Biblioteca Multimediale Marxista
Campagna di Primavera. Fin dal primo comunicato si vuole evidenziare
il legame dei termini generali della ristrutturazione dello SIM (Stato Imperialista
delle Multinazionali) con il termine particolare del partito, la DC; che in
modo trainante se ne fa carico, nella direttrice di approfondire la crisi di
regime e su questo mobilitare il MPRO (Movimento Proletario di resistenza Offensivo).
In questo senso la cattura di Moro viene collocata all’interno della problematica
generale posta dal cambiamento in atto dello Stato, quale necessità,
nell’ambito della crisi dell’imperialismo, di stabilizzare l’anello
debole Italia, facendolo uscire definitivamente dai residui di Stato-nazione,
ed affermare la costruzione dello SIM. Una costruzione che si avvale del personale
politico-economico-militare imperialista, personale che anche in Italia è
già emerso in modo egemone ravvisabile in tutte le forze dell’arco
costituzionale, ma principalmente nella DC, che è quella trainante il
processo. Questo partito è già stato individuato dalle avanguardie
comuniste come il più feroce nemico del PM (Proletariato Metropolitano)
e va battuto perché fulcro della ristrutturazione in SIM così
da estendere ed approfondire la crisi di regime. La costruzione dello SIM è
d’altra parte spinta dagli interessi dei paesi più forti della
catena imperialista allo scopo di governare le trasformazioni istituzionali
adeguate ad imporre le feroci politiche economiche tramite la funzione apertamente
repressiva sul PM. Va sottolineato come l’O intenda dare in quel momento
una lettura dello Stato che rispecchi i termini generali della sua evoluzione
in Stato Imperialista come una necessità irrimandabile di adeguamento
nel livellarsi al quadro imperialista che, oltre a rispondere agli interessi
della BI (Borghesia Imperialista) nostrana, rispondeva anche a quelli complessivi
del sistema. Quindi si parla dello Stato in questa accezione specifica di cambiamento
e poiché segnava un passaggio cruciale nei rapporti di classe era necessario
intervenire proprio su questo nodo per sfruttarne le debolezze.
In questo quadro la cattura di Moro non è che l’inizio di un attacco
che deve essere esteso alla DC, quindi non un obiettivo simbolico, ma il dare
slancio a tutta l’attività armata su cui il MPRO deve sapersi misurare.
A lato le BR si richiamano al processo in corso a Torino ai militanti catturati
e sulla base della forza e iniziativa rivoluzionaria, ribaltando i termini del
processo che lo Stato sta conducendo, perché in realtà è
il regime ad essere sotto accusa da parte del PM e delle sue avanguardie. In
questo quadro si sottolinea la natura del rapporto che intercorre tra i comunisti
combattenti e lo Stato che è di guerra, di conseguenza si avverte lo
Stato che l’O è in grado di assumersi le rappresaglie per eventuali
crimini da esso commessi, che sono crimini di guerra.
Si avverte subito il MPRO delle manipolazioni già scattate dopo l’azione
come espressione della guerra psicologica scatenata dal regime, precisano che
è pratica dell’O rendere tutto pubblico, in quanto le trattative
segrete sono proprie delle trame della BI. Una precisazione che verrà
continuamente ribadita a fronte di tutte le operazioni di mistificazione insieme
al principio che nulla è nascosto al popolo.
L’O sottolinea le caratteristiche che vanno ad assumere nello SIM (Stato
Imperialista delle Multinazionali) le forze politiche all’interno del
rovesciamento dialettico tra istanze parlamentari e Stato, per cui le forze
politiche si attivizzano in funzione degli interessi e bisogni dello Stato (interessi
della BI) questione che si è esplicitata completamente in questa battaglia
in quanto ha significato l’attivizzazione dei partiti a sostegno delle
pratiche antiterrorismo subito varate e di mobilitazione reazionaria e lealista
contro l’attività rivoluzionaria. Si distingue su questo terreno
il ruolo che inevitabilmente vanno ad assumere i revisionisti e i sindacati
collaborazionisti in quanto quelli che possono intervenire nel campo di classe
nel quadro dei cambiamenti dello Stato che si vogliono imporre, le BR evidenziano
il ruolo specifico di Moro che per altro, nel lungo processo di evoluzione della
DC dal dopoguerra ad oggi, ha sempre rivestito un ruolo di primo piano dentro
quella che è stata la politica di questo partito a sostegno della borghesia
nell’assumersi fedelmente nello scontro col proletariato le politiche
antiproletarie e repressive che hanno scandito le tappe dello scontro: dalla
restaurazione del potere borghese coi governi Tambroni-Scelba alla strategia
della tensione come risposta alla ripresa dell’iniziativa proletaria fino
ad oggi, in cui la DC, dentro un processo non lineare di rinnovamento, si è
assunta la direzione del trapasso allo SIM. Trapasso che è veicolato
da un progetto di riforma istituzionale che all’accentramento dei poteri
all’esecutivo affianca una modifica del ruolo del presidente della repubblica
tale che assuma pienamente le sue prerogative di capo della magistratura e delle
forze armate (ruolo a cui Moro ambiva).
Proprio da questa figura di punta della BI l’O vuole sapere i progetti
antiproletari, strutture e personale, le filiazioni e interconnessioni nazionali
e internazionali sulle cui gambe marcia il progetto delle multinazionali. In
concreto proprio sulle politiche antiproletarie e controrivoluzionarie si mette
a nudo il nesso dell’intervanto attivo dei paesi più forti in “
sostegno” di quelli più instabili, affinché ne facciano
propri i termini più avanzati. Una realtà già operante
e riscontrabile nella presenza di esperti inglesi, tedeschi, israeliani, non
a caso quelli che si confrontano con i livelli più avanzati di guerra
di classe e di popolo, mentre gli USA già sovrintendono direttamente
a questa funzione in quanto da sempre presenti in Italia. E d’altra parte
proprio la NATO incarna al massimo grado la controrivoluzione imperialista.
Una realtà che mette di fronte al proletariato il carattere internazionalista
della guerra di classe che immediatamente antimperialista. Guerra di classe
che deve tenere conto nel suo calibramento di questi fattori internazionali
del sistema imperialista, che nella fattispecie va combattuto a livello continentale.
Da qui e dalla disponibilità alla mobilitazione internazionalista manifestata
dal PM europeo la necessità di costringere all’integrazione politica
delle OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti) in Europa. Alla strategia del
terrore imperialista va saputa contrapporre l’unità strategica
delle forze comuniste. In sintesi l’O imposta il discorso politico in
modo tale che emergano i legami che esistono tra lo specifico progetto di modifica
istituzionale dello SIM, di cui Moro è ideatore con tutto il corollario
che ne consegue [politico], e le interconnessioni della controrivoluzione imperialista
come sistema, già attivizzata per sostenere questo processo. Questo al
fine di rimarcare il carattere antimperialista e internazionalista della guerra
di classe, su cui viene propagandata la parola d’ordine dell’unità
continentale delle OCC (Internazionale Comunista).
Dopo un breve resoconto degli interrogatori di Moro nei quali, per altro, il
prigioniero collabora ampiamente chiamando in correità i suoi complici,
si conferma come il “nuovo regime” che si vuole instaurare sia fin
nel suo profondo impregnato dai legami di interdipendenza e subordinazione con
gli organismi internazionali rispetto ai piani economico, politico e militare
da attuare in Italia. Quindi la cattura di Moro si qualifica come iniziativa
che deve estendersi in quanto attaccare lo Stato imperialista è l’obiettivo
primario per il PM se vuole disfarsi di quello che comporta il dominio imperialista
e affermare il progetto comunista. In questa fase storica ciò vuol dire
assumersi il portato della violenza rivoluzionaria per affrontare la contraddizione
antagonista fra PM e BI. In questa fase storica la lotta di classe assume perciò
per l’iniziativa delle avanguardie rivoluzionarie la forma della guerra,
ed è questa che impedisce la “normalizzazione” della crisi
e di riportare una vittoria tattica sul PM, ovvero sul movimento di lotta degli
ultimi dieci anni.
L’O rivendica la necessità di prendere l’iniziativa nella
fase che si è aperta, assunzione che ha lo scopo di determinare l’andamento
della guerra. Questo però non significa che è l’avanguardia
a creare la controrivoluzione in quanto questa è insita nell’evoluzione
dello Stato Imperialista, semmai compito dell’avanguardia rivoluzionaria
è di stanarla dalle pieghe della “società democratica”,
e questo perché la controrivoluzione non è la forma ma la sostanza
dello Stato imperialista. Una sostanza già posta in essere in questi
anni, dalla creazione dei corpi speciali, carceri speciali, tribunali speciali
e dalle pratiche antiproletarie e repressive contro il movimento proletario
nelle fabbriche,nei quartieri, ecc. Ma questa controrivoluzione non ha impedito
l’estendersi dell’iniziativa proletaria con lo sviluppo del MPRO
fino ad assumere i contenuti e le forme della guerra di classe, guerra che deve
essere estesa a tutti i centri dell’oppressione imperialista e che a questo
fine presuppone che vengano operati salti politici e organizzativi relativi
alla responsabilità di sviluppare la direzione rivoluzionaria di questo
processo quale passaggio indispensabile verso la vittoria strategica del PM.
Per quanto feroce sia lo Stato imperialista è possibile combatterlo e
affrontarlo per annientarlo strategicamente, e questo al di là di chi,
intrappolato dai propri legalismi piccolo-borghesi, si è arreso e ha
già accettato la sconfitta.
Quindi l’O sottolinea come la questione dell’attacco allo Stato
quale linea di intervento fondamentale del PM e la questione dello sviluppo
della guerra sono intrinsecamente legate per affermare la progettualità
comunista, l’alternativa proletaria in un discorso che ne mette in luce
l’affermazione che è necessario e possibile combattere e vincere
il nemico. Elementi di forza che non sono sempre e in ogni momento visibili
a tutti anche perché possono essere offuscati dalla messa in campo delle
risposte controrivoluzionarie.
Via via che la cattura e il processo a Moro produce i suoi effetti politici
subentra da parte dello Stato e dei dirigenti DC un tipo di affrontamento che
ricorre a squallide manovre e comunque sia a sfuggire al problema politico che
la guerriglia gli ha posto di fronte. Anche Moro stesso, pur avendo preso atto
della sua condizione di essere processato da un tribunale del popolo non sfugge
a questa logica e suggerisce ai suoi complici di considerare come soluzione
lo scambio di ostaggi. Le BR ribaltano questo piano, e questo non perché
la liberazione dei prigionieri non sia già un punto di programma dell’O
e come tale perseguito, ma perché la cattura e il processo a Moro è
un’iniziativa che risponde alla necessità di approfondire la crisi
di regime per risolvere la questione centrale del potere, in quanto per il PM
uscire dalla crisi vuol dire comunismo. Vengono quindi ribaditi e propagandati
i fini ideologici della guerra, ovvero le prospettive del cambiamento sociale
verso cui tende il proletariato in quanto si tratta di assolvere al ruolo storico
di dare soddisfazione ai bisogni di ciascuno e di tutti, finalità che
obiettivamente scaturiscono dallo stato di crisi storica dell’imperialismo
che non ha più niente da offrire e che governa sulla base della controrivoluzione
preventiva, ovvero la forza è la sua unica ragione. Una natura quella
della crisi storica dell’imperialismo, resa evidente in questa fase dal
passaggio dalla “pace armata” alla “guerra”, passaggio
che va a coincidere con la necessità della ristrutturazione dello Stato
in SIM. Questa concomitanza determina l’importanza della congiuntura la
cui durata ed evoluzione dipenderà da come si darà l’andamento
del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, e in ogni caso questo passaggio
non sarà affatto lineare e pacifico e assumerà progressivamente
i caratteri della guerra. Per parte rivoluzionaria si tratta di trasformare
il processo di guerra civile strisciante in un’offensiva generale e su
un progetto unitario che unifichi il MPRO e costruisca il PCC fuori dalle tendenze
movimentiste e spontaneiste l’O ribadisce la concezione leninista alla
base di questo processo nel rapporto che intercorre fra coscienza e spontaneità
per cui l’avanguardia raccoglie stimoli e bisogni che provengono dalla
classe, li centralizza e sintetizza in teoria e organizzazione stabile per riportarli
alla classe sotto forma di linea strategica di combattimento, programma e strutture
di massa del potere proletario. Processo tutt’altro che spontaneo, ma
che è posto in essere dall’agire da Partito dell’avanguardia
combattente, un’agire da Partito che, come esprime la gestione della battaglia
Moro, si colloca come iniziativa politico-militare all’interno e al punto
più alto dell’offensiva proletaria, cioè sulla contraddizione
principale classe/Stato, sul progetto politico di ristrutturazione dello SIM
come aspetto dominante di quella congiuntura.
Un agire da partito che ha un duplice carattere: disarticolazione politico-militare
del nemico per rendere disfunzionale la macchina statale, e nel contempo proiettarsi
dentro al movimento di massa per essere indicazione politico-militare per orientare,
mobilitare, dirigere, organizzare il MPRO sulla guerra civile antimperialista.
Un duplice aspetto nel quale non ci sono livelli più alti o più
bassi, ma livelli che incidono e intaccano il progetto imperialista e organizzano
strategicamente il PM, oppure no. L’organizzazione del potere proletario
si da sulla linea d’attacco contro i centri fondamentali politici, economici
e militari dello stato imperialista. Infine ribadisce il ruolo strategico della
clandestinità perché si può e si deve vivere clandestinamente
in mezzo al popolo e mettendo in guardia dalla visione difensiva di questa.
……………da una parte ha lo scopo di inchiodare la
DC in quanto garante degli equilibri politici di trent’anni di regime,
è soprattutto teso ad individuare ed accettare le responsabilità
DC e dei suoi protettori internazionali rispetto agli equilibri di potere che
devono essere sostenuti riguardo alla ristrutturazione dello SIM che è
infatti l’aspetto centrale delle indicazioni di combattimento aperta da
questa battaglia in quanto sulla ristrutturazione in SIM passa il progetto dominante
nella congiuntura. Peraltro l’interrogatorio sulle responsabilità
passate e presenti della DC non rivela nulla che non sia già risaputo
al proletariato, perché ha vissuto le sue politiche e le sue manovre
tutte sulla sua pelle, quindi non si tratta tanto di “svelare misteri”,
ma di individuare le responsabilità di personaggi già ben noti
al popolo come Taviani e la cricca genovese, ecc. Nel mentre si ribadisce che
tutti dovranno rispondere al popolo si avverte che non c’è spazio
per manipolazioni e trattative segrete, come dagli ambienti DC si cerca di accreditare.
Ma, a prescindere da questi miserabili tentativi, l’O mantiene fermo il
governo della gestione che si è prefisso, e la barra ferma sugli obiettivi
da propagandare dentro lo sviluppo della campagna con la capacità di
stigmatizzare di volta in volta i risultati politici di quello che l’iniziativa
ha aperto nello scontro, chiarendo cioè quello che effettivamente si
andava a coagulare come dato principale, vale a dire, malgrado lo scatenamento
di una repressione indiscriminata ed estesa a tutta la classe, vi era un’offensiva
proletaria in atto, nel MPRO e nelle organizzazioni rivoluzionarie, contro i
covi e gli uomini della DC, della confindustria e dell’apparto militare,
elemento principale appunto nello scontro, che approfondisce e da risalto al
processo contro il regime, tanto da marginalizzare persino l’opera dei
revisionisti, di delatori e spie del regime. Nel mentre si sottolinea questo
dato significativo dello scontro, si indica la necessità di non fermarsi
a contemplare i successi, men che meno a spaventarsi per la ferocia dello Stato
in quanto questione prioritaria è quella di lavorare ad estendere e approfondire
l’iniziativa armata, che comporta in sé la necessità fondamentale
di organizzarsi (per sedimentare e non disperdere il fiorire delle iniziative),
e soprattutto di assumersi la responsabilità dei salti politici da compiere,
uno sprone rivolto alle avanguardie rispetto all’obiettivo della costruzione
del PCC.
A conclusione del processo, le BR motivano dal punto di vista rivoluzionario
e di classe le responsabilità politiche di Moro e di tutta la DC, motivazioni
che sono la base per il giudizio di condanna. Da questo punto di vista le responsabilità
di Moro sono quelle di tutta la DC da De Gasperi in poi e che il proletariato
metropolitano conosce bene perché ha vissuto sulla sua pelle come la
DC si è fatta garante degli interessi della BI interni ed internazionali
che hanno significato il “garantire” lo sfruttamento del proletariato.
Seppure dall’interrogatorio è emerso anche il marciume e la corruzione
della DC, le trame, i sicari palesi e nascosti, non è da questi aspetti
che deriva il giudizio di condanna che invece riguarda il ruolo di questo partito
nella sua funzione controrivoluzionaria al servizio delle multinazionali, si
dichiara quindi Moro colpevole e condannato a morte. Infine c’è
una precisazione rispetto alla circolazione delle informazioni in quanto tutto
sarà reso noto ala popolo, ma tramite canali clandestini e non più
attraverso la stampa ala servizio del potere.
A un mese dalla cattura, l’O intende fare completa chiarezza a fronte
di tutto quello che si era innescato intorno all’iniziativa sia per parte
dello Stato che per parte rivoluzionaria, soprattutto a partire dal significato
della condanna che è condanna all’intera DC, alla borghesia e allo
Stato e che il movimento rivoluzionario si incaricherà di portare a termine.
Nel momento in cui la DC sta subendo questo attacco articolato, la sua reazione
è quella, nel solco della sua vile tradizione, di sottrarsi alle responsabilità
politiche in primo luogo cercando di stornare dal significato dello Stato imperialista,
mutata dai suoi complici, in quanto è proprio questo l’oggetto
di attacco dell’iniziativa rivoluzionaria. Un significato che però
è esplicitato a pieno proprio nel contesto della cattura di Moro tanto
per la repressione generalizzata, quanto per le palesi intenzioni di scatenare
un’offensiva contro il movimento rivoluzionario allo scopo di annientarlo,
per non parlare dell’esistenza di campi di concentramento dove sono imprigionati
i comunisti, caratteristica del resto di tutti gli stati imperialisti. È
proprio rispetto ai prigionieri comunisti che è in piedi un progetto
di genocidio politico attraverso il trattamento in questi campi. Un modo di
sottrarsi alle responsabilità che arriva al grottesco, con i cosiddetti
“appelli umanitari” all’O rispetto al presunto maltrattamento
di Moro, tenuto conto che proviene proprio da chi esprime il massimo della barbarie
sui prigionieri comunisti. A questo proposito l’O è molto netta
nel troncare ogni ambiguità, ribadendo che saprà combattere per
stroncare il progetto di genocidio politico e che l’unico appello che
intende fare è al movimento rivoluzionario per la distruzione dello Stato,
dei campi di concentramento e per la libertà dei comunisti. Per portare
alle estreme conseguenze questo aspetto contraddittorio delle reazioni della
DC di fronte all’attacco, l’O la mette di fronte all’unica
ipotesi praticabile di fronte a questi fantomatici appelli umanitari, cioè
lo scambio di ostaggi, l’unico modo di riportare la questione sul terreno
che le è proprio, quello della guerra di classe a prescindere dalla sua
praticabilità. Infatti è il prodursi degli eventi a far maturare
questa eventualità proprio in virtù degli effetti prodotti dai
livelli di disarticolazione politica, questione che per altro rientra nelle
leggi della guerra per cui in certe circostanze la condanna a morte può
essere sospesa, per lo scambio di ostaggi, cosa che non significava recedere
dallo scopo politico, ma in questo caso intendeva sfruttare ulteriormente le
conseguenze della sentenza. Infine rispetto alle manovre (finti comunicati)
di controguerriglia psicologica, l’O molto bruscamente richiama i dirigenti
DC alle loro responsabilità rispetto ai giochi che stavano facendo sulla
pelle di Moro. Intrighi mafiosi che buttavano fumo negli occhi e tentavano di
aggirare con furbizia la questione dell’attacco e della condanna a morte,
fra l’altro cercando anche di trarne un tornaconto personale di potere.
Le “estreme conseguenze” non tardano a venir fuori, infatti la DC
risponde con una dichiarazione fumosa che si rifà alla “ragion
di Stato” come se fosse soggetta alla legge, cosa ridicola, in quanto
la DC è la principale responsabile politica delle leggi dello Stato.
Si tratta di una risposta negativa senza però che se ne assuma chiaramente
le responsabilità, cosa che l’O svela fino in fondo, ribadendo
che l’unica possibilità di salvare Moro è la liberazione
dei prigionieri. Questo è del resto l’unico piano che mette di
fronte anche tutti quegli organismi e figure pubbliche che si stanno pronunciando
sulla “questione umanitaria”, in quanto, se vogliono essere coerenti
con i loro proclami, non hanno che da porre la questione dello scambio con i
13 prigionieri comunisti indicati dall’O fuori da ciò i loro appelli
avevano solo il significato di fare quadrato a sostegno della DC, come era peraltro
chiaro all’O a questo riguardo viene tolta ogni illusione a chi pensava
possibile un esito incruento come per Sossi, nell’indicare i nomi dei
prigionieri viene seguito il principio politico di prendere in considerazione
le migliori avanguardie espresse dal proletariato, a partire da quelli di più
lunga prigionia e con le pene più alte.
A conclusione dei 51 giorni l’O trae un primo immediato consuntivo della
battaglia, che rende pubblico nell’ultimo comunicati rivolgendosi alle
OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti), al movimento rivoluzionario ed al
proletariato, in quanto a loro sono dirette valutazioni e indicazioni. Quello
che viene in primo luogo rivendicato è che l’esito della battaglia
e di tutte le iniziative che intorno ad essa si sono sviluppate segnano una
cocente sconfitta del regime e delle forze imperialiste.
Un regime che in questi 51 giorni ha mostrato il suo vero volto con i rastrellamenti,
le leggi speciali, le torture, con cui vorrebbe annientare la resistenza proletaria
frantumando esso stesso la maschera della democrazia formale e della “legalità”
borghese. Una ferocia che non dimostra affatto la forza del regime, ma al contrario
la sua debolezza, un regime che ha subito l’offensiva del MPRO, di cui
la battaglia Moro è solo un momento dentro al dispiegarsi delle iniziative
di combattimento e di tante battaglie che si sono sviluppate per l’O è
possibile dire fin da quel momento che quanto si è prodotto sul piano
rivoluzionario e di classe ha impresso un formidabile impulso alla guerra di
classe per il comunismo, ed è proprio di fronte a questo processo reale
che le manovre controrivoluzionarie con tutto il loro armamento dispiegato,
compresi gli esperti di antiguerriglia e l’attivazione dei berlingueriani,
sono impotenti. Gli attacchi ai covi della DC, ai centri vitali dello Stato
imperialista che si sono sviluppati intorno alla battaglia Moro, sono un primo
momento che indica la necessità che su questa linea si estenda e approfondisca
l’attività di combattimento concentrando l’attacco armato
contro i centri vitali dell’imperialismo costruendo nel proletariato il
PCC, perché questa è la strada per inceppare e vanificare i piani
delle multinazionali, e per non permettere la sconfitta del movimento proletario,
annientare definitivamente il mostro imperialista e costruire una società
comunista. A questa prima valutazione seguirà necessariamente un bilancio
complessivo politico-militare della battaglia, che verrà reso noto attraverso
canali clandestini, al movimento rivoluzionario e alle OCC. La lettura dello
Stato che le BR evidenziano nella battaglia Moro è tesa ad inquadrarlo
costantemente nel suo stretto rapporto col sistema imperialista. Questo per
evidenziare come questo inserimento comportava l’ultimazione di quei passaggi
affinché diventasse a pieno titolo uno stato imperialista. L’analisi
è perciò mantenuta su questo terreno ed è quindi necessariamente
di tipo generale e quindi prevalentemente calibrata sulla trasformazione. E
questo per la necessità che ci fosse il massimo di coscienza sulla natura
di questa trasformazione, che segnava un passaggio cruciale per le BR e per
il proletariato, e come si sarebbe dato questo passaggio era di enorme importanza
per le sorti dello scontro rivoluzionario. Quando le BR accennato al fatto che
lo Stato si stava liberando degli ultimi residui di “Stato-nazione”
non intendono caratterizzare la sua “arretratezza” visto che anche
in Italia il personale politico imperialista nei partiti e nella burocrazia
di Stato era già egemone, ma legare la sua specificità di percorso
al suo essere comunque interno al sistema imperialista e nel sottolineare questo
rapporto, chiarificare la natura della trasformazione da attuare, vale a dire
liberarsi di questi residui per la BI significava adeguare le forme istituzionali
in modo da completare anche il processo politico necessario allo Stato imperialista.
In sintesi, questo modo di porre la questione dello Stato rispondeva in effetti
alla situazione di allora in cui quel preciso passaggio dello Stato imperialista
era fortemente “promosso” dagli altri Stati imperialisti che richiedevano
una stabilizzazione a loro necessaria dell’Italia, in quanto anello debole
proprio per quella specificità a cui la riforma istituzionale in qualche
maniera intendeva dare soluzione.
Un quadro dello Stato che in seguito, evolvendo non si presenterà più
in questi termini, non vi è dubbio che la battaglia Moro è la
prima iniziativa che entra direttamente nel rapporto di scontro con lo Stato,
nel senso che per la prima volta viene affrontato nel suo significato di attacco
agli equilibri politici dominanti. E questo comporta che tutte le argomentazioni
e di tipo propositivo e di analisi politica sono incanalate sull’attacco
allo Stato, e stante il livello raggiunto dal processo rivoluzionario questo
significava anche capacità di articolazione dell’attacco a tutti
i livelli dell’aggressione imperialista, attacchi che dovevano essere
sempre in rapporto ala contraddizione principale e, all’interno di essa
sull’aspetto dominante della congiuntura. In altri termini articolare
a tutti i livelli l’attacco non significava colpire indiscriminatamente
simboli o contraddizioni secondarie, ma indirizzarlo sempre sugli equilibri
politici dominanti, ovvero gli equilibri di potere allora incarnati soprattutto
alla DC. Ed erano materialmente dati dalle forze organizzate della guerriglia
sul territorio nazionale, in altri termini l’articolazione dell’attacco
dai nodi nevralgici ai centri periferici riflettere concretamente la costruzione-elevamento
della guerra di classe fatto vivere nel duplice piano dell’iniziativa
combattente, cioè, di distruzione/costruzione, come è esplicitato
dallo slogan: “a tutti i livelli dell’oppressione imperialista,
a tutti i livelli della composizione di classe”.
In altri termini già in quella congiuntura le BR si misuravano con la
necessità di connettere in un processo politico-militare il più
possibile unitario l’attacco, la costruzione e elevamento della guerra
di classe, in quanto processo che viveva realmente di questi termini stante
anche la mobilitazione armata che si è sviluppata con la battaglia Moro
e che poneva compiti di direzione rispetto all’innalzamento e sempre presente
nella coscienza dell’O ed è lo scopo a cui lavorano proprio dentro
a quella che era l’analisi di passaggio di fase in riferimento a cui intendevano
costruire le condizioni più favorevoli per il terreno rivoluzionario,
con l’obiettivo di trasformare una guerra civile strisciante e ancora
dispersa in guerra civile. Entro questa coscienza le BR lavorano alla sedimentazione
di questi livelli d’iniziativa politico-militare in organizzazione di
classe armata, in questo senso cruciale era verificare le iniziative sull’indirizzo
strategico di attacco allo Stato, capace di mettere il MPRO nelle condizioni
di fare i salti politici, vale a dire la capacità di assumersi la responsabilità
della direzione della guerra di classe, e cioè consolidamento dell’organizzazione
rivoluzionaria della classe con riunificazione del PM e unità dei comunisti
per la costruzione del PCC. Quello che va sottolineato è che gli obiettivi
politici su cui hanno lavorato le BR (indicazioni di combattimento, i salti
da compiere sul terreno di direzione, chiarificazione del terreno di guerra
di classe, su cui tale intervento era la l.a. …) erano assolutamente indispensabili
considerando che lo scontro rivoluzionario si situava in una congiuntura di
transizione dentro la quale la guerra di classe avanza nei termini posti dall’O
o si sarebbe corso il rischio di perdere terreno e d are alla BI e allo Stato
tempo e modo di reagire e “riprendersi” dallo stato di crisi politica,
così da riaggiudicarsi il suo intervento sull’andamento dello scontro.
Non erano perciò “obiettivi” “troppo avanzati”
come spesso è stato detto fuori luogo nelle critiche postume, ma quelli
necessari e corrispondenti a quella situazione dello scontro, casomai è
vero, al contrario, che la loro non completa realizzazione è stata causa
dell’accumularsi critico delle contraddizioni in campo rivoluzionario.
A merito dell’O va detto che nella gestione della battaglia e più
in generale nella campagna di primavera questi obiettivi politici, oltre ad
essere stati da essa praticati, sono stati propagandati al massimo affinché
il MPRO assumesse in piena coscienza il terreno della guerra di classe nei termini
in cui doveva essere assunto in quella congiuntura di transizione, affinché
superasse i particolarismi e le visioni delimitate dello scontro. Da un punto
di vista più generale, la gestione della battaglia Moro è esemplare
nel come riesce ad esplicitare l’articolazione della LP (linea politica)
della DS ’78, ma soprattutto nella sua essenza incarna l’assunzione
e la esternazione della legalità rivoluzionaria e proletaria, materializzata
al massimo grado nel processo popolare. Questione di grande importanza strategica
ed ideologica, in riferimento alla pratica del contropotere proletario possibile
nel corso del processo rivoluzionario e che ha un forte valore propedeutico
nell’esercizio della giustizia proletaria in quanto sorte della BI è
quella di essere alla fine giudicata e condannata dal PM.
Restano da fare considerazioni generali aperte dalla congiuntura di transizione
sul piano dell’agire tattico. Infatti l’iniziativa Moro si situa
al coronamento del processo di sviluppo della guerra di classe raggiunto fino
a quel momento che aveva prodotto con lo sviluppo dell’autonomia di classe
e del MPRO, un vasto potenziale rivoluzionario con caratteristiche da “guerra
civile strisciante”. In questo quadro la cattura di Moro è la battaglia
principale di una campagna che le BR approdano ai fini del cambiamento della
fase rivoluzionaria. Si trattava cioè, a fronte di uno scontro che al
lato della crisi della BI evoleva obiettivamente dalla “pace armata”
alla “guerra”, di assumere l’iniziativa per stabilire le condizioni
rivoluzionarie in grado di sviluppare le premesse alla guerra civile. In questo
senso la battaglia se da un lato porta ad esaurimento le caratteristiche delle
fasi rivoluzionarie di propaganda armata, nel contempo ha in se le premesse
proprie dell’agire tattico che deve vivere nella congiuntura di transizione
vale a dire un agire che, pur dominato ancora dalla massima disarticolazione
politica dell’attacco allo stato, deve operare a un certo grado di distruzione
pol-mil del nemico.
Infine le caratteristiche della battaglia che va dalla cattura al processo all’esecuzione
di Moro contengono tanto in concreto quanto in potenziale le tre direttrici
di sviluppo della guerriglia:
- concentrazione e mobilità delle forze per condurre un’azione
rapida e di sorpresa, come si verifica ala momento della cattura;
- prolungamento del tempo ai fini del più ampio sviluppo delle contraddizioni
del nemico e della massimizzazione dei vantaggi politici, che con la battaglia
Moro si è dato con la durata del sequestro;
- muoversi per campagne nell’estensione e attivazione su tutto il territorio
delle strutture di O soprattutto nei grandi poli industriali sullo stesso obiettivo
di combattimento, sviluppando tante azioni contemporaneamente.
Queste direttrici con la battaglia Moro sono portate rispetto alla fase precedente
ad un grado di articolazione maggiore, mentre in ragione del principio tattico
operante in quella congiuntura non si da ancora sviluppo all’altra direttrice,
ossia le grandi e medie battaglie che impegnavano il nemico con forze consistenti.
OPUSCOLO N°5 ottobre 1978
L’opuscolo sviluppa ulteriormente la sintesi politica
e la propaganda sulle direttrici lanciate dalla Campagna di Primavera e in rapporto
a come si era evoluto il terreno da questa aperto. Con l’estensione della
LA e lo sviluppo stesso del MPRO vengono affrontati in maniera più approfondita
i compiti di radicamento e sviluppo della costruzione della guerra di classe.
Più precisamente viene sviluppata sul piano distruzione-costruzione la
direzione rivoluzionaria e il massimo della dialettica con i settori di classe
operaia attivizzati sulla LA e il MPRO. Quindi, nell’opuscolo, tutta l’analisi
formulata in relazione a questi fini politici, cioè inquadrando gli aspetti
particolari delle politiche dello stato e delle scelte padronali che si ripercuotevano
fin dentro la fabbrica, sul piano complessivo della crisi dell’imperialismo.
Si può però ipotizzare che l’opuscolo sia prodotto dal fronte
delle fabbriche.
Punto di partenza è proprio quello di individuare le linee portanti della
ristrutturazione delle multinazionali ai fini di stabilire le indicazioni di
combattimento, linee interne alle strategie delle multinazionali per far fronte
alla crisi dell’imperialismo. Ed è proprio nel caratterizzare la
crisi dell’imperialismo che si ha la lettura più aderente a quella
che era la fase di scontro sul piano mondiale. Non v’è dubbio che
alla fine degli anni ’70 l’incalzare delle lotte di liberazione,
le lotte della classe operaia in Europa e Usa , la guerriglia nella metropoli
avevano portato all’inceppamento degli strumenti di recupero politico-economico-militare
dell’imperialismo, un vero e proprio accerchiamento dell’imperialismo
che già nel ’75 lo aveva iniziato a stringere d’assedio,
tale da caratterizzare la fase come le BR avevano ben individuato nell’inquadramento
generale della crisi dell’imperialismo fin dall’inizio. Ma è
nel ’78-79 che ci sarà un’impennata quantitativa e qualitativa
dei processi di liberazione dei popoli e di lotta di classe tale da divenire
chiaramente il fattore determinante la crisi e a qualificarla come crisi di
egemonia. In sintesi, quest’ultimo fattore, sopraggiungendo alla crisi
strutturale porta la crisi ad un livello generale e complessivo, le lotte di
liberazione e di classe, in quella fase, erano i catalizzatori della crisi interna
del capitale, tali che le stesse contromisure prese si trasformavano in ulteriori
fattori di contraddizione. Come non mai, quando la crisi raggiunge caratteri
complessivi, l’imperialismo reagisce come sistema, una reazione che ha
alla base l’interdipendenza economica che fa si che la crisi si ripercuota
su tutti gli anelli e in questo caso proprio per la sua gravità tocca
anche paesi forti, ma è l’accerchiamento da parte delle lotte di
liberazione e di classe che mettendone in discussione il dominio costringe gli
organismi soprannazionali dell’imperialismo ad adottare strategie di sopravvivenza
e in difesa degli interessi delle multinazionali. E poiché l’elemento
scatenante della crisi è dato proprio dalla messa in discussione del
piano del potere la strategia è quella della ristrutturazione degli strumenti
di dominio, sia dentro gli stati che a livello degli organi soprannazionali.
In questo senso il carattere di queste ristrutturazioni è intrinsecamente
controrivoluzionario in quanto prerequisito è fare indietreggiare le
posizioni raggiunte dalla classe operaia e dai movimenti di liberazione. Accerchiamento
che le BR sottolineano non significa “capitolazione” dell’imperialismo,
ma sviluppo di processi di ristrutturazione dei suoi strumenti di dominio.
L’aver identificato la crisi di dominio come fattore caratterizzante la
crisi in quella fase significava tutt’altro che mettere in secondo piano
le contraddizioni economiche in quanto proprio queste venivano acutizzate dall’influenza
immediata dei fattori politici di crisi sia per la sottrazione di mercati determinata
dalla liberazione dei paesi dipendenti, insieme alla loro maggiore forza contrattuale
sui prezzi delle materie prime, sia per la forza della classe operaia che opponeva
una maggiore rigidità allo sfruttamento, con una tenuta dei salari, limitando
profitti. In questo senso le BR non concedono niente a letture fenomeniche,
che erano alimentate da come allora si presentava la crisi di un dominio forzoso
privato delle contraddizioni fondamentali del capitale da superimperialismo,
al contrario la loro lettura scaturisce da un’analisi marxista rigorosa
della dinamica del capitale e dei caratteri di sviluppo contemporanei, cosa
dimostrata anche in questo opuscolo, dove oggetto centrale dell’analisi
sono i termini economici. I compagni partono dall’analizzare gli aspetti
più evidenti, tipici di quel periodo, che immediatamente si ripercuotevano
sulla crisi dei profitti, vale a dire il ristagno della domanda e gli alti tassi
di inflazione, legando giustamente questi aspetti alla limitazione dei profitti
determinata dalla forza della classe operaia e dai processi di liberazione.
Questa limitazione dei profitti è l’espressione ultima della crisi
di sovrapproduzione e di caduta del saggio medio di profitto alla base dell’inceppamento
dei meccanismi dell’accumulazione capitalistica ed è proprio in
questo punto dell’analisi che è evidente l’impostazione materialistica
dei compagni (fuori da concezioni d crisi crollo) consapevoli della dinamica
intrinseca al capitale che attraverso la dialettica crisi-ristrutturazione pone
in essere processi di concentrazione, da un lato, e di espansione dei suoi mezzi
di produzione, dall’altro.
N. lo scritto presenta discontinuità e avanzamenti rispetto all’approfondimento
e articolazione dell’analisi economica. Discontinuità laddove per
argomentare il carattere della crisi si ricade negli errori di crisi di sottoconsumo
(come nella DS ’75), nello specifico nel far coincidere il significato
di sovrapproduzione con la produzione di troppe merci rispetto all’assorbimento
del mercato, mentre è noto che si deve parlare di sovrapproduzione quando
periodicamente si producono troppi mezzi di produzione, merci, ecc… che
sono superflui rispetto al grado di sfruttamento richiesto, cioè che
non possono agire come capitali. È vero che alla crisi generale di sovrapproduzione
si univa l’esaurimento del ciclo espansivo con la messa in crisi dei settori
produttori di beni di consumo, eh verosimilmente per la sua dimensione appariva
come l’aspetto predominante considerando che alla caduta della domanda
dei beni di consumo seguiva l’aumento dei prezzi delle materie prime,
vedi petrolio, e il perverso meccanismo dell’iperinflazione innescato
dalle politiche keynesiane di quel periodo, basate su una leggera stimolazione
dell’inflazione. Tutti fenomeni tipici di allora che i compagni individuano
correttamente come gli “aspetti evidenti” della crisi.
In riferimento ai caratteri della crisi, cioè di sovrapproduzione assoluta
di capitali, da cui il capitale può uscirne solo riattivando i meccanismi
di accumulazione e riallargando la base produttiva, due erano le soluzioni fondamentali
possibili in quella fase: la rima relativa alla produzione nel cuore dell’imperialismo
si basava sull’introduzione di nuove tecnologie che comportavano processi
di riconversione e ristrutturazione di enorme portata perché investivano
tutto l’apparato produttivo, una scelta obbligata stante la rigidità
acquistata dalla classe operaia nel centro imperialista. La seconda era data
dall’esportazione nei paesi dipendenti dei mezzi di produzione obsoleti,
sulla cui base si rideterminavano i rapporti di sfruttamento e subalternità
verso questi paesi.
L’intervento degli organismi soprannazionali a sostegno del capitale,
che è una costante nella fase dell’imperialismo, assume in rapporto
alla natura della crisi ed alla sua generalizzazione un carattere di rigida
“pianificazione”,stante la portata delle misure da adottare e considerando
che una simile riorganizzazione dell’apparato produttivo avviene entro
una rigida divisione a livello internazionale delle aree di produzione e di
mercato. Quindi gli organismi soprannazionali, in particolare FMI e CEE, sovrintendono
non solo ai pini generali che si danno in un’ottica internazionale, e
che stabiliscono in dettaglio cosa, come e quanto produrre, ma anche agli indirizzi
specifici che ogni stato è tenuto a seguire. Anche la BI italiana sceglie
di imboccare la strada delle ristrutturazioni, e lo stato al riguardo ha già
predisposto un “piano di riconversione industriale”, ovviamente
interno al rigido indirizzo dato dagli organismi soprannazionali, funzionale
a sostenere lo svolgersi di questa riconversione, stabilendo priorità,
condizioni e finanziamenti. Le BR sottolineano il ruolo che svolge lo stato
al servizio della BI quale supporto indispensabile soprattutto per farla uscire
dalla crisi, con l’obiettivo di ridare efficienza all’apparato riproduttivo
ristrutturato a livello multinazionale e questo stando obbligatoriamente entro
i limiti della posizione gerarchica dell’Italia, senza cioè sconfinare
rispetto ai paesi più forti (USA, RFT, Giappone).
In questa analisi emerge come non mai come si è evoluto il ruolo dello
stato rispetto al suo farsi garante dell’interesse generale della BI come
si evince dallo stesso piano di riconversione a sostegno del proprio capitale
multinazionale, un dato che proprio in rapporto alla fase odierna dell’imperialismo
vive in stretta interazione con le pianificazioni economiche degli organismi
soprannazionali, una peculiarità dell’oggi alla cui base sta l’integrazione
e l’internazionalizzazione raggiunta dal capitale multinazionale. Livelli
di intervento che per quanto intendano sostenere il capitale sono tutt’altro
che la possibilità di pianificare la soluzione della crisi, tant’è
vero che la necessità di allargare la base produttiva non è stata
raggiunta, anzi questa ha visto una sostanziale restrizione.
Secondo il “piano di riconversione” la ristrutturazione doveva seguire
4 direttrici principali:
La prima. Ristrutturazione prioritaria dei settori trainanti a tecnologia avanzata,
prioritaria in quanto vanno garantiti gli sbocchi di mercato alle multinazionali
più forti, che sono quelle che accumulano maggiori profitti. Settori
trainanti che sono il cuore della potenza dell’imperialismo e che riguardano:
nucleare, elettronico, bellico aerospaziale. Di questi settori sono assegnati
all’Italia spezzoni di ciclo produttivo a livello tecnologico intermedio.
La seconda direttrice è la generalizzazione dei sistemi produttivi ad
alto livello tecnologico e a più alta intensità di capitale in
tutti gli altri settori, un processo che porta ad espellere forza-lavoro in
modo massiccio perché l’automazione sostituisce gli operai. È
dalla riconversione di questi settori che i macchinari arretrati vengono esportati
nei paesi del terzo mondo dove le multinazionali ne trarranno ancora profitto
sfruttando la manodopera a basso costo.
La terza direttrice è la riconversione della piccola e media industria
in funzione delle multinazionali.
La quarta direttrice è lo sviluppo del settore bellico.
Le BR analizzano questo aspetto come uno sviluppo legato agli sbocchi di guerra
controrivoluzionaria al proprio interno che di guerra imperialista. In questa
logica il settore viene visto come destinato a una sicura espansione, argomentata
con i dati della “corsa agli armamenti” (spese Nato nel conflitto
Est/Ovest) e dati statistici sul mercato delle armi, in cui si è inserita
anche l’Italia. L’attenzione dei compagni è soprattutto focalizzata
sull’armamento dello stato per l’ordine pubblico: le produzioni
di armi per questo fine vengono viste in progressione, con un “contagio”
sui rimanenti settori economici tanto da accennare a esigenze di “economia
di guerra”. Ma a parte questa affermazione imprecisa e poco argomentata,
una affermazione giusta è che lo sviluppo bellico non sarà mai
una soluzione alla crisi perché improduttivo, in quanto il capitale non
fa la sua circolazione, rialimentando la crisi e aggravando il bilancio dello
stato.
