ruolo d’avanguardia investisse un’importanza doppiamente decisiva, sia perché l’attività rivoluzionaria dell’O è stata l’unico reale elemento di contrasto ai progetti della BI, e di conseguenza ha contribuito alla tenuta delle posizioni del campo proletario e, a partire da questo, sia perché Giugni costituisce un passaggio importante nel mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria, avendo tutte le caratteristiche per essere il primo momento di rilancio. E ciò perché ben oltre alla mera ripresa del combattimento, nell’iniziativa G erano contenuti gli elementi di ridefinizione progettuale d’O, sia come portato immediato che come prospettiva di rilancio. Ed è nell’aver saputo ridefinire la sua capacità d’intervento rivoluzionario all’interno di quelle dure condizioni dello scontro che l’O ha potuto riacquistare tutta l’autorevolezza propria del suo ruolo storico.
Un rilancio che è evidente anche nel come analizza il terreno internazionale e la tendenza alla guerra, ricalibrati e portati su un piano realistico, anche qui grazie all’essersi disfatta dell’economicismo soggettivista mettendo al centro la “politica”. In questo senso la crisi internazionale è valutata all’interno delle spinte per modificare gli equilibri tra Est ed Ovest come il piano sul quale in quel momento marciava la tendenza alla guerra alimentata dall’acuirsi della crisi economica, pur se per i compagni rimane il limite di essere vista come crisi di sovrapproduzione che ha consumato tutte le controtendenze, spingendo alla ridefinizione delle sfere di influenza dentro la corsa al riarmo da parte di entrambi i blocchi. Anche l’analisi del blocco imperialista risente in positivo dei ricentramenti cogliendo il grado di contraddittorietà esistente nel blocco stesso, come carattere ineliminabile, di conseguenza come la tendenza alla guerra e l’immanenza dell’interesse generale del blocco richiedono processi di coesione politica per far fronte alla crisi e, in ultima analisi, andare al confronto col blocco avverso. La maggiore chiarezza sui movimenti dell’imperialismo consente anche di inquadrare correttamente il nodo dell’Italia nel quadro delle relazioni imperialiste, che la obbliga ad accelerare tutti i processi di ristrutturazione per stare al passo con le politiche necessarie alla frazione dominante di BI, indispensabili nel competere nel mercato mondiale dovendo fare i conti con le specificità relative non solo ai ritardi strutturali, ma soprattutto alla maturità dello scontro di classe e all’esistenza del processo rivoluzionario, fatti questi che rimarcano il suo essere anello debole della catena.
Da questa capacità di rimettere le cose con i piedi per terra nella conquistata visione materialista, ne deriva una coscienza profonda di tutti i termini della realtà non solo relativi a come va a configurarsi il rapporto con il nemico di classe, ma soprattutto coscienza delle effettive condizioni rivoluzionarie e di classe, fino a qualche mese prima influenzate da quell’idealismo soggettivista che faceva da schermo alla presa d’atto di quale era il vero stato del movimento rivoluzionario e di classe, ovvero prende coscienza che il movimento rivoluzionario è passato dal rivoluzionarismo estremo all’arretramento difensivistico e che le posizioni di classe sono state sospinte indietro dall’offensiva della BI e dello Stato. Un quadro nel quale ciò che più pesa sulle spalle dell’O è il come è uscita ridimensionata dallo scontro rivoluzionario, avvertendo in maniera acuta sulla sua pelle gli effetti del rovescio militare e della sconfitta politica causata dai suoi errori. Maggiore è la coscienza dell’O dello stato reale dei rapporti di classe e della sua propria debolezza a fronte della riconquistata iniziativa politica dello Stato e delle forme dell’attacco tese a liquidare la strategia della LA, maggiore è la permeabilità ai meccanismi di demoralizzazione delle forze e introiettazione della logica difensivistica e di sconfitta. Demoralizzazione delle forze che fa vivere la sconfitta ed il suo ridimensionamento come una sorta di isolamento politico e questo sentire è tradotto politicamente nella problematica dell’essere staccata dalle masse, dall’essere stata staccata dalle masse. Da questa problematica che diventa pervasiva come sintomo della logica della sconfitta ne scaturisce come risposta la ricerca d’una attività d’avanguardia tesa ad attrarre “milioni di proletari”.
In ultima analisi, le inadeguatezze vengono ricondotte a tutto ciò che l’avrebbe allontanata dalle masse. Se questa è la dinamica nuova, figlia degli effetti della sconfitta, e in quanto tale interna alle leggi inaggirabili della guerra, la forma della contraddizione politica che andrà ad alimentare, sarà veicolata dalle tematiche proprie della battaglia politica al soggettivismo d’O, e ciò perché la coscienza che l’O ne ha è limitata a questo tipo d’errori. In questo nuovo quadro, però, la critica al soggettivismo idealista perdeva via le connotazioni complesse che aveva avuto fino a pochi mesi prima, per deformarsi, appiattendosi su un unico nodo, quello dell’errore di dialettica Partito/masse, che finisce con l’assurgere ad errore per eccellenza, al quale si imputa il fatto di non aver realizzato il passaggio di fase. Questo filo a piombo a cui viene piegatala critica al soggettivismo, finisce con lo stravolgere la giusta critica relativa all’aver interpretato come fase offensiva l’offensiva della guerriglia, per farla diventare mera critica al combattimento, quale terreno di dialettica identificato quale sola indicazione organizzativa per le masse. Per la prima volta emerge in modo esplicito la negazione di quello che nella guerra di classe è la dialettica con la classe, ovvero la sua organizzazione in forme e modi specifici alla fase sulla LA, nel senso che per la prima volta ci si richiama ad una non bene identificata “politica rivoluzionaria” definita appositamente per dialettizzarsi con i milioni di proletari e in cui la strategia della LA sarebbe l’aspetto più avanzato. Ovvero, a partire dall’analisi dell’attività generale delle masse, l’avanguardia si pone come quella tesa a riunificare e generalizzare i contenuti e le forme di lotta più avanzate che essa esprime. Una accezione che mortifica a codismo il ruolo dell’avanguardia privandolo del riferimento rivoluzionario adeguato.
Se questa è l’indicazione nel rapportarsi con le masse, l’attività di combattimento è terreno di proposta solo per le avanguardie. Uno sbocco questo che nei fatti separa l’unità del politico e del militare, l’avanguardia della classe, e introduce la dissoluzione della proposta strategica in cui la LA diviene nei fatti il sostegno all’attività di massa. Paradossalmente l’O passa dal fallimento del SPPA secondo la logica dei PI, che presupponeva la classe organizzata sulla LA, alla negazione totale di questo presupposto: o le masse sono conquistabili sulla LA a milioni o non è dialettica! Conseguentemente, una siffatta conquista a “milioni” non può che spostarsi nel tempo, cioè quando le condizioni di coscienza saranno evolute e i rapporti di forza adeguati. Da qui la tentazione di una attività di direzione solo politica di orientamento di quello che già esprimono i proletari, di fatto riscoprendo il lavoro politico come cosa separata da quello militare.
Il fatto che l’O, malgrado i notevoli avanzamenti registrati dal ricentramento stia inconsapevolmente scivolando nella morsa dei meccanismi difensivistici propri alla logica della sconfitta, è un fatto che va considerato come quasi inevitabile, stante la giovinezza e l’inesperienza che ne deriva sul piano della coscienza relativa alle dinamiche e leggi della guerra di classe. Tuttavia ciò non ci impedisce di valutare come l’iniziativa Giugni si collochi sulla linea della rivoluzione e nella fattispecie quale posto occupa nella fase di RS. Nel rilanciare l’iniziativa politico-militare, l’O evidenzia anche in questo caso i dinamismi a cui una forza rivoluzionaria risponde nell’affrontamento dello scontro, mettendo in luce interamente qual è la sua disposizione effettiva. In effetti il portato politico del rilancio è fortemente contraddittorio, a causa dell’influenza difensivistica si innesta uno stato politico in cui a partire dall’omissione dell’organizzazione delle masse sulla LA va a dissiparsi la complessità del dibattito sulle fasi rivoluzionarie, mentre, dall’altro, proprio perché si sta misurando con il nemico di classe al livello del suo progetto centrale, quindi sta combattendo al più alto livello della contraddizione classe/Stato, questo piano pratico promuove ala capacità di evolvere la sua disposizione rispetto all’approfondimento dello scontro sul piano della capacità di disarticolazione. Ovvero per avere il massimo risultato politico da utilizzare sul piano dei rapporti di forza, la disarticolazione deve rispondere già nei fatti a quei criteri di centralità, selezione e calibramento, un avanzamento che è il portato del venir meno della concezione di un potere “trattenuto” in forma estensiva, per diventare una pratica tesa a ricercare il massimo danno al nemico da tradurre sul piano politico, cosa che presuppone una disposizione delle forze di fatto già centralizzata intorno all’obiettivo politico perseguito. Esistono in questo senso tutte le premesse pratiche di quello che sarà razionalizzato politicamente più tardi: “colpire militarmente il progetto nemico per avere il massimo usufrutto”.


L’iniziativa Hunt stigmatizza il completo cambio di scenario nella gestione pubblica dell’attività dell’O. A dispetto dell’alta qualità dell’azione che ha disarticolato il progetto imperialista-sionista di normalizzazione dell’area mediorientale, e che in quanto tale ha avuto una grande risonanza col riconoscimento da parte delle forze rivoluzionarie antimperialiste, i contenuti che la veicolano si contrappongono come qualcosa di estraneo.
Anche solo considerando l’analisi della crisi internazionale in cui è calata l’azione, colpisce come non siano riconoscibili quei criteri con cui l’O ha sempre analizzato l’imperialismo, prevalendo nettamente una lettura regredita dei suoi passaggi storici. Il risultato è un’esposizione cronachistica e didattica appositamente formulata per una funzione di chiarificazione alle masse delle problematiche internazionali entro cui interagiscono le politiche dell’imperialismo, le quali sono in ultima analisi oggetto di denuncia in chiave democraticista (come dimostra lo spazio dedicato all’ONU. Del resto non potrebbe essere diversamente, perché questa esposizione risulta essere il logico corollario delle finalità perseguite dall’O, sintetizzabili in una attività rivoluzionaria di appoggio alla lotta di massa da orientare contro i processi di guerra imperialista palesati in quel momento dall’O.
In questa nuova versione dell’attività rivoluzionaria incarnata dall’iniziativa Hunt è vanificata tutta la ricchezza propositiva dell’impostazione antimperialista precedente e precisata con Dozier, soprattutto rispetto al FCA, ma meno che mai possono trovarsi cenni alla LA!
L’opuscolo n. 19 esplicita in forma compiuta il cambio di scenario già individuabile in Hunt: quello che ci interessa esaminare è il processo che consentirà l’insediarsi dentro l’O in forma dominante di un complesso di tesi assolutamente estranee alla storia, proposta e impianto d’O. Per capire il cambio di scenario va considerato lo stato di crisi politica organizzativa in cui versava l’O, in quanto fino a quel momento non aveva potuto dare risoluzione al complesso dei nodi emersi all’apertura della RS. Il rientramento parziale di alcuni aspetti, anche se fondamentali alla ripresa dell’iniziativa d’O non l’avevano risollevata dall’impasse in cui si trovava a causa della sconfitta. Un empasse su cui pesava la difficoltà di ridefinire le problematiche politiche, teoriche, d’impianto relative a quel passaggio cruciale della “Propaganda Armata” alla definizione della fase che la doveva sostituire, problematiche messe in crisi con la critica al soggettivismo, ma non rettificate nel loro complesso. Uno stato di incertezza che è debolezza politica alimentata dalla più generale situazione di arretramento e debolezza politica del movimento rivoluzionario e di classe quale fattore non indifferente rispetto a come la stessa O percepiva ala sconfitta e a come subiva le dinamiche di demoralizzazione delle forze. Ovvero, alle contraddizioni irrisolte si univa la pressione schiacciante del difensivismo che pervade inconsapevolmente l’O con tutto il suo portato di influenza negativa nella ricerca delle risoluzioni politiche da dare al rapporto Partito/masse. Contraddizioni come sappiamo già presenti con l’azione Giugni, tuttavia sarebbe sbagliato pensare che le tesi dogmatiche siano la loro evoluzione lineare, perché, pur presentando tratti simili entrambe riconducibili alla dinamica difensivistica, nel primo caso sono comunque suscettibili, per la loro natura, di essere corrette dalla prassi, quindi non destinate ad innescare nell’O un’elaborazione teorico-pratica in grado di portarle a quel livello di compiutezza espresso dalla concezione dogmatica.
In concreto, le tesi dogmatiche possono inserirsi nell’O sul terreno fertile dato dall’intreccio tra contraddizioni irrisolte e nuove contraddizioni, terreno galvanizzato dal contesto materiale dello scontro che determina quella condizione di debolezza dell’O sulla quale è possibile l’accettazione, in prima istanza acritica, di queste tesi, favorite anche da un altro fattore negativo, l’influenza dei prigionieri sull’O, che in quella fase assume particolari caratteristiche. Per capire ciò va considerato come i meccanismi di demoralizzazione delle forze e dell’interiorizzazione della sconfitta che si sviluppano in un arretramento politico di questa portata, hanno il loro riflesso preciso nella condizione politica della prigionia. Perché se nell’attività concreta questi meccanismi possono essere prima o poi capiti e governati o comunque contenuti dall’agire rivoluzionario, nella prigionia si sviluppano nella loro pura forma negativa, a causa delle condizioni obiettive di separatezza dall’attività concreta e per effetto della cattura e dello stato di prigionia. È in ragione di queste dinamiche, in quanto, una volta catturati, la percezione della sconfitta in carcere diviene assoluta, influenzando tutti i loro atti politici e la loro lettura della realtà dello scontro. In questo contesto si innescano dei processi di elaborazione politica caratterizzati dal loro svolgersi sul piano astratto della teoria, che per questo consumano rapidamente il passaggio dalla battaglia al soggettivismo idealista che viene esteriorizzato fino al punto di farlo combaciare con il presunto impianto guerrigliero dell’O. Queste conclusioni politiche che coinvolgevano una consistente parte dei militanti d’O arrestati in quel periodo, manifestavano al massimo grado l’interiorizzazione della sconfitta che a vari livelli imperversava nella prigionia in quel momento.
Nel contempo l’O a causa della sua condizione di debolezza che ne determinava un’incertezza politica, sentiva la necessità di avere il contributo dei militanti incarcerati, ed è in questo stretto rapporto che la produzione carceraria penetra ad ondate successive il dibattito interno all’O. Questo stato interno dell’O spiega come questo dibattito sia potuto penetrare senza troppe resistenze fino a dominare la sua proposta politica arrivando a mettere a repentaglio l’intera sua identità e l’impianto strategico originario. Che in larga misura si tratti di un dibattito preconfezionato e non un processo di elaborazione proprio dell’O è testimoniato da come si presenta nella sua forma pubblica il «19», un prodotto politico che introduce tesi radicalmente estranee a quelle dell’O, che si sostituiscono alla precedente impostazione senza che questo mutamento sia motivato, come un cambio di pagina che si sorregge a malapena con vistose lacune ed omissioni proprio nei punti cruciali che riguardano l’82, e più in generale salta agli occhi la totale assenza di riferimenti alla Strategia della Lotta Armata e a tutto ciò che ha a che fare con la guerra di classe, le fasi rivoluzionarie, ecc…
Questo quadro non sarebbe completo se non si considerasse lo stato di destrutturazione del corpo militante che ha senz’altro rallentato la presa di posizione critica verso queste tesi, perché in tal modo ha sfavorito nell’articolare la dialettica con la direzione, in un contesto in cui tutta la discussione era avocata dalla direzione e poi immessa nel resto dell’O. Questo stato spiega altresì come sia stato possibile che queste tesi prevalessero fino alla forma pubblica in quanto erano maggioritarie nella direzione ma non nell’O nel suo complesso. E quindi spiega perché, una volta organizzato lo schieramento, la messa al bando di queste tesi sia avvenuta con un’espulsione e non con una scissione.
Detto ciò, il dato politico principale è che queste tesi sono potute entrare nell’O, anche se per breve tempo, in rapporto alla sua debolezza politica, incarnandosi nei varchi lasciati aperti dalle problematiche del mancato passaggio di fase, irrisolto a causa della sconfitta. Più in particolare è come se la sconfitta avesse posto un’ipoteca negativa sulla ricca problematica propria all’impianto d’O della conquista delle masse sulla LA, divenendo un discorso irriproponibile in quanto tale e rovesciato nella sua natura come l’«errore» per antonomasia che ha il suo fulcro sul rapporto Partito/masse. Un rovesciamento che tutt’altro dall’essere un esame critico della problematica, è l’espressione massima del difensivismo penetrato nell’O, ed è per questo che le tesi dogmatiche sembrano dare una risposta alla problematica irrisolta. Ovvero tesi concepibili solo da una logica di sconfitta, come era quella dei prigionieri, in quanto tale una negazione dell’esperienza della Strategia della LA, potevano entrare in relazione nell’O perché questa logica della sconfitta non era che l’estremizzazione di uno stato difensivistico proprio anche all’O. A pochi mesi dal «19», grazie alla verifica pratica che rende evidente la totale illegittimità di questa tesi sul piano rivoluzionario e di classe, grazie anche a quanto pesa l’interezza della storia d’O sul corpo militante e nello scontro, tale da non consentire a lungo la cittadinanza di queste tesi, si formalizzerà nell’O il conflitto irricomponibile tra le 2 posizioni, che in breve arco


Sulla battaglia politica, quello che ci interessa rimarcare è come la difesa intransigente dell’impostazione strategica d’O presenta l’apparente contraddizione di essere lacunosa proprio nei suoi presupposti di fondo, e cioè l’organizzazione della classe sulla strategia della LA. Questo testimonia come l’O sia rimasta segnata dal fatto che un tentativo così complesso come quello di organizzare la classe sul terreno della LA che l’O aveva promosso e cercava di dirigere ed organizzare sia rimasto, a causa delle modalità assunte dallo scontro rivoluzione/controrivoluzione come “inficiato” nella sua possibilità di essere realizzato, perché è evidente che la controrivoluzione messa in campo dallo Stato e dalla borghesia ha assunto delle caratteristiche in rapporto proprio ad una situazione di guerra civile strisciante, nella quale veramente spezzoni di classe erano disponibili ad essere organizzati sulla LA, come effettivamente in parte lo erano in un quadro di scontro rivoluzionario e di classe in cui c’era un consenso rivoluzionario e di massa verso la progettualità delle BR. Quindi la risposta dello Stato è commisurata all’eventualità che si stava realizzando, di una classe armata dentro un progetto rivoluzionario definito nel suo percorso e finalizzato alla presa del potere, al di là dei limiti ideologici di soggettivismo che l’O aveva in sé, che però all’interno di un rapporto rivoluzione/controrivoluzione non costituivano i fattori scatenanti la controffensiva.
Il ridimensionamento derivato dalla controrivoluzione è erroneamente imputato a questo tentativo rivoluzionario in quanto tale, proprio perché su di esso ha agito l’impatto della controrivoluzione, e ciò al di là delle motivazioni date dall’O in quel momento. Questi sono i motivi per cui nell’opera di ricentramento dell’O, questo è l’ultimo nodo che potrà essere affrontato, rimanendo per lungo tempo omesso letteralmente dalle riflessioni e dai ricentramenti teorici e politici dell’O, tanto è vero che nei materiali preparatori della battaglia politica i contenuti relativi alla prospettiva di costruzione del processo rivoluzionario in relazione alla proposta alla classe, non si distinguono da quelli della “2° posizione”, per paradosso l’autoaccusa di aver scambiato le avanguardie con la classe a motivo della sconfitta, qui viene effettivamente assunta e praticata escludendo praticamente le masse dall’essere organizzate sulla LA (terreno questo riservato alle avanguardie e ai comunisti), e prospettando loro una dialettica basata sul fatidico “programma” che, in ultima analisi, lascia al mero lavoro politico il lavoro di massa.
La contraddizione si manifesta nell’omissione di un termine della dialettica distruzione/costruzione propria allo sviluppo della guerra di classe. Questa contraddizione da un significato limitante alla critica fatta in quel momento dall’O al gradualismo e alla linearità nella concezione del processo rivoluzionario, in quanto fatta ruotare sul discorso tabù dell’organizzazione delle masse sulla LA, divenendo sinonimo di contropotere territoriale, negando con questo che sia un problema costante della guerra di classe rimandato “sine die” nella sua solvibilità come nodo. La messa al centro che lo sviluppo del processo rivoluzionario non procede per accumulo graduale e progressivo, ma per salti e rotture, stante questo limite, non riceve la valorizzazione appropriata ad un avanzamento di questo genere, perché rimane privato dalla sua concretizzazione sul piano della guerra di classe. Ma soprattutto l’omissione del termine della costruzione si riflette in negativo sul principio della costruzione/fabbricazione del Partito derubricato ad una questione astrattamente leninista che, in ultima analisi, rimanda alla sua “costituzione”, al fatto che i comunisti sono d’accordo sulle tesi, e l’unità dei comunisti diverrebbe decisiva allo sbocco rivoluzionario, cioè la presa del potere. Una soluzione che si differenzia dalla “2° posizione” solo perché non è codista nella concezione d’avanguardia, ma che dimentica come la direzione di una guerra di classe richiede lo sviluppo di dirigenti adeguati che solo la maturazione della guerra di classe e la sua precisazione programmatica può produrre, fino ad allora la condizione di Forza Rivoluzionaria rimane quella più corrispondente come capacità di direzione dello scontro al livello di sviluppo reale del processo rivoluzionario.

Trascorrono alcuni mesi dall’ espulsione della “seconda posizione” e l’uscita pubblica dell’O. Mesi cruciali e fondamentali a preparare sul terreno teorico-politico il rilancio dell’iniziativa recuperando tutti i caratteri distintivi dell’agire rivoluzionario d’O. che partono dall’azione combattente. L’unicità pubblica dell’O. con l’opuscolo 20 e Tarantelli porta con se una riqualificazione dell’impianto e della coscienza che ha l’O. dello scontro, coscienza forgiata da questa battaglia e dal misurarsi con le problematiche del rilancio dell’iniziativa combattente. In questo senso è evidente che tra l’iniziativa G e T non c’è mera progressione in avanti, ma vero e proprio atto di maturazione passato attraverso l’affrontamento e risoluzione della contraddizione e più in generale del risollevamento dalle crisi politiche. Un salto che ridetermina la collocazione e il prestigio dell’O sia rispetto al movimento di classe, sia nella sua capacità di confrontarsi col nemico.
Nell’aver affrontato e risolto una battaglia che sostanzialmente era un tentativo di liquidazione della LA, si sono attinte tutte le risorse dei militanti che ne avevano consapevolezza, obbligandoli a mettere al meglio l’impostazione politica strategica ed ideologica di riferimento, attingendo dallo spessore politico prodotto dall’attività dell’O. Ovvero, se questa battaglia è stata obiettivamente di difesa ed anzi di retroguardia, rispetto all’attacco alle concezioni strategiche dell’O, il poterle sostenere ha obbligato i militanti d’O a far compiere uno strappo in avanti alle chiarificazioni del processo autocritico, nel senso che tutti i parziali aspetti di chiarificazione ricevevano un impulso tale da ricomporre in una visione organica i principali nodi alla base delle motivazioni che rendono necessaria la strategia della LA, riqualificando l’impianto originario dell’O in termini di maggiore scientificità. Per tutte queste ragioni, l’iniziativa T e l’Opuscolo 20 configurano il primo vero momento ricompositivo dopo Dozier, rispetto al movimento rivoluzionario e di classe perché l’O con la gestione di questo passaggio politico esprime la capacità di assumersi i reali processi politici che si sono determinati nello scontro dall’apertura della RS potendo dare valutazioni, indicazioni chiare ed inequivoche in grado di riassestare l’indirizzo che deve percorrere il processo rivoluzionario, sul quale convogliare tutte le energie proletarie e rivoluzionarie presenti nello scontro, sapendoli effettivamente dirigere in rapporto al suo approfondimento.
Per questo nell’ambito di riferimento delle avanguardie rivoluzionarie e di classe queste indicazioni segnano un punto di non ritorno e un approdo qualificante da cui non è possibile prescindere. Questo dato politico qualitativo è ravvisabile immediatamente da come l’O ora è in grado di collocare la sconfitta, sapendo analizzare criticamente la natura della controffensiva antiproletaria e controrivoluzionaria degli anni ’80 all’interno delle dinamiche generarli e particolari che l’hanno promossa, nella coscienza che l’origine della controffensiva risiedeva principalmente nei movimenti che a livello generale presentava la crisi dell’imperialismo, che motivavano le esigenze impellenti della BI, dinamica che avrebbe portato la borghesia comunque a stringere i conti col proletariato e la sua avanguardia rivoluzionaria.
Un dato di sostanza politica questo, che fa testo del grado di maturità dell’O nel riesaminare col giusto equilibrio il rapporto tra le proprie deficienze e il movimento complessivo dei fattori in campo, liberandosi finalmente dal peso della ricerca ossessiva degli errori che tanto ha contribuito a condurla nel vicolo cieco delle concezioni dogmatiche. Questo primo passo che la riporta ad un giusto rapporto rispetto al ridimensionamento subito, è la premessa per uscire dal difensivismo, governandone i condizionamenti. L’altro importante dato qualitativo sta nel bilancio contenuto nel «20»: bilancio certamente dovuto, ma che l’O è in grado di tracciare dalla posizione politica che ha acquisito con la risoluzione di questa crisi, usufruendo quindi nelle valutazioni di questa maturità politica che le consente di tracciare tutto il percorso svolto dall’O fino all’affrontamento della contraddizione liquidazionista, non solo in funzione di ristabilire la verità storico-politica messa in discussione da questo attacco, ma di precisarla, facendo spiccare il movimento reale che l’O ha impresso al processo rivoluzionario in tutta la sua dialettica e materialità. Solo l’O può isolare l’effettivo portato del soggettivismo e le ragioni che lo hanno alimentato, riconducibili alla crescita sul territorio nazionale della LA e alla giovane esperienza sull’incanalamento di questo processo. Solo ora, cioè si può finalmente affermare che l’empasse su cui si è arenato il processo rivoluzionario è stata quella di non aver saputo, a conclusione della Fase di PA, definire le tappe e la tattica necessarie per il raggiungimento del primo obiettivo: la conquista del potere, una questione di non poco conto, considerato che questo era il nodo flagrante della sua inadeguatezza.
Per l’O aver individuato questo fattore di inadeguatezza, unitamente alla concezione lineare e progressiva del processo rivoluzionario che ne è alla base, pur non essendo in grado in quel momento di dargli soluzione, l’averlo individuato costituisce il prerequisito per il suo affrontamento cosciente quando matureranno le necessarie condizioni. E questo perché nel quadro di quel bilancio non erano presenti le condizioni oggettive e soggettive per la comprensione della problematica, cosa che avrebbe richiesto una critica più approfondita sulle implicazioni in negativo della visione lineare del processo rivoluzionario. Infatti la semplice individuazione dell’errore di definizione della tappa è pur sempre calata in una visione di risoluzione ravvicinata della presa del potere, il cui nodo era visto dall’O nel salto al Partito, da compiere correttamente rispetto al rapporto Partito/masse. Una visione cioè che lasciava fuori il richiamarsi alle fasi rivoluzionarie e al loro succedersi dentro al grado di approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, cosa che avrebbe dato i termini concreti per valutare in quale tappa si trovava il processo rivoluzionario, o meglio quale fase andava a definita in rapporto al suo effettivo quadro strategico.
Un tipo di valutazione che in quel momento non era alla portata dell’O anche perché avrebbe richiesto di assumere la guerra di classe come il modo di esistere in ogni fase, pur in forma diversa, del processo rivoluzionario, visto il suo svolgersi discontinuo. Una discontinuità dentro la quale solo può trovare spessore il giusto concetto dello svolgersi del processo rivoluzionario per salti e rotture. Sulla base dell’evoluzione politica raggiunta, l’O può affrontare in termini complessivi i nodi su cui aveva perso di sostanza: Stato, Partito, classe, e i più generali criteri di analisi storico-politica, relativi all’imperialismo ed alla crisi. Un affrontamento che si avvale dei risvolti già sedimentati in termini di classificazione nella battaglia al soggettivismo, ma che aveva i suoi contenuti teorici rispetto alla necessità di argomentare la relazione che esiste tra i caratteri di questi nodi e l’adeguamento del processo rivoluzionario, nel senso che le caratteristiche dell’imperialismo, della crisi e soprattutto dello Stato, del Partito, hanno un intimo legame con la legittimazione della Strategia della LA, la cui esistenza è giustificata storicamente in primo luogo dal suo essere adeguata a confrontarsi con le forme di dominio dello Stato. In questo senso, viene anche ricollocato nel suo più giusto significato il ruolo della guerriglia rispetto al revisionismo storico che va rapportato ad un preciso piano politico (quello di battaglia dentro al movimento di classe), sgombrando il campo dalla mistificante motivazione che l’antirevisionismo sia a fondamento dell’esordio della LA.
Stabilire i nessi delle ragioni strutturali su cui, in ultima analisi, poggia la rottura operata dalla LA, risponde più in generale all’esigenza politica di portare a fondo la battaglia contro le tesi dogmatiche consapevole che, sebbene l’O le avesse espulse, queste nella condizione di arretramento delle posizioni rivoluzionarie e di classe avevano trovato una certa diffusione, rispetto alla quale non sono stati indifferenti la diffusione del «19» e del volantino Hunt. Proprio per confutare il riemergere di concezioni inadeguate ed arretrate, come lo Stato-nazione (con una lettura retrodatata dell’analisi di classe, fino alla riproposizione delle alleanze interclassiste), l’imperialismo riportato all’epoca di Lenin, i blocchi basati su motivazioni ideologiche, l’internazionalismo ridotto al solidarismo, ecc…, l’O recupera tutto quello che è il patrimonio sedimentato nel corso del processo rivoluzionario a livello degli architravi analitici, cioè FES, affermazione del capitale monopolistico-multinazionale, Stato imperialista, ecc…e, privato delle sue venature idealistiche, lo porta ad una più alta maturazione. Questo processo di evoluzione politica consolida l’impostazione dell’impianto politico-strategico dell’O che ha come corollario la difesa estrema dei concetti strategici della guerra di classe, dell’unità del politico e del militare, dei criteri di disarticolazione che, in quanto tali, salvaguardano l’impianto fondamentale nella sua integrità. Se indubbiamente il «20» riflette uno stato politico diverso dal momento della battaglia politica, in cui il nuovo livello di unità raggiunta materializza la maturazione politica avvenuta, ciò nonostante si ritrovano insoluti quegli stessi nodi che nella battaglia politica non erano stati superati, e si presentano nel quadro di riaffermazione dell’impianto strategico, come elementi di contraddizione. A fronte della riaffermazione sul piano generale della guerra di classe prolungata, vi è l’assenza su come essa possa vivere fino alla conquista del potere; a fronte dell’approfondimento del principio di disarticolazione, vi è l’assenza di riferimenti alla costruzione; la questione del Partito è censurata dal principio di costruzione, in ultima analisi l’indicazione pratica della proposta rivoluzionaria è soggetta a questo tipo di contraddizione che, se dovesse essere presa alla lettera, porterebbe a concludere che l’O propone la LA delle avanguardie e la relazione con la classe mediante il programma, non differenziandosi sostanzialmente dalla pratica proposta dalla 2° posizione!
Nonostante questa apparenza questi elementi di contraddizione non sono l’indice di una permanenza di residui dogmatici, più precisamente la contraddittorietà va ricondotta alla non risoluzione dei nodi rimasti aperti dall’82 con la sconfitta, ovvero quelli relativi al cambio di fase ed alla tattica conseguente da definire. Nodi che però l’O nel corso dell’elaborazione politica avvenuta in quegli anni è riuscita ad identificare sul loro piano generale, ma che in mancanza dello sviluppo di esperienza che le consenta di acquisire gli elementi per padroneggiarli, restano enunciazioni prive di consequenzialità politica. Inoltre, l’indefinitezza con cui l’O esprime le modalità entro cui deve svilupparsi il rapporto con la classe sul terreno della LA, pur avendo come conseguenza quella di privare la disarticolazione dell’elemento dialettico della costruzione, non costituisce il substrato di una contraddizione tesa a delimitare lo sviluppo della guerra di classe solo nello scontro tra guerriglia e Stato, piuttosto manifesta il massimo della coscienza sulla problematicità di questo nodo su cui grava l’ipoteca degli errori del passato, quando l’O si è trovata a mettere in pratica un processo complesso come quello di organizzare le masse sulla LA. Un passaggio estremamente importante della guerra di classe che si è inceppato sulle inadeguatezze presenti nell’O in quel periodo, ma che ha segnato comunque il precedente più significativo nell’esperienza della guerriglia in Europa. Un precedente da cui l’O ha tratto insegnamenti divenuti patrimonio generale per qualsiasi guerriglia nella metropoli, sia come leggi della guerra (guerra senza fronti, soggetta all’accerchiamento strategico, e che la forza acquisita deve riversarsi sui rapporti di forza generali tra le classi, ecc…) sia sul piano dell’impostazione marxista-leninista per cui questa forza acquisita non può essere dirottata dentro a rapporti di potere nel sociale a fini economicistici o nella concezione di contropotere.
Tutti insegnamenti su cui l’O si arrocca e che, pur non potendo andare oltre, le consentono quanto meno di assumere l’impostazione corretta su come potranno essere affrontati, un arroccamento che però ha anche un effetto paralizzante per tutti quegli aspetti che riguardano il come l’O si rapporta alla classe nonostante il consolidato criterio che il ruolo di direzione dello scontro comprende le indicazioni su come organizzare gli spezzoni di classe che si muovono contro lo Stato ovvero dirigere ed organizzare la guerra di classe) e che si risolve nel fatto che l’O si attiene alle sole indicazioni di carattere politico generale che come tali sono prive in quel momento di significato pratico. In conclusione questa è l’attestazione politica raggiunta dall’O su questo problema in quel momento e, d’altra parte, considerando il grado di evoluzione del processo rivoluzionario fino allora, non pensabile che potesse sviluppare risoluzioni di altro tipo, in quanto in quel contesto di scontro la questione fondamentale assolta oggettivamente dall’O è stata di mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria a partire dalla capacità dell’O di esistere politicamente, questo come risultato obiettivo che configura il tragitto reale compiuto dall’O dentro le caratteristiche della RS. Un elemento di tenuta che, nella difensiva strategica, costituisce fondamento dei processi di ricostruzione e rilancio, proprio perché qui per tenuta non si intende mera resistenza ma capacità di riaffermazione della propria proposta e del proprio impianto, che è tale perché riadeguati all’interno di un processo che, dagli accumuli quantitativi, ha maturato un salto di qualità, dando risoluzione alla maggior parte dei problemi presenti al momento della rottura della RS.
Per tutto ciò, le contraddizioni residue nel «20» e i necessari processi di riassestamento presenti nell’O costituiscono problemi di ordine secondario, in quanto suscettibili di essere rettificati nel corso del processo di riadeguamento, pur nella sua inevitabile discontinuità e problematicità, e questo perché a monte sono solidi i riferimenti necessari a livello di impianto strategico che consentono di procedere verso lo sviluppo delle condizioni politiche, pratiche, teoriche del rilancio del processo rivoluzionario. Rilancio che per l’O vive strettamente in rapporto alla sua dinamica materiale data dallo sviluppo delle condizioni del movimento di classe, delle politiche dello Stato e della condizione delle avanguardie, ed è in rapporto a questa dinamica che ha senso per l’O parlare di critica-auocritica-trasformazione.