I settori produttivi individuati sono quelli in cui si concentrano le contraddizioni
principali sia tra i vari strati di borghesia che tra borghesia e proletariato,
in questo senso per la BI affrontare nel modo dovuto questa ristrutturazione
significa, da una parte, riassestare i meccanismi di accumulazione del capitale,
ristabilire nuovi livelli di sfruttamento e nuove forme di controllo sulla classe
operaia, motivo per cui saranno questi settori trainanti ad essere per primi
oggetto di ristrutturazione.
La conseguenza dell’applicazione di queste linee di ristrutturazione è
il superamento all’interno dello stato ristrutturato delle contraddizioni
politiche esistenti tra i vari gruppi economici, così che non ha più
senso parlare di contraddizione tra industria pubblica e privata (se non in
forma molto secondaria) in quanto il confronto avviene tra multinazionali che
tendono superare i contrasti politici per spartirsi la torta sotto il controllo
di esecutivo e confindustria (es: ”pace nucleare” tra Fiat e Finmeccanica),
e seguono le stesse linee e logiche nella ristrutturazione, un dato che le BR
sottolineano per sfatare la demagogia del Pci nella difesa dell’”industria
pubblica”.
A dirigere la ristrutturazione dell’apparato economico del paese viene
istituito il CIPI, organismo apposito dell‘esecutivo che comprende i ministeri
economici e la banca d’Italia e che sulle linee del piano di riconversione
industriale” sviluppa piani di settore, interni alle direttive soprannazionali
nell’istituzione stessa di questo organismo si esplicita la tendenza alla
centralizzazione in funzione di una direzione unificata dell’intervento
economico che superi anche le contraddizioni tra istanze politiche, ministeri,
interessi locali. Un approccio che qualifica l’intervento dello stato
nell’economia rispetto a quella fase di crisi e che alla “programmazione”
rispetto alla ristrutturazione unisce il compito fondamentale di reperire i
fondi per le multinazionali ,fondi che nella crisi sono destinati non solo all’industria
pubblica ma anche a quelle private. In ciò si esplicita, nella fase dell’imperialismo,
la funzione cardine dello stato-banca, perché è lo stato che può
farsi carico di rastrellare finanziamenti con l’aumento delle tasse, i
costi dei servizi, ecc., comprimendo le condizioni proletarie, ma, con la crisi,
toccando anche le fasce di piccola borghesia che privata dei suoi piccoli privilegi,
finisce per contrapporsi talvolta alla borghesia imperialista. Per altro verso
i pesi imperialisti usufruiscono dei finanziamenti sul mercato internazionale,
tanto degli organismi finanziari internazionali , quanto negli stati più
forti. A questo proposito i compagni interpretano la necessità di ricorrere
ai forti tagli alla spesa pubblica per reperire fondi del bilancio dello stato
come conseguenza della difficoltà di ottenere finanziamenti sul mercato
internazionale (come se non ci fossero sufficienti risorse per tutti): una interpretazione
che non corrisponde alla realtà dell’economia capitalistica in
quanto se venivano negati i finanziamenti internazionali più che essere
un problema di reperibilità dei fondi, questo manifestava la volontà
di spingere l’Italia a intervenire indirettamente per abbassare il valore
della forza lavoro.
Rispetto ai provvedimenti di quel periodo i compagni registrano tutte le iniziative
e leggi che vengono fatte, compresa quella delle “regioni”. Quest’ultima
in particolare poteva effettivamente dare adito a chissà quali sviluppi
sul piano dell’articolazione locale delle direttive centrali prospettando
un’ipotetica razionalizzazione tra centro e periferia sulla quale poteva
trovare impulso una corrispettiva articolazione locale sia delle linee neocorporative
Stato-confindustria-sindacati che dalle strutture territoriali della confindustria
(le “feder-industria”) nell’ottica di gestire la ristrutturazione
industriale capillarmente. Se la legge sulle “regioni” intendeva
rispondere a questo tipo di esigenze della BI, l’applicazione pratica
è rimasta almeno in quella fase sulla carta, se non sul piano di esiti
di tipo amministrativo, mentre soprattutto lo sviluppo neocorporativo e delle
politiche confindustriali si è dato in senso fortemente centralizzato.
Riguardo alla confindustria si ribadiscono i concetti della DS ’78, quale
centro di iniziativa padronale che nel suo ristrutturarsi ha portato a compimento
la costruzione di un’unità politica sulla linea della borghesia
imperialista. Un processo che dal ’70 al ’78 ha effettivamente unificato
politicamente tutti i padroni (anche piccoli e medi e l’intersind), unificazione
avvenuta soprattutto negli accordi contro la classe operaia. La confindustria
essendo l’asse portante dell’iniziativa imperialista nella ristrutturazione,
è quella che elabora piani e li propone all’esecutivo e che interviene
su ogni ambito e questione della vita politica del paese facendo contare le
sue posizioni. Più precisamente rispetto alla crisi e alle linee per
uscirne la Confindustria, oltre a dotarsi di un suo centro dati, si è
soprattutto impegnata nella formazione di quadri nell’ottica di creare
“manager” rispondenti alla struttura dirigenziale delle multinazionali,
sotto la parola d’ordine dell’efficientismo e l’imprenditorialità,
così da poter articolare in modo univoco ad ogni livello la sua linea
politica nelle ristrutturazioni, una formazione di mananger che è anche
curata direttamente da ogni multinazionale. Queste scuole dirette da “esperti”
il cui ruolo è stato spesso camuffatola studiosi e professori, elementi
dirigenziali da individuare e colpire, non a caso queste teste pensatisi ritrovano
poi negli organismi soprannazionali e nei centri di direzione imperialista e
non è un caso che ruotino nell’area DC, nei suoi centri studi.
Le conseguenze previste della ristrutturazione nelle fabbriche venivano individuate
in:
-La disoccupazione: questa si sarebbe data sia per la chiusura di fabbriche
piccole e medie, sia con la cassa integrazione, pensionamento anticipato, blocco
del turn-over e, dove erano in grado, con licenziamenti politici motivati da
assenteismo. Una disoccupazione che proprio per i piani di riconversione con
l’introduzione di tecnologie che avrebbe comportato, diveniva un dato
stabile e tendenzialmente progressivo, con tutto il portato di contraddizioni
e conflitti sul piano di classe, ma che in ultima istanza, per il loro portato
di radicalizzazione, avrebbe favorito le condizioni dello scontro rivoluzionario.
- La mobilità: strumento che per i padroni aveva, come sempre ha due
obiettivi: il primo è l’utilizzo razionale degli impianti, il secondo
la rottura della capacità di resistenza e lotta della classe operaia,
una mobilità che avviene da reparto a reparto e tra fabbriche dello stesso
padrone, mentre quello che i compagni definivano”mobilità regionale”
nei fatti non si è poi verificata, non solo perché priva dei presupposti
di convenienza economica per il capitalista, ma anche perché non si sono
attivati quegli organismi regionali di coesione prefigurati.
- L’aumento della produttività e quindi dello sfruttamento operaio
che passa in primo luogo con il livello tecnologico che doveva essere introdotto,
e con il taglio dei tempi, aumento dei ritmi, straordinario fino di sabato e
lavoro notturno.
Per garantirsi l’applicazione di queste ristrutturazioni, stante tutte
le conseguenze a carico degli operai, i padroni puntavano su tre strumenti:
patto neocorporativo, militarizzazione delle fabbriche, ristrutturazione del
comando.
La gerarchia di fabbrica doveva essere necessariamente riqualificata in rapporto
al tipo di ristrutturazione che doveva essere introdotta, riqualificazione che
sostanzialmente doveva formare un personale che a tutti i livelli della gerarchia
fosse in grado di avere una visione insieme tecnica e politica, ricomponendo
cioè il lavoro dei “tecnici”, quei dirigenti che dietro le
quinte studiano le tecnologie e come devono essere applicate, e dei “politici”,
incaricati dei rapporti con gli operai e i sindacati. In questo senso le scuole
quadri dovevano formare dirigenti in grado di avere sia la conoscenza del funzionamento
della produzione sia un’elevazione politica e culturale che gli consentiva
di aver chiari gli obiettivi complessivi per cui lavoravano. In sintesi per
colpire la struttura di comando non era sufficiente individuare i capi più
reazionari, ma arrivare ai livelli decisionali sempre più centralizzati
anche se meno esposti, a partire dal loro effettivo ruolo.
Il secondo strumento è la militarizzazione dei luoghi di lavoro con la
velleità di stroncare la capacità di resistenza della classe operaia
e il diffondersi della lotta armata. Da questo punto di vista le fabbriche assomigliano
sempre più a caserme, con la presenza di guardiani, digos in incognito,
accompagnata da una attività spionistica capillare a cui lavorano finti
operai, ex CC, fascisti, ecc. I compagni nella militarizzazione includevano
anche l’introduzione di macchine a controllo numerico (come pure i collaudatori
nelle fabbriche militari). Non v’è dubbio che la macchina a controllo
numerico determina un controllo di quanto produce l’operaio, i suoi tempi
movimenti, ecc, ma ci sembra azzardato motivare la sua introduzione a scopo
di controllo, fuori dalla sua funzione produttiva, sarebbe come trasportare
su un piano soggettivo un portato oggettivo proprio all’introduzione di
macchinari tecnologizzati che di per sé, obbligando l’operaio ai
suoi ritmi, contribuisce al comando dispotico del capitale sul lavoro.
Terzo e più importante strumento è la costruzione del patto neocorporativo
che in quella fase si proponeva di coinvolgere il PCI nella gestione della ristrutturazione
rispetto alle sue conseguenze sulla classe operaia. Una corporativizzazione
che come sempre partiva dal presupposto di marginalizzare l’identità
operaia per coinvolgere gli operai intorno alle scelte padronali e stornarli
dagli obiettivi politici di classe, perseguendo in questo modo il tentativo
di “pace sociale” e isolamento della lotta armata. Su quest’ultima
questione il PCI era particolarmente attivizzato e non solo, ma anche nell’isolare
le avanguardie e tutte le pratiche violente e incisive e denigrare i compagni
che già praticano la lotta armata. Un attivismo che non disdegna la delazione
e lo stretto controllo delle situazioni operaie, fino agli scioperi reazionari
“contro il terrorismo” fatti insieme ai poliziotti.
Nell’analisi del riformismo in rapporto alla crisi e alla ristrutturazione
i compagni affermano che il ruolo del PCI andrà a definirsi sempre più
come apertamente controrivoluzionario in quanto la crisi brucerebbe le possibilità
di risolvere in termini di mediazione le contraddizioni con la classe operaia.
Se ne conclude che la borghesia imperialista si prepara alla guerra come solo
modo di contrapporsi al proletariato. Nella fase passata il PCI aveva potuto
fare una politica basata sul tentativo di deviare in senso riformista le lotte
operaie, tutt’al più reprimendo selettivamente le avanguardie per
contrastare il contropotere operaio, e questo perché in quella fase l’enorme
crescita dei profitti consentiva di rispondere parzialmente alle richieste operaie,
e si dava anche la possibilità dell’ammodernamento riformista dello
Stato, un contesto in cui il PCI poteva parlare di “nuovo modello di sviluppo”
su cui incanalare in senso riformista le tensioni operaie.
Era quello il periodo in cui due ipotesi strategiche si contrapponevano nella
borghesia imperialista, quella golpista, che poi è stata sconfitta, e
quella illuminata che puntava sul pieno sviluppo delle articolazioni dello Stato
democratico, ed è quest’ultima che il PCI caldeggiava cercando
di coinvolgere la classe in un’ipotesi strategica che sfruttava tatticamente
le contraddizioni interborghesi.
Con il blocco dell’accumulazione cadono le mistificazioni riformiste e
i compagni valutano che l’unica strada della borghesia imperialista sarebbe
quella di preparare la guerra contro la classe operaia. In questo quadro il
ruolo del PCI va a smascherarsi fino in fondo costretto a schierarsi organicamente
a sostegno della borghesia imperialista ( come era evidente nel ’73 con
il sostegno al governo di unità nazionale). Ridefinendo il suo ruolo
in funzione della strategia di ristrutturazione imperialista dello Stato facendosi
garante di coinvolgere la classe operaia a sostegno di questa linea strategica.
Una linea che in concreo si traduce in repressione dell’autonomia di classe
e la cogestione per costruire il patto neocorporativo. Per i compagni, cioè,
la borghesia imperialist affida al PCI il compito di “mettere ordine nelle
fabbriche” il che vuol dire opera di individuazione dei compagni che praticano
la lotta armata, e intervento preventivoverso la massa di operai che appaiono
“indifferenti” e quindi sospetti. Intanto sdi rende subito disponibile
alle ristrutturazioni economiche per gestire le conseguenze antioperaie visto
che la resistenza della classe operaia è il principale ostacolo alla
ristrutturazione economico-politica-militare dello SIM, motivo per cui la BI
scatena la guerra contro il proletariato. È rispetto a questi scopi che
il sindacato diviene centrale sia rispetto alla BI che al PCI visto che è
la sola organizzazione di massa degli operai. Si chiede al sindacato di assumere
sempre di più un ruolo politico rispetto alla cogestione necessaria per
costruire il patto neocorporativo. Per contro non ci sono contropartite da offrire,
anzi la crisi porta operai e padroni a scontrarsi sul terreno economico. Questa
contraddizione, intrinseca al progetto del patto neocorporativo, diventa la
contraddizione del sindacato nel rapporto con la classe operaia. L’assunzione
di questa linea si traduce nel fatto che i vertici sindacali si trovano a cancellare
ogni tratto di classe dal corpo sindacale, per potersi adeguare ai modelli di
cogestione inglese e tedesco. Una scelta che si concretizzava allora nel dotarsi
di una nuova linea di politica economica del sindacato: piena occupazione, investimenti,
perequazione dei salari, appoggio alla riforma sanitaria, obiettivi demagogici
che dimostrano la volontà di dialettizzarsi con la ristrutturazione economica
e quindi cogestire le sue conseguenze in fabbrica. Ma malgrado questa volontàil
sindacato è obbligato per la sua stessa sopravvivenza al “consenso”
operaio, ai rapporti con la classe, e quindi, quando non riesce ad incanalare
le lotte, si trova obbligato a cavalcare e anche a promuovere le rivendicazioni
operaie, finendo anche con l’andare in contraddizione con la dichiarata
disponibilità politica dei vertici sindacali. Una situazione contraddittoria
che la classe vive, rispetto al suo istinto di classe, in modo ambivalente:
quando le scadenze sono indette dal sindacato su obiettivi di cogestione, la
partecipazione è scarsa, comunque vissuta passivamente, pur non rinunciando
mai ad ogni scadenza per il rifiuto intrinseco del crumiraggio e degli atteggiamenti
qualunquisti. Se invece è il sindacato a dover cavalcare l’iniziativa
operaia, c’è una forte partecipazione di massa, capace di esprimere
attivamente autonomia politica, motivi questi per cui il sindacato limita più
che può le iniziative di sciopero e mobilitazione,proprio perché
non è in grado di controllare il movimento di resistenza che si è
sviluppato a partire dalle fabbriche intorno alla l.a. contro la ristrutturazione.
La L.A. per il C che ha spazato via le illusioni gruppettare e neorevisioniste
dando forza e continuità al movimento di resistenza.
Nota. In alcune parti di questo documento ci sembra si intraveda
la contraddizione relativa alla linearizzazione del giusto concetto del passaggio
dalla fase generale di pace armata, alla guerra, visto come processo già
in atto, di scelta della borghesia imperialista nel rapporto col proletariato,
come si evince dalle considerazioni sul bellico e, in modo più evidente
nell’analisi sul riformismo tale da renderla controversa. È evidente
che questa contraddizione in questo documento è solo embrionale, non
è ancora una teorizzazione, come lo sarà in futuro, verosimilmente
indotta in questo stadio dal leggere la progressione della lotta armata sul
territorio nazionale e i provvedimenti controrivoluzionari antiguerriglia dello
Stato come l’immediata assunzione dei termini di guerra in forma assoluta
da parte dello Stato di contro alla classe lettura che già contiene l’inevitabile
impoverimento dell’analisi dello Stato e dei suoi strumenti di governo,
ad esempio laddove si afferma che sono “bruciati” i margini di mediazione
“riformista” rispetto al rapporto con la classe. Si argomenta ciò
confondendo in primo luogo riformismo e socialdemocrazia. Mentre la socialdemocrazia
è effettivamente stata espressione della fase di espansione delle forze
produttive, e quindi storicamente da tempo esaurita, il riformismo è
espressione politica propria allo Stato imperialista, ai suoi strumenti di governo,
intrinsecamente legato all’annientamento e, in quanto tale, la crisi economica
non elimina le condizioni della sua esistenza restando una necessità,
pur nella mera forma ideologica e questo anche quando nella fase della guerra
prevale il termine dell’annientamento rispetto al riformismo.
Ulteriori argomentazioni su questa falsariga sono portate equivocando la congiuntura
politica precedente, quella che a partire dai sovrapprofitti aveva fatto vivere
l’ipotesi del compromesso storico come se si fosse di fronte ad una espansione
delle forze produttive, quando, come si è detto negli altri documenti
è dagli anni ’70 che il capitale, entrando nella crisi generale
di sovrapproduzione, non può più espandere le sue forze produttive.
In sostanza, per sostenere l’abbaglio politico di una entrata in guerra
della borghesia imperialista contro il proletariato in quella congiuntura, se
ne dà una motivazione economica legata alla crisi, confondendo aspetto
particolare con il piano generale. Dentro questo schematismo in cui è
analizzato anche correttamente il ruolo del PCI, viene potenzialmente unificata
l’analisi corretta fatta nella DS ’78 sull’avvicendamento
delle fasi pace armata-guerra, in cui i compagni non assolutizzano mai del tutto
uno dei termini del binomio riformismo-anientamento, perché anche nella
fase di prevalenza degli strumenti controrivoluzionari e repressivi contro la
classe, lo Stato continua ad usare gli strumenti politici, un piano di totale
guerra col proletariato è pressoché impossibile a sostenere, a
meno che non ci si trovi vicino alla presa del potere, con una crisi rivoluzionaria
matura, questione più che confermata nel periodo della controrivoluzione
degli anni ’80, nel pieno di quella fase obiettiva di guerra.
Detto questo la funzione del riformismo nella crisi e quindi l’evoluzione
in cui era entrato il PCI è ben analizzata, rispetto alle ragioni economiche
e politiche, in primo luogo rispetto al suo coinvolgimento controrivoluzionario
a sostegno dello Stato e di supporto ai processi di ristrutturazione dello Stato
soprattutto perché messi in discussione dall’innalzamento della
guerriglia e dall’estensione dell’autonomia di classe. Sarà
la crisi nel suo aggravarsi, nonostante la difensiva rivoluzionaria, che creerà
le condizioni oggettive e politiche che da un lato renderanno obsoleta la vecchia
classe dirigente e dall’altro costringeranno le forze riformiste a “farsi
Stato” per salvare lo Stato.
N. 2 l’analisi sul sindacato rispecchia fedelmente il ruolo che questo
ricopriva e i cambiamenti che lo investivano soprattutto in quella fase e questo
perché, parlando di un terreno in cui l’attività dell’O
è estesa e articolata, cioè la fabbrica, vengono colte le dinamiche
reali che riguardano il rapporto tra il movimento operaio e il sindacato e quello
che implicava lo sviluppo dell’autonomia di classe nel suo legame con
la l.a. Un quadro di relazioni in cui risalta il condizionamento al “
consenso” a cui è soggetto il sindacato e quindi la contraddittorietà
che ne consegue per le scelte del sindacato. Un dato questo che non è
eliminabile malgrado l’evoluzione del neocorporativismo con tutto quello
che ha comportato sia rispetto al progressivo cambiamento delle forme di rappresentanza
in fabbrica che della struttura organizzativa e gerarchica del sindacato. Si
può dire che tutti i passaggi affermati dal neocorporativismo, possibili
entro una condizione politica sfavorevole al proletariato, hanno necessariamente
comportato una progressiva formalizzazione del rapporto sindacato-base operaia
sia con l’istituzione di filtri ai vari livelli rispetto alle sue rappresentanze
dirette in fabbrica con l’inclusione di istanze esterne alla rappresentanza
operaia) sia istituendo consultazioni tipo referendum che hanno reso sempre
più formale il rapporto tra operai e istanze sindacali. Nel contempo
le stesse istanze sindacali, dai direttivi in su, hanno subito una riformulazione
organizzativa che ha svuotato i quadri intermedi delle problematiche che avevano
per renderli funzionali all’applicazione delle decisioni dei vertici.
Modifiche che sicuramente hanno reso più agibile la politica neocorporativa
dei vertici sindacali ma che, per quanto sia divenuto rarefatto il rapporto
con la classe operaia, non eliminano l’influenza di questa sulla politica
sindacale, e questo per il ruolo politico che ricopre la classe operaia nello
scontro, nonostante la sua relativa debolezza odierna. Un ruolo che spiega anche
il fiorire del sindacato di base avvenuto dentro al venir meno del ruolo tradizionale,
per i rapporti di classe in Italia, del sindacato.
Nella parte propositiva lo spaccato che le BR danno dello Stato del MPRO (Movimento
Proletario di Resistenza Offensivo) è una lezione di metodo e lucidità
politica che manifesta la profonda internità delle BR alla classe. Da
una parte i compagni riescono a valorizzare la portata reale del MPRO rispetto
all’evoluzione dello scontro rivoluzionario, movimento che è cresciuto
in quantità e qualità per estensione, radicalizzazione, forme
di resistenza, area di consenso alla l.a. Nel contempo questa lettura si avvale
di un criterio metodologico di classe in grado di discriminare i comportamenti
operai e proletari in tutte le sfumature e i livelli che compongono l’attività
del MPRO, cioè rientrano in questo movimento tutti quei comportamenti,
individuali, collettivi, legali o clandestini, sindacali o politici, che si
oppongono alla ristrutturazione imperialista. In altri terminasi moltiplicano
gli episodi di resistenza alla ristrutturazione in fabbrica sempre più
spesso di tipo autonomo e, per altro verso, si organizzano azioni armate contro
i capi, pestaggi, ecc…., sempre più aperta è la contestazione
della politica del PCI rispetto all’accordo a cinque e al sindacato.
Unitamente alla capacità di analizzare i comportamenti operai che rientrano
nel movimento offensivo, si sottolinea l’importanza della scesa n campo,
con la crisi, degli strati proletari espulsi dal processo produttivo con la
ristrutturazione. Strati destinati a crescere quantitativamente e che sono il
miglior alleato della classe operaia, ma è quest’ultima che costituisce
il principale strato di radicamento della lotta armata.
Più in particolare i compagni valutano che nell’ultimo anno il
salto di qualità che si è verificato ha significato un allargamento
di massa del consenso alla l.a. e una maggiore comprensione dei termini politici
dello scontro che ha portato all’assunzione spontanea di livelli organizzativi
armati e clandestini da parte di nuclei operai che affiancano le OCC (Organizzazioni
Comuniste Combattenti). Un’evoluzione che per estensione e qualità
politica non ha precedenti (gli attacchi organizzati spontaneamente contro la
DC, i carabinieri, nelle fabbriche…) e che, pur nella loro parzialità
si riconoscono in una strategia unificante, quella dell’attacco al cuore
dello Stato. In questo i compagni ravvisano un passaggio sempre più aperto
alla guerra di classe.
N. in quest’ultimo passaggio ci sembra che è ravvisabile ancora
una volta la contraddizione potenziale della linearizzazione e anticipazione
della fase di guerra. In altri termini se non c’era dubbio che l’attacco
al cuore dello Stato era la parola d’ordine a cui si relazionava l’iniziativa
spontanea e che vi era un obiettivo riconoscimento della linea strategica unificante,
cioè la strategia della l.a., questo dato, per costituire un effettivo
spostamento sul piano della guerra di classe, poteva darsi soltanto dell’attivo
intervento soggettivo dell’avanguardia, che solo con la sua opera di direzione
poteva modificare qualitativamente i caratteri del MPRO per la concretizzazione
degli elementi soggettivi della fase rivoluzionaria di guerra. Motivo di questa
sfasatura non è affatto la tendenza a negare il rapporto coscienza/spontaneità
e la funzione di Partito, ma è verosimilmente il prodotto dell’anticipazione
dei caratteri di fase di guerra come se tutti i processi rifossero accelerati
e risolti di per sé, una sfasatura a nostro avviso alimentata sempre
dal contesto congiunturale di crescita rivoluzionaria della fase scontro, una
sfasatura che solo più tardi e unitamente all’insorgere di altre
contraddizioni, contribuirà alle deviazioni politiche.
Si afferma giustamente che proprio il legame che si è stabilito tra l’attività
delle OCC e questo movimento di resistenza offensivo,con le sue caratteristiche
di estensione, coscienza politica, radicalizzazione e continuità che
fa traballare l’accordo a cinque, delegittimando e smascherando la cogestione
e il ruolo collaborazionista dei berlingueriani.
È a partire da questo dato qualitativo dello scontro che l’attacco
della BI non si limita più a colpire l’avanguardia, ma cerca di
rompere le radici che questa ha affondato nella classe operaia, intenzione che
se già si era manifestata in una campagna terroristica di stampa rispetto
ai settori operai dell’area torinese e ligure, dopo l’azione Moro
con le leggi speciali opera con vere e proprie azioni di guerra contro interi
quartieri proletari. Ma tra i termini dello scontro il principale è la
crescita del terreno rivoluzionario. Ed è a partire da questa crescita
che i compagni criticano e analizzano la politica del riformismo in quel momento.
Si individua con chiarezza il ruolo assegnato dalla borghesia imperialista ai
berlingueriani, che nella cogestione è quello di reprimere e fare del
terrorismo rispetto alla l.a. e alle avanguardie di classe, motivo per cui le
avanguardie dovevano assumersi il compito di fare chiarezza negli ambiti di
classe riguardo al ruolo dei berlingueriani, affinché questi fossero
isolati politicamente. Ma questo significava anche precisare che i riformisti
non sono la contraddizione principale, perché se è vero che costoro
si identificano totalmente con i problemi e le direttrici imperialiste, sono
un aspetto complementare la cui esistenza è un prodotto dell’esistenza
del capitale.
Una precisazione indispensabile di metodo e di merito che contribuisce a mettere
nella giusta luce l’affermazione contenuta nella DS ’78 circa il
ruolo ideologico e controrivoluzionario che i riformisti vanno ad assumere nell’approfondimento
della guerra di classe, motivo per cui non è escludibile che andranno
affrontati anche militarmente. In altre parole vanno attaccati per il ruolo
di spie e infiltrati che si sono assunti, e non in quanto esponenti del partito
riformista.
Proprio a partire dal ruolo che i berlingueriani (e il sindacato) si erano già
assunti in quella fase contro la guerriglia e cioè di individuazione
delle avanguardie che praticavano la l.a. i compagni spiegano ancora i comportamenti
di classe nei confronti dei riformisti, con quel criterio che espressione della
massima coscienza di classe e che sa leggere nel modo dovuto quelli che possono
apparire comportamenti “contraddittori”: la diminuzione delle contestazioni
palesi,anche clamorose degli operai contro il sindacato e i PCI, che poteva
apparire come un calo di tensione dell’autonomia di classe, in realtà
indicava l’adeguarsi degli operai ad una situazione di criminalizzazione
e spionaggio, a cui facevano fronte sul piano generale con atteggiamenti di
indifferenza, in particolare assumendo logiche clandestine anche nel ricollocare
il dibattito. Un’attivazione del dibattito per linee interne a gruppi
operai che soprattutto sposta la problematica della discussione dai problemi
sindacali a quelli della l.a. Questo dimostrava già la forte politicizzazione
dello scontro ma soprattutto la conferma che nella coscienza del proletariato
era ormai radicata la necessità storica della lotta armata.
A conclusione di questa valutazione dello stato delle OCC e della ricchezza
politica che si è maturata, dei livelli di combattimento espressi dal
movimento, riguardo al trovarsi di fronte ad una situazione di passaggio di
fase rivoluzionaria, se ne precisano i termini e i compiti che comporta, sia
come indicazioni che come atteggiamento tattico, nel senso che col progressivo
esaurirsi della fase di PA (Propaganda Armata) si entra in quella di disarticolazione
dello Stato in tutte le sue ramificazioni, nella prospettiva della guerra civile
vera e propria. Un cruciale passaggio che imponeva un salto di qualità
alle OCC in termini di comprensione e di iniziativa politico-militare. Da qui
la necessità di chiarire (e liquidare) le tendenze erronee presenti nel
movimento rivoluzionario: la tendenza al sindacalismo armato che significava
tramutare la l.a. in forma difensiva come strumento per difendere gli spazi
acquisiti. Contro questa linea economicista c’è il massimo della
chiarezza e determinazione considerando che proprio nell’intervento in
fabbrica si presentavano già i primi episodi di sindacalismo armato.
All’interno di ciò si critica anche il sabotaggio dei mezzi di
produzione in quanto del tutto inadeguato alla fase dello scontro perché
forma tradizionale di resistenza individuale della classe operaia e l’alzare
il tiro su questo terreno non la qualificava diversamente. Poi, però
a patire dall’errore di valutazione su alcuni aspetti delle innovazioni
tecnologiche, come le macchine a controllo numerico, viste come elemento di
repressione, si concepisce un livello di intervento su questo terreno. Una contraddizione
in termini considerando che la critica al sabotaggio è motivata richiamandosi
al fatto che bisogna interpretare i bisogni politici della classe operaia, la
sua esigenza di potere , dando respiro strategico nel combattimento contro la
struttura imperialista, di momenti parziali di resistenza della classe operaia.
A conclusione dell’opuscolo viene posto al centro dei compiti della fase
di scontro la costruzione del PCC come improrogabile, precisando che la costruzione
del Partito non può essere intesa come una sommatoria di forze, ma si
da dentro un confronto e una battaglia politica anche aspra sulla costruzione
di una linea politico-militare. Solo così, infatti, è possibile
riunificare le espressioni parziali di resistenza, non disperdendo il vasto
potenziale che si è prodotto, vale a dire nella capacità di sintetizzare
al punto più alto quello che si esprime nel movimento di resistenza,
articolando l’attacco a partire dalla contraddizione principale nel suo
aspetto dominante. Solo nel Partito è possibile riunificare intorno alla
direzione della classe operaia tutti gli strati proletari che si sono mobilitati
in questa fase e che hanno contribuito all’estensione e alla radicalizzazione
del movimento. Per altro verso la costruzione del Partito si da solo a partire
dalla più stretta clandestinità, che va intesa in senso strategico
e non difensivo e dentro ai criteri del centralismo democratico. Solo così
è possibile confrontarsi e resistere alla repressione e all’accerchiamento
strategico dell’imperialismo pur vivendo in mezzo al popolo. Queste sono
le premesse indispensabili per l’organizzazione del reparto più
avanzato della classe operaia nucleo strategico dell’esercito proletario
nella prospettiva della guerra di popolo di lunga durata.
Proprio in riferimento ai cambiamenti della situazione rivoluzionaria che evolvevano
nel superamento della fase della PA non si trattava più tanto di radicare
la l.a., ma di organizzare la lotta sotto la direzione del Partito, un obiettivo
che comportava già in quella fase la costruzione di un Programma in grado
di riunificare i diversi terreni di combattimento così da articolarli
all’interno di un’unica linea strategica. Entro questa prospettiva
sono consequenziali le indicazioni al MPRO: organizzarsi sulla l.a. articolando
le indicazioni delle OCC per estendere le lotte contro la ristrutturazione nelle
fabbriche, unificarsi intorno alla costruzione del PCC sul programma strategico
della Guerra Civile Antimperialista per il Comunismo.
Nota. Pensiamo di poter affermare che l’opuscolo sia il prodotto del fronte
delle fabbriche, in quanto nella sintesi politica e nelle indicazioni si riflette
la tipica attività del FF (Fronte delle Fabbriche). Se consideriamo che
la DS ’78 poneva la necessità di un rilancio dell’attività
dei fronti e tenendo presente l’innalzamento dello scontro a seguito della
Campagna di Primavera, l’opuscolo dimostra proprio l’impulso che
vuole essere dato all’attività di fronte. Infatti è tangibile
dall’opuscolo la volontà di far vivere il principio che i fronti
sono i vettori della linea politica sui terreni specifici di combattimento,
cercando di concretizzare un nodo posto dal rilancio e cioè che i fronti
dovevano assolvere alla centralizzazione politico militare nella funzione di
direzione in relazione all’estensione nel territorio delle strutture d’O.
Ovvero tutte le iniziative particolari che si davano sul terreno delle fabbriche,
nonché la loro dimensione parziale, sono riportate al piano generale
e sempre ricondotte al punto più alto dello scontro. In questo senso
a partire dall’analisi della ristrutturazione in fabbrica e ella controparte,
le iniziative di combattimento dirette contro tutti i diversi livelli del comando
in fabbrica, della linea confindustriale, della DC, dei CC … sono articolazioni
interne alla linea d’attacco unificante contro la ristrutturazione imperialista.
Alla stessa maniera l’analisi della situazione politica in fabbrica sia
in rapporto ai padroni che ai riformisti è ricondotta al quadro dell’analisi
generale, ovvero alle tendenze reali operanti nel rapporto generale tra le classi.
Sotto questo profilala riprova in positivo sta nel collocare sul terreno generale
la lettura particolare di quello che si verificava sul terreno di scontro in
fabbrica e nel contempo nel ricondurre le espressioni particolari di lotta sul
terreno generale.
Un’ulteriore dimostrazione dell’impulso che come fronte si intende
dare all’attività di direzione sta nel porre indicazioni generali
dell’O quale piano propositivo rispetto al movimento rivoluzionario e
ai gruppi organizzati sulla l.a. che agivano sul terreno delle fabbriche, come
anche sta nelle valutazioni che vengono date sull’evoluzione dello scontro
riv allora in atto.
A questo proposito due passaggi dell’opuscolo dimostrano come i compagni
abbiano il polso concreto delle modifiche che stanno intervenendo sul piano
rivoluzionario in quanto sono in grado di cogliere nel profondo quello che ha
innescato la crescita dei fattori soggettivi della rivoluzione, in particolare
quando si valutano lo sviluppo del MPRO, per le caratteristiche che ha raggiunto
in rapporto a quanto immesso dalle OCC, un rapporto che ha costituito elemento
qualificante dell’evoluzione della fase rivoluzionaria. Una valutazione
che mette a fuoco una modifica divenuta irreversibile nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione
a prescindere dal subentrare delle fase di ritirata e dal conseguente riflusso
del MPRO.
Valutazione che non poteva che essere tratta a seguito della Campagna di Primavera,
a partire dalla ricchezza politica che questa ha sviluppato, come anche solo
in quel momento poteva essere rilevato in tutta la sua portata politica il fatto
che nel proletariato si era radicata la coscienza della necessità storica
della lotta armata.
In altri termini l’affermazione generale resa possibile dall’esordio
della guerriglia, e cioè che solo questa rispondeva ai bisogni politici
del PM (Proletariato Metropolitano), a seguito della promozione del processo
rivoluzionario innescato dalla l.a., diventava evento politico concreto, fatto
proprio dalle espressioni più avanzate della classe operaia.
Queste affermazioni hanno un valore di carattere generale e costituiscono a
tutt’oggi il pilastro del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, classe/Stato.
Lo sforzo di direzione è ugualmente ravvisabile nel saper ricondurre
tutta quella che è l’articolazione dell’attività combattente
sul terreno delle fabbriche all’interno di quella che è, sul piano
generale, una definizione più precisa della modifica della fase rivoluzionaria.
In questo quadro si precisa l’atteggiamento tattico inerente all’entrata
in una fase di transizione che con l’esaurirsi della P.A. va verso la
guerra civile aperta, cioè di disarticolazione politico-militare del
regime. Conseguentemente si definisce la disposizione delle forze sulla l.a.
che, non ruotando più sulla necessità di radicare la l.a., è
volta ad organizzare le forze sulla l.a. intorno alla costruzione del PCC.
Questi a nostro avviso sono gli elementi qualificanti che rispecchiano un’attività
da Partito interna a un fronte di combattimento, quello delle fabbriche. In
questo quadro le discrepanze con la L.P. (Linea Politica) della DS ’78
a livello dell’analisi economica come anche la potenziale contraddizione
relativa all’anticipazione della fase rivoluzionaria di scontro sono elementi
che non hanno ripercussione pratiche nell’indirizzo di lavoro di questo
Fronte.
09/06/1997
L’inadeguatezza delle finalità in cui veniva incanalato
il lavoro di costruzione (il PGdC) rendeva fragile lo sforzo orientato alla
riqualificazione della direzione, e l’O invece di averne un risultato
di coesione si trovava a fare i conti con le spinte disgregative prodotto della
dinamica dei Fronti. Se questo è il quadro di fondo che crea la tendenza
al collassamento dell’O, avvertita ma non collocata, la coscienza che
l’O ne aveva era limitata ai problemi più manifesti, alle contraddizioni
che erano deflagrate (il frazionismo di Mi e Na). In altri termini in quel momento
della vita dell’O essa non poteva avere coscienza delle dinamiche complesse
che sottintendendo le problematiche con cui un’O guerrigliera si deve
misurare nell’assolvere ai compiti posti dallo scontro, ovvero non poteva
avere chiaro in quel momento i diversi livelli di contraddizione e inadeguatezze
che si erano accumulati nel suo percorso. Il primo atto politico che l’O
fa suo di fronte alle deviazioni è di affermare la necessità di
affrontare la battaglia politica, perché solo espellendo le concezioni
sbagliate può avvenire il consolidamento sui contenuti, si può
affermare la linea giusta.
È l’assunzione di questo principio rivoluzionario, piuttosto che
le indicazioni della DS ’80 che consentirà di mantenere fermi i
capisaldi di strategia dell’agire della guerriglia e che nella battaglia
consentirà di precisarli meglio sfrondandoli dagli errori e dalle inadeguatezze.
In pratica l’O, proprio nel misurarsi con le forme negative che assumevano
le deviazioni della colonna napoletana, è obbligata a riprecisare la
visione e la pratica corrette: dalla critica alla parzialità, alla riaffermazione
della centralità operaia, dalla critica dell’uso contraddittorio
della LA alla riaffermazione della pratica di potere, infine la critica ad una
prassi sviluppata per affermare delle tesi anziché affermare il programma
rivoluzionario. Anche se in questo momento della sua vita l’O non riesce
a dare soluzione al complesso delle contraddizioni e delle inadeguatezze, è
vero che nel momento in cui riesce ad affrontare quelle che si pongono davanti,
il modo con cui le affronta consentirà di salvaguardare il corpo centrale
delle tesi d’O e la metterà nelle condizioni di operare la scelta
più giusta, la RS, quando le contraddizioni deflagreranno tutte nell’impatto
con la controrivoluzione. È grazie a questo percorso, pur nella sua estrema
non linearità, che l’O prenderà coscienza che è cambiata
la fase storica, e che quindi deve modificare i termini della fase rivoluzionaria,
e solo nel prendere coscienza dei problemi di fase l’O sarà in
grado di prendere coscienza delle proprie inadeguatezze, capendo la natura dei
limiti accumulati e disponendosi a ricentrarli e rilanciare adeguatamente l’attività.
Lo svolgimento pratico di questa dinamica rende il senso della natura dei riadeguamento
che sono caratterizzati storicamente a seconda del grado di evoluzione politica
dell’O, ossia quanto sapere ha accumulato dall’esperienza rispetto
a tutti i diversi piani che investono una forza rivoluzionaria che sviluppa
un processo di guerra (sia al suo interno che nella sua opera di direzione)
in quanto lo sviluppo della guerra di classe mette in moto dinamiche che implicano
l’affrontamento di piani complessi la cui conoscenza è un processo
indotto da come procede lo scontro e da come interagiscono i suoi protagonisti,
Stato/classe/forze rivoluzionarie. Nella fattispecie dei due documenti letti,
l’O in quella fase della sua vita è in grado di affrontare all’inizio
le deviazioni politiche e poi, quando lo Stato scatenerà la controrivoluzione,
prenderà coscienza e affronterà i problemi di fase. È nel
frangente della controrivoluzione dell’82 che l’O acquisisce una
straordinaria lucidità sui termini della guerra in generale, e di come
si riverberavano nella fase di scontro e, di conseguenza, cosa comportavano
nella fase rivoluzionaria per i compiti che apriva, primo fra tutti la giusta
collocazione della natura della repressione dello Stato democratico borghese,
e contemporaneamente imparare a praticare la ritirata.
La lucidità con cui tratteggia i caratteri generali dello scontro per
come si presenta in quel momento non contiene la capacità di vedere a
fondo tutte le implicazioni che vivono in potenza nella controrivoluzione scatenata
dallo Stato e nella scelta che l’O stessa aveva operato con la RS, in
quanto la situazione è collocata in un quadro dinamico che porta ad evoluzione
rapida i fattori che la contraddistinguono; in questa situazione la visione
della RS è limitata alla questione della salvaguardia delle forze (di
classe e rivoluzionarie) dagli effetti della tortura e della controffensiva
del nemico e il riadeguamento alla “nuova fase della guerra di classe”
più come un’intuizione non suffragata da una cognizione di causa
effettiva di quello che necessitava, perché in quel momento la RS è
concepita all’interno delle direttive della DS ’80 e l’O è
ben lontana dal qualificare la reale connotazione che andava assumendo il rapporto
rivoluzione/controrivoluzione e quindi di come dovevano essere ricondotti i
termini della guerra rivoluzionaria dentro all’approfondimento che si
profilava. Questo approfondimento, come sappiamo, porterà a mettere in
discussione anche i concetti più saldi ma questo non impedirà,
secondo una legge della rivoluzione che tutte le acquisizioni e le intuizioni
affermate dall’O troveranno, nel corso dell’affrontamento delle
contraddizioni, la loro riproposizione in avanti.
Se questo è il quadro in cui inizia il processo autocritico di individuazione
dei limiti e degli errori, ha una sua precisa importanza analizzare bene la
dinamica reale che ha investito l’O, il perché l’affrontamento
si è dato in un certo modo, assumendo certe forme. Questa analisi non
si può fare senza avere di fronte il processo reale che l’O aveva
messo in moto e il tipo di problematiche su cui esso si sviluppava, ovvero su
cui si imperniava l’adesione di massa sulla LA. In questo senso è
ovvio che l’O si mette sotto esame a partire dal percorso materiale che
ha compiuto e quindi non può che iniziare col chiedersi se ha assolto
o meno agli obiettivi della DS ’80, primo fra questi l’obiettivo
centrale della riqualificazione della direzione. Nella coscienza di aver sempre
fatto battaglia con il movimento rivoluzionario proprio per affermare la concezione
giusta del ruolo dell’avanguardia rivoluzionaria, cioè una concezione
che rifugga dalla logica di gruppo per porsi come “fusione teorico-politico-militare
di organizzazione di soggetti reali ed interni alla classe”, dentro questa
coscienza l’O si mette a nudo per individuare come è stato possibile
che queste tendenze si ripresentassero al suo interno nella forma del soggettivismo
d’O.
Nel tentativo di stanare questa tendenza si cerca di mettere in relazione le
leggi della guerra rivoluzionaria, a partire dallo sviluppo raggiunto dalla
guerra di classe in Italia, con i come l’O è riuscita a svolgere
il ruolo di direzione in questo movimento da essa stessa prodotto. Ovvero cerca
di mettere in relazione l’organizzazione di strati di classe e di avanguardie
sulla LA e la direzione dell’O di questo processo, più precisamente
la critica entra nel merito di come la tendenza soggettivista abbia snaturato
la realizzazione di questa dialettica. L’O si trova a mettere sotto la
lente d’ingrandimento la concezione leninista del rapporto Partito/masse,
proprio a partire dalle manifestazioni più evidenti del soggettivismo
che si erano prodotte in quel periodo, per stigmatizzarle. Nell’indagare
il perché la tendenza soggettivista ha confuso la disposizione delle
avanguardie e dei comunisti sulla LA con l’adesione di massa alla LA,
ovvero l’attività dei gruppi organizzati sulla LA come se fossero
strati di classe, ovvero come è stato possibile perdere il principio
che direzione delle masse implica assumere l’analisi del movimento generale
di classe e non solo degli strati immediatamente disponibili alla LA, l’O
è obbligata ad esaminare i motivi che hanno originato questa tendenza
al soggettivismo, in questo senso esamina la questione della proprietà
della guerriglia di essere sempre all’offensiva. Questo nel tentativo
di distinguere il movimento reale di offensiva, che è aderente ad una
determinata situazione di scontro, dal carattere generale di fase che imprime
l’indirizzo generale ai compiti: l’O si rende conto di come, a partire
dalla peculiarità della guerriglia e da quanto da essa messo in campo,
ad un certo punto sia entrata in una logica di rincorsa dell’offensiva,
e questa cosa nella misura in cui era percepita con metro soggettivo, ha creato
una sfasatura con il reale stato della classe, dello scontro e della fase rivoluzionaria.
Per meglio mettere a nudo tutte le conseguenze negative di questa logica soggettivista,
alimentata anche inconsapevolmente dalla frenesia di mantenere l’offensiva,
l’O è obbligata ad esaminare come questa incida sulle valutazioni
della fase di transizione e come induca ad accorciare o prefigurare gli anelli
mancanti di questa, e questo perché è portata ad assolutizzare,
nel rapporto crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione il secondo termine leggendolo
rispetto all’attività d’avanguardia, non riuscendo a legare
il movimento reale di classe che è condizionato dal primo termine. Ed
è nella necessità di precisare questa critica che viene esaminata
la questione delle fasi rivoluzionarie, proprio per distinguere cosa caratterizza
una fase rivoluzionaria, ovvero quali sono i fattori che vi influiscono dentro
la dialettica crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione, e quali sono le condizioni
da ottemperare per dichiarare la chiusura di una fase e l’apertura di
un’altra. Nel richiamo al percorso generale della guerra di classe che
dalla difensiva strategica si muove verso l’offensiva strategica, l’O
definisce la natura di fase generale, come ad esempio la fase di Propaganda
Armata che si è appunto evoluta dentro a diversi momenti congiunturali;
all’interno di questa precisazione l’O cerca di qualificare il processo
reale che fa muovere le condizioni di una fase, e preciso che comunque il carattere
di una fase generale da il quadro strategico che informa il tipo di attività
d’O, e non viceversa. In sintesi c’è uno sforzo di depurare
dalle deviazioni soggettiviste che si erano manifestate in quel periodo, l’analisi
rivoluzionaria di come dev’essere condotta la guerra di classe per meglio
precisare l’attuale momento della congiuntura della transizione. Non è
strano che a partire dal mettere al centro la correttezza o meno del rapporto
Partito/masse ne scaturisca un’indagine concatenata dei vari piani della
guerra di classe. Questo perché il rapporto Partito/masse per la guerriglia
implica immediatamente la messa in atto del processo distruzione/costruzione,
proprio di una guerra che unisce il politico e il militare. In questo senso
necessariamente mette in gioco la capacità dell’O di avere una
visione strategica e tattica corrette, ovvero implica la correttezza di visione
della disposizione generale delle forze e di quella tattica, quindi richiede
una chiarezza estrema sul carattere della fase in cui in un certo momento è
situata la guerra di classe, proprio perché la dialettica con la classe
è mirata a disporla confacentemene secondo le finalità proprie
della fase. Quello che viene fuori dall’analisi del materiale è
che il processo autocritico che l’O ha messo in moto in questa fase, pur
toccando i nodi focali della sua inadeguatezza, compresa l’intuizione
di essere soggetta anche “involontariamente” a una visione linearista
dello scontro, non riesce a sviscerare completamente la natura del problema,
non riesce ma non potrebbe nemmeno, stante lo stadio di maturazione delle problematiche
in quel momento imperniatesi limiti del soggettivismo d’O. in altri termini
al concezione linearista della guerra rivoluzionaria che era a monte dei limiti
d’O e che permea le direttive della DS ’80, grava come un involucro
sul tentativo di ricentramento autocritico delimitandone in quel momento lo
sbocco. Una visone lineare che, estremizzando il paradigma crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione,
influenza in negativo l’analisi dello scontro, perché nella linearizzazione
della crisi della borghesia, privata dei suoi processi contraddittori, l’analisi
dello Stato ne risulta appiattita in un processo meccanico che ormai è
rivolto alla guerra esterna-guerra interna.
In questo quadro l’O pur avendo intuito la profondità della controrivoluzione
dello Stato degli anni ’80, la colloca come un prodotto”consequenziale”
dell’acutizzarsi del processo crisi-ristrutturazione a cui l’O doveva
adeguarsi con la RS, non a caso per scongiurarne gli effetti repressivo-militari,
visto il livello raggiunto con le torture. Di conseguenza è ovvio che
la RS, pur collocata nella fase di difensiva strategica e vista come prima tappa
per raggiungere l’obiettivo di tornare all’offensiva. I percorso
autocritico dell’O sarà comunque destinato ad infrangere l’involucro
del linearismo, e questo perché lo stadio autocritico dell’O sarà
comunque destinato ad infrangere l’involucro del linearismo, e questo
perché lo stadio autocritico messo in moto produrrà, in un processo
per salti, in rapporto allo scontro, le condizioni soggettive per l’affrontamento
dei nodi rimasti irrisolti, ricalibrando anche la natura reale della controrivoluzione
degli anni ’80 rispetto ai caratteri effettivi dello scontro. Ciò
che va sottolineato, è la valenza che assume anche in questo stadio,
l’aver toccato problematiche così complesse relative alle fasi
rivoluzionarie nella conduzione della guerra di classe, senza che siano messe
in discussione le peculiarità dell’agire della guerriglia, anzi
considerando tutte le implicazioni che ne scaturiscono rispetto alle particolari
leggi della guerra del nostro processo rivoluzionario.
È da sottolineare l’analisi approfondita della controrivoluzione
circa gli obiettivi politici ricercati dalla borghesia e non raggiunti, nella
messa a fuoco della portata della controffensiva che va ben oltre il ridimensionamento
della guerriglia per riversarsi sul corpo di classe allo scopo di far retrocedere
le posizioni di classe. A quattro mesi dal volantino sulla RS si coagulano le
prime riflessioni in una bozza di documento che cerca di fare il punto e trarre
delle indicazioni dal rapido mutare degli eventi. È interessante notare
come il processo di razionalizzazione da parte dell’O sulla controrivoluzione
dello Stato si faccia strada man mano facendo avvertire nella coscienza dei
compagni tutto il peso delle conseguenze sul piano di classe e dei rapporti
di forza. Infatti nella «bozza» si fa una fotografia fedele e spietata
della natura e genesi della controffensiva della borghesia, di come l’O
nei fatti si è trovata impreparata non avendo colto i segnali che si
erano manifestati su più piani rispetto alle avvisaglie materiali e politiche,
rispetto alla necessità della borghesia dentro alla sua crisi crescente
di ristabilire il controllo sullo scontro di classe facendo i conti con le BR
e con la strategia rivoluzionaria; è per questo che l’offensiva
assunta dallo Stato coinvolge anche i padroni e tutte le articolazioni sociali
e istituzioni che contribuiranno ad articolarla in tutti gli interstizi sociali.
È fuor di dubbio che l’ondata controrivoluzionaria per la profondità
degli obiettivi che persegue e i mezzi con cui li persegue, è destinata
ad avere un impatto incisivo nei rapporti di forza, stante lo scopo di distruggere
sul nascere il SPPA in costruzione. Ed è per questo che non si limita
a colpire l’O ma tocca tutti i settori di classe dialettizzati con la
LA. In poche parole già allora l’O individuava tutte le caratteristiche
di una vera e propria controrivoluzione, lucidità suffragata dai fatti
che si succedevano quotidianamente, che di per sé no consentivano più
di argomentare il carattere del quadro di scontro negli stessi termini di qualche
mese prima, quando la stessa controffensiva era vista come una reazione lineare
della Stato alla sua crisi che però non incideva in modo decisivo sullo
stato della rivoluzione e ai suoi obiettivi a medio termine. Ora anche se mancava
la chiarezza completa e la contestualizzazione giusta dei caratteri dello scontro
e della situazione rivoluzionaria, si avverte che c’è un cambiamento
generale nella fase di cui si prende atto, non fosse altro per lo scompaginamento
della base sociale del SPPA in costruzione.
Su un altro piano è possibile rilevare il fenomeno dell’effetto
ridimensionamento sul sentire dell’O. Ci riferiamo al fatto che la coscienza
del primato della controrivoluzione inevitabilmente produce un istinto di sottrazione
ai suoi effetti, con delle conseguenze sul piano politico di proposte incoerenti,
che in quel contesto non sono l’origine di chissà quali deviazioni,
né di quella futura che, come sappiamo, poggia su una dinamica differente
e ben definita. Queste proposte incoerenti, pura reazione all’attacco
dello Stato, teorizzano di sottrarre l’individuazione dei diversi anelli
di costruzione dell’articolazione del potere proletario armato, investendo
le più “larghe masse” del terreno della LA, cioè allargando
a livello di massa l’area rivoluzionaria come barriera alla caccia repressiva
e come futuro bastione da rivolgere contro la controffensiva della BI. Una proposta
così incoerente non può che trovare una ipotesi di praticabilità
ancora più incoerente, dato che l’attivizzazione di queste larghe
masse sarebbe dovuta avvenire attraverso il lavoro legale! Non solo la teorizzazione
dell’adesione di larghe masse contemporaneamente sulla LA cozza con la
concezione scientifica di come gli spezzoni di classe si accorpano nella guerra
di classe, concezione, è inutile ripeterlo, teorizzata e praticata dall’O
fin dalla sua origine, ma soprattutto il compendio del lavoro legale, con le
sue presunte proprietà di uso propagandistico del lavoro rivoluzionario,
è la negazione di quanto la LA stessa ha dimostrato nella sua pratica.
A un anno di distanza dall’apertura della RS nella vita dell’O matura
un passaggio cruciale rispetto al processo autocritico, che per essere ben compreso
va calato all’interno dei mutamenti che nel frattempo si erano verificati
nello scontro:
- per quanto riguarda lo Stato la controffensiva ha decantato il suo massimo
impatto controrivoluzionario avendo conseguito lo scompaginamento degli ambiti
di classe che si dialettizzavano con la LA insieme al forte ridimensionamento
politico organizzativo delle BR; controffensiva che ora viene capitalizzata
sul piano politico dei rapporti tra le classi come si evinceva dalla messa in
discussione della scala mobile e degli altri provvedimenti antiproletari in
cantiere; al lato di questo rilancia sulla scena internazionale il suo protagonismo
interventista all’interno della più generale tendenza guerrafondaia
imperialista esplicitata in quella fase.
- per quanto riguarda l’O il ridimensionamento ha comportato modifiche
al suo stato di forza rivoluzionaria costringendola a derogare da quelle che
erano le sue strutture politico-organizzative e a ridurre la portata dell’attività
d’O; una condizione che ha un riflesso implicito di sbandamento nel militarismo
d’O, in ultima istanza recuperato dall’O tenendo fermi due capisaldi
fondamentali: che l’O non si scioglie nel movimento rivoluzionario e che
la strategia della LA non è messa in discussione;
- per quanto riguarda il movimento rivoluzionario, non c’è dubbio
che la crisi del processo rivoluzionario e la controffensiva dello Stato si
riversano in negativo sul suo stato politico: un arretramento nello scontro
che apre spazi alle tendenze piccoloborghesi e opportuniste nel movimento, non
più frenate dalla guida teorico-ideologica-programmatica operata dalla
prassi rivoluzionaria prima della spaccatura; tendenze piccoloborghesi che in
questo contesto saranno portate a legarsi all’ultrasoggettivismo del PG
creando una situazione di degenerazione politica;
- infine, per quanto riguarda la classe operaia, dove l’influenza delle
tesi soggettiviste è minima, essa pur se attaccata profondamente dallo
Stato e dalla borghesia, riesce a mettere in campo quella che l’O chiama
“resistenza attiva”, in quanto la controffensiva non ha potuto eliminare
né il carattere antagonista dell’attività di classe, né
i suoi livelli di autonomia politica.
Questa è la ragione per cui l’O si trova a dover stringere le fila
dovendo fare i conti materialmente con tutti questi piani; stringere le fila
per l’O significa da una parte non concedere niente sul piano del processo
autocritico che andava portato fino in fondo, e nello stesso tempo condurre
un’intransigente battaglia non solo al suo interno ma proprio nel movimento
rivoluzionario per tentare di debellare tutte le forme individuate del germe
soggettivista. Una battaglia che conduce in una condizione obiettiva di massima
debolezza dove appunto risulta appannata l’autorevolezza del suo ruolo
(se paragonato a quello avuto fino all’82), ma sarà questa battaglia,
e la determinazione a condurre fino in fondo l’autocritica, che in queste
circostanze è il massimo del coraggio politico, che consentirà
di operare una profonda discriminazione nelle posizioni che si esprimono nel
movimento rivoluzionario e di classe, facendo emergere, tra le sue fila, le
componenti più mature, un discrimine che, obiettivamente prima ancora
che soggettivamente, porta a maturazione la disposizione di questi compagni
verso gli inderogabili compiti del processo rivoluzionario, nel senso che la
loro attività è immediatamente funzionalizzata al rapporto con
l’O e quindi alle sue indicazioni di lavoro nello scontro, rompendo con
quella che era la prassi passata di fare cioè gruppo pur se in riferimento
alla LA
Un dato che determina nei fatti un’evoluzione nella disposizione delle
forze alle nuove condizioni, frutto in primo luogo di come l’O ha lavorato
tenacemente in quel frangente a tenere le fila della proposta rivoluzionaria,
proprio nel mentre la riesamina per individuarne gli errori. L’opera di
ricentramento iniziata dagli aspetti più manifesti del soggettivismo
nel corso dell’ultimo periodo critico viene assunta dall’O nella
sua totalità, anche perché gli obiettivi posti con la DS ’80
e i termini di lavoro rivoluzionario (costruzione del SPPA, Programmi immediati,
ecc) sono via via franati a fronte della deriva delle deviazioni soggettiviste
e della controffensiva dello Stato. Dentro a questa consapevolezza per l’O
non vi è altra strada che rimettere in discussione l’intero impianto
strategico (inteso nella prospettiva delle fasi rivoluzionarie per come era
stata prefigurata), in quanto un ricentramento che fosse rimasto alla superficie
non sarebbe stato in grado di mettere l’O nelle condizioni di rettificare
la portata reale degli errori e “per adeguarsi ai nuovi compiti”.
È all’interno di queste considerazioni che l’O sceglie, nella
dialettica continuità/rottura, di privilegiare la rottura. Una scelta
questa obbligata per una forza rivoluzionaria, e in questo senso, come essa
stessa ha coscienza, è indice di maturità politica e del suo spessore,
in quanto nessuna forza rivoluzionaria può aggirare gli ostacoli dati
dall’accumularsi delle inadeguatezze. Nello stesso tempo questa scelta
mette a repentaglio l’O in quanto è effettuata nel contesto di
massima debolezza politica e militare dell’O e Tanto più prevale
la necessità di mettersi a nudo, tanto più risente delle spinte
e controspinte che scaturiscono dal contesto politico in cui l’O agisce
nel suo ruolo d’avanguardia. Seppure c’è la consapevolezza,
come considerazione politica, dei pericoli potenziali, tuttavia l’O è
ben lontana dal poter conoscere tutte le contraddizioni a cui andrà incontro.
Già questo materiale è un primo punto di approdo, dopo aver superato
un forte sbandamento, determinato dalla deroga al modulo politico-organizzativo
e la rimessa in discussione dell’impianto, un approdo imperniato sui due
punti cruciali detti sopra.
Infatti, se l’O è attrezzata al compito di affrontare fino in fondo
le infiltrazioni piccoloborghesi di soggettivismo ed economicismo militarista
ritenuti a ragione antagonisti allo sviluppo della politica rivoluzionaria,
in quanto sono gli ostacoli che ha avuto di fronte e che ha imparato a conoscere,
è inconsapevole rispetto a contraddizioni di tipo nuovo che nascono da
precise leggi della guerra in questa fase di offensiva dello Stato e che si
innesteranno con le problematiche accumulate fino a quel momento Queste contraddizioni
possono già essere percepite in questo scritto proprio laddove l’O
esamina se stessa come forza rivoluzionaria in quanto è proprio questo
l’ambito che investono. E proprio nel momento in cui l’O cerca di
ristabilire, rivendicandoli, i punti fermi del suo ruolo d’avanguardia,
e quindi sulla giustezza della scelta di operare la rottura, e soprattutto di
farlo -senza delegare a nessuno questi compiti- che emerge la sfasatura e l’oscillazione
tra affermazioni giuste e valutazioni contraddittorie, sfasatura che è
subito visibile quando l’O, motivando la sua scelta di rimettere in discussione
l’impianto, valuta la portata della sconfitta, infatti si contrastano
i compagni che criticano la definizione di sconfitta generale, giustificandosi
che il termine non coincide con la sconfitta della rivoluzione. Gli argomenti
portati contro un’accezione limitata della portata della sconfitta, ad
esempio di tipo tattico, manifestano l’influenza nell’O della contraddizione
difensivistica propria dei rovesci militari, contraddizione che va a legarsi
con il nodo irrisolto della concezione lineare per cui il fallimento degli obiettivi
della fase di transizione, ovvero del SPPA in costruzione, sono tout court fallimento
del progetto, e non fallimento di come è stata valutata l’apertura
di una fase.
Più in generale pesa nella valutazione dell’O, la coscienza di
come il suo ridimensionamento, la sconfitta di una campagna del peso di quella
di Dozier, la repressione degli strati in cui viveva l’articolazione del
progetto del SPPA e pure la distruzione del PG, abbiano inciso profondamente
sui rapporti di forza tra le classi facendo indietreggiare le posizioni del
campo proletario. Di fronte a questa coscienza e al senso di responsabilità
che sente pienamente per il ruolo che svolge, l’O non può che valutare
gli errori commessi come strategici, attaccando in questo senso la concezione
della sconfitta tattica come lettura superficiale che non vuole assumersi tutto
il portato del ruolo dell’avanguardia nello scontro rivoluzionario e di
classe.
L’altra valutazione contraddittoria e incoerente nasce da come l’O
si assume la battaglia al soggettivismo d’O, in quanto è tutta
calata sulla falsariga che gli errori e le inadeguatezze risiedono nel non aver
saputo dare soluzione ai “nuovi compiti”, e cioè ai compiti
propri alla fase di transizione, dentro ai quali l’O doveva compiere “il
salto da OCC a Partito che costruisce il Partito costruendo il SPPA”.
Su questa falsariga, gli errori di soggettivismo sarebbero quelli di aver continuato
ad agire come nella vecchia fase, cioè sviluppando l’attività
“mettendo al centro se stessa come OCC” e in questo perdendo di
vista il modo complessivo di operare dialettica con l’attività
generale delle masse, una dialettica che nella critica fatta dall’O era
menomata, limitandosi alla sola costruzione di “Nuclei” invece che
OMR, ovvero il soggettivismo d’O veniva stigmatizzato nell’aver
scambiato la costruzione e l’estensione di cellule e nuclei come l’estensione
degli OMR, mentre invece in questo modo restava inevaso il passaggio cruciale
nella fase di transizione, cioè la conquista delle masse sulla LA, attraverso
la costruzione del vasto e articolato SPPA che può darsi nella capacità
dell’O di saper attirare nel programma tutti i diversi livelli che si
esprimono nella classe dentro la resistenza attiva a partire da quelli più
alti. È evidente che non è sbagliata in sé la critica al
soggettivismo d’O che pure c’era, come non è sbagliato l’inquadramento
di questo tipo di dialettica, soprattutto se ci si riferisce ad una fase di
offensiva strategica, ma al livello reale raggiunto dalla guerra di classe,
questo tipo di inadeguatezze erano secondarie rispetto all’errore di impostazione
di fase. Ma il mantenimento, nella visione d’O, della vigenza in quel
momento della congiuntura di transizione al comunismo, non poteva che portare
l’O a focalizzare la sua critica su questo campo e a vedere le soluzioni
dentro a direttive che portassero al rilancio del SPPA. Ed è per questo
che tutta la critica ruota intorno al presunto errore di dialettica con la classe
e che sotto il peso del ridimensionamento militare degli addentellati del nascente
SPPA, la soluzione data proponesse un fantomatico lavoro legale come panacea
per contrapporre alla BI la ricostruzione di una controffensiva che per essere
adeguata doveva appunto basarsi su una attivizzazione di massa, trasformando
il potenziale della resistenza
Questa soluzione contraddittoria è un elemento di incoerenza che dalla
apertura della RS viene fuori nella lettura critica dell’O, come terreno
di immediato riflesso difensivistico dei colpi ricevuti e rimane un’espressione
incoerente e impotente in quanto non trova sbocco pratico all’interno
della concezione di distruzione/costruzione con cui l’O fa vivere lo sviluppo
della LA. Oltretutto la soluzione del lavoro legale è resa ancor più
contraddittoria dall’erosione profonda avvenuta nell’83 con i ridimensionamenti
del terreno materiale su cui si basava la concezione del SPPA a cui comunque
il lavoro legale si ispirava e doveva essere funzionale. Una soluzione incoerente
che viene contrastata nell’O da chi la vede come una reazione alla sconfitta,
critica a cui viene contrapposta una motivazione ancor più contraddittoria,
affermando la praticabilità del lavoro legale in rapporto ad un movimento
rivoluzionario e a una condizione di classe che non vengono visti in riflusso,
quando in realtà era obiettivo l’arretramento del campo di classe.
Se questi sono gli aspetti contraddittori che scaturiscono dall’affrontamento
della controffensiva malgrado le posizioni di ripiegamento dell’O, e che
restano non focalizzati perché nascondono problemi di cui l’O non
ha coscienza, per contro, grazie alla stessa posizione di ripiegamento e al
doversi confrontare con le degenerazioni dell’idealismo soggettivista
nello scontro e con i problemi del ridimensionamento politico-militare, l’O
è obbligata per mantenere una concezione materialista e realista del
processo rivoluzionario, ad andare a fondo sia delle leggi della guerra rivoluzionaria
in relazione a come si è evoluto il processo di guerra di classe in Italia,
allo scopo di mettere a nudo la problematica dell’evoluzione delle fasi
rivoluzionarie a partire dalla critica al soggettivismo, sia ad approfondire
e a mettere a fuoco, nel combattere le degenerazioni dell’idealismo soggettivista,
le categorie dell’analisi leninista dello Stato e della rivoluzione, riaffermando
la conquista del potere politico come sbocco della fase di transizione.
Un avanzamento di rilevanza strategica perso di vista nella linearizzazione
delle fasi che ridà concretezza agli obiettivi rivoluzionari in quanto
toglie di per sé terreno alla concezione linearista e consente oggettivamente
di porre le basi per riconquistare un criterio materialista di periodizzazione
delle fasi rivoluzionarie. Il primo punto, ovvero le leggi della guerra di classe,
viene approfondito per la necessità di meglio argomentare al movimento
rivoluzionario e di classe le problematiche sorte intorno al nodo delle fasi
rivoluzionarie e soprattutto nella scelta della RS. Nel fare ciò l’O
ripercorre il corso del processo rivoluzionario fino a quel momento, puntualizzando
in questa analisi i diversi momenti con un approfondimento e una riprecisazione
che gli deriva da un accumulo di esperienza da essa maturate. In altri termini
in questo breve bilancio, da un lato vengono rivendicate le motivazioni sostanziali
dell’affermarsi della LA per il Comunismo, ovvero non risposta difensiva
all’attacco padronale, ma “mantenimento” dell’offensiva
di classe e soprattutto la precisazione che l’esordio della guerriglia
non è legato all’acuirsi del nesso crisi-ristrutturazione, ovvero
al suo precipitare, e al crearsi delle condizioni di crisi-rivoluzione.
Una precisazione che rivendica il carattere offensivo della proposta strategica
e la colloca storicamente nel modo corretto. Dall’altro si periodizzano
con maggiore precisione i momenti succedutisi nella Propaganda Armata contraddistinti
da modalità tattiche diverse in relazione alla situazione di scontro
e nel quadro delle finalità della fase: se fino al ’74 l’agire
della guerriglia sviluppa un’offensiva sul terreno della resistenza operaia
in fabbrica, nel secondo momento (’74 – ’78) si sviluppa e
si precisa la disarticolazione rispetto all’attacco al cuore dello Stato
nel quadro della sua ristrutturazione, e si approfondisce il radicamento della
LA. In sintesi si raggiungono ampiamente gli obiettivi della fase di PA. Un
bilancio che serve all’O per mettere in evidenza il fatto che se dalla
PA non si era passati ad assolvere i compiti della fase di transizione alla
guerra civile dispiegata, è perché l’offensiva guerrigliera
non era adeguata ai compiti di fase, ovvero l’inadeguatezza (per gli errori
del soggettivismo d’O) è inquadrata dal punto di vista del rapporto
che deve esistere fra il carattere dato all’attività rivoluzionaria
e il carattere della fase rivoluzionaria. A partire dalla necessità di
ripristinare questo principio di relazione dialettica mantenendo valido lo schema
di sviluppo della rivoluzione nel raggiungimento della guerra civile dispiegata,
si motivano le ragioni della scelta della RS, come necessità di difendere
strategicamente il processo di costruzione del SPPA, una difesa che si da in
primo luogo sul piano politico, in quanto il rilancio della controffensiva può
darsi soltanto dentro la ratifica e i salti politici in dialettica con la classe.
Da questa visione giusta, pur se delimitata dalla visione lineare dello schema
rivoluzionario, si comprende bene il significato dello slogan dell’O “ritirarsi
nelle masse” al fine di “rifondare il SPPA”. In questo senso
la RS si arricchisce del suo significato più propriamente politico che
completa l’approccio iniziale più prettamente a carattere militare.
L’importanza di questa precisazione è data poi dal suo risvolto
pratico, e qui passiamo al secondo punto relativo alla battaglia sui nodi teorici,
in quanto per “rifondare il SPPA” è necessario farsi carico
di battaglie politiche nel movimento rivoluzionario per debellare le concezioni
sbagliate che allora significava trovarsi a confutare le degenerazioni dell’idealismo
soggettivista che prosperavano nel movimento rivoluzionario. E sarà questa
necessità che costringerà l’O ad andare a fondo dei nodi
teorici e ideologici delle categorie leniniste e, tramite ciò, a svuotare
sempre di più la concezione linearista. In primo luogo riporta sul terreno
materialista la lettura idealista del nesso crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione
propria ai soggettisti che davano dominante il nesso crisi-rivoluzione a partire
dall’offensiva di combattimento scambiata per i rapporti di forza reali
tra BI e PM. È evidente che nel rendere dominante il secondo nesso il
soggettivismo faceva vivere spontaneamente sul piano sociale l’allusione
al comunismo, appiattendo i rapporti relativi ai diversi aspetti della FES.
A partire da questo terreno di battaglia si rivendica la concezione leninista
della dominanza del politico nella FES, precisazione non nuova per l’O,
ma che in questa situazione risulta arricchita dalla maggior comprensione acquisita
dall’O attraverso la sua pratica sociale. Il complesso processo di elaborazione
politica contenuto nel documento manifesta una duplice valenza in cui l’aspetto
del ricentramento è strettamente legato alla necessità della battaglia
politica sui nodi teorici e strategici in discussione nel movimento rivoluzionario.
Ovvero l’O, nel mentre rientra se stessa ed il suo ruolo, da ciò
trae la capacità di dare un contributo fondamentale “all’arricchimento
della teoria e della pratica della rivoluzione comunista”, per questo
la “Sintesi” all’epoca ha avuto un ruolo guida nelle fila
delle avanguardie e dei gruppi di compagni organizzati, in quanto ha reso possibile
discriminare una visione materialista dalla diffusione di quella metafisica.
Un arricchimento che necessariamente parte dal rimettere al centro la fabbrica
e la produzione di merci, il rapporto dialettico FP/RP e quello tra guerra e
politica. Se da un lato la battaglia è obiettivamente di retroguardia
rispetto ai nodi che ha affrontato in passato, dall’altro, affrontarla
in quel momento e in quelle circostanze ha consentito un avanzamento reale,
perché era divenuto chiaro quale portata doveva assumere la battaglia
per la riaffermazione della concezione materialistica della rivoluzione, a fronte
della visibilità di tutte le contraddizioni delle tesi soggettivistiche
portate alle estreme conseguenze sul piano della pratica rivoluzionaria. Nodi
teorici che vengono approfonditi anche perché trattati alla luce dell’analisi
non solo storica ma anche politica rispetto all’attualità. In primo
luogo viene riaffermata la dominanza del politico in tutte le regioni della
FES proprio per garantire la riproduzione capitalistica. Riaffermazione che
serve a riprecisare attraverso la centralità del ruolo della politica,
il ruolo dello Stato nella sua evoluzione storica, quella raggiunta col capitale
multinazionale. Lo Stato non è più solo e semplice gendarme, ma
va a compimento il processo di evoluzione storica di statalizzazione della società,
a partire dal ruolo enorme che ha sviluppato nel sostegno dell’economia
capitalistica (Stato capitalista reale, Stato banca, stato capitalista collettivo)
e dallo sviluppo della controrivoluzione preventiva. Statalizzazione che si
accentua con la crisi implicando la funzionalizzazione delle istanze sociali
(sindacati, partiti) e istituzionali al “ruolo politico” dello Stato.
Quello che è dominante è il rapporto Stato/fabbrica e non fabbrica/stato
e, più in generale stato/società e non il contrario, cosa che
rimarca la dominanza del politico in cui lo Stato è la massima espressione
politica sviluppata dalla borghesia. Poiché con la crisi non viene meno
la legge del “valore, né la borghesia impone il suo dominio”forzosamente”,
dominanza del politico significa che lo Stato si fa carico di sostenere i processi
di crisi, mette cioè in campo la “ristrutturazione per la guerra
imperialista”. Questo per garantire la crescita del capitale considerato
che l’estensione del suo dominio è data dall’estensione della
massa di lavoro salariato, dato che da questo ne deriva l’estensione dei
rapporti sociali di produzione, ovvero il dominio non si estende perché
si moltiplica il comando coercitivo. È la legge del valore-lavoro, in
dialettica con la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, che
ne è parte integrante, a rendere necessaria l’uscita dalla crisi
attraverso i processi di ristrutturazione. Lo stato nella crisi è reale
organizzazione del rapporto sociale esistente tra le classi, nel favorire la
riproduzione del rapporto di produzione. In ultima analisi è la legge
del valore-lavoro, la regione economica, il MPC, a promuovere la dominanza del
politico mediante la rifunzionalizzazione dello Stato. Il ruolo dello Stato,
pur messo nella sua ineludibile centralità, è analizzato soggettivisticamente
come riflesso della visione meccanica della crisi (crisi-guerra imperialista).
Infatti, la rifunzionalizzazione dello Stato vede come equilibrio di forze dominante
il partito della guerra. Tralasciando la visione della guerra in atto, importante
in quel momento è stato ricentrare il fatto che il nemico non è
disperso nel dominio sociale, ma individuabile politicamente dentro lo Stato,
tra le forze che si saldano nel progetto dominante-cuore dello Stato-partito
della guerra che attraversa organicamente ogni compagine partitico e padronale,
quale rappresentante reale della BI e delle sue determinazioni soprannazionali,
che funzionalizza ogni politica allo sbocco alla guerra. Pur nella riaffermazione
di elementi giusti gli aspetti di linearismo e soggettivismo contenuti nell’analisi
hanno come sbocco consequenziale quello della maturità superiore della
contraddizione BI/PM, e il rapporto classe/Stato diviene sempre più rapporto
di potere: per l’avanguardia si tratta di trasformare lo scontro di potere
in scontro per i potere. Trasformazione possibile nell’accelerazione del
rapporto crisi/guerra. Questo postulato soggettivista (di soggettivismo d’O)
non avrà un portato pratico conseguente al significato teorico, mentre
avranno un portato politico decisivo, sia nel ricentramento che nell’orientamento
del movimento rivoluzionario. Su queste posizioni, le giuste affermazioni del
primato della politica, del ruolo dello Stato a partire dai meccanismi di sviluppo
del MPC, dell’individuazione del nemico-cuore dello Stato, visto nel complesso
di forze che si saldavano sul progetto della BI.
Un altro nodo teorico affrontato è il rapporto tra la guerra e la politica,
in quanto le tesi dell’idealismo soggettivista erano arrivate a sovvertire
un caposaldo delle leggi della guerra e che, cioè, questa è dominata
dalle leggi della politica. In altri termini l’affermazione idealista
che “la guerra informa la politica” aveva come risvolto la dominanza
del militare sul politico, fino ad arrivare a vedere separato il politico dal
militare e, conseguentemente, riproporre una concezione terzinternazionalista,
in questo caso come esito della visione della “guerra sociale totale”.
Le ripercussione dell’inversione tra i due poli, guerra e politica, sul
piano della pratica rivoluzionaria, portano a fare della politica rivoluzionaria
un’appendice di una inimicizia assoluta che già vive in quanto
domina la guerra tra BI e PM, e quindi non è più necessario che
la guerriglia, riunendo il politico e il militare sulla base della politica
che guida il fucile, trasformi l’autonomia proletaria, all’interno
della strategia della lotta armata per il comunismo, in inimicizia assoluta.
A partire dalla linearizzazione delle tendenze proprie col soggettivismo viene
soppresso un polo della dialettica tra politica e guerra nel senso che la prima
viene via via resa inutile dal prevalere della seconda, ed è attaccando
a fondo le tesi della guerra sociale che l’O precisa i termini materialistici
di questo nodo teorico rimettendo al centro il ruolo indispensabile dell’avanguardia
e della politica rivoluzionaria. È la politica rivoluzionaria che può
operare la trasformazione verso l’inimicizia assoluta (che in quel momento
restava la costruzione del SPPA), in quanto deve canalizzate scientificamente
la lotta e il combattimento proletario non certo colpendo i mille cuori del
potere sociale ma dirigendo il combattimento contro lo Stato, contro il potere
politico (individuato in quel momento nel partito della guerra). Un combattimento
teso a conquistare rapporti di forza che consentono al PM di pesare sul piano
politico e non tanto di avere un generico potere sociale. Qui si esemplifica
come, a partire dalla manifestazione concreta sul piano della pratica delle
tesi idealiste, che rende palese l’inadeguatezza di tale impianto, le
BR, sulla base dell’impostazione leninista, sviluppano e precisano il
che fare sul piano della conduzione della guerra di classe. Attraverso la logica
dialettica viene ribaltato il piano del “potere sociale” perché
è a partire dai contenuti sociali della necessità-possibilità
della transizione al comunismo che il PM deve conquistare ciò che la
borghesia gli nega: il potere politico, che per il PM è potere politico
rivoluzionario per il comunismo. Il politico, il militare e il sociale sono
aspetti che vivono nella società nella misura in cui esiste un progetto
rivoluzionario che in quanto sapere condensato per la transizione al comunismo
è il modo storico di arricchire il marxismo-leninismo nella metropoli.
Qui la battaglia assume i toni più alti propri delle contrapposizioni
ideologiche e, rivendicando il metodo del materialismo storico-dialettico, l’O
attacca le tendenze metafisiche nella loro forma dell’ideologismo e del
soggettivismo che appunto palesavano il comunismo come comunità illusoria
e non reale da raggiungere in una metafisica rivoluzione permanente (leggi guerra
sociale totale che esiste dentro i rapporti di produzione inficiati dalla prevalenza
delle forze produttive). Di contro l’O ribadisce la concezione materialistica
della rivoluzione che si realizza per tappe storicamente determinate. E questo
perché la guerra di classe è un prodotto storico materiale, non
un concetto dell’avanguardia comunista, che definisce la molteplicità
dei compiti presenti nel processo rivoluzionario e la sua attività. Al
contrario l’avanguardia comunista non è solo il soggetto portatore
della teoria rivoluzionaria, ma è parte e direzione della guerra di classe,
per trasformarla in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo.
La la per il c non è più come nella propaganda armata la strategia
che l’avanguardia politica pratica e propaganda tra le masse, ma sempre
più l’unica reale politica rivoluzionaria e proletaria. Affermazione
quest’ultima che va intesa nel contenuto soggettivista che l’O gli
dava, di rapporto di scontro di potere tra BI e PM. Infatti è argomentata
con l’affermazione che la possibilità-necessità della trasformazione
della guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo
è un movimento da vedere nel rapporto dialettico con i processi di crisi-ristrutturazione
per la guerra imperialista. Nonostante questo passaggio soggettivistico non
è inficiata la portata della battaglia e dei contenuti affermati e approfonditi,
in particolare nella rimessa al centro del ruolo dell’avanguardia in rapporto
all’antagonismo del PM l’O attaccava la visione che considerava
ricomposto oggettivamente l’antagonismo dispiegato del PM, visione che
finisce per relegare il ruolo di direzione dell’avanguardia alla coda,
in quanto il suo rapporto con l’antagonismo proletario si limita a riassumere
tutto ciò che si esprime, dentro al quale tutti i bisogni hanno lo stesso
peso, perché tutti allusivi al comunismo. Al contrario il compito dell’avanguardia,
di fronte all’attività generale delle masse di per sé differenziata
e scomposta, è quella di leggerla come è, nella sua realtà,
ricomponendo e unificando i diversi livelli sul piano più avanzato e
all’interno del PPG, al fine di disarticolare i processi in atto sviluppati
dalla BI per costruire nuovi rapporti di forza. E questo perché il rapporto
di forza esistente tra BI e PM si può ribaltare solo trasformando i rapporti
di forza generali, solo con la conquista proletaria del potere politico, l’abbattimento
dello Stato e la disarticolazione del MPC, quale tappa preliminare rispetto
alla possibilità-necessità della dittatura rivoluzionaria per
il comunismo.
Solo con la conquista del potere politico è possibile trasformare l’aspetto
dominante della contraddizione principale e l’aspetto secondario, mentre
la rivoluzione proletaria da tendenza principale diventa aspetto dominante.
Puntualizzazioni queste che hanno un valore strategico per il futuro riadeguamento
complessivo dell’O in quanto l’aver finalizzato l’attività
alla trasformazione dei rapporti di forza generali per la presa del potere politico
obiettivamente mina la visione lineare delle fasi ancora vigente fino a quel
momento. Si affronta ora il nodo teorico più importante per come si riflette
nella concezione dell’ sviluppo del processo rivoluzionario, quello relativo
al rapporto FP/RP, questo a partire dalla messa in chiaro di come si qualificano
i rapporti di scontro tra PM e BI, ovvero se si collocano o meno dentro e contro
i RP, fuori e contro lo Stato. L’O inizia affermando che la necessità/possibilità
della transizione al comunismo vive latentemente al livello mondiale, dato che
la crisi del capitale monopolistico multinazionale, non riuscendo a valorizzarsi
ulteriormente, non fa che acuire la lotta di classe sia dove esso domina realmente,
metropoli, che dove lo fa informalmente, periferia, a prescindere dai modi diversi,
qualitativamente e quantitativamente, in cui si esprime la lotta di classe,
e delle diverse tappe che deve percorrere il processo rivoluzionario nella periferia
rispetto a quello della metropoli. Questa latenza della transizione al comunismo
diviene per l’O la base per il nuovo internazionalismo proletario.
Un’analisi questa, verosimilmente portato della lettura della crisi-ristrutturazione
per la guerra imperialista che l’O faceva in quel momento e che, riportata
sul piano della lotta di classe nella nostra fes, motiva la maturazione della
lotta di classe in guerra di classe, in quanto il processo in atto della ristrutturazione
per la guerra imperialista informava i rapporti di classe, processo questo che
in ultima analisi avrebbe favorito la rivoluziona proletaria, nonostante i rapporti
di forza congiunturalmente sfavorevoli, collocando la guerra di classe in termini
di scontro di potere. D’altra parte il processo di generalizzazione dei
contenuti della lotta di classe e la sua qualità fa si che essa non può
più essere recuperata dalla BI, considerato che la crisi non è
certo ciclica e quindi non può darle sbocco in termini di recupero “riformista”
dello scontro. L’O afferma pertanto che in questa fase la guerra di classe
è il risultato dell’approfondimento della contraddizione FP/RP
nella crisi, soprattutto dove l’antagonismo proletario è più
forte e maturo, la fabbrica metropolitana. Perché è proprio qui
che lo sfruttamento della classe operaia aumenta a causa della ristrutturazione
per la guerra imperialista, la classe operaia che, essendo dentro i rapporti
di produzione capitalistica e crescentemente contro questi rapporti, possiede
una maggiore potenzialità, dell’antagonismo complessivo ed assoluto
al MPC. Processi di crisi che pure investono e peggiorano le condizioni del
proletariato marginale, facendo aumentare le quote di quello emarginato che
si riversa nell’extralegalità (e quest’ultima tocca tutte
le fasce di PM) aumentando così anche i PP stabili relativamente agli
instabili. Ma questo proletariato emarginato, essendo forza lavoro espulsa dal
processo produttivo, nel suo divenire extralegale, si nega come forza lavoro,
ma ciò non vuol dire che il proletariato emarginato e quello extralegale
siano di per sé antagonisti assoluti e complessivi al MPC, non è
certo un’enorme massa di capitale variabile che si aggira e che nel negarsi
diventa antagonista. In realtà allo Stato e al MPC si contrappone un
movimento proletario antagonista caratterizzato dalla resistenza attiva, a partire
dalla lotta dentro e contro i rapporti di produzione, fuori e contro lo Stato.
Resistenza attiva che si differenzia da quella passiva per essere offensiva.
In questo modo i compagni valutano le mobilitazioni che in quel periodo a livello
nazionale si esprimevano su vari piani contro l’offensiva padronale e
statuale (attacco alla scala mobile, contro il tetto antinflazione, tagli alla
spesa sociale), contro gli schieramenti e le spese militari, contro la Nato
e la guerra imperialista.
Per l’O questa resistenza, pur confrontandosi con una approfondita controrivoluzione
preventiva scatenata, ha contenuti molto avanzati ed è parte del movimento
antagonista che è la “base sociale” da cui è possibile
e necessario costruire le “basi sociali rivoluzionarie” e cioè
il SPPA con le sue tre determinazioni. Il SPPA si costruisce cioè a partire
dalla lotta proletaria e si estende dentro e contro i rapporti sociali di produzione
capitalistici, fuori e contro lo Stato. Credere possibile costruire tale sistema
esclusivamente fuori e contro i rapporti sociali di produzione non solo escluderebbe
la centralità della classe operaia, ma addirittura si finirebbe per riproporre
un programma immediato unico per tutto il PM basato sull’esproprio proletario!