Le caratteristiche che manifesta l’iniziativa politico-militare C. segnalano un tipo di problematica le cui avvisaglie si erano già riscontrate nel periodo della battaglia politica con la 2° posizione (difficoltà nei tempi di schieramento) e nelle circostanze che hanno portato al fallito esproprio. Ancora una volta all’interno del processo di evoluzione politco-generale dell’O convive un movimento negativo riconducibile in questo caso alle dinamiche di esistenza di una F.R. dentro la ritirata. In questo caso il movimento negativo è rappresentato in primo luogo nell’impoverimento del corpo militante e della sua disattivazione dai meccanismi propri di funzionamento politico-organizzatibvo. Una problematica che ha la sua origine nelle modifiche al modulo che l’O ha dovuto fare con l’82 i cui effetti negativi si sono potuti produrre solo a distanza di tempo. In questo senso, malgrado tutta l’O si fosse attivizzata nello schieramento contro la 2° posizione e malgrado le altre risultanze politiche del «20», il corpo militante era impoverito dalle risorse per andare oltre all’attestazione su queste risultanze, in quanto lo stesso fatto che fosse passata nell’O una contraddizione liquidazionista, indice delle debolezze in cui versava, ha lasciato le forze militanti politicamente provate, impossibilitate a usufruire delle risorse politiche che l’O ufficialmente aveva espresso, paralizzate com’erano dalla disattivazione in cui l’O versava. Per questo questa specifica problematica presenta il suo conto a ridosso della battaglia politica, portando anche i segni del fallito esproprio.
Lo stato di indebolimento politico-organizzativo delle forze militanti era quanto di più permeabile a risentire delle forme di difensivismo proprie di quel momento di scontro, che si riflettevano in una logica di tenuta e di difesa strema della condizione organizzativa dell’O dai pericoli di ulteriori ridimensionamenti, un circolo vizioso paralizzante, che finisce col sottomettere le finalità dell’attività d’O alla sua sopravvivenza organizzativa. Un circolo vizioso molto pericoloso che fa aleggiare il rischio di una endemizzazione della LA, in quanto, non riuscendo a porsi in termini di rilancio del processo rivoluzionario in rapporto ai bisogni generali del proletariato, l’attività prodotta poteva innescare una logica di scontro tra apparati. Un rischio che non è peregrino nelle situazioni di arretramento del processo rivoluzionario e di ridimensionamento delle forze a cui l’O è riuscita a far fronte grazie al suo spessore e al suo peso storico-politico.
Considerato il venire al pettine di queste dinamiche negative, la situazione che si è determinata faceva sì che rispetto alle risultanze del «20», l’O riuscisse solo ad attestarcisi, cosa che, nel quadro di approfondimento di tutti i fattori dello scontro, significava non riuscire ad essere adeguata, vale a dire di non riuscire ad utilizzare gli stessi strumenti politici che si erano prodotti per reimpostare la propria iniziativa in relazione al delinearsi dei nodi che andavano affrontati nello scontro. Un empasse che si traduceva nel rimanere ancorati nella precedente definizione degli obiettivi (patto neocorporativo), con l’aggravante di ricercarli in base alle proprie capacità organizzative.
In questo quadro si spiega l’iniziativa C, che in linea di principio doveva essere tesa a colpire le politiche di riarmo, che però vengono lette e anche deformate a misura dell’obiettivo, il problema generale non era perciò l’esistenza di tendenze politiche errate nell’O, ma la reale tendenza a piegare l’interpretazione della LP a quello che era possibile fare, ed era questa spinta che produceva le distorsioni, l’impoverimento stesso della lettura dello scontro e dell’affermazione del piano propositivo. Qui si conferma come nell’attività rivoluzionaria della guerriglia non ci può essere divaricazione tra grado di espressione politica e piano organizzativo adatto a sostenerla, pena la vanificazione dei risultati politici. Quello che soprattutto manifesta l’iniziativa C è invece il piegare allo stato organizzativo quello che l’O doveva fare, mettendo così in discussione le sue risultanze politiche e soprattutto il suo avanzamento, e questo in particolare è dimostrato dal disattendere nella pratica i criteri della disarticolazione rispetto alla contraddizione dominante tra classe e Stato come pure tra imperialismo e antimperialismo. Detto questo, sul piano pubblico C si qualifica ugualmente come iniziativa politico-militare che comunque contribuisce e lascia il suo peso sul piano del mantenimento dell’opzione rivoluzionaria.
Considerato che le problematiche che si presentano dopo la battaglia politica sono affrontabili sul piano delle rettifiche interne, anche quelle che si sono manifestate in C e nel fallito esproprio vengono assunte dall’O come problemi e contraddizioni che si possono dirimere nell’ambito di processi di assestamento interno. Va considerato a questo proposito come nei quadri più avanzati dell’O ci fosse coscienza della natura di queste problematiche grazie ai saldi insegnamenti lasciati dal salto politico compiuto dall’O. la Bozza quindi è uno di questi strumenti di assestamento interno, concepita proprio per riattivizzare le forze militanti nella pienezza del loro ruolo, in questo senso una base di dibattito che raccoglie tutti i contributi, cosa questa che può farla apparire un prodotto disorganico. In realtà anche quella forma è un momento necessario ai fini di una razionalizzazione politica delle incongruenze esistenti utile ad innescare un processo politico riorganizzativo per uscire dall’empasse.
Rimettere in gioco le forze militanti diveniva indispensabile affinché l’O si potesse disporre in maniera adeguata di fronte ad un quadro di scontro che andava a mutare e che richiedeva la capacità di usufruire dei criteri avanzati stabiliti nel «20», non in senso statico, ma come strumenti di lettura della realtà. In questo senso la discussione stimolata dalla «Bozza» aveva per oggetto l’appropriazione e l’approfondimento della sostanza delle tematiche da analizzare anche per colmare lacune che erano emerse con l’iniziativa C. considerata la coscienza che avevano i quadri dell’alto livello raggiunto dall’O, queste lacune non si dovevano più ripresentare, pena non solo non qualificare sufficientemente questo salto, ma rimanere nei fatti arretrati rispetto ai compiti posti dallo scontro. In sintesi, a monte dell’ideazione della «Bozza» c’è chiarezza sui fini perseguiti, nel senso che ben oltre alla semplice attivizzazione del dibattito, lo scopo è quello di rimettere in moto il complesso meccanismo di funzionamento dell’O, dentro al quale ogni militante deve diventare un quadro complessivo e riuscire a rappresentare e a far vivere la proposta rivoluzionaria nelle condizioni più difficili quali quelle imposte dallo scontro. Una riqualificazione delle forze militanti per questo motivo inderogabile e che prospettava, dentro la reimpostaziopne del lavoro, un salto di coscienza in grado di far proprio sia il portato storico politico dell’O, sia in termini di prospettiva del processo rivoluzionario. Scopi che, seppure non sono espliciti nella «Bozza», sono ravvisabili da alcuni passaggi lì inseriti, indizio della messa in moto di questo processo.


L’esproprio e il volantino di rivendicazione sono il primo risultato di questo processo di riassestamento interno e di riadeguamento complessivo allo scontro e dimostrano la coscienza con cui questo processo viene guidato. Costruzione dell’iniziativa e sua gestione politica rispecchiano punto per punto l’articolazione di questo adeguamento nonché dei suoi fini politici immediati, ovvero la riattivazione del corpo militante e il militante complessivo, a partire dalla coscienza che è una giusta impostazione della prassi a consentire di cristallizzare nei militanti i principi e i contenuti che si vogliono far vivere. Da un lato la necessità di riaffermare nella coscienza dei militanti la capacità della guerriglia di operare nella metropoli secondo le sue proprie leggi: rompere l’accerchiamento, occupare il territorio, ritirarsi e in questo senso l’iniziativa ha in sé anche lo scopo propedeutico di liquidare le tendenze di difensivismo organizzativista, dall’atro, sul piano del suo significato pubblico, l’esproprio qualifica i termini di riorganizzazione del processo rivoluzionario che l’O si propone di rilanciare, e sotto questo aspetto tutto il volantino, pur nella sua sinteticità è calibrato per rendere questi termini facendo risaltare in ogni suo passaggio la presa di coscienza della realtà. Questo sia rispetto all’analisi del passato recente con una complessificazione degli elementi di valutazione della controffensiva che viene qualificata da quel momento come “vera e propria controrivoluzione”, sia nell’individuazione della nuova fase politica, rispetto alla quale l’O dichiara la sua intenzione di attrezzarsi per affrontarla rilanciando il suo ruolo di direzione.
Nel volantino è altresì visibile come si siano già prodotti a partire dalla «Bozza» un insieme di risultati, sia come rettifica, laddove vengono precisati i termini di linea politica, in particolare rispetto alla disarticolazione, sia come enunciazioni dell’indirizzo che l’O andrà a sviluppare: brevi ma precisi enunciati che riguardano i caratteri che l’O intende dare al riadeguamento complessivo, mirato a riqualificare la direzione dello scontro rivoluzionario, che ha il suo elemento di sostanza nella riappropriazione complessiva dei termini della guerra di classe. Un dato riscontrabile anche da come l’O valuta lo stato delle forze in campo dentro ad un’ottica di guerra di classe per la quale è fondamentale il calibramento di tutti i fattori in funzione di poter discriminare le forme adeguate dell’organizzazione di classe sulla LA; questo come un primo momento che va a colmare la parte mancante nel «20» della dialettica Partito-masse, ovvero l’incompleto enunciato della costruzione rispetto alla distruzione; una reimpostaziopne questa individuabile nello slogan: rafforzare il campo proletario per attrezzarlo allo scontro prolungato contro lo Stato.
L’altro aspetto qualificante il volantino è l’approfondimento della proposta di fronte nell’ambito dell’antimperialismo, per uscire dalle secche dell’ideologismo e del dogmatismo in cui la proposta dell’O era rimasta impigliata negli ultimi anni. Nel volantino c’è la necessità di definire una proposta adeguata all’analisi concreta della situazione concreta pur rispecchiando l’internità alla tradizione del movimento comunista internazionale, da qui la proposta di una politica di alleanze come termine programmatico dell’O, superando il genericismo del Fronte di Lotta Antimperialista, e attestandosi sull’inequivocabile “Fronte Combattente”, riferito cioè alle organizzazioni che combattono, un realismo politico che ha come sbocco la necessità di dichiarare pubblicamente l’interesse verso la pratica di fronte di AD e RAF.


Il Bilancio rappresenta una vera e propria piattaforma politica funzionale ad operare il salto politico delle forze militanti come quadri complessivi, dirigenti della guerra di classe. Il suo uso è quindi prettamente interno, anche se i contenuti sono a carattere generale. I temi politici trattati vivono nell’O come dato di consapevolezza scaturito dall’affrontamento pratico di questo tipo di problematiche, ma per usufruire in termini di insegnamenti è stata necessaria un’elaborazione politica per sistematizzarli sul loro piano generale. In questo senso il bilancio, elaborando l’esperienza che si è prodotta dall’apertura della RS e in generale da come l’O ha condotto il processo rivoluzionario si propone di approfondire quelle leggi della guerra che hanno investito l’O e che governano l’agire rivoluzionario nella Fase di Ritirata.
Un inquadramento che proprio perché analizza il processo rivoluzionario dentro a tutti gli aspetti che mette in campo la guerra di classe vuole essere uno strumento per acquisire una visione complessiva intesa nella riappropriazione dell’unità dialettica tra distruzione e costruzione, ovvero nella riappropriazione della dimensione di guerra del processo rivoluzionario, in sintesi nell’assumere l’unità del politico e del militare come dato che vive in ogni aspetto dell’attività rivoluzionaria e in ogni momento dello scontro rivoluzionario, superando la limitazione insostenibile della LA come pratica delle sole avanguardie comuniste per riappropriarsi della necessaria logica che sulla LA è basato pure il necessario lavoro politico nella classe. Una visione indispensabile per inquadrare la propria pratica rivoluzionaria dentro al movimento complesso che una guerra di classe comporta e che richiede di prendere atto di peculiari leggi della guerra che emergono dalla sua messa in pratica. È all’interno di questa visione che è possibile formare la coscienza di un tipo di militante in grado di proporre e praticare iniziativa rivoluzionaria, di esprimere direzione dello scontro nella piena consapevolezza di condizioni sfavorevoli alla rivoluzione. Quindi un tipo di militante che deve essere in grado di avere in sé il patrimonio sviluppato dall’O nelle fasi passate necessario a dargli la visione storica e prospettica del processo rivoluzionario e, nello stesso tempo, fornito degli strumenti di conoscenza più avanzati per poter valutare il “che fare” in ogni circostanza, anche in condizioni di ridimensionamento e isolamento. Ovvero si tratta di fornire il militante della coscienza delle trasformazioni che ha prodotto il processo rivoluzionario sia rispetto allo scontro, nel suo approfondirsi e nel mutamento delle fasi rivoluzionarie, sia rispetto allo stesso nemico di classe che ha raffinato i suoi strumenti di controrivoluzione proprio misurandosi con la pratica rivoluzionaria.
In sintesi il Bilancio apre questa prospettiva di lavoro politico nella formazione dei militanti e più in generale rispecchia l’obiettivo politico maturatosi dopo il «20», e cioè che il processo di riadeguamento complessivo dell’O doveva comprendere come dato inaggirabile l’evoluzione dell’O in organizzazione di quadri complessivi, obiettivo posto con urgenza dall’approfondirsi delle condizioni di scontro e dal suo procedere in una fase di ritirata e che il salto di qualità fatto col «20» ha reso palese nella misura in cui questo salto richiedeva le gambe adeguate per la sua propulsione in avanti.
Con questa coscienza l’O si dispone nel lavoro in modo tale da fare di questo obiettivo, la formazione, un termine di linea politica.
Entrando nel merito dei contenuti sintetizzati nel bilancio, un dato al centro delle riflessioni dell’O è proprio il difensivismo, in quanto questo non può essere circoscritto ad un fenomeno temporale prodotto in relazione alla sconfitta, né può essere considerato risolto con l’espulsione della 2° posizione, che di questo è stata la massima espressione; il difensivismo, in realtà è una logica a cui una FR può essere soggetta continuamente anche se in forme diverse, nelle fasi di ritirata a causa di come influiscono su di essa i ridimensionamenti politico-militari.
Questo insegnamento scaturisce dalla riacquisizione dei caratteri generali della RS come fasi della rivoluzione di cui, sulla base dell’esperienza maturata, vengono approfonditi tutti gli aspetti e le leggi che le sono proprie, data dal fatto che l’O ha acquisito i termini di forte discontinuità del processo rivoluzionario. In sintesi la lettura della RS supera tutte le interpretazioni parziali date in precedenza soprattutto quella riduttiva che, attribuendo alla RS la funzione di solo riadeguamento politico, vede, con la risoluzione delle battaglie politiche, il suo esaurimento. Solo ora che la visione del processo rivoluzionario è complessificata nella sua dimensione di guerra di classe e le fasi rivoluzionarie tornano ad essere oggetto dell’analisi dell’O, la RS assume i suoi connotati di scelta soggettiva capace di usufruire delle leggi dinamiche della guerra. Dinamicità che consente di ritirarsi per ricostruire le proprie forze e la propria capacità di iniziativa rivoluzionaria, assumendo il ritirarsi come elemento aderente allo sviluppo discontinuo dello scontro rivoluzionario, motivo per cui non è riducibile ad una visione limitata di tenuta, che si sottopone al logoramento del nemico, lasciando spazio alle logiche difensivistiche.
Uscire dalla logica di “tenuta” ha significato per l’O uscire anche da una valutazione contingente dello stato delle forze contrapposte, valutazione per lo più influenzata da quella concezione di “politica rivoluzionaria” che si era insinuata nella visione d’O negli anni precedenti, per recuperare il piano concreto di valutazione relativo a quanto nello scontro riesce ad attestare l’iniziativa rivoluzionaria rispetto alle forze in campo ovvero al movimento rivoluzionario, al campo proletario nei loro differenti rapporti, cosa che implica concepire queste relazioni nella loro determinazione organizzata, perché solo in questi termini ha senso parlare di attestazione nello scontro dentro un processo rivoluzionario che sviluppa la guerra di classe. Ma non solo, la riaffermazione di questo criterio alla luce anche degli insegnamenti della sconfitta, vive insieme al principio del calibramento che significa che il movimento delle forze che l’O riesce ad attestare deve essere sostenibile di fronte allo Stato del nemico, e ciò presuppone che l’O valuti tutti i fattori interni ed internazionali, economici e politici della BI che hanno un’influenza diretta nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione, classe/Stato. A corollario di questa impostazione ne deriva la riorganizzazione delle forze militanti in modo da ripristinare le sedi politco-organizzative adeguate al loro sviluppo, e in questo senso obiettivo qualificante a medio termine dell’O era la costituzione della nuova DS che poteva scaturire solo dalla riqualificazione delle forze. ________________________________________________________________________

Con l’iniziativa RR l’O è in grado di misurarsi con il livello adeguato della contraddizione classe/Stato nel momento in cui nel paese si profilava una svolta politica sul piano della rifunzionalizzazione dei poteri dello Stato. In altri termini per parte borghese errano andati a maturazione nello scontro di classe una serie di condizioni dall’82, ad essa favorevoli, che le consentono di coagulare sul piano degli equilibri politici i termini di un progetto di rifunzionalizzazione adeguato alla natura dei cambiamenti che si erano accumulati, sia a lato della crisi della BI, sia a lato del governo del conflitto di classe.
L’O riesce ad impattare questo momento decisivo dello scontro mettendo a frutto tutti gli avanzamenti del processo di riadeguamento, in particolare le potenzialità che aveva la piattaforma del Bilancio, avanzamenti che contraddistinguono tutti i passaggi della costruzione e attivazione dell’iniziativa, nel senso che questa incarna la dinamica viva di un processo che dalla distruzione ha operato per la costruzione, per ritornare poi, su un piano più alto, al livello necessario dello scontro, in termini di distruzione. Una dinamica che ha recuperato pienamente la visione che riunifica tutti gli elementi del processo rivoluzionario, perno trainante questo su cui le forze militanti si riqualificano “per propria esperienza” acquisendo in questo modo il senso politico d’O.
Con queste forze attive l’O si misura con il nemico di classe ed è effettivamente in grado di danneggiarlo, cosa che ha come suo presupposto un’approfondita capacità di penetrare la realtà dello scontro padroneggiandola in tutta la sua concretezza, tenendo ben conto di quali modifiche avrebbe comportato l’iniziativa su tutti i piani dello scontro. Nel contempo, da questo corpo militante, proviene l’apporto necessario per ufficializzare le valutazioni e le indicazioni sullo stato del processo rivoluzionario e sulle sue linee di sviluppo.
In questo senso il volantino contiene in forma sintetica l’insieme degli insegnamenti che è stato possibile trarre dall’apertura della RS, e questi non solo consentono di inquadrare il tragitto percorso nell’interezza dei fattori che lo hanno contraddistinto, definendo correttamente la natura delle contraddizioni che si sono presentate e qualificando anche quelle nuove, ma sulla base di ciò consentono di definire i caratteri del presente. In altri termini, una volta riqualificata la RS come fase rivoluzionaria e collocata nella successione delle fasi nel movimento discontinuo del processo rivoluzionario, è possibile porre i termini della Fase di Ricostruzione che oggettivamente sta dentro al quadro strategico della ritirata e soggettivamente è sostanziata da un indirizzo di lavoro che l’O valuta possa essere concretizzato nella situazione dello scontro rivoluzionario e di classe da quel momento in poi.
Qualificare l’iniziativa RR dentro il tragitto del riadeguamento significa prima di tutto qualificare il riadeguamento stesso. Infatti si è compiuta una svolta in questo percorso i cui termini vanno rintracciati soprattutto nel salto politico operato col «20», e nell’affrontamento dell’insieme di problematiche che nonostante il salto erano rimaste aperte. Se, come abbiamo già esaminato, col «20» l’O rilancia i termini dell’impianto strategico riproponendo la sua dimensione d’avanguardia rivoluzionaria dentro questi presupposti, tale rilancio rischiava di perdere forza a causa dell’incompletezza del riadeguamento, nella difficoltà dell’O di superare gli strascichi della sconfitta, andando a sminuire la raggiunta riqualificazione del suo ruolo di direzione rivoluzionaria. È stata la cruda realtà dello scontro a mettere l’O nella condizione di affrontare e risolvere complessivamente questi nodi dato che l’impostazione incompleta del «20» aveva come portato pratico quello di dare un’impronta riduttiva all’iniziativa rivoluzionaria, perché privata della sua proiezione rispetto alla costruzione. Ovvero un’impostazione che, restando ferma alla rivendicazione dei caratteri della disarticolazione, lasciava sospese le direttive rispetto al proprio referente di classe, non riuscendo ad inquadrare la propria iniziativa combattente rispetto al problema dell’attivizzazione e organizzazione delle forze in campo. In questo modo viene ridotta giocoforza la proiezione del proprio intervento limitato alla valutazione del nemico, senza riuscire a comprendere la valutazione dello stato delle forze del campo rivoluzionario e di classe in quanto sul piano pratico non è definito il problema di come queste forze devono essere mobilitate ed attestate nello scontro con lo Stato. Questa deficienza finisce per impoverire gli stessi principi della disarticolazione in quanto le valutazioni a cui questi principi devono fare riferimento, finiscono per restringersi intorno allo stato dell’O. Questo come portato obiettivo dell’indicazione politica di una lotta armata imperniata sulle avanguardie rivoluzionarie, che demanda a un generico “piano politico” l’articolazione dell’iniziativa rivoluzionaria. Un limite che si è immediatamente tradotto nella pratica in livelli di attacco politico-militari ritagliati sulle possibilità contingenti dell’O, emblematizzando l’impossibilità di mantenere a lungo questo tipo di incompletezza politica, che a lungo andare si sarebbe tradotto in una pratica blanquista. In conclusione, il riduttivismo insito in queste problematiche avrebbe finito col collidere con la valenza dell’impianto strategico e con l’ostacolare lo sviluppo che doveva essere dato al salto compiuto col «20».
Ed è nel momento in cui l’O prende coscienza di questo nodo e si dispone ad affrontarlo, mettendo mano alle sue origini, cioè ai nodi irrisolti dell’82, che si produce una svolta nel riadeguamento. Si apre in questo senso un periodo nuovo del riadeguamento in quanto l’O nel processo politico che mette in atto, liquida in piena coscienza tutti i residui che, nonostante gli avanzamenti raggiunti nei diversi momenti del rientramento, erano rimasti irrisolti, ed esaurisce altresì il periodo in cui le sue capacità politiche erano indirizzate prevalentemente alla risoluzione dei limiti suoi propri. Da ora in poi riacquista la visione complessiva del processo rivoluzionario nella migliore conoscenza delle leggi della guerra di classe, tutte le sue risorse sono indirizzate e mobilitate per riappropriarsi della comprensione della realtà ai fini di stabilire un intervento volto a modificare lo scontro a favore del proletariato, in altri termini l’O è proiettata prevalentemente a costruire e indirizzare il processo rivoluzionario confrontandosi col nemico sulla base della maggiore consapevolezza acquisita nel complesso dei fattori dello scontro. Ed sulla base di questa nuova dimensione che il ruolo d’avanguardia dell’O riconquista tutto il suo peso e la sua iniziativa politico-militare torna ad essere incisiva nei termini propri della guerriglia urbana, nel quadro di un'aderenza della sua progettualità e degli indirizzi di lavoro politico alla realtà del paese e ai nodi aperti nello scontro di classe, come dimostra chiaramente l’aver aperto la Fase di Ricostruzione. In ultima analisi, questa nuova dimensione del riadeguamento si qualifica per ricomporre l’elaborazione pratico-teorica dell’O e il suo intervento specifico nella situazione di scontro con la linea di sviluppo della rivoluzione, nel senso che questa attività viene concepita secondo un criterio tattico rispondente ai caratteri della fase rivoluzionaria.



Aggiornamento allo Statuto. Questo documento interno, da un lato incarna il punto d’approdo alle direttive che erano contenute nella piattaforma del Bilancio, dall’altro, costituisce il punto di partenza da dare al nuovo livello della guerra di classe che l’O stessa stava promovendo. In altri termini, nel momento in cui erano andate a compimento le direttive del bilancio che si erano dispiegate e tradotte nella disposizione delle forze e nella concretizzazione dell’iniziativa rivoluzionaria, riempiendo con la pratica i contenuti rivoluzionari delineati nel Bilancio, questo stesso movimento ha richiesto all’O di porre le basi per una definizione complessiva degli indirizzi che assume il processo rivoluzionario per qualificare i nuovi compiti dentro alle caratteristiche che tende ad assumere la guerra di classe.
Se nel Bilancio le nuove acquisizioni che vi sono delineate per lo più ruotano intorno all’esperienza che si è sviluppata nella RS, in questo materiale l’elaborazione politica investe l’intero patrimonio dell’O per riesaminarlo e approfondirlo alla luce della verifica data dalla pratica. Un’elaborazione forte degli insegnamenti acquisiti dall’O nel processo che va dal «20» fino ad RR e che sono fondamentali per dirimere i nodi cruciali rimasti controversi dall’82 sullo sviluppo della guerra di classe, raggiungendo nuovi livelli di comprensione proprio riguardo la successione delle fasi rivoluzionarie, il rapporto tra tattica e strategia, l’effettivo portato della visione lineare, l’affrontamento sul piano della corretta impostazione del nodo che si era posto con l’esaurirsi della Propaganda Armata e soprattutto rispetto all’unità del politico e del militare come matrice che investe tutti gli aspetti del processo rivoluzionario e ogni momento dello sviluppo dello scontro rivoluzionario. Nel momento in cui l’O sistematizza scientificamente il complesso dell’impianto generale e, sulla base di ciò, è in grado di guardare ai caratteri e prospettiva della guerra di classe con una maggiore profondità, ne scaturisce la capacità di individuare le direttrici del piano di lavoro con cui l’O si propone di incidere nello scontro ed attrezzare intorno ad esso, secondo i criteri definiti, le forze in campo. Ed è proprio rispetto alla coscienza di come si è approfondito lo scontro e di quello che richiede per incidervi, e sulla base della capacità dell’O di preordinare il movimento che si vuole imprimere in esso, che emerge l’esigenza di far evolvere la propria capacità di direzione dello scontro che significava porre a medio termine l’obiettivo politico della nuova DS. Una DS che fosse espressione del processo qualitativo avviato con la riattivizzazione delle forze.
Entro questo quadro le problematiche che vivono nel dibattito d’O sono tese a sistematizzare e delineare i compiti che la prospettiva del processo rivoluzionario pone all’ordine del giorno, un dibattito che è compenetrato dalla maggiore consapevolezza che l’O ha acquisito sui termini della guerra di classe, che informa necessariamente la definizione dei compiti. Un’evoluzione politica che è anche quella che permette di mettere mano all’aggiornamento dello Statuto, perché solo ora è possibile sulla base dell’esperienza accumulata, arricchire i fondamenti strategici della DS 2 e, nel contempo, rettificare le parti che si sono rivelate inadeguate. Un arricchimento che in particolare riguarda i caratteri fortemente politici di cui è investito lo scontro rivoluzionario nella metropoli imperialista, alla luce dei quali possono venire indagate questioni come l’accerchiamento strategico, la riserva, lo sviluppo lineare, lo schema dello sviluppo politico-militare dell’O in colonne, brigate, fronti.


Nel solco di quelli che sono i fondamenti dell’impianto strategico dell’O e, in generale della guerriglia urbana nella metropoli, il processo di riorganizzazione dell’iniziativa rivoluzionaria avviato con la Fase di Ricostruzione non può che darsi all’interno della dimensione antimperialista ed internazionalista della guerra di classe, e quindi i passi iniziali stessi della Ricostruzione sono concepiti dentro all’attuazione dei due obiettivi programmatici: l’attacco al cuore dello Stato e l’antimperialismo. Così come a partire dal «20» l’approfondimento dell’analisi dello Stato e delle forme di dominio ha portato l’O a precisare i criteri d’attacco per incidervi adeguatamente, ugualmente l’approfondimento dei caratteri dell’imperialismo nella nostra epoca storica, delle ragioni strutturali alla base dei legami di blocco consentono di riportare l’antimperialismo nella sua dimensione strategica. In altri termini, sulla base delle chiarificazioni relative alle relazioni imperialiste e alle sue politiche, l’O è in grado di dare una lettura appropriata e puntuale delle dinamiche oggettive e soggettive su cui poggiavano le politiche e gli interventi imperialisti, e in rapporto a ciò procedere alle rettifiche necessarie per sbarazzarsi della residua impostazione solidaristica che negli anni precedenti aveva inficiato l’impostazione originaria della pratica imperialista e internazionalista. Un’impostazione, quella solidaristica che era rimasta tale anche nel «20», nell’accezione del Fronte come fronte di lotta, e che sostanzialmente non riusciva neanche a relazionarsi con quanto avevano espresso su questo terreno le altre FR. Un limite che con C è portato ad un livello di insostenibilità politica, mettendo l’O di fronte alle proprie responsabilità rivoluzionarie, considerando la coscienza che l’O aveva dell’influenza rivestita dal quadro internazionale sullo scontro interno, nel senso che i mutamenti che si intravedevano sul piano delle dinamiche dell’imperialismo, richiedevano di misurarcisi in modo adeguato.
Nel quadro di queste necessità, l’O opera una svolta segnata da una visione pragmatica e prospettica insieme allo scopo di essere più propositiva possibile rispetto alle forze combattenti che basavano la propria pratica sull’antimperialismo. Dall’esproprio in poi l’O indirizzerà tutti i suoi sforzi per dare concretezza a quest’asse di combattimento, a partire dal dichiarare la sua apertura in primo luogo alle organizzazioni di guerriglia europee, referente privilegiato dell’O, ma non di meno anche alle forze rivoluzionarie mediorientali che in quel momento erano attive nell’area.
Un approccio pragmatico che tutt’altro dall’essere una scorciatoia tattica è sostenuto da un solido arco di principi e di criteri rivoluzionari che si avvalgono degli insegnamenti che l’esperienza internazionalista ha storicamente maturato e da cui l’O ha saputo trarre le indicazioni generali con cui orientarsi nell’analisi concreta della situazione concreta. Insegnamenti che pertanto informano quella che l’O definisce una “politica di alleanze” come l’aspetto specifico della più generale pratica antimperialista dell’O. ed è con questo intendimento che l’O prende l’iniziativa per ricercare il rapporto politico con l’organizzazione di guerriglia più rappresentativa in Europa, la RAF. In questo solco di lavoro vano inquadrati la lettera e il testo comune. Il modo in cui nella Ricostruzione l’O si è assunta l’antimperialismo con la solidità che le consente di essere flessibile laddove necessario, è tangibile in ultima analisi nel risultato del piano di relazione con la RAF e da i suoi frutti politici nel testo comune.


La nostra analisi si conclude con l’esame dell’ultimo volantino dell’O del 16 marzo ’89 di rivendicazione e sostegno all’azione di Fronte fatta dalla RAF. Questo volantino, malgrado le perdite militari dell’88 è rappresentativo al punto più alto del salto politico compiuto dall’O nella seconda fase del riadeguamento, ovvero vi si trovano i punti salienti perseguiti ed acquisiti rispetto all’obiettivo del militante complessivo, vero snodo affinché possa riprodursi organizzazione anche a seguito di pesanti perdite. È proprio il contesto materiale in cui questo volantino è stato prodotto a dimostrare la valenza di questo risultato, laddove i militanti, pur nella condizione negativa del colpo subito, sono in grado sia di far fronte in breve tempo al lavoro politico, sia di reimpostarlo facendolo vivere al livello più alto secondo il processo di formazione che ha forgiato i militanti. In questo si dimostra quanto sia determinante aver dato un posto di rilievo, tra i compiti della linea politica, all’obiettivo costante della formazione delle forze (sia quelle militanti che no), in quanto aderente alle necessità che l’approfondimento dello scontro ha posto all’avanguardia rivoluzionaria al fine di imprimere alla guerra di classe un movimento in avanti. Quello che la realtà ha dimostrato è che lo spessore contenuto nel salto politico compiuto dall’O riesce ad informare oggettivamente ogni singola forza militante che, sulla base del processo di formazione soggettivamente perseguito che l’attraversava, è in grado di avvalersi di questi contenuti e di interpretarli ad un livello avanzato coerentemente all’impostazione strategica e politica dell’O come dimostrato dall’estrema lucidità con cui nel volantino viene collocato il rovescio militare, senza che questo infici le potenzialità rivoluzionarie poste in essere.
In questo specifico dato vive la capacità di dominare gli effetti negativi difensivistici propri ai rovesci militari che si determinano nelle fasi di ritirata, a dimostrazione di come questo insegnamento, riguardo una legge generale della guerra, abbia penetrato la formazione dei militanti, neutralizzando uno dei contraccolpi immediati relativo alle perdite subite nell’88.