E qui il riferimento è alla centralità del proletariato extralegale
ritenuto dal PG strato antagonista che ha come conseguenza di privilegiare la
lotta alla distribuzione capitalistica della merce e dei redditi, cosa che sul
piano teorico significa privilegiare il rapporto valore d’uso/valore di
scambio, l’aspetto della distribuzione, dimenticando che questa in ultima
analisi deriva dai rapporti di produzione. In questo modo è come concepire
la costruzione del SPPA separatamente dai rapporti di produzione capitalistici
dentro ad una visione del MPC in cui scompare l’unità degli opposti
tra FP e RP anche laddove tendono a divaricarsi al massimo assumendoli come
elementi separati. A partire dal fato che l’antagonismo proletario si
sviluppa dentro e contro i rapporti di produzione sociali capitalistici, fuori
e contro lo Stato, nella metropoli imperialista e soprattutto in questa fase
la costruzione del SPPA non significa costruire basi rosse, dove esercitare
potere rosso, perché non ci sono territori liberati da difendere e masse
armate; tanto meno ci sono “basi rosse invisibili”, considerato
che questo concetto ha finito col rendere invisibile il SPPA in costruzione
alla classe,dato che l’ambiguità sul termine ha spesso significato
concepire la clandestinità non riferita solo allo Stato ma anche al movimento
rivoluzionario e antagonista.
Il SPPA non si costruisce per linee esterne al movimento antagonista, ma solo
per linee interne, a partire dalle sue espressioni più avanzate. Espressioni
che la guerriglia deve condensare nel PPG per dirigere, mobilitare, organizzare
la lotta e il combattimento proletario contro lo Stato. In queste ultime affermazioni
l’O si riferisce anche al soggettivismo ribadendo che le campagne da sviluppare
non devono esser intese come “campagne d’O” ma devono servire
per organizzare l’offensiva proletaria nelle nuove condizioni di controrivoluzione
preventiva scatenata. Affermazione quest’ultima da cui è possibile
evincere come non è ancora compresa la natura della controrivoluzione
degli anni ’80, collocata com’è nella lineare accentuazione
della crisi della borghesia imperialista verso la guerra dentro ad un meccanico
riflesso della dialettica del nesso crisi-rivoluzione sui fattori dello scontro.
Ragione per cui è normale prospettare il rilancio del SPPA in costruzione,
a partire però dal ricentramento della dialettica partito/masse, e cioè
costruzione della linea di massa rivoluzionaria per attaccare il cuore dello
stato partendo dai contenuti più avanzati e definendo, nell’attuale
fase storica, il rapporto Partito/masse come tra movimento proletario antagonista-Partito
in costruzione da cui è possibile e necessario costruire il SPPA e trasformare
lo scontro di potere in scontro per il potere. La battaglia contro il soggettivismo
d’O che l’O persegue tenacemente è volta pure a correggere
l’affermazione idealistica dell’”Ape …” per cui
gli OMR sorgevano nel divenire oggettivo della crisi, concetto che conseguentemente
dava alla costruzione del SPPA, del PCC e del MMR come già data, come
un dato statico che non vive in rapporto di unità-distinzione con il
movimento proletario antagonista.
Se non si comprende il rapporto che muta continuamente tra le tre determinazioni
e il movimento antagonista da un lato, e dall’altro lo Stato e il MPC,
gli OMR saranno sempre anelli permanentemente mancanti. In concreto la costruzione
del PCC e degli OMR sono processi distinti e uniti in stretta dialettica tanto
che non si da PCC senza costruzione e direzione degli OMR e conquista del movimento
di massa antagonista in MMR. Quindi in questa fase trasformare lo scontro di
potere in scontro per il potere significa trasformazione della guerra di classe
in guerra rivoluzionaria all’interno della costruzione del SPPA intorno
ad un programma generale che, congiuntura dopo congiuntura, disarticoli lo Stato
in dialettica con i contenuti più avanzati delle lotte del PM. Il PPG
vive tramite il PPI nei settori di PM e in questa fase di transizione dalla
propaganda armata alla guerra civile dispiegata ha per obiettivo la conquista
del potere politico. Obiettivo che comporta la costruzione di rapporti di forza
generali a favore del PM e cioè distruzione-abbattimento dello Stato,
disarticolazione del MPC, tappa preliminare per affermare il PM attraverso la
sua dittatura rivoluzionaria come la classe che sola può abolire tutte
le classi e con esse lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Obiettivo
storico che nella metropoli può darsi solo sul terreno politico, attraverso
la politica rivoluzionaria, così da attraversare tutti i rapporti sociali
e caratterizzare la dittatura rivoluzionaria integrale a tutti i livelli, per
la distruzione sistematica del MPC e costruire la società senza classi,
società che è per tutti o per nessuno, e quindi va sconfitta la
BI a livello mondiale. Ed è sotto questo punto di vista che l’internazionalismo
proletario è elemento centrale e decisivo del programma rivoluzionario.
L’affrontamento del nodo teorico relativo al rapporto FP/RP ha un’importanza
decisiva nel futuro riadeguamento perché lo smantellamento delle proposte
dell’idealismo soggettivista delle “basi rosse” sarà
il presupposto per andare a raddrizzare la concezione da manuale della guerriglia
e dello sviluppo della guerra rivoluzionaria, in quanto inficia la visione “territoriale”
del Potere Rosso perché già riconduce la forza che la guerriglia
fa acquistare al campo proletario dentro alla conquista dei rapporti di forza
contro allo Stato e alla BI. Saggio questo che costituirà elemento obiettivo
per dare superamento alla visione della linearizzazione delle fasi rivoluzionarie.
La centralità della produzione di merci nella metropoli è l’altro
nodo teorico affrontato ed è nella riaffermazione di questa centralità
che l’O si contrappone alle tesi sociologiche della “fabbrica totale”,
le quali sulla base dello sviluppo del capitale monopolistico multinazionale
nella metropoli leggono questo sviluppo come capitale unico dentro una visione
di stampo luxemburghiano. Ugualmente l’O si contrappone alle tesi della
“fabbrica diffusa”, tesi che non distinguono più nell’area
metropolitana differenze tra lavoro produttivo e improduttivo, scambiando le
controtendenze con la tendenza principale, finendo per far prevalere nella metropoli
l’estrazione del plusvalore assoluto. Tesi che hanno come risvolto l’individuazione
di settori marginali del PM come proprio referente di classe perdendo di vista
la centralità operaia. Di contro a questi tesi l’O le caratteristiche
del dominio reale del capitale monopolistico multinazionale che è radicato
nella metropoli e che è basato sulla estrazione del plusvalore relativo
conseguentemente la forma principale del movimento antagonista è riferita
alla centralità della classe operaia delle grandi concentrazioni industriali
all’interno del PM. Stante le caratteristiche di sviluppo del capitale
monopolistico multinazionale ne consegue che le cause oggettive della crisi
di sovrapproduzione di capitali risiedono nel rapporto divaricante tra aumento
tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio medio di
profitto. Il nodo teorico FP\RP è ripreso dall’O per battere le
tesi metafisiche della rivoluzione permanente dei neosoggettivisti che appunto
scaturiscono dal fatto che vengono prese per buone le tendenze al limite,senza
tener conto che dall’analisi dall’astratto al concreto va assunto
il concreto storico che è riempito dalla lotta di classe pena cadere
in visioni della inevitabilità obiettiva della rivoluzione. Questo a
partire dal fatto che le FP vengono viste separate dai RP come se potessero
essere neutre e di per sé progressive,mentre secondo l’analisi
marxista le FP sono permeate dai RP e il loro sviluppo è sviluppo dei
rapporti sociali capitalistici di contro al lavoro salariato. Per cui la divaricazione
fino alla rottura del rapporto FP\RP si da solo con la rivoluzione e non con
lo sviluppo delle FP. La critica al soggettivismo si conclude con la confutazione
della teoria della crisi-crollo che è propria alla linearizzazione delle
tendenze, fino a dare già in atto quelle “al limite”. Linearizzazione
che vive unita alla separazione dei nessi dialettici tra l’aumento del
plusvalore relativo e caduta tendenziale del saggio medio di profitto, facendo
prevalere quest’ultimo, in altre parole non considerando che nell’intrinseca
dialettica dello sviluppo capitalistico tra la tendenza al limite e la realtà
storica ci sono le controtendenze. Alla crisi-crollo l’O contrappone la
crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista che da un punto di vista metodologico
è corretta, in quanto risponde agli effettivi meccanismi della crisi-distruzione
del sovrappiù prodotto per riplasmare le forze produttive, ecc. la puntualizzazione
di questa analisi ha il pregio rispetto alla lettura del PG, che davano una
relazione alla contraddizione BI/PM come dominante il nesso crisi-rivoluzione,
di riportare come dominante il nesso crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista,
però il fatto che nell’analisi delle controtendenze l’O assume
come operante la ristrutturazione per la guerra imperialista, oltretutto con
il corollario soggettivistico di leggerne le ricadute sullo scontro di classe
in termini di guerra di classe, non è in grado di portare a fondo la
critica alle tesi del PG, rimanendo sul terreno superficiale della semplice
confutazione di qual è la contraddizione dominante
Questo documento nella sua contraddittorietà riflette l’effettivo
stato politico dell’O. Si tratta di capire, dentro questa contraddittorietà
il reale peso specifico dei suoi contenuti, ovvero perché determinate
affermazioni impregnate di soggettivismo avranno scarso peso, mentre altri,
pur se imprecisi e non sviluppati a fondo, costituiranno la chiave di volta
del riadeguamento. Più precisamente va capito perché queste ultime
possiedono una forza propositiva e ricompositivo pur essendo ancora contenute
nell’involucro delle concezioni soggettiviste e lineariste. Ancora una
volta la chiave di lettura va cercata dentro al principio generale che l’O
avanza e rientra nella misura in cui da soluzione effettiva ai problemi che
ha davanti, e si riadegua nella misura in cui riesce a compiere salti politici.
Si può dire che questi elementi di chiarificazione hanno forza perché
sono i primi risultati dell’affrontamento dei nodi posti alla controffensiva
dello Stato e dalle tendenze soggettiviste, nodi a cui l’apertura della
RS aveva dato una prima soluzione parziale (rispetto alla controffensiva, nel
preservare le forze, per salvaguardare la prospettiva strategica di ricostruzione
del SPPA, e rispetto al soggettivismo nell’affrontamento di quello d’O),
e che ora saranno affrontati globalmente in quanto le tendenze soggettiviste
hanno ormai esplicitato fino alle estreme conseguenze il loro significato nella
pratica. Concezioni queste che avevano preso campo nel movimento rivoluzionario,
con tutto il loro portato di confusione e ambiguità, e che nel loro risvolto
pratico pregiudicavano lo sviluppo corretto del processo rivoluzionario. In
questo senso la battaglia era di vitale importanza per le sorti della direzione
che doveva prendere il processo rivoluzionario e andava affrontata globalmente
perché metteva in discussione le concezioni teoriche, programmatiche
e d’impianto della proposta rivoluzionaria. Da questo punto di vista è
una battaglia di tesi che, arrivando ad interessare il piano ideologico, si
connota come una battaglia tra la concezione materialista e quella idealista
piccolo borghese, giustamente ritenuta dall’O antagonista al rilancio
del processo rivoluzionario. L’affrontamento e la risoluzione di un nodo
come questo, effettivamente posto nello scontro, costituisce la dinamica principale
alla base del rientramento in quella tappa, e tanto più in questa battaglia
l’O raggiungeva livelli teorici ed ideologici di chiarificazione complessiva
sui nodi affrontati, tanto più questa determinava una migliore disposizione
nello scontro ridando forza al ruolo d’O, e in questa misura l’O
è in grado di esprimere forza di attrattiva e capacità ricompositivo
sugli elementi più maturi del movimento rivoluzionario.
L’affrontamento di questa battaglia politica rappresenta dunque una tappa
della RS che aggiunge elementi alla visione parziale che di essa l’O aveva
alla sua apertura, connotando questa nel suo significato più politico,
unitamente agli approfondimenti conseguiti sul terreno della comprensione della
Difensiva Strategica, che viene arricchita dalle peculiarità politiche
nelle metropoli, in cui la RS stessa è qualcosa di più complesso
del semplice preservare le forze della distruzione del nemico.
È a partire da comete chiarificazioni acquisite con la battaglia politica
si traducono nella disposizione dell’O nello scontro, che queste pur essendo
ancora parziali e incoerenti, sono quelle che acquisiscono peso determinante
nell’orientamento propositivo dell’O, mentre al contrario le espressioni
di soggettivismo, pur nella loro argomentazione recente con l’impianto
linearista, non potendo più essere trasferite nella pratica rivoluzionaria,
restano un residuo ininfluente rispetto alle dinamiche del Rientramento. Del
resto non c’è da meravigliarsi della loro persistenza teorica del
materiale d’O, in quanto erano penetrate profondamente nel suo impianto
durante la fase di sviluppo quantitativo della LA. In ultima analisi la dicotomia
che caratterizza il documento riflette le leggi della dialettica che pure vivono
nella materia sociale, nel senso che le risultanze che effettivamente rispondono
alle necessità dello scontro, anche se ancora poco sviluppate, sono quelle
che affermeranno (“il nuovo che avanza”) e avranno un ruolo positivo
negli sviluppi futuri, soppiantando le reminiscenze della vecchia visione inadeguata.
E ciò perché in queste risultanze si riflette come l’O ha
affrontato i nodi teorici principali su cui poggiava la natura profondamente
idealista del soggettivismo, e cioè le “basi rosse” e la
“guerra totale sociale”. Un affrontamento complessivo reso possibile
anche perché nello scontro queste tesi avevano dimostrato tutti i limiti
di praticabilità, che ha smantellato sul piano pratico, teorico, ideologico
i nessi su cui poggia la visione di sviluppo lineare della guerra di classe,
nel ribadire che nella metropoli non è Dato un dualismo di potere e che
la forza che acquisisce la guerriglia non può essere mantenuta in zone
liberate, con ciò inficiando la visione di espansione territoriale da
manuale della guerriglia del processo rivoluzionario, e nel riaffermare in pieno
la “sfera del politico” in contrapposizione allo sviluppo dei rapporti
di potere nel sociale. In conclusione, dell’affrontamento di questi nodi
si ridà il suo posto alla politica rivoluzionaria e con essa al ruolo
dell’avanguardia, ma soprattutto si riafferma che nella metropoli l’attività
rivoluzionaria è finalizzata al conseguimento di rapporti di forza che
devono pesare sul piano dei rapporti generali tra le classi e non in usufrutto
immediato, ovvero in una traduzione estensiva di esse.
Se la «Sintesi» incarna, pur nella sua ambivalenza, il momento più
alto del dibattito sviluppato dall’O dall’apertura della RS, nel
quale dato essenziale è la capacità di recupero del suo ruolo
di direzione e di d’indicazione pratico-teorica, l’attività
complessiva d’O dentro alla precisa tappa della RS, si qualifica in primo
luogo per essere un momento di passaggio tra l’ultima fase della battaglia
al soggettivismo d’O e al soggettivismo idealista, e l’innesto dei
primi elementi propri al processo di critica-autocritica-trasformazione. Dal
punto di vista reale dell’O sulla linea della rivoluzione, ovvero dentro
la Difensiva Strategica, la scelta del ripiegamento, con tutta la conseguente
disposizione che ha comportato, ha messo l’O nelle condizioni di poter
affrontare secondo la coscienza che di volta in volta ne aveva, le problematiche
sollevate dal mutamento dello scontro, una scelta che oggettivamente prima ancora
che oggettivamente, cioè più per condotta che per coscienza ha
riportato l’agire dell’O all’interno del quadro strategico
della Difensiva, ovvero l’ha fatta aderire in modo adeguato a partire
dalle condizioni poste dallo scontro rivoluzionario, sulla linea della Rivoluzione,
in quanto di per sé la posizione ripiegata, di contro alla controffensiva
e ai mutamenti intervenuti, ha obbligato l’O a misurarsi nel modo dovuto,
che ha consentito di tracciare sul piano politico le caratteristiche di una
fase rivoluzionaria che non era stata preventivata nella visione che aveva l’O
dello sviluppo in due grandi fasi della Rivoluzione, ma l’O, in forza
della proprietà che aveva delle leggi generali della guerra, ha saputo
adattarle allo sviluppo originale del nostro processo rivoluzionario, aprendo
la RS, arricchendo in questo modo le conoscenze dello sviluppo della guerra
di classe nelle metropoli. In altri termini la RS, mutuata dalle leggi della
guerra di popolo in cui ha un’accezione puramente militare, calata dentro
la guerra di classe, ne è stata immediatamente informata dai suoi caratteri
fortemente politici. È quindi una scelta politico-militare in grado di
imprimere una direzione di lungo termine al processo rivoluzionario, esplicitando
però fin da subito il suo valore politico. E questo perché la
posizione di ripiegamento fin da subito non solo consente di salvaguardare le
forze dal dissanguamento del nemico, ma poiché essa è una scelta
data dalla coscienza di non essere adeguati, obbliga l’O a rivedere criticamente
la politica rivoluzionaria in rapporto alle problematiche concrete che ha di
fronte e alla chiarezza che ne deriva dei compiti rivoluzionari.
È la posizione di ripiegamento, in sintesi, che le consentirà
di maturare i processi di adeguamento di se stessa e dell’agire rivoluzionario,
avanzando, tappa dopo tappa, sulla linea della rivoluzione, costruendo in questo
modo materialmente le caratteristiche storicamente definite dalla RS, tappe
che sono essenzialmente risoluzione politica delle problematiche immesse dalle
deviazioni, processo politico che porta con sé il corollario della disposizione
politico-militare adeguata allo scontro, in una dinamica che prima di essere
soggettiva vive nella pratica, che diviene coscienza complessiva –in grado
cioè di ricomporre tutti i suoi nessi- nel momento in cui l’O ha
operato i salti politici.
Quello che l’attività storica ha dimostrato è che in virtù
della valenza immanente delle leggi della RS, per come l’O se le è
assunte nel concreto della pratica rivoluzionaria, ovvero a partire dalla coscienza
che ha del suo ruolo storico, questa scelta ha consentito di mantenere aperta
l’opzione rivoluzionaria anche nei momenti più duri e di disorientamento
politico, e ciò sulla base dell’affrontamento propositivo dei nodi
politici e della conseguente precisazione della dialettica di sviluppo del processo
rivoluzionario, ha dato concretezza alla continuazione del processo rivoluzionario.
Ugualmente l’attività storica dimostra come nelle fasi di ritirata
si esprimano al massimo grado le leggi della non linearità, infatti anche
questa prima tappa dell’83 che doveva concludere il passaggio dove si
è consumata la battaglia politica al soggettivismo, invece di aprire
linearmente uno sviluppo in avanti, si è evoluta contraddittoriamente
dentro ad una crisi politica di natura liquidazionista, quindi d’esistenza,
a causa di contraddizioni generate dalle dinamiche di sconfitta, che penetreranno
nell’O avvalendosi della precedente battaglia politica.
La ripresa del combattimento ad un anno e mezzo da Dozier con l’iniziativa
Giugni per l’O rappresenta un primo momento di verifica rispetto alla
capacità di rilanciare la proposta rivoluzionaria. Quello che è
evidente è come in questa azione si riflette i riposizionamento maturato
dall’O nello scontro grazie al processo di ricentramento messo in atto
dall’apertura della RS. Un riposizionamento da cui l’O matura le
chiarificazioni essenziali che contribuiranno alla sua evoluzione politica,
chiarificazioni che hanno nella riaffermazione della dominanza del politico
il punto forte del ricentramento teorico dal quale non le deriva solo la rimessa
al centro del ruolo dello Stato come nemico principale e il ruolo dell’avanguardia
rivoluzionaria e della politica rivoluzionaria, ma più in generale la
capacità di leggere ogni aspetto dello scontro all’interno delle
relazioni politiche, sbarazzandosi degli ultimi residui della sua visione idealista
e soggettivista in chiave sociale. Conseguentemente, nella lettura delle condizioni
dello scontro e dello stato del movimento di classe, l’O si disfa completamente
del vecchio schema meccanico crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione e dalla
non ricuperabilità dell’antagonismo politico, cosa che le consente
di ricalibrare subito le proprie valutazioni riconducendole al quadro della
situazione reale. Un avanzamento politico, quello dell’O, figlio in primo
luogo del suo misurarsi con una situazione in evoluzione nel paese, che vedeva
la BI riprendere l’iniziativa per capitalizzare in termini politici i
risultati della controrivoluzione nei rapporti di forza con la classe. Un avanzamento
che segna un passaggio di qualità rispetto al passato, proprio per penetrare
le caratteristiche politiche dello scontro, che le consente di qualificare natura
e portato dei cambiamenti in atto nel paese con il massimo della chiarezza di
come questi si dipanavano a partire dallo stato in cui versavano i rapporti
tra le classi, potendo meglio, valutare le condizioni del movimento rivoluzionario
e di classe.
Solo oggi con quest’azione l’O prende coscienza con lucidità
di cosa ha comportato la controrivoluzione scatenata nell’82 in termini
di modifica dei rapporti di forza tra le classi, e sulla base di questa coscienza
è decisa a far pesare gli interessi del proletariato per modificare i
rapporti di forza, ed è grazie alle chiarificazioni del processo autocritico
che è in grado di intervenire al punto più alto dello scontro
nel cuore della contraddizione principale tra classe e Stato, attaccando l’esordiente
“Patto Sociale”. Questo, mentre la classe reagisce a questo attacco
con mobilitazioni sostanzialmente di carattere difensivo, in un momento in cui
prosperano nella sinistra di classe letture inadeguate a coglierne il portato.
In questo quadro l’O è l’unica che è in grado di cogliere
interamente la sostanza del progetto della borghesia e di svolgere in quel momento
cruciale quel ruolo d’avanguardia indispensabile alla tenuta del campo
proletario. L’O vede come l’esordio del “Patto Sociale”
sia reso possibile dal livello raggiunto dalla ridefinizione dello Stato, perché
è al suo interno che l’Esecutivo funzionalizza partiti e sindacati
al suo progetto, calato dentro alla situazione di scontro in cui la BI e lo
Stato intendono stabilizzare la modifica dei rapporti di forza determinata dalla
controrivoluzione, sospingendo indietro le posizioni di classe, che si colloca
come strumento di normalizzazione dell’autonomia politica di classe e
di pacificazione rispetto alla proposta rivoluzionaria. E poiché la classe
operaia è l’oggetto principale della normalizzazione, l’attacco
che deriva da questo progetto non può che partire dal piano capitale/lavoro,
dove il patto ha la funzione di compatibilizzare l’antagonismo di classe
nel modello di relazioni neocorporative.
In questo senso l’esordio del Patto in Italia segna un salto sul piano
della contrattazione che, nella sua verticalizzazione, viene politicizzata,
sterilizzandola al conflitto che si produce nelle fabbriche e nelle piazze.
Una sterilizzazione funzionale ad imporre le ristrutturazioni e le più
generali scelte di decurtazione delle conquiste sociali. Un modello di relazioni
che per la sua natura tende a rendere ininfluente e a sospingere indietro il
ruolo della classe. A gestire questo modello di relazioni non possono che essere
i sindacati ed il PCI, tramite la proposta riformista dell’interclassismo,
che non a caso esordisce nel quadro politico craxiano. L’O, dentro questa
lettura, si pone il compito sia di disarticolare questo progetto che di svelarne
alla classe la natura, e soprattutto il ruolo che in esso svolgono i revisionisti,
registrandone la difficoltà a gestirlo, stretti come sono tra l’antagonismo
di classe e l’essere garanti delle scelte della BI, in altri termini per
l’O si tratta di rompere queste gabbie revisioniste per “liberare”
l’autonomia di classe e ricondurre lo scontro sul terreno rivoluzionario.
In sintesi l’O indica chiaramente che la situazione dello scontro va ricondotta
sul terreno risolutivo adeguato al tipo di attacco e di modifica dei rapporti
generali di classe avvenuti. In quest’ottica il discorso propositivo è
teso a mettere in luce come sia perdente restare ancorati alla difesa di condizioni
ormai indifendibili, perché legate al quadro di scontro precedente. Per
l’O non si tratta di disperdere le forze lottando su questo o quel terreno
attaccato dalla BI, perché a livello d’approfondimento verificatosi
nello scontro significherebbe rincorrere obiettivi perdenti, una valutazione
questa che l’O contrappone anche alle posizioni della sinistra di classe
presenti in quel momento che riproponevano i terreni d’intervento del
passato, perciò inadeguati. Al contrario si trattava di riuscire a pesare
sul piano politico, contrapponendosi ai nodi generali dello scontro, come solo
modo di modificare i rapporti di forza. Piano politico sul quale il PM può
tornare a pesare solo rapportandosi all’attività dell’avanguardia
rivoluzionaria ed è solo intorno a questa dialettica che l’autonomia
di classe può trovare la sua ridefinizione in avanti.
In conclusione, con l’iniziativa Giugni si può constatare l’ampiezza
dell’avanzamento politico compiuto dall’O da Dozier. In questa iniziativa
è racchiuso il concentrato delle acquisizioni che lo scontro ha obbligato
l’O a trarre, nell’aver saputo misurarsi con il nemico di classe
proprio nel momento in cui questo sta evolvendo nelle sue forme di dominio,
cosciente degli approfondimenti che su questo piano si verificano nel rapporto
di scontro, e lo fa affrontando al punto più alto lo scontro politico
tra le classi, cosciente di come in quel momento il suo ruolo d’avanguardia
investisse un’importanza doppiamente decisiva, sia perché l’attività
rivoluzionaria dell’O è stata l’unico reale elemento di contrasto
ai progetti della BI, e di conseguenza ha contribuito alla tenuta delle posizioni
del campo proletario e, a partire da questo, sia perché Giugni costituisce
un passaggio importante nel mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria,
avendo tutte le caratteristiche per essere il primo momento di rilancio. E ciò
perché ben oltre alla mera ripresa del combattimento, nell’iniziativa
G erano contenuti gli elementi di ridefinizione progettuale d’O, sia come
portato immediato che come prospettiva di rilancio. Ed è nell’aver
saputo ridefinire la sua capacità d’intervento rivoluzionario all’interno
di quelle dure condizioni dello scontro che l’O ha potuto riacquistare
tutta l’autorevolezza propria del suo ruolo storico.
Un rilancio che è evidente anche nel come analizza il terreno internazionale
e la tendenza alla guerra, ricalibrati e portati su un piano realistico, anche
qui grazie all’essersi disfatta dell’economicismo soggettivista
mettendo al centro la “politica”. In questo senso la crisi internazionale
è valutata all’interno delle spinte per modificare gli equilibri
tra Est ed Ovest come il piano sul quale in quel momento marciava la tendenza
alla guerra alimentata dall’acuirsi della crisi economica, pur se per
i compagni rimane il limite di essere vista come crisi di sovrapproduzione che
ha consumato tutte le controtendenze, spingendo alla ridefinizione delle sfere
di influenza dentro la corsa al riarmo da parte di entrambi i blocchi. Anche
l’analisi del blocco imperialista risente in positivo dei ricentramenti
cogliendo il grado di contraddittorietà esistente nel blocco stesso,
come carattere ineliminabile, di conseguenza come la tendenza alla guerra e
l’immanenza dell’interesse generale del blocco richiedono processi
di coesione politica per far fronte alla crisi e, in ultima analisi, andare
al confronto col blocco avverso. La maggiore chiarezza sui movimenti dell’imperialismo
consente anche di inquadrare correttamente il nodo dell’Italia nel quadro
delle relazioni imperialiste, che la obbliga ad accelerare tutti i processi
di ristrutturazione per stare al passo con le politiche necessarie alla frazione
dominante di BI, indispensabili nel competere nel mercato mondiale dovendo fare
i conti con le specificità relative non solo ai ritardi strutturali,
ma soprattutto alla maturità dello scontro di classe e all’esistenza
del processo rivoluzionario, fatti questi che rimarcano il suo essere anello
debole della catena.
Da questa capacità di rimettere le cose con i piedi per terra nella conquistata
visione materialista, ne deriva una coscienza profonda di tutti i termini della
realtà non solo relativi a come va a configurarsi il rapporto con il
nemico di classe, ma soprattutto coscienza delle effettive condizioni rivoluzionarie
e di classe, fino a qualche mese prima influenzate da quell’idealismo
soggettivista che faceva da schermo alla presa d’atto di quale era il
vero stato del movimento rivoluzionario e di classe, ovvero prende coscienza
che il movimento rivoluzionario è passato dal rivoluzionarismo estremo
all’arretramento difensivistico e che le posizioni di classe sono state
sospinte indietro dall’offensiva della BI e dello Stato. Un quadro nel
quale ciò che più pesa sulle spalle dell’O è il come
è uscita ridimensionata dallo scontro rivoluzionario, avvertendo in maniera
acuta sulla sua pelle gli effetti del rovescio militare e della sconfitta politica
causata dai suoi errori. Maggiore è la coscienza dell’O dello stato
reale dei rapporti di classe e della sua propria debolezza a fronte della riconquistata
iniziativa politica dello Stato e delle forme dell’attacco tese a liquidare
la strategia della LA, maggiore è la permeabilità ai meccanismi
di demoralizzazione delle forze e introiettazione della logica difensivistica
e di sconfitta. Demoralizzazione delle forze che fa vivere la sconfitta ed il
suo ridimensionamento come una sorta di isolamento politico e questo sentire
è tradotto politicamente nella problematica dell’essere staccata
dalle masse, dall’essere stata staccata dalle masse. Da questa problematica
che diventa pervasiva come sintomo della logica della sconfitta ne scaturisce
come risposta la ricerca d’una attività d’avanguardia tesa
ad attrarre “milioni di proletari”.
In ultima analisi, le inadeguatezze vengono ricondotte a tutto ciò che
l’avrebbe allontanata dalle masse. Se questa è la dinamica nuova,
figlia degli effetti della sconfitta, e in quanto tale interna alle leggi inaggirabili
della guerra, la forma della contraddizione politica che andrà ad alimentare,
sarà veicolata dalle tematiche proprie della battaglia politica al soggettivismo
d’O, e ciò perché la coscienza che l’O ne ha è
limitata a questo tipo d’errori. In questo nuovo quadro, però,
la critica al soggettivismo idealista perdeva via le connotazioni complesse
che aveva avuto fino a pochi mesi prima, per deformarsi, appiattendosi su un
unico nodo, quello dell’errore di dialettica Partito/masse, che finisce
con l’assurgere ad errore per eccellenza, al quale si imputa il fatto
di non aver realizzato il passaggio di fase. Questo filo a piombo a cui viene
piegatala critica al soggettivismo, finisce con lo stravolgere la giusta critica
relativa all’aver interpretato come fase offensiva l’offensiva della
guerriglia, per farla diventare mera critica al combattimento, quale terreno
di dialettica identificato quale sola indicazione organizzativa per le masse.
Per la prima volta emerge in modo esplicito la negazione di quello che nella
guerra di classe è la dialettica con la classe, ovvero la sua organizzazione
in forme e modi specifici alla fase sulla LA, nel senso che per la prima volta
ci si richiama ad una non bene identificata “politica rivoluzionaria”
definita appositamente per dialettizzarsi con i milioni di proletari e in cui
la strategia della LA sarebbe l’aspetto più avanzato. Ovvero, a
partire dall’analisi dell’attività generale delle masse,
l’avanguardia si pone come quella tesa a riunificare e generalizzare i
contenuti e le forme di lotta più avanzate che essa esprime. Una accezione
che mortifica a codismo il ruolo dell’avanguardia privandolo del riferimento
rivoluzionario adeguato.
Se questa è l’indicazione nel rapportarsi con le masse, l’attività
di combattimento è terreno di proposta solo per le avanguardie. Uno sbocco
questo che nei fatti separa l’unità del politico e del militare,
l’avanguardia della classe, e introduce la dissoluzione della proposta
strategica in cui la LA diviene nei fatti il sostegno all’attività
di massa. Paradossalmente l’O passa dal fallimento del SPPA secondo la
logica dei PI, che presupponeva la classe organizzata sulla LA, alla negazione
totale di questo presupposto: o le masse sono conquistabili sulla LA a milioni
o non è dialettica! Conseguentemente, una siffatta conquista a “milioni”
non può che spostarsi nel tempo, cioè quando le condizioni di
coscienza saranno evolute e i rapporti di forza adeguati. Da qui la tentazione
di una attività di direzione solo politica di orientamento di quello
che già esprimono i proletari, di fatto riscoprendo il lavoro politico
come cosa separata da quello militare.
Il fatto che l’O, malgrado i notevoli avanzamenti registrati dal ricentramento
stia inconsapevolmente scivolando nella morsa dei meccanismi difensivistici
propri alla logica della sconfitta, è un fatto che va considerato come
quasi inevitabile, stante la giovinezza e l’inesperienza che ne deriva
sul piano della coscienza relativa alle dinamiche e leggi della guerra di classe.
Tuttavia ciò non ci impedisce di valutare come l’iniziativa Giugni
si collochi sulla linea della rivoluzione e nella fattispecie quale posto occupa
nella fase di RS. Nel rilanciare l’iniziativa politico-militare, l’O
evidenzia anche in questo caso i dinamismi a cui una forza rivoluzionaria risponde
nell’affrontamento dello scontro, mettendo in luce interamente qual è
la sua disposizione effettiva. In effetti il portato politico del rilancio è
fortemente contraddittorio, a causa dell’influenza difensivistica si innesta
uno stato politico in cui a partire dall’omissione dell’organizzazione
delle masse sulla LA va a dissiparsi la complessità del dibattito sulle
fasi rivoluzionarie, mentre, dall’altro, proprio perché si sta
misurando con il nemico di classe al livello del suo progetto centrale, quindi
sta combattendo al più alto livello della contraddizione classe/Stato,
questo piano pratico promuove ala capacità di evolvere la sua disposizione
rispetto all’approfondimento dello scontro sul piano della capacità
di disarticolazione. Ovvero per avere il massimo risultato politico da utilizzare
sul piano dei rapporti di forza, la disarticolazione deve rispondere già
nei fatti a quei criteri di centralità, selezione e calibramento, un
avanzamento che è il portato del venir meno della concezione di un potere
“trattenuto” in forma estensiva, per diventare una pratica tesa
a ricercare il massimo danno al nemico da tradurre sul piano politico, cosa
che presuppone una disposizione delle forze di fatto già centralizzata
intorno all’obiettivo politico perseguito. Esistono in questo senso tutte
le premesse pratiche di quello che sarà razionalizzato politicamente
più tardi: “colpire militarmente il progetto nemico per avere il
massimo usufrutto”.
L’iniziativa Hunt stigmatizza il completo cambio di scenario nella gestione
pubblica dell’attività dell’O. A dispetto dell’alta
qualità dell’azione che ha disarticolato il progetto imperialista-sionista
di normalizzazione dell’area mediorientale, e che in quanto tale ha avuto
una grande risonanza col riconoscimento da parte delle forze rivoluzionarie
antimperialiste, i contenuti che la veicolano si contrappongono come qualcosa
di estraneo.
Anche solo considerando l’analisi della crisi internazionale in cui è
calata l’azione, colpisce come non siano riconoscibili quei criteri con
cui l’O ha sempre analizzato l’imperialismo, prevalendo nettamente
una lettura regredita dei suoi passaggi storici. Il risultato è un’esposizione
cronachistica e didattica appositamente formulata per una funzione di chiarificazione
alle masse delle problematiche internazionali entro cui interagiscono le politiche
dell’imperialismo, le quali sono in ultima analisi oggetto di denuncia
in chiave democraticista (come dimostra lo spazio dedicato all’ONU. Del
resto non potrebbe essere diversamente, perché questa esposizione risulta
essere il logico corollario delle finalità perseguite dall’O, sintetizzabili
in una attività rivoluzionaria di appoggio alla lotta di massa da orientare
contro i processi di guerra imperialista palesati in quel momento dall’O.
In questa nuova versione dell’attività rivoluzionaria incarnata
dall’iniziativa Hunt è vanificata tutta la ricchezza propositiva
dell’impostazione antimperialista precedente e precisata con Dozier, soprattutto
rispetto al FCA, ma meno che mai possono trovarsi cenni alla LA!
L’opuscolo n. 19 esplicita in forma compiuta il cambio di scenario già
individuabile in Hunt: quello che ci interessa esaminare è il processo
che consentirà l’insediarsi dentro l’O in forma dominante
di un complesso di tesi assolutamente estranee alla storia, proposta e impianto
d’O. Per capire il cambio di scenario va considerato lo stato di crisi
politica organizzativa in cui versava l’O, in quanto fino a quel momento
non aveva potuto dare risoluzione al complesso dei nodi emersi all’apertura
della RS. Il rientramento parziale di alcuni aspetti, anche se fondamentali
alla ripresa dell’iniziativa d’O non l’avevano risollevata
dall’impasse in cui si trovava a causa della sconfitta. Un empasse su
cui pesava la difficoltà di ridefinire le problematiche politiche, teoriche,
d’impianto relative a quel passaggio cruciale della “Propaganda
Armata” alla definizione della fase che la doveva sostituire, problematiche
messe in crisi con la critica al soggettivismo, ma non rettificate nel loro
complesso. Uno stato di incertezza che è debolezza politica alimentata
dalla più generale situazione di arretramento e debolezza politica del
movimento rivoluzionario e di classe quale fattore non indifferente rispetto
a come la stessa O percepiva ala sconfitta e a come subiva le dinamiche di demoralizzazione
delle forze. Ovvero, alle contraddizioni irrisolte si univa la pressione schiacciante
del difensivismo che pervade inconsapevolmente l’O con tutto il suo portato
di influenza negativa nella ricerca delle risoluzioni politiche da dare al rapporto
Partito/masse. Contraddizioni come sappiamo già presenti con l’azione
Giugni, tuttavia sarebbe sbagliato pensare che le tesi dogmatiche siano la loro
evoluzione lineare, perché, pur presentando tratti simili entrambe riconducibili
alla dinamica difensivistica, nel primo caso sono comunque suscettibili, per
la loro natura, di essere corrette dalla prassi, quindi non destinate ad innescare
nell’O un’elaborazione teorico-pratica in grado di portarle a quel
livello di compiutezza espresso dalla concezione dogmatica.
In concreto, le tesi dogmatiche possono inserirsi nell’O sul terreno fertile
dato dall’intreccio tra contraddizioni irrisolte e nuove contraddizioni,
terreno galvanizzato dal contesto materiale dello scontro che determina quella
condizione di debolezza dell’O sulla quale è possibile l’accettazione,
in prima istanza acritica, di queste tesi, favorite anche da un altro fattore
negativo, l’influenza dei prigionieri sull’O, che in quella fase
assume particolari caratteristiche. Per capire ciò va considerato come
i meccanismi di demoralizzazione delle forze e dell’interiorizzazione
della sconfitta che si sviluppano in un arretramento politico di questa portata,
hanno il loro riflesso preciso nella condizione politica della prigionia. Perché
se nell’attività concreta questi meccanismi possono essere prima
o poi capiti e governati o comunque contenuti dall’agire rivoluzionario,
nella prigionia si sviluppano nella loro pura forma negativa, a causa delle
condizioni obiettive di separatezza dall’attività concreta e per
effetto della cattura e dello stato di prigionia. È in ragione di queste
dinamiche, in quanto, una volta catturati, la percezione della sconfitta in
carcere diviene assoluta, influenzando tutti i loro atti politici e la loro
lettura della realtà dello scontro. In questo contesto si innescano dei
processi di elaborazione politica caratterizzati dal loro svolgersi sul piano
astratto della teoria, che per questo consumano rapidamente il passaggio dalla
battaglia al soggettivismo idealista che viene esteriorizzato fino al punto
di farlo combaciare con il presunto impianto guerrigliero dell’O. Queste
conclusioni politiche che coinvolgevano una consistente parte dei militanti
d’O arrestati in quel periodo, manifestavano al massimo grado l’interiorizzazione
della sconfitta che a vari livelli imperversava nella prigionia in quel momento.
Nel contempo l’O a causa della sua condizione di debolezza che ne determinava
un’incertezza politica, sentiva la necessità di avere il contributo
dei militanti incarcerati, ed è in questo stretto rapporto che la produzione
carceraria penetra ad ondate successive il dibattito interno all’O. Questo
stato interno dell’O spiega come questo dibattito sia potuto penetrare
senza troppe resistenze fino a dominare la sua proposta politica arrivando a
mettere a repentaglio l’intera sua identità e l’impianto
strategico originario. Che in larga misura si tratti di un dibattito preconfezionato
e non un processo di elaborazione proprio dell’O è testimoniato
da come si presenta nella sua forma pubblica il «19», un prodotto
politico che introduce tesi radicalmente estranee a quelle dell’O, che
si sostituiscono alla precedente impostazione senza che questo mutamento sia
motivato, come un cambio di pagina che si sorregge a malapena con vistose lacune
ed omissioni proprio nei punti cruciali che riguardano l’82, e più
in generale salta agli occhi la totale assenza di riferimenti alla Strategia
della Lotta Armata e a tutto ciò che ha a che fare con la guerra di classe,
le fasi rivoluzionarie, ecc…
Questo quadro non sarebbe completo se non si considerasse lo stato di destrutturazione
del corpo militante che ha senz’altro rallentato la presa di posizione
critica verso queste tesi, perché in tal modo ha sfavorito nell’articolare
la dialettica con la direzione, in un contesto in cui tutta la discussione era
avocata dalla direzione e poi immessa nel resto dell’O. Questo stato spiega
altresì come sia stato possibile che queste tesi prevalessero fino alla
forma pubblica in quanto erano maggioritarie nella direzione ma non nell’O
nel suo complesso. E quindi spiega perché, una volta organizzato lo schieramento,
la messa al bando di queste tesi sia avvenuta con un’espulsione e non
con una scissione.
Detto ciò, il dato politico principale è che queste tesi sono
potute entrare nell’O, anche se per breve tempo, in rapporto alla sua
debolezza politica, incarnandosi nei varchi lasciati aperti dalle problematiche
del mancato passaggio di fase, irrisolto a causa della sconfitta. Più
in particolare è come se la sconfitta avesse posto un’ipoteca negativa
sulla ricca problematica propria all’impianto d’O della conquista
delle masse sulla LA, divenendo un discorso irriproponibile in quanto tale e
rovesciato nella sua natura come l’«errore» per antonomasia
che ha il suo fulcro sul rapporto Partito/masse. Un rovesciamento che tutt’altro
dall’essere un esame critico della problematica, è l’espressione
massima del difensivismo penetrato nell’O, ed è per questo che
le tesi dogmatiche sembrano dare una risposta alla problematica irrisolta. Ovvero
tesi concepibili solo da una logica di sconfitta, come era quella dei prigionieri,
in quanto tale una negazione dell’esperienza della Strategia della LA,
potevano entrare in relazione nell’O perché questa logica della
sconfitta non era che l’estremizzazione di uno stato difensivistico proprio
anche all’O. A pochi mesi dal «19», grazie alla verifica pratica
che rende evidente la totale illegittimità di questa tesi sul piano rivoluzionario
e di classe, grazie anche a quanto pesa l’interezza della storia d’O
sul corpo militante e nello scontro, tale da non consentire a lungo la cittadinanza
di queste tesi, si formalizzerà nell’O il conflitto irricomponibile
tra le 2 posizioni, che in breve arco
Sulla battaglia politica, quello che ci interessa rimarcare è come la
difesa intransigente dell’impostazione strategica d’O presenta l’apparente
contraddizione di essere lacunosa proprio nei suoi presupposti di fondo, e cioè
l’organizzazione della classe sulla strategia della LA. Questo testimonia
come l’O sia rimasta segnata dal fatto che un tentativo così complesso
come quello di organizzare la classe sul terreno della LA che l’O aveva
promosso e cercava di dirigere ed organizzare sia rimasto, a causa delle modalità
assunte dallo scontro rivoluzione/controrivoluzione come “inficiato”
nella sua possibilità di essere realizzato, perché è evidente
che la controrivoluzione messa in campo dallo Stato e dalla borghesia ha assunto
delle caratteristiche in rapporto proprio ad una situazione di guerra civile
strisciante, nella quale veramente spezzoni di classe erano disponibili ad essere
organizzati sulla LA, come effettivamente in parte lo erano in un quadro di
scontro rivoluzionario e di classe in cui c’era un consenso rivoluzionario
e di massa verso la progettualità delle BR. Quindi la risposta dello
Stato è commisurata all’eventualità che si stava realizzando,
di una classe armata dentro un progetto rivoluzionario definito nel suo percorso
e finalizzato alla presa del potere, al di là dei limiti ideologici di
soggettivismo che l’O aveva in sé, che però all’interno
di un rapporto rivoluzione/controrivoluzione non costituivano i fattori scatenanti
la controffensiva.
Il ridimensionamento derivato dalla controrivoluzione è erroneamente
imputato a questo tentativo rivoluzionario in quanto tale, proprio perché
su di esso ha agito l’impatto della controrivoluzione, e ciò al
di là delle motivazioni date dall’O in quel momento. Questi sono
i motivi per cui nell’opera di ricentramento dell’O, questo è
l’ultimo nodo che potrà essere affrontato, rimanendo per lungo
tempo omesso letteralmente dalle riflessioni e dai ricentramenti teorici e politici
dell’O, tanto è vero che nei materiali preparatori della battaglia
politica i contenuti relativi alla prospettiva di costruzione del processo rivoluzionario
in relazione alla proposta alla classe, non si distinguono da quelli della “2°
posizione”, per paradosso l’autoaccusa di aver scambiato le avanguardie
con la classe a motivo della sconfitta, qui viene effettivamente assunta e praticata
escludendo praticamente le masse dall’essere organizzate sulla LA (terreno
questo riservato alle avanguardie e ai comunisti), e prospettando loro una dialettica
basata sul fatidico “programma” che, in ultima analisi, lascia al
mero lavoro politico il lavoro di massa.
La contraddizione si manifesta nell’omissione di un termine della dialettica
distruzione/costruzione propria allo sviluppo della guerra di classe. Questa
contraddizione da un significato limitante alla critica fatta in quel momento
dall’O al gradualismo e alla linearità nella concezione del processo
rivoluzionario, in quanto fatta ruotare sul discorso tabù dell’organizzazione
delle masse sulla LA, divenendo sinonimo di contropotere territoriale, negando
con questo che sia un problema costante della guerra di classe rimandato “sine
die” nella sua solvibilità come nodo. La messa al centro che lo
sviluppo del processo rivoluzionario non procede per accumulo graduale e progressivo,
ma per salti e rotture, stante questo limite, non riceve la valorizzazione appropriata
ad un avanzamento di questo genere, perché rimane privato dalla sua concretizzazione
sul piano della guerra di classe. Ma soprattutto l’omissione del termine
della costruzione si riflette in negativo sul principio della costruzione/fabbricazione
del Partito derubricato ad una questione astrattamente leninista che, in ultima
analisi, rimanda alla sua “costituzione”, al fatto che i comunisti
sono d’accordo sulle tesi, e l’unità dei comunisti diverrebbe
decisiva allo sbocco rivoluzionario, cioè la presa del potere. Una soluzione
che si differenzia dalla “2° posizione” solo perché non
è codista nella concezione d’avanguardia, ma che dimentica come
la direzione di una guerra di classe richiede lo sviluppo di dirigenti adeguati
che solo la maturazione della guerra di classe e la sua precisazione programmatica
può produrre, fino ad allora la condizione di Forza Rivoluzionaria rimane
quella più corrispondente come capacità di direzione dello scontro
al livello di sviluppo reale del processo rivoluzionario.
Trascorrono alcuni mesi dall’ espulsione della “seconda
posizione” e l’uscita pubblica dell’O. Mesi cruciali e fondamentali
a preparare sul terreno teorico-politico il rilancio dell’iniziativa recuperando
tutti i caratteri distintivi dell’agire rivoluzionario d’O. che
partono dall’azione combattente. L’unicità pubblica dell’O.
con l’opuscolo 20 e Tarantelli porta con se una riqualificazione dell’impianto
e della coscienza che ha l’O. dello scontro, coscienza forgiata da questa
battaglia e dal misurarsi con le problematiche del rilancio dell’iniziativa
combattente. In questo senso è evidente che tra l’iniziativa G
e T non c’è mera progressione in avanti, ma vero e proprio atto
di maturazione passato attraverso l’affrontamento e risoluzione della
contraddizione e più in generale del risollevamento dalle crisi politiche.
Un salto che ridetermina la collocazione e il prestigio dell’O sia rispetto
al movimento di classe, sia nella sua capacità di confrontarsi col nemico.
Nell’aver affrontato e risolto una battaglia che sostanzialmente era un
tentativo di liquidazione della LA, si sono attinte tutte le risorse dei militanti
che ne avevano consapevolezza, obbligandoli a mettere al meglio l’impostazione
politica strategica ed ideologica di riferimento, attingendo dallo spessore
politico prodotto dall’attività dell’O. Ovvero, se questa
battaglia è stata obiettivamente di difesa ed anzi di retroguardia, rispetto
all’attacco alle concezioni strategiche dell’O, il poterle sostenere
ha obbligato i militanti d’O a far compiere uno strappo in avanti alle
chiarificazioni del processo autocritico, nel senso che tutti i parziali aspetti
di chiarificazione ricevevano un impulso tale da ricomporre in una visione organica
i principali nodi alla base delle motivazioni che rendono necessaria la strategia
della LA, riqualificando l’impianto originario dell’O in termini
di maggiore scientificità. Per tutte queste ragioni, l’iniziativa
T e l’Opuscolo 20 configurano il primo vero momento ricompositivo dopo
Dozier, rispetto al movimento rivoluzionario e di classe perché l’O
con la gestione di questo passaggio politico esprime la capacità di assumersi
i reali processi politici che si sono determinati nello scontro dall’apertura
della RS potendo dare valutazioni, indicazioni chiare ed inequivoche in grado
di riassestare l’indirizzo che deve percorrere il processo rivoluzionario,
sul quale convogliare tutte le energie proletarie e rivoluzionarie presenti
nello scontro, sapendoli effettivamente dirigere in rapporto al suo approfondimento.
Per questo nell’ambito di riferimento delle avanguardie rivoluzionarie
e di classe queste indicazioni segnano un punto di non ritorno e un approdo
qualificante da cui non è possibile prescindere. Questo dato politico
qualitativo è ravvisabile immediatamente da come l’O ora è
in grado di collocare la sconfitta, sapendo analizzare criticamente la natura
della controffensiva antiproletaria e controrivoluzionaria degli anni ’80
all’interno delle dinamiche generarli e particolari che l’hanno
promossa, nella coscienza che l’origine della controffensiva risiedeva
principalmente nei movimenti che a livello generale presentava la crisi dell’imperialismo,
che motivavano le esigenze impellenti della BI, dinamica che avrebbe portato
la borghesia comunque a stringere i conti col proletariato e la sua avanguardia
rivoluzionaria.
Un dato di sostanza politica questo, che fa testo del grado di maturità
dell’O nel riesaminare col giusto equilibrio il rapporto tra le proprie
deficienze e il movimento complessivo dei fattori in campo, liberandosi finalmente
dal peso della ricerca ossessiva degli errori che tanto ha contribuito a condurla
nel vicolo cieco delle concezioni dogmatiche. Questo primo passo che la riporta
ad un giusto rapporto rispetto al ridimensionamento subito, è la premessa
per uscire dal difensivismo, governandone i condizionamenti. L’altro importante
dato qualitativo sta nel bilancio contenuto nel «20»: bilancio certamente
dovuto, ma che l’O è in grado di tracciare dalla posizione politica
che ha acquisito con la risoluzione di questa crisi, usufruendo quindi nelle
valutazioni di questa maturità politica che le consente di tracciare
tutto il percorso svolto dall’O fino all’affrontamento della contraddizione
liquidazionista, non solo in funzione di ristabilire la verità storico-politica
messa in discussione da questo attacco, ma di precisarla, facendo spiccare il
movimento reale che l’O ha impresso al processo rivoluzionario in tutta
la sua dialettica e materialità. Solo l’O può isolare l’effettivo
portato del soggettivismo e le ragioni che lo hanno alimentato, riconducibili
alla crescita sul territorio nazionale della LA e alla giovane esperienza sull’incanalamento
di questo processo. Solo ora, cioè si può finalmente affermare
che l’empasse su cui si è arenato il processo rivoluzionario è
stata quella di non aver saputo, a conclusione della Fase di PA, definire le
tappe e la tattica necessarie per il raggiungimento del primo obiettivo: la
conquista del potere, una questione di non poco conto, considerato che questo
era il nodo flagrante della sua inadeguatezza.
Per l’O aver individuato questo fattore di inadeguatezza, unitamente alla
concezione lineare e progressiva del processo rivoluzionario che ne è
alla base, pur non essendo in grado in quel momento di dargli soluzione, l’averlo
individuato costituisce il prerequisito per il suo affrontamento cosciente quando
matureranno le necessarie condizioni. E questo perché nel quadro di quel
bilancio non erano presenti le condizioni oggettive e soggettive per la comprensione
della problematica, cosa che avrebbe richiesto una critica più approfondita
sulle implicazioni in negativo della visione lineare del processo rivoluzionario.
Infatti la semplice individuazione dell’errore di definizione della tappa
è pur sempre calata in una visione di risoluzione ravvicinata della presa
del potere, il cui nodo era visto dall’O nel salto al Partito, da compiere
correttamente rispetto al rapporto Partito/masse. Una visione cioè che
lasciava fuori il richiamarsi alle fasi rivoluzionarie e al loro succedersi
dentro al grado di approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione,
cosa che avrebbe dato i termini concreti per valutare in quale tappa si trovava
il processo rivoluzionario, o meglio quale fase andava a definita in rapporto
al suo effettivo quadro strategico.
Un tipo di valutazione che in quel momento non era alla portata dell’O
anche perché avrebbe richiesto di assumere la guerra di classe come il
modo di esistere in ogni fase, pur in forma diversa, del processo rivoluzionario,
visto il suo svolgersi discontinuo. Una discontinuità dentro la quale
solo può trovare spessore il giusto concetto dello svolgersi del processo
rivoluzionario per salti e rotture. Sulla base dell’evoluzione politica
raggiunta, l’O può affrontare in termini complessivi i nodi su
cui aveva perso di sostanza: Stato, Partito, classe, e i più generali
criteri di analisi storico-politica, relativi all’imperialismo ed alla
crisi. Un affrontamento che si avvale dei risvolti già sedimentati in
termini di classificazione nella battaglia al soggettivismo, ma che aveva i
suoi contenuti teorici rispetto alla necessità di argomentare la relazione
che esiste tra i caratteri di questi nodi e l’adeguamento del processo
rivoluzionario, nel senso che le caratteristiche dell’imperialismo, della
crisi e soprattutto dello Stato, del Partito, hanno un intimo legame con la
legittimazione della Strategia della LA, la cui esistenza è giustificata
storicamente in primo luogo dal suo essere adeguata a confrontarsi con le forme
di dominio dello Stato. In questo senso, viene anche ricollocato nel suo più
giusto significato il ruolo della guerriglia rispetto al revisionismo storico
che va rapportato ad un preciso piano politico (quello di battaglia dentro al
movimento di classe), sgombrando il campo dalla mistificante motivazione che
l’antirevisionismo sia a fondamento dell’esordio della LA.
Stabilire i nessi delle ragioni strutturali su cui, in ultima analisi, poggia
la rottura operata dalla LA, risponde più in generale all’esigenza
politica di portare a fondo la battaglia contro le tesi dogmatiche consapevole
che, sebbene l’O le avesse espulse, queste nella condizione di arretramento
delle posizioni rivoluzionarie e di classe avevano trovato una certa diffusione,
rispetto alla quale non sono stati indifferenti la diffusione del «19»
e del volantino Hunt. Proprio per confutare il riemergere di concezioni inadeguate
ed arretrate, come lo Stato-nazione (con una lettura retrodatata dell’analisi
di classe, fino alla riproposizione delle alleanze interclassiste), l’imperialismo
riportato all’epoca di Lenin, i blocchi basati su motivazioni ideologiche,
l’internazionalismo ridotto al solidarismo, ecc…, l’O recupera
tutto quello che è il patrimonio sedimentato nel corso del processo rivoluzionario
a livello degli architravi analitici, cioè FES, affermazione del capitale
monopolistico-multinazionale, Stato imperialista, ecc…e, privato delle
sue venature idealistiche, lo porta ad una più alta maturazione. Questo
processo di evoluzione politica consolida l’impostazione dell’impianto
politico-strategico dell’O che ha come corollario la difesa estrema dei
concetti strategici della guerra di classe, dell’unità del politico
e del militare, dei criteri di disarticolazione che, in quanto tali, salvaguardano
l’impianto fondamentale nella sua integrità. Se indubbiamente il
«20» riflette uno stato politico diverso dal momento della battaglia
politica, in cui il nuovo livello di unità raggiunta materializza la
maturazione politica avvenuta, ciò nonostante si ritrovano insoluti quegli
stessi nodi che nella battaglia politica non erano stati superati, e si presentano
nel quadro di riaffermazione dell’impianto strategico, come elementi di
contraddizione. A fronte della riaffermazione sul piano generale della guerra
di classe prolungata, vi è l’assenza su come essa possa vivere
fino alla conquista del potere; a fronte dell’approfondimento del principio
di disarticolazione, vi è l’assenza di riferimenti alla costruzione;
la questione del Partito è censurata dal principio di costruzione, in
ultima analisi l’indicazione pratica della proposta rivoluzionaria è
soggetta a questo tipo di contraddizione che, se dovesse essere presa alla lettera,
porterebbe a concludere che l’O propone la LA delle avanguardie e la relazione
con la classe mediante il programma, non differenziandosi sostanzialmente dalla
pratica proposta dalla 2° posizione!
Nonostante questa apparenza questi elementi di contraddizione non sono l’indice
di una permanenza di residui dogmatici, più precisamente la contraddittorietà
va ricondotta alla non risoluzione dei nodi rimasti aperti dall’82 con
la sconfitta, ovvero quelli relativi al cambio di fase ed alla tattica conseguente
da definire. Nodi che però l’O nel corso dell’elaborazione
politica avvenuta in quegli anni è riuscita ad identificare sul loro
piano generale, ma che in mancanza dello sviluppo di esperienza che le consenta
di acquisire gli elementi per padroneggiarli, restano enunciazioni prive di
consequenzialità politica. Inoltre, l’indefinitezza con cui l’O
esprime le modalità entro cui deve svilupparsi il rapporto con la classe
sul terreno della LA, pur avendo come conseguenza quella di privare la disarticolazione
dell’elemento dialettico della costruzione, non costituisce il substrato
di una contraddizione tesa a delimitare lo sviluppo della guerra di classe solo
nello scontro tra guerriglia e Stato, piuttosto manifesta il massimo della coscienza
sulla problematicità di questo nodo su cui grava l’ipoteca degli
errori del passato, quando l’O si è trovata a mettere in pratica
un processo complesso come quello di organizzare le masse sulla LA. Un passaggio
estremamente importante della guerra di classe che si è inceppato sulle
inadeguatezze presenti nell’O in quel periodo, ma che ha segnato comunque
il precedente più significativo nell’esperienza della guerriglia
in Europa. Un precedente da cui l’O ha tratto insegnamenti divenuti patrimonio
generale per qualsiasi guerriglia nella metropoli, sia come leggi della guerra
(guerra senza fronti, soggetta all’accerchiamento strategico, e che la
forza acquisita deve riversarsi sui rapporti di forza generali tra le classi,
ecc…) sia sul piano dell’impostazione marxista-leninista per cui
questa forza acquisita non può essere dirottata dentro a rapporti di
potere nel sociale a fini economicistici o nella concezione di contropotere.
Tutti insegnamenti su cui l’O si arrocca e che, pur non potendo andare
oltre, le consentono quanto meno di assumere l’impostazione corretta su
come potranno essere affrontati, un arroccamento che però ha anche un
effetto paralizzante per tutti quegli aspetti che riguardano il come l’O
si rapporta alla classe nonostante il consolidato criterio che il ruolo di direzione
dello scontro comprende le indicazioni su come organizzare gli spezzoni di classe
che si muovono contro lo Stato ovvero dirigere ed organizzare la guerra di classe)
e che si risolve nel fatto che l’O si attiene alle sole indicazioni di
carattere politico generale che come tali sono prive in quel momento di significato
pratico. In conclusione questa è l’attestazione politica raggiunta
dall’O su questo problema in quel momento e, d’altra parte, considerando
il grado di evoluzione del processo rivoluzionario fino allora, non pensabile
che potesse sviluppare risoluzioni di altro tipo, in quanto in quel contesto
di scontro la questione fondamentale assolta oggettivamente dall’O è
stata di mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria a partire dalla capacità
dell’O di esistere politicamente, questo come risultato obiettivo che
configura il tragitto reale compiuto dall’O dentro le caratteristiche
della RS. Un elemento di tenuta che, nella difensiva strategica, costituisce
fondamento dei processi di ricostruzione e rilancio, proprio perché qui
per tenuta non si intende mera resistenza ma capacità di riaffermazione
della propria proposta e del proprio impianto, che è tale perché
riadeguati all’interno di un processo che, dagli accumuli quantitativi,
ha maturato un salto di qualità, dando risoluzione alla maggior parte
dei problemi presenti al momento della rottura della RS.
Per tutto ciò, le contraddizioni residue nel «20» e i necessari
processi di riassestamento presenti nell’O costituiscono problemi di ordine
secondario, in quanto suscettibili di essere rettificati nel corso del processo
di riadeguamento, pur nella sua inevitabile discontinuità e problematicità,
e questo perché a monte sono solidi i riferimenti necessari a livello
di impianto strategico che consentono di procedere verso lo sviluppo delle condizioni
politiche, pratiche, teoriche del rilancio del processo rivoluzionario. Rilancio
che per l’O vive strettamente in rapporto alla sua dinamica materiale
data dallo sviluppo delle condizioni del movimento di classe, delle politiche
dello Stato e della condizione delle avanguardie, ed è in rapporto a
questa dinamica che ha senso per l’O parlare di critica-auocritica-trasformazione.
Le caratteristiche che manifesta l’iniziativa politico-militare
C. segnalano un tipo di problematica le cui avvisaglie si erano già riscontrate
nel periodo della battaglia politica con la 2° posizione (difficoltà
nei tempi di schieramento) e nelle circostanze che hanno portato al fallito
esproprio. Ancora una volta all’interno del processo di evoluzione politco-generale
dell’O convive un movimento negativo riconducibile in questo caso alle
dinamiche di esistenza di una F.R. dentro la ritirata. In questo caso il movimento
negativo è rappresentato in primo luogo nell’impoverimento del
corpo militante e della sua disattivazione dai meccanismi propri di funzionamento
politico-organizzatibvo. Una problematica che ha la sua origine nelle modifiche
al modulo che l’O ha dovuto fare con l’82 i cui effetti negativi
si sono potuti produrre solo a distanza di tempo. In questo senso, malgrado
tutta l’O si fosse attivizzata nello schieramento contro la 2° posizione
e malgrado le altre risultanze politiche del «20», il corpo militante
era impoverito dalle risorse per andare oltre all’attestazione su queste
risultanze, in quanto lo stesso fatto che fosse passata nell’O una contraddizione
liquidazionista, indice delle debolezze in cui versava, ha lasciato le forze
militanti politicamente provate, impossibilitate a usufruire delle risorse politiche
che l’O ufficialmente aveva espresso, paralizzate com’erano dalla
disattivazione in cui l’O versava. Per questo questa specifica problematica
presenta il suo conto a ridosso della battaglia politica, portando anche i segni
del fallito esproprio.
Lo stato di indebolimento politico-organizzativo delle forze militanti era quanto
di più permeabile a risentire delle forme di difensivismo proprie di
quel momento di scontro, che si riflettevano in una logica di tenuta e di difesa
strema della condizione organizzativa dell’O dai pericoli di ulteriori
ridimensionamenti, un circolo vizioso paralizzante, che finisce col sottomettere
le finalità dell’attività d’O alla sua sopravvivenza
organizzativa. Un circolo vizioso molto pericoloso che fa aleggiare il rischio
di una endemizzazione della LA, in quanto, non riuscendo a porsi in termini
di rilancio del processo rivoluzionario in rapporto ai bisogni generali del
proletariato, l’attività prodotta poteva innescare una logica di
scontro tra apparati. Un rischio che non è peregrino nelle situazioni
di arretramento del processo rivoluzionario e di ridimensionamento delle forze
a cui l’O è riuscita a far fronte grazie al suo spessore e al suo
peso storico-politico.
Considerato il venire al pettine di queste dinamiche negative, la situazione
che si è determinata faceva sì che rispetto alle risultanze del
«20», l’O riuscisse solo ad attestarcisi, cosa che, nel quadro
di approfondimento di tutti i fattori dello scontro, significava non riuscire
ad essere adeguata, vale a dire di non riuscire ad utilizzare gli stessi strumenti
politici che si erano prodotti per reimpostare la propria iniziativa in relazione
al delinearsi dei nodi che andavano affrontati nello scontro. Un empasse che
si traduceva nel rimanere ancorati nella precedente definizione degli obiettivi
(patto neocorporativo), con l’aggravante di ricercarli in base alle proprie
capacità organizzative.
In questo quadro si spiega l’iniziativa C, che in linea di principio doveva
essere tesa a colpire le politiche di riarmo, che però vengono lette
e anche deformate a misura dell’obiettivo, il problema generale non era
perciò l’esistenza di tendenze politiche errate nell’O, ma
la reale tendenza a piegare l’interpretazione della LP a quello che era
possibile fare, ed era questa spinta che produceva le distorsioni, l’impoverimento
stesso della lettura dello scontro e dell’affermazione del piano propositivo.
Qui si conferma come nell’attività rivoluzionaria della guerriglia
non ci può essere divaricazione tra grado di espressione politica e piano
organizzativo adatto a sostenerla, pena la vanificazione dei risultati politici.
Quello che soprattutto manifesta l’iniziativa C è invece il piegare
allo stato organizzativo quello che l’O doveva fare, mettendo così
in discussione le sue risultanze politiche e soprattutto il suo avanzamento,
e questo in particolare è dimostrato dal disattendere nella pratica i
criteri della disarticolazione rispetto alla contraddizione dominante tra classe
e Stato come pure tra imperialismo e antimperialismo. Detto questo, sul piano
pubblico C si qualifica ugualmente come iniziativa politico-militare che comunque
contribuisce e lascia il suo peso sul piano del mantenimento dell’opzione
rivoluzionaria.
Considerato che le problematiche che si presentano dopo la battaglia politica
sono affrontabili sul piano delle rettifiche interne, anche quelle che si sono
manifestate in C e nel fallito esproprio vengono assunte dall’O come problemi
e contraddizioni che si possono dirimere nell’ambito di processi di assestamento
interno. Va considerato a questo proposito come nei quadri più avanzati
dell’O ci fosse coscienza della natura di queste problematiche grazie
ai saldi insegnamenti lasciati dal salto politico compiuto dall’O. la
Bozza quindi è uno di questi strumenti di assestamento interno, concepita
proprio per riattivizzare le forze militanti nella pienezza del loro ruolo,
in questo senso una base di dibattito che raccoglie tutti i contributi, cosa
questa che può farla apparire un prodotto disorganico. In realtà
anche quella forma è un momento necessario ai fini di una razionalizzazione
politica delle incongruenze esistenti utile ad innescare un processo politico
riorganizzativo per uscire dall’empasse.
Rimettere in gioco le forze militanti diveniva indispensabile affinché
l’O si potesse disporre in maniera adeguata di fronte ad un quadro di
scontro che andava a mutare e che richiedeva la capacità di usufruire
dei criteri avanzati stabiliti nel «20», non in senso statico, ma
come strumenti di lettura della realtà. In questo senso la discussione
stimolata dalla «Bozza» aveva per oggetto l’appropriazione
e l’approfondimento della sostanza delle tematiche da analizzare anche
per colmare lacune che erano emerse con l’iniziativa C. considerata la
coscienza che avevano i quadri dell’alto livello raggiunto dall’O,
queste lacune non si dovevano più ripresentare, pena non solo non qualificare
sufficientemente questo salto, ma rimanere nei fatti arretrati rispetto ai compiti
posti dallo scontro. In sintesi, a monte dell’ideazione della «Bozza»
c’è chiarezza sui fini perseguiti, nel senso che ben oltre alla
semplice attivizzazione del dibattito, lo scopo è quello di rimettere
in moto il complesso meccanismo di funzionamento dell’O, dentro al quale
ogni militante deve diventare un quadro complessivo e riuscire a rappresentare
e a far vivere la proposta rivoluzionaria nelle condizioni più difficili
quali quelle imposte dallo scontro. Una riqualificazione delle forze militanti
per questo motivo inderogabile e che prospettava, dentro la reimpostaziopne
del lavoro, un salto di coscienza in grado di far proprio sia il portato storico
politico dell’O, sia in termini di prospettiva del processo rivoluzionario.
Scopi che, seppure non sono espliciti nella «Bozza», sono ravvisabili
da alcuni passaggi lì inseriti, indizio della messa in moto di questo
processo.
L’esproprio e il volantino di rivendicazione sono il primo risultato di
questo processo di riassestamento interno e di riadeguamento complessivo allo
scontro e dimostrano la coscienza con cui questo processo viene guidato. Costruzione
dell’iniziativa e sua gestione politica rispecchiano punto per punto l’articolazione
di questo adeguamento nonché dei suoi fini politici immediati, ovvero
la riattivazione del corpo militante e il militante complessivo, a partire dalla
coscienza che è una giusta impostazione della prassi a consentire di
cristallizzare nei militanti i principi e i contenuti che si vogliono far vivere.
Da un lato la necessità di riaffermare nella coscienza dei militanti
la capacità della guerriglia di operare nella metropoli secondo le sue
proprie leggi: rompere l’accerchiamento, occupare il territorio, ritirarsi
e in questo senso l’iniziativa ha in sé anche lo scopo propedeutico
di liquidare le tendenze di difensivismo organizzativista, dall’atro,
sul piano del suo significato pubblico, l’esproprio qualifica i termini
di riorganizzazione del processo rivoluzionario che l’O si propone di
rilanciare, e sotto questo aspetto tutto il volantino, pur nella sua sinteticità
è calibrato per rendere questi termini facendo risaltare in ogni suo
passaggio la presa di coscienza della realtà. Questo sia rispetto all’analisi
del passato recente con una complessificazione degli elementi di valutazione
della controffensiva che viene qualificata da quel momento come “vera
e propria controrivoluzione”, sia nell’individuazione della nuova
fase politica, rispetto alla quale l’O dichiara la sua intenzione di attrezzarsi
per affrontarla rilanciando il suo ruolo di direzione.
Nel volantino è altresì visibile come si siano già prodotti
a partire dalla «Bozza» un insieme di risultati, sia come rettifica,
laddove vengono precisati i termini di linea politica, in particolare rispetto
alla disarticolazione, sia come enunciazioni dell’indirizzo che l’O
andrà a sviluppare: brevi ma precisi enunciati che riguardano i caratteri
che l’O intende dare al riadeguamento complessivo, mirato a riqualificare
la direzione dello scontro rivoluzionario, che ha il suo elemento di sostanza
nella riappropriazione complessiva dei termini della guerra di classe. Un dato
riscontrabile anche da come l’O valuta lo stato delle forze in campo dentro
ad un’ottica di guerra di classe per la quale è fondamentale il
calibramento di tutti i fattori in funzione di poter discriminare le forme adeguate
dell’organizzazione di classe sulla LA; questo come un primo momento che
va a colmare la parte mancante nel «20» della dialettica Partito-masse,
ovvero l’incompleto enunciato della costruzione rispetto alla distruzione;
una reimpostaziopne questa individuabile nello slogan: rafforzare il campo proletario
per attrezzarlo allo scontro prolungato contro lo Stato.
L’altro aspetto qualificante il volantino è l’approfondimento
della proposta di fronte nell’ambito dell’antimperialismo, per uscire
dalle secche dell’ideologismo e del dogmatismo in cui la proposta dell’O
era rimasta impigliata negli ultimi anni. Nel volantino c’è la
necessità di definire una proposta adeguata all’analisi concreta
della situazione concreta pur rispecchiando l’internità alla tradizione
del movimento comunista internazionale, da qui la proposta di una politica di
alleanze come termine programmatico dell’O, superando il genericismo del
Fronte di Lotta Antimperialista, e attestandosi sull’inequivocabile “Fronte
Combattente”, riferito cioè alle organizzazioni che combattono,
un realismo politico che ha come sbocco la necessità di dichiarare pubblicamente
l’interesse verso la pratica di fronte di AD e RAF.
Il Bilancio rappresenta una vera e propria piattaforma politica funzionale ad
operare il salto politico delle forze militanti come quadri complessivi, dirigenti
della guerra di classe. Il suo uso è quindi prettamente interno, anche
se i contenuti sono a carattere generale. I temi politici trattati vivono nell’O
come dato di consapevolezza scaturito dall’affrontamento pratico di questo
tipo di problematiche, ma per usufruire in termini di insegnamenti è
stata necessaria un’elaborazione politica per sistematizzarli sul loro
piano generale. In questo senso il bilancio, elaborando l’esperienza che
si è prodotta dall’apertura della RS e in generale da come l’O
ha condotto il processo rivoluzionario si propone di approfondire quelle leggi
della guerra che hanno investito l’O e che governano l’agire rivoluzionario
nella Fase di Ritirata.
Un inquadramento che proprio perché analizza il processo rivoluzionario
dentro a tutti gli aspetti che mette in campo la guerra di classe vuole essere
uno strumento per acquisire una visione complessiva intesa nella riappropriazione
dell’unità dialettica tra distruzione e costruzione, ovvero nella
riappropriazione della dimensione di guerra del processo rivoluzionario, in
sintesi nell’assumere l’unità del politico e del militare
come dato che vive in ogni aspetto dell’attività rivoluzionaria
e in ogni momento dello scontro rivoluzionario, superando la limitazione insostenibile
della LA come pratica delle sole avanguardie comuniste per riappropriarsi della
necessaria logica che sulla LA è basato pure il necessario lavoro politico
nella classe. Una visione indispensabile per inquadrare la propria pratica rivoluzionaria
dentro al movimento complesso che una guerra di classe comporta e che richiede
di prendere atto di peculiari leggi della guerra che emergono dalla sua messa
in pratica. È all’interno di questa visione che è possibile
formare la coscienza di un tipo di militante in grado di proporre e praticare
iniziativa rivoluzionaria, di esprimere direzione dello scontro nella piena
consapevolezza di condizioni sfavorevoli alla rivoluzione. Quindi un tipo di
militante che deve essere in grado di avere in sé il patrimonio sviluppato
dall’O nelle fasi passate necessario a dargli la visione storica e prospettica
del processo rivoluzionario e, nello stesso tempo, fornito degli strumenti di
conoscenza più avanzati per poter valutare il “che fare”
in ogni circostanza, anche in condizioni di ridimensionamento e isolamento.
Ovvero si tratta di fornire il militante della coscienza delle trasformazioni
che ha prodotto il processo rivoluzionario sia rispetto allo scontro, nel suo
approfondirsi e nel mutamento delle fasi rivoluzionarie, sia rispetto allo stesso
nemico di classe che ha raffinato i suoi strumenti di controrivoluzione proprio
misurandosi con la pratica rivoluzionaria.
In sintesi il Bilancio apre questa prospettiva di lavoro politico nella formazione
dei militanti e più in generale rispecchia l’obiettivo politico
maturatosi dopo il «20», e cioè che il processo di riadeguamento
complessivo dell’O doveva comprendere come dato inaggirabile l’evoluzione
dell’O in organizzazione di quadri complessivi, obiettivo posto con urgenza
dall’approfondirsi delle condizioni di scontro e dal suo procedere in
una fase di ritirata e che il salto di qualità fatto col «20»
ha reso palese nella misura in cui questo salto richiedeva le gambe adeguate
per la sua propulsione in avanti.
Con questa coscienza l’O si dispone nel lavoro in modo tale da fare di
questo obiettivo, la formazione, un termine di linea politica.
Entrando nel merito dei contenuti sintetizzati nel bilancio, un dato al centro
delle riflessioni dell’O è proprio il difensivismo, in quanto questo
non può essere circoscritto ad un fenomeno temporale prodotto in relazione
alla sconfitta, né può essere considerato risolto con l’espulsione
della 2° posizione, che di questo è stata la massima espressione;
il difensivismo, in realtà è una logica a cui una FR può
essere soggetta continuamente anche se in forme diverse, nelle fasi di ritirata
a causa di come influiscono su di essa i ridimensionamenti politico-militari.
Questo insegnamento scaturisce dalla riacquisizione dei caratteri generali della
RS come fasi della rivoluzione di cui, sulla base dell’esperienza maturata,
vengono approfonditi tutti gli aspetti e le leggi che le sono proprie, data
dal fatto che l’O ha acquisito i termini di forte discontinuità
del processo rivoluzionario. In sintesi la lettura della RS supera tutte le
interpretazioni parziali date in precedenza soprattutto quella riduttiva che,
attribuendo alla RS la funzione di solo riadeguamento politico, vede, con la
risoluzione delle battaglie politiche, il suo esaurimento. Solo ora che la visione
del processo rivoluzionario è complessificata nella sua dimensione di
guerra di classe e le fasi rivoluzionarie tornano ad essere oggetto dell’analisi
dell’O, la RS assume i suoi connotati di scelta soggettiva capace di usufruire
delle leggi dinamiche della guerra. Dinamicità che consente di ritirarsi
per ricostruire le proprie forze e la propria capacità di iniziativa
rivoluzionaria, assumendo il ritirarsi come elemento aderente allo sviluppo
discontinuo dello scontro rivoluzionario, motivo per cui non è riducibile
ad una visione limitata di tenuta, che si sottopone al logoramento del nemico,
lasciando spazio alle logiche difensivistiche.
Uscire dalla logica di “tenuta” ha significato per l’O uscire
anche da una valutazione contingente dello stato delle forze contrapposte, valutazione
per lo più influenzata da quella concezione di “politica rivoluzionaria”
che si era insinuata nella visione d’O negli anni precedenti, per recuperare
il piano concreto di valutazione relativo a quanto nello scontro riesce ad attestare
l’iniziativa rivoluzionaria rispetto alle forze in campo ovvero al movimento
rivoluzionario, al campo proletario nei loro differenti rapporti, cosa che implica
concepire queste relazioni nella loro determinazione organizzata, perché
solo in questi termini ha senso parlare di attestazione nello scontro dentro
un processo rivoluzionario che sviluppa la guerra di classe. Ma non solo, la
riaffermazione di questo criterio alla luce anche degli insegnamenti della sconfitta,
vive insieme al principio del calibramento che significa che il movimento delle
forze che l’O riesce ad attestare deve essere sostenibile di fronte allo
Stato del nemico, e ciò presuppone che l’O valuti tutti i fattori
interni ed internazionali, economici e politici della BI che hanno un’influenza
diretta nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione, classe/Stato. A corollario
di questa impostazione ne deriva la riorganizzazione delle forze militanti in
modo da ripristinare le sedi politco-organizzative adeguate al loro sviluppo,
e in questo senso obiettivo qualificante a medio termine dell’O era la
costituzione della nuova DS che poteva scaturire solo dalla riqualificazione
delle forze. ________________________________________________________________________
Con l’iniziativa RR l’O è in grado di misurarsi
con il livello adeguato della contraddizione classe/Stato nel momento in cui
nel paese si profilava una svolta politica sul piano della rifunzionalizzazione
dei poteri dello Stato. In altri termini per parte borghese errano andati a
maturazione nello scontro di classe una serie di condizioni dall’82, ad
essa favorevoli, che le consentono di coagulare sul piano degli equilibri politici
i termini di un progetto di rifunzionalizzazione adeguato alla natura dei cambiamenti
che si erano accumulati, sia a lato della crisi della BI, sia a lato del governo
del conflitto di classe.
L’O riesce ad impattare questo momento decisivo dello scontro mettendo
a frutto tutti gli avanzamenti del processo di riadeguamento, in particolare
le potenzialità che aveva la piattaforma del Bilancio, avanzamenti che
contraddistinguono tutti i passaggi della costruzione e attivazione dell’iniziativa,
nel senso che questa incarna la dinamica viva di un processo che dalla distruzione
ha operato per la costruzione, per ritornare poi, su un piano più alto,
al livello necessario dello scontro, in termini di distruzione. Una dinamica
che ha recuperato pienamente la visione che riunifica tutti gli elementi del
processo rivoluzionario, perno trainante questo su cui le forze militanti si
riqualificano “per propria esperienza” acquisendo in questo modo
il senso politico d’O.
Con queste forze attive l’O si misura con il nemico di classe ed è
effettivamente in grado di danneggiarlo, cosa che ha come suo presupposto un’approfondita
capacità di penetrare la realtà dello scontro padroneggiandola
in tutta la sua concretezza, tenendo ben conto di quali modifiche avrebbe comportato
l’iniziativa su tutti i piani dello scontro. Nel contempo, da questo corpo
militante, proviene l’apporto necessario per ufficializzare le valutazioni
e le indicazioni sullo stato del processo rivoluzionario e sulle sue linee di
sviluppo.
In questo senso il volantino contiene in forma sintetica l’insieme degli
insegnamenti che è stato possibile trarre dall’apertura della RS,
e questi non solo consentono di inquadrare il tragitto percorso nell’interezza
dei fattori che lo hanno contraddistinto, definendo correttamente la natura
delle contraddizioni che si sono presentate e qualificando anche quelle nuove,
ma sulla base di ciò consentono di definire i caratteri del presente.
In altri termini, una volta riqualificata la RS come fase rivoluzionaria e collocata
nella successione delle fasi nel movimento discontinuo del processo rivoluzionario,
è possibile porre i termini della Fase di Ricostruzione che oggettivamente
sta dentro al quadro strategico della ritirata e soggettivamente è sostanziata
da un indirizzo di lavoro che l’O valuta possa essere concretizzato nella
situazione dello scontro rivoluzionario e di classe da quel momento in poi.
Qualificare l’iniziativa RR dentro il tragitto del riadeguamento significa
prima di tutto qualificare il riadeguamento stesso. Infatti si è compiuta
una svolta in questo percorso i cui termini vanno rintracciati soprattutto nel
salto politico operato col «20», e nell’affrontamento dell’insieme
di problematiche che nonostante il salto erano rimaste aperte. Se, come abbiamo
già esaminato, col «20» l’O rilancia i termini dell’impianto
strategico riproponendo la sua dimensione d’avanguardia rivoluzionaria
dentro questi presupposti, tale rilancio rischiava di perdere forza a causa
dell’incompletezza del riadeguamento, nella difficoltà dell’O
di superare gli strascichi della sconfitta, andando a sminuire la raggiunta
riqualificazione del suo ruolo di direzione rivoluzionaria. È stata la
cruda realtà dello scontro a mettere l’O nella condizione di affrontare
e risolvere complessivamente questi nodi dato che l’impostazione incompleta
del «20» aveva come portato pratico quello di dare un’impronta
riduttiva all’iniziativa rivoluzionaria, perché privata della sua
proiezione rispetto alla costruzione. Ovvero un’impostazione che, restando
ferma alla rivendicazione dei caratteri della disarticolazione, lasciava sospese
le direttive rispetto al proprio referente di classe, non riuscendo ad inquadrare
la propria iniziativa combattente rispetto al problema dell’attivizzazione
e organizzazione delle forze in campo. In questo modo viene ridotta giocoforza
la proiezione del proprio intervento limitato alla valutazione del nemico, senza
riuscire a comprendere la valutazione dello stato delle forze del campo rivoluzionario
e di classe in quanto sul piano pratico non è definito il problema di
come queste forze devono essere mobilitate ed attestate nello scontro con lo
Stato. Questa deficienza finisce per impoverire gli stessi principi della disarticolazione
in quanto le valutazioni a cui questi principi devono fare riferimento, finiscono
per restringersi intorno allo stato dell’O. Questo come portato obiettivo
dell’indicazione politica di una lotta armata imperniata sulle avanguardie
rivoluzionarie, che demanda a un generico “piano politico” l’articolazione
dell’iniziativa rivoluzionaria. Un limite che si è immediatamente
tradotto nella pratica in livelli di attacco politico-militari ritagliati sulle
possibilità contingenti dell’O, emblematizzando l’impossibilità
di mantenere a lungo questo tipo di incompletezza politica, che a lungo andare
si sarebbe tradotto in una pratica blanquista. In conclusione, il riduttivismo
insito in queste problematiche avrebbe finito col collidere con la valenza dell’impianto
strategico e con l’ostacolare lo sviluppo che doveva essere dato al salto
compiuto col «20».
Ed è nel momento in cui l’O prende coscienza di questo nodo e si
dispone ad affrontarlo, mettendo mano alle sue origini, cioè ai nodi
irrisolti dell’82, che si produce una svolta nel riadeguamento. Si apre
in questo senso un periodo nuovo del riadeguamento in quanto l’O nel processo
politico che mette in atto, liquida in piena coscienza tutti i residui che,
nonostante gli avanzamenti raggiunti nei diversi momenti del rientramento, erano
rimasti irrisolti, ed esaurisce altresì il periodo in cui le sue capacità
politiche erano indirizzate prevalentemente alla risoluzione dei limiti suoi
propri. Da ora in poi riacquista la visione complessiva del processo rivoluzionario
nella migliore conoscenza delle leggi della guerra di classe, tutte le sue risorse
sono indirizzate e mobilitate per riappropriarsi della comprensione della realtà
ai fini di stabilire un intervento volto a modificare lo scontro a favore del
proletariato, in altri termini l’O è proiettata prevalentemente
a costruire e indirizzare il processo rivoluzionario confrontandosi col nemico
sulla base della maggiore consapevolezza acquisita nel complesso dei fattori
dello scontro. Ed sulla base di questa nuova dimensione che il ruolo d’avanguardia
dell’O riconquista tutto il suo peso e la sua iniziativa politico-militare
torna ad essere incisiva nei termini propri della guerriglia urbana, nel quadro
di un'aderenza della sua progettualità e degli indirizzi di lavoro politico
alla realtà del paese e ai nodi aperti nello scontro di classe, come
dimostra chiaramente l’aver aperto la Fase di Ricostruzione. In ultima
analisi, questa nuova dimensione del riadeguamento si qualifica per ricomporre
l’elaborazione pratico-teorica dell’O e il suo intervento specifico
nella situazione di scontro con la linea di sviluppo della rivoluzione, nel
senso che questa attività viene concepita secondo un criterio tattico
rispondente ai caratteri della fase rivoluzionaria.