Elaborazione dei prigionieri

Campagna di Primavera. Fin dal primo comunicato si vuole evidenziare il legame dei termini generali della ristrutturazione dello SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali) con il termine particolare del partito, la DC; che in modo trainante se ne fa carico, nella direttrice di approfondire la crisi di regime e su questo mobilitare il MPRO (Movimento Proletario di resistenza Offensivo).
In questo senso la cattura di Moro viene collocata all’interno della problematica generale posta dal cambiamento in atto dello Stato, quale necessità, nell’ambito della crisi dell’imperialismo, di stabilizzare l’anello debole Italia, facendolo uscire definitivamente dai residui di Stato-nazione, ed affermare la costruzione dello SIM. Una costruzione che si avvale del personale politico-economico-militare imperialista, personale che anche in Italia è già emerso in modo egemone ravvisabile in tutte le forze dell’arco costituzionale, ma principalmente nella DC, che è quella trainante il processo. Questo partito è già stato individuato dalle avanguardie comuniste come il più feroce nemico del PM (Proletariato Metropolitano) e va battuto perché fulcro della ristrutturazione in SIM così da estendere ed approfondire la crisi di regime. La costruzione dello SIM è d’altra parte spinta dagli interessi dei paesi più forti della catena imperialista allo scopo di governare le trasformazioni istituzionali adeguate ad imporre le feroci politiche economiche tramite la funzione apertamente repressiva sul PM. Va sottolineato come l’O intenda dare in quel momento una lettura dello Stato che rispecchi i termini generali della sua evoluzione in Stato Imperialista come una necessità irrimandabile di adeguamento nel livellarsi al quadro imperialista che, oltre a rispondere agli interessi della BI (Borghesia Imperialista) nostrana, rispondeva anche a quelli complessivi del sistema. Quindi si parla dello Stato in questa accezione specifica di cambiamento e poiché segnava un passaggio cruciale nei rapporti di classe era necessario intervenire proprio su questo nodo per sfruttarne le debolezze.
In questo quadro la cattura di Moro non è che l’inizio di un attacco che deve essere esteso alla DC, quindi non un obiettivo simbolico, ma il dare slancio a tutta l’attività armata su cui il MPRO deve sapersi misurare. A lato le BR si richiamano al processo in corso a Torino ai militanti catturati e sulla base della forza e iniziativa rivoluzionaria, ribaltando i termini del processo che lo Stato sta conducendo, perché in realtà è il regime ad essere sotto accusa da parte del PM e delle sue avanguardie. In questo quadro si sottolinea la natura del rapporto che intercorre tra i comunisti combattenti e lo Stato che è di guerra, di conseguenza si avverte lo Stato che l’O è in grado di assumersi le rappresaglie per eventuali crimini da esso commessi, che sono crimini di guerra.
Si avverte subito il MPRO delle manipolazioni già scattate dopo l’azione come espressione della guerra psicologica scatenata dal regime, precisano che è pratica dell’O rendere tutto pubblico, in quanto le trattative segrete sono proprie delle trame della BI. Una precisazione che verrà continuamente ribadita a fronte di tutte le operazioni di mistificazione insieme al principio che nulla è nascosto al popolo.
L’O sottolinea le caratteristiche che vanno ad assumere nello SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali) le forze politiche all’interno del rovesciamento dialettico tra istanze parlamentari e Stato, per cui le forze politiche si attivizzano in funzione degli interessi e bisogni dello Stato (interessi della BI) questione che si è esplicitata completamente in questa battaglia in quanto ha significato l’attivizzazione dei partiti a sostegno delle pratiche antiterrorismo subito varate e di mobilitazione reazionaria e lealista contro l’attività rivoluzionaria. Si distingue su questo terreno il ruolo che inevitabilmente vanno ad assumere i revisionisti e i sindacati collaborazionisti in quanto quelli che possono intervenire nel campo di classe nel quadro dei cambiamenti dello Stato che si vogliono imporre, le BR evidenziano il ruolo specifico di Moro che per altro, nel lungo processo di evoluzione della DC dal dopoguerra ad oggi, ha sempre rivestito un ruolo di primo piano dentro quella che è stata la politica di questo partito a sostegno della borghesia nell’assumersi fedelmente nello scontro col proletariato le politiche antiproletarie e repressive che hanno scandito le tappe dello scontro: dalla restaurazione del potere borghese coi governi Tambroni-Scelba alla strategia della tensione come risposta alla ripresa dell’iniziativa proletaria fino ad oggi, in cui la DC, dentro un processo non lineare di rinnovamento, si è assunta la direzione del trapasso allo SIM. Trapasso che è veicolato da un progetto di riforma istituzionale che all’accentramento dei poteri all’esecutivo affianca una modifica del ruolo del presidente della repubblica tale che assuma pienamente le sue prerogative di capo della magistratura e delle forze armate (ruolo a cui Moro ambiva).
Proprio da questa figura di punta della BI l’O vuole sapere i progetti antiproletari, strutture e personale, le filiazioni e interconnessioni nazionali e internazionali sulle cui gambe marcia il progetto delle multinazionali. In concreto proprio sulle politiche antiproletarie e controrivoluzionarie si mette a nudo il nesso dell’intervanto attivo dei paesi più forti in “ sostegno” di quelli più instabili, affinché ne facciano propri i termini più avanzati. Una realtà già operante e riscontrabile nella presenza di esperti inglesi, tedeschi, israeliani, non a caso quelli che si confrontano con i livelli più avanzati di guerra di classe e di popolo, mentre gli USA già sovrintendono direttamente a questa funzione in quanto da sempre presenti in Italia. E d’altra parte proprio la NATO incarna al massimo grado la controrivoluzione imperialista. Una realtà che mette di fronte al proletariato il carattere internazionalista della guerra di classe che immediatamente antimperialista. Guerra di classe che deve tenere conto nel suo calibramento di questi fattori internazionali del sistema imperialista, che nella fattispecie va combattuto a livello continentale. Da qui e dalla disponibilità alla mobilitazione internazionalista manifestata dal PM europeo la necessità di costringere all’integrazione politica delle OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti) in Europa. Alla strategia del terrore imperialista va saputa contrapporre l’unità strategica delle forze comuniste. In sintesi l’O imposta il discorso politico in modo tale che emergano i legami che esistono tra lo specifico progetto di modifica istituzionale dello SIM, di cui Moro è ideatore con tutto il corollario che ne consegue [politico], e le interconnessioni della controrivoluzione imperialista come sistema, già attivizzata per sostenere questo processo. Questo al fine di rimarcare il carattere antimperialista e internazionalista della guerra di classe, su cui viene propagandata la parola d’ordine dell’unità continentale delle OCC (Internazionale Comunista).
Dopo un breve resoconto degli interrogatori di Moro nei quali, per altro, il prigioniero collabora ampiamente chiamando in correità i suoi complici, si conferma come il “nuovo regime” che si vuole instaurare sia fin nel suo profondo impregnato dai legami di interdipendenza e subordinazione con gli organismi internazionali rispetto ai piani economico, politico e militare da attuare in Italia. Quindi la cattura di Moro si qualifica come iniziativa che deve estendersi in quanto attaccare lo Stato imperialista è l’obiettivo primario per il PM se vuole disfarsi di quello che comporta il dominio imperialista e affermare il progetto comunista. In questa fase storica ciò vuol dire assumersi il portato della violenza rivoluzionaria per affrontare la contraddizione antagonista fra PM e BI. In questa fase storica la lotta di classe assume perciò per l’iniziativa delle avanguardie rivoluzionarie la forma della guerra, ed è questa che impedisce la “normalizzazione” della crisi e di riportare una vittoria tattica sul PM, ovvero sul movimento di lotta degli ultimi dieci anni.
L’O rivendica la necessità di prendere l’iniziativa nella fase che si è aperta, assunzione che ha lo scopo di determinare l’andamento della guerra. Questo però non significa che è l’avanguardia a creare la controrivoluzione in quanto questa è insita nell’evoluzione dello Stato Imperialista, semmai compito dell’avanguardia rivoluzionaria è di stanarla dalle pieghe della “società democratica”, e questo perché la controrivoluzione non è la forma ma la sostanza dello Stato imperialista. Una sostanza già posta in essere in questi anni, dalla creazione dei corpi speciali, carceri speciali, tribunali speciali e dalle pratiche antiproletarie e repressive contro il movimento proletario nelle fabbriche,nei quartieri, ecc. Ma questa controrivoluzione non ha impedito l’estendersi dell’iniziativa proletaria con lo sviluppo del MPRO fino ad assumere i contenuti e le forme della guerra di classe, guerra che deve essere estesa a tutti i centri dell’oppressione imperialista e che a questo fine presuppone che vengano operati salti politici e organizzativi relativi alla responsabilità di sviluppare la direzione rivoluzionaria di questo processo quale passaggio indispensabile verso la vittoria strategica del PM. Per quanto feroce sia lo Stato imperialista è possibile combatterlo e affrontarlo per annientarlo strategicamente, e questo al di là di chi, intrappolato dai propri legalismi piccolo-borghesi, si è arreso e ha già accettato la sconfitta.
Quindi l’O sottolinea come la questione dell’attacco allo Stato quale linea di intervento fondamentale del PM e la questione dello sviluppo della guerra sono intrinsecamente legate per affermare la progettualità comunista, l’alternativa proletaria in un discorso che ne mette in luce l’affermazione che è necessario e possibile combattere e vincere il nemico. Elementi di forza che non sono sempre e in ogni momento visibili a tutti anche perché possono essere offuscati dalla messa in campo delle risposte controrivoluzionarie.
Via via che la cattura e il processo a Moro produce i suoi effetti politici subentra da parte dello Stato e dei dirigenti DC un tipo di affrontamento che ricorre a squallide manovre e comunque sia a sfuggire al problema politico che la guerriglia gli ha posto di fronte. Anche Moro stesso, pur avendo preso atto della sua condizione di essere processato da un tribunale del popolo non sfugge a questa logica e suggerisce ai suoi complici di considerare come soluzione lo scambio di ostaggi. Le BR ribaltano questo piano, e questo non perché la liberazione dei prigionieri non sia già un punto di programma dell’O e come tale perseguito, ma perché la cattura e il processo a Moro è un’iniziativa che risponde alla necessità di approfondire la crisi di regime per risolvere la questione centrale del potere, in quanto per il PM uscire dalla crisi vuol dire comunismo. Vengono quindi ribaditi e propagandati i fini ideologici della guerra, ovvero le prospettive del cambiamento sociale verso cui tende il proletariato in quanto si tratta di assolvere al ruolo storico di dare soddisfazione ai bisogni di ciascuno e di tutti, finalità che obiettivamente scaturiscono dallo stato di crisi storica dell’imperialismo che non ha più niente da offrire e che governa sulla base della controrivoluzione preventiva, ovvero la forza è la sua unica ragione. Una natura quella della crisi storica dell’imperialismo, resa evidente in questa fase dal passaggio dalla “pace armata” alla “guerra”, passaggio che va a coincidere con la necessità della ristrutturazione dello Stato in SIM. Questa concomitanza determina l’importanza della congiuntura la cui durata ed evoluzione dipenderà da come si darà l’andamento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, e in ogni caso questo passaggio non sarà affatto lineare e pacifico e assumerà progressivamente i caratteri della guerra. Per parte rivoluzionaria si tratta di trasformare il processo di guerra civile strisciante in un’offensiva generale e su un progetto unitario che unifichi il MPRO e costruisca il PCC fuori dalle tendenze movimentiste e spontaneiste l’O ribadisce la concezione leninista alla base di questo processo nel rapporto che intercorre fra coscienza e spontaneità per cui l’avanguardia raccoglie stimoli e bisogni che provengono dalla classe, li centralizza e sintetizza in teoria e organizzazione stabile per riportarli alla classe sotto forma di linea strategica di combattimento, programma e strutture di massa del potere proletario. Processo tutt’altro che spontaneo, ma che è posto in essere dall’agire da Partito dell’avanguardia combattente, un’agire da Partito che, come esprime la gestione della battaglia Moro, si colloca come iniziativa politico-militare all’interno e al punto più alto dell’offensiva proletaria, cioè sulla contraddizione principale classe/Stato, sul progetto politico di ristrutturazione dello SIM come aspetto dominante di quella congiuntura.
Un agire da partito che ha un duplice carattere: disarticolazione politico-militare del nemico per rendere disfunzionale la macchina statale, e nel contempo proiettarsi dentro al movimento di massa per essere indicazione politico-militare per orientare, mobilitare, dirigere, organizzare il MPRO sulla guerra civile antimperialista. Un duplice aspetto nel quale non ci sono livelli più alti o più bassi, ma livelli che incidono e intaccano il progetto imperialista e organizzano strategicamente il PM, oppure no. L’organizzazione del potere proletario si da sulla linea d’attacco contro i centri fondamentali politici, economici e militari dello stato imperialista. Infine ribadisce il ruolo strategico della clandestinità perché si può e si deve vivere clandestinamente in mezzo al popolo e mettendo in guardia dalla visione difensiva di questa.
……………da una parte ha lo scopo di inchiodare la DC in quanto garante degli equilibri politici di trent’anni di regime, è soprattutto teso ad individuare ed accettare le responsabilità DC e dei suoi protettori internazionali rispetto agli equilibri di potere che devono essere sostenuti riguardo alla ristrutturazione dello SIM che è infatti l’aspetto centrale delle indicazioni di combattimento aperta da questa battaglia in quanto sulla ristrutturazione in SIM passa il progetto dominante nella congiuntura. Peraltro l’interrogatorio sulle responsabilità passate e presenti della DC non rivela nulla che non sia già risaputo al proletariato, perché ha vissuto le sue politiche e le sue manovre tutte sulla sua pelle, quindi non si tratta tanto di “svelare misteri”, ma di individuare le responsabilità di personaggi già ben noti al popolo come Taviani e la cricca genovese, ecc. Nel mentre si ribadisce che tutti dovranno rispondere al popolo si avverte che non c’è spazio per manipolazioni e trattative segrete, come dagli ambienti DC si cerca di accreditare. Ma, a prescindere da questi miserabili tentativi, l’O mantiene fermo il governo della gestione che si è prefisso, e la barra ferma sugli obiettivi da propagandare dentro lo sviluppo della campagna con la capacità di stigmatizzare di volta in volta i risultati politici di quello che l’iniziativa ha aperto nello scontro, chiarendo cioè quello che effettivamente si andava a coagulare come dato principale, vale a dire, malgrado lo scatenamento di una repressione indiscriminata ed estesa a tutta la classe, vi era un’offensiva proletaria in atto, nel MPRO e nelle organizzazioni rivoluzionarie, contro i covi e gli uomini della DC, della confindustria e dell’apparto militare, elemento principale appunto nello scontro, che approfondisce e da risalto al processo contro il regime, tanto da marginalizzare persino l’opera dei revisionisti, di delatori e spie del regime. Nel mentre si sottolinea questo dato significativo dello scontro, si indica la necessità di non fermarsi a contemplare i successi, men che meno a spaventarsi per la ferocia dello Stato in quanto questione prioritaria è quella di lavorare ad estendere e approfondire l’iniziativa armata, che comporta in sé la necessità fondamentale di organizzarsi (per sedimentare e non disperdere il fiorire delle iniziative), e soprattutto di assumersi la responsabilità dei salti politici da compiere, uno sprone rivolto alle avanguardie rispetto all’obiettivo della costruzione del PCC.
A conclusione del processo, le BR motivano dal punto di vista rivoluzionario e di classe le responsabilità politiche di Moro e di tutta la DC, motivazioni che sono la base per il giudizio di condanna. Da questo punto di vista le responsabilità di Moro sono quelle di tutta la DC da De Gasperi in poi e che il proletariato metropolitano conosce bene perché ha vissuto sulla sua pelle come la DC si è fatta garante degli interessi della BI interni ed internazionali che hanno significato il “garantire” lo sfruttamento del proletariato.
Seppure dall’interrogatorio è emerso anche il marciume e la corruzione della DC, le trame, i sicari palesi e nascosti, non è da questi aspetti che deriva il giudizio di condanna che invece riguarda il ruolo di questo partito nella sua funzione controrivoluzionaria al servizio delle multinazionali, si dichiara quindi Moro colpevole e condannato a morte. Infine c’è una precisazione rispetto alla circolazione delle informazioni in quanto tutto sarà reso noto ala popolo, ma tramite canali clandestini e non più attraverso la stampa ala servizio del potere.
A un mese dalla cattura, l’O intende fare completa chiarezza a fronte di tutto quello che si era innescato intorno all’iniziativa sia per parte dello Stato che per parte rivoluzionaria, soprattutto a partire dal significato della condanna che è condanna all’intera DC, alla borghesia e allo Stato e che il movimento rivoluzionario si incaricherà di portare a termine. Nel momento in cui la DC sta subendo questo attacco articolato, la sua reazione è quella, nel solco della sua vile tradizione, di sottrarsi alle responsabilità politiche in primo luogo cercando di stornare dal significato dello Stato imperialista, mutata dai suoi complici, in quanto è proprio questo l’oggetto di attacco dell’iniziativa rivoluzionaria. Un significato che però è esplicitato a pieno proprio nel contesto della cattura di Moro tanto per la repressione generalizzata, quanto per le palesi intenzioni di scatenare un’offensiva contro il movimento rivoluzionario allo scopo di annientarlo, per non parlare dell’esistenza di campi di concentramento dove sono imprigionati i comunisti, caratteristica del resto di tutti gli stati imperialisti. È proprio rispetto ai prigionieri comunisti che è in piedi un progetto di genocidio politico attraverso il trattamento in questi campi. Un modo di sottrarsi alle responsabilità che arriva al grottesco, con i cosiddetti “appelli umanitari” all’O rispetto al presunto maltrattamento di Moro, tenuto conto che proviene proprio da chi esprime il massimo della barbarie sui prigionieri comunisti. A questo proposito l’O è molto netta nel troncare ogni ambiguità, ribadendo che saprà combattere per stroncare il progetto di genocidio politico e che l’unico appello che intende fare è al movimento rivoluzionario per la distruzione dello Stato, dei campi di concentramento e per la libertà dei comunisti. Per portare alle estreme conseguenze questo aspetto contraddittorio delle reazioni della DC di fronte all’attacco, l’O la mette di fronte all’unica ipotesi praticabile di fronte a questi fantomatici appelli umanitari, cioè lo scambio di ostaggi, l’unico modo di riportare la questione sul terreno che le è proprio, quello della guerra di classe a prescindere dalla sua praticabilità. Infatti è il prodursi degli eventi a far maturare questa eventualità proprio in virtù degli effetti prodotti dai livelli di disarticolazione politica, questione che per altro rientra nelle leggi della guerra per cui in certe circostanze la condanna a morte può essere sospesa, per lo scambio di ostaggi, cosa che non significava recedere dallo scopo politico, ma in questo caso intendeva sfruttare ulteriormente le conseguenze della sentenza. Infine rispetto alle manovre (finti comunicati) di controguerriglia psicologica, l’O molto bruscamente richiama i dirigenti DC alle loro responsabilità rispetto ai giochi che stavano facendo sulla pelle di Moro. Intrighi mafiosi che buttavano fumo negli occhi e tentavano di aggirare con furbizia la questione dell’attacco e della condanna a morte, fra l’altro cercando anche di trarne un tornaconto personale di potere.
Le “estreme conseguenze” non tardano a venir fuori, infatti la DC risponde con una dichiarazione fumosa che si rifà alla “ragion di Stato” come se fosse soggetta alla legge, cosa ridicola, in quanto la DC è la principale responsabile politica delle leggi dello Stato. Si tratta di una risposta negativa senza però che se ne assuma chiaramente le responsabilità, cosa che l’O svela fino in fondo, ribadendo che l’unica possibilità di salvare Moro è la liberazione dei prigionieri. Questo è del resto l’unico piano che mette di fronte anche tutti quegli organismi e figure pubbliche che si stanno pronunciando sulla “questione umanitaria”, in quanto, se vogliono essere coerenti con i loro proclami, non hanno che da porre la questione dello scambio con i 13 prigionieri comunisti indicati dall’O fuori da ciò i loro appelli avevano solo il significato di fare quadrato a sostegno della DC, come era peraltro chiaro all’O a questo riguardo viene tolta ogni illusione a chi pensava possibile un esito incruento come per Sossi, nell’indicare i nomi dei prigionieri viene seguito il principio politico di prendere in considerazione le migliori avanguardie espresse dal proletariato, a partire da quelli di più lunga prigionia e con le pene più alte.
A conclusione dei 51 giorni l’O trae un primo immediato consuntivo della battaglia, che rende pubblico nell’ultimo comunicati rivolgendosi alle OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti), al movimento rivoluzionario ed al proletariato, in quanto a loro sono dirette valutazioni e indicazioni. Quello che viene in primo luogo rivendicato è che l’esito della battaglia e di tutte le iniziative che intorno ad essa si sono sviluppate segnano una cocente sconfitta del regime e delle forze imperialiste.
Un regime che in questi 51 giorni ha mostrato il suo vero volto con i rastrellamenti, le leggi speciali, le torture, con cui vorrebbe annientare la resistenza proletaria frantumando esso stesso la maschera della democrazia formale e della “legalità” borghese. Una ferocia che non dimostra affatto la forza del regime, ma al contrario la sua debolezza, un regime che ha subito l’offensiva del MPRO, di cui la battaglia Moro è solo un momento dentro al dispiegarsi delle iniziative di combattimento e di tante battaglie che si sono sviluppate per l’O è possibile dire fin da quel momento che quanto si è prodotto sul piano rivoluzionario e di classe ha impresso un formidabile impulso alla guerra di classe per il comunismo, ed è proprio di fronte a questo processo reale che le manovre controrivoluzionarie con tutto il loro armamento dispiegato, compresi gli esperti di antiguerriglia e l’attivazione dei berlingueriani, sono impotenti. Gli attacchi ai covi della DC, ai centri vitali dello Stato imperialista che si sono sviluppati intorno alla battaglia Moro, sono un primo momento che indica la necessità che su questa linea si estenda e approfondisca l’attività di combattimento concentrando l’attacco armato contro i centri vitali dell’imperialismo costruendo nel proletariato il PCC, perché questa è la strada per inceppare e vanificare i piani delle multinazionali, e per non permettere la sconfitta del movimento proletario, annientare definitivamente il mostro imperialista e costruire una società comunista. A questa prima valutazione seguirà necessariamente un bilancio complessivo politico-militare della battaglia, che verrà reso noto attraverso canali clandestini, al movimento rivoluzionario e alle OCC. La lettura dello Stato che le BR evidenziano nella battaglia Moro è tesa ad inquadrarlo costantemente nel suo stretto rapporto col sistema imperialista. Questo per evidenziare come questo inserimento comportava l’ultimazione di quei passaggi affinché diventasse a pieno titolo uno stato imperialista. L’analisi è perciò mantenuta su questo terreno ed è quindi necessariamente di tipo generale e quindi prevalentemente calibrata sulla trasformazione. E questo per la necessità che ci fosse il massimo di coscienza sulla natura di questa trasformazione, che segnava un passaggio cruciale per le BR e per il proletariato, e come si sarebbe dato questo passaggio era di enorme importanza per le sorti dello scontro rivoluzionario. Quando le BR accennato al fatto che lo Stato si stava liberando degli ultimi residui di “Stato-nazione” non intendono caratterizzare la sua “arretratezza” visto che anche in Italia il personale politico imperialista nei partiti e nella burocrazia di Stato era già egemone, ma legare la sua specificità di percorso al suo essere comunque interno al sistema imperialista e nel sottolineare questo rapporto, chiarificare la natura della trasformazione da attuare, vale a dire liberarsi di questi residui per la BI significava adeguare le forme istituzionali in modo da completare anche il processo politico necessario allo Stato imperialista. In sintesi, questo modo di porre la questione dello Stato rispondeva in effetti alla situazione di allora in cui quel preciso passaggio dello Stato imperialista era fortemente “promosso” dagli altri Stati imperialisti che richiedevano una stabilizzazione a loro necessaria dell’Italia, in quanto anello debole proprio per quella specificità a cui la riforma istituzionale in qualche maniera intendeva dare soluzione.
Un quadro dello Stato che in seguito, evolvendo non si presenterà più in questi termini, non vi è dubbio che la battaglia Moro è la prima iniziativa che entra direttamente nel rapporto di scontro con lo Stato, nel senso che per la prima volta viene affrontato nel suo significato di attacco agli equilibri politici dominanti. E questo comporta che tutte le argomentazioni e di tipo propositivo e di analisi politica sono incanalate sull’attacco allo Stato, e stante il livello raggiunto dal processo rivoluzionario questo significava anche capacità di articolazione dell’attacco a tutti i livelli dell’aggressione imperialista, attacchi che dovevano essere sempre in rapporto ala contraddizione principale e, all’interno di essa sull’aspetto dominante della congiuntura. In altri termini articolare a tutti i livelli l’attacco non significava colpire indiscriminatamente simboli o contraddizioni secondarie, ma indirizzarlo sempre sugli equilibri politici dominanti, ovvero gli equilibri di potere allora incarnati soprattutto alla DC. Ed erano materialmente dati dalle forze organizzate della guerriglia sul territorio nazionale, in altri termini l’articolazione dell’attacco dai nodi nevralgici ai centri periferici riflettere concretamente la costruzione-elevamento della guerra di classe fatto vivere nel duplice piano dell’iniziativa combattente, cioè, di distruzione/costruzione, come è esplicitato dallo slogan: “a tutti i livelli dell’oppressione imperialista, a tutti i livelli della composizione di classe”.
In altri termini già in quella congiuntura le BR si misuravano con la necessità di connettere in un processo politico-militare il più possibile unitario l’attacco, la costruzione e elevamento della guerra di classe, in quanto processo che viveva realmente di questi termini stante anche la mobilitazione armata che si è sviluppata con la battaglia Moro e che poneva compiti di direzione rispetto all’innalzamento e sempre presente nella coscienza dell’O ed è lo scopo a cui lavorano proprio dentro a quella che era l’analisi di passaggio di fase in riferimento a cui intendevano costruire le condizioni più favorevoli per il terreno rivoluzionario, con l’obiettivo di trasformare una guerra civile strisciante e ancora dispersa in guerra civile. Entro questa coscienza le BR lavorano alla sedimentazione di questi livelli d’iniziativa politico-militare in organizzazione di classe armata, in questo senso cruciale era verificare le iniziative sull’indirizzo strategico di attacco allo Stato, capace di mettere il MPRO nelle condizioni di fare i salti politici, vale a dire la capacità di assumersi la responsabilità della direzione della guerra di classe, e cioè consolidamento dell’organizzazione rivoluzionaria della classe con riunificazione del PM e unità dei comunisti per la costruzione del PCC. Quello che va sottolineato è che gli obiettivi politici su cui hanno lavorato le BR (indicazioni di combattimento, i salti da compiere sul terreno di direzione, chiarificazione del terreno di guerra di classe, su cui tale intervento era la l.a. …) erano assolutamente indispensabili considerando che lo scontro rivoluzionario si situava in una congiuntura di transizione dentro la quale la guerra di classe avanza nei termini posti dall’O o si sarebbe corso il rischio di perdere terreno e d are alla BI e allo Stato tempo e modo di reagire e “riprendersi” dallo stato di crisi politica, così da riaggiudicarsi il suo intervento sull’andamento dello scontro. Non erano perciò “obiettivi” “troppo avanzati” come spesso è stato detto fuori luogo nelle critiche postume, ma quelli necessari e corrispondenti a quella situazione dello scontro, casomai è vero, al contrario, che la loro non completa realizzazione è stata causa dell’accumularsi critico delle contraddizioni in campo rivoluzionario.
A merito dell’O va detto che nella gestione della battaglia e più in generale nella campagna di primavera questi obiettivi politici, oltre ad essere stati da essa praticati, sono stati propagandati al massimo affinché il MPRO assumesse in piena coscienza il terreno della guerra di classe nei termini in cui doveva essere assunto in quella congiuntura di transizione, affinché superasse i particolarismi e le visioni delimitate dello scontro. Da un punto di vista più generale, la gestione della battaglia Moro è esemplare nel come riesce ad esplicitare l’articolazione della LP (linea politica) della DS ’78, ma soprattutto nella sua essenza incarna l’assunzione e la esternazione della legalità rivoluzionaria e proletaria, materializzata al massimo grado nel processo popolare. Questione di grande importanza strategica ed ideologica, in riferimento alla pratica del contropotere proletario possibile nel corso del processo rivoluzionario e che ha un forte valore propedeutico nell’esercizio della giustizia proletaria in quanto sorte della BI è quella di essere alla fine giudicata e condannata dal PM.
Restano da fare considerazioni generali aperte dalla congiuntura di transizione sul piano dell’agire tattico. Infatti l’iniziativa Moro si situa al coronamento del processo di sviluppo della guerra di classe raggiunto fino a quel momento che aveva prodotto con lo sviluppo dell’autonomia di classe e del MPRO, un vasto potenziale rivoluzionario con caratteristiche da “guerra civile strisciante”. In questo quadro la cattura di Moro è la battaglia principale di una campagna che le BR approdano ai fini del cambiamento della fase rivoluzionaria. Si trattava cioè, a fronte di uno scontro che al lato della crisi della BI evoleva obiettivamente dalla “pace armata” alla “guerra”, di assumere l’iniziativa per stabilire le condizioni rivoluzionarie in grado di sviluppare le premesse alla guerra civile. In questo senso la battaglia se da un lato porta ad esaurimento le caratteristiche delle fasi rivoluzionarie di propaganda armata, nel contempo ha in se le premesse proprie dell’agire tattico che deve vivere nella congiuntura di transizione vale a dire un agire che, pur dominato ancora dalla massima disarticolazione politica dell’attacco allo stato, deve operare a un certo grado di distruzione pol-mil del nemico.
Infine le caratteristiche della battaglia che va dalla cattura al processo all’esecuzione di Moro contengono tanto in concreto quanto in potenziale le tre direttrici di sviluppo della guerriglia:
- concentrazione e mobilità delle forze per condurre un’azione rapida e di sorpresa, come si verifica ala momento della cattura;
- prolungamento del tempo ai fini del più ampio sviluppo delle contraddizioni del nemico e della massimizzazione dei vantaggi politici, che con la battaglia Moro si è dato con la durata del sequestro;
- muoversi per campagne nell’estensione e attivazione su tutto il territorio delle strutture di O soprattutto nei grandi poli industriali sullo stesso obiettivo di combattimento, sviluppando tante azioni contemporaneamente.
Queste direttrici con la battaglia Moro sono portate rispetto alla fase precedente ad un grado di articolazione maggiore, mentre in ragione del principio tattico operante in quella congiuntura non si da ancora sviluppo all’altra direttrice, ossia le grandi e medie battaglie che impegnavano il nemico con forze consistenti.



OPUSCOLO N°5 ottobre 1978

L’opuscolo sviluppa ulteriormente la sintesi politica e la propaganda sulle direttrici lanciate dalla Campagna di Primavera e in rapporto a come si era evoluto il terreno da questa aperto. Con l’estensione della LA e lo sviluppo stesso del MPRO vengono affrontati in maniera più approfondita i compiti di radicamento e sviluppo della costruzione della guerra di classe. Più precisamente viene sviluppata sul piano distruzione-costruzione la direzione rivoluzionaria e il massimo della dialettica con i settori di classe operaia attivizzati sulla LA e il MPRO. Quindi, nell’opuscolo, tutta l’analisi formulata in relazione a questi fini politici, cioè inquadrando gli aspetti particolari delle politiche dello stato e delle scelte padronali che si ripercuotevano fin dentro la fabbrica, sul piano complessivo della crisi dell’imperialismo. Si può però ipotizzare che l’opuscolo sia prodotto dal fronte delle fabbriche.
Punto di partenza è proprio quello di individuare le linee portanti della ristrutturazione delle multinazionali ai fini di stabilire le indicazioni di combattimento, linee interne alle strategie delle multinazionali per far fronte alla crisi dell’imperialismo. Ed è proprio nel caratterizzare la crisi dell’imperialismo che si ha la lettura più aderente a quella che era la fase di scontro sul piano mondiale. Non v’è dubbio che alla fine degli anni ’70 l’incalzare delle lotte di liberazione, le lotte della classe operaia in Europa e Usa , la guerriglia nella metropoli avevano portato all’inceppamento degli strumenti di recupero politico-economico-militare dell’imperialismo, un vero e proprio accerchiamento dell’imperialismo che già nel ’75 lo aveva iniziato a stringere d’assedio, tale da caratterizzare la fase come le BR avevano ben individuato nell’inquadramento generale della crisi dell’imperialismo fin dall’inizio. Ma è nel ’78-79 che ci sarà un’impennata quantitativa e qualitativa dei processi di liberazione dei popoli e di lotta di classe tale da divenire chiaramente il fattore determinante la crisi e a qualificarla come crisi di egemonia. In sintesi, quest’ultimo fattore, sopraggiungendo alla crisi strutturale porta la crisi ad un livello generale e complessivo, le lotte di liberazione e di classe, in quella fase, erano i catalizzatori della crisi interna del capitale, tali che le stesse contromisure prese si trasformavano in ulteriori fattori di contraddizione. Come non mai, quando la crisi raggiunge caratteri complessivi, l’imperialismo reagisce come sistema, una reazione che ha alla base l’interdipendenza economica che fa si che la crisi si ripercuota su tutti gli anelli e in questo caso proprio per la sua gravità tocca anche paesi forti, ma è l’accerchiamento da parte delle lotte di liberazione e di classe che mettendone in discussione il dominio costringe gli organismi soprannazionali dell’imperialismo ad adottare strategie di sopravvivenza e in difesa degli interessi delle multinazionali. E poiché l’elemento scatenante della crisi è dato proprio dalla messa in discussione del piano del potere la strategia è quella della ristrutturazione degli strumenti di dominio, sia dentro gli stati che a livello degli organi soprannazionali. In questo senso il carattere di queste ristrutturazioni è intrinsecamente controrivoluzionario in quanto prerequisito è fare indietreggiare le posizioni raggiunte dalla classe operaia e dai movimenti di liberazione. Accerchiamento che le BR sottolineano non significa “capitolazione” dell’imperialismo, ma sviluppo di processi di ristrutturazione dei suoi strumenti di dominio.
L’aver identificato la crisi di dominio come fattore caratterizzante la crisi in quella fase significava tutt’altro che mettere in secondo piano le contraddizioni economiche in quanto proprio queste venivano acutizzate dall’influenza immediata dei fattori politici di crisi sia per la sottrazione di mercati determinata dalla liberazione dei paesi dipendenti, insieme alla loro maggiore forza contrattuale sui prezzi delle materie prime, sia per la forza della classe operaia che opponeva una maggiore rigidità allo sfruttamento, con una tenuta dei salari, limitando profitti. In questo senso le BR non concedono niente a letture fenomeniche, che erano alimentate da come allora si presentava la crisi di un dominio forzoso privato delle contraddizioni fondamentali del capitale da superimperialismo, al contrario la loro lettura scaturisce da un’analisi marxista rigorosa della dinamica del capitale e dei caratteri di sviluppo contemporanei, cosa dimostrata anche in questo opuscolo, dove oggetto centrale dell’analisi sono i termini economici. I compagni partono dall’analizzare gli aspetti più evidenti, tipici di quel periodo, che immediatamente si ripercuotevano sulla crisi dei profitti, vale a dire il ristagno della domanda e gli alti tassi di inflazione, legando giustamente questi aspetti alla limitazione dei profitti determinata dalla forza della classe operaia e dai processi di liberazione. Questa limitazione dei profitti è l’espressione ultima della crisi di sovrapproduzione e di caduta del saggio medio di profitto alla base dell’inceppamento dei meccanismi dell’accumulazione capitalistica ed è proprio in questo punto dell’analisi che è evidente l’impostazione materialistica dei compagni (fuori da concezioni d crisi crollo) consapevoli della dinamica intrinseca al capitale che attraverso la dialettica crisi-ristrutturazione pone in essere processi di concentrazione, da un lato, e di espansione dei suoi mezzi di produzione, dall’altro.
N. lo scritto presenta discontinuità e avanzamenti rispetto all’approfondimento e articolazione dell’analisi economica. Discontinuità laddove per argomentare il carattere della crisi si ricade negli errori di crisi di sottoconsumo (come nella DS ’75), nello specifico nel far coincidere il significato di sovrapproduzione con la produzione di troppe merci rispetto all’assorbimento del mercato, mentre è noto che si deve parlare di sovrapproduzione quando periodicamente si producono troppi mezzi di produzione, merci, ecc… che sono superflui rispetto al grado di sfruttamento richiesto, cioè che non possono agire come capitali. È vero che alla crisi generale di sovrapproduzione si univa l’esaurimento del ciclo espansivo con la messa in crisi dei settori produttori di beni di consumo, eh verosimilmente per la sua dimensione appariva come l’aspetto predominante considerando che alla caduta della domanda dei beni di consumo seguiva l’aumento dei prezzi delle materie prime, vedi petrolio, e il perverso meccanismo dell’iperinflazione innescato dalle politiche keynesiane di quel periodo, basate su una leggera stimolazione dell’inflazione. Tutti fenomeni tipici di allora che i compagni individuano correttamente come gli “aspetti evidenti” della crisi.
In riferimento ai caratteri della crisi, cioè di sovrapproduzione assoluta di capitali, da cui il capitale può uscirne solo riattivando i meccanismi di accumulazione e riallargando la base produttiva, due erano le soluzioni fondamentali possibili in quella fase: la rima relativa alla produzione nel cuore dell’imperialismo si basava sull’introduzione di nuove tecnologie che comportavano processi di riconversione e ristrutturazione di enorme portata perché investivano tutto l’apparato produttivo, una scelta obbligata stante la rigidità acquistata dalla classe operaia nel centro imperialista. La seconda era data dall’esportazione nei paesi dipendenti dei mezzi di produzione obsoleti, sulla cui base si rideterminavano i rapporti di sfruttamento e subalternità verso questi paesi.
L’intervento degli organismi soprannazionali a sostegno del capitale, che è una costante nella fase dell’imperialismo, assume in rapporto alla natura della crisi ed alla sua generalizzazione un carattere di rigida “pianificazione”,stante la portata delle misure da adottare e considerando che una simile riorganizzazione dell’apparato produttivo avviene entro una rigida divisione a livello internazionale delle aree di produzione e di mercato. Quindi gli organismi soprannazionali, in particolare FMI e CEE, sovrintendono non solo ai pini generali che si danno in un’ottica internazionale, e che stabiliscono in dettaglio cosa, come e quanto produrre, ma anche agli indirizzi specifici che ogni stato è tenuto a seguire. Anche la BI italiana sceglie di imboccare la strada delle ristrutturazioni, e lo stato al riguardo ha già predisposto un “piano di riconversione industriale”, ovviamente interno al rigido indirizzo dato dagli organismi soprannazionali, funzionale a sostenere lo svolgersi di questa riconversione, stabilendo priorità, condizioni e finanziamenti. Le BR sottolineano il ruolo che svolge lo stato al servizio della BI quale supporto indispensabile soprattutto per farla uscire dalla crisi, con l’obiettivo di ridare efficienza all’apparato riproduttivo ristrutturato a livello multinazionale e questo stando obbligatoriamente entro i limiti della posizione gerarchica dell’Italia, senza cioè sconfinare rispetto ai paesi più forti (USA, RFT, Giappone).
In questa analisi emerge come non mai come si è evoluto il ruolo dello stato rispetto al suo farsi garante dell’interesse generale della BI come si evince dallo stesso piano di riconversione a sostegno del proprio capitale multinazionale, un dato che proprio in rapporto alla fase odierna dell’imperialismo vive in stretta interazione con le pianificazioni economiche degli organismi soprannazionali, una peculiarità dell’oggi alla cui base sta l’integrazione e l’internazionalizzazione raggiunta dal capitale multinazionale. Livelli di intervento che per quanto intendano sostenere il capitale sono tutt’altro che la possibilità di pianificare la soluzione della crisi, tant’è vero che la necessità di allargare la base produttiva non è stata raggiunta, anzi questa ha visto una sostanziale restrizione.
Secondo il “piano di riconversione” la ristrutturazione doveva seguire 4 direttrici principali:
La prima. Ristrutturazione prioritaria dei settori trainanti a tecnologia avanzata, prioritaria in quanto vanno garantiti gli sbocchi di mercato alle multinazionali più forti, che sono quelle che accumulano maggiori profitti. Settori trainanti che sono il cuore della potenza dell’imperialismo e che riguardano: nucleare, elettronico, bellico aerospaziale. Di questi settori sono assegnati all’Italia spezzoni di ciclo produttivo a livello tecnologico intermedio.
La seconda direttrice è la generalizzazione dei sistemi produttivi ad alto livello tecnologico e a più alta intensità di capitale in tutti gli altri settori, un processo che porta ad espellere forza-lavoro in modo massiccio perché l’automazione sostituisce gli operai. È dalla riconversione di questi settori che i macchinari arretrati vengono esportati nei paesi del terzo mondo dove le multinazionali ne trarranno ancora profitto sfruttando la manodopera a basso costo.
La terza direttrice è la riconversione della piccola e media industria in funzione delle multinazionali.
La quarta direttrice è lo sviluppo del settore bellico.
Le BR analizzano questo aspetto come uno sviluppo legato agli sbocchi di guerra controrivoluzionaria al proprio interno che di guerra imperialista. In questa logica il settore viene visto come destinato a una sicura espansione, argomentata con i dati della “corsa agli armamenti” (spese Nato nel conflitto Est/Ovest) e dati statistici sul mercato delle armi, in cui si è inserita anche l’Italia. L’attenzione dei compagni è soprattutto focalizzata sull’armamento dello stato per l’ordine pubblico: le produzioni di armi per questo fine vengono viste in progressione, con un “contagio” sui rimanenti settori economici tanto da accennare a esigenze di “economia di guerra”. Ma a parte questa affermazione imprecisa e poco argomentata, una affermazione giusta è che lo sviluppo bellico non sarà mai una soluzione alla crisi perché improduttivo, in quanto il capitale non fa la sua circolazione, rialimentando la crisi e aggravando il bilancio dello stato.
I settori produttivi individuati sono quelli in cui si concentrano le contraddizioni principali sia tra i vari strati di borghesia che tra borghesia e proletariato, in questo senso per la BI affrontare nel modo dovuto questa ristrutturazione significa, da una parte, riassestare i meccanismi di accumulazione del capitale, ristabilire nuovi livelli di sfruttamento e nuove forme di controllo sulla classe operaia, motivo per cui saranno questi settori trainanti ad essere per primi oggetto di ristrutturazione.
La conseguenza dell’applicazione di queste linee di ristrutturazione è il superamento all’interno dello stato ristrutturato delle contraddizioni politiche esistenti tra i vari gruppi economici, così che non ha più senso parlare di contraddizione tra industria pubblica e privata (se non in forma molto secondaria) in quanto il confronto avviene tra multinazionali che tendono superare i contrasti politici per spartirsi la torta sotto il controllo di esecutivo e confindustria (es: ”pace nucleare” tra Fiat e Finmeccanica), e seguono le stesse linee e logiche nella ristrutturazione, un dato che le BR sottolineano per sfatare la demagogia del Pci nella difesa dell’”industria pubblica”.
A dirigere la ristrutturazione dell’apparato economico del paese viene istituito il CIPI, organismo apposito dell‘esecutivo che comprende i ministeri economici e la banca d’Italia e che sulle linee del piano di riconversione industriale” sviluppa piani di settore, interni alle direttive soprannazionali nell’istituzione stessa di questo organismo si esplicita la tendenza alla centralizzazione in funzione di una direzione unificata dell’intervento economico che superi anche le contraddizioni tra istanze politiche, ministeri, interessi locali. Un approccio che qualifica l’intervento dello stato nell’economia rispetto a quella fase di crisi e che alla “programmazione” rispetto alla ristrutturazione unisce il compito fondamentale di reperire i fondi per le multinazionali ,fondi che nella crisi sono destinati non solo all’industria pubblica ma anche a quelle private. In ciò si esplicita, nella fase dell’imperialismo, la funzione cardine dello stato-banca, perché è lo stato che può farsi carico di rastrellare finanziamenti con l’aumento delle tasse, i costi dei servizi, ecc., comprimendo le condizioni proletarie, ma, con la crisi, toccando anche le fasce di piccola borghesia che privata dei suoi piccoli privilegi, finisce per contrapporsi talvolta alla borghesia imperialista. Per altro verso i pesi imperialisti usufruiscono dei finanziamenti sul mercato internazionale, tanto degli organismi finanziari internazionali , quanto negli stati più forti. A questo proposito i compagni interpretano la necessità di ricorrere ai forti tagli alla spesa pubblica per reperire fondi del bilancio dello stato come conseguenza della difficoltà di ottenere finanziamenti sul mercato internazionale (come se non ci fossero sufficienti risorse per tutti): una interpretazione che non corrisponde alla realtà dell’economia capitalistica in quanto se venivano negati i finanziamenti internazionali più che essere un problema di reperibilità dei fondi, questo manifestava la volontà di spingere l’Italia a intervenire indirettamente per abbassare il valore della forza lavoro.
Rispetto ai provvedimenti di quel periodo i compagni registrano tutte le iniziative e leggi che vengono fatte, compresa quella delle “regioni”. Quest’ultima in particolare poteva effettivamente dare adito a chissà quali sviluppi sul piano dell’articolazione locale delle direttive centrali prospettando un’ipotetica razionalizzazione tra centro e periferia sulla quale poteva trovare impulso una corrispettiva articolazione locale sia delle linee neocorporative Stato-confindustria-sindacati che dalle strutture territoriali della confindustria (le “feder-industria”) nell’ottica di gestire la ristrutturazione industriale capillarmente. Se la legge sulle “regioni” intendeva rispondere a questo tipo di esigenze della BI, l’applicazione pratica è rimasta almeno in quella fase sulla carta, se non sul piano di esiti di tipo amministrativo, mentre soprattutto lo sviluppo neocorporativo e delle politiche confindustriali si è dato in senso fortemente centralizzato.
Riguardo alla confindustria si ribadiscono i concetti della DS ’78, quale centro di iniziativa padronale che nel suo ristrutturarsi ha portato a compimento la costruzione di un’unità politica sulla linea della borghesia imperialista. Un processo che dal ’70 al ’78 ha effettivamente unificato politicamente tutti i padroni (anche piccoli e medi e l’intersind), unificazione avvenuta soprattutto negli accordi contro la classe operaia. La confindustria essendo l’asse portante dell’iniziativa imperialista nella ristrutturazione, è quella che elabora piani e li propone all’esecutivo e che interviene su ogni ambito e questione della vita politica del paese facendo contare le sue posizioni. Più precisamente rispetto alla crisi e alle linee per uscirne la Confindustria, oltre a dotarsi di un suo centro dati, si è soprattutto impegnata nella formazione di quadri nell’ottica di creare “manager” rispondenti alla struttura dirigenziale delle multinazionali, sotto la parola d’ordine dell’efficientismo e l’imprenditorialità, così da poter articolare in modo univoco ad ogni livello la sua linea politica nelle ristrutturazioni, una formazione di mananger che è anche curata direttamente da ogni multinazionale. Queste scuole dirette da “esperti” il cui ruolo è stato spesso camuffatola studiosi e professori, elementi dirigenziali da individuare e colpire, non a caso queste teste pensatisi ritrovano poi negli organismi soprannazionali e nei centri di direzione imperialista e non è un caso che ruotino nell’area DC, nei suoi centri studi.
Le conseguenze previste della ristrutturazione nelle fabbriche venivano individuate in:
-La disoccupazione: questa si sarebbe data sia per la chiusura di fabbriche piccole e medie, sia con la cassa integrazione, pensionamento anticipato, blocco del turn-over e, dove erano in grado, con licenziamenti politici motivati da assenteismo. Una disoccupazione che proprio per i piani di riconversione con l’introduzione di tecnologie che avrebbe comportato, diveniva un dato stabile e tendenzialmente progressivo, con tutto il portato di contraddizioni e conflitti sul piano di classe, ma che in ultima istanza, per il loro portato di radicalizzazione, avrebbe favorito le condizioni dello scontro rivoluzionario.
- La mobilità: strumento che per i padroni aveva, come sempre ha due obiettivi: il primo è l’utilizzo razionale degli impianti, il secondo la rottura della capacità di resistenza e lotta della classe operaia, una mobilità che avviene da reparto a reparto e tra fabbriche dello stesso padrone, mentre quello che i compagni definivano”mobilità regionale” nei fatti non si è poi verificata, non solo perché priva dei presupposti di convenienza economica per il capitalista, ma anche perché non si sono attivati quegli organismi regionali di coesione prefigurati.
- L’aumento della produttività e quindi dello sfruttamento operaio che passa in primo luogo con il livello tecnologico che doveva essere introdotto, e con il taglio dei tempi, aumento dei ritmi, straordinario fino di sabato e lavoro notturno.
Per garantirsi l’applicazione di queste ristrutturazioni, stante tutte le conseguenze a carico degli operai, i padroni puntavano su tre strumenti: patto neocorporativo, militarizzazione delle fabbriche, ristrutturazione del comando.
La gerarchia di fabbrica doveva essere necessariamente riqualificata in rapporto al tipo di ristrutturazione che doveva essere introdotta, riqualificazione che sostanzialmente doveva formare un personale che a tutti i livelli della gerarchia fosse in grado di avere una visione insieme tecnica e politica, ricomponendo cioè il lavoro dei “tecnici”, quei dirigenti che dietro le quinte studiano le tecnologie e come devono essere applicate, e dei “politici”, incaricati dei rapporti con gli operai e i sindacati. In questo senso le scuole quadri dovevano formare dirigenti in grado di avere sia la conoscenza del funzionamento della produzione sia un’elevazione politica e culturale che gli consentiva di aver chiari gli obiettivi complessivi per cui lavoravano. In sintesi per colpire la struttura di comando non era sufficiente individuare i capi più reazionari, ma arrivare ai livelli decisionali sempre più centralizzati anche se meno esposti, a partire dal loro effettivo ruolo.
Il secondo strumento è la militarizzazione dei luoghi di lavoro con la velleità di stroncare la capacità di resistenza della classe operaia e il diffondersi della lotta armata. Da questo punto di vista le fabbriche assomigliano sempre più a caserme, con la presenza di guardiani, digos in incognito, accompagnata da una attività spionistica capillare a cui lavorano finti operai, ex CC, fascisti, ecc. I compagni nella militarizzazione includevano anche l’introduzione di macchine a controllo numerico (come pure i collaudatori nelle fabbriche militari). Non v’è dubbio che la macchina a controllo numerico determina un controllo di quanto produce l’operaio, i suoi tempi movimenti, ecc, ma ci sembra azzardato motivare la sua introduzione a scopo di controllo, fuori dalla sua funzione produttiva, sarebbe come trasportare su un piano soggettivo un portato oggettivo proprio all’introduzione di macchinari tecnologizzati che di per sé, obbligando l’operaio ai suoi ritmi, contribuisce al comando dispotico del capitale sul lavoro.
Terzo e più importante strumento è la costruzione del patto neocorporativo che in quella fase si proponeva di coinvolgere il PCI nella gestione della ristrutturazione rispetto alle sue conseguenze sulla classe operaia. Una corporativizzazione che come sempre partiva dal presupposto di marginalizzare l’identità operaia per coinvolgere gli operai intorno alle scelte padronali e stornarli dagli obiettivi politici di classe, perseguendo in questo modo il tentativo di “pace sociale” e isolamento della lotta armata. Su quest’ultima questione il PCI era particolarmente attivizzato e non solo, ma anche nell’isolare le avanguardie e tutte le pratiche violente e incisive e denigrare i compagni che già praticano la lotta armata. Un attivismo che non disdegna la delazione e lo stretto controllo delle situazioni operaie, fino agli scioperi reazionari “contro il terrorismo” fatti insieme ai poliziotti.
Nell’analisi del riformismo in rapporto alla crisi e alla ristrutturazione i compagni affermano che il ruolo del PCI andrà a definirsi sempre più come apertamente controrivoluzionario in quanto la crisi brucerebbe le possibilità di risolvere in termini di mediazione le contraddizioni con la classe operaia. Se ne conclude che la borghesia imperialista si prepara alla guerra come solo modo di contrapporsi al proletariato. Nella fase passata il PCI aveva potuto fare una politica basata sul tentativo di deviare in senso riformista le lotte operaie, tutt’al più reprimendo selettivamente le avanguardie per contrastare il contropotere operaio, e questo perché in quella fase l’enorme crescita dei profitti consentiva di rispondere parzialmente alle richieste operaie, e si dava anche la possibilità dell’ammodernamento riformista dello Stato, un contesto in cui il PCI poteva parlare di “nuovo modello di sviluppo” su cui incanalare in senso riformista le tensioni operaie.
Era quello il periodo in cui due ipotesi strategiche si contrapponevano nella borghesia imperialista, quella golpista, che poi è stata sconfitta, e quella illuminata che puntava sul pieno sviluppo delle articolazioni dello Stato democratico, ed è quest’ultima che il PCI caldeggiava cercando di coinvolgere la classe in un’ipotesi strategica che sfruttava tatticamente le contraddizioni interborghesi.
Con il blocco dell’accumulazione cadono le mistificazioni riformiste e i compagni valutano che l’unica strada della borghesia imperialista sarebbe quella di preparare la guerra contro la classe operaia. In questo quadro il ruolo del PCI va a smascherarsi fino in fondo costretto a schierarsi organicamente a sostegno della borghesia imperialista ( come era evidente nel ’73 con il sostegno al governo di unità nazionale). Ridefinendo il suo ruolo in funzione della strategia di ristrutturazione imperialista dello Stato facendosi garante di coinvolgere la classe operaia a sostegno di questa linea strategica.
Una linea che in concreo si traduce in repressione dell’autonomia di classe e la cogestione per costruire il patto neocorporativo. Per i compagni, cioè, la borghesia imperialist affida al PCI il compito di “mettere ordine nelle fabbriche” il che vuol dire opera di individuazione dei compagni che praticano la lotta armata, e intervento preventivoverso la massa di operai che appaiono “indifferenti” e quindi sospetti. Intanto sdi rende subito disponibile alle ristrutturazioni economiche per gestire le conseguenze antioperaie visto che la resistenza della classe operaia è il principale ostacolo alla ristrutturazione economico-politica-militare dello SIM, motivo per cui la BI scatena la guerra contro il proletariato. È rispetto a questi scopi che il sindacato diviene centrale sia rispetto alla BI che al PCI visto che è la sola organizzazione di massa degli operai. Si chiede al sindacato di assumere sempre di più un ruolo politico rispetto alla cogestione necessaria per costruire il patto neocorporativo. Per contro non ci sono contropartite da offrire, anzi la crisi porta operai e padroni a scontrarsi sul terreno economico. Questa contraddizione, intrinseca al progetto del patto neocorporativo, diventa la contraddizione del sindacato nel rapporto con la classe operaia. L’assunzione di questa linea si traduce nel fatto che i vertici sindacali si trovano a cancellare ogni tratto di classe dal corpo sindacale, per potersi adeguare ai modelli di cogestione inglese e tedesco. Una scelta che si concretizzava allora nel dotarsi di una nuova linea di politica economica del sindacato: piena occupazione, investimenti, perequazione dei salari, appoggio alla riforma sanitaria, obiettivi demagogici che dimostrano la volontà di dialettizzarsi con la ristrutturazione economica e quindi cogestire le sue conseguenze in fabbrica. Ma malgrado questa volontàil sindacato è obbligato per la sua stessa sopravvivenza al “consenso” operaio, ai rapporti con la classe, e quindi, quando non riesce ad incanalare le lotte, si trova obbligato a cavalcare e anche a promuovere le rivendicazioni operaie, finendo anche con l’andare in contraddizione con la dichiarata disponibilità politica dei vertici sindacali. Una situazione contraddittoria che la classe vive, rispetto al suo istinto di classe, in modo ambivalente: quando le scadenze sono indette dal sindacato su obiettivi di cogestione, la partecipazione è scarsa, comunque vissuta passivamente, pur non rinunciando mai ad ogni scadenza per il rifiuto intrinseco del crumiraggio e degli atteggiamenti qualunquisti. Se invece è il sindacato a dover cavalcare l’iniziativa operaia, c’è una forte partecipazione di massa, capace di esprimere attivamente autonomia politica, motivi questi per cui il sindacato limita più che può le iniziative di sciopero e mobilitazione,proprio perché non è in grado di controllare il movimento di resistenza che si è sviluppato a partire dalle fabbriche intorno alla l.a. contro la ristrutturazione. La L.A. per il C che ha spazato via le illusioni gruppettare e neorevisioniste dando forza e continuità al movimento di resistenza.

Nota. In alcune parti di questo documento ci sembra si intraveda la contraddizione relativa alla linearizzazione del giusto concetto del passaggio dalla fase generale di pace armata, alla guerra, visto come processo già in atto, di scelta della borghesia imperialista nel rapporto col proletariato, come si evince dalle considerazioni sul bellico e, in modo più evidente nell’analisi sul riformismo tale da renderla controversa. È evidente che questa contraddizione in questo documento è solo embrionale, non è ancora una teorizzazione, come lo sarà in futuro, verosimilmente indotta in questo stadio dal leggere la progressione della lotta armata sul territorio nazionale e i provvedimenti controrivoluzionari antiguerriglia dello Stato come l’immediata assunzione dei termini di guerra in forma assoluta da parte dello Stato di contro alla classe lettura che già contiene l’inevitabile impoverimento dell’analisi dello Stato e dei suoi strumenti di governo, ad esempio laddove si afferma che sono “bruciati” i margini di mediazione “riformista” rispetto al rapporto con la classe. Si argomenta ciò confondendo in primo luogo riformismo e socialdemocrazia. Mentre la socialdemocrazia è effettivamente stata espressione della fase di espansione delle forze produttive, e quindi storicamente da tempo esaurita, il riformismo è espressione politica propria allo Stato imperialista, ai suoi strumenti di governo, intrinsecamente legato all’annientamento e, in quanto tale, la crisi economica non elimina le condizioni della sua esistenza restando una necessità, pur nella mera forma ideologica e questo anche quando nella fase della guerra prevale il termine dell’annientamento rispetto al riformismo.
Ulteriori argomentazioni su questa falsariga sono portate equivocando la congiuntura politica precedente, quella che a partire dai sovrapprofitti aveva fatto vivere l’ipotesi del compromesso storico come se si fosse di fronte ad una espansione delle forze produttive, quando, come si è detto negli altri documenti è dagli anni ’70 che il capitale, entrando nella crisi generale di sovrapproduzione, non può più espandere le sue forze produttive. In sostanza, per sostenere l’abbaglio politico di una entrata in guerra della borghesia imperialista contro il proletariato in quella congiuntura, se ne dà una motivazione economica legata alla crisi, confondendo aspetto particolare con il piano generale. Dentro questo schematismo in cui è analizzato anche correttamente il ruolo del PCI, viene potenzialmente unificata l’analisi corretta fatta nella DS ’78 sull’avvicendamento delle fasi pace armata-guerra, in cui i compagni non assolutizzano mai del tutto uno dei termini del binomio riformismo-anientamento, perché anche nella fase di prevalenza degli strumenti controrivoluzionari e repressivi contro la classe, lo Stato continua ad usare gli strumenti politici, un piano di totale guerra col proletariato è pressoché impossibile a sostenere, a meno che non ci si trovi vicino alla presa del potere, con una crisi rivoluzionaria matura, questione più che confermata nel periodo della controrivoluzione degli anni ’80, nel pieno di quella fase obiettiva di guerra.
Detto questo la funzione del riformismo nella crisi e quindi l’evoluzione in cui era entrato il PCI è ben analizzata, rispetto alle ragioni economiche e politiche, in primo luogo rispetto al suo coinvolgimento controrivoluzionario a sostegno dello Stato e di supporto ai processi di ristrutturazione dello Stato soprattutto perché messi in discussione dall’innalzamento della guerriglia e dall’estensione dell’autonomia di classe. Sarà la crisi nel suo aggravarsi, nonostante la difensiva rivoluzionaria, che creerà le condizioni oggettive e politiche che da un lato renderanno obsoleta la vecchia classe dirigente e dall’altro costringeranno le forze riformiste a “farsi Stato” per salvare lo Stato.
N. 2 l’analisi sul sindacato rispecchia fedelmente il ruolo che questo ricopriva e i cambiamenti che lo investivano soprattutto in quella fase e questo perché, parlando di un terreno in cui l’attività dell’O è estesa e articolata, cioè la fabbrica, vengono colte le dinamiche reali che riguardano il rapporto tra il movimento operaio e il sindacato e quello che implicava lo sviluppo dell’autonomia di classe nel suo legame con la l.a. Un quadro di relazioni in cui risalta il condizionamento al “ consenso” a cui è soggetto il sindacato e quindi la contraddittorietà che ne consegue per le scelte del sindacato. Un dato questo che non è eliminabile malgrado l’evoluzione del neocorporativismo con tutto quello che ha comportato sia rispetto al progressivo cambiamento delle forme di rappresentanza in fabbrica che della struttura organizzativa e gerarchica del sindacato. Si può dire che tutti i passaggi affermati dal neocorporativismo, possibili entro una condizione politica sfavorevole al proletariato, hanno necessariamente comportato una progressiva formalizzazione del rapporto sindacato-base operaia sia con l’istituzione di filtri ai vari livelli rispetto alle sue rappresentanze dirette in fabbrica con l’inclusione di istanze esterne alla rappresentanza operaia) sia istituendo consultazioni tipo referendum che hanno reso sempre più formale il rapporto tra operai e istanze sindacali. Nel contempo le stesse istanze sindacali, dai direttivi in su, hanno subito una riformulazione organizzativa che ha svuotato i quadri intermedi delle problematiche che avevano per renderli funzionali all’applicazione delle decisioni dei vertici. Modifiche che sicuramente hanno reso più agibile la politica neocorporativa dei vertici sindacali ma che, per quanto sia divenuto rarefatto il rapporto con la classe operaia, non eliminano l’influenza di questa sulla politica sindacale, e questo per il ruolo politico che ricopre la classe operaia nello scontro, nonostante la sua relativa debolezza odierna. Un ruolo che spiega anche il fiorire del sindacato di base avvenuto dentro al venir meno del ruolo tradizionale, per i rapporti di classe in Italia, del sindacato.
Nella parte propositiva lo spaccato che le BR danno dello Stato del MPRO (Movimento Proletario di Resistenza Offensivo) è una lezione di metodo e lucidità politica che manifesta la profonda internità delle BR alla classe. Da una parte i compagni riescono a valorizzare la portata reale del MPRO rispetto all’evoluzione dello scontro rivoluzionario, movimento che è cresciuto in quantità e qualità per estensione, radicalizzazione, forme di resistenza, area di consenso alla l.a. Nel contempo questa lettura si avvale di un criterio metodologico di classe in grado di discriminare i comportamenti operai e proletari in tutte le sfumature e i livelli che compongono l’attività del MPRO, cioè rientrano in questo movimento tutti quei comportamenti, individuali, collettivi, legali o clandestini, sindacali o politici, che si oppongono alla ristrutturazione imperialista. In altri terminasi moltiplicano gli episodi di resistenza alla ristrutturazione in fabbrica sempre più spesso di tipo autonomo e, per altro verso, si organizzano azioni armate contro i capi, pestaggi, ecc…., sempre più aperta è la contestazione della politica del PCI rispetto all’accordo a cinque e al sindacato.
Unitamente alla capacità di analizzare i comportamenti operai che rientrano nel movimento offensivo, si sottolinea l’importanza della scesa n campo, con la crisi, degli strati proletari espulsi dal processo produttivo con la ristrutturazione. Strati destinati a crescere quantitativamente e che sono il miglior alleato della classe operaia, ma è quest’ultima che costituisce il principale strato di radicamento della lotta armata.
Più in particolare i compagni valutano che nell’ultimo anno il salto di qualità che si è verificato ha significato un allargamento di massa del consenso alla l.a. e una maggiore comprensione dei termini politici dello scontro che ha portato all’assunzione spontanea di livelli organizzativi armati e clandestini da parte di nuclei operai che affiancano le OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti). Un’evoluzione che per estensione e qualità politica non ha precedenti (gli attacchi organizzati spontaneamente contro la DC, i carabinieri, nelle fabbriche…) e che, pur nella loro parzialità si riconoscono in una strategia unificante, quella dell’attacco al cuore dello Stato. In questo i compagni ravvisano un passaggio sempre più aperto alla guerra di classe.
N. in quest’ultimo passaggio ci sembra che è ravvisabile ancora una volta la contraddizione potenziale della linearizzazione e anticipazione della fase di guerra. In altri termini se non c’era dubbio che l’attacco al cuore dello Stato era la parola d’ordine a cui si relazionava l’iniziativa spontanea e che vi era un obiettivo riconoscimento della linea strategica unificante, cioè la strategia della l.a., questo dato, per costituire un effettivo spostamento sul piano della guerra di classe, poteva darsi soltanto dell’attivo intervento soggettivo dell’avanguardia, che solo con la sua opera di direzione poteva modificare qualitativamente i caratteri del MPRO per la concretizzazione degli elementi soggettivi della fase rivoluzionaria di guerra. Motivo di questa sfasatura non è affatto la tendenza a negare il rapporto coscienza/spontaneità e la funzione di Partito, ma è verosimilmente il prodotto dell’anticipazione dei caratteri di fase di guerra come se tutti i processi rifossero accelerati e risolti di per sé, una sfasatura a nostro avviso alimentata sempre dal contesto congiunturale di crescita rivoluzionaria della fase scontro, una sfasatura che solo più tardi e unitamente all’insorgere di altre contraddizioni, contribuirà alle deviazioni politiche.
Si afferma giustamente che proprio il legame che si è stabilito tra l’attività delle OCC e questo movimento di resistenza offensivo,con le sue caratteristiche di estensione, coscienza politica, radicalizzazione e continuità che fa traballare l’accordo a cinque, delegittimando e smascherando la cogestione e il ruolo collaborazionista dei berlingueriani.
È a partire da questo dato qualitativo dello scontro che l’attacco della BI non si limita più a colpire l’avanguardia, ma cerca di rompere le radici che questa ha affondato nella classe operaia, intenzione che se già si era manifestata in una campagna terroristica di stampa rispetto ai settori operai dell’area torinese e ligure, dopo l’azione Moro con le leggi speciali opera con vere e proprie azioni di guerra contro interi quartieri proletari. Ma tra i termini dello scontro il principale è la crescita del terreno rivoluzionario. Ed è a partire da questa crescita che i compagni criticano e analizzano la politica del riformismo in quel momento. Si individua con chiarezza il ruolo assegnato dalla borghesia imperialista ai berlingueriani, che nella cogestione è quello di reprimere e fare del terrorismo rispetto alla l.a. e alle avanguardie di classe, motivo per cui le avanguardie dovevano assumersi il compito di fare chiarezza negli ambiti di classe riguardo al ruolo dei berlingueriani, affinché questi fossero isolati politicamente. Ma questo significava anche precisare che i riformisti non sono la contraddizione principale, perché se è vero che costoro si identificano totalmente con i problemi e le direttrici imperialiste, sono un aspetto complementare la cui esistenza è un prodotto dell’esistenza del capitale.
Una precisazione indispensabile di metodo e di merito che contribuisce a mettere nella giusta luce l’affermazione contenuta nella DS ’78 circa il ruolo ideologico e controrivoluzionario che i riformisti vanno ad assumere nell’approfondimento della guerra di classe, motivo per cui non è escludibile che andranno affrontati anche militarmente. In altre parole vanno attaccati per il ruolo di spie e infiltrati che si sono assunti, e non in quanto esponenti del partito riformista.
Proprio a partire dal ruolo che i berlingueriani (e il sindacato) si erano già assunti in quella fase contro la guerriglia e cioè di individuazione delle avanguardie che praticavano la l.a. i compagni spiegano ancora i comportamenti di classe nei confronti dei riformisti, con quel criterio che espressione della massima coscienza di classe e che sa leggere nel modo dovuto quelli che possono apparire comportamenti “contraddittori”: la diminuzione delle contestazioni palesi,anche clamorose degli operai contro il sindacato e i PCI, che poteva apparire come un calo di tensione dell’autonomia di classe, in realtà indicava l’adeguarsi degli operai ad una situazione di criminalizzazione e spionaggio, a cui facevano fronte sul piano generale con atteggiamenti di indifferenza, in particolare assumendo logiche clandestine anche nel ricollocare il dibattito. Un’attivazione del dibattito per linee interne a gruppi operai che soprattutto sposta la problematica della discussione dai problemi sindacali a quelli della l.a. Questo dimostrava già la forte politicizzazione dello scontro ma soprattutto la conferma che nella coscienza del proletariato era ormai radicata la necessità storica della lotta armata.
A conclusione di questa valutazione dello stato delle OCC e della ricchezza politica che si è maturata, dei livelli di combattimento espressi dal movimento, riguardo al trovarsi di fronte ad una situazione di passaggio di fase rivoluzionaria, se ne precisano i termini e i compiti che comporta, sia come indicazioni che come atteggiamento tattico, nel senso che col progressivo esaurirsi della fase di PA (Propaganda Armata) si entra in quella di disarticolazione dello Stato in tutte le sue ramificazioni, nella prospettiva della guerra civile vera e propria. Un cruciale passaggio che imponeva un salto di qualità alle OCC in termini di comprensione e di iniziativa politico-militare. Da qui la necessità di chiarire (e liquidare) le tendenze erronee presenti nel movimento rivoluzionario: la tendenza al sindacalismo armato che significava tramutare la l.a. in forma difensiva come strumento per difendere gli spazi acquisiti. Contro questa linea economicista c’è il massimo della chiarezza e determinazione considerando che proprio nell’intervento in fabbrica si presentavano già i primi episodi di sindacalismo armato. All’interno di ciò si critica anche il sabotaggio dei mezzi di produzione in quanto del tutto inadeguato alla fase dello scontro perché forma tradizionale di resistenza individuale della classe operaia e l’alzare il tiro su questo terreno non la qualificava diversamente. Poi, però a patire dall’errore di valutazione su alcuni aspetti delle innovazioni tecnologiche, come le macchine a controllo numerico, viste come elemento di repressione, si concepisce un livello di intervento su questo terreno. Una contraddizione in termini considerando che la critica al sabotaggio è motivata richiamandosi al fatto che bisogna interpretare i bisogni politici della classe operaia, la sua esigenza di potere , dando respiro strategico nel combattimento contro la struttura imperialista, di momenti parziali di resistenza della classe operaia.
A conclusione dell’opuscolo viene posto al centro dei compiti della fase di scontro la costruzione del PCC come improrogabile, precisando che la costruzione del Partito non può essere intesa come una sommatoria di forze, ma si da dentro un confronto e una battaglia politica anche aspra sulla costruzione di una linea politico-militare. Solo così, infatti, è possibile riunificare le espressioni parziali di resistenza, non disperdendo il vasto potenziale che si è prodotto, vale a dire nella capacità di sintetizzare al punto più alto quello che si esprime nel movimento di resistenza, articolando l’attacco a partire dalla contraddizione principale nel suo aspetto dominante. Solo nel Partito è possibile riunificare intorno alla direzione della classe operaia tutti gli strati proletari che si sono mobilitati in questa fase e che hanno contribuito all’estensione e alla radicalizzazione del movimento. Per altro verso la costruzione del Partito si da solo a partire dalla più stretta clandestinità, che va intesa in senso strategico e non difensivo e dentro ai criteri del centralismo democratico. Solo così è possibile confrontarsi e resistere alla repressione e all’accerchiamento strategico dell’imperialismo pur vivendo in mezzo al popolo. Queste sono le premesse indispensabili per l’organizzazione del reparto più avanzato della classe operaia nucleo strategico dell’esercito proletario nella prospettiva della guerra di popolo di lunga durata.
Proprio in riferimento ai cambiamenti della situazione rivoluzionaria che evolvevano nel superamento della fase della PA non si trattava più tanto di radicare la l.a., ma di organizzare la lotta sotto la direzione del Partito, un obiettivo che comportava già in quella fase la costruzione di un Programma in grado di riunificare i diversi terreni di combattimento così da articolarli all’interno di un’unica linea strategica. Entro questa prospettiva sono consequenziali le indicazioni al MPRO: organizzarsi sulla l.a. articolando le indicazioni delle OCC per estendere le lotte contro la ristrutturazione nelle fabbriche, unificarsi intorno alla costruzione del PCC sul programma strategico della Guerra Civile Antimperialista per il Comunismo.
Nota. Pensiamo di poter affermare che l’opuscolo sia il prodotto del fronte delle fabbriche, in quanto nella sintesi politica e nelle indicazioni si riflette la tipica attività del FF (Fronte delle Fabbriche). Se consideriamo che la DS ’78 poneva la necessità di un rilancio dell’attività dei fronti e tenendo presente l’innalzamento dello scontro a seguito della Campagna di Primavera, l’opuscolo dimostra proprio l’impulso che vuole essere dato all’attività di fronte. Infatti è tangibile dall’opuscolo la volontà di far vivere il principio che i fronti sono i vettori della linea politica sui terreni specifici di combattimento, cercando di concretizzare un nodo posto dal rilancio e cioè che i fronti dovevano assolvere alla centralizzazione politico militare nella funzione di direzione in relazione all’estensione nel territorio delle strutture d’O. Ovvero tutte le iniziative particolari che si davano sul terreno delle fabbriche, nonché la loro dimensione parziale, sono riportate al piano generale e sempre ricondotte al punto più alto dello scontro. In questo senso a partire dall’analisi della ristrutturazione in fabbrica e ella controparte, le iniziative di combattimento dirette contro tutti i diversi livelli del comando in fabbrica, della linea confindustriale, della DC, dei CC … sono articolazioni interne alla linea d’attacco unificante contro la ristrutturazione imperialista.
Alla stessa maniera l’analisi della situazione politica in fabbrica sia in rapporto ai padroni che ai riformisti è ricondotta al quadro dell’analisi generale, ovvero alle tendenze reali operanti nel rapporto generale tra le classi. Sotto questo profilala riprova in positivo sta nel collocare sul terreno generale la lettura particolare di quello che si verificava sul terreno di scontro in fabbrica e nel contempo nel ricondurre le espressioni particolari di lotta sul terreno generale.
Un’ulteriore dimostrazione dell’impulso che come fronte si intende dare all’attività di direzione sta nel porre indicazioni generali dell’O quale piano propositivo rispetto al movimento rivoluzionario e ai gruppi organizzati sulla l.a. che agivano sul terreno delle fabbriche, come anche sta nelle valutazioni che vengono date sull’evoluzione dello scontro riv allora in atto.
A questo proposito due passaggi dell’opuscolo dimostrano come i compagni abbiano il polso concreto delle modifiche che stanno intervenendo sul piano rivoluzionario in quanto sono in grado di cogliere nel profondo quello che ha innescato la crescita dei fattori soggettivi della rivoluzione, in particolare quando si valutano lo sviluppo del MPRO, per le caratteristiche che ha raggiunto in rapporto a quanto immesso dalle OCC, un rapporto che ha costituito elemento qualificante dell’evoluzione della fase rivoluzionaria. Una valutazione che mette a fuoco una modifica divenuta irreversibile nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione a prescindere dal subentrare delle fase di ritirata e dal conseguente riflusso del MPRO.
Valutazione che non poteva che essere tratta a seguito della Campagna di Primavera, a partire dalla ricchezza politica che questa ha sviluppato, come anche solo in quel momento poteva essere rilevato in tutta la sua portata politica il fatto che nel proletariato si era radicata la coscienza della necessità storica della lotta armata.
In altri termini l’affermazione generale resa possibile dall’esordio della guerriglia, e cioè che solo questa rispondeva ai bisogni politici del PM (Proletariato Metropolitano), a seguito della promozione del processo rivoluzionario innescato dalla l.a., diventava evento politico concreto, fatto proprio dalle espressioni più avanzate della classe operaia.
Queste affermazioni hanno un valore di carattere generale e costituiscono a tutt’oggi il pilastro del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, classe/Stato.
Lo sforzo di direzione è ugualmente ravvisabile nel saper ricondurre tutta quella che è l’articolazione dell’attività combattente sul terreno delle fabbriche all’interno di quella che è, sul piano generale, una definizione più precisa della modifica della fase rivoluzionaria. In questo quadro si precisa l’atteggiamento tattico inerente all’entrata in una fase di transizione che con l’esaurirsi della P.A. va verso la guerra civile aperta, cioè di disarticolazione politico-militare del regime. Conseguentemente si definisce la disposizione delle forze sulla l.a. che, non ruotando più sulla necessità di radicare la l.a., è volta ad organizzare le forze sulla l.a. intorno alla costruzione del PCC.
Questi a nostro avviso sono gli elementi qualificanti che rispecchiano un’attività da Partito interna a un fronte di combattimento, quello delle fabbriche. In questo quadro le discrepanze con la L.P. (Linea Politica) della DS ’78 a livello dell’analisi economica come anche la potenziale contraddizione relativa all’anticipazione della fase rivoluzionaria di scontro sono elementi che non hanno ripercussione pratiche nell’indirizzo di lavoro di questo Fronte.
09/06/1997