Aggiornamento allo Statuto. Questo documento interno, da un lato incarna il
punto d’approdo alle direttive che erano contenute nella piattaforma del
Bilancio, dall’altro, costituisce il punto di partenza da dare al nuovo
livello della guerra di classe che l’O stessa stava promovendo. In altri
termini, nel momento in cui erano andate a compimento le direttive del bilancio
che si erano dispiegate e tradotte nella disposizione delle forze e nella concretizzazione
dell’iniziativa rivoluzionaria, riempiendo con la pratica i contenuti
rivoluzionari delineati nel Bilancio, questo stesso movimento ha richiesto all’O
di porre le basi per una definizione complessiva degli indirizzi che assume
il processo rivoluzionario per qualificare i nuovi compiti dentro alle caratteristiche
che tende ad assumere la guerra di classe.
Se nel Bilancio le nuove acquisizioni che vi sono delineate per lo più
ruotano intorno all’esperienza che si è sviluppata nella RS, in
questo materiale l’elaborazione politica investe l’intero patrimonio
dell’O per riesaminarlo e approfondirlo alla luce della verifica data
dalla pratica. Un’elaborazione forte degli insegnamenti acquisiti dall’O
nel processo che va dal «20» fino ad RR e che sono fondamentali
per dirimere i nodi cruciali rimasti controversi dall’82 sullo sviluppo
della guerra di classe, raggiungendo nuovi livelli di comprensione proprio riguardo
la successione delle fasi rivoluzionarie, il rapporto tra tattica e strategia,
l’effettivo portato della visione lineare, l’affrontamento sul piano
della corretta impostazione del nodo che si era posto con l’esaurirsi
della Propaganda Armata e soprattutto rispetto all’unità del politico
e del militare come matrice che investe tutti gli aspetti del processo rivoluzionario
e ogni momento dello sviluppo dello scontro rivoluzionario. Nel momento in cui
l’O sistematizza scientificamente il complesso dell’impianto generale
e, sulla base di ciò, è in grado di guardare ai caratteri e prospettiva
della guerra di classe con una maggiore profondità, ne scaturisce la
capacità di individuare le direttrici del piano di lavoro con cui l’O
si propone di incidere nello scontro ed attrezzare intorno ad esso, secondo
i criteri definiti, le forze in campo. Ed è proprio rispetto alla coscienza
di come si è approfondito lo scontro e di quello che richiede per incidervi,
e sulla base della capacità dell’O di preordinare il movimento
che si vuole imprimere in esso, che emerge l’esigenza di far evolvere
la propria capacità di direzione dello scontro che significava porre
a medio termine l’obiettivo politico della nuova DS. Una DS che fosse
espressione del processo qualitativo avviato con la riattivizzazione delle forze.
Entro questo quadro le problematiche che vivono nel dibattito d’O sono
tese a sistematizzare e delineare i compiti che la prospettiva del processo
rivoluzionario pone all’ordine del giorno, un dibattito che è compenetrato
dalla maggiore consapevolezza che l’O ha acquisito sui termini della guerra
di classe, che informa necessariamente la definizione dei compiti. Un’evoluzione
politica che è anche quella che permette di mettere mano all’aggiornamento
dello Statuto, perché solo ora è possibile sulla base dell’esperienza
accumulata, arricchire i fondamenti strategici della DS 2 e, nel contempo, rettificare
le parti che si sono rivelate inadeguate. Un arricchimento che in particolare
riguarda i caratteri fortemente politici di cui è investito lo scontro
rivoluzionario nella metropoli imperialista, alla luce dei quali possono venire
indagate questioni come l’accerchiamento strategico, la riserva, lo sviluppo
lineare, lo schema dello sviluppo politico-militare dell’O in colonne,
brigate, fronti.
Nel solco di quelli che sono i fondamenti dell’impianto strategico dell’O
e, in generale della guerriglia urbana nella metropoli, il processo di riorganizzazione
dell’iniziativa rivoluzionaria avviato con la Fase di Ricostruzione non
può che darsi all’interno della dimensione antimperialista ed internazionalista
della guerra di classe, e quindi i passi iniziali stessi della Ricostruzione
sono concepiti dentro all’attuazione dei due obiettivi programmatici:
l’attacco al cuore dello Stato e l’antimperialismo. Così
come a partire dal «20» l’approfondimento dell’analisi
dello Stato e delle forme di dominio ha portato l’O a precisare i criteri
d’attacco per incidervi adeguatamente, ugualmente l’approfondimento
dei caratteri dell’imperialismo nella nostra epoca storica, delle ragioni
strutturali alla base dei legami di blocco consentono di riportare l’antimperialismo
nella sua dimensione strategica. In altri termini, sulla base delle chiarificazioni
relative alle relazioni imperialiste e alle sue politiche, l’O è
in grado di dare una lettura appropriata e puntuale delle dinamiche oggettive
e soggettive su cui poggiavano le politiche e gli interventi imperialisti, e
in rapporto a ciò procedere alle rettifiche necessarie per sbarazzarsi
della residua impostazione solidaristica che negli anni precedenti aveva inficiato
l’impostazione originaria della pratica imperialista e internazionalista.
Un’impostazione, quella solidaristica che era rimasta tale anche nel «20»,
nell’accezione del Fronte come fronte di lotta, e che sostanzialmente
non riusciva neanche a relazionarsi con quanto avevano espresso su questo terreno
le altre FR. Un limite che con C è portato ad un livello di insostenibilità
politica, mettendo l’O di fronte alle proprie responsabilità rivoluzionarie,
considerando la coscienza che l’O aveva dell’influenza rivestita
dal quadro internazionale sullo scontro interno, nel senso che i mutamenti che
si intravedevano sul piano delle dinamiche dell’imperialismo, richiedevano
di misurarcisi in modo adeguato.
Nel quadro di queste necessità, l’O opera una svolta segnata da
una visione pragmatica e prospettica insieme allo scopo di essere più
propositiva possibile rispetto alle forze combattenti che basavano la propria
pratica sull’antimperialismo. Dall’esproprio in poi l’O indirizzerà
tutti i suoi sforzi per dare concretezza a quest’asse di combattimento,
a partire dal dichiarare la sua apertura in primo luogo alle organizzazioni
di guerriglia europee, referente privilegiato dell’O, ma non di meno anche
alle forze rivoluzionarie mediorientali che in quel momento erano attive nell’area.
Un approccio pragmatico che tutt’altro dall’essere una scorciatoia
tattica è sostenuto da un solido arco di principi e di criteri rivoluzionari
che si avvalgono degli insegnamenti che l’esperienza internazionalista
ha storicamente maturato e da cui l’O ha saputo trarre le indicazioni
generali con cui orientarsi nell’analisi concreta della situazione concreta.
Insegnamenti che pertanto informano quella che l’O definisce una “politica
di alleanze” come l’aspetto specifico della più generale
pratica antimperialista dell’O. ed è con questo intendimento che
l’O prende l’iniziativa per ricercare il rapporto politico con l’organizzazione
di guerriglia più rappresentativa in Europa, la RAF. In questo solco
di lavoro vano inquadrati la lettera e il testo comune. Il modo in cui nella
Ricostruzione l’O si è assunta l’antimperialismo con la solidità
che le consente di essere flessibile laddove necessario, è tangibile
in ultima analisi nel risultato del piano di relazione con la RAF e da i suoi
frutti politici nel testo comune.
La nostra analisi si conclude con l’esame dell’ultimo volantino
dell’O del 16 marzo ’89 di rivendicazione e sostegno all’azione
di Fronte fatta dalla RAF. Questo volantino, malgrado le perdite militari dell’88
è rappresentativo al punto più alto del salto politico compiuto
dall’O nella seconda fase del riadeguamento, ovvero vi si trovano i punti
salienti perseguiti ed acquisiti rispetto all’obiettivo del militante
complessivo, vero snodo affinché possa riprodursi organizzazione anche
a seguito di pesanti perdite. È proprio il contesto materiale in cui
questo volantino è stato prodotto a dimostrare la valenza di questo risultato,
laddove i militanti, pur nella condizione negativa del colpo subito, sono in
grado sia di far fronte in breve tempo al lavoro politico, sia di reimpostarlo
facendolo vivere al livello più alto secondo il processo di formazione
che ha forgiato i militanti. In questo si dimostra quanto sia determinante aver
dato un posto di rilievo, tra i compiti della linea politica, all’obiettivo
costante della formazione delle forze (sia quelle militanti che no), in quanto
aderente alle necessità che l’approfondimento dello scontro ha
posto all’avanguardia rivoluzionaria al fine di imprimere alla guerra
di classe un movimento in avanti. Quello che la realtà ha dimostrato
è che lo spessore contenuto nel salto politico compiuto dall’O
riesce ad informare oggettivamente ogni singola forza militante che, sulla base
del processo di formazione soggettivamente perseguito che l’attraversava,
è in grado di avvalersi di questi contenuti e di interpretarli ad un
livello avanzato coerentemente all’impostazione strategica e politica
dell’O come dimostrato dall’estrema lucidità con cui nel
volantino viene collocato il rovescio militare, senza che questo infici le potenzialità
rivoluzionarie poste in essere.
In questo specifico dato vive la capacità di dominare gli effetti negativi
difensivistici propri ai rovesci militari che si determinano nelle fasi di ritirata,
a dimostrazione di come questo insegnamento, riguardo una legge generale della
guerra, abbia penetrato la formazione dei militanti, neutralizzando uno dei
contraccolpi immediati relativo alle perdite subite nell’88.
Campagna di Primavera. Fin dal primo comunicato si vuole evidenziare
il legame dei termini generali della ristrutturazione dello SIM (Stato Imperialista
delle Multinazionali) con il termine particolare del partito, la DC; che in
modo trainante se ne fa carico, nella direttrice di approfondire la crisi di
regime e su questo mobilitare il MPRO (Movimento Proletario di resistenza Offensivo).
In questo senso la cattura di Moro viene collocata all’interno della problematica
generale posta dal cambiamento in atto dello Stato, quale necessità,
nell’ambito della crisi dell’imperialismo, di stabilizzare l’anello
debole Italia, facendolo uscire definitivamente dai residui di Stato-nazione,
ed affermare la costruzione dello SIM. Una costruzione che si avvale del personale
politico-economico-militare imperialista, personale che anche in Italia è
già emerso in modo egemone ravvisabile in tutte le forze dell’arco
costituzionale, ma principalmente nella DC, che è quella trainante il
processo. Questo partito è già stato individuato dalle avanguardie
comuniste come il più feroce nemico del PM (Proletariato Metropolitano)
e va battuto perché fulcro della ristrutturazione in SIM così
da estendere ed approfondire la crisi di regime. La costruzione dello SIM è
d’altra parte spinta dagli interessi dei paesi più forti della
catena imperialista allo scopo di governare le trasformazioni istituzionali
adeguate ad imporre le feroci politiche economiche tramite la funzione apertamente
repressiva sul PM. Va sottolineato come l’O intenda dare in quel momento
una lettura dello Stato che rispecchi i termini generali della sua evoluzione
in Stato Imperialista come una necessità irrimandabile di adeguamento
nel livellarsi al quadro imperialista che, oltre a rispondere agli interessi
della BI (Borghesia Imperialista) nostrana, rispondeva anche a quelli complessivi
del sistema. Quindi si parla dello Stato in questa accezione specifica di cambiamento
e poiché segnava un passaggio cruciale nei rapporti di classe era necessario
intervenire proprio su questo nodo per sfruttarne le debolezze.
In questo quadro la cattura di Moro non è che l’inizio di un attacco
che deve essere esteso alla DC, quindi non un obiettivo simbolico, ma il dare
slancio a tutta l’attività armata su cui il MPRO deve sapersi misurare.
A lato le BR si richiamano al processo in corso a Torino ai militanti catturati
e sulla base della forza e iniziativa rivoluzionaria, ribaltando i termini del
processo che lo Stato sta conducendo, perché in realtà è
il regime ad essere sotto accusa da parte del PM e delle sue avanguardie. In
questo quadro si sottolinea la natura del rapporto che intercorre tra i comunisti
combattenti e lo Stato che è di guerra, di conseguenza si avverte lo
Stato che l’O è in grado di assumersi le rappresaglie per eventuali
crimini da esso commessi, che sono crimini di guerra.
Si avverte subito il MPRO delle manipolazioni già scattate dopo l’azione
come espressione della guerra psicologica scatenata dal regime, precisano che
è pratica dell’O rendere tutto pubblico, in quanto le trattative
segrete sono proprie delle trame della BI. Una precisazione che verrà
continuamente ribadita a fronte di tutte le operazioni di mistificazione insieme
al principio che nulla è nascosto al popolo.
L’O sottolinea le caratteristiche che vanno ad assumere nello SIM (Stato
Imperialista delle Multinazionali) le forze politiche all’interno del
rovesciamento dialettico tra istanze parlamentari e Stato, per cui le forze
politiche si attivizzano in funzione degli interessi e bisogni dello Stato (interessi
della BI) questione che si è esplicitata completamente in questa battaglia
in quanto ha significato l’attivizzazione dei partiti a sostegno delle
pratiche antiterrorismo subito varate e di mobilitazione reazionaria e lealista
contro l’attività rivoluzionaria. Si distingue su questo terreno
il ruolo che inevitabilmente vanno ad assumere i revisionisti e i sindacati
collaborazionisti in quanto quelli che possono intervenire nel campo di classe
nel quadro dei cambiamenti dello Stato che si vogliono imporre, le BR evidenziano
il ruolo specifico di Moro che per altro, nel lungo processo di evoluzione della
DC dal dopoguerra ad oggi, ha sempre rivestito un ruolo di primo piano dentro
quella che è stata la politica di questo partito a sostegno della borghesia
nell’assumersi fedelmente nello scontro col proletariato le politiche
antiproletarie e repressive che hanno scandito le tappe dello scontro: dalla
restaurazione del potere borghese coi governi Tambroni-Scelba alla strategia
della tensione come risposta alla ripresa dell’iniziativa proletaria fino
ad oggi, in cui la DC, dentro un processo non lineare di rinnovamento, si è
assunta la direzione del trapasso allo SIM. Trapasso che è veicolato
da un progetto di riforma istituzionale che all’accentramento dei poteri
all’esecutivo affianca una modifica del ruolo del presidente della repubblica
tale che assuma pienamente le sue prerogative di capo della magistratura e delle
forze armate (ruolo a cui Moro ambiva).
Proprio da questa figura di punta della BI l’O vuole sapere i progetti
antiproletari, strutture e personale, le filiazioni e interconnessioni nazionali
e internazionali sulle cui gambe marcia il progetto delle multinazionali. In
concreto proprio sulle politiche antiproletarie e controrivoluzionarie si mette
a nudo il nesso dell’intervanto attivo dei paesi più forti in “
sostegno” di quelli più instabili, affinché ne facciano
propri i termini più avanzati. Una realtà già operante
e riscontrabile nella presenza di esperti inglesi, tedeschi, israeliani, non
a caso quelli che si confrontano con i livelli più avanzati di guerra
di classe e di popolo, mentre gli USA già sovrintendono direttamente
a questa funzione in quanto da sempre presenti in Italia. E d’altra parte
proprio la NATO incarna al massimo grado la controrivoluzione imperialista.
Una realtà che mette di fronte al proletariato il carattere internazionalista
della guerra di classe che immediatamente antimperialista. Guerra di classe
che deve tenere conto nel suo calibramento di questi fattori internazionali
del sistema imperialista, che nella fattispecie va combattuto a livello continentale.
Da qui e dalla disponibilità alla mobilitazione internazionalista manifestata
dal PM europeo la necessità di costringere all’integrazione politica
delle OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti) in Europa. Alla strategia del
terrore imperialista va saputa contrapporre l’unità strategica
delle forze comuniste. In sintesi l’O imposta il discorso politico in
modo tale che emergano i legami che esistono tra lo specifico progetto di modifica
istituzionale dello SIM, di cui Moro è ideatore con tutto il corollario
che ne consegue [politico], e le interconnessioni della controrivoluzione imperialista
come sistema, già attivizzata per sostenere questo processo. Questo al
fine di rimarcare il carattere antimperialista e internazionalista della guerra
di classe, su cui viene propagandata la parola d’ordine dell’unità
continentale delle OCC (Internazionale Comunista).
Dopo un breve resoconto degli interrogatori di Moro nei quali, per altro, il
prigioniero collabora ampiamente chiamando in correità i suoi complici,
si conferma come il “nuovo regime” che si vuole instaurare sia fin
nel suo profondo impregnato dai legami di interdipendenza e subordinazione con
gli organismi internazionali rispetto ai piani economico, politico e militare
da attuare in Italia. Quindi la cattura di Moro si qualifica come iniziativa
che deve estendersi in quanto attaccare lo Stato imperialista è l’obiettivo
primario per il PM se vuole disfarsi di quello che comporta il dominio imperialista
e affermare il progetto comunista. In questa fase storica ciò vuol dire
assumersi il portato della violenza rivoluzionaria per affrontare la contraddizione
antagonista fra PM e BI. In questa fase storica la lotta di classe assume perciò
per l’iniziativa delle avanguardie rivoluzionarie la forma della guerra,
ed è questa che impedisce la “normalizzazione” della crisi
e di riportare una vittoria tattica sul PM, ovvero sul movimento di lotta degli
ultimi dieci anni.
L’O rivendica la necessità di prendere l’iniziativa nella
fase che si è aperta, assunzione che ha lo scopo di determinare l’andamento
della guerra. Questo però non significa che è l’avanguardia
a creare la controrivoluzione in quanto questa è insita nell’evoluzione
dello Stato Imperialista, semmai compito dell’avanguardia rivoluzionaria
è di stanarla dalle pieghe della “società democratica”,
e questo perché la controrivoluzione non è la forma ma la sostanza
dello Stato imperialista. Una sostanza già posta in essere in questi
anni, dalla creazione dei corpi speciali, carceri speciali, tribunali speciali
e dalle pratiche antiproletarie e repressive contro il movimento proletario
nelle fabbriche,nei quartieri, ecc. Ma questa controrivoluzione non ha impedito
l’estendersi dell’iniziativa proletaria con lo sviluppo del MPRO
fino ad assumere i contenuti e le forme della guerra di classe, guerra che deve
essere estesa a tutti i centri dell’oppressione imperialista e che a questo
fine presuppone che vengano operati salti politici e organizzativi relativi
alla responsabilità di sviluppare la direzione rivoluzionaria di questo
processo quale passaggio indispensabile verso la vittoria strategica del PM.
Per quanto feroce sia lo Stato imperialista è possibile combatterlo e
affrontarlo per annientarlo strategicamente, e questo al di là di chi,
intrappolato dai propri legalismi piccolo-borghesi, si è arreso e ha
già accettato la sconfitta.
Quindi l’O sottolinea come la questione dell’attacco allo Stato
quale linea di intervento fondamentale del PM e la questione dello sviluppo
della guerra sono intrinsecamente legate per affermare la progettualità
comunista, l’alternativa proletaria in un discorso che ne mette in luce
l’affermazione che è necessario e possibile combattere e vincere
il nemico. Elementi di forza che non sono sempre e in ogni momento visibili
a tutti anche perché possono essere offuscati dalla messa in campo delle
risposte controrivoluzionarie.
Via via che la cattura e il processo a Moro produce i suoi effetti politici
subentra da parte dello Stato e dei dirigenti DC un tipo di affrontamento che
ricorre a squallide manovre e comunque sia a sfuggire al problema politico che
la guerriglia gli ha posto di fronte. Anche Moro stesso, pur avendo preso atto
della sua condizione di essere processato da un tribunale del popolo non sfugge
a questa logica e suggerisce ai suoi complici di considerare come soluzione
lo scambio di ostaggi. Le BR ribaltano questo piano, e questo non perché
la liberazione dei prigionieri non sia già un punto di programma dell’O
e come tale perseguito, ma perché la cattura e il processo a Moro è
un’iniziativa che risponde alla necessità di approfondire la crisi
di regime per risolvere la questione centrale del potere, in quanto per il PM
uscire dalla crisi vuol dire comunismo. Vengono quindi ribaditi e propagandati
i fini ideologici della guerra, ovvero le prospettive del cambiamento sociale
verso cui tende il proletariato in quanto si tratta di assolvere al ruolo storico
di dare soddisfazione ai bisogni di ciascuno e di tutti, finalità che
obiettivamente scaturiscono dallo stato di crisi storica dell’imperialismo
che non ha più niente da offrire e che governa sulla base della controrivoluzione
preventiva, ovvero la forza è la sua unica ragione. Una natura quella
della crisi storica dell’imperialismo, resa evidente in questa fase dal
passaggio dalla “pace armata” alla “guerra”, passaggio
che va a coincidere con la necessità della ristrutturazione dello Stato
in SIM. Questa concomitanza determina l’importanza della congiuntura la
cui durata ed evoluzione dipenderà da come si darà l’andamento
del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, e in ogni caso questo passaggio
non sarà affatto lineare e pacifico e assumerà progressivamente
i caratteri della guerra. Per parte rivoluzionaria si tratta di trasformare
il processo di guerra civile strisciante in un’offensiva generale e su
un progetto unitario che unifichi il MPRO e costruisca il PCC fuori dalle tendenze
movimentiste e spontaneiste l’O ribadisce la concezione leninista alla
base di questo processo nel rapporto che intercorre fra coscienza e spontaneità
per cui l’avanguardia raccoglie stimoli e bisogni che provengono dalla
classe, li centralizza e sintetizza in teoria e organizzazione stabile per riportarli
alla classe sotto forma di linea strategica di combattimento, programma e strutture
di massa del potere proletario. Processo tutt’altro che spontaneo, ma
che è posto in essere dall’agire da Partito dell’avanguardia
combattente, un’agire da Partito che, come esprime la gestione della battaglia
Moro, si colloca come iniziativa politico-militare all’interno e al punto
più alto dell’offensiva proletaria, cioè sulla contraddizione
principale classe/Stato, sul progetto politico di ristrutturazione dello SIM
come aspetto dominante di quella congiuntura.
Un agire da partito che ha un duplice carattere: disarticolazione politico-militare
del nemico per rendere disfunzionale la macchina statale, e nel contempo proiettarsi
dentro al movimento di massa per essere indicazione politico-militare per orientare,
mobilitare, dirigere, organizzare il MPRO sulla guerra civile antimperialista.
Un duplice aspetto nel quale non ci sono livelli più alti o più
bassi, ma livelli che incidono e intaccano il progetto imperialista e organizzano
strategicamente il PM, oppure no. L’organizzazione del potere proletario
si da sulla linea d’attacco contro i centri fondamentali politici, economici
e militari dello stato imperialista. Infine ribadisce il ruolo strategico della
clandestinità perché si può e si deve vivere clandestinamente
in mezzo al popolo e mettendo in guardia dalla visione difensiva di questa.
……………da una parte ha lo scopo di inchiodare la
DC in quanto garante degli equilibri politici di trent’anni di regime,
è soprattutto teso ad individuare ed accettare le responsabilità
DC e dei suoi protettori internazionali rispetto agli equilibri di potere che
devono essere sostenuti riguardo alla ristrutturazione dello SIM che è
infatti l’aspetto centrale delle indicazioni di combattimento aperta da
questa battaglia in quanto sulla ristrutturazione in SIM passa il progetto dominante
nella congiuntura. Peraltro l’interrogatorio sulle responsabilità
passate e presenti della DC non rivela nulla che non sia già risaputo
al proletariato, perché ha vissuto le sue politiche e le sue manovre
tutte sulla sua pelle, quindi non si tratta tanto di “svelare misteri”,
ma di individuare le responsabilità di personaggi già ben noti
al popolo come Taviani e la cricca genovese, ecc. Nel mentre si ribadisce che
tutti dovranno rispondere al popolo si avverte che non c’è spazio
per manipolazioni e trattative segrete, come dagli ambienti DC si cerca di accreditare.
Ma, a prescindere da questi miserabili tentativi, l’O mantiene fermo il
governo della gestione che si è prefisso, e la barra ferma sugli obiettivi
da propagandare dentro lo sviluppo della campagna con la capacità di
stigmatizzare di volta in volta i risultati politici di quello che l’iniziativa
ha aperto nello scontro, chiarendo cioè quello che effettivamente si
andava a coagulare come dato principale, vale a dire, malgrado lo scatenamento
di una repressione indiscriminata ed estesa a tutta la classe, vi era un’offensiva
proletaria in atto, nel MPRO e nelle organizzazioni rivoluzionarie, contro i
covi e gli uomini della DC, della confindustria e dell’apparto militare,
elemento principale appunto nello scontro, che approfondisce e da risalto al
processo contro il regime, tanto da marginalizzare persino l’opera dei
revisionisti, di delatori e spie del regime. Nel mentre si sottolinea questo
dato significativo dello scontro, si indica la necessità di non fermarsi
a contemplare i successi, men che meno a spaventarsi per la ferocia dello Stato
in quanto questione prioritaria è quella di lavorare ad estendere e approfondire
l’iniziativa armata, che comporta in sé la necessità fondamentale
di organizzarsi (per sedimentare e non disperdere il fiorire delle iniziative),
e soprattutto di assumersi la responsabilità dei salti politici da compiere,
uno sprone rivolto alle avanguardie rispetto all’obiettivo della costruzione
del PCC.
A conclusione del processo, le BR motivano dal punto di vista rivoluzionario
e di classe le responsabilità politiche di Moro e di tutta la DC, motivazioni
che sono la base per il giudizio di condanna. Da questo punto di vista le responsabilità
di Moro sono quelle di tutta la DC da De Gasperi in poi e che il proletariato
metropolitano conosce bene perché ha vissuto sulla sua pelle come la
DC si è fatta garante degli interessi della BI interni ed internazionali
che hanno significato il “garantire” lo sfruttamento del proletariato.
Seppure dall’interrogatorio è emerso anche il marciume e la corruzione
della DC, le trame, i sicari palesi e nascosti, non è da questi aspetti
che deriva il giudizio di condanna che invece riguarda il ruolo di questo partito
nella sua funzione controrivoluzionaria al servizio delle multinazionali, si
dichiara quindi Moro colpevole e condannato a morte. Infine c’è
una precisazione rispetto alla circolazione delle informazioni in quanto tutto
sarà reso noto ala popolo, ma tramite canali clandestini e non più
attraverso la stampa ala servizio del potere.
A un mese dalla cattura, l’O intende fare completa chiarezza a fronte
di tutto quello che si era innescato intorno all’iniziativa sia per parte
dello Stato che per parte rivoluzionaria, soprattutto a partire dal significato
della condanna che è condanna all’intera DC, alla borghesia e allo
Stato e che il movimento rivoluzionario si incaricherà di portare a termine.
Nel momento in cui la DC sta subendo questo attacco articolato, la sua reazione
è quella, nel solco della sua vile tradizione, di sottrarsi alle responsabilità
politiche in primo luogo cercando di stornare dal significato dello Stato imperialista,
mutata dai suoi complici, in quanto è proprio questo l’oggetto
di attacco dell’iniziativa rivoluzionaria. Un significato che però
è esplicitato a pieno proprio nel contesto della cattura di Moro tanto
per la repressione generalizzata, quanto per le palesi intenzioni di scatenare
un’offensiva contro il movimento rivoluzionario allo scopo di annientarlo,
per non parlare dell’esistenza di campi di concentramento dove sono imprigionati
i comunisti, caratteristica del resto di tutti gli stati imperialisti. È
proprio rispetto ai prigionieri comunisti che è in piedi un progetto
di genocidio politico attraverso il trattamento in questi campi. Un modo di
sottrarsi alle responsabilità che arriva al grottesco, con i cosiddetti
“appelli umanitari” all’O rispetto al presunto maltrattamento
di Moro, tenuto conto che proviene proprio da chi esprime il massimo della barbarie
sui prigionieri comunisti. A questo proposito l’O è molto netta
nel troncare ogni ambiguità, ribadendo che saprà combattere per
stroncare il progetto di genocidio politico e che l’unico appello che
intende fare è al movimento rivoluzionario per la distruzione dello Stato,
dei campi di concentramento e per la libertà dei comunisti. Per portare
alle estreme conseguenze questo aspetto contraddittorio delle reazioni della
DC di fronte all’attacco, l’O la mette di fronte all’unica
ipotesi praticabile di fronte a questi fantomatici appelli umanitari, cioè
lo scambio di ostaggi, l’unico modo di riportare la questione sul terreno
che le è proprio, quello della guerra di classe a prescindere dalla sua
praticabilità. Infatti è il prodursi degli eventi a far maturare
questa eventualità proprio in virtù degli effetti prodotti dai
livelli di disarticolazione politica, questione che per altro rientra nelle
leggi della guerra per cui in certe circostanze la condanna a morte può
essere sospesa, per lo scambio di ostaggi, cosa che non significava recedere
dallo scopo politico, ma in questo caso intendeva sfruttare ulteriormente le
conseguenze della sentenza. Infine rispetto alle manovre (finti comunicati)
di controguerriglia psicologica, l’O molto bruscamente richiama i dirigenti
DC alle loro responsabilità rispetto ai giochi che stavano facendo sulla
pelle di Moro. Intrighi mafiosi che buttavano fumo negli occhi e tentavano di
aggirare con furbizia la questione dell’attacco e della condanna a morte,
fra l’altro cercando anche di trarne un tornaconto personale di potere.
Le “estreme conseguenze” non tardano a venir fuori, infatti la DC
risponde con una dichiarazione fumosa che si rifà alla “ragion
di Stato” come se fosse soggetta alla legge, cosa ridicola, in quanto
la DC è la principale responsabile politica delle leggi dello Stato.
Si tratta di una risposta negativa senza però che se ne assuma chiaramente
le responsabilità, cosa che l’O svela fino in fondo, ribadendo
che l’unica possibilità di salvare Moro è la liberazione
dei prigionieri. Questo è del resto l’unico piano che mette di
fronte anche tutti quegli organismi e figure pubbliche che si stanno pronunciando
sulla “questione umanitaria”, in quanto, se vogliono essere coerenti
con i loro proclami, non hanno che da porre la questione dello scambio con i
13 prigionieri comunisti indicati dall’O fuori da ciò i loro appelli
avevano solo il significato di fare quadrato a sostegno della DC, come era peraltro
chiaro all’O a questo riguardo viene tolta ogni illusione a chi pensava
possibile un esito incruento come per Sossi, nell’indicare i nomi dei
prigionieri viene seguito il principio politico di prendere in considerazione
le migliori avanguardie espresse dal proletariato, a partire da quelli di più
lunga prigionia e con le pene più alte.
A conclusione dei 51 giorni l’O trae un primo immediato consuntivo della
battaglia, che rende pubblico nell’ultimo comunicati rivolgendosi alle
OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti), al movimento rivoluzionario ed al
proletariato, in quanto a loro sono dirette valutazioni e indicazioni. Quello
che viene in primo luogo rivendicato è che l’esito della battaglia
e di tutte le iniziative che intorno ad essa si sono sviluppate segnano una
cocente sconfitta del regime e delle forze imperialiste.
Un regime che in questi 51 giorni ha mostrato il suo vero volto con i rastrellamenti,
le leggi speciali, le torture, con cui vorrebbe annientare la resistenza proletaria
frantumando esso stesso la maschera della democrazia formale e della “legalità”
borghese. Una ferocia che non dimostra affatto la forza del regime, ma al contrario
la sua debolezza, un regime che ha subito l’offensiva del MPRO, di cui
la battaglia Moro è solo un momento dentro al dispiegarsi delle iniziative
di combattimento e di tante battaglie che si sono sviluppate per l’O è
possibile dire fin da quel momento che quanto si è prodotto sul piano
rivoluzionario e di classe ha impresso un formidabile impulso alla guerra di
classe per il comunismo, ed è proprio di fronte a questo processo reale
che le manovre controrivoluzionarie con tutto il loro armamento dispiegato,
compresi gli esperti di antiguerriglia e l’attivazione dei berlingueriani,
sono impotenti. Gli attacchi ai covi della DC, ai centri vitali dello Stato
imperialista che si sono sviluppati intorno alla battaglia Moro, sono un primo
momento che indica la necessità che su questa linea si estenda e approfondisca
l’attività di combattimento concentrando l’attacco armato
contro i centri vitali dell’imperialismo costruendo nel proletariato il
PCC, perché questa è la strada per inceppare e vanificare i piani
delle multinazionali, e per non permettere la sconfitta del movimento proletario,
annientare definitivamente il mostro imperialista e costruire una società
comunista. A questa prima valutazione seguirà necessariamente un bilancio
complessivo politico-militare della battaglia, che verrà reso noto attraverso
canali clandestini, al movimento rivoluzionario e alle OCC. La lettura dello
Stato che le BR evidenziano nella battaglia Moro è tesa ad inquadrarlo
costantemente nel suo stretto rapporto col sistema imperialista. Questo per
evidenziare come questo inserimento comportava l’ultimazione di quei passaggi
affinché diventasse a pieno titolo uno stato imperialista. L’analisi
è perciò mantenuta su questo terreno ed è quindi necessariamente
di tipo generale e quindi prevalentemente calibrata sulla trasformazione. E
questo per la necessità che ci fosse il massimo di coscienza sulla natura
di questa trasformazione, che segnava un passaggio cruciale per le BR e per
il proletariato, e come si sarebbe dato questo passaggio era di enorme importanza
per le sorti dello scontro rivoluzionario. Quando le BR accennato al fatto che
lo Stato si stava liberando degli ultimi residui di “Stato-nazione”
non intendono caratterizzare la sua “arretratezza” visto che anche
in Italia il personale politico imperialista nei partiti e nella burocrazia
di Stato era già egemone, ma legare la sua specificità di percorso
al suo essere comunque interno al sistema imperialista e nel sottolineare questo
rapporto, chiarificare la natura della trasformazione da attuare, vale a dire
liberarsi di questi residui per la BI significava adeguare le forme istituzionali
in modo da completare anche il processo politico necessario allo Stato imperialista.
In sintesi, questo modo di porre la questione dello Stato rispondeva in effetti
alla situazione di allora in cui quel preciso passaggio dello Stato imperialista
era fortemente “promosso” dagli altri Stati imperialisti che richiedevano
una stabilizzazione a loro necessaria dell’Italia, in quanto anello debole
proprio per quella specificità a cui la riforma istituzionale in qualche
maniera intendeva dare soluzione.
Un quadro dello Stato che in seguito, evolvendo non si presenterà più
in questi termini, non vi è dubbio che la battaglia Moro è la
prima iniziativa che entra direttamente nel rapporto di scontro con lo Stato,
nel senso che per la prima volta viene affrontato nel suo significato di attacco
agli equilibri politici dominanti. E questo comporta che tutte le argomentazioni
e di tipo propositivo e di analisi politica sono incanalate sull’attacco
allo Stato, e stante il livello raggiunto dal processo rivoluzionario questo
significava anche capacità di articolazione dell’attacco a tutti
i livelli dell’aggressione imperialista, attacchi che dovevano essere
sempre in rapporto ala contraddizione principale e, all’interno di essa
sull’aspetto dominante della congiuntura. In altri termini articolare
a tutti i livelli l’attacco non significava colpire indiscriminatamente
simboli o contraddizioni secondarie, ma indirizzarlo sempre sugli equilibri
politici dominanti, ovvero gli equilibri di potere allora incarnati soprattutto
alla DC. Ed erano materialmente dati dalle forze organizzate della guerriglia
sul territorio nazionale, in altri termini l’articolazione dell’attacco
dai nodi nevralgici ai centri periferici riflettere concretamente la costruzione-elevamento
della guerra di classe fatto vivere nel duplice piano dell’iniziativa
combattente, cioè, di distruzione/costruzione, come è esplicitato
dallo slogan: “a tutti i livelli dell’oppressione imperialista,
a tutti i livelli della composizione di classe”.
In altri termini già in quella congiuntura le BR si misuravano con la
necessità di connettere in un processo politico-militare il più
possibile unitario l’attacco, la costruzione e elevamento della guerra
di classe, in quanto processo che viveva realmente di questi termini stante
anche la mobilitazione armata che si è sviluppata con la battaglia Moro
e che poneva compiti di direzione rispetto all’innalzamento e sempre presente
nella coscienza dell’O ed è lo scopo a cui lavorano proprio dentro
a quella che era l’analisi di passaggio di fase in riferimento a cui intendevano
costruire le condizioni più favorevoli per il terreno rivoluzionario,
con l’obiettivo di trasformare una guerra civile strisciante e ancora
dispersa in guerra civile. Entro questa coscienza le BR lavorano alla sedimentazione
di questi livelli d’iniziativa politico-militare in organizzazione di
classe armata, in questo senso cruciale era verificare le iniziative sull’indirizzo
strategico di attacco allo Stato, capace di mettere il MPRO nelle condizioni
di fare i salti politici, vale a dire la capacità di assumersi la responsabilità
della direzione della guerra di classe, e cioè consolidamento dell’organizzazione
rivoluzionaria della classe con riunificazione del PM e unità dei comunisti
per la costruzione del PCC. Quello che va sottolineato è che gli obiettivi
politici su cui hanno lavorato le BR (indicazioni di combattimento, i salti
da compiere sul terreno di direzione, chiarificazione del terreno di guerra
di classe, su cui tale intervento era la l.a. …) erano assolutamente indispensabili
considerando che lo scontro rivoluzionario si situava in una congiuntura di
transizione dentro la quale la guerra di classe avanza nei termini posti dall’O
o si sarebbe corso il rischio di perdere terreno e d are alla BI e allo Stato
tempo e modo di reagire e “riprendersi” dallo stato di crisi politica,
così da riaggiudicarsi il suo intervento sull’andamento dello scontro.
Non erano perciò “obiettivi” “troppo avanzati”
come spesso è stato detto fuori luogo nelle critiche postume, ma quelli
necessari e corrispondenti a quella situazione dello scontro, casomai è
vero, al contrario, che la loro non completa realizzazione è stata causa
dell’accumularsi critico delle contraddizioni in campo rivoluzionario.
A merito dell’O va detto che nella gestione della battaglia e più
in generale nella campagna di primavera questi obiettivi politici, oltre ad
essere stati da essa praticati, sono stati propagandati al massimo affinché
il MPRO assumesse in piena coscienza il terreno della guerra di classe nei termini
in cui doveva essere assunto in quella congiuntura di transizione, affinché
superasse i particolarismi e le visioni delimitate dello scontro. Da un punto
di vista più generale, la gestione della battaglia Moro è esemplare
nel come riesce ad esplicitare l’articolazione della LP (linea politica)
della DS ’78, ma soprattutto nella sua essenza incarna l’assunzione
e la esternazione della legalità rivoluzionaria e proletaria, materializzata
al massimo grado nel processo popolare. Questione di grande importanza strategica
ed ideologica, in riferimento alla pratica del contropotere proletario possibile
nel corso del processo rivoluzionario e che ha un forte valore propedeutico
nell’esercizio della giustizia proletaria in quanto sorte della BI è
quella di essere alla fine giudicata e condannata dal PM.
Restano da fare considerazioni generali aperte dalla congiuntura di transizione
sul piano dell’agire tattico. Infatti l’iniziativa Moro si situa
al coronamento del processo di sviluppo della guerra di classe raggiunto fino
a quel momento che aveva prodotto con lo sviluppo dell’autonomia di classe
e del MPRO, un vasto potenziale rivoluzionario con caratteristiche da “guerra
civile strisciante”. In questo quadro la cattura di Moro è la battaglia
principale di una campagna che le BR approdano ai fini del cambiamento della
fase rivoluzionaria. Si trattava cioè, a fronte di uno scontro che al
lato della crisi della BI evoleva obiettivamente dalla “pace armata”
alla “guerra”, di assumere l’iniziativa per stabilire le condizioni
rivoluzionarie in grado di sviluppare le premesse alla guerra civile. In questo
senso la battaglia se da un lato porta ad esaurimento le caratteristiche delle
fasi rivoluzionarie di propaganda armata, nel contempo ha in se le premesse
proprie dell’agire tattico che deve vivere nella congiuntura di transizione
vale a dire un agire che, pur dominato ancora dalla massima disarticolazione
politica dell’attacco allo stato, deve operare a un certo grado di distruzione
pol-mil del nemico.
Infine le caratteristiche della battaglia che va dalla cattura al processo all’esecuzione
di Moro contengono tanto in concreto quanto in potenziale le tre direttrici
di sviluppo della guerriglia:
- concentrazione e mobilità delle forze per condurre un’azione
rapida e di sorpresa, come si verifica ala momento della cattura;
- prolungamento del tempo ai fini del più ampio sviluppo delle contraddizioni
del nemico e della massimizzazione dei vantaggi politici, che con la battaglia
Moro si è dato con la durata del sequestro;
- muoversi per campagne nell’estensione e attivazione su tutto il territorio
delle strutture di O soprattutto nei grandi poli industriali sullo stesso obiettivo
di combattimento, sviluppando tante azioni contemporaneamente.
Queste direttrici con la battaglia Moro sono portate rispetto alla fase precedente
ad un grado di articolazione maggiore, mentre in ragione del principio tattico
operante in quella congiuntura non si da ancora sviluppo all’altra direttrice,
ossia le grandi e medie battaglie che impegnavano il nemico con forze consistenti.
OPUSCOLO N°5 ottobre 1978
L’opuscolo sviluppa ulteriormente la sintesi politica
e la propaganda sulle direttrici lanciate dalla Campagna di Primavera e in rapporto
a come si era evoluto il terreno da questa aperto. Con l’estensione della
LA e lo sviluppo stesso del MPRO vengono affrontati in maniera più approfondita
i compiti di radicamento e sviluppo della costruzione della guerra di classe.
Più precisamente viene sviluppata sul piano distruzione-costruzione la
direzione rivoluzionaria e il massimo della dialettica con i settori di classe
operaia attivizzati sulla LA e il MPRO. Quindi, nell’opuscolo, tutta l’analisi
formulata in relazione a questi fini politici, cioè inquadrando gli aspetti
particolari delle politiche dello stato e delle scelte padronali che si ripercuotevano
fin dentro la fabbrica, sul piano complessivo della crisi dell’imperialismo.
Si può però ipotizzare che l’opuscolo sia prodotto dal fronte
delle fabbriche.
Punto di partenza è proprio quello di individuare le linee portanti della
ristrutturazione delle multinazionali ai fini di stabilire le indicazioni di
combattimento, linee interne alle strategie delle multinazionali per far fronte
alla crisi dell’imperialismo. Ed è proprio nel caratterizzare la
crisi dell’imperialismo che si ha la lettura più aderente a quella
che era la fase di scontro sul piano mondiale. Non v’è dubbio che
alla fine degli anni ’70 l’incalzare delle lotte di liberazione,
le lotte della classe operaia in Europa e Usa , la guerriglia nella metropoli
avevano portato all’inceppamento degli strumenti di recupero politico-economico-militare
dell’imperialismo, un vero e proprio accerchiamento dell’imperialismo
che già nel ’75 lo aveva iniziato a stringere d’assedio,
tale da caratterizzare la fase come le BR avevano ben individuato nell’inquadramento
generale della crisi dell’imperialismo fin dall’inizio. Ma è
nel ’78-79 che ci sarà un’impennata quantitativa e qualitativa
dei processi di liberazione dei popoli e di lotta di classe tale da divenire
chiaramente il fattore determinante la crisi e a qualificarla come crisi di
egemonia. In sintesi, quest’ultimo fattore, sopraggiungendo alla crisi
strutturale porta la crisi ad un livello generale e complessivo, le lotte di
liberazione e di classe, in quella fase, erano i catalizzatori della crisi interna
del capitale, tali che le stesse contromisure prese si trasformavano in ulteriori
fattori di contraddizione. Come non mai, quando la crisi raggiunge caratteri
complessivi, l’imperialismo reagisce come sistema, una reazione che ha
alla base l’interdipendenza economica che fa si che la crisi si ripercuota
su tutti gli anelli e in questo caso proprio per la sua gravità tocca
anche paesi forti, ma è l’accerchiamento da parte delle lotte di
liberazione e di classe che mettendone in discussione il dominio costringe gli
organismi soprannazionali dell’imperialismo ad adottare strategie di sopravvivenza
e in difesa degli interessi delle multinazionali. E poiché l’elemento
scatenante della crisi è dato proprio dalla messa in discussione del
piano del potere la strategia è quella della ristrutturazione degli strumenti
di dominio, sia dentro gli stati che a livello degli organi soprannazionali.