L’inadeguatezza delle finalità in cui veniva incanalato il lavoro di costruzione (il PGdC) rendeva fragile lo sforzo orientato alla riqualificazione della direzione, e l’O invece di averne un risultato di coesione si trovava a fare i conti con le spinte disgregative prodotto della dinamica dei Fronti. Se questo è il quadro di fondo che crea la tendenza al collassamento dell’O, avvertita ma non collocata, la coscienza che l’O ne aveva era limitata ai problemi più manifesti, alle contraddizioni che erano deflagrate (il frazionismo di Mi e Na). In altri termini in quel momento della vita dell’O essa non poteva avere coscienza delle dinamiche complesse che sottintendendo le problematiche con cui un’O guerrigliera si deve misurare nell’assolvere ai compiti posti dallo scontro, ovvero non poteva avere chiaro in quel momento i diversi livelli di contraddizione e inadeguatezze che si erano accumulati nel suo percorso. Il primo atto politico che l’O fa suo di fronte alle deviazioni è di affermare la necessità di affrontare la battaglia politica, perché solo espellendo le concezioni sbagliate può avvenire il consolidamento sui contenuti, si può affermare la linea giusta.
È l’assunzione di questo principio rivoluzionario, piuttosto che le indicazioni della DS ’80 che consentirà di mantenere fermi i capisaldi di strategia dell’agire della guerriglia e che nella battaglia consentirà di precisarli meglio sfrondandoli dagli errori e dalle inadeguatezze. In pratica l’O, proprio nel misurarsi con le forme negative che assumevano le deviazioni della colonna napoletana, è obbligata a riprecisare la visione e la pratica corrette: dalla critica alla parzialità, alla riaffermazione della centralità operaia, dalla critica dell’uso contraddittorio della LA alla riaffermazione della pratica di potere, infine la critica ad una prassi sviluppata per affermare delle tesi anziché affermare il programma rivoluzionario. Anche se in questo momento della sua vita l’O non riesce a dare soluzione al complesso delle contraddizioni e delle inadeguatezze, è vero che nel momento in cui riesce ad affrontare quelle che si pongono davanti, il modo con cui le affronta consentirà di salvaguardare il corpo centrale delle tesi d’O e la metterà nelle condizioni di operare la scelta più giusta, la RS, quando le contraddizioni deflagreranno tutte nell’impatto con la controrivoluzione. È grazie a questo percorso, pur nella sua estrema non linearità, che l’O prenderà coscienza che è cambiata la fase storica, e che quindi deve modificare i termini della fase rivoluzionaria, e solo nel prendere coscienza dei problemi di fase l’O sarà in grado di prendere coscienza delle proprie inadeguatezze, capendo la natura dei limiti accumulati e disponendosi a ricentrarli e rilanciare adeguatamente l’attività. Lo svolgimento pratico di questa dinamica rende il senso della natura dei riadeguamento che sono caratterizzati storicamente a seconda del grado di evoluzione politica dell’O, ossia quanto sapere ha accumulato dall’esperienza rispetto a tutti i diversi piani che investono una forza rivoluzionaria che sviluppa un processo di guerra (sia al suo interno che nella sua opera di direzione) in quanto lo sviluppo della guerra di classe mette in moto dinamiche che implicano l’affrontamento di piani complessi la cui conoscenza è un processo indotto da come procede lo scontro e da come interagiscono i suoi protagonisti, Stato/classe/forze rivoluzionarie. Nella fattispecie dei due documenti letti, l’O in quella fase della sua vita è in grado di affrontare all’inizio le deviazioni politiche e poi, quando lo Stato scatenerà la controrivoluzione, prenderà coscienza e affronterà i problemi di fase. È nel frangente della controrivoluzione dell’82 che l’O acquisisce una straordinaria lucidità sui termini della guerra in generale, e di come si riverberavano nella fase di scontro e, di conseguenza, cosa comportavano nella fase rivoluzionaria per i compiti che apriva, primo fra tutti la giusta collocazione della natura della repressione dello Stato democratico borghese, e contemporaneamente imparare a praticare la ritirata.
La lucidità con cui tratteggia i caratteri generali dello scontro per come si presenta in quel momento non contiene la capacità di vedere a fondo tutte le implicazioni che vivono in potenza nella controrivoluzione scatenata dallo Stato e nella scelta che l’O stessa aveva operato con la RS, in quanto la situazione è collocata in un quadro dinamico che porta ad evoluzione rapida i fattori che la contraddistinguono; in questa situazione la visione della RS è limitata alla questione della salvaguardia delle forze (di classe e rivoluzionarie) dagli effetti della tortura e della controffensiva del nemico e il riadeguamento alla “nuova fase della guerra di classe” più come un’intuizione non suffragata da una cognizione di causa effettiva di quello che necessitava, perché in quel momento la RS è concepita all’interno delle direttive della DS ’80 e l’O è ben lontana dal qualificare la reale connotazione che andava assumendo il rapporto rivoluzione/controrivoluzione e quindi di come dovevano essere ricondotti i termini della guerra rivoluzionaria dentro all’approfondimento che si profilava. Questo approfondimento, come sappiamo, porterà a mettere in discussione anche i concetti più saldi ma questo non impedirà, secondo una legge della rivoluzione che tutte le acquisizioni e le intuizioni affermate dall’O troveranno, nel corso dell’affrontamento delle contraddizioni, la loro riproposizione in avanti.
Se questo è il quadro in cui inizia il processo autocritico di individuazione dei limiti e degli errori, ha una sua precisa importanza analizzare bene la dinamica reale che ha investito l’O, il perché l’affrontamento si è dato in un certo modo, assumendo certe forme. Questa analisi non si può fare senza avere di fronte il processo reale che l’O aveva messo in moto e il tipo di problematiche su cui esso si sviluppava, ovvero su cui si imperniava l’adesione di massa sulla LA. In questo senso è ovvio che l’O si mette sotto esame a partire dal percorso materiale che ha compiuto e quindi non può che iniziare col chiedersi se ha assolto o meno agli obiettivi della DS ’80, primo fra questi l’obiettivo centrale della riqualificazione della direzione. Nella coscienza di aver sempre fatto battaglia con il movimento rivoluzionario proprio per affermare la concezione giusta del ruolo dell’avanguardia rivoluzionaria, cioè una concezione che rifugga dalla logica di gruppo per porsi come “fusione teorico-politico-militare di organizzazione di soggetti reali ed interni alla classe”, dentro questa coscienza l’O si mette a nudo per individuare come è stato possibile che queste tendenze si ripresentassero al suo interno nella forma del soggettivismo d’O.
Nel tentativo di stanare questa tendenza si cerca di mettere in relazione le leggi della guerra rivoluzionaria, a partire dallo sviluppo raggiunto dalla guerra di classe in Italia, con i come l’O è riuscita a svolgere il ruolo di direzione in questo movimento da essa stessa prodotto. Ovvero cerca di mettere in relazione l’organizzazione di strati di classe e di avanguardie sulla LA e la direzione dell’O di questo processo, più precisamente la critica entra nel merito di come la tendenza soggettivista abbia snaturato la realizzazione di questa dialettica. L’O si trova a mettere sotto la lente d’ingrandimento la concezione leninista del rapporto Partito/masse, proprio a partire dalle manifestazioni più evidenti del soggettivismo che si erano prodotte in quel periodo, per stigmatizzarle. Nell’indagare il perché la tendenza soggettivista ha confuso la disposizione delle avanguardie e dei comunisti sulla LA con l’adesione di massa alla LA, ovvero l’attività dei gruppi organizzati sulla LA come se fossero strati di classe, ovvero come è stato possibile perdere il principio che direzione delle masse implica assumere l’analisi del movimento generale di classe e non solo degli strati immediatamente disponibili alla LA, l’O è obbligata ad esaminare i motivi che hanno originato questa tendenza al soggettivismo, in questo senso esamina la questione della proprietà della guerriglia di essere sempre all’offensiva. Questo nel tentativo di distinguere il movimento reale di offensiva, che è aderente ad una determinata situazione di scontro, dal carattere generale di fase che imprime l’indirizzo generale ai compiti: l’O si rende conto di come, a partire dalla peculiarità della guerriglia e da quanto da essa messo in campo, ad un certo punto sia entrata in una logica di rincorsa dell’offensiva, e questa cosa nella misura in cui era percepita con metro soggettivo, ha creato una sfasatura con il reale stato della classe, dello scontro e della fase rivoluzionaria.
Per meglio mettere a nudo tutte le conseguenze negative di questa logica soggettivista, alimentata anche inconsapevolmente dalla frenesia di mantenere l’offensiva, l’O è obbligata ad esaminare come questa incida sulle valutazioni della fase di transizione e come induca ad accorciare o prefigurare gli anelli mancanti di questa, e questo perché è portata ad assolutizzare, nel rapporto crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione il secondo termine leggendolo rispetto all’attività d’avanguardia, non riuscendo a legare il movimento reale di classe che è condizionato dal primo termine. Ed è nella necessità di precisare questa critica che viene esaminata la questione delle fasi rivoluzionarie, proprio per distinguere cosa caratterizza una fase rivoluzionaria, ovvero quali sono i fattori che vi influiscono dentro la dialettica crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione, e quali sono le condizioni da ottemperare per dichiarare la chiusura di una fase e l’apertura di un’altra. Nel richiamo al percorso generale della guerra di classe che dalla difensiva strategica si muove verso l’offensiva strategica, l’O definisce la natura di fase generale, come ad esempio la fase di Propaganda Armata che si è appunto evoluta dentro a diversi momenti congiunturali; all’interno di questa precisazione l’O cerca di qualificare il processo reale che fa muovere le condizioni di una fase, e preciso che comunque il carattere di una fase generale da il quadro strategico che informa il tipo di attività d’O, e non viceversa. In sintesi c’è uno sforzo di depurare dalle deviazioni soggettiviste che si erano manifestate in quel periodo, l’analisi rivoluzionaria di come dev’essere condotta la guerra di classe per meglio precisare l’attuale momento della congiuntura della transizione. Non è strano che a partire dal mettere al centro la correttezza o meno del rapporto Partito/masse ne scaturisca un’indagine concatenata dei vari piani della guerra di classe. Questo perché il rapporto Partito/masse per la guerriglia implica immediatamente la messa in atto del processo distruzione/costruzione, proprio di una guerra che unisce il politico e il militare. In questo senso necessariamente mette in gioco la capacità dell’O di avere una visione strategica e tattica corrette, ovvero implica la correttezza di visione della disposizione generale delle forze e di quella tattica, quindi richiede una chiarezza estrema sul carattere della fase in cui in un certo momento è situata la guerra di classe, proprio perché la dialettica con la classe è mirata a disporla confacentemene secondo le finalità proprie della fase. Quello che viene fuori dall’analisi del materiale è che il processo autocritico che l’O ha messo in moto in questa fase, pur toccando i nodi focali della sua inadeguatezza, compresa l’intuizione di essere soggetta anche “involontariamente” a una visione linearista dello scontro, non riesce a sviscerare completamente la natura del problema, non riesce ma non potrebbe nemmeno, stante lo stadio di maturazione delle problematiche in quel momento imperniatesi limiti del soggettivismo d’O. in altri termini al concezione linearista della guerra rivoluzionaria che era a monte dei limiti d’O e che permea le direttive della DS ’80, grava come un involucro sul tentativo di ricentramento autocritico delimitandone in quel momento lo sbocco. Una visone lineare che, estremizzando il paradigma crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione, influenza in negativo l’analisi dello scontro, perché nella linearizzazione della crisi della borghesia, privata dei suoi processi contraddittori, l’analisi dello Stato ne risulta appiattita in un processo meccanico che ormai è rivolto alla guerra esterna-guerra interna.
In questo quadro l’O pur avendo intuito la profondità della controrivoluzione dello Stato degli anni ’80, la colloca come un prodotto”consequenziale” dell’acutizzarsi del processo crisi-ristrutturazione a cui l’O doveva adeguarsi con la RS, non a caso per scongiurarne gli effetti repressivo-militari, visto il livello raggiunto con le torture. Di conseguenza è ovvio che la RS, pur collocata nella fase di difensiva strategica e vista come prima tappa per raggiungere l’obiettivo di tornare all’offensiva. I percorso autocritico dell’O sarà comunque destinato ad infrangere l’involucro del linearismo, e questo perché lo stadio autocritico dell’O sarà comunque destinato ad infrangere l’involucro del linearismo, e questo perché lo stadio autocritico messo in moto produrrà, in un processo per salti, in rapporto allo scontro, le condizioni soggettive per l’affrontamento dei nodi rimasti irrisolti, ricalibrando anche la natura reale della controrivoluzione degli anni ’80 rispetto ai caratteri effettivi dello scontro. Ciò che va sottolineato, è la valenza che assume anche in questo stadio, l’aver toccato problematiche così complesse relative alle fasi rivoluzionarie nella conduzione della guerra di classe, senza che siano messe in discussione le peculiarità dell’agire della guerriglia, anzi considerando tutte le implicazioni che ne scaturiscono rispetto alle particolari leggi della guerra del nostro processo rivoluzionario.
È da sottolineare l’analisi approfondita della controrivoluzione circa gli obiettivi politici ricercati dalla borghesia e non raggiunti, nella messa a fuoco della portata della controffensiva che va ben oltre il ridimensionamento della guerriglia per riversarsi sul corpo di classe allo scopo di far retrocedere le posizioni di classe. A quattro mesi dal volantino sulla RS si coagulano le prime riflessioni in una bozza di documento che cerca di fare il punto e trarre delle indicazioni dal rapido mutare degli eventi. È interessante notare come il processo di razionalizzazione da parte dell’O sulla controrivoluzione dello Stato si faccia strada man mano facendo avvertire nella coscienza dei compagni tutto il peso delle conseguenze sul piano di classe e dei rapporti di forza. Infatti nella «bozza» si fa una fotografia fedele e spietata della natura e genesi della controffensiva della borghesia, di come l’O nei fatti si è trovata impreparata non avendo colto i segnali che si erano manifestati su più piani rispetto alle avvisaglie materiali e politiche, rispetto alla necessità della borghesia dentro alla sua crisi crescente di ristabilire il controllo sullo scontro di classe facendo i conti con le BR e con la strategia rivoluzionaria; è per questo che l’offensiva assunta dallo Stato coinvolge anche i padroni e tutte le articolazioni sociali e istituzioni che contribuiranno ad articolarla in tutti gli interstizi sociali. È fuor di dubbio che l’ondata controrivoluzionaria per la profondità degli obiettivi che persegue e i mezzi con cui li persegue, è destinata ad avere un impatto incisivo nei rapporti di forza, stante lo scopo di distruggere sul nascere il SPPA in costruzione. Ed è per questo che non si limita a colpire l’O ma tocca tutti i settori di classe dialettizzati con la LA. In poche parole già allora l’O individuava tutte le caratteristiche di una vera e propria controrivoluzione, lucidità suffragata dai fatti che si succedevano quotidianamente, che di per sé no consentivano più di argomentare il carattere del quadro di scontro negli stessi termini di qualche mese prima, quando la stessa controffensiva era vista come una reazione lineare della Stato alla sua crisi che però non incideva in modo decisivo sullo stato della rivoluzione e ai suoi obiettivi a medio termine. Ora anche se mancava la chiarezza completa e la contestualizzazione giusta dei caratteri dello scontro e della situazione rivoluzionaria, si avverte che c’è un cambiamento generale nella fase di cui si prende atto, non fosse altro per lo scompaginamento della base sociale del SPPA in costruzione.
Su un altro piano è possibile rilevare il fenomeno dell’effetto ridimensionamento sul sentire dell’O. Ci riferiamo al fatto che la coscienza del primato della controrivoluzione inevitabilmente produce un istinto di sottrazione ai suoi effetti, con delle conseguenze sul piano politico di proposte incoerenti, che in quel contesto non sono l’origine di chissà quali deviazioni, né di quella futura che, come sappiamo, poggia su una dinamica differente e ben definita. Queste proposte incoerenti, pura reazione all’attacco dello Stato, teorizzano di sottrarre l’individuazione dei diversi anelli di costruzione dell’articolazione del potere proletario armato, investendo le più “larghe masse” del terreno della LA, cioè allargando a livello di massa l’area rivoluzionaria come barriera alla caccia repressiva e come futuro bastione da rivolgere contro la controffensiva della BI. Una proposta così incoerente non può che trovare una ipotesi di praticabilità ancora più incoerente, dato che l’attivizzazione di queste larghe masse sarebbe dovuta avvenire attraverso il lavoro legale! Non solo la teorizzazione dell’adesione di larghe masse contemporaneamente sulla LA cozza con la concezione scientifica di come gli spezzoni di classe si accorpano nella guerra di classe, concezione, è inutile ripeterlo, teorizzata e praticata dall’O fin dalla sua origine, ma soprattutto il compendio del lavoro legale, con le sue presunte proprietà di uso propagandistico del lavoro rivoluzionario, è la negazione di quanto la LA stessa ha dimostrato nella sua pratica.
A un anno di distanza dall’apertura della RS nella vita dell’O matura un passaggio cruciale rispetto al processo autocritico, che per essere ben compreso va calato all’interno dei mutamenti che nel frattempo si erano verificati nello scontro:
- per quanto riguarda lo Stato la controffensiva ha decantato il suo massimo impatto controrivoluzionario avendo conseguito lo scompaginamento degli ambiti di classe che si dialettizzavano con la LA insieme al forte ridimensionamento politico organizzativo delle BR; controffensiva che ora viene capitalizzata sul piano politico dei rapporti tra le classi come si evinceva dalla messa in discussione della scala mobile e degli altri provvedimenti antiproletari in cantiere; al lato di questo rilancia sulla scena internazionale il suo protagonismo interventista all’interno della più generale tendenza guerrafondaia imperialista esplicitata in quella fase.
- per quanto riguarda l’O il ridimensionamento ha comportato modifiche al suo stato di forza rivoluzionaria costringendola a derogare da quelle che erano le sue strutture politico-organizzative e a ridurre la portata dell’attività d’O; una condizione che ha un riflesso implicito di sbandamento nel militarismo d’O, in ultima istanza recuperato dall’O tenendo fermi due capisaldi fondamentali: che l’O non si scioglie nel movimento rivoluzionario e che la strategia della LA non è messa in discussione;
- per quanto riguarda il movimento rivoluzionario, non c’è dubbio che la crisi del processo rivoluzionario e la controffensiva dello Stato si riversano in negativo sul suo stato politico: un arretramento nello scontro che apre spazi alle tendenze piccoloborghesi e opportuniste nel movimento, non più frenate dalla guida teorico-ideologica-programmatica operata dalla prassi rivoluzionaria prima della spaccatura; tendenze piccoloborghesi che in questo contesto saranno portate a legarsi all’ultrasoggettivismo del PG creando una situazione di degenerazione politica;
- infine, per quanto riguarda la classe operaia, dove l’influenza delle tesi soggettiviste è minima, essa pur se attaccata profondamente dallo Stato e dalla borghesia, riesce a mettere in campo quella che l’O chiama “resistenza attiva”, in quanto la controffensiva non ha potuto eliminare né il carattere antagonista dell’attività di classe, né i suoi livelli di autonomia politica.
Questa è la ragione per cui l’O si trova a dover stringere le fila dovendo fare i conti materialmente con tutti questi piani; stringere le fila per l’O significa da una parte non concedere niente sul piano del processo autocritico che andava portato fino in fondo, e nello stesso tempo condurre un’intransigente battaglia non solo al suo interno ma proprio nel movimento rivoluzionario per tentare di debellare tutte le forme individuate del germe soggettivista. Una battaglia che conduce in una condizione obiettiva di massima debolezza dove appunto risulta appannata l’autorevolezza del suo ruolo (se paragonato a quello avuto fino all’82), ma sarà questa battaglia, e la determinazione a condurre fino in fondo l’autocritica, che in queste circostanze è il massimo del coraggio politico, che consentirà di operare una profonda discriminazione nelle posizioni che si esprimono nel movimento rivoluzionario e di classe, facendo emergere, tra le sue fila, le componenti più mature, un discrimine che, obiettivamente prima ancora che soggettivamente, porta a maturazione la disposizione di questi compagni verso gli inderogabili compiti del processo rivoluzionario, nel senso che la loro attività è immediatamente funzionalizzata al rapporto con l’O e quindi alle sue indicazioni di lavoro nello scontro, rompendo con quella che era la prassi passata di fare cioè gruppo pur se in riferimento alla LA
Un dato che determina nei fatti un’evoluzione nella disposizione delle forze alle nuove condizioni, frutto in primo luogo di come l’O ha lavorato tenacemente in quel frangente a tenere le fila della proposta rivoluzionaria, proprio nel mentre la riesamina per individuarne gli errori. L’opera di ricentramento iniziata dagli aspetti più manifesti del soggettivismo nel corso dell’ultimo periodo critico viene assunta dall’O nella sua totalità, anche perché gli obiettivi posti con la DS ’80 e i termini di lavoro rivoluzionario (costruzione del SPPA, Programmi immediati, ecc) sono via via franati a fronte della deriva delle deviazioni soggettiviste e della controffensiva dello Stato. Dentro a questa consapevolezza per l’O non vi è altra strada che rimettere in discussione l’intero impianto strategico (inteso nella prospettiva delle fasi rivoluzionarie per come era stata prefigurata), in quanto un ricentramento che fosse rimasto alla superficie non sarebbe stato in grado di mettere l’O nelle condizioni di rettificare la portata reale degli errori e “per adeguarsi ai nuovi compiti”. È all’interno di queste considerazioni che l’O sceglie, nella dialettica continuità/rottura, di privilegiare la rottura. Una scelta questa obbligata per una forza rivoluzionaria, e in questo senso, come essa stessa ha coscienza, è indice di maturità politica e del suo spessore, in quanto nessuna forza rivoluzionaria può aggirare gli ostacoli dati dall’accumularsi delle inadeguatezze. Nello stesso tempo questa scelta mette a repentaglio l’O in quanto è effettuata nel contesto di massima debolezza politica e militare dell’O e Tanto più prevale la necessità di mettersi a nudo, tanto più risente delle spinte e controspinte che scaturiscono dal contesto politico in cui l’O agisce nel suo ruolo d’avanguardia. Seppure c’è la consapevolezza, come considerazione politica, dei pericoli potenziali, tuttavia l’O è ben lontana dal poter conoscere tutte le contraddizioni a cui andrà incontro. Già questo materiale è un primo punto di approdo, dopo aver superato un forte sbandamento, determinato dalla deroga al modulo politico-organizzativo e la rimessa in discussione dell’impianto, un approdo imperniato sui due punti cruciali detti sopra.
Infatti, se l’O è attrezzata al compito di affrontare fino in fondo le infiltrazioni piccoloborghesi di soggettivismo ed economicismo militarista ritenuti a ragione antagonisti allo sviluppo della politica rivoluzionaria, in quanto sono gli ostacoli che ha avuto di fronte e che ha imparato a conoscere, è inconsapevole rispetto a contraddizioni di tipo nuovo che nascono da precise leggi della guerra in questa fase di offensiva dello Stato e che si innesteranno con le problematiche accumulate fino a quel momento Queste contraddizioni possono già essere percepite in questo scritto proprio laddove l’O esamina se stessa come forza rivoluzionaria in quanto è proprio questo l’ambito che investono. E proprio nel momento in cui l’O cerca di ristabilire, rivendicandoli, i punti fermi del suo ruolo d’avanguardia, e quindi sulla giustezza della scelta di operare la rottura, e soprattutto di farlo -senza delegare a nessuno questi compiti- che emerge la sfasatura e l’oscillazione tra affermazioni giuste e valutazioni contraddittorie, sfasatura che è subito visibile quando l’O, motivando la sua scelta di rimettere in discussione l’impianto, valuta la portata della sconfitta, infatti si contrastano i compagni che criticano la definizione di sconfitta generale, giustificandosi che il termine non coincide con la sconfitta della rivoluzione. Gli argomenti portati contro un’accezione limitata della portata della sconfitta, ad esempio di tipo tattico, manifestano l’influenza nell’O della contraddizione difensivistica propria dei rovesci militari, contraddizione che va a legarsi con il nodo irrisolto della concezione lineare per cui il fallimento degli obiettivi della fase di transizione, ovvero del SPPA in costruzione, sono tout court fallimento del progetto, e non fallimento di come è stata valutata l’apertura di una fase.
Più in generale pesa nella valutazione dell’O, la coscienza di come il suo ridimensionamento, la sconfitta di una campagna del peso di quella di Dozier, la repressione degli strati in cui viveva l’articolazione del progetto del SPPA e pure la distruzione del PG, abbiano inciso profondamente sui rapporti di forza tra le classi facendo indietreggiare le posizioni del campo proletario. Di fronte a questa coscienza e al senso di responsabilità che sente pienamente per il ruolo che svolge, l’O non può che valutare gli errori commessi come strategici, attaccando in questo senso la concezione della sconfitta tattica come lettura superficiale che non vuole assumersi tutto il portato del ruolo dell’avanguardia nello scontro rivoluzionario e di classe.
L’altra valutazione contraddittoria e incoerente nasce da come l’O si assume la battaglia al soggettivismo d’O, in quanto è tutta calata sulla falsariga che gli errori e le inadeguatezze risiedono nel non aver saputo dare soluzione ai “nuovi compiti”, e cioè ai compiti propri alla fase di transizione, dentro ai quali l’O doveva compiere “il salto da OCC a Partito che costruisce il Partito costruendo il SPPA”. Su questa falsariga, gli errori di soggettivismo sarebbero quelli di aver continuato ad agire come nella vecchia fase, cioè sviluppando l’attività “mettendo al centro se stessa come OCC” e in questo perdendo di vista il modo complessivo di operare dialettica con l’attività generale delle masse, una dialettica che nella critica fatta dall’O era menomata, limitandosi alla sola costruzione di “Nuclei” invece che OMR, ovvero il soggettivismo d’O veniva stigmatizzato nell’aver scambiato la costruzione e l’estensione di cellule e nuclei come l’estensione degli OMR, mentre invece in questo modo restava inevaso il passaggio cruciale nella fase di transizione, cioè la conquista delle masse sulla LA, attraverso la costruzione del vasto e articolato SPPA che può darsi nella capacità dell’O di saper attirare nel programma tutti i diversi livelli che si esprimono nella classe dentro la resistenza attiva a partire da quelli più alti. È evidente che non è sbagliata in sé la critica al soggettivismo d’O che pure c’era, come non è sbagliato l’inquadramento di questo tipo di dialettica, soprattutto se ci si riferisce ad una fase di offensiva strategica, ma al livello reale raggiunto dalla guerra di classe, questo tipo di inadeguatezze erano secondarie rispetto all’errore di impostazione di fase. Ma il mantenimento, nella visione d’O, della vigenza in quel momento della congiuntura di transizione al comunismo, non poteva che portare l’O a focalizzare la sua critica su questo campo e a vedere le soluzioni dentro a direttive che portassero al rilancio del SPPA. Ed è per questo che tutta la critica ruota intorno al presunto errore di dialettica con la classe e che sotto il peso del ridimensionamento militare degli addentellati del nascente SPPA, la soluzione data proponesse un fantomatico lavoro legale come panacea per contrapporre alla BI la ricostruzione di una controffensiva che per essere adeguata doveva appunto basarsi su una attivizzazione di massa, trasformando il potenziale della resistenza
Questa soluzione contraddittoria è un elemento di incoerenza che dalla apertura della RS viene fuori nella lettura critica dell’O, come terreno di immediato riflesso difensivistico dei colpi ricevuti e rimane un’espressione incoerente e impotente in quanto non trova sbocco pratico all’interno della concezione di distruzione/costruzione con cui l’O fa vivere lo sviluppo della LA. Oltretutto la soluzione del lavoro legale è resa ancor più contraddittoria dall’erosione profonda avvenuta nell’83 con i ridimensionamenti del terreno materiale su cui si basava la concezione del SPPA a cui comunque il lavoro legale si ispirava e doveva essere funzionale. Una soluzione incoerente che viene contrastata nell’O da chi la vede come una reazione alla sconfitta, critica a cui viene contrapposta una motivazione ancor più contraddittoria, affermando la praticabilità del lavoro legale in rapporto ad un movimento rivoluzionario e a una condizione di classe che non vengono visti in riflusso, quando in realtà era obiettivo l’arretramento del campo di classe. Se questi sono gli aspetti contraddittori che scaturiscono dall’affrontamento della controffensiva malgrado le posizioni di ripiegamento dell’O, e che restano non focalizzati perché nascondono problemi di cui l’O non ha coscienza, per contro, grazie alla stessa posizione di ripiegamento e al doversi confrontare con le degenerazioni dell’idealismo soggettivista nello scontro e con i problemi del ridimensionamento politico-militare, l’O è obbligata per mantenere una concezione materialista e realista del processo rivoluzionario, ad andare a fondo sia delle leggi della guerra rivoluzionaria in relazione a come si è evoluto il processo di guerra di classe in Italia, allo scopo di mettere a nudo la problematica dell’evoluzione delle fasi rivoluzionarie a partire dalla critica al soggettivismo, sia ad approfondire e a mettere a fuoco, nel combattere le degenerazioni dell’idealismo soggettivista, le categorie dell’analisi leninista dello Stato e della rivoluzione, riaffermando la conquista del potere politico come sbocco della fase di transizione.
Un avanzamento di rilevanza strategica perso di vista nella linearizzazione delle fasi che ridà concretezza agli obiettivi rivoluzionari in quanto toglie di per sé terreno alla concezione linearista e consente oggettivamente di porre le basi per riconquistare un criterio materialista di periodizzazione delle fasi rivoluzionarie. Il primo punto, ovvero le leggi della guerra di classe, viene approfondito per la necessità di meglio argomentare al movimento rivoluzionario e di classe le problematiche sorte intorno al nodo delle fasi rivoluzionarie e soprattutto nella scelta della RS. Nel fare ciò l’O ripercorre il corso del processo rivoluzionario fino a quel momento, puntualizzando in questa analisi i diversi momenti con un approfondimento e una riprecisazione che gli deriva da un accumulo di esperienza da essa maturate. In altri termini in questo breve bilancio, da un lato vengono rivendicate le motivazioni sostanziali dell’affermarsi della LA per il Comunismo, ovvero non risposta difensiva all’attacco padronale, ma “mantenimento” dell’offensiva di classe e soprattutto la precisazione che l’esordio della guerriglia non è legato all’acuirsi del nesso crisi-ristrutturazione, ovvero al suo precipitare, e al crearsi delle condizioni di crisi-rivoluzione.
Una precisazione che rivendica il carattere offensivo della proposta strategica e la colloca storicamente nel modo corretto. Dall’altro si periodizzano con maggiore precisione i momenti succedutisi nella Propaganda Armata contraddistinti da modalità tattiche diverse in relazione alla situazione di scontro e nel quadro delle finalità della fase: se fino al ’74 l’agire della guerriglia sviluppa un’offensiva sul terreno della resistenza operaia in fabbrica, nel secondo momento (’74 – ’78) si sviluppa e si precisa la disarticolazione rispetto all’attacco al cuore dello Stato nel quadro della sua ristrutturazione, e si approfondisce il radicamento della LA. In sintesi si raggiungono ampiamente gli obiettivi della fase di PA. Un bilancio che serve all’O per mettere in evidenza il fatto che se dalla PA non si era passati ad assolvere i compiti della fase di transizione alla guerra civile dispiegata, è perché l’offensiva guerrigliera non era adeguata ai compiti di fase, ovvero l’inadeguatezza (per gli errori del soggettivismo d’O) è inquadrata dal punto di vista del rapporto che deve esistere fra il carattere dato all’attività rivoluzionaria e il carattere della fase rivoluzionaria. A partire dalla necessità di ripristinare questo principio di relazione dialettica mantenendo valido lo schema di sviluppo della rivoluzione nel raggiungimento della guerra civile dispiegata, si motivano le ragioni della scelta della RS, come necessità di difendere strategicamente il processo di costruzione del SPPA, una difesa che si da in primo luogo sul piano politico, in quanto il rilancio della controffensiva può darsi soltanto dentro la ratifica e i salti politici in dialettica con la classe.
Da questa visione giusta, pur se delimitata dalla visione lineare dello schema rivoluzionario, si comprende bene il significato dello slogan dell’O “ritirarsi nelle masse” al fine di “rifondare il SPPA”. In questo senso la RS si arricchisce del suo significato più propriamente politico che completa l’approccio iniziale più prettamente a carattere militare. L’importanza di questa precisazione è data poi dal suo risvolto pratico, e qui passiamo al secondo punto relativo alla battaglia sui nodi teorici, in quanto per “rifondare il SPPA” è necessario farsi carico di battaglie politiche nel movimento rivoluzionario per debellare le concezioni sbagliate che allora significava trovarsi a confutare le degenerazioni dell’idealismo soggettivista che prosperavano nel movimento rivoluzionario. E sarà questa necessità che costringerà l’O ad andare a fondo dei nodi teorici e ideologici delle categorie leniniste e, tramite ciò, a svuotare sempre di più la concezione linearista. In primo luogo riporta sul terreno materialista la lettura idealista del nesso crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione propria ai soggettisti che davano dominante il nesso crisi-rivoluzione a partire dall’offensiva di combattimento scambiata per i rapporti di forza reali tra BI e PM. È evidente che nel rendere dominante il secondo nesso il soggettivismo faceva vivere spontaneamente sul piano sociale l’allusione al comunismo, appiattendo i rapporti relativi ai diversi aspetti della FES. A partire da questo terreno di battaglia si rivendica la concezione leninista della dominanza del politico nella FES, precisazione non nuova per l’O, ma che in questa situazione risulta arricchita dalla maggior comprensione acquisita dall’O attraverso la sua pratica sociale. Il complesso processo di elaborazione politica contenuto nel documento manifesta una duplice valenza in cui l’aspetto del ricentramento è strettamente legato alla necessità della battaglia politica sui nodi teorici e strategici in discussione nel movimento rivoluzionario. Ovvero l’O, nel mentre rientra se stessa ed il suo ruolo, da ciò trae la capacità di dare un contributo fondamentale “all’arricchimento della teoria e della pratica della rivoluzione comunista”, per questo la “Sintesi” all’epoca ha avuto un ruolo guida nelle fila delle avanguardie e dei gruppi di compagni organizzati, in quanto ha reso possibile discriminare una visione materialista dalla diffusione di quella metafisica.
Un arricchimento che necessariamente parte dal rimettere al centro la fabbrica e la produzione di merci, il rapporto dialettico FP/RP e quello tra guerra e politica. Se da un lato la battaglia è obiettivamente di retroguardia rispetto ai nodi che ha affrontato in passato, dall’altro, affrontarla in quel momento e in quelle circostanze ha consentito un avanzamento reale, perché era divenuto chiaro quale portata doveva assumere la battaglia per la riaffermazione della concezione materialistica della rivoluzione, a fronte della visibilità di tutte le contraddizioni delle tesi soggettivistiche portate alle estreme conseguenze sul piano della pratica rivoluzionaria. Nodi teorici che vengono approfonditi anche perché trattati alla luce dell’analisi non solo storica ma anche politica rispetto all’attualità. In primo luogo viene riaffermata la dominanza del politico in tutte le regioni della FES proprio per garantire la riproduzione capitalistica. Riaffermazione che serve a riprecisare attraverso la centralità del ruolo della politica, il ruolo dello Stato nella sua evoluzione storica, quella raggiunta col capitale multinazionale. Lo Stato non è più solo e semplice gendarme, ma va a compimento il processo di evoluzione storica di statalizzazione della società, a partire dal ruolo enorme che ha sviluppato nel sostegno dell’economia capitalistica (Stato capitalista reale, Stato banca, stato capitalista collettivo) e dallo sviluppo della controrivoluzione preventiva. Statalizzazione che si accentua con la crisi implicando la funzionalizzazione delle istanze sociali (sindacati, partiti) e istituzionali al “ruolo politico” dello Stato.
Quello che è dominante è il rapporto Stato/fabbrica e non fabbrica/stato e, più in generale stato/società e non il contrario, cosa che rimarca la dominanza del politico in cui lo Stato è la massima espressione politica sviluppata dalla borghesia. Poiché con la crisi non viene meno la legge del “valore, né la borghesia impone il suo dominio”forzosamente”, dominanza del politico significa che lo Stato si fa carico di sostenere i processi di crisi, mette cioè in campo la “ristrutturazione per la guerra imperialista”. Questo per garantire la crescita del capitale considerato che l’estensione del suo dominio è data dall’estensione della massa di lavoro salariato, dato che da questo ne deriva l’estensione dei rapporti sociali di produzione, ovvero il dominio non si estende perché si moltiplica il comando coercitivo. È la legge del valore-lavoro, in dialettica con la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, che ne è parte integrante, a rendere necessaria l’uscita dalla crisi attraverso i processi di ristrutturazione. Lo stato nella crisi è reale organizzazione del rapporto sociale esistente tra le classi, nel favorire la riproduzione del rapporto di produzione. In ultima analisi è la legge del valore-lavoro, la regione economica, il MPC, a promuovere la dominanza del politico mediante la rifunzionalizzazione dello Stato. Il ruolo dello Stato, pur messo nella sua ineludibile centralità, è analizzato soggettivisticamente come riflesso della visione meccanica della crisi (crisi-guerra imperialista). Infatti, la rifunzionalizzazione dello Stato vede come equilibrio di forze dominante il partito della guerra. Tralasciando la visione della guerra in atto, importante in quel momento è stato ricentrare il fatto che il nemico non è disperso nel dominio sociale, ma individuabile politicamente dentro lo Stato, tra le forze che si saldano nel progetto dominante-cuore dello Stato-partito della guerra che attraversa organicamente ogni compagine partitico e padronale, quale rappresentante reale della BI e delle sue determinazioni soprannazionali, che funzionalizza ogni politica allo sbocco alla guerra. Pur nella riaffermazione di elementi giusti gli aspetti di linearismo e soggettivismo contenuti nell’analisi hanno come sbocco consequenziale quello della maturità superiore della contraddizione BI/PM, e il rapporto classe/Stato diviene sempre più rapporto di potere: per l’avanguardia si tratta di trasformare lo scontro di potere in scontro per i potere. Trasformazione possibile nell’accelerazione del rapporto crisi/guerra. Questo postulato soggettivista (di soggettivismo d’O) non avrà un portato pratico conseguente al significato teorico, mentre avranno un portato politico decisivo, sia nel ricentramento che nell’orientamento del movimento rivoluzionario. Su queste posizioni, le giuste affermazioni del primato della politica, del ruolo dello Stato a partire dai meccanismi di sviluppo del MPC, dell’individuazione del nemico-cuore dello Stato, visto nel complesso di forze che si saldavano sul progetto della BI.
Un altro nodo teorico affrontato è il rapporto tra la guerra e la politica, in quanto le tesi dell’idealismo soggettivista erano arrivate a sovvertire un caposaldo delle leggi della guerra e che, cioè, questa è dominata dalle leggi della politica. In altri termini l’affermazione idealista che “la guerra informa la politica” aveva come risvolto la dominanza del militare sul politico, fino ad arrivare a vedere separato il politico dal militare e, conseguentemente, riproporre una concezione terzinternazionalista, in questo caso come esito della visione della “guerra sociale totale”. Le ripercussione dell’inversione tra i due poli, guerra e politica, sul piano della pratica rivoluzionaria, portano a fare della politica rivoluzionaria un’appendice di una inimicizia assoluta che già vive in quanto domina la guerra tra BI e PM, e quindi non è più necessario che la guerriglia, riunendo il politico e il militare sulla base della politica che guida il fucile, trasformi l’autonomia proletaria, all’interno della strategia della lotta armata per il comunismo, in inimicizia assoluta.
A partire dalla linearizzazione delle tendenze proprie col soggettivismo viene soppresso un polo della dialettica tra politica e guerra nel senso che la prima viene via via resa inutile dal prevalere della seconda, ed è attaccando a fondo le tesi della guerra sociale che l’O precisa i termini materialistici di questo nodo teorico rimettendo al centro il ruolo indispensabile dell’avanguardia e della politica rivoluzionaria. È la politica rivoluzionaria che può operare la trasformazione verso l’inimicizia assoluta (che in quel momento restava la costruzione del SPPA), in quanto deve canalizzate scientificamente la lotta e il combattimento proletario non certo colpendo i mille cuori del potere sociale ma dirigendo il combattimento contro lo Stato, contro il potere politico (individuato in quel momento nel partito della guerra). Un combattimento teso a conquistare rapporti di forza che consentono al PM di pesare sul piano politico e non tanto di avere un generico potere sociale. Qui si esemplifica come, a partire dalla manifestazione concreta sul piano della pratica delle tesi idealiste, che rende palese l’inadeguatezza di tale impianto, le BR, sulla base dell’impostazione leninista, sviluppano e precisano il che fare sul piano della conduzione della guerra di classe. Attraverso la logica dialettica viene ribaltato il piano del “potere sociale” perché è a partire dai contenuti sociali della necessità-possibilità della transizione al comunismo che il PM deve conquistare ciò che la borghesia gli nega: il potere politico, che per il PM è potere politico rivoluzionario per il comunismo. Il politico, il militare e il sociale sono aspetti che vivono nella società nella misura in cui esiste un progetto rivoluzionario che in quanto sapere condensato per la transizione al comunismo è il modo storico di arricchire il marxismo-leninismo nella metropoli. Qui la battaglia assume i toni più alti propri delle contrapposizioni ideologiche e, rivendicando il metodo del materialismo storico-dialettico, l’O attacca le tendenze metafisiche nella loro forma dell’ideologismo e del soggettivismo che appunto palesavano il comunismo come comunità illusoria e non reale da raggiungere in una metafisica rivoluzione permanente (leggi guerra sociale totale che esiste dentro i rapporti di produzione inficiati dalla prevalenza delle forze produttive). Di contro l’O ribadisce la concezione materialistica della rivoluzione che si realizza per tappe storicamente determinate. E questo perché la guerra di classe è un prodotto storico materiale, non un concetto dell’avanguardia comunista, che definisce la molteplicità dei compiti presenti nel processo rivoluzionario e la sua attività. Al contrario l’avanguardia comunista non è solo il soggetto portatore della teoria rivoluzionaria, ma è parte e direzione della guerra di classe, per trasformarla in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo. La la per il c non è più come nella propaganda armata la strategia che l’avanguardia politica pratica e propaganda tra le masse, ma sempre più l’unica reale politica rivoluzionaria e proletaria. Affermazione quest’ultima che va intesa nel contenuto soggettivista che l’O gli dava, di rapporto di scontro di potere tra BI e PM. Infatti è argomentata con l’affermazione che la possibilità-necessità della trasformazione della guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo è un movimento da vedere nel rapporto dialettico con i processi di crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista. Nonostante questo passaggio soggettivistico non è inficiata la portata della battaglia e dei contenuti affermati e approfonditi, in particolare nella rimessa al centro del ruolo dell’avanguardia in rapporto all’antagonismo del PM l’O attaccava la visione che considerava ricomposto oggettivamente l’antagonismo dispiegato del PM, visione che finisce per relegare il ruolo di direzione dell’avanguardia alla coda, in quanto il suo rapporto con l’antagonismo proletario si limita a riassumere tutto ciò che si esprime, dentro al quale tutti i bisogni hanno lo stesso peso, perché tutti allusivi al comunismo. Al contrario il compito dell’avanguardia, di fronte all’attività generale delle masse di per sé differenziata e scomposta, è quella di leggerla come è, nella sua realtà, ricomponendo e unificando i diversi livelli sul piano più avanzato e all’interno del PPG, al fine di disarticolare i processi in atto sviluppati dalla BI per costruire nuovi rapporti di forza. E questo perché il rapporto di forza esistente tra BI e PM si può ribaltare solo trasformando i rapporti di forza generali, solo con la conquista proletaria del potere politico, l’abbattimento dello Stato e la disarticolazione del MPC, quale tappa preliminare rispetto alla possibilità-necessità della dittatura rivoluzionaria per il comunismo.
Solo con la conquista del potere politico è possibile trasformare l’aspetto dominante della contraddizione principale e l’aspetto secondario, mentre la rivoluzione proletaria da tendenza principale diventa aspetto dominante. Puntualizzazioni queste che hanno un valore strategico per il futuro riadeguamento complessivo dell’O in quanto l’aver finalizzato l’attività alla trasformazione dei rapporti di forza generali per la presa del potere politico obiettivamente mina la visione lineare delle fasi ancora vigente fino a quel momento. Si affronta ora il nodo teorico più importante per come si riflette nella concezione dell’ sviluppo del processo rivoluzionario, quello relativo al rapporto FP/RP, questo a partire dalla messa in chiaro di come si qualificano i rapporti di scontro tra PM e BI, ovvero se si collocano o meno dentro e contro i RP, fuori e contro lo Stato. L’O inizia affermando che la necessità/possibilità della transizione al comunismo vive latentemente al livello mondiale, dato che la crisi del capitale monopolistico multinazionale, non riuscendo a valorizzarsi ulteriormente, non fa che acuire la lotta di classe sia dove esso domina realmente, metropoli, che dove lo fa informalmente, periferia, a prescindere dai modi diversi, qualitativamente e quantitativamente, in cui si esprime la lotta di classe, e delle diverse tappe che deve percorrere il processo rivoluzionario nella periferia rispetto a quello della metropoli. Questa latenza della transizione al comunismo diviene per l’O la base per il nuovo internazionalismo proletario.
Un’analisi questa, verosimilmente portato della lettura della crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista che l’O faceva in quel momento e che, riportata sul piano della lotta di classe nella nostra fes, motiva la maturazione della lotta di classe in guerra di classe, in quanto il processo in atto della ristrutturazione per la guerra imperialista informava i rapporti di classe, processo questo che in ultima analisi avrebbe favorito la rivoluziona proletaria, nonostante i rapporti di forza congiunturalmente sfavorevoli, collocando la guerra di classe in termini di scontro di potere. D’altra parte il processo di generalizzazione dei contenuti della lotta di classe e la sua qualità fa si che essa non può più essere recuperata dalla BI, considerato che la crisi non è certo ciclica e quindi non può darle sbocco in termini di recupero “riformista” dello scontro. L’O afferma pertanto che in questa fase la guerra di classe è il risultato dell’approfondimento della contraddizione FP/RP nella crisi, soprattutto dove l’antagonismo proletario è più forte e maturo, la fabbrica metropolitana. Perché è proprio qui che lo sfruttamento della classe operaia aumenta a causa della ristrutturazione per la guerra imperialista, la classe operaia che, essendo dentro i rapporti di produzione capitalistica e crescentemente contro questi rapporti, possiede una maggiore potenzialità, dell’antagonismo complessivo ed assoluto al MPC. Processi di crisi che pure investono e peggiorano le condizioni del proletariato marginale, facendo aumentare le quote di quello emarginato che si riversa nell’extralegalità (e quest’ultima tocca tutte le fasce di PM) aumentando così anche i PP stabili relativamente agli instabili. Ma questo proletariato emarginato, essendo forza lavoro espulsa dal processo produttivo, nel suo divenire extralegale, si nega come forza lavoro, ma ciò non vuol dire che il proletariato emarginato e quello extralegale siano di per sé antagonisti assoluti e complessivi al MPC, non è certo un’enorme massa di capitale variabile che si aggira e che nel negarsi diventa antagonista. In realtà allo Stato e al MPC si contrappone un movimento proletario antagonista caratterizzato dalla resistenza attiva, a partire dalla lotta dentro e contro i rapporti di produzione, fuori e contro lo Stato. Resistenza attiva che si differenzia da quella passiva per essere offensiva. In questo modo i compagni valutano le mobilitazioni che in quel periodo a livello nazionale si esprimevano su vari piani contro l’offensiva padronale e statuale (attacco alla scala mobile, contro il tetto antinflazione, tagli alla spesa sociale), contro gli schieramenti e le spese militari, contro la Nato e la guerra imperialista.
Per l’O questa resistenza, pur confrontandosi con una approfondita controrivoluzione preventiva scatenata, ha contenuti molto avanzati ed è parte del movimento antagonista che è la “base sociale” da cui è possibile e necessario costruire le “basi sociali rivoluzionarie” e cioè il SPPA con le sue tre determinazioni. Il SPPA si costruisce cioè a partire dalla lotta proletaria e si estende dentro e contro i rapporti sociali di produzione capitalistici, fuori e contro lo Stato. Credere possibile costruire tale sistema esclusivamente fuori e contro i rapporti sociali di produzione non solo escluderebbe la centralità della classe operaia, ma addirittura si finirebbe per riproporre un programma immediato unico per tutto il PM basato sull’esproprio proletario! E qui il riferimento è alla centralità del proletariato extralegale ritenuto dal PG strato antagonista che ha come conseguenza di privilegiare la lotta alla distribuzione capitalistica della merce e dei redditi, cosa che sul piano teorico significa privilegiare il rapporto valore d’uso/valore di scambio, l’aspetto della distribuzione, dimenticando che questa in ultima analisi deriva dai rapporti di produzione. In questo modo è come concepire la costruzione del SPPA separatamente dai rapporti di produzione capitalistici dentro ad una visione del MPC in cui scompare l’unità degli opposti tra FP e RP anche laddove tendono a divaricarsi al massimo assumendoli come elementi separati. A partire dal fato che l’antagonismo proletario si sviluppa dentro e contro i rapporti di produzione sociali capitalistici, fuori e contro lo Stato, nella metropoli imperialista e soprattutto in questa fase la costruzione del SPPA non significa costruire basi rosse, dove esercitare potere rosso, perché non ci sono territori liberati da difendere e masse armate; tanto meno ci sono “basi rosse invisibili”, considerato che questo concetto ha finito col rendere invisibile il SPPA in costruzione alla classe,dato che l’ambiguità sul termine ha spesso significato concepire la clandestinità non riferita solo allo Stato ma anche al movimento rivoluzionario e antagonista.
Il SPPA non si costruisce per linee esterne al movimento antagonista, ma solo per linee interne, a partire dalle sue espressioni più avanzate. Espressioni che la guerriglia deve condensare nel PPG per dirigere, mobilitare, organizzare la lotta e il combattimento proletario contro lo Stato. In queste ultime affermazioni l’O si riferisce anche al soggettivismo ribadendo che le campagne da sviluppare non devono esser intese come “campagne d’O” ma devono servire per organizzare l’offensiva proletaria nelle nuove condizioni di controrivoluzione preventiva scatenata. Affermazione quest’ultima da cui è possibile evincere come non è ancora compresa la natura della controrivoluzione degli anni ’80, collocata com’è nella lineare accentuazione della crisi della borghesia imperialista verso la guerra dentro ad un meccanico riflesso della dialettica del nesso crisi-rivoluzione sui fattori dello scontro. Ragione per cui è normale prospettare il rilancio del SPPA in costruzione, a partire però dal ricentramento della dialettica partito/masse, e cioè costruzione della linea di massa rivoluzionaria per attaccare il cuore dello stato partendo dai contenuti più avanzati e definendo, nell’attuale fase storica, il rapporto Partito/masse come tra movimento proletario antagonista-Partito in costruzione da cui è possibile e necessario costruire il SPPA e trasformare lo scontro di potere in scontro per il potere. La battaglia contro il soggettivismo d’O che l’O persegue tenacemente è volta pure a correggere l’affermazione idealistica dell’”Ape …” per cui gli OMR sorgevano nel divenire oggettivo della crisi, concetto che conseguentemente dava alla costruzione del SPPA, del PCC e del MMR come già data, come un dato statico che non vive in rapporto di unità-distinzione con il movimento proletario antagonista.
Se non si comprende il rapporto che muta continuamente tra le tre determinazioni e il movimento antagonista da un lato, e dall’altro lo Stato e il MPC, gli OMR saranno sempre anelli permanentemente mancanti. In concreto la costruzione del PCC e degli OMR sono processi distinti e uniti in stretta dialettica tanto che non si da PCC senza costruzione e direzione degli OMR e conquista del movimento di massa antagonista in MMR. Quindi in questa fase trasformare lo scontro di potere in scontro per il potere significa trasformazione della guerra di classe in guerra rivoluzionaria all’interno della costruzione del SPPA intorno ad un programma generale che, congiuntura dopo congiuntura, disarticoli lo Stato in dialettica con i contenuti più avanzati delle lotte del PM. Il PPG vive tramite il PPI nei settori di PM e in questa fase di transizione dalla propaganda armata alla guerra civile dispiegata ha per obiettivo la conquista del potere politico. Obiettivo che comporta la costruzione di rapporti di forza generali a favore del PM e cioè distruzione-abbattimento dello Stato, disarticolazione del MPC, tappa preliminare per affermare il PM attraverso la sua dittatura rivoluzionaria come la classe che sola può abolire tutte le classi e con esse lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Obiettivo storico che nella metropoli può darsi solo sul terreno politico, attraverso la politica rivoluzionaria, così da attraversare tutti i rapporti sociali e caratterizzare la dittatura rivoluzionaria integrale a tutti i livelli, per la distruzione sistematica del MPC e costruire la società senza classi, società che è per tutti o per nessuno, e quindi va sconfitta la BI a livello mondiale. Ed è sotto questo punto di vista che l’internazionalismo proletario è elemento centrale e decisivo del programma rivoluzionario. L’affrontamento del nodo teorico relativo al rapporto FP/RP ha un’importanza decisiva nel futuro riadeguamento perché lo smantellamento delle proposte dell’idealismo soggettivista delle “basi rosse” sarà il presupposto per andare a raddrizzare la concezione da manuale della guerriglia e dello sviluppo della guerra rivoluzionaria, in quanto inficia la visione “territoriale” del Potere Rosso perché già riconduce la forza che la guerriglia fa acquistare al campo proletario dentro alla conquista dei rapporti di forza contro allo Stato e alla BI. Saggio questo che costituirà elemento obiettivo per dare superamento alla visione della linearizzazione delle fasi rivoluzionarie.
La centralità della produzione di merci nella metropoli è l’altro nodo teorico affrontato ed è nella riaffermazione di questa centralità che l’O si contrappone alle tesi sociologiche della “fabbrica totale”, le quali sulla base dello sviluppo del capitale monopolistico multinazionale nella metropoli leggono questo sviluppo come capitale unico dentro una visione di stampo luxemburghiano. Ugualmente l’O si contrappone alle tesi della “fabbrica diffusa”, tesi che non distinguono più nell’area metropolitana differenze tra lavoro produttivo e improduttivo, scambiando le controtendenze con la tendenza principale, finendo per far prevalere nella metropoli l’estrazione del plusvalore assoluto. Tesi che hanno come risvolto l’individuazione di settori marginali del PM come proprio referente di classe perdendo di vista la centralità operaia. Di contro a questi tesi l’O le caratteristiche del dominio reale del capitale monopolistico multinazionale che è radicato nella metropoli e che è basato sulla estrazione del plusvalore relativo conseguentemente la forma principale del movimento antagonista è riferita alla centralità della classe operaia delle grandi concentrazioni industriali all’interno del PM. Stante le caratteristiche di sviluppo del capitale monopolistico multinazionale ne consegue che le cause oggettive della crisi di sovrapproduzione di capitali risiedono nel rapporto divaricante tra aumento tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio medio di profitto. Il nodo teorico FP\RP è ripreso dall’O per battere le tesi metafisiche della rivoluzione permanente dei neosoggettivisti che appunto scaturiscono dal fatto che vengono prese per buone le tendenze al limite,senza tener conto che dall’analisi dall’astratto al concreto va assunto il concreto storico che è riempito dalla lotta di classe pena cadere in visioni della inevitabilità obiettiva della rivoluzione. Questo a partire dal fatto che le FP vengono viste separate dai RP come se potessero essere neutre e di per sé progressive,mentre secondo l’analisi marxista le FP sono permeate dai RP e il loro sviluppo è sviluppo dei rapporti sociali capitalistici di contro al lavoro salariato. Per cui la divaricazione fino alla rottura del rapporto FP\RP si da solo con la rivoluzione e non con lo sviluppo delle FP. La critica al soggettivismo si conclude con la confutazione della teoria della crisi-crollo che è propria alla linearizzazione delle tendenze, fino a dare già in atto quelle “al limite”. Linearizzazione che vive unita alla separazione dei nessi dialettici tra l’aumento del plusvalore relativo e caduta tendenziale del saggio medio di profitto, facendo prevalere quest’ultimo, in altre parole non considerando che nell’intrinseca dialettica dello sviluppo capitalistico tra la tendenza al limite e la realtà storica ci sono le controtendenze. Alla crisi-crollo l’O contrappone la crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista che da un punto di vista metodologico è corretta, in quanto risponde agli effettivi meccanismi della crisi-distruzione del sovrappiù prodotto per riplasmare le forze produttive, ecc. la puntualizzazione di questa analisi ha il pregio rispetto alla lettura del PG, che davano una relazione alla contraddizione BI/PM come dominante il nesso crisi-rivoluzione, di riportare come dominante il nesso crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista, però il fatto che nell’analisi delle controtendenze l’O assume come operante la ristrutturazione per la guerra imperialista, oltretutto con il corollario soggettivistico di leggerne le ricadute sullo scontro di classe in termini di guerra di classe, non è in grado di portare a fondo la critica alle tesi del PG, rimanendo sul terreno superficiale della semplice confutazione di qual è la contraddizione dominante


Questo documento nella sua contraddittorietà riflette l’effettivo stato politico dell’O. Si tratta di capire, dentro questa contraddittorietà il reale peso specifico dei suoi contenuti, ovvero perché determinate affermazioni impregnate di soggettivismo avranno scarso peso, mentre altri, pur se imprecisi e non sviluppati a fondo, costituiranno la chiave di volta del riadeguamento. Più precisamente va capito perché queste ultime possiedono una forza propositiva e ricompositivo pur essendo ancora contenute nell’involucro delle concezioni soggettiviste e lineariste. Ancora una volta la chiave di lettura va cercata dentro al principio generale che l’O avanza e rientra nella misura in cui da soluzione effettiva ai problemi che ha davanti, e si riadegua nella misura in cui riesce a compiere salti politici. Si può dire che questi elementi di chiarificazione hanno forza perché sono i primi risultati dell’affrontamento dei nodi posti alla controffensiva dello Stato e dalle tendenze soggettiviste, nodi a cui l’apertura della RS aveva dato una prima soluzione parziale (rispetto alla controffensiva, nel preservare le forze, per salvaguardare la prospettiva strategica di ricostruzione del SPPA, e rispetto al soggettivismo nell’affrontamento di quello d’O), e che ora saranno affrontati globalmente in quanto le tendenze soggettiviste hanno ormai esplicitato fino alle estreme conseguenze il loro significato nella pratica. Concezioni queste che avevano preso campo nel movimento rivoluzionario, con tutto il loro portato di confusione e ambiguità, e che nel loro risvolto pratico pregiudicavano lo sviluppo corretto del processo rivoluzionario. In questo senso la battaglia era di vitale importanza per le sorti della direzione che doveva prendere il processo rivoluzionario e andava affrontata globalmente perché metteva in discussione le concezioni teoriche, programmatiche e d’impianto della proposta rivoluzionaria. Da questo punto di vista è una battaglia di tesi che, arrivando ad interessare il piano ideologico, si connota come una battaglia tra la concezione materialista e quella idealista piccolo borghese, giustamente ritenuta dall’O antagonista al rilancio del processo rivoluzionario. L’affrontamento e la risoluzione di un nodo come questo, effettivamente posto nello scontro, costituisce la dinamica principale alla base del rientramento in quella tappa, e tanto più in questa battaglia l’O raggiungeva livelli teorici ed ideologici di chiarificazione complessiva sui nodi affrontati, tanto più questa determinava una migliore disposizione nello scontro ridando forza al ruolo d’O, e in questa misura l’O è in grado di esprimere forza di attrattiva e capacità ricompositivo sugli elementi più maturi del movimento rivoluzionario.
L’affrontamento di questa battaglia politica rappresenta dunque una tappa della RS che aggiunge elementi alla visione parziale che di essa l’O aveva alla sua apertura, connotando questa nel suo significato più politico, unitamente agli approfondimenti conseguiti sul terreno della comprensione della Difensiva Strategica, che viene arricchita dalle peculiarità politiche nelle metropoli, in cui la RS stessa è qualcosa di più complesso del semplice preservare le forze della distruzione del nemico.
È a partire da comete chiarificazioni acquisite con la battaglia politica si traducono nella disposizione dell’O nello scontro, che queste pur essendo ancora parziali e incoerenti, sono quelle che acquisiscono peso determinante nell’orientamento propositivo dell’O, mentre al contrario le espressioni di soggettivismo, pur nella loro argomentazione recente con l’impianto linearista, non potendo più essere trasferite nella pratica rivoluzionaria, restano un residuo ininfluente rispetto alle dinamiche del Rientramento. Del resto non c’è da meravigliarsi della loro persistenza teorica del materiale d’O, in quanto erano penetrate profondamente nel suo impianto durante la fase di sviluppo quantitativo della LA. In ultima analisi la dicotomia che caratterizza il documento riflette le leggi della dialettica che pure vivono nella materia sociale, nel senso che le risultanze che effettivamente rispondono alle necessità dello scontro, anche se ancora poco sviluppate, sono quelle che affermeranno (“il nuovo che avanza”) e avranno un ruolo positivo negli sviluppi futuri, soppiantando le reminiscenze della vecchia visione inadeguata. E ciò perché in queste risultanze si riflette come l’O ha affrontato i nodi teorici principali su cui poggiava la natura profondamente idealista del soggettivismo, e cioè le “basi rosse” e la “guerra totale sociale”. Un affrontamento complessivo reso possibile anche perché nello scontro queste tesi avevano dimostrato tutti i limiti di praticabilità, che ha smantellato sul piano pratico, teorico, ideologico i nessi su cui poggia la visione di sviluppo lineare della guerra di classe, nel ribadire che nella metropoli non è Dato un dualismo di potere e che la forza che acquisisce la guerriglia non può essere mantenuta in zone liberate, con ciò inficiando la visione di espansione territoriale da manuale della guerriglia del processo rivoluzionario, e nel riaffermare in pieno la “sfera del politico” in contrapposizione allo sviluppo dei rapporti di potere nel sociale. In conclusione, dell’affrontamento di questi nodi si ridà il suo posto alla politica rivoluzionaria e con essa al ruolo dell’avanguardia, ma soprattutto si riafferma che nella metropoli l’attività rivoluzionaria è finalizzata al conseguimento di rapporti di forza che devono pesare sul piano dei rapporti generali tra le classi e non in usufrutto immediato, ovvero in una traduzione estensiva di esse.
Se la «Sintesi» incarna, pur nella sua ambivalenza, il momento più alto del dibattito sviluppato dall’O dall’apertura della RS, nel quale dato essenziale è la capacità di recupero del suo ruolo di direzione e di d’indicazione pratico-teorica, l’attività complessiva d’O dentro alla precisa tappa della RS, si qualifica in primo luogo per essere un momento di passaggio tra l’ultima fase della battaglia al soggettivismo d’O e al soggettivismo idealista, e l’innesto dei primi elementi propri al processo di critica-autocritica-trasformazione. Dal punto di vista reale dell’O sulla linea della rivoluzione, ovvero dentro la Difensiva Strategica, la scelta del ripiegamento, con tutta la conseguente disposizione che ha comportato, ha messo l’O nelle condizioni di poter affrontare secondo la coscienza che di volta in volta ne aveva, le problematiche sollevate dal mutamento dello scontro, una scelta che oggettivamente prima ancora che oggettivamente, cioè più per condotta che per coscienza ha riportato l’agire dell’O all’interno del quadro strategico della Difensiva, ovvero l’ha fatta aderire in modo adeguato a partire dalle condizioni poste dallo scontro rivoluzionario, sulla linea della Rivoluzione, in quanto di per sé la posizione ripiegata, di contro alla controffensiva e ai mutamenti intervenuti, ha obbligato l’O a misurarsi nel modo dovuto, che ha consentito di tracciare sul piano politico le caratteristiche di una fase rivoluzionaria che non era stata preventivata nella visione che aveva l’O dello sviluppo in due grandi fasi della Rivoluzione, ma l’O, in forza della proprietà che aveva delle leggi generali della guerra, ha saputo adattarle allo sviluppo originale del nostro processo rivoluzionario, aprendo la RS, arricchendo in questo modo le conoscenze dello sviluppo della guerra di classe nelle metropoli. In altri termini la RS, mutuata dalle leggi della guerra di popolo in cui ha un’accezione puramente militare, calata dentro la guerra di classe, ne è stata immediatamente informata dai suoi caratteri fortemente politici. È quindi una scelta politico-militare in grado di imprimere una direzione di lungo termine al processo rivoluzionario, esplicitando però fin da subito il suo valore politico. E questo perché la posizione di ripiegamento fin da subito non solo consente di salvaguardare le forze dal dissanguamento del nemico, ma poiché essa è una scelta data dalla coscienza di non essere adeguati, obbliga l’O a rivedere criticamente la politica rivoluzionaria in rapporto alle problematiche concrete che ha di fronte e alla chiarezza che ne deriva dei compiti rivoluzionari.
È la posizione di ripiegamento, in sintesi, che le consentirà di maturare i processi di adeguamento di se stessa e dell’agire rivoluzionario, avanzando, tappa dopo tappa, sulla linea della rivoluzione, costruendo in questo modo materialmente le caratteristiche storicamente definite dalla RS, tappe che sono essenzialmente risoluzione politica delle problematiche immesse dalle deviazioni, processo politico che porta con sé il corollario della disposizione politico-militare adeguata allo scontro, in una dinamica che prima di essere soggettiva vive nella pratica, che diviene coscienza complessiva –in grado cioè di ricomporre tutti i suoi nessi- nel momento in cui l’O ha operato i salti politici.
Quello che l’attività storica ha dimostrato è che in virtù della valenza immanente delle leggi della RS, per come l’O se le è assunte nel concreto della pratica rivoluzionaria, ovvero a partire dalla coscienza che ha del suo ruolo storico, questa scelta ha consentito di mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria anche nei momenti più duri e di disorientamento politico, e ciò sulla base dell’affrontamento propositivo dei nodi politici e della conseguente precisazione della dialettica di sviluppo del processo rivoluzionario, ha dato concretezza alla continuazione del processo rivoluzionario. Ugualmente l’attività storica dimostra come nelle fasi di ritirata si esprimano al massimo grado le leggi della non linearità, infatti anche questa prima tappa dell’83 che doveva concludere il passaggio dove si è consumata la battaglia politica al soggettivismo, invece di aprire linearmente uno sviluppo in avanti, si è evoluta contraddittoriamente dentro ad una crisi politica di natura liquidazionista, quindi d’esistenza, a causa di contraddizioni generate dalle dinamiche di sconfitta, che penetreranno nell’O avvalendosi della precedente battaglia politica.
La ripresa del combattimento ad un anno e mezzo da Dozier con l’iniziativa Giugni per l’O rappresenta un primo momento di verifica rispetto alla capacità di rilanciare la proposta rivoluzionaria. Quello che è evidente è come in questa azione si riflette i riposizionamento maturato dall’O nello scontro grazie al processo di ricentramento messo in atto dall’apertura della RS. Un riposizionamento da cui l’O matura le chiarificazioni essenziali che contribuiranno alla sua evoluzione politica, chiarificazioni che hanno nella riaffermazione della dominanza del politico il punto forte del ricentramento teorico dal quale non le deriva solo la rimessa al centro del ruolo dello Stato come nemico principale e il ruolo dell’avanguardia rivoluzionaria e della politica rivoluzionaria, ma più in generale la capacità di leggere ogni aspetto dello scontro all’interno delle relazioni politiche, sbarazzandosi degli ultimi residui della sua visione idealista e soggettivista in chiave sociale. Conseguentemente, nella lettura delle condizioni dello scontro e dello stato del movimento di classe, l’O si disfa completamente del vecchio schema meccanico crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione e dalla non ricuperabilità dell’antagonismo politico, cosa che le consente di ricalibrare subito le proprie valutazioni riconducendole al quadro della situazione reale. Un avanzamento politico, quello dell’O, figlio in primo luogo del suo misurarsi con una situazione in evoluzione nel paese, che vedeva la BI riprendere l’iniziativa per capitalizzare in termini politici i risultati della controrivoluzione nei rapporti di forza con la classe. Un avanzamento che segna un passaggio di qualità rispetto al passato, proprio per penetrare le caratteristiche politiche dello scontro, che le consente di qualificare natura e portato dei cambiamenti in atto nel paese con il massimo della chiarezza di come questi si dipanavano a partire dallo stato in cui versavano i rapporti tra le classi, potendo meglio, valutare le condizioni del movimento rivoluzionario e di classe.
Solo oggi con quest’azione l’O prende coscienza con lucidità di cosa ha comportato la controrivoluzione scatenata nell’82 in termini di modifica dei rapporti di forza tra le classi, e sulla base di questa coscienza è decisa a far pesare gli interessi del proletariato per modificare i rapporti di forza, ed è grazie alle chiarificazioni del processo autocritico che è in grado di intervenire al punto più alto dello scontro nel cuore della contraddizione principale tra classe e Stato, attaccando l’esordiente “Patto Sociale”. Questo, mentre la classe reagisce a questo attacco con mobilitazioni sostanzialmente di carattere difensivo, in un momento in cui prosperano nella sinistra di classe letture inadeguate a coglierne il portato. In questo quadro l’O è l’unica che è in grado di cogliere interamente la sostanza del progetto della borghesia e di svolgere in quel momento cruciale quel ruolo d’avanguardia indispensabile alla tenuta del campo proletario. L’O vede come l’esordio del “Patto Sociale” sia reso possibile dal livello raggiunto dalla ridefinizione dello Stato, perché è al suo interno che l’Esecutivo funzionalizza partiti e sindacati al suo progetto, calato dentro alla situazione di scontro in cui la BI e lo Stato intendono stabilizzare la modifica dei rapporti di forza determinata dalla controrivoluzione, sospingendo indietro le posizioni di classe, che si colloca come strumento di normalizzazione dell’autonomia politica di classe e di pacificazione rispetto alla proposta rivoluzionaria. E poiché la classe operaia è l’oggetto principale della normalizzazione, l’attacco che deriva da questo progetto non può che partire dal piano capitale/lavoro, dove il patto ha la funzione di compatibilizzare l’antagonismo di classe nel modello di relazioni neocorporative.
In questo senso l’esordio del Patto in Italia segna un salto sul piano della contrattazione che, nella sua verticalizzazione, viene politicizzata, sterilizzandola al conflitto che si produce nelle fabbriche e nelle piazze. Una sterilizzazione funzionale ad imporre le ristrutturazioni e le più generali scelte di decurtazione delle conquiste sociali. Un modello di relazioni che per la sua natura tende a rendere ininfluente e a sospingere indietro il ruolo della classe. A gestire questo modello di relazioni non possono che essere i sindacati ed il PCI, tramite la proposta riformista dell’interclassismo, che non a caso esordisce nel quadro politico craxiano. L’O, dentro questa lettura, si pone il compito sia di disarticolare questo progetto che di svelarne alla classe la natura, e soprattutto il ruolo che in esso svolgono i revisionisti, registrandone la difficoltà a gestirlo, stretti come sono tra l’antagonismo di classe e l’essere garanti delle scelte della BI, in altri termini per l’O si tratta di rompere queste gabbie revisioniste per “liberare” l’autonomia di classe e ricondurre lo scontro sul terreno rivoluzionario. In sintesi l’O indica chiaramente che la situazione dello scontro va ricondotta sul terreno risolutivo adeguato al tipo di attacco e di modifica dei rapporti generali di classe avvenuti. In quest’ottica il discorso propositivo è teso a mettere in luce come sia perdente restare ancorati alla difesa di condizioni ormai indifendibili, perché legate al quadro di scontro precedente. Per l’O non si tratta di disperdere le forze lottando su questo o quel terreno attaccato dalla BI, perché a livello d’approfondimento verificatosi nello scontro significherebbe rincorrere obiettivi perdenti, una valutazione questa che l’O contrappone anche alle posizioni della sinistra di classe presenti in quel momento che riproponevano i terreni d’intervento del passato, perciò inadeguati. Al contrario si trattava di riuscire a pesare sul piano politico, contrapponendosi ai nodi generali dello scontro, come solo modo di modificare i rapporti di forza. Piano politico sul quale il PM può tornare a pesare solo rapportandosi all’attività dell’avanguardia rivoluzionaria ed è solo intorno a questa dialettica che l’autonomia di classe può trovare la sua ridefinizione in avanti.
In conclusione, con l’iniziativa Giugni si può constatare l’ampiezza dell’avanzamento politico compiuto dall’O da Dozier. In questa iniziativa è racchiuso il concentrato delle acquisizioni che lo scontro ha obbligato l’O a trarre, nell’aver saputo misurarsi con il nemico di classe proprio nel momento in cui questo sta evolvendo nelle sue forme di dominio, cosciente degli approfondimenti che su questo piano si verificano nel rapporto di scontro, e lo fa affrontando al punto più alto lo scontro politico tra le classi, cosciente di come in quel momento il suo ruolo d’avanguardia investisse un’importanza doppiamente decisiva, sia perché l’attività rivoluzionaria dell’O è stata l’unico reale elemento di contrasto ai progetti della BI, e di conseguenza ha contribuito alla tenuta delle posizioni del campo proletario e, a partire da questo, sia perché Giugni costituisce un passaggio importante nel mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria, avendo tutte le caratteristiche per essere il primo momento di rilancio. E ciò perché ben oltre alla mera ripresa del combattimento, nell’iniziativa G erano contenuti gli elementi di ridefinizione progettuale d’O, sia come portato immediato che come prospettiva di rilancio. Ed è nell’aver saputo ridefinire la sua capacità d’intervento rivoluzionario all’interno di quelle dure condizioni dello scontro che l’O ha potuto riacquistare tutta l’autorevolezza propria del suo ruolo storico.
Un rilancio che è evidente anche nel come analizza il terreno internazionale e la tendenza alla guerra, ricalibrati e portati su un piano realistico, anche qui grazie all’essersi disfatta dell’economicismo soggettivista mettendo al centro la “politica”. In questo senso la crisi internazionale è valutata all’interno delle spinte per modificare gli equilibri tra Est ed Ovest come il piano sul quale in quel momento marciava la tendenza alla guerra alimentata dall’acuirsi della crisi economica, pur se per i compagni rimane il limite di essere vista come crisi di sovrapproduzione che ha consumato tutte le controtendenze, spingendo alla ridefinizione delle sfere di influenza dentro la corsa al riarmo da parte di entrambi i blocchi. Anche l’analisi del blocco imperialista risente in positivo dei ricentramenti cogliendo il grado di contraddittorietà esistente nel blocco stesso, come carattere ineliminabile, di conseguenza come la tendenza alla guerra e l’immanenza dell’interesse generale del blocco richiedono processi di coesione politica per far fronte alla crisi e, in ultima analisi, andare al confronto col blocco avverso. La maggiore chiarezza sui movimenti dell’imperialismo consente anche di inquadrare correttamente il nodo dell’Italia nel quadro delle relazioni imperialiste, che la obbliga ad accelerare tutti i processi di ristrutturazione per stare al passo con le politiche necessarie alla frazione dominante di BI, indispensabili nel competere nel mercato mondiale dovendo fare i conti con le specificità relative non solo ai ritardi strutturali, ma soprattutto alla maturità dello scontro di classe e all’esistenza del processo rivoluzionario, fatti questi che rimarcano il suo essere anello debole della catena.
Da questa capacità di rimettere le cose con i piedi per terra nella conquistata visione materialista, ne deriva una coscienza profonda di tutti i termini della realtà non solo relativi a come va a configurarsi il rapporto con il nemico di classe, ma soprattutto coscienza delle effettive condizioni rivoluzionarie e di classe, fino a qualche mese prima influenzate da quell’idealismo soggettivista che faceva da schermo alla presa d’atto di quale era il vero stato del movimento rivoluzionario e di classe, ovvero prende coscienza che il movimento rivoluzionario è passato dal rivoluzionarismo estremo all’arretramento difensivistico e che le posizioni di classe sono state sospinte indietro dall’offensiva della BI e dello Stato. Un quadro nel quale ciò che più pesa sulle spalle dell’O è il come è uscita ridimensionata dallo scontro rivoluzionario, avvertendo in maniera acuta sulla sua pelle gli effetti del rovescio militare e della sconfitta politica causata dai suoi errori. Maggiore è la coscienza dell’O dello stato reale dei rapporti di classe e della sua propria debolezza a fronte della riconquistata iniziativa politica dello Stato e delle forme dell’attacco tese a liquidare la strategia della LA, maggiore è la permeabilità ai meccanismi di demoralizzazione delle forze e introiettazione della logica difensivistica e di sconfitta. Demoralizzazione delle forze che fa vivere la sconfitta ed il suo ridimensionamento come una sorta di isolamento politico e questo sentire è tradotto politicamente nella problematica dell’essere staccata dalle masse, dall’essere stata staccata dalle masse. Da questa problematica che diventa pervasiva come sintomo della logica della sconfitta ne scaturisce come risposta la ricerca d’una attività d’avanguardia tesa ad attrarre “milioni di proletari”.
In ultima analisi, le inadeguatezze vengono ricondotte a tutto ciò che l’avrebbe allontanata dalle masse. Se questa è la dinamica nuova, figlia degli effetti della sconfitta, e in quanto tale interna alle leggi inaggirabili della guerra, la forma della contraddizione politica che andrà ad alimentare, sarà veicolata dalle tematiche proprie della battaglia politica al soggettivismo d’O, e ciò perché la coscienza che l’O ne ha è limitata a questo tipo d’errori. In questo nuovo quadro, però, la critica al soggettivismo idealista perdeva via le connotazioni complesse che aveva avuto fino a pochi mesi prima, per deformarsi, appiattendosi su un unico nodo, quello dell’errore di dialettica Partito/masse, che finisce con l’assurgere ad errore per eccellenza, al quale si imputa il fatto di non aver realizzato il passaggio di fase. Questo filo a piombo a cui viene piegatala critica al soggettivismo, finisce con lo stravolgere la giusta critica relativa all’aver interpretato come fase offensiva l’offensiva della guerriglia, per farla diventare mera critica al combattimento, quale terreno di dialettica identificato quale sola indicazione organizzativa per le masse. Per la prima volta emerge in modo esplicito la negazione di quello che nella guerra di classe è la dialettica con la classe, ovvero la sua organizzazione in forme e modi specifici alla fase sulla LA, nel senso che per la prima volta ci si richiama ad una non bene identificata “politica rivoluzionaria” definita appositamente per dialettizzarsi con i milioni di proletari e in cui la strategia della LA sarebbe l’aspetto più avanzato. Ovvero, a partire dall’analisi dell’attività generale delle masse, l’avanguardia si pone come quella tesa a riunificare e generalizzare i contenuti e le forme di lotta più avanzate che essa esprime. Una accezione che mortifica a codismo il ruolo dell’avanguardia privandolo del riferimento rivoluzionario adeguato.
Se questa è l’indicazione nel rapportarsi con le masse, l’attività di combattimento è terreno di proposta solo per le avanguardie. Uno sbocco questo che nei fatti separa l’unità del politico e del militare, l’avanguardia della classe, e introduce la dissoluzione della proposta strategica in cui la LA diviene nei fatti il sostegno all’attività di massa. Paradossalmente l’O passa dal fallimento del SPPA secondo la logica dei PI, che presupponeva la classe organizzata sulla LA, alla negazione totale di questo presupposto: o le masse sono conquistabili sulla LA a milioni o non è dialettica! Conseguentemente, una siffatta conquista a “milioni” non può che spostarsi nel tempo, cioè quando le condizioni di coscienza saranno evolute e i rapporti di forza adeguati. Da qui la tentazione di una attività di direzione solo politica di orientamento di quello che già esprimono i proletari, di fatto riscoprendo il lavoro politico come cosa separata da quello militare.
Il fatto che l’O, malgrado i notevoli avanzamenti registrati dal ricentramento stia inconsapevolmente scivolando nella morsa dei meccanismi difensivistici propri alla logica della sconfitta, è un fatto che va considerato come quasi inevitabile, stante la giovinezza e l’inesperienza che ne deriva sul piano della coscienza relativa alle dinamiche e leggi della guerra di classe. Tuttavia ciò non ci impedisce di valutare come l’iniziativa Giugni si collochi sulla linea della rivoluzione e nella fattispecie quale posto occupa nella fase di RS. Nel rilanciare l’iniziativa politico-militare, l’O evidenzia anche in questo caso i dinamismi a cui una forza rivoluzionaria risponde nell’affrontamento dello scontro, mettendo in luce interamente qual è la sua disposizione effettiva. In effetti il portato politico del rilancio è fortemente contraddittorio, a causa dell’influenza difensivistica si innesta uno stato politico in cui a partire dall’omissione dell’organizzazione delle masse sulla LA va a dissiparsi la complessità del dibattito sulle fasi rivoluzionarie, mentre, dall’altro, proprio perché si sta misurando con il nemico di classe al livello del suo progetto centrale, quindi sta combattendo al più alto livello della contraddizione classe/Stato, questo piano pratico promuove ala capacità di evolvere la sua disposizione rispetto all’approfondimento dello scontro sul piano della capacità di disarticolazione. Ovvero per avere il massimo risultato politico da utilizzare sul piano dei rapporti di forza, la disarticolazione deve rispondere già nei fatti a quei criteri di centralità, selezione e calibramento, un avanzamento che è il portato del venir meno della concezione di un potere “trattenuto” in forma estensiva, per diventare una pratica tesa a ricercare il massimo danno al nemico da tradurre sul piano politico, cosa che presuppone una disposizione delle forze di fatto già centralizzata intorno all’obiettivo politico perseguito. Esistono in questo senso tutte le premesse pratiche di quello che sarà razionalizzato politicamente più tardi: “colpire militarmente il progetto nemico per avere il massimo usufrutto”.