In questo senso il carattere di queste ristrutturazioni è intrinsecamente
controrivoluzionario in quanto prerequisito è fare indietreggiare le
posizioni raggiunte dalla classe operaia e dai movimenti di liberazione. Accerchiamento
che le BR sottolineano non significa “capitolazione” dell’imperialismo,
ma sviluppo di processi di ristrutturazione dei suoi strumenti di dominio.
L’aver identificato la crisi di dominio come fattore caratterizzante la
crisi in quella fase significava tutt’altro che mettere in secondo piano
le contraddizioni economiche in quanto proprio queste venivano acutizzate dall’influenza
immediata dei fattori politici di crisi sia per la sottrazione di mercati determinata
dalla liberazione dei paesi dipendenti, insieme alla loro maggiore forza contrattuale
sui prezzi delle materie prime, sia per la forza della classe operaia che opponeva
una maggiore rigidità allo sfruttamento, con una tenuta dei salari, limitando
profitti. In questo senso le BR non concedono niente a letture fenomeniche,
che erano alimentate da come allora si presentava la crisi di un dominio forzoso
privato delle contraddizioni fondamentali del capitale da superimperialismo,
al contrario la loro lettura scaturisce da un’analisi marxista rigorosa
della dinamica del capitale e dei caratteri di sviluppo contemporanei, cosa
dimostrata anche in questo opuscolo, dove oggetto centrale dell’analisi
sono i termini economici. I compagni partono dall’analizzare gli aspetti
più evidenti, tipici di quel periodo, che immediatamente si ripercuotevano
sulla crisi dei profitti, vale a dire il ristagno della domanda e gli alti tassi
di inflazione, legando giustamente questi aspetti alla limitazione dei profitti
determinata dalla forza della classe operaia e dai processi di liberazione.
Questa limitazione dei profitti è l’espressione ultima della crisi
di sovrapproduzione e di caduta del saggio medio di profitto alla base dell’inceppamento
dei meccanismi dell’accumulazione capitalistica ed è proprio in
questo punto dell’analisi che è evidente l’impostazione materialistica
dei compagni (fuori da concezioni d crisi crollo) consapevoli della dinamica
intrinseca al capitale che attraverso la dialettica crisi-ristrutturazione pone
in essere processi di concentrazione, da un lato, e di espansione dei suoi mezzi
di produzione, dall’altro.
N. lo scritto presenta discontinuità e avanzamenti rispetto all’approfondimento
e articolazione dell’analisi economica. Discontinuità laddove per
argomentare il carattere della crisi si ricade negli errori di crisi di sottoconsumo
(come nella DS ’75), nello specifico nel far coincidere il significato
di sovrapproduzione con la produzione di troppe merci rispetto all’assorbimento
del mercato, mentre è noto che si deve parlare di sovrapproduzione quando
periodicamente si producono troppi mezzi di produzione, merci, ecc… che
sono superflui rispetto al grado di sfruttamento richiesto, cioè che
non possono agire come capitali. È vero che alla crisi generale di sovrapproduzione
si univa l’esaurimento del ciclo espansivo con la messa in crisi dei settori
produttori di beni di consumo, eh verosimilmente per la sua dimensione appariva
come l’aspetto predominante considerando che alla caduta della domanda
dei beni di consumo seguiva l’aumento dei prezzi delle materie prime,
vedi petrolio, e il perverso meccanismo dell’iperinflazione innescato
dalle politiche keynesiane di quel periodo, basate su una leggera stimolazione
dell’inflazione. Tutti fenomeni tipici di allora che i compagni individuano
correttamente come gli “aspetti evidenti” della crisi.
In riferimento ai caratteri della crisi, cioè di sovrapproduzione assoluta
di capitali, da cui il capitale può uscirne solo riattivando i meccanismi
di accumulazione e riallargando la base produttiva, due erano le soluzioni fondamentali
possibili in quella fase: la rima relativa alla produzione nel cuore dell’imperialismo
si basava sull’introduzione di nuove tecnologie che comportavano processi
di riconversione e ristrutturazione di enorme portata perché investivano
tutto l’apparato produttivo, una scelta obbligata stante la rigidità
acquistata dalla classe operaia nel centro imperialista. La seconda era data
dall’esportazione nei paesi dipendenti dei mezzi di produzione obsoleti,
sulla cui base si rideterminavano i rapporti di sfruttamento e subalternità
verso questi paesi.
L’intervento degli organismi soprannazionali a sostegno del capitale,
che è una costante nella fase dell’imperialismo, assume in rapporto
alla natura della crisi ed alla sua generalizzazione un carattere di rigida
“pianificazione”,stante la portata delle misure da adottare e considerando
che una simile riorganizzazione dell’apparato produttivo avviene entro
una rigida divisione a livello internazionale delle aree di produzione e di
mercato. Quindi gli organismi soprannazionali, in particolare FMI e CEE, sovrintendono
non solo ai pini generali che si danno in un’ottica internazionale, e
che stabiliscono in dettaglio cosa, come e quanto produrre, ma anche agli indirizzi
specifici che ogni stato è tenuto a seguire. Anche la BI italiana sceglie
di imboccare la strada delle ristrutturazioni, e lo stato al riguardo ha già
predisposto un “piano di riconversione industriale”, ovviamente
interno al rigido indirizzo dato dagli organismi soprannazionali, funzionale
a sostenere lo svolgersi di questa riconversione, stabilendo priorità,
condizioni e finanziamenti. Le BR sottolineano il ruolo che svolge lo stato
al servizio della BI quale supporto indispensabile soprattutto per farla uscire
dalla crisi, con l’obiettivo di ridare efficienza all’apparato riproduttivo
ristrutturato a livello multinazionale e questo stando obbligatoriamente entro
i limiti della posizione gerarchica dell’Italia, senza cioè sconfinare
rispetto ai paesi più forti (USA, RFT, Giappone).
In questa analisi emerge come non mai come si è evoluto il ruolo dello
stato rispetto al suo farsi garante dell’interesse generale della BI come
si evince dallo stesso piano di riconversione a sostegno del proprio capitale
multinazionale, un dato che proprio in rapporto alla fase odierna dell’imperialismo
vive in stretta interazione con le pianificazioni economiche degli organismi
soprannazionali, una peculiarità dell’oggi alla cui base sta l’integrazione
e l’internazionalizzazione raggiunta dal capitale multinazionale. Livelli
di intervento che per quanto intendano sostenere il capitale sono tutt’altro
che la possibilità di pianificare la soluzione della crisi, tant’è
vero che la necessità di allargare la base produttiva non è stata
raggiunta, anzi questa ha visto una sostanziale restrizione.
Secondo il “piano di riconversione” la ristrutturazione doveva seguire
4 direttrici principali:
La prima. Ristrutturazione prioritaria dei settori trainanti a tecnologia avanzata,
prioritaria in quanto vanno garantiti gli sbocchi di mercato alle multinazionali
più forti, che sono quelle che accumulano maggiori profitti. Settori
trainanti che sono il cuore della potenza dell’imperialismo e che riguardano:
nucleare, elettronico, bellico aerospaziale. Di questi settori sono assegnati
all’Italia spezzoni di ciclo produttivo a livello tecnologico intermedio.
La seconda direttrice è la generalizzazione dei sistemi produttivi ad
alto livello tecnologico e a più alta intensità di capitale in
tutti gli altri settori, un processo che porta ad espellere forza-lavoro in
modo massiccio perché l’automazione sostituisce gli operai. È
dalla riconversione di questi settori che i macchinari arretrati vengono esportati
nei paesi del terzo mondo dove le multinazionali ne trarranno ancora profitto
sfruttando la manodopera a basso costo.
La terza direttrice è la riconversione della piccola e media industria
in funzione delle multinazionali.
La quarta direttrice è lo sviluppo del settore bellico.
Le BR analizzano questo aspetto come uno sviluppo legato agli sbocchi di guerra
controrivoluzionaria al proprio interno che di guerra imperialista. In questa
logica il settore viene visto come destinato a una sicura espansione, argomentata
con i dati della “corsa agli armamenti” (spese Nato nel conflitto
Est/Ovest) e dati statistici sul mercato delle armi, in cui si è inserita
anche l’Italia. L’attenzione dei compagni è soprattutto focalizzata
sull’armamento dello stato per l’ordine pubblico: le produzioni
di armi per questo fine vengono viste in progressione, con un “contagio”
sui rimanenti settori economici tanto da accennare a esigenze di “economia
di guerra”. Ma a parte questa affermazione imprecisa e poco argomentata,
una affermazione giusta è che lo sviluppo bellico non sarà mai
una soluzione alla crisi perché improduttivo, in quanto il capitale non
fa la sua circolazione, rialimentando la crisi e aggravando il bilancio dello
stato.
I settori produttivi individuati sono quelli in cui si concentrano le contraddizioni
principali sia tra i vari strati di borghesia che tra borghesia e proletariato,
in questo senso per la BI affrontare nel modo dovuto questa ristrutturazione
significa, da una parte, riassestare i meccanismi di accumulazione del capitale,
ristabilire nuovi livelli di sfruttamento e nuove forme di controllo sulla classe
operaia, motivo per cui saranno questi settori trainanti ad essere per primi
oggetto di ristrutturazione.
La conseguenza dell’applicazione di queste linee di ristrutturazione è
il superamento all’interno dello stato ristrutturato delle contraddizioni
politiche esistenti tra i vari gruppi economici, così che non ha più
senso parlare di contraddizione tra industria pubblica e privata (se non in
forma molto secondaria) in quanto il confronto avviene tra multinazionali che
tendono superare i contrasti politici per spartirsi la torta sotto il controllo
di esecutivo e confindustria (es: ”pace nucleare” tra Fiat e Finmeccanica),
e seguono le stesse linee e logiche nella ristrutturazione, un dato che le BR
sottolineano per sfatare la demagogia del Pci nella difesa dell’”industria
pubblica”.
A dirigere la ristrutturazione dell’apparato economico del paese viene
istituito il CIPI, organismo apposito dell‘esecutivo che comprende i ministeri
economici e la banca d’Italia e che sulle linee del piano di riconversione
industriale” sviluppa piani di settore, interni alle direttive soprannazionali
nell’istituzione stessa di questo organismo si esplicita la tendenza alla
centralizzazione in funzione di una direzione unificata dell’intervento
economico che superi anche le contraddizioni tra istanze politiche, ministeri,
interessi locali. Un approccio che qualifica l’intervento dello stato
nell’economia rispetto a quella fase di crisi e che alla “programmazione”
rispetto alla ristrutturazione unisce il compito fondamentale di reperire i
fondi per le multinazionali ,fondi che nella crisi sono destinati non solo all’industria
pubblica ma anche a quelle private. In ciò si esplicita, nella fase dell’imperialismo,
la funzione cardine dello stato-banca, perché è lo stato che può
farsi carico di rastrellare finanziamenti con l’aumento delle tasse, i
costi dei servizi, ecc., comprimendo le condizioni proletarie, ma, con la crisi,
toccando anche le fasce di piccola borghesia che privata dei suoi piccoli privilegi,
finisce per contrapporsi talvolta alla borghesia imperialista. Per altro verso
i pesi imperialisti usufruiscono dei finanziamenti sul mercato internazionale,
tanto degli organismi finanziari internazionali , quanto negli stati più
forti. A questo proposito i compagni interpretano la necessità di ricorrere
ai forti tagli alla spesa pubblica per reperire fondi del bilancio dello stato
come conseguenza della difficoltà di ottenere finanziamenti sul mercato
internazionale (come se non ci fossero sufficienti risorse per tutti): una interpretazione
che non corrisponde alla realtà dell’economia capitalistica in
quanto se venivano negati i finanziamenti internazionali più che essere
un problema di reperibilità dei fondi, questo manifestava la volontà
di spingere l’Italia a intervenire indirettamente per abbassare il valore
della forza lavoro.
Rispetto ai provvedimenti di quel periodo i compagni registrano tutte le iniziative
e leggi che vengono fatte, compresa quella delle “regioni”. Quest’ultima
in particolare poteva effettivamente dare adito a chissà quali sviluppi
sul piano dell’articolazione locale delle direttive centrali prospettando
un’ipotetica razionalizzazione tra centro e periferia sulla quale poteva
trovare impulso una corrispettiva articolazione locale sia delle linee neocorporative
Stato-confindustria-sindacati che dalle strutture territoriali della confindustria
(le “feder-industria”) nell’ottica di gestire la ristrutturazione
industriale capillarmente. Se la legge sulle “regioni” intendeva
rispondere a questo tipo di esigenze della BI, l’applicazione pratica
è rimasta almeno in quella fase sulla carta, se non sul piano di esiti
di tipo amministrativo, mentre soprattutto lo sviluppo neocorporativo e delle
politiche confindustriali si è dato in senso fortemente centralizzato.
Riguardo alla confindustria si ribadiscono i concetti della DS ’78, quale
centro di iniziativa padronale che nel suo ristrutturarsi ha portato a compimento
la costruzione di un’unità politica sulla linea della borghesia
imperialista. Un processo che dal ’70 al ’78 ha effettivamente unificato
politicamente tutti i padroni (anche piccoli e medi e l’intersind), unificazione
avvenuta soprattutto negli accordi contro la classe operaia. La confindustria
essendo l’asse portante dell’iniziativa imperialista nella ristrutturazione,
è quella che elabora piani e li propone all’esecutivo e che interviene
su ogni ambito e questione della vita politica del paese facendo contare le
sue posizioni. Più precisamente rispetto alla crisi e alle linee per
uscirne la Confindustria, oltre a dotarsi di un suo centro dati, si è
soprattutto impegnata nella formazione di quadri nell’ottica di creare
“manager” rispondenti alla struttura dirigenziale delle multinazionali,
sotto la parola d’ordine dell’efficientismo e l’imprenditorialità,
così da poter articolare in modo univoco ad ogni livello la sua linea
politica nelle ristrutturazioni, una formazione di mananger che è anche
curata direttamente da ogni multinazionale. Queste scuole dirette da “esperti”
il cui ruolo è stato spesso camuffatola studiosi e professori, elementi
dirigenziali da individuare e colpire, non a caso queste teste pensatisi ritrovano
poi negli organismi soprannazionali e nei centri di direzione imperialista e
non è un caso che ruotino nell’area DC, nei suoi centri studi.
Le conseguenze previste della ristrutturazione nelle fabbriche venivano individuate
in:
-La disoccupazione: questa si sarebbe data sia per la chiusura di fabbriche
piccole e medie, sia con la cassa integrazione, pensionamento anticipato, blocco
del turn-over e, dove erano in grado, con licenziamenti politici motivati da
assenteismo. Una disoccupazione che proprio per i piani di riconversione con
l’introduzione di tecnologie che avrebbe comportato, diveniva un dato
stabile e tendenzialmente progressivo, con tutto il portato di contraddizioni
e conflitti sul piano di classe, ma che in ultima istanza, per il loro portato
di radicalizzazione, avrebbe favorito le condizioni dello scontro rivoluzionario.
- La mobilità: strumento che per i padroni aveva, come sempre ha due
obiettivi: il primo è l’utilizzo razionale degli impianti, il secondo
la rottura della capacità di resistenza e lotta della classe operaia,
una mobilità che avviene da reparto a reparto e tra fabbriche dello stesso
padrone, mentre quello che i compagni definivano”mobilità regionale”
nei fatti non si è poi verificata, non solo perché priva dei presupposti
di convenienza economica per il capitalista, ma anche perché non si sono
attivati quegli organismi regionali di coesione prefigurati.
- L’aumento della produttività e quindi dello sfruttamento operaio
che passa in primo luogo con il livello tecnologico che doveva essere introdotto,
e con il taglio dei tempi, aumento dei ritmi, straordinario fino di sabato e
lavoro notturno.
Per garantirsi l’applicazione di queste ristrutturazioni, stante tutte
le conseguenze a carico degli operai, i padroni puntavano su tre strumenti:
patto neocorporativo, militarizzazione delle fabbriche, ristrutturazione del
comando.
La gerarchia di fabbrica doveva essere necessariamente riqualificata in rapporto
al tipo di ristrutturazione che doveva essere introdotta, riqualificazione che
sostanzialmente doveva formare un personale che a tutti i livelli della gerarchia
fosse in grado di avere una visione insieme tecnica e politica, ricomponendo
cioè il lavoro dei “tecnici”, quei dirigenti che dietro le
quinte studiano le tecnologie e come devono essere applicate, e dei “politici”,
incaricati dei rapporti con gli operai e i sindacati. In questo senso le scuole
quadri dovevano formare dirigenti in grado di avere sia la conoscenza del funzionamento
della produzione sia un’elevazione politica e culturale che gli consentiva
di aver chiari gli obiettivi complessivi per cui lavoravano. In sintesi per
colpire la struttura di comando non era sufficiente individuare i capi più
reazionari, ma arrivare ai livelli decisionali sempre più centralizzati
anche se meno esposti, a partire dal loro effettivo ruolo.
Il secondo strumento è la militarizzazione dei luoghi di lavoro con la
velleità di stroncare la capacità di resistenza della classe operaia
e il diffondersi della lotta armata. Da questo punto di vista le fabbriche assomigliano
sempre più a caserme, con la presenza di guardiani, digos in incognito,
accompagnata da una attività spionistica capillare a cui lavorano finti
operai, ex CC, fascisti, ecc. I compagni nella militarizzazione includevano
anche l’introduzione di macchine a controllo numerico (come pure i collaudatori
nelle fabbriche militari). Non v’è dubbio che la macchina a controllo
numerico determina un controllo di quanto produce l’operaio, i suoi tempi
movimenti, ecc, ma ci sembra azzardato motivare la sua introduzione a scopo
di controllo, fuori dalla sua funzione produttiva, sarebbe come trasportare
su un piano soggettivo un portato oggettivo proprio all’introduzione di
macchinari tecnologizzati che di per sé, obbligando l’operaio ai
suoi ritmi, contribuisce al comando dispotico del capitale sul lavoro.
Terzo e più importante strumento è la costruzione del patto neocorporativo
che in quella fase si proponeva di coinvolgere il PCI nella gestione della ristrutturazione
rispetto alle sue conseguenze sulla classe operaia. Una corporativizzazione
che come sempre partiva dal presupposto di marginalizzare l’identità
operaia per coinvolgere gli operai intorno alle scelte padronali e stornarli
dagli obiettivi politici di classe, perseguendo in questo modo il tentativo
di “pace sociale” e isolamento della lotta armata. Su quest’ultima
questione il PCI era particolarmente attivizzato e non solo, ma anche nell’isolare
le avanguardie e tutte le pratiche violente e incisive e denigrare i compagni
che già praticano la lotta armata. Un attivismo che non disdegna la delazione
e lo stretto controllo delle situazioni operaie, fino agli scioperi reazionari
“contro il terrorismo” fatti insieme ai poliziotti.
Nell’analisi del riformismo in rapporto alla crisi e alla ristrutturazione
i compagni affermano che il ruolo del PCI andrà a definirsi sempre più
come apertamente controrivoluzionario in quanto la crisi brucerebbe le possibilità
di risolvere in termini di mediazione le contraddizioni con la classe operaia.
Se ne conclude che la borghesia imperialista si prepara alla guerra come solo
modo di contrapporsi al proletariato. Nella fase passata il PCI aveva potuto
fare una politica basata sul tentativo di deviare in senso riformista le lotte
operaie, tutt’al più reprimendo selettivamente le avanguardie per
contrastare il contropotere operaio, e questo perché in quella fase l’enorme
crescita dei profitti consentiva di rispondere parzialmente alle richieste operaie,
e si dava anche la possibilità dell’ammodernamento riformista dello
Stato, un contesto in cui il PCI poteva parlare di “nuovo modello di sviluppo”
su cui incanalare in senso riformista le tensioni operaie.
Era quello il periodo in cui due ipotesi strategiche si contrapponevano nella
borghesia imperialista, quella golpista, che poi è stata sconfitta, e
quella illuminata che puntava sul pieno sviluppo delle articolazioni dello Stato
democratico, ed è quest’ultima che il PCI caldeggiava cercando
di coinvolgere la classe in un’ipotesi strategica che sfruttava tatticamente
le contraddizioni interborghesi.
Con il blocco dell’accumulazione cadono le mistificazioni riformiste e
i compagni valutano che l’unica strada della borghesia imperialista sarebbe
quella di preparare la guerra contro la classe operaia. In questo quadro il
ruolo del PCI va a smascherarsi fino in fondo costretto a schierarsi organicamente
a sostegno della borghesia imperialista ( come era evidente nel ’73 con
il sostegno al governo di unità nazionale). Ridefinendo il suo ruolo
in funzione della strategia di ristrutturazione imperialista dello Stato facendosi
garante di coinvolgere la classe operaia a sostegno di questa linea strategica.
Una linea che in concreo si traduce in repressione dell’autonomia di classe
e la cogestione per costruire il patto neocorporativo. Per i compagni, cioè,
la borghesia imperialist affida al PCI il compito di “mettere ordine nelle
fabbriche” il che vuol dire opera di individuazione dei compagni che praticano
la lotta armata, e intervento preventivoverso la massa di operai che appaiono
“indifferenti” e quindi sospetti. Intanto sdi rende subito disponibile
alle ristrutturazioni economiche per gestire le conseguenze antioperaie visto
che la resistenza della classe operaia è il principale ostacolo alla
ristrutturazione economico-politica-militare dello SIM, motivo per cui la BI
scatena la guerra contro il proletariato. È rispetto a questi scopi che
il sindacato diviene centrale sia rispetto alla BI che al PCI visto che è
la sola organizzazione di massa degli operai. Si chiede al sindacato di assumere
sempre di più un ruolo politico rispetto alla cogestione necessaria per
costruire il patto neocorporativo. Per contro non ci sono contropartite da offrire,
anzi la crisi porta operai e padroni a scontrarsi sul terreno economico. Questa
contraddizione, intrinseca al progetto del patto neocorporativo, diventa la
contraddizione del sindacato nel rapporto con la classe operaia. L’assunzione
di questa linea si traduce nel fatto che i vertici sindacali si trovano a cancellare
ogni tratto di classe dal corpo sindacale, per potersi adeguare ai modelli di
cogestione inglese e tedesco. Una scelta che si concretizzava allora nel dotarsi
di una nuova linea di politica economica del sindacato: piena occupazione, investimenti,
perequazione dei salari, appoggio alla riforma sanitaria, obiettivi demagogici
che dimostrano la volontà di dialettizzarsi con la ristrutturazione economica
e quindi cogestire le sue conseguenze in fabbrica. Ma malgrado questa volontàil
sindacato è obbligato per la sua stessa sopravvivenza al “consenso”
operaio, ai rapporti con la classe, e quindi, quando non riesce ad incanalare
le lotte, si trova obbligato a cavalcare e anche a promuovere le rivendicazioni
operaie, finendo anche con l’andare in contraddizione con la dichiarata
disponibilità politica dei vertici sindacali. Una situazione contraddittoria
che la classe vive, rispetto al suo istinto di classe, in modo ambivalente:
quando le scadenze sono indette dal sindacato su obiettivi di cogestione, la
partecipazione è scarsa, comunque vissuta passivamente, pur non rinunciando
mai ad ogni scadenza per il rifiuto intrinseco del crumiraggio e degli atteggiamenti
qualunquisti. Se invece è il sindacato a dover cavalcare l’iniziativa
operaia, c’è una forte partecipazione di massa, capace di esprimere
attivamente autonomia politica, motivi questi per cui il sindacato limita più
che può le iniziative di sciopero e mobilitazione,proprio perché
non è in grado di controllare il movimento di resistenza che si è
sviluppato a partire dalle fabbriche intorno alla l.a. contro la ristrutturazione.
La L.A. per il C che ha spazato via le illusioni gruppettare e neorevisioniste
dando forza e continuità al movimento di resistenza.
Nota. In alcune parti di questo documento ci sembra si intraveda
la contraddizione relativa alla linearizzazione del giusto concetto del passaggio
dalla fase generale di pace armata, alla guerra, visto come processo già
in atto, di scelta della borghesia imperialista nel rapporto col proletariato,
come si evince dalle considerazioni sul bellico e, in modo più evidente
nell’analisi sul riformismo tale da renderla controversa. È evidente
che questa contraddizione in questo documento è solo embrionale, non
è ancora una teorizzazione, come lo sarà in futuro, verosimilmente
indotta in questo stadio dal leggere la progressione della lotta armata sul
territorio nazionale e i provvedimenti controrivoluzionari antiguerriglia dello
Stato come l’immediata assunzione dei termini di guerra in forma assoluta
da parte dello Stato di contro alla classe lettura che già contiene l’inevitabile
impoverimento dell’analisi dello Stato e dei suoi strumenti di governo,
ad esempio laddove si afferma che sono “bruciati” i margini di mediazione
“riformista” rispetto al rapporto con la classe. Si argomenta ciò
confondendo in primo luogo riformismo e socialdemocrazia. Mentre la socialdemocrazia
è effettivamente stata espressione della fase di espansione delle forze
produttive, e quindi storicamente da tempo esaurita, il riformismo è
espressione politica propria allo Stato imperialista, ai suoi strumenti di governo,
intrinsecamente legato all’annientamento e, in quanto tale, la crisi economica
non elimina le condizioni della sua esistenza restando una necessità,
pur nella mera forma ideologica e questo anche quando nella fase della guerra
prevale il termine dell’annientamento rispetto al riformismo.
Ulteriori argomentazioni su questa falsariga sono portate equivocando la congiuntura
politica precedente, quella che a partire dai sovrapprofitti aveva fatto vivere
l’ipotesi del compromesso storico come se si fosse di fronte ad una espansione
delle forze produttive, quando, come si è detto negli altri documenti
è dagli anni ’70 che il capitale, entrando nella crisi generale
di sovrapproduzione, non può più espandere le sue forze produttive.
In sostanza, per sostenere l’abbaglio politico di una entrata in guerra
della borghesia imperialista contro il proletariato in quella congiuntura, se
ne dà una motivazione economica legata alla crisi, confondendo aspetto
particolare con il piano generale. Dentro questo schematismo in cui è
analizzato anche correttamente il ruolo del PCI, viene potenzialmente unificata
l’analisi corretta fatta nella DS ’78 sull’avvicendamento
delle fasi pace armata-guerra, in cui i compagni non assolutizzano mai del tutto
uno dei termini del binomio riformismo-anientamento, perché anche nella
fase di prevalenza degli strumenti controrivoluzionari e repressivi contro la
classe, lo Stato continua ad usare gli strumenti politici, un piano di totale
guerra col proletariato è pressoché impossibile a sostenere, a
meno che non ci si trovi vicino alla presa del potere, con una crisi rivoluzionaria
matura, questione più che confermata nel periodo della controrivoluzione
degli anni ’80, nel pieno di quella fase obiettiva di guerra.
Detto questo la funzione del riformismo nella crisi e quindi l’evoluzione
in cui era entrato il PCI è ben analizzata, rispetto alle ragioni economiche
e politiche, in primo luogo rispetto al suo coinvolgimento controrivoluzionario
a sostegno dello Stato e di supporto ai processi di ristrutturazione dello Stato
soprattutto perché messi in discussione dall’innalzamento della
guerriglia e dall’estensione dell’autonomia di classe. Sarà
la crisi nel suo aggravarsi, nonostante la difensiva rivoluzionaria, che creerà
le condizioni oggettive e politiche che da un lato renderanno obsoleta la vecchia
classe dirigente e dall’altro costringeranno le forze riformiste a “farsi
Stato” per salvare lo Stato.
N. 2 l’analisi sul sindacato rispecchia fedelmente il ruolo che questo
ricopriva e i cambiamenti che lo investivano soprattutto in quella fase e questo
perché, parlando di un terreno in cui l’attività dell’O
è estesa e articolata, cioè la fabbrica, vengono colte le dinamiche
reali che riguardano il rapporto tra il movimento operaio e il sindacato e quello
che implicava lo sviluppo dell’autonomia di classe nel suo legame con
la l.a. Un quadro di relazioni in cui risalta il condizionamento al “
consenso” a cui è soggetto il sindacato e quindi la contraddittorietà
che ne consegue per le scelte del sindacato. Un dato questo che non è
eliminabile malgrado l’evoluzione del neocorporativismo con tutto quello
che ha comportato sia rispetto al progressivo cambiamento delle forme di rappresentanza
in fabbrica che della struttura organizzativa e gerarchica del sindacato. Si
può dire che tutti i passaggi affermati dal neocorporativismo, possibili
entro una condizione politica sfavorevole al proletariato, hanno necessariamente
comportato una progressiva formalizzazione del rapporto sindacato-base operaia
sia con l’istituzione di filtri ai vari livelli rispetto alle sue rappresentanze
dirette in fabbrica con l’inclusione di istanze esterne alla rappresentanza
operaia) sia istituendo consultazioni tipo referendum che hanno reso sempre
più formale il rapporto tra operai e istanze sindacali. Nel contempo
le stesse istanze sindacali, dai direttivi in su, hanno subito una riformulazione
organizzativa che ha svuotato i quadri intermedi delle problematiche che avevano
per renderli funzionali all’applicazione delle decisioni dei vertici.
Modifiche che sicuramente hanno reso più agibile la politica neocorporativa
dei vertici sindacali ma che, per quanto sia divenuto rarefatto il rapporto
con la classe operaia, non eliminano l’influenza di questa sulla politica
sindacale, e questo per il ruolo politico che ricopre la classe operaia nello
scontro, nonostante la sua relativa debolezza odierna. Un ruolo che spiega anche
il fiorire del sindacato di base avvenuto dentro al venir meno del ruolo tradizionale,
per i rapporti di classe in Italia, del sindacato.
Nella parte propositiva lo spaccato che le BR danno dello Stato del MPRO (Movimento
Proletario di Resistenza Offensivo) è una lezione di metodo e lucidità
politica che manifesta la profonda internità delle BR alla classe. Da
una parte i compagni riescono a valorizzare la portata reale del MPRO rispetto
all’evoluzione dello scontro rivoluzionario, movimento che è cresciuto
in quantità e qualità per estensione, radicalizzazione, forme
di resistenza, area di consenso alla l.a. Nel contempo questa lettura si avvale
di un criterio metodologico di classe in grado di discriminare i comportamenti
operai e proletari in tutte le sfumature e i livelli che compongono l’attività
del MPRO, cioè rientrano in questo movimento tutti quei comportamenti,
individuali, collettivi, legali o clandestini, sindacali o politici, che si
oppongono alla ristrutturazione imperialista. In altri terminasi moltiplicano
gli episodi di resistenza alla ristrutturazione in fabbrica sempre più
spesso di tipo autonomo e, per altro verso, si organizzano azioni armate contro
i capi, pestaggi, ecc…., sempre più aperta è la contestazione
della politica del PCI rispetto all’accordo a cinque e al sindacato.
Unitamente alla capacità di analizzare i comportamenti operai che rientrano
nel movimento offensivo, si sottolinea l’importanza della scesa n campo,
con la crisi, degli strati proletari espulsi dal processo produttivo con la
ristrutturazione. Strati destinati a crescere quantitativamente e che sono il
miglior alleato della classe operaia, ma è quest’ultima che costituisce
il principale strato di radicamento della lotta armata.
Più in particolare i compagni valutano che nell’ultimo anno il
salto di qualità che si è verificato ha significato un allargamento
di massa del consenso alla l.a. e una maggiore comprensione dei termini politici
dello scontro che ha portato all’assunzione spontanea di livelli organizzativi
armati e clandestini da parte di nuclei operai che affiancano le OCC (Organizzazioni
Comuniste Combattenti). Un’evoluzione che per estensione e qualità
politica non ha precedenti (gli attacchi organizzati spontaneamente contro la
DC, i carabinieri, nelle fabbriche…) e che, pur nella loro parzialità
si riconoscono in una strategia unificante, quella dell’attacco al cuore
dello Stato. In questo i compagni ravvisano un passaggio sempre più aperto
alla guerra di classe.
N. in quest’ultimo passaggio ci sembra che è ravvisabile ancora
una volta la contraddizione potenziale della linearizzazione e anticipazione
della fase di guerra. In altri termini se non c’era dubbio che l’attacco
al cuore dello Stato era la parola d’ordine a cui si relazionava l’iniziativa
spontanea e che vi era un obiettivo riconoscimento della linea strategica unificante,
cioè la strategia della l.a., questo dato, per costituire un effettivo
spostamento sul piano della guerra di classe, poteva darsi soltanto dell’attivo
intervento soggettivo dell’avanguardia, che solo con la sua opera di direzione
poteva modificare qualitativamente i caratteri del MPRO per la concretizzazione
degli elementi soggettivi della fase rivoluzionaria di guerra. Motivo di questa
sfasatura non è affatto la tendenza a negare il rapporto coscienza/spontaneità
e la funzione di Partito, ma è verosimilmente il prodotto dell’anticipazione
dei caratteri di fase di guerra come se tutti i processi rifossero accelerati
e risolti di per sé, una sfasatura a nostro avviso alimentata sempre
dal contesto congiunturale di crescita rivoluzionaria della fase scontro, una
sfasatura che solo più tardi e unitamente all’insorgere di altre
contraddizioni, contribuirà alle deviazioni politiche.
Si afferma giustamente che proprio il legame che si è stabilito tra l’attività
delle OCC e questo movimento di resistenza offensivo,con le sue caratteristiche
di estensione, coscienza politica, radicalizzazione e continuità che
fa traballare l’accordo a cinque, delegittimando e smascherando la cogestione
e il ruolo collaborazionista dei berlingueriani.
È a partire da questo dato qualitativo dello scontro che l’attacco
della BI non si limita più a colpire l’avanguardia, ma cerca di
rompere le radici che questa ha affondato nella classe operaia, intenzione che
se già si era manifestata in una campagna terroristica di stampa rispetto
ai settori operai dell’area torinese e ligure, dopo l’azione Moro
con le leggi speciali opera con vere e proprie azioni di guerra contro interi
quartieri proletari. Ma tra i termini dello scontro il principale è la
crescita del terreno rivoluzionario. Ed è a partire da questa crescita
che i compagni criticano e analizzano la politica del riformismo in quel momento.
Si individua con chiarezza il ruolo assegnato dalla borghesia imperialista ai
berlingueriani, che nella cogestione è quello di reprimere e fare del
terrorismo rispetto alla l.a. e alle avanguardie di classe, motivo per cui le
avanguardie dovevano assumersi il compito di fare chiarezza negli ambiti di
classe riguardo al ruolo dei berlingueriani, affinché questi fossero
isolati politicamente. Ma questo significava anche precisare che i riformisti
non sono la contraddizione principale, perché se è vero che costoro
si identificano totalmente con i problemi e le direttrici imperialiste, sono
un aspetto complementare la cui esistenza è un prodotto dell’esistenza
del capitale.
Una precisazione indispensabile di metodo e di merito che contribuisce a mettere
nella giusta luce l’affermazione contenuta nella DS ’78 circa il
ruolo ideologico e controrivoluzionario che i riformisti vanno ad assumere nell’approfondimento
della guerra di classe, motivo per cui non è escludibile che andranno
affrontati anche militarmente. In altre parole vanno attaccati per il ruolo
di spie e infiltrati che si sono assunti, e non in quanto esponenti del partito
riformista.
Proprio a partire dal ruolo che i berlingueriani (e il sindacato) si erano già
assunti in quella fase contro la guerriglia e cioè di individuazione
delle avanguardie che praticavano la l.a. i compagni spiegano ancora i comportamenti
di classe nei confronti dei riformisti, con quel criterio che espressione della
massima coscienza di classe e che sa leggere nel modo dovuto quelli che possono
apparire comportamenti “contraddittori”: la diminuzione delle contestazioni
palesi,anche clamorose degli operai contro il sindacato e i PCI, che poteva
apparire come un calo di tensione dell’autonomia di classe, in realtà
indicava l’adeguarsi degli operai ad una situazione di criminalizzazione
e spionaggio, a cui facevano fronte sul piano generale con atteggiamenti di
indifferenza, in particolare assumendo logiche clandestine anche nel ricollocare
il dibattito. Un’attivazione del dibattito per linee interne a gruppi
operai che soprattutto sposta la problematica della discussione dai problemi
sindacali a quelli della l.a. Questo dimostrava già la forte politicizzazione
dello scontro ma soprattutto la conferma che nella coscienza del proletariato
era ormai radicata la necessità storica della lotta armata.
A conclusione di questa valutazione dello stato delle OCC e della ricchezza
politica che si è maturata, dei livelli di combattimento espressi dal
movimento, riguardo al trovarsi di fronte ad una situazione di passaggio di
fase rivoluzionaria, se ne precisano i termini e i compiti che comporta, sia
come indicazioni che come atteggiamento tattico, nel senso che col progressivo
esaurirsi della fase di PA (Propaganda Armata) si entra in quella di disarticolazione
dello Stato in tutte le sue ramificazioni, nella prospettiva della guerra civile
vera e propria. Un cruciale passaggio che imponeva un salto di qualità
alle OCC in termini di comprensione e di iniziativa politico-militare. Da qui
la necessità di chiarire (e liquidare) le tendenze erronee presenti nel
movimento rivoluzionario: la tendenza al sindacalismo armato che significava
tramutare la l.a. in forma difensiva come strumento per difendere gli spazi
acquisiti. Contro questa linea economicista c’è il massimo della
chiarezza e determinazione considerando che proprio nell’intervento in
fabbrica si presentavano già i primi episodi di sindacalismo armato.
All’interno di ciò si critica anche il sabotaggio dei mezzi di
produzione in quanto del tutto inadeguato alla fase dello scontro perché
forma tradizionale di resistenza individuale della classe operaia e l’alzare
il tiro su questo terreno non la qualificava diversamente. Poi, però
a patire dall’errore di valutazione su alcuni aspetti delle innovazioni
tecnologiche, come le macchine a controllo numerico, viste come elemento di
repressione, si concepisce un livello di intervento su questo terreno. Una contraddizione
in termini considerando che la critica al sabotaggio è motivata richiamandosi
al fatto che bisogna interpretare i bisogni politici della classe operaia, la
sua esigenza di potere , dando respiro strategico nel combattimento contro la
struttura imperialista, di momenti parziali di resistenza della classe operaia.
A conclusione dell’opuscolo viene posto al centro dei compiti della fase
di scontro la costruzione del PCC come improrogabile, precisando che la costruzione
del Partito non può essere intesa come una sommatoria di forze, ma si
da dentro un confronto e una battaglia politica anche aspra sulla costruzione
di una linea politico-militare. Solo così, infatti, è possibile
riunificare le espressioni parziali di resistenza, non disperdendo il vasto
potenziale che si è prodotto, vale a dire nella capacità di sintetizzare
al punto più alto quello che si esprime nel movimento di resistenza,
articolando l’attacco a partire dalla contraddizione principale nel suo
aspetto dominante. Solo nel Partito è possibile riunificare intorno alla
direzione della classe operaia tutti gli strati proletari che si sono mobilitati
in questa fase e che hanno contribuito all’estensione e alla radicalizzazione
del movimento. Per altro verso la costruzione del Partito si da solo a partire
dalla più stretta clandestinità, che va intesa in senso strategico
e non difensivo e dentro ai criteri del centralismo democratico. Solo così
è possibile confrontarsi e resistere alla repressione e all’accerchiamento
strategico dell’imperialismo pur vivendo in mezzo al popolo. Queste sono
le premesse indispensabili per l’organizzazione del reparto più
avanzato della classe operaia nucleo strategico dell’esercito proletario
nella prospettiva della guerra di popolo di lunga durata.
Proprio in riferimento ai cambiamenti della situazione rivoluzionaria che evolvevano
nel superamento della fase della PA non si trattava più tanto di radicare
la l.a., ma di organizzare la lotta sotto la direzione del Partito, un obiettivo
che comportava già in quella fase la costruzione di un Programma in grado
di riunificare i diversi terreni di combattimento così da articolarli
all’interno di un’unica linea strategica. Entro questa prospettiva
sono consequenziali le indicazioni al MPRO: organizzarsi sulla l.a. articolando
le indicazioni delle OCC per estendere le lotte contro la ristrutturazione nelle
fabbriche, unificarsi intorno alla costruzione del PCC sul programma strategico
della Guerra Civile Antimperialista per il Comunismo.
Nota. Pensiamo di poter affermare che l’opuscolo sia il prodotto del fronte
delle fabbriche, in quanto nella sintesi politica e nelle indicazioni si riflette
la tipica attività del FF (Fronte delle Fabbriche). Se consideriamo che
la DS ’78 poneva la necessità di un rilancio dell’attività
dei fronti e tenendo presente l’innalzamento dello scontro a seguito della
Campagna di Primavera, l’opuscolo dimostra proprio l’impulso che
vuole essere dato all’attività di fronte. Infatti è tangibile
dall’opuscolo la volontà di far vivere il principio che i fronti
sono i vettori della linea politica sui terreni specifici di combattimento,
cercando di concretizzare un nodo posto dal rilancio e cioè che i fronti
dovevano assolvere alla centralizzazione politico militare nella funzione di
direzione in relazione all’estensione nel territorio delle strutture d’O.
Ovvero tutte le iniziative particolari che si davano sul terreno delle fabbriche,
nonché la loro dimensione parziale, sono riportate al piano generale
e sempre ricondotte al punto più alto dello scontro. In questo senso
a partire dall’analisi della ristrutturazione in fabbrica e ella controparte,
le iniziative di combattimento dirette contro tutti i diversi livelli del comando
in fabbrica, della linea confindustriale, della DC, dei CC … sono articolazioni
interne alla linea d’attacco unificante contro la ristrutturazione imperialista.
Alla stessa maniera l’analisi della situazione politica in fabbrica sia
in rapporto ai padroni che ai riformisti è ricondotta al quadro dell’analisi
generale, ovvero alle tendenze reali operanti nel rapporto generale tra le classi.
Sotto questo profilala riprova in positivo sta nel collocare sul terreno generale
la lettura particolare di quello che si verificava sul terreno di scontro in
fabbrica e nel contempo nel ricondurre le espressioni particolari di lotta sul
terreno generale.
Un’ulteriore dimostrazione dell’impulso che come fronte si intende
dare all’attività di direzione sta nel porre indicazioni generali
dell’O quale piano propositivo rispetto al movimento rivoluzionario e
ai gruppi organizzati sulla l.a. che agivano sul terreno delle fabbriche, come
anche sta nelle valutazioni che vengono date sull’evoluzione dello scontro
riv allora in atto.
A questo proposito due passaggi dell’opuscolo dimostrano come i compagni
abbiano il polso concreto delle modifiche che stanno intervenendo sul piano
rivoluzionario in quanto sono in grado di cogliere nel profondo quello che ha
innescato la crescita dei fattori soggettivi della rivoluzione, in particolare
quando si valutano lo sviluppo del MPRO, per le caratteristiche che ha raggiunto
in rapporto a quanto immesso dalle OCC, un rapporto che ha costituito elemento
qualificante dell’evoluzione della fase rivoluzionaria. Una valutazione
che mette a fuoco una modifica divenuta irreversibile nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione
a prescindere dal subentrare delle fase di ritirata e dal conseguente riflusso
del MPRO.