L’iniziativa Hunt stigmatizza il completo cambio di scenario nella gestione pubblica dell’attività dell’O. A dispetto dell’alta qualità dell’azione che ha disarticolato il progetto imperialista-sionista di normalizzazione dell’area mediorientale, e che in quanto tale ha avuto una grande risonanza col riconoscimento da parte delle forze rivoluzionarie antimperialiste, i contenuti che la veicolano si contrappongono come qualcosa di estraneo.
Anche solo considerando l’analisi della crisi internazionale in cui è calata l’azione, colpisce come non siano riconoscibili quei criteri con cui l’O ha sempre analizzato l’imperialismo, prevalendo nettamente una lettura regredita dei suoi passaggi storici. Il risultato è un’esposizione cronachistica e didattica appositamente formulata per una funzione di chiarificazione alle masse delle problematiche internazionali entro cui interagiscono le politiche dell’imperialismo, le quali sono in ultima analisi oggetto di denuncia in chiave democraticista (come dimostra lo spazio dedicato all’ONU. Del resto non potrebbe essere diversamente, perché questa esposizione risulta essere il logico corollario delle finalità perseguite dall’O, sintetizzabili in una attività rivoluzionaria di appoggio alla lotta di massa da orientare contro i processi di guerra imperialista palesati in quel momento dall’O.
In questa nuova versione dell’attività rivoluzionaria incarnata dall’iniziativa Hunt è vanificata tutta la ricchezza propositiva dell’impostazione antimperialista precedente e precisata con Dozier, soprattutto rispetto al FCA, ma meno che mai possono trovarsi cenni alla LA!
L’opuscolo n. 19 esplicita in forma compiuta il cambio di scenario già individuabile in Hunt: quello che ci interessa esaminare è il processo che consentirà l’insediarsi dentro l’O in forma dominante di un complesso di tesi assolutamente estranee alla storia, proposta e impianto d’O. Per capire il cambio di scenario va considerato lo stato di crisi politica organizzativa in cui versava l’O, in quanto fino a quel momento non aveva potuto dare risoluzione al complesso dei nodi emersi all’apertura della RS. Il rientramento parziale di alcuni aspetti, anche se fondamentali alla ripresa dell’iniziativa d’O non l’avevano risollevata dall’impasse in cui si trovava a causa della sconfitta. Un empasse su cui pesava la difficoltà di ridefinire le problematiche politiche, teoriche, d’impianto relative a quel passaggio cruciale della “Propaganda Armata” alla definizione della fase che la doveva sostituire, problematiche messe in crisi con la critica al soggettivismo, ma non rettificate nel loro complesso. Uno stato di incertezza che è debolezza politica alimentata dalla più generale situazione di arretramento e debolezza politica del movimento rivoluzionario e di classe quale fattore non indifferente rispetto a come la stessa O percepiva ala sconfitta e a come subiva le dinamiche di demoralizzazione delle forze. Ovvero, alle contraddizioni irrisolte si univa la pressione schiacciante del difensivismo che pervade inconsapevolmente l’O con tutto il suo portato di influenza negativa nella ricerca delle risoluzioni politiche da dare al rapporto Partito/masse. Contraddizioni come sappiamo già presenti con l’azione Giugni, tuttavia sarebbe sbagliato pensare che le tesi dogmatiche siano la loro evoluzione lineare, perché, pur presentando tratti simili entrambe riconducibili alla dinamica difensivistica, nel primo caso sono comunque suscettibili, per la loro natura, di essere corrette dalla prassi, quindi non destinate ad innescare nell’O un’elaborazione teorico-pratica in grado di portarle a quel livello di compiutezza espresso dalla concezione dogmatica.
In concreto, le tesi dogmatiche possono inserirsi nell’O sul terreno fertile dato dall’intreccio tra contraddizioni irrisolte e nuove contraddizioni, terreno galvanizzato dal contesto materiale dello scontro che determina quella condizione di debolezza dell’O sulla quale è possibile l’accettazione, in prima istanza acritica, di queste tesi, favorite anche da un altro fattore negativo, l’influenza dei prigionieri sull’O, che in quella fase assume particolari caratteristiche. Per capire ciò va considerato come i meccanismi di demoralizzazione delle forze e dell’interiorizzazione della sconfitta che si sviluppano in un arretramento politico di questa portata, hanno il loro riflesso preciso nella condizione politica della prigionia. Perché se nell’attività concreta questi meccanismi possono essere prima o poi capiti e governati o comunque contenuti dall’agire rivoluzionario, nella prigionia si sviluppano nella loro pura forma negativa, a causa delle condizioni obiettive di separatezza dall’attività concreta e per effetto della cattura e dello stato di prigionia. È in ragione di queste dinamiche, in quanto, una volta catturati, la percezione della sconfitta in carcere diviene assoluta, influenzando tutti i loro atti politici e la loro lettura della realtà dello scontro. In questo contesto si innescano dei processi di elaborazione politica caratterizzati dal loro svolgersi sul piano astratto della teoria, che per questo consumano rapidamente il passaggio dalla battaglia al soggettivismo idealista che viene esteriorizzato fino al punto di farlo combaciare con il presunto impianto guerrigliero dell’O. Queste conclusioni politiche che coinvolgevano una consistente parte dei militanti d’O arrestati in quel periodo, manifestavano al massimo grado l’interiorizzazione della sconfitta che a vari livelli imperversava nella prigionia in quel momento.
Nel contempo l’O a causa della sua condizione di debolezza che ne determinava un’incertezza politica, sentiva la necessità di avere il contributo dei militanti incarcerati, ed è in questo stretto rapporto che la produzione carceraria penetra ad ondate successive il dibattito interno all’O. Questo stato interno dell’O spiega come questo dibattito sia potuto penetrare senza troppe resistenze fino a dominare la sua proposta politica arrivando a mettere a repentaglio l’intera sua identità e l’impianto strategico originario. Che in larga misura si tratti di un dibattito preconfezionato e non un processo di elaborazione proprio dell’O è testimoniato da come si presenta nella sua forma pubblica il «19», un prodotto politico che introduce tesi radicalmente estranee a quelle dell’O, che si sostituiscono alla precedente impostazione senza che questo mutamento sia motivato, come un cambio di pagina che si sorregge a malapena con vistose lacune ed omissioni proprio nei punti cruciali che riguardano l’82, e più in generale salta agli occhi la totale assenza di riferimenti alla Strategia della Lotta Armata e a tutto ciò che ha a che fare con la guerra di classe, le fasi rivoluzionarie, ecc…
Questo quadro non sarebbe completo se non si considerasse lo stato di destrutturazione del corpo militante che ha senz’altro rallentato la presa di posizione critica verso queste tesi, perché in tal modo ha sfavorito nell’articolare la dialettica con la direzione, in un contesto in cui tutta la discussione era avocata dalla direzione e poi immessa nel resto dell’O. Questo stato spiega altresì come sia stato possibile che queste tesi prevalessero fino alla forma pubblica in quanto erano maggioritarie nella direzione ma non nell’O nel suo complesso. E quindi spiega perché, una volta organizzato lo schieramento, la messa al bando di queste tesi sia avvenuta con un’espulsione e non con una scissione.
Detto ciò, il dato politico principale è che queste tesi sono potute entrare nell’O, anche se per breve tempo, in rapporto alla sua debolezza politica, incarnandosi nei varchi lasciati aperti dalle problematiche del mancato passaggio di fase, irrisolto a causa della sconfitta. Più in particolare è come se la sconfitta avesse posto un’ipoteca negativa sulla ricca problematica propria all’impianto d’O della conquista delle masse sulla LA, divenendo un discorso irriproponibile in quanto tale e rovesciato nella sua natura come l’«errore» per antonomasia che ha il suo fulcro sul rapporto Partito/masse. Un rovesciamento che tutt’altro dall’essere un esame critico della problematica, è l’espressione massima del difensivismo penetrato nell’O, ed è per questo che le tesi dogmatiche sembrano dare una risposta alla problematica irrisolta. Ovvero tesi concepibili solo da una logica di sconfitta, come era quella dei prigionieri, in quanto tale una negazione dell’esperienza della Strategia della LA, potevano entrare in relazione nell’O perché questa logica della sconfitta non era che l’estremizzazione di uno stato difensivistico proprio anche all’O. A pochi mesi dal «19», grazie alla verifica pratica che rende evidente la totale illegittimità di questa tesi sul piano rivoluzionario e di classe, grazie anche a quanto pesa l’interezza della storia d’O sul corpo militante e nello scontro, tale da non consentire a lungo la cittadinanza di queste tesi, si formalizzerà nell’O il conflitto irricomponibile tra le 2 posizioni, che in breve arco


Sulla battaglia politica, quello che ci interessa rimarcare è come la difesa intransigente dell’impostazione strategica d’O presenta l’apparente contraddizione di essere lacunosa proprio nei suoi presupposti di fondo, e cioè l’organizzazione della classe sulla strategia della LA. Questo testimonia come l’O sia rimasta segnata dal fatto che un tentativo così complesso come quello di organizzare la classe sul terreno della LA che l’O aveva promosso e cercava di dirigere ed organizzare sia rimasto, a causa delle modalità assunte dallo scontro rivoluzione/controrivoluzione come “inficiato” nella sua possibilità di essere realizzato, perché è evidente che la controrivoluzione messa in campo dallo Stato e dalla borghesia ha assunto delle caratteristiche in rapporto proprio ad una situazione di guerra civile strisciante, nella quale veramente spezzoni di classe erano disponibili ad essere organizzati sulla LA, come effettivamente in parte lo erano in un quadro di scontro rivoluzionario e di classe in cui c’era un consenso rivoluzionario e di massa verso la progettualità delle BR. Quindi la risposta dello Stato è commisurata all’eventualità che si stava realizzando, di una classe armata dentro un progetto rivoluzionario definito nel suo percorso e finalizzato alla presa del potere, al di là dei limiti ideologici di soggettivismo che l’O aveva in sé, che però all’interno di un rapporto rivoluzione/controrivoluzione non costituivano i fattori scatenanti la controffensiva.
Il ridimensionamento derivato dalla controrivoluzione è erroneamente imputato a questo tentativo rivoluzionario in quanto tale, proprio perché su di esso ha agito l’impatto della controrivoluzione, e ciò al di là delle motivazioni date dall’O in quel momento. Questi sono i motivi per cui nell’opera di ricentramento dell’O, questo è l’ultimo nodo che potrà essere affrontato, rimanendo per lungo tempo omesso letteralmente dalle riflessioni e dai ricentramenti teorici e politici dell’O, tanto è vero che nei materiali preparatori della battaglia politica i contenuti relativi alla prospettiva di costruzione del processo rivoluzionario in relazione alla proposta alla classe, non si distinguono da quelli della “2° posizione”, per paradosso l’autoaccusa di aver scambiato le avanguardie con la classe a motivo della sconfitta, qui viene effettivamente assunta e praticata escludendo praticamente le masse dall’essere organizzate sulla LA (terreno questo riservato alle avanguardie e ai comunisti), e prospettando loro una dialettica basata sul fatidico “programma” che, in ultima analisi, lascia al mero lavoro politico il lavoro di massa.
La contraddizione si manifesta nell’omissione di un termine della dialettica distruzione/costruzione propria allo sviluppo della guerra di classe. Questa contraddizione da un significato limitante alla critica fatta in quel momento dall’O al gradualismo e alla linearità nella concezione del processo rivoluzionario, in quanto fatta ruotare sul discorso tabù dell’organizzazione delle masse sulla LA, divenendo sinonimo di contropotere territoriale, negando con questo che sia un problema costante della guerra di classe rimandato “sine die” nella sua solvibilità come nodo. La messa al centro che lo sviluppo del processo rivoluzionario non procede per accumulo graduale e progressivo, ma per salti e rotture, stante questo limite, non riceve la valorizzazione appropriata ad un avanzamento di questo genere, perché rimane privato dalla sua concretizzazione sul piano della guerra di classe. Ma soprattutto l’omissione del termine della costruzione si riflette in negativo sul principio della costruzione/fabbricazione del Partito derubricato ad una questione astrattamente leninista che, in ultima analisi, rimanda alla sua “costituzione”, al fatto che i comunisti sono d’accordo sulle tesi, e l’unità dei comunisti diverrebbe decisiva allo sbocco rivoluzionario, cioè la presa del potere. Una soluzione che si differenzia dalla “2° posizione” solo perché non è codista nella concezione d’avanguardia, ma che dimentica come la direzione di una guerra di classe richiede lo sviluppo di dirigenti adeguati che solo la maturazione della guerra di classe e la sua precisazione programmatica può produrre, fino ad allora la condizione di Forza Rivoluzionaria rimane quella più corrispondente come capacità di direzione dello scontro al livello di sviluppo reale del processo rivoluzionario.

Trascorrono alcuni mesi dall’ espulsione della “seconda posizione” e l’uscita pubblica dell’O. Mesi cruciali e fondamentali a preparare sul terreno teorico-politico il rilancio dell’iniziativa recuperando tutti i caratteri distintivi dell’agire rivoluzionario d’O. che partono dall’azione combattente. L’unicità pubblica dell’O. con l’opuscolo 20 e Tarantelli porta con se una riqualificazione dell’impianto e della coscienza che ha l’O. dello scontro, coscienza forgiata da questa battaglia e dal misurarsi con le problematiche del rilancio dell’iniziativa combattente. In questo senso è evidente che tra l’iniziativa G e T non c’è mera progressione in avanti, ma vero e proprio atto di maturazione passato attraverso l’affrontamento e risoluzione della contraddizione e più in generale del risollevamento dalle crisi politiche. Un salto che ridetermina la collocazione e il prestigio dell’O sia rispetto al movimento di classe, sia nella sua capacità di confrontarsi col nemico.
Nell’aver affrontato e risolto una battaglia che sostanzialmente era un tentativo di liquidazione della LA, si sono attinte tutte le risorse dei militanti che ne avevano consapevolezza, obbligandoli a mettere al meglio l’impostazione politica strategica ed ideologica di riferimento, attingendo dallo spessore politico prodotto dall’attività dell’O. Ovvero, se questa battaglia è stata obiettivamente di difesa ed anzi di retroguardia, rispetto all’attacco alle concezioni strategiche dell’O, il poterle sostenere ha obbligato i militanti d’O a far compiere uno strappo in avanti alle chiarificazioni del processo autocritico, nel senso che tutti i parziali aspetti di chiarificazione ricevevano un impulso tale da ricomporre in una visione organica i principali nodi alla base delle motivazioni che rendono necessaria la strategia della LA, riqualificando l’impianto originario dell’O in termini di maggiore scientificità. Per tutte queste ragioni, l’iniziativa T e l’Opuscolo 20 configurano il primo vero momento ricompositivo dopo Dozier, rispetto al movimento rivoluzionario e di classe perché l’O con la gestione di questo passaggio politico esprime la capacità di assumersi i reali processi politici che si sono determinati nello scontro dall’apertura della RS potendo dare valutazioni, indicazioni chiare ed inequivoche in grado di riassestare l’indirizzo che deve percorrere il processo rivoluzionario, sul quale convogliare tutte le energie proletarie e rivoluzionarie presenti nello scontro, sapendoli effettivamente dirigere in rapporto al suo approfondimento.
Per questo nell’ambito di riferimento delle avanguardie rivoluzionarie e di classe queste indicazioni segnano un punto di non ritorno e un approdo qualificante da cui non è possibile prescindere. Questo dato politico qualitativo è ravvisabile immediatamente da come l’O ora è in grado di collocare la sconfitta, sapendo analizzare criticamente la natura della controffensiva antiproletaria e controrivoluzionaria degli anni ’80 all’interno delle dinamiche generarli e particolari che l’hanno promossa, nella coscienza che l’origine della controffensiva risiedeva principalmente nei movimenti che a livello generale presentava la crisi dell’imperialismo, che motivavano le esigenze impellenti della BI, dinamica che avrebbe portato la borghesia comunque a stringere i conti col proletariato e la sua avanguardia rivoluzionaria.
Un dato di sostanza politica questo, che fa testo del grado di maturità dell’O nel riesaminare col giusto equilibrio il rapporto tra le proprie deficienze e il movimento complessivo dei fattori in campo, liberandosi finalmente dal peso della ricerca ossessiva degli errori che tanto ha contribuito a condurla nel vicolo cieco delle concezioni dogmatiche. Questo primo passo che la riporta ad un giusto rapporto rispetto al ridimensionamento subito, è la premessa per uscire dal difensivismo, governandone i condizionamenti. L’altro importante dato qualitativo sta nel bilancio contenuto nel «20»: bilancio certamente dovuto, ma che l’O è in grado di tracciare dalla posizione politica che ha acquisito con la risoluzione di questa crisi, usufruendo quindi nelle valutazioni di questa maturità politica che le consente di tracciare tutto il percorso svolto dall’O fino all’affrontamento della contraddizione liquidazionista, non solo in funzione di ristabilire la verità storico-politica messa in discussione da questo attacco, ma di precisarla, facendo spiccare il movimento reale che l’O ha impresso al processo rivoluzionario in tutta la sua dialettica e materialità. Solo l’O può isolare l’effettivo portato del soggettivismo e le ragioni che lo hanno alimentato, riconducibili alla crescita sul territorio nazionale della LA e alla giovane esperienza sull’incanalamento di questo processo. Solo ora, cioè si può finalmente affermare che l’empasse su cui si è arenato il processo rivoluzionario è stata quella di non aver saputo, a conclusione della Fase di PA, definire le tappe e la tattica necessarie per il raggiungimento del primo obiettivo: la conquista del potere, una questione di non poco conto, considerato che questo era il nodo flagrante della sua inadeguatezza.
Per l’O aver individuato questo fattore di inadeguatezza, unitamente alla concezione lineare e progressiva del processo rivoluzionario che ne è alla base, pur non essendo in grado in quel momento di dargli soluzione, l’averlo individuato costituisce il prerequisito per il suo affrontamento cosciente quando matureranno le necessarie condizioni. E questo perché nel quadro di quel bilancio non erano presenti le condizioni oggettive e soggettive per la comprensione della problematica, cosa che avrebbe richiesto una critica più approfondita sulle implicazioni in negativo della visione lineare del processo rivoluzionario. Infatti la semplice individuazione dell’errore di definizione della tappa è pur sempre calata in una visione di risoluzione ravvicinata della presa del potere, il cui nodo era visto dall’O nel salto al Partito, da compiere correttamente rispetto al rapporto Partito/masse. Una visione cioè che lasciava fuori il richiamarsi alle fasi rivoluzionarie e al loro succedersi dentro al grado di approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, cosa che avrebbe dato i termini concreti per valutare in quale tappa si trovava il processo rivoluzionario, o meglio quale fase andava a definita in rapporto al suo effettivo quadro strategico.
Un tipo di valutazione che in quel momento non era alla portata dell’O anche perché avrebbe richiesto di assumere la guerra di classe come il modo di esistere in ogni fase, pur in forma diversa, del processo rivoluzionario, visto il suo svolgersi discontinuo. Una discontinuità dentro la quale solo può trovare spessore il giusto concetto dello svolgersi del processo rivoluzionario per salti e rotture. Sulla base dell’evoluzione politica raggiunta, l’O può affrontare in termini complessivi i nodi su cui aveva perso di sostanza: Stato, Partito, classe, e i più generali criteri di analisi storico-politica, relativi all’imperialismo ed alla crisi. Un affrontamento che si avvale dei risvolti già sedimentati in termini di classificazione nella battaglia al soggettivismo, ma che aveva i suoi contenuti teorici rispetto alla necessità di argomentare la relazione che esiste tra i caratteri di questi nodi e l’adeguamento del processo rivoluzionario, nel senso che le caratteristiche dell’imperialismo, della crisi e soprattutto dello Stato, del Partito, hanno un intimo legame con la legittimazione della Strategia della LA, la cui esistenza è giustificata storicamente in primo luogo dal suo essere adeguata a confrontarsi con le forme di dominio dello Stato. In questo senso, viene anche ricollocato nel suo più giusto significato il ruolo della guerriglia rispetto al revisionismo storico che va rapportato ad un preciso piano politico (quello di battaglia dentro al movimento di classe), sgombrando il campo dalla mistificante motivazione che l’antirevisionismo sia a fondamento dell’esordio della LA.
Stabilire i nessi delle ragioni strutturali su cui, in ultima analisi, poggia la rottura operata dalla LA, risponde più in generale all’esigenza politica di portare a fondo la battaglia contro le tesi dogmatiche consapevole che, sebbene l’O le avesse espulse, queste nella condizione di arretramento delle posizioni rivoluzionarie e di classe avevano trovato una certa diffusione, rispetto alla quale non sono stati indifferenti la diffusione del «19» e del volantino Hunt. Proprio per confutare il riemergere di concezioni inadeguate ed arretrate, come lo Stato-nazione (con una lettura retrodatata dell’analisi di classe, fino alla riproposizione delle alleanze interclassiste), l’imperialismo riportato all’epoca di Lenin, i blocchi basati su motivazioni ideologiche, l’internazionalismo ridotto al solidarismo, ecc…, l’O recupera tutto quello che è il patrimonio sedimentato nel corso del processo rivoluzionario a livello degli architravi analitici, cioè FES, affermazione del capitale monopolistico-multinazionale, Stato imperialista, ecc…e, privato delle sue venature idealistiche, lo porta ad una più alta maturazione. Questo processo di evoluzione politica consolida l’impostazione dell’impianto politico-strategico dell’O che ha come corollario la difesa estrema dei concetti strategici della guerra di classe, dell’unità del politico e del militare, dei criteri di disarticolazione che, in quanto tali, salvaguardano l’impianto fondamentale nella sua integrità. Se indubbiamente il «20» riflette uno stato politico diverso dal momento della battaglia politica, in cui il nuovo livello di unità raggiunta materializza la maturazione politica avvenuta, ciò nonostante si ritrovano insoluti quegli stessi nodi che nella battaglia politica non erano stati superati, e si presentano nel quadro di riaffermazione dell’impianto strategico, come elementi di contraddizione. A fronte della riaffermazione sul piano generale della guerra di classe prolungata, vi è l’assenza su come essa possa vivere fino alla conquista del potere; a fronte dell’approfondimento del principio di disarticolazione, vi è l’assenza di riferimenti alla costruzione; la questione del Partito è censurata dal principio di costruzione, in ultima analisi l’indicazione pratica della proposta rivoluzionaria è soggetta a questo tipo di contraddizione che, se dovesse essere presa alla lettera, porterebbe a concludere che l’O propone la LA delle avanguardie e la relazione con la classe mediante il programma, non differenziandosi sostanzialmente dalla pratica proposta dalla 2° posizione!
Nonostante questa apparenza questi elementi di contraddizione non sono l’indice di una permanenza di residui dogmatici, più precisamente la contraddittorietà va ricondotta alla non risoluzione dei nodi rimasti aperti dall’82 con la sconfitta, ovvero quelli relativi al cambio di fase ed alla tattica conseguente da definire. Nodi che però l’O nel corso dell’elaborazione politica avvenuta in quegli anni è riuscita ad identificare sul loro piano generale, ma che in mancanza dello sviluppo di esperienza che le consenta di acquisire gli elementi per padroneggiarli, restano enunciazioni prive di consequenzialità politica. Inoltre, l’indefinitezza con cui l’O esprime le modalità entro cui deve svilupparsi il rapporto con la classe sul terreno della LA, pur avendo come conseguenza quella di privare la disarticolazione dell’elemento dialettico della costruzione, non costituisce il substrato di una contraddizione tesa a delimitare lo sviluppo della guerra di classe solo nello scontro tra guerriglia e Stato, piuttosto manifesta il massimo della coscienza sulla problematicità di questo nodo su cui grava l’ipoteca degli errori del passato, quando l’O si è trovata a mettere in pratica un processo complesso come quello di organizzare le masse sulla LA. Un passaggio estremamente importante della guerra di classe che si è inceppato sulle inadeguatezze presenti nell’O in quel periodo, ma che ha segnato comunque il precedente più significativo nell’esperienza della guerriglia in Europa. Un precedente da cui l’O ha tratto insegnamenti divenuti patrimonio generale per qualsiasi guerriglia nella metropoli, sia come leggi della guerra (guerra senza fronti, soggetta all’accerchiamento strategico, e che la forza acquisita deve riversarsi sui rapporti di forza generali tra le classi, ecc…) sia sul piano dell’impostazione marxista-leninista per cui questa forza acquisita non può essere dirottata dentro a rapporti di potere nel sociale a fini economicistici o nella concezione di contropotere.
Tutti insegnamenti su cui l’O si arrocca e che, pur non potendo andare oltre, le consentono quanto meno di assumere l’impostazione corretta su come potranno essere affrontati, un arroccamento che però ha anche un effetto paralizzante per tutti quegli aspetti che riguardano il come l’O si rapporta alla classe nonostante il consolidato criterio che il ruolo di direzione dello scontro comprende le indicazioni su come organizzare gli spezzoni di classe che si muovono contro lo Stato ovvero dirigere ed organizzare la guerra di classe) e che si risolve nel fatto che l’O si attiene alle sole indicazioni di carattere politico generale che come tali sono prive in quel momento di significato pratico. In conclusione questa è l’attestazione politica raggiunta dall’O su questo problema in quel momento e, d’altra parte, considerando il grado di evoluzione del processo rivoluzionario fino allora, non pensabile che potesse sviluppare risoluzioni di altro tipo, in quanto in quel contesto di scontro la questione fondamentale assolta oggettivamente dall’O è stata di mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria a partire dalla capacità dell’O di esistere politicamente, questo come risultato obiettivo che configura il tragitto reale compiuto dall’O dentro le caratteristiche della RS. Un elemento di tenuta che, nella difensiva strategica, costituisce fondamento dei processi di ricostruzione e rilancio, proprio perché qui per tenuta non si intende mera resistenza ma capacità di riaffermazione della propria proposta e del proprio impianto, che è tale perché riadeguati all’interno di un processo che, dagli accumuli quantitativi, ha maturato un salto di qualità, dando risoluzione alla maggior parte dei problemi presenti al momento della rottura della RS.
Per tutto ciò, le contraddizioni residue nel «20» e i necessari processi di riassestamento presenti nell’O costituiscono problemi di ordine secondario, in quanto suscettibili di essere rettificati nel corso del processo di riadeguamento, pur nella sua inevitabile discontinuità e problematicità, e questo perché a monte sono solidi i riferimenti necessari a livello di impianto strategico che consentono di procedere verso lo sviluppo delle condizioni politiche, pratiche, teoriche del rilancio del processo rivoluzionario. Rilancio che per l’O vive strettamente in rapporto alla sua dinamica materiale data dallo sviluppo delle condizioni del movimento di classe, delle politiche dello Stato e della condizione delle avanguardie, ed è in rapporto a questa dinamica che ha senso per l’O parlare di critica-auocritica-trasformazione.

Le caratteristiche che manifesta l’iniziativa politico-militare C. segnalano un tipo di problematica le cui avvisaglie si erano già riscontrate nel periodo della battaglia politica con la 2° posizione (difficoltà nei tempi di schieramento) e nelle circostanze che hanno portato al fallito esproprio. Ancora una volta all’interno del processo di evoluzione politco-generale dell’O convive un movimento negativo riconducibile in questo caso alle dinamiche di esistenza di una F.R. dentro la ritirata. In questo caso il movimento negativo è rappresentato in primo luogo nell’impoverimento del corpo militante e della sua disattivazione dai meccanismi propri di funzionamento politico-organizzatibvo. Una problematica che ha la sua origine nelle modifiche al modulo che l’O ha dovuto fare con l’82 i cui effetti negativi si sono potuti produrre solo a distanza di tempo. In questo senso, malgrado tutta l’O si fosse attivizzata nello schieramento contro la 2° posizione e malgrado le altre risultanze politiche del «20», il corpo militante era impoverito dalle risorse per andare oltre all’attestazione su queste risultanze, in quanto lo stesso fatto che fosse passata nell’O una contraddizione liquidazionista, indice delle debolezze in cui versava, ha lasciato le forze militanti politicamente provate, impossibilitate a usufruire delle risorse politiche che l’O ufficialmente aveva espresso, paralizzate com’erano dalla disattivazione in cui l’O versava. Per questo questa specifica problematica presenta il suo conto a ridosso della battaglia politica, portando anche i segni del fallito esproprio.
Lo stato di indebolimento politico-organizzativo delle forze militanti era quanto di più permeabile a risentire delle forme di difensivismo proprie di quel momento di scontro, che si riflettevano in una logica di tenuta e di difesa strema della condizione organizzativa dell’O dai pericoli di ulteriori ridimensionamenti, un circolo vizioso paralizzante, che finisce col sottomettere le finalità dell’attività d’O alla sua sopravvivenza organizzativa. Un circolo vizioso molto pericoloso che fa aleggiare il rischio di una endemizzazione della LA, in quanto, non riuscendo a porsi in termini di rilancio del processo rivoluzionario in rapporto ai bisogni generali del proletariato, l’attività prodotta poteva innescare una logica di scontro tra apparati. Un rischio che non è peregrino nelle situazioni di arretramento del processo rivoluzionario e di ridimensionamento delle forze a cui l’O è riuscita a far fronte grazie al suo spessore e al suo peso storico-politico.
Considerato il venire al pettine di queste dinamiche negative, la situazione che si è determinata faceva sì che rispetto alle risultanze del «20», l’O riuscisse solo ad attestarcisi, cosa che, nel quadro di approfondimento di tutti i fattori dello scontro, significava non riuscire ad essere adeguata, vale a dire di non riuscire ad utilizzare gli stessi strumenti politici che si erano prodotti per reimpostare la propria iniziativa in relazione al delinearsi dei nodi che andavano affrontati nello scontro. Un empasse che si traduceva nel rimanere ancorati nella precedente definizione degli obiettivi (patto neocorporativo), con l’aggravante di ricercarli in base alle proprie capacità organizzative.
In questo quadro si spiega l’iniziativa C, che in linea di principio doveva essere tesa a colpire le politiche di riarmo, che però vengono lette e anche deformate a misura dell’obiettivo, il problema generale non era perciò l’esistenza di tendenze politiche errate nell’O, ma la reale tendenza a piegare l’interpretazione della LP a quello che era possibile fare, ed era questa spinta che produceva le distorsioni, l’impoverimento stesso della lettura dello scontro e dell’affermazione del piano propositivo. Qui si conferma come nell’attività rivoluzionaria della guerriglia non ci può essere divaricazione tra grado di espressione politica e piano organizzativo adatto a sostenerla, pena la vanificazione dei risultati politici. Quello che soprattutto manifesta l’iniziativa C è invece il piegare allo stato organizzativo quello che l’O doveva fare, mettendo così in discussione le sue risultanze politiche e soprattutto il suo avanzamento, e questo in particolare è dimostrato dal disattendere nella pratica i criteri della disarticolazione rispetto alla contraddizione dominante tra classe e Stato come pure tra imperialismo e antimperialismo. Detto questo, sul piano pubblico C si qualifica ugualmente come iniziativa politico-militare che comunque contribuisce e lascia il suo peso sul piano del mantenimento dell’opzione rivoluzionaria.
Considerato che le problematiche che si presentano dopo la battaglia politica sono affrontabili sul piano delle rettifiche interne, anche quelle che si sono manifestate in C e nel fallito esproprio vengono assunte dall’O come problemi e contraddizioni che si possono dirimere nell’ambito di processi di assestamento interno. Va considerato a questo proposito come nei quadri più avanzati dell’O ci fosse coscienza della natura di queste problematiche grazie ai saldi insegnamenti lasciati dal salto politico compiuto dall’O. la Bozza quindi è uno di questi strumenti di assestamento interno, concepita proprio per riattivizzare le forze militanti nella pienezza del loro ruolo, in questo senso una base di dibattito che raccoglie tutti i contributi, cosa questa che può farla apparire un prodotto disorganico. In realtà anche quella forma è un momento necessario ai fini di una razionalizzazione politica delle incongruenze esistenti utile ad innescare un processo politico riorganizzativo per uscire dall’empasse.
Rimettere in gioco le forze militanti diveniva indispensabile affinché l’O si potesse disporre in maniera adeguata di fronte ad un quadro di scontro che andava a mutare e che richiedeva la capacità di usufruire dei criteri avanzati stabiliti nel «20», non in senso statico, ma come strumenti di lettura della realtà. In questo senso la discussione stimolata dalla «Bozza» aveva per oggetto l’appropriazione e l’approfondimento della sostanza delle tematiche da analizzare anche per colmare lacune che erano emerse con l’iniziativa C. considerata la coscienza che avevano i quadri dell’alto livello raggiunto dall’O, queste lacune non si dovevano più ripresentare, pena non solo non qualificare sufficientemente questo salto, ma rimanere nei fatti arretrati rispetto ai compiti posti dallo scontro. In sintesi, a monte dell’ideazione della «Bozza» c’è chiarezza sui fini perseguiti, nel senso che ben oltre alla semplice attivizzazione del dibattito, lo scopo è quello di rimettere in moto il complesso meccanismo di funzionamento dell’O, dentro al quale ogni militante deve diventare un quadro complessivo e riuscire a rappresentare e a far vivere la proposta rivoluzionaria nelle condizioni più difficili quali quelle imposte dallo scontro. Una riqualificazione delle forze militanti per questo motivo inderogabile e che prospettava, dentro la reimpostaziopne del lavoro, un salto di coscienza in grado di far proprio sia il portato storico politico dell’O, sia in termini di prospettiva del processo rivoluzionario. Scopi che, seppure non sono espliciti nella «Bozza», sono ravvisabili da alcuni passaggi lì inseriti, indizio della messa in moto di questo processo.


L’esproprio e il volantino di rivendicazione sono il primo risultato di questo processo di riassestamento interno e di riadeguamento complessivo allo scontro e dimostrano la coscienza con cui questo processo viene guidato. Costruzione dell’iniziativa e sua gestione politica rispecchiano punto per punto l’articolazione di questo adeguamento nonché dei suoi fini politici immediati, ovvero la riattivazione del corpo militante e il militante complessivo, a partire dalla coscienza che è una giusta impostazione della prassi a consentire di cristallizzare nei militanti i principi e i contenuti che si vogliono far vivere. Da un lato la necessità di riaffermare nella coscienza dei militanti la capacità della guerriglia di operare nella metropoli secondo le sue proprie leggi: rompere l’accerchiamento, occupare il territorio, ritirarsi e in questo senso l’iniziativa ha in sé anche lo scopo propedeutico di liquidare le tendenze di difensivismo organizzativista, dall’atro, sul piano del suo significato pubblico, l’esproprio qualifica i termini di riorganizzazione del processo rivoluzionario che l’O si propone di rilanciare, e sotto questo aspetto tutto il volantino, pur nella sua sinteticità è calibrato per rendere questi termini facendo risaltare in ogni suo passaggio la presa di coscienza della realtà. Questo sia rispetto all’analisi del passato recente con una complessificazione degli elementi di valutazione della controffensiva che viene qualificata da quel momento come “vera e propria controrivoluzione”, sia nell’individuazione della nuova fase politica, rispetto alla quale l’O dichiara la sua intenzione di attrezzarsi per affrontarla rilanciando il suo ruolo di direzione.
Nel volantino è altresì visibile come si siano già prodotti a partire dalla «Bozza» un insieme di risultati, sia come rettifica, laddove vengono precisati i termini di linea politica, in particolare rispetto alla disarticolazione, sia come enunciazioni dell’indirizzo che l’O andrà a sviluppare: brevi ma precisi enunciati che riguardano i caratteri che l’O intende dare al riadeguamento complessivo, mirato a riqualificare la direzione dello scontro rivoluzionario, che ha il suo elemento di sostanza nella riappropriazione complessiva dei termini della guerra di classe. Un dato riscontrabile anche da come l’O valuta lo stato delle forze in campo dentro ad un’ottica di guerra di classe per la quale è fondamentale il calibramento di tutti i fattori in funzione di poter discriminare le forme adeguate dell’organizzazione di classe sulla LA; questo come un primo momento che va a colmare la parte mancante nel «20» della dialettica Partito-masse, ovvero l’incompleto enunciato della costruzione rispetto alla distruzione; una reimpostaziopne questa individuabile nello slogan: rafforzare il campo proletario per attrezzarlo allo scontro prolungato contro lo Stato.
L’altro aspetto qualificante il volantino è l’approfondimento della proposta di fronte nell’ambito dell’antimperialismo, per uscire dalle secche dell’ideologismo e del dogmatismo in cui la proposta dell’O era rimasta impigliata negli ultimi anni. Nel volantino c’è la necessità di definire una proposta adeguata all’analisi concreta della situazione concreta pur rispecchiando l’internità alla tradizione del movimento comunista internazionale, da qui la proposta di una politica di alleanze come termine programmatico dell’O, superando il genericismo del Fronte di Lotta Antimperialista, e attestandosi sull’inequivocabile “Fronte Combattente”, riferito cioè alle organizzazioni che combattono, un realismo politico che ha come sbocco la necessità di dichiarare pubblicamente l’interesse verso la pratica di fronte di AD e RAF.


Il Bilancio rappresenta una vera e propria piattaforma politica funzionale ad operare il salto politico delle forze militanti come quadri complessivi, dirigenti della guerra di classe. Il suo uso è quindi prettamente interno, anche se i contenuti sono a carattere generale. I temi politici trattati vivono nell’O come dato di consapevolezza scaturito dall’affrontamento pratico di questo tipo di problematiche, ma per usufruire in termini di insegnamenti è stata necessaria un’elaborazione politica per sistematizzarli sul loro piano generale. In questo senso il bilancio, elaborando l’esperienza che si è prodotta dall’apertura della RS e in generale da come l’O ha condotto il processo rivoluzionario si propone di approfondire quelle leggi della guerra che hanno investito l’O e che governano l’agire rivoluzionario nella Fase di Ritirata.
Un inquadramento che proprio perché analizza il processo rivoluzionario dentro a tutti gli aspetti che mette in campo la guerra di classe vuole essere uno strumento per acquisire una visione complessiva intesa nella riappropriazione dell’unità dialettica tra distruzione e costruzione, ovvero nella riappropriazione della dimensione di guerra del processo rivoluzionario, in sintesi nell’assumere l’unità del politico e del militare come dato che vive in ogni aspetto dell’attività rivoluzionaria e in ogni momento dello scontro rivoluzionario, superando la limitazione insostenibile della LA come pratica delle sole avanguardie comuniste per riappropriarsi della necessaria logica che sulla LA è basato pure il necessario lavoro politico nella classe. Una visione indispensabile per inquadrare la propria pratica rivoluzionaria dentro al movimento complesso che una guerra di classe comporta e che richiede di prendere atto di peculiari leggi della guerra che emergono dalla sua messa in pratica. È all’interno di questa visione che è possibile formare la coscienza di un tipo di militante in grado di proporre e praticare iniziativa rivoluzionaria, di esprimere direzione dello scontro nella piena consapevolezza di condizioni sfavorevoli alla rivoluzione. Quindi un tipo di militante che deve essere in grado di avere in sé il patrimonio sviluppato dall’O nelle fasi passate necessario a dargli la visione storica e prospettica del processo rivoluzionario e, nello stesso tempo, fornito degli strumenti di conoscenza più avanzati per poter valutare il “che fare” in ogni circostanza, anche in condizioni di ridimensionamento e isolamento. Ovvero si tratta di fornire il militante della coscienza delle trasformazioni che ha prodotto il processo rivoluzionario sia rispetto allo scontro, nel suo approfondirsi e nel mutamento delle fasi rivoluzionarie, sia rispetto allo stesso nemico di classe che ha raffinato i suoi strumenti di controrivoluzione proprio misurandosi con la pratica rivoluzionaria.
In sintesi il Bilancio apre questa prospettiva di lavoro politico nella formazione dei militanti e più in generale rispecchia l’obiettivo politico maturatosi dopo il «20», e cioè che il processo di riadeguamento complessivo dell’O doveva comprendere come dato inaggirabile l’evoluzione dell’O in organizzazione di quadri complessivi, obiettivo posto con urgenza dall’approfondirsi delle condizioni di scontro e dal suo procedere in una fase di ritirata e che il salto di qualità fatto col «20» ha reso palese nella misura in cui questo salto richiedeva le gambe adeguate per la sua propulsione in avanti.
Con questa coscienza l’O si dispone nel lavoro in modo tale da fare di questo obiettivo, la formazione, un termine di linea politica.
Entrando nel merito dei contenuti sintetizzati nel bilancio, un dato al centro delle riflessioni dell’O è proprio il difensivismo, in quanto questo non può essere circoscritto ad un fenomeno temporale prodotto in relazione alla sconfitta, né può essere considerato risolto con l’espulsione della 2° posizione, che di questo è stata la massima espressione; il difensivismo, in realtà è una logica a cui una FR può essere soggetta continuamente anche se in forme diverse, nelle fasi di ritirata a causa di come influiscono su di essa i ridimensionamenti politico-militari.
Questo insegnamento scaturisce dalla riacquisizione dei caratteri generali della RS come fasi della rivoluzione di cui, sulla base dell’esperienza maturata, vengono approfonditi tutti gli aspetti e le leggi che le sono proprie, data dal fatto che l’O ha acquisito i termini di forte discontinuità del processo rivoluzionario. In sintesi la lettura della RS supera tutte le interpretazioni parziali date in precedenza soprattutto quella riduttiva che, attribuendo alla RS la funzione di solo riadeguamento politico, vede, con la risoluzione delle battaglie politiche, il suo esaurimento. Solo ora che la visione del processo rivoluzionario è complessificata nella sua dimensione di guerra di classe e le fasi rivoluzionarie tornano ad essere oggetto dell’analisi dell’O, la RS assume i suoi connotati di scelta soggettiva capace di usufruire delle leggi dinamiche della guerra. Dinamicità che consente di ritirarsi per ricostruire le proprie forze e la propria capacità di iniziativa rivoluzionaria, assumendo il ritirarsi come elemento aderente allo sviluppo discontinuo dello scontro rivoluzionario, motivo per cui non è riducibile ad una visione limitata di tenuta, che si sottopone al logoramento del nemico, lasciando spazio alle logiche difensivistiche.
Uscire dalla logica di “tenuta” ha significato per l’O uscire anche da una valutazione contingente dello stato delle forze contrapposte, valutazione per lo più influenzata da quella concezione di “politica rivoluzionaria” che si era insinuata nella visione d’O negli anni precedenti, per recuperare il piano concreto di valutazione relativo a quanto nello scontro riesce ad attestare l’iniziativa rivoluzionaria rispetto alle forze in campo ovvero al movimento rivoluzionario, al campo proletario nei loro differenti rapporti, cosa che implica concepire queste relazioni nella loro determinazione organizzata, perché solo in questi termini ha senso parlare di attestazione nello scontro dentro un processo rivoluzionario che sviluppa la guerra di classe. Ma non solo, la riaffermazione di questo criterio alla luce anche degli insegnamenti della sconfitta, vive insieme al principio del calibramento che significa che il movimento delle forze che l’O riesce ad attestare deve essere sostenibile di fronte allo Stato del nemico, e ciò presuppone che l’O valuti tutti i fattori interni ed internazionali, economici e politici della BI che hanno un’influenza diretta nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione, classe/Stato. A corollario di questa impostazione ne deriva la riorganizzazione delle forze militanti in modo da ripristinare le sedi politco-organizzative adeguate al loro sviluppo, e in questo senso obiettivo qualificante a medio termine dell’O era la costituzione della nuova DS che poteva scaturire solo dalla riqualificazione delle forze. ________________________________________________________________________

Con l’iniziativa RR l’O è in grado di misurarsi con il livello adeguato della contraddizione classe/Stato nel momento in cui nel paese si profilava una svolta politica sul piano della rifunzionalizzazione dei poteri dello Stato. In altri termini per parte borghese errano andati a maturazione nello scontro di classe una serie di condizioni dall’82, ad essa favorevoli, che le consentono di coagulare sul piano degli equilibri politici i termini di un progetto di rifunzionalizzazione adeguato alla natura dei cambiamenti che si erano accumulati, sia a lato della crisi della BI, sia a lato del governo del conflitto di classe.
L’O riesce ad impattare questo momento decisivo dello scontro mettendo a frutto tutti gli avanzamenti del processo di riadeguamento, in particolare le potenzialità che aveva la piattaforma del Bilancio, avanzamenti che contraddistinguono tutti i passaggi della costruzione e attivazione dell’iniziativa, nel senso che questa incarna la dinamica viva di un processo che dalla distruzione ha operato per la costruzione, per ritornare poi, su un piano più alto, al livello necessario dello scontro, in termini di distruzione. Una dinamica che ha recuperato pienamente la visione che riunifica tutti gli elementi del processo rivoluzionario, perno trainante questo su cui le forze militanti si riqualificano “per propria esperienza” acquisendo in questo modo il senso politico d’O.
Con queste forze attive l’O si misura con il nemico di classe ed è effettivamente in grado di danneggiarlo, cosa che ha come suo presupposto un’approfondita capacità di penetrare la realtà dello scontro padroneggiandola in tutta la sua concretezza, tenendo ben conto di quali modifiche avrebbe comportato l’iniziativa su tutti i piani dello scontro. Nel contempo, da questo corpo militante, proviene l’apporto necessario per ufficializzare le valutazioni e le indicazioni sullo stato del processo rivoluzionario e sulle sue linee di sviluppo.
In questo senso il volantino contiene in forma sintetica l’insieme degli insegnamenti che è stato possibile trarre dall’apertura della RS, e questi non solo consentono di inquadrare il tragitto percorso nell’interezza dei fattori che lo hanno contraddistinto, definendo correttamente la natura delle contraddizioni che si sono presentate e qualificando anche quelle nuove, ma sulla base di ciò consentono di definire i caratteri del presente. In altri termini, una volta riqualificata la RS come fase rivoluzionaria e collocata nella successione delle fasi nel movimento discontinuo del processo rivoluzionario, è possibile porre i termini della Fase di Ricostruzione che oggettivamente sta dentro al quadro strategico della ritirata e soggettivamente è sostanziata da un indirizzo di lavoro che l’O valuta possa essere concretizzato nella situazione dello scontro rivoluzionario e di classe da quel momento in poi.
Qualificare l’iniziativa RR dentro il tragitto del riadeguamento significa prima di tutto qualificare il riadeguamento stesso. Infatti si è compiuta una svolta in questo percorso i cui termini vanno rintracciati soprattutto nel salto politico operato col «20», e nell’affrontamento dell’insieme di problematiche che nonostante il salto erano rimaste aperte. Se, come abbiamo già esaminato, col «20» l’O rilancia i termini dell’impianto strategico riproponendo la sua dimensione d’avanguardia rivoluzionaria dentro questi presupposti, tale rilancio rischiava di perdere forza a causa dell’incompletezza del riadeguamento, nella difficoltà dell’O di superare gli strascichi della sconfitta, andando a sminuire la raggiunta riqualificazione del suo ruolo di direzione rivoluzionaria. È stata la cruda realtà dello scontro a mettere l’O nella condizione di affrontare e risolvere complessivamente questi nodi dato che l’impostazione incompleta del «20» aveva come portato pratico quello di dare un’impronta riduttiva all’iniziativa rivoluzionaria, perché privata della sua proiezione rispetto alla costruzione. Ovvero un’impostazione che, restando ferma alla rivendicazione dei caratteri della disarticolazione, lasciava sospese le direttive rispetto al proprio referente di classe, non riuscendo ad inquadrare la propria iniziativa combattente rispetto al problema dell’attivizzazione e organizzazione delle forze in campo. In questo modo viene ridotta giocoforza la proiezione del proprio intervento limitato alla valutazione del nemico, senza riuscire a comprendere la valutazione dello stato delle forze del campo rivoluzionario e di classe in quanto sul piano pratico non è definito il problema di come queste forze devono essere mobilitate ed attestate nello scontro con lo Stato. Questa deficienza finisce per impoverire gli stessi principi della disarticolazione in quanto le valutazioni a cui questi principi devono fare riferimento, finiscono per restringersi intorno allo stato dell’O. Questo come portato obiettivo dell’indicazione politica di una lotta armata imperniata sulle avanguardie rivoluzionarie, che demanda a un generico “piano politico” l’articolazione dell’iniziativa rivoluzionaria. Un limite che si è immediatamente tradotto nella pratica in livelli di attacco politico-militari ritagliati sulle possibilità contingenti dell’O, emblematizzando l’impossibilità di mantenere a lungo questo tipo di incompletezza politica, che a lungo andare si sarebbe tradotto in una pratica blanquista. In conclusione, il riduttivismo insito in queste problematiche avrebbe finito col collidere con la valenza dell’impianto strategico e con l’ostacolare lo sviluppo che doveva essere dato al salto compiuto col «20».
Ed è nel momento in cui l’O prende coscienza di questo nodo e si dispone ad affrontarlo, mettendo mano alle sue origini, cioè ai nodi irrisolti dell’82, che si produce una svolta nel riadeguamento. Si apre in questo senso un periodo nuovo del riadeguamento in quanto l’O nel processo politico che mette in atto, liquida in piena coscienza tutti i residui che, nonostante gli avanzamenti raggiunti nei diversi momenti del rientramento, erano rimasti irrisolti, ed esaurisce altresì il periodo in cui le sue capacità politiche erano indirizzate prevalentemente alla risoluzione dei limiti suoi propri. Da ora in poi riacquista la visione complessiva del processo rivoluzionario nella migliore conoscenza delle leggi della guerra di classe, tutte le sue risorse sono indirizzate e mobilitate per riappropriarsi della comprensione della realtà ai fini di stabilire un intervento volto a modificare lo scontro a favore del proletariato, in altri termini l’O è proiettata prevalentemente a costruire e indirizzare il processo rivoluzionario confrontandosi col nemico sulla base della maggiore consapevolezza acquisita nel complesso dei fattori dello scontro. Ed sulla base di questa nuova dimensione che il ruolo d’avanguardia dell’O riconquista tutto il suo peso e la sua iniziativa politico-militare torna ad essere incisiva nei termini propri della guerriglia urbana, nel quadro di un'aderenza della sua progettualità e degli indirizzi di lavoro politico alla realtà del paese e ai nodi aperti nello scontro di classe, come dimostra chiaramente l’aver aperto la Fase di Ricostruzione. In ultima analisi, questa nuova dimensione del riadeguamento si qualifica per ricomporre l’elaborazione pratico-teorica dell’O e il suo intervento specifico nella situazione di scontro con la linea di sviluppo della rivoluzione, nel senso che questa attività viene concepita secondo un criterio tattico rispondente ai caratteri della fase rivoluzionaria.



Aggiornamento allo Statuto. Questo documento interno, da un lato incarna il punto d’approdo alle direttive che erano contenute nella piattaforma del Bilancio, dall’altro, costituisce il punto di partenza da dare al nuovo livello della guerra di classe che l’O stessa stava promovendo. In altri termini, nel momento in cui erano andate a compimento le direttive del bilancio che si erano dispiegate e tradotte nella disposizione delle forze e nella concretizzazione dell’iniziativa rivoluzionaria, riempiendo con la pratica i contenuti rivoluzionari delineati nel Bilancio, questo stesso movimento ha richiesto all’O di porre le basi per una definizione complessiva degli indirizzi che assume il processo rivoluzionario per qualificare i nuovi compiti dentro alle caratteristiche che tende ad assumere la guerra di classe.
Se nel Bilancio le nuove acquisizioni che vi sono delineate per lo più ruotano intorno all’esperienza che si è sviluppata nella RS, in questo materiale l’elaborazione politica investe l’intero patrimonio dell’O per riesaminarlo e approfondirlo alla luce della verifica data dalla pratica. Un’elaborazione forte degli insegnamenti acquisiti dall’O nel processo che va dal «20» fino ad RR e che sono fondamentali per dirimere i nodi cruciali rimasti controversi dall’82 sullo sviluppo della guerra di classe, raggiungendo nuovi livelli di comprensione proprio riguardo la successione delle fasi rivoluzionarie, il rapporto tra tattica e strategia, l’effettivo portato della visione lineare, l’affrontamento sul piano della corretta impostazione del nodo che si era posto con l’esaurirsi della Propaganda Armata e soprattutto rispetto all’unità del politico e del militare come matrice che investe tutti gli aspetti del processo rivoluzionario e ogni momento dello sviluppo dello scontro rivoluzionario. Nel momento in cui l’O sistematizza scientificamente il complesso dell’impianto generale e, sulla base di ciò, è in grado di guardare ai caratteri e prospettiva della guerra di classe con una maggiore profondità, ne scaturisce la capacità di individuare le direttrici del piano di lavoro con cui l’O si propone di incidere nello scontro ed attrezzare intorno ad esso, secondo i criteri definiti, le forze in campo. Ed è proprio rispetto alla coscienza di come si è approfondito lo scontro e di quello che richiede per incidervi, e sulla base della capacità dell’O di preordinare il movimento che si vuole imprimere in esso, che emerge l’esigenza di far evolvere la propria capacità di direzione dello scontro che significava porre a medio termine l’obiettivo politico della nuova DS. Una DS che fosse espressione del processo qualitativo avviato con la riattivizzazione delle forze.
Entro questo quadro le problematiche che vivono nel dibattito d’O sono tese a sistematizzare e delineare i compiti che la prospettiva del processo rivoluzionario pone all’ordine del giorno, un dibattito che è compenetrato dalla maggiore consapevolezza che l’O ha acquisito sui termini della guerra di classe, che informa necessariamente la definizione dei compiti. Un’evoluzione politica che è anche quella che permette di mettere mano all’aggiornamento dello Statuto, perché solo ora è possibile sulla base dell’esperienza accumulata, arricchire i fondamenti strategici della DS 2 e, nel contempo, rettificare le parti che si sono rivelate inadeguate. Un arricchimento che in particolare riguarda i caratteri fortemente politici di cui è investito lo scontro rivoluzionario nella metropoli imperialista, alla luce dei quali possono venire indagate questioni come l’accerchiamento strategico, la riserva, lo sviluppo lineare, lo schema dello sviluppo politico-militare dell’O in colonne, brigate, fronti.


Nel solco di quelli che sono i fondamenti dell’impianto strategico dell’O e, in generale della guerriglia urbana nella metropoli, il processo di riorganizzazione dell’iniziativa rivoluzionaria avviato con la Fase di Ricostruzione non può che darsi all’interno della dimensione antimperialista ed internazionalista della guerra di classe, e quindi i passi iniziali stessi della Ricostruzione sono concepiti dentro all’attuazione dei due obiettivi programmatici: l’attacco al cuore dello Stato e l’antimperialismo. Così come a partire dal «20» l’approfondimento dell’analisi dello Stato e delle forme di dominio ha portato l’O a precisare i criteri d’attacco per incidervi adeguatamente, ugualmente l’approfondimento dei caratteri dell’imperialismo nella nostra epoca storica, delle ragioni strutturali alla base dei legami di blocco consentono di riportare l’antimperialismo nella sua dimensione strategica. In altri termini, sulla base delle chiarificazioni relative alle relazioni imperialiste e alle sue politiche, l’O è in grado di dare una lettura appropriata e puntuale delle dinamiche oggettive e soggettive su cui poggiavano le politiche e gli interventi imperialisti, e in rapporto a ciò procedere alle rettifiche necessarie per sbarazzarsi della residua impostazione solidaristica che negli anni precedenti aveva inficiato l’impostazione originaria della pratica imperialista e internazionalista. Un’impostazione, quella solidaristica che era rimasta tale anche nel «20», nell’accezione del Fronte come fronte di lotta, e che sostanzialmente non riusciva neanche a relazionarsi con quanto avevano espresso su questo terreno le altre FR. Un limite che con C è portato ad un livello di insostenibilità politica, mettendo l’O di fronte alle proprie responsabilità rivoluzionarie, considerando la coscienza che l’O aveva dell’influenza rivestita dal quadro internazionale sullo scontro interno, nel senso che i mutamenti che si intravedevano sul piano delle dinamiche dell’imperialismo, richiedevano di misurarcisi in modo adeguato.
Nel quadro di queste necessità, l’O opera una svolta segnata da una visione pragmatica e prospettica insieme allo scopo di essere più propositiva possibile rispetto alle forze combattenti che basavano la propria pratica sull’antimperialismo. Dall’esproprio in poi l’O indirizzerà tutti i suoi sforzi per dare concretezza a quest’asse di combattimento, a partire dal dichiarare la sua apertura in primo luogo alle organizzazioni di guerriglia europee, referente privilegiato dell’O, ma non di meno anche alle forze rivoluzionarie mediorientali che in quel momento erano attive nell’area.
Un approccio pragmatico che tutt’altro dall’essere una scorciatoia tattica è sostenuto da un solido arco di principi e di criteri rivoluzionari che si avvalgono degli insegnamenti che l’esperienza internazionalista ha storicamente maturato e da cui l’O ha saputo trarre le indicazioni generali con cui orientarsi nell’analisi concreta della situazione concreta. Insegnamenti che pertanto informano quella che l’O definisce una “politica di alleanze” come l’aspetto specifico della più generale pratica antimperialista dell’O. ed è con questo intendimento che l’O prende l’iniziativa per ricercare il rapporto politico con l’organizzazione di guerriglia più rappresentativa in Europa, la RAF. In questo solco di lavoro vano inquadrati la lettera e il testo comune. Il modo in cui nella Ricostruzione l’O si è assunta l’antimperialismo con la solidità che le consente di essere flessibile laddove necessario, è tangibile in ultima analisi nel risultato del piano di relazione con la RAF e da i suoi frutti politici nel testo comune.


La nostra analisi si conclude con l’esame dell’ultimo volantino dell’O del 16 marzo ’89 di rivendicazione e sostegno all’azione di Fronte fatta dalla RAF. Questo volantino, malgrado le perdite militari dell’88 è rappresentativo al punto più alto del salto politico compiuto dall’O nella seconda fase del riadeguamento, ovvero vi si trovano i punti salienti perseguiti ed acquisiti rispetto all’obiettivo del militante complessivo, vero snodo affinché possa riprodursi organizzazione anche a seguito di pesanti perdite. È proprio il contesto materiale in cui questo volantino è stato prodotto a dimostrare la valenza di questo risultato, laddove i militanti, pur nella condizione negativa del colpo subito, sono in grado sia di far fronte in breve tempo al lavoro politico, sia di reimpostarlo facendolo vivere al livello più alto secondo il processo di formazione che ha forgiato i militanti. In questo si dimostra quanto sia determinante aver dato un posto di rilievo, tra i compiti della linea politica, all’obiettivo costante della formazione delle forze (sia quelle militanti che no), in quanto aderente alle necessità che l’approfondimento dello scontro ha posto all’avanguardia rivoluzionaria al fine di imprimere alla guerra di classe un movimento in avanti. Quello che la realtà ha dimostrato è che lo spessore contenuto nel salto politico compiuto dall’O riesce ad informare oggettivamente ogni singola forza militante che, sulla base del processo di formazione soggettivamente perseguito che l’attraversava, è in grado di avvalersi di questi contenuti e di interpretarli ad un livello avanzato coerentemente all’impostazione strategica e politica dell’O come dimostrato dall’estrema lucidità con cui nel volantino viene collocato il rovescio militare, senza che questo infici le potenzialità rivoluzionarie poste in essere.
In questo specifico dato vive la capacità di dominare gli effetti negativi difensivistici propri ai rovesci militari che si determinano nelle fasi di ritirata, a dimostrazione di come questo insegnamento, riguardo una legge generale della guerra, abbia penetrato la formazione dei militanti, neutralizzando uno dei contraccolpi immediati relativo alle perdite subite nell’88.