Valutazione che non poteva che essere tratta a seguito della Campagna di Primavera,
a partire dalla ricchezza politica che questa ha sviluppato, come anche solo
in quel momento poteva essere rilevato in tutta la sua portata politica il fatto
che nel proletariato si era radicata la coscienza della necessità storica
della lotta armata.
In altri termini l’affermazione generale resa possibile dall’esordio
della guerriglia, e cioè che solo questa rispondeva ai bisogni politici
del PM (Proletariato Metropolitano), a seguito della promozione del processo
rivoluzionario innescato dalla l.a., diventava evento politico concreto, fatto
proprio dalle espressioni più avanzate della classe operaia.
Queste affermazioni hanno un valore di carattere generale e costituiscono a
tutt’oggi il pilastro del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, classe/Stato.
Lo sforzo di direzione è ugualmente ravvisabile nel saper ricondurre
tutta quella che è l’articolazione dell’attività combattente
sul terreno delle fabbriche all’interno di quella che è, sul piano
generale, una definizione più precisa della modifica della fase rivoluzionaria.
In questo quadro si precisa l’atteggiamento tattico inerente all’entrata
in una fase di transizione che con l’esaurirsi della P.A. va verso la
guerra civile aperta, cioè di disarticolazione politico-militare del
regime. Conseguentemente si definisce la disposizione delle forze sulla l.a.
che, non ruotando più sulla necessità di radicare la l.a., è
volta ad organizzare le forze sulla l.a. intorno alla costruzione del PCC.
Questi a nostro avviso sono gli elementi qualificanti che rispecchiano un’attività
da Partito interna a un fronte di combattimento, quello delle fabbriche. In
questo quadro le discrepanze con la L.P. (Linea Politica) della DS ’78
a livello dell’analisi economica come anche la potenziale contraddizione
relativa all’anticipazione della fase rivoluzionaria di scontro sono elementi
che non hanno ripercussione pratiche nell’indirizzo di lavoro di questo
Fronte.
09/06/1997
L’inadeguatezza delle finalità in cui veniva incanalato
il lavoro di costruzione (il PGdC) rendeva fragile lo sforzo orientato alla
riqualificazione della direzione, e l’O invece di averne un risultato
di coesione si trovava a fare i conti con le spinte disgregative prodotto della
dinamica dei Fronti. Se questo è il quadro di fondo che crea la tendenza
al collassamento dell’O, avvertita ma non collocata, la coscienza che
l’O ne aveva era limitata ai problemi più manifesti, alle contraddizioni
che erano deflagrate (il frazionismo di Mi e Na). In altri termini in quel momento
della vita dell’O essa non poteva avere coscienza delle dinamiche complesse
che sottintendendo le problematiche con cui un’O guerrigliera si deve
misurare nell’assolvere ai compiti posti dallo scontro, ovvero non poteva
avere chiaro in quel momento i diversi livelli di contraddizione e inadeguatezze
che si erano accumulati nel suo percorso. Il primo atto politico che l’O
fa suo di fronte alle deviazioni è di affermare la necessità di
affrontare la battaglia politica, perché solo espellendo le concezioni
sbagliate può avvenire il consolidamento sui contenuti, si può
affermare la linea giusta.
È l’assunzione di questo principio rivoluzionario, piuttosto che
le indicazioni della DS ’80 che consentirà di mantenere fermi i
capisaldi di strategia dell’agire della guerriglia e che nella battaglia
consentirà di precisarli meglio sfrondandoli dagli errori e dalle inadeguatezze.
In pratica l’O, proprio nel misurarsi con le forme negative che assumevano
le deviazioni della colonna napoletana, è obbligata a riprecisare la
visione e la pratica corrette: dalla critica alla parzialità, alla riaffermazione
della centralità operaia, dalla critica dell’uso contraddittorio
della LA alla riaffermazione della pratica di potere, infine la critica ad una
prassi sviluppata per affermare delle tesi anziché affermare il programma
rivoluzionario. Anche se in questo momento della sua vita l’O non riesce
a dare soluzione al complesso delle contraddizioni e delle inadeguatezze, è
vero che nel momento in cui riesce ad affrontare quelle che si pongono davanti,
il modo con cui le affronta consentirà di salvaguardare il corpo centrale
delle tesi d’O e la metterà nelle condizioni di operare la scelta
più giusta, la RS, quando le contraddizioni deflagreranno tutte nell’impatto
con la controrivoluzione. È grazie a questo percorso, pur nella sua estrema
non linearità, che l’O prenderà coscienza che è cambiata
la fase storica, e che quindi deve modificare i termini della fase rivoluzionaria,
e solo nel prendere coscienza dei problemi di fase l’O sarà in
grado di prendere coscienza delle proprie inadeguatezze, capendo la natura dei
limiti accumulati e disponendosi a ricentrarli e rilanciare adeguatamente l’attività.
Lo svolgimento pratico di questa dinamica rende il senso della natura dei riadeguamento
che sono caratterizzati storicamente a seconda del grado di evoluzione politica
dell’O, ossia quanto sapere ha accumulato dall’esperienza rispetto
a tutti i diversi piani che investono una forza rivoluzionaria che sviluppa
un processo di guerra (sia al suo interno che nella sua opera di direzione)
in quanto lo sviluppo della guerra di classe mette in moto dinamiche che implicano
l’affrontamento di piani complessi la cui conoscenza è un processo
indotto da come procede lo scontro e da come interagiscono i suoi protagonisti,
Stato/classe/forze rivoluzionarie. Nella fattispecie dei due documenti letti,
l’O in quella fase della sua vita è in grado di affrontare all’inizio
le deviazioni politiche e poi, quando lo Stato scatenerà la controrivoluzione,
prenderà coscienza e affronterà i problemi di fase. È nel
frangente della controrivoluzione dell’82 che l’O acquisisce una
straordinaria lucidità sui termini della guerra in generale, e di come
si riverberavano nella fase di scontro e, di conseguenza, cosa comportavano
nella fase rivoluzionaria per i compiti che apriva, primo fra tutti la giusta
collocazione della natura della repressione dello Stato democratico borghese,
e contemporaneamente imparare a praticare la ritirata.
La lucidità con cui tratteggia i caratteri generali dello scontro per
come si presenta in quel momento non contiene la capacità di vedere a
fondo tutte le implicazioni che vivono in potenza nella controrivoluzione scatenata
dallo Stato e nella scelta che l’O stessa aveva operato con la RS, in
quanto la situazione è collocata in un quadro dinamico che porta ad evoluzione
rapida i fattori che la contraddistinguono; in questa situazione la visione
della RS è limitata alla questione della salvaguardia delle forze (di
classe e rivoluzionarie) dagli effetti della tortura e della controffensiva
del nemico e il riadeguamento alla “nuova fase della guerra di classe”
più come un’intuizione non suffragata da una cognizione di causa
effettiva di quello che necessitava, perché in quel momento la RS è
concepita all’interno delle direttive della DS ’80 e l’O è
ben lontana dal qualificare la reale connotazione che andava assumendo il rapporto
rivoluzione/controrivoluzione e quindi di come dovevano essere ricondotti i
termini della guerra rivoluzionaria dentro all’approfondimento che si
profilava. Questo approfondimento, come sappiamo, porterà a mettere in
discussione anche i concetti più saldi ma questo non impedirà,
secondo una legge della rivoluzione che tutte le acquisizioni e le intuizioni
affermate dall’O troveranno, nel corso dell’affrontamento delle
contraddizioni, la loro riproposizione in avanti.
Se questo è il quadro in cui inizia il processo autocritico di individuazione
dei limiti e degli errori, ha una sua precisa importanza analizzare bene la
dinamica reale che ha investito l’O, il perché l’affrontamento
si è dato in un certo modo, assumendo certe forme. Questa analisi non
si può fare senza avere di fronte il processo reale che l’O aveva
messo in moto e il tipo di problematiche su cui esso si sviluppava, ovvero su
cui si imperniava l’adesione di massa sulla LA. In questo senso è
ovvio che l’O si mette sotto esame a partire dal percorso materiale che
ha compiuto e quindi non può che iniziare col chiedersi se ha assolto
o meno agli obiettivi della DS ’80, primo fra questi l’obiettivo
centrale della riqualificazione della direzione. Nella coscienza di aver sempre
fatto battaglia con il movimento rivoluzionario proprio per affermare la concezione
giusta del ruolo dell’avanguardia rivoluzionaria, cioè una concezione
che rifugga dalla logica di gruppo per porsi come “fusione teorico-politico-militare
di organizzazione di soggetti reali ed interni alla classe”, dentro questa
coscienza l’O si mette a nudo per individuare come è stato possibile
che queste tendenze si ripresentassero al suo interno nella forma del soggettivismo
d’O.
Nel tentativo di stanare questa tendenza si cerca di mettere in relazione le
leggi della guerra rivoluzionaria, a partire dallo sviluppo raggiunto dalla
guerra di classe in Italia, con i come l’O è riuscita a svolgere
il ruolo di direzione in questo movimento da essa stessa prodotto. Ovvero cerca
di mettere in relazione l’organizzazione di strati di classe e di avanguardie
sulla LA e la direzione dell’O di questo processo, più precisamente
la critica entra nel merito di come la tendenza soggettivista abbia snaturato
la realizzazione di questa dialettica. L’O si trova a mettere sotto la
lente d’ingrandimento la concezione leninista del rapporto Partito/masse,
proprio a partire dalle manifestazioni più evidenti del soggettivismo
che si erano prodotte in quel periodo, per stigmatizzarle. Nell’indagare
il perché la tendenza soggettivista ha confuso la disposizione delle
avanguardie e dei comunisti sulla LA con l’adesione di massa alla LA,
ovvero l’attività dei gruppi organizzati sulla LA come se fossero
strati di classe, ovvero come è stato possibile perdere il principio
che direzione delle masse implica assumere l’analisi del movimento generale
di classe e non solo degli strati immediatamente disponibili alla LA, l’O
è obbligata ad esaminare i motivi che hanno originato questa tendenza
al soggettivismo, in questo senso esamina la questione della proprietà
della guerriglia di essere sempre all’offensiva. Questo nel tentativo
di distinguere il movimento reale di offensiva, che è aderente ad una
determinata situazione di scontro, dal carattere generale di fase che imprime
l’indirizzo generale ai compiti: l’O si rende conto di come, a partire
dalla peculiarità della guerriglia e da quanto da essa messo in campo,
ad un certo punto sia entrata in una logica di rincorsa dell’offensiva,
e questa cosa nella misura in cui era percepita con metro soggettivo, ha creato
una sfasatura con il reale stato della classe, dello scontro e della fase rivoluzionaria.
Per meglio mettere a nudo tutte le conseguenze negative di questa logica soggettivista,
alimentata anche inconsapevolmente dalla frenesia di mantenere l’offensiva,
l’O è obbligata ad esaminare come questa incida sulle valutazioni
della fase di transizione e come induca ad accorciare o prefigurare gli anelli
mancanti di questa, e questo perché è portata ad assolutizzare,
nel rapporto crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione il secondo termine leggendolo
rispetto all’attività d’avanguardia, non riuscendo a legare
il movimento reale di classe che è condizionato dal primo termine. Ed
è nella necessità di precisare questa critica che viene esaminata
la questione delle fasi rivoluzionarie, proprio per distinguere cosa caratterizza
una fase rivoluzionaria, ovvero quali sono i fattori che vi influiscono dentro
la dialettica crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione, e quali sono le condizioni
da ottemperare per dichiarare la chiusura di una fase e l’apertura di
un’altra. Nel richiamo al percorso generale della guerra di classe che
dalla difensiva strategica si muove verso l’offensiva strategica, l’O
definisce la natura di fase generale, come ad esempio la fase di Propaganda
Armata che si è appunto evoluta dentro a diversi momenti congiunturali;
all’interno di questa precisazione l’O cerca di qualificare il processo
reale che fa muovere le condizioni di una fase, e preciso che comunque il carattere
di una fase generale da il quadro strategico che informa il tipo di attività
d’O, e non viceversa. In sintesi c’è uno sforzo di depurare
dalle deviazioni soggettiviste che si erano manifestate in quel periodo, l’analisi
rivoluzionaria di come dev’essere condotta la guerra di classe per meglio
precisare l’attuale momento della congiuntura della transizione. Non è
strano che a partire dal mettere al centro la correttezza o meno del rapporto
Partito/masse ne scaturisca un’indagine concatenata dei vari piani della
guerra di classe. Questo perché il rapporto Partito/masse per la guerriglia
implica immediatamente la messa in atto del processo distruzione/costruzione,
proprio di una guerra che unisce il politico e il militare. In questo senso
necessariamente mette in gioco la capacità dell’O di avere una
visione strategica e tattica corrette, ovvero implica la correttezza di visione
della disposizione generale delle forze e di quella tattica, quindi richiede
una chiarezza estrema sul carattere della fase in cui in un certo momento è
situata la guerra di classe, proprio perché la dialettica con la classe
è mirata a disporla confacentemene secondo le finalità proprie
della fase. Quello che viene fuori dall’analisi del materiale è
che il processo autocritico che l’O ha messo in moto in questa fase, pur
toccando i nodi focali della sua inadeguatezza, compresa l’intuizione
di essere soggetta anche “involontariamente” a una visione linearista
dello scontro, non riesce a sviscerare completamente la natura del problema,
non riesce ma non potrebbe nemmeno, stante lo stadio di maturazione delle problematiche
in quel momento imperniatesi limiti del soggettivismo d’O. in altri termini
al concezione linearista della guerra rivoluzionaria che era a monte dei limiti
d’O e che permea le direttive della DS ’80, grava come un involucro
sul tentativo di ricentramento autocritico delimitandone in quel momento lo
sbocco. Una visone lineare che, estremizzando il paradigma crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione,
influenza in negativo l’analisi dello scontro, perché nella linearizzazione
della crisi della borghesia, privata dei suoi processi contraddittori, l’analisi
dello Stato ne risulta appiattita in un processo meccanico che ormai è
rivolto alla guerra esterna-guerra interna.
In questo quadro l’O pur avendo intuito la profondità della controrivoluzione
dello Stato degli anni ’80, la colloca come un prodotto”consequenziale”
dell’acutizzarsi del processo crisi-ristrutturazione a cui l’O doveva
adeguarsi con la RS, non a caso per scongiurarne gli effetti repressivo-militari,
visto il livello raggiunto con le torture. Di conseguenza è ovvio che
la RS, pur collocata nella fase di difensiva strategica e vista come prima tappa
per raggiungere l’obiettivo di tornare all’offensiva. I percorso
autocritico dell’O sarà comunque destinato ad infrangere l’involucro
del linearismo, e questo perché lo stadio autocritico dell’O sarà
comunque destinato ad infrangere l’involucro del linearismo, e questo
perché lo stadio autocritico messo in moto produrrà, in un processo
per salti, in rapporto allo scontro, le condizioni soggettive per l’affrontamento
dei nodi rimasti irrisolti, ricalibrando anche la natura reale della controrivoluzione
degli anni ’80 rispetto ai caratteri effettivi dello scontro. Ciò
che va sottolineato, è la valenza che assume anche in questo stadio,
l’aver toccato problematiche così complesse relative alle fasi
rivoluzionarie nella conduzione della guerra di classe, senza che siano messe
in discussione le peculiarità dell’agire della guerriglia, anzi
considerando tutte le implicazioni che ne scaturiscono rispetto alle particolari
leggi della guerra del nostro processo rivoluzionario.
È da sottolineare l’analisi approfondita della controrivoluzione
circa gli obiettivi politici ricercati dalla borghesia e non raggiunti, nella
messa a fuoco della portata della controffensiva che va ben oltre il ridimensionamento
della guerriglia per riversarsi sul corpo di classe allo scopo di far retrocedere
le posizioni di classe. A quattro mesi dal volantino sulla RS si coagulano le
prime riflessioni in una bozza di documento che cerca di fare il punto e trarre
delle indicazioni dal rapido mutare degli eventi. È interessante notare
come il processo di razionalizzazione da parte dell’O sulla controrivoluzione
dello Stato si faccia strada man mano facendo avvertire nella coscienza dei
compagni tutto il peso delle conseguenze sul piano di classe e dei rapporti
di forza. Infatti nella «bozza» si fa una fotografia fedele e spietata
della natura e genesi della controffensiva della borghesia, di come l’O
nei fatti si è trovata impreparata non avendo colto i segnali che si
erano manifestati su più piani rispetto alle avvisaglie materiali e politiche,
rispetto alla necessità della borghesia dentro alla sua crisi crescente
di ristabilire il controllo sullo scontro di classe facendo i conti con le BR
e con la strategia rivoluzionaria; è per questo che l’offensiva
assunta dallo Stato coinvolge anche i padroni e tutte le articolazioni sociali
e istituzioni che contribuiranno ad articolarla in tutti gli interstizi sociali.
È fuor di dubbio che l’ondata controrivoluzionaria per la profondità
degli obiettivi che persegue e i mezzi con cui li persegue, è destinata
ad avere un impatto incisivo nei rapporti di forza, stante lo scopo di distruggere
sul nascere il SPPA in costruzione. Ed è per questo che non si limita
a colpire l’O ma tocca tutti i settori di classe dialettizzati con la
LA. In poche parole già allora l’O individuava tutte le caratteristiche
di una vera e propria controrivoluzione, lucidità suffragata dai fatti
che si succedevano quotidianamente, che di per sé no consentivano più
di argomentare il carattere del quadro di scontro negli stessi termini di qualche
mese prima, quando la stessa controffensiva era vista come una reazione lineare
della Stato alla sua crisi che però non incideva in modo decisivo sullo
stato della rivoluzione e ai suoi obiettivi a medio termine. Ora anche se mancava
la chiarezza completa e la contestualizzazione giusta dei caratteri dello scontro
e della situazione rivoluzionaria, si avverte che c’è un cambiamento
generale nella fase di cui si prende atto, non fosse altro per lo scompaginamento
della base sociale del SPPA in costruzione.
Su un altro piano è possibile rilevare il fenomeno dell’effetto
ridimensionamento sul sentire dell’O. Ci riferiamo al fatto che la coscienza
del primato della controrivoluzione inevitabilmente produce un istinto di sottrazione
ai suoi effetti, con delle conseguenze sul piano politico di proposte incoerenti,
che in quel contesto non sono l’origine di chissà quali deviazioni,
né di quella futura che, come sappiamo, poggia su una dinamica differente
e ben definita. Queste proposte incoerenti, pura reazione all’attacco
dello Stato, teorizzano di sottrarre l’individuazione dei diversi anelli
di costruzione dell’articolazione del potere proletario armato, investendo
le più “larghe masse” del terreno della LA, cioè allargando
a livello di massa l’area rivoluzionaria come barriera alla caccia repressiva
e come futuro bastione da rivolgere contro la controffensiva della BI. Una proposta
così incoerente non può che trovare una ipotesi di praticabilità
ancora più incoerente, dato che l’attivizzazione di queste larghe
masse sarebbe dovuta avvenire attraverso il lavoro legale! Non solo la teorizzazione
dell’adesione di larghe masse contemporaneamente sulla LA cozza con la
concezione scientifica di come gli spezzoni di classe si accorpano nella guerra
di classe, concezione, è inutile ripeterlo, teorizzata e praticata dall’O
fin dalla sua origine, ma soprattutto il compendio del lavoro legale, con le
sue presunte proprietà di uso propagandistico del lavoro rivoluzionario,
è la negazione di quanto la LA stessa ha dimostrato nella sua pratica.
A un anno di distanza dall’apertura della RS nella vita dell’O matura
un passaggio cruciale rispetto al processo autocritico, che per essere ben compreso
va calato all’interno dei mutamenti che nel frattempo si erano verificati
nello scontro:
- per quanto riguarda lo Stato la controffensiva ha decantato il suo massimo
impatto controrivoluzionario avendo conseguito lo scompaginamento degli ambiti
di classe che si dialettizzavano con la LA insieme al forte ridimensionamento
politico organizzativo delle BR; controffensiva che ora viene capitalizzata
sul piano politico dei rapporti tra le classi come si evinceva dalla messa in
discussione della scala mobile e degli altri provvedimenti antiproletari in
cantiere; al lato di questo rilancia sulla scena internazionale il suo protagonismo
interventista all’interno della più generale tendenza guerrafondaia
imperialista esplicitata in quella fase.
- per quanto riguarda l’O il ridimensionamento ha comportato modifiche
al suo stato di forza rivoluzionaria costringendola a derogare da quelle che
erano le sue strutture politico-organizzative e a ridurre la portata dell’attività
d’O; una condizione che ha un riflesso implicito di sbandamento nel militarismo
d’O, in ultima istanza recuperato dall’O tenendo fermi due capisaldi
fondamentali: che l’O non si scioglie nel movimento rivoluzionario e che
la strategia della LA non è messa in discussione;
- per quanto riguarda il movimento rivoluzionario, non c’è dubbio
che la crisi del processo rivoluzionario e la controffensiva dello Stato si
riversano in negativo sul suo stato politico: un arretramento nello scontro
che apre spazi alle tendenze piccoloborghesi e opportuniste nel movimento, non
più frenate dalla guida teorico-ideologica-programmatica operata dalla
prassi rivoluzionaria prima della spaccatura; tendenze piccoloborghesi che in
questo contesto saranno portate a legarsi all’ultrasoggettivismo del PG
creando una situazione di degenerazione politica;
- infine, per quanto riguarda la classe operaia, dove l’influenza delle
tesi soggettiviste è minima, essa pur se attaccata profondamente dallo
Stato e dalla borghesia, riesce a mettere in campo quella che l’O chiama
“resistenza attiva”, in quanto la controffensiva non ha potuto eliminare
né il carattere antagonista dell’attività di classe, né
i suoi livelli di autonomia politica.
Questa è la ragione per cui l’O si trova a dover stringere le fila
dovendo fare i conti materialmente con tutti questi piani; stringere le fila
per l’O significa da una parte non concedere niente sul piano del processo
autocritico che andava portato fino in fondo, e nello stesso tempo condurre
un’intransigente battaglia non solo al suo interno ma proprio nel movimento
rivoluzionario per tentare di debellare tutte le forme individuate del germe
soggettivista. Una battaglia che conduce in una condizione obiettiva di massima
debolezza dove appunto risulta appannata l’autorevolezza del suo ruolo
(se paragonato a quello avuto fino all’82), ma sarà questa battaglia,
e la determinazione a condurre fino in fondo l’autocritica, che in queste
circostanze è il massimo del coraggio politico, che consentirà
di operare una profonda discriminazione nelle posizioni che si esprimono nel
movimento rivoluzionario e di classe, facendo emergere, tra le sue fila, le
componenti più mature, un discrimine che, obiettivamente prima ancora
che soggettivamente, porta a maturazione la disposizione di questi compagni
verso gli inderogabili compiti del processo rivoluzionario, nel senso che la
loro attività è immediatamente funzionalizzata al rapporto con
l’O e quindi alle sue indicazioni di lavoro nello scontro, rompendo con
quella che era la prassi passata di fare cioè gruppo pur se in riferimento
alla LA
Un dato che determina nei fatti un’evoluzione nella disposizione delle
forze alle nuove condizioni, frutto in primo luogo di come l’O ha lavorato
tenacemente in quel frangente a tenere le fila della proposta rivoluzionaria,
proprio nel mentre la riesamina per individuarne gli errori. L’opera di
ricentramento iniziata dagli aspetti più manifesti del soggettivismo
nel corso dell’ultimo periodo critico viene assunta dall’O nella
sua totalità, anche perché gli obiettivi posti con la DS ’80
e i termini di lavoro rivoluzionario (costruzione del SPPA, Programmi immediati,
ecc) sono via via franati a fronte della deriva delle deviazioni soggettiviste
e della controffensiva dello Stato. Dentro a questa consapevolezza per l’O
non vi è altra strada che rimettere in discussione l’intero impianto
strategico (inteso nella prospettiva delle fasi rivoluzionarie per come era
stata prefigurata), in quanto un ricentramento che fosse rimasto alla superficie
non sarebbe stato in grado di mettere l’O nelle condizioni di rettificare
la portata reale degli errori e “per adeguarsi ai nuovi compiti”.
È all’interno di queste considerazioni che l’O sceglie, nella
dialettica continuità/rottura, di privilegiare la rottura. Una scelta
questa obbligata per una forza rivoluzionaria, e in questo senso, come essa
stessa ha coscienza, è indice di maturità politica e del suo spessore,
in quanto nessuna forza rivoluzionaria può aggirare gli ostacoli dati
dall’accumularsi delle inadeguatezze. Nello stesso tempo questa scelta
mette a repentaglio l’O in quanto è effettuata nel contesto di
massima debolezza politica e militare dell’O e Tanto più prevale
la necessità di mettersi a nudo, tanto più risente delle spinte
e controspinte che scaturiscono dal contesto politico in cui l’O agisce
nel suo ruolo d’avanguardia. Seppure c’è la consapevolezza,
come considerazione politica, dei pericoli potenziali, tuttavia l’O è
ben lontana dal poter conoscere tutte le contraddizioni a cui andrà incontro.
Già questo materiale è un primo punto di approdo, dopo aver superato
un forte sbandamento, determinato dalla deroga al modulo politico-organizzativo
e la rimessa in discussione dell’impianto, un approdo imperniato sui due
punti cruciali detti sopra.
Infatti, se l’O è attrezzata al compito di affrontare fino in fondo
le infiltrazioni piccoloborghesi di soggettivismo ed economicismo militarista
ritenuti a ragione antagonisti allo sviluppo della politica rivoluzionaria,
in quanto sono gli ostacoli che ha avuto di fronte e che ha imparato a conoscere,
è inconsapevole rispetto a contraddizioni di tipo nuovo che nascono da
precise leggi della guerra in questa fase di offensiva dello Stato e che si
innesteranno con le problematiche accumulate fino a quel momento Queste contraddizioni
possono già essere percepite in questo scritto proprio laddove l’O
esamina se stessa come forza rivoluzionaria in quanto è proprio questo
l’ambito che investono. E proprio nel momento in cui l’O cerca di
ristabilire, rivendicandoli, i punti fermi del suo ruolo d’avanguardia,
e quindi sulla giustezza della scelta di operare la rottura, e soprattutto di
farlo -senza delegare a nessuno questi compiti- che emerge la sfasatura e l’oscillazione
tra affermazioni giuste e valutazioni contraddittorie, sfasatura che è
subito visibile quando l’O, motivando la sua scelta di rimettere in discussione
l’impianto, valuta la portata della sconfitta, infatti si contrastano
i compagni che criticano la definizione di sconfitta generale, giustificandosi
che il termine non coincide con la sconfitta della rivoluzione. Gli argomenti
portati contro un’accezione limitata della portata della sconfitta, ad
esempio di tipo tattico, manifestano l’influenza nell’O della contraddizione
difensivistica propria dei rovesci militari, contraddizione che va a legarsi
con il nodo irrisolto della concezione lineare per cui il fallimento degli obiettivi
della fase di transizione, ovvero del SPPA in costruzione, sono tout court fallimento
del progetto, e non fallimento di come è stata valutata l’apertura
di una fase.
Più in generale pesa nella valutazione dell’O, la coscienza di
come il suo ridimensionamento, la sconfitta di una campagna del peso di quella
di Dozier, la repressione degli strati in cui viveva l’articolazione del
progetto del SPPA e pure la distruzione del PG, abbiano inciso profondamente
sui rapporti di forza tra le classi facendo indietreggiare le posizioni del
campo proletario. Di fronte a questa coscienza e al senso di responsabilità
che sente pienamente per il ruolo che svolge, l’O non può che valutare
gli errori commessi come strategici, attaccando in questo senso la concezione
della sconfitta tattica come lettura superficiale che non vuole assumersi tutto
il portato del ruolo dell’avanguardia nello scontro rivoluzionario e di
classe.
L’altra valutazione contraddittoria e incoerente nasce da come l’O
si assume la battaglia al soggettivismo d’O, in quanto è tutta
calata sulla falsariga che gli errori e le inadeguatezze risiedono nel non aver
saputo dare soluzione ai “nuovi compiti”, e cioè ai compiti
propri alla fase di transizione, dentro ai quali l’O doveva compiere “il
salto da OCC a Partito che costruisce il Partito costruendo il SPPA”.
Su questa falsariga, gli errori di soggettivismo sarebbero quelli di aver continuato
ad agire come nella vecchia fase, cioè sviluppando l’attività
“mettendo al centro se stessa come OCC” e in questo perdendo di
vista il modo complessivo di operare dialettica con l’attività
generale delle masse, una dialettica che nella critica fatta dall’O era
menomata, limitandosi alla sola costruzione di “Nuclei” invece che
OMR, ovvero il soggettivismo d’O veniva stigmatizzato nell’aver
scambiato la costruzione e l’estensione di cellule e nuclei come l’estensione
degli OMR, mentre invece in questo modo restava inevaso il passaggio cruciale
nella fase di transizione, cioè la conquista delle masse sulla LA, attraverso
la costruzione del vasto e articolato SPPA che può darsi nella capacità
dell’O di saper attirare nel programma tutti i diversi livelli che si
esprimono nella classe dentro la resistenza attiva a partire da quelli più
alti. È evidente che non è sbagliata in sé la critica al
soggettivismo d’O che pure c’era, come non è sbagliato l’inquadramento
di questo tipo di dialettica, soprattutto se ci si riferisce ad una fase di
offensiva strategica, ma al livello reale raggiunto dalla guerra di classe,
questo tipo di inadeguatezze erano secondarie rispetto all’errore di impostazione
di fase. Ma il mantenimento, nella visione d’O, della vigenza in quel
momento della congiuntura di transizione al comunismo, non poteva che portare
l’O a focalizzare la sua critica su questo campo e a vedere le soluzioni
dentro a direttive che portassero al rilancio del SPPA. Ed è per questo
che tutta la critica ruota intorno al presunto errore di dialettica con la classe
e che sotto il peso del ridimensionamento militare degli addentellati del nascente
SPPA, la soluzione data proponesse un fantomatico lavoro legale come panacea
per contrapporre alla BI la ricostruzione di una controffensiva che per essere
adeguata doveva appunto basarsi su una attivizzazione di massa, trasformando
il potenziale della resistenza
Questa soluzione contraddittoria è un elemento di incoerenza che dalla
apertura della RS viene fuori nella lettura critica dell’O, come terreno
di immediato riflesso difensivistico dei colpi ricevuti e rimane un’espressione
incoerente e impotente in quanto non trova sbocco pratico all’interno
della concezione di distruzione/costruzione con cui l’O fa vivere lo sviluppo
della LA. Oltretutto la soluzione del lavoro legale è resa ancor più
contraddittoria dall’erosione profonda avvenuta nell’83 con i ridimensionamenti
del terreno materiale su cui si basava la concezione del SPPA a cui comunque
il lavoro legale si ispirava e doveva essere funzionale. Una soluzione incoerente
che viene contrastata nell’O da chi la vede come una reazione alla sconfitta,
critica a cui viene contrapposta una motivazione ancor più contraddittoria,
affermando la praticabilità del lavoro legale in rapporto ad un movimento
rivoluzionario e a una condizione di classe che non vengono visti in riflusso,
quando in realtà era obiettivo l’arretramento del campo di classe.
Se questi sono gli aspetti contraddittori che scaturiscono dall’affrontamento
della controffensiva malgrado le posizioni di ripiegamento dell’O, e che
restano non focalizzati perché nascondono problemi di cui l’O non
ha coscienza, per contro, grazie alla stessa posizione di ripiegamento e al
doversi confrontare con le degenerazioni dell’idealismo soggettivista
nello scontro e con i problemi del ridimensionamento politico-militare, l’O
è obbligata per mantenere una concezione materialista e realista del
processo rivoluzionario, ad andare a fondo sia delle leggi della guerra rivoluzionaria
in relazione a come si è evoluto il processo di guerra di classe in Italia,
allo scopo di mettere a nudo la problematica dell’evoluzione delle fasi
rivoluzionarie a partire dalla critica al soggettivismo, sia ad approfondire
e a mettere a fuoco, nel combattere le degenerazioni dell’idealismo soggettivista,
le categorie dell’analisi leninista dello Stato e della rivoluzione, riaffermando
la conquista del potere politico come sbocco della fase di transizione.
Un avanzamento di rilevanza strategica perso di vista nella linearizzazione
delle fasi che ridà concretezza agli obiettivi rivoluzionari in quanto
toglie di per sé terreno alla concezione linearista e consente oggettivamente
di porre le basi per riconquistare un criterio materialista di periodizzazione
delle fasi rivoluzionarie. Il primo punto, ovvero le leggi della guerra di classe,
viene approfondito per la necessità di meglio argomentare al movimento
rivoluzionario e di classe le problematiche sorte intorno al nodo delle fasi
rivoluzionarie e soprattutto nella scelta della RS. Nel fare ciò l’O
ripercorre il corso del processo rivoluzionario fino a quel momento, puntualizzando
in questa analisi i diversi momenti con un approfondimento e una riprecisazione
che gli deriva da un accumulo di esperienza da essa maturate. In altri termini
in questo breve bilancio, da un lato vengono rivendicate le motivazioni sostanziali
dell’affermarsi della LA per il Comunismo, ovvero non risposta difensiva
all’attacco padronale, ma “mantenimento” dell’offensiva
di classe e soprattutto la precisazione che l’esordio della guerriglia
non è legato all’acuirsi del nesso crisi-ristrutturazione, ovvero
al suo precipitare, e al crearsi delle condizioni di crisi-rivoluzione.
Una precisazione che rivendica il carattere offensivo della proposta strategica
e la colloca storicamente nel modo corretto. Dall’altro si periodizzano
con maggiore precisione i momenti succedutisi nella Propaganda Armata contraddistinti
da modalità tattiche diverse in relazione alla situazione di scontro
e nel quadro delle finalità della fase: se fino al ’74 l’agire
della guerriglia sviluppa un’offensiva sul terreno della resistenza operaia
in fabbrica, nel secondo momento (’74 – ’78) si sviluppa e
si precisa la disarticolazione rispetto all’attacco al cuore dello Stato
nel quadro della sua ristrutturazione, e si approfondisce il radicamento della
LA. In sintesi si raggiungono ampiamente gli obiettivi della fase di PA. Un
bilancio che serve all’O per mettere in evidenza il fatto che se dalla
PA non si era passati ad assolvere i compiti della fase di transizione alla
guerra civile dispiegata, è perché l’offensiva guerrigliera
non era adeguata ai compiti di fase, ovvero l’inadeguatezza (per gli errori
del soggettivismo d’O) è inquadrata dal punto di vista del rapporto
che deve esistere fra il carattere dato all’attività rivoluzionaria
e il carattere della fase rivoluzionaria. A partire dalla necessità di
ripristinare questo principio di relazione dialettica mantenendo valido lo schema
di sviluppo della rivoluzione nel raggiungimento della guerra civile dispiegata,
si motivano le ragioni della scelta della RS, come necessità di difendere
strategicamente il processo di costruzione del SPPA, una difesa che si da in
primo luogo sul piano politico, in quanto il rilancio della controffensiva può
darsi soltanto dentro la ratifica e i salti politici in dialettica con la classe.
Da questa visione giusta, pur se delimitata dalla visione lineare dello schema
rivoluzionario, si comprende bene il significato dello slogan dell’O “ritirarsi
nelle masse” al fine di “rifondare il SPPA”. In questo senso
la RS si arricchisce del suo significato più propriamente politico che
completa l’approccio iniziale più prettamente a carattere militare.
L’importanza di questa precisazione è data poi dal suo risvolto
pratico, e qui passiamo al secondo punto relativo alla battaglia sui nodi teorici,
in quanto per “rifondare il SPPA” è necessario farsi carico
di battaglie politiche nel movimento rivoluzionario per debellare le concezioni
sbagliate che allora significava trovarsi a confutare le degenerazioni dell’idealismo
soggettivista che prosperavano nel movimento rivoluzionario. E sarà questa
necessità che costringerà l’O ad andare a fondo dei nodi
teorici e ideologici delle categorie leniniste e, tramite ciò, a svuotare
sempre di più la concezione linearista. In primo luogo riporta sul terreno
materialista la lettura idealista del nesso crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione
propria ai soggettisti che davano dominante il nesso crisi-rivoluzione a partire
dall’offensiva di combattimento scambiata per i rapporti di forza reali
tra BI e PM. È evidente che nel rendere dominante il secondo nesso il
soggettivismo faceva vivere spontaneamente sul piano sociale l’allusione
al comunismo, appiattendo i rapporti relativi ai diversi aspetti della FES.
A partire da questo terreno di battaglia si rivendica la concezione leninista
della dominanza del politico nella FES, precisazione non nuova per l’O,
ma che in questa situazione risulta arricchita dalla maggior comprensione acquisita
dall’O attraverso la sua pratica sociale. Il complesso processo di elaborazione
politica contenuto nel documento manifesta una duplice valenza in cui l’aspetto
del ricentramento è strettamente legato alla necessità della battaglia
politica sui nodi teorici e strategici in discussione nel movimento rivoluzionario.
Ovvero l’O, nel mentre rientra se stessa ed il suo ruolo, da ciò
trae la capacità di dare un contributo fondamentale “all’arricchimento
della teoria e della pratica della rivoluzione comunista”, per questo
la “Sintesi” all’epoca ha avuto un ruolo guida nelle fila
delle avanguardie e dei gruppi di compagni organizzati, in quanto ha reso possibile
discriminare una visione materialista dalla diffusione di quella metafisica.
Un arricchimento che necessariamente parte dal rimettere al centro la fabbrica
e la produzione di merci, il rapporto dialettico FP/RP e quello tra guerra e
politica. Se da un lato la battaglia è obiettivamente di retroguardia
rispetto ai nodi che ha affrontato in passato, dall’altro, affrontarla
in quel momento e in quelle circostanze ha consentito un avanzamento reale,
perché era divenuto chiaro quale portata doveva assumere la battaglia
per la riaffermazione della concezione materialistica della rivoluzione, a fronte
della visibilità di tutte le contraddizioni delle tesi soggettivistiche
portate alle estreme conseguenze sul piano della pratica rivoluzionaria. Nodi
teorici che vengono approfonditi anche perché trattati alla luce dell’analisi
non solo storica ma anche politica rispetto all’attualità. In primo
luogo viene riaffermata la dominanza del politico in tutte le regioni della
FES proprio per garantire la riproduzione capitalistica. Riaffermazione che
serve a riprecisare attraverso la centralità del ruolo della politica,
il ruolo dello Stato nella sua evoluzione storica, quella raggiunta col capitale
multinazionale. Lo Stato non è più solo e semplice gendarme, ma
va a compimento il processo di evoluzione storica di statalizzazione della società,
a partire dal ruolo enorme che ha sviluppato nel sostegno dell’economia
capitalistica (Stato capitalista reale, Stato banca, stato capitalista collettivo)
e dallo sviluppo della controrivoluzione preventiva. Statalizzazione che si
accentua con la crisi implicando la funzionalizzazione delle istanze sociali
(sindacati, partiti) e istituzionali al “ruolo politico” dello Stato.
Quello che è dominante è il rapporto Stato/fabbrica e non fabbrica/stato
e, più in generale stato/società e non il contrario, cosa che
rimarca la dominanza del politico in cui lo Stato è la massima espressione
politica sviluppata dalla borghesia. Poiché con la crisi non viene meno
la legge del “valore, né la borghesia impone il suo dominio”forzosamente”,
dominanza del politico significa che lo Stato si fa carico di sostenere i processi
di crisi, mette cioè in campo la “ristrutturazione per la guerra
imperialista”. Questo per garantire la crescita del capitale considerato
che l’estensione del suo dominio è data dall’estensione della
massa di lavoro salariato, dato che da questo ne deriva l’estensione dei
rapporti sociali di produzione, ovvero il dominio non si estende perché
si moltiplica il comando coercitivo. È la legge del valore-lavoro, in
dialettica con la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, che
ne è parte integrante, a rendere necessaria l’uscita dalla crisi
attraverso i processi di ristrutturazione. Lo stato nella crisi è reale
organizzazione del rapporto sociale esistente tra le classi, nel favorire la
riproduzione del rapporto di produzione. In ultima analisi è la legge
del valore-lavoro, la regione economica, il MPC, a promuovere la dominanza del
politico mediante la rifunzionalizzazione dello Stato. Il ruolo dello Stato,
pur messo nella sua ineludibile centralità, è analizzato soggettivisticamente
come riflesso della visione meccanica della crisi (crisi-guerra imperialista).
Infatti, la rifunzionalizzazione dello Stato vede come equilibrio di forze dominante
il partito della guerra. Tralasciando la visione della guerra in atto, importante
in quel momento è stato ricentrare il fatto che il nemico non è
disperso nel dominio sociale, ma individuabile politicamente dentro lo Stato,
tra le forze che si saldano nel progetto dominante-cuore dello Stato-partito
della guerra che attraversa organicamente ogni compagine partitico e padronale,
quale rappresentante reale della BI e delle sue determinazioni soprannazionali,
che funzionalizza ogni politica allo sbocco alla guerra. Pur nella riaffermazione
di elementi giusti gli aspetti di linearismo e soggettivismo contenuti nell’analisi
hanno come sbocco consequenziale quello della maturità superiore della
contraddizione BI/PM, e il rapporto classe/Stato diviene sempre più rapporto
di potere: per l’avanguardia si tratta di trasformare lo scontro di potere
in scontro per i potere. Trasformazione possibile nell’accelerazione del
rapporto crisi/guerra. Questo postulato soggettivista (di soggettivismo d’O)
non avrà un portato pratico conseguente al significato teorico, mentre
avranno un portato politico decisivo, sia nel ricentramento che nell’orientamento
del movimento rivoluzionario. Su queste posizioni, le giuste affermazioni del
primato della politica, del ruolo dello Stato a partire dai meccanismi di sviluppo
del MPC, dell’individuazione del nemico-cuore dello Stato, visto nel complesso
di forze che si saldavano sul progetto della BI.
Un altro nodo teorico affrontato è il rapporto tra la guerra e la politica,
in quanto le tesi dell’idealismo soggettivista erano arrivate a sovvertire
un caposaldo delle leggi della guerra e che, cioè, questa è dominata
dalle leggi della politica. In altri termini l’affermazione idealista
che “la guerra informa la politica” aveva come risvolto la dominanza
del militare sul politico, fino ad arrivare a vedere separato il politico dal
militare e, conseguentemente, riproporre una concezione terzinternazionalista,
in questo caso come esito della visione della “guerra sociale totale”.
Le ripercussione dell’inversione tra i due poli, guerra e politica, sul
piano della pratica rivoluzionaria, portano a fare della politica rivoluzionaria
un’appendice di una inimicizia assoluta che già vive in quanto
domina la guerra tra BI e PM, e quindi non è più necessario che
la guerriglia, riunendo il politico e il militare sulla base della politica
che guida il fucile, trasformi l’autonomia proletaria, all’interno
della strategia della lotta armata per il comunismo, in inimicizia assoluta.
A partire dalla linearizzazione delle tendenze proprie col soggettivismo viene
soppresso un polo della dialettica tra politica e guerra nel senso che la prima
viene via via resa inutile dal prevalere della seconda, ed è attaccando
a fondo le tesi della guerra sociale che l’O precisa i termini materialistici
di questo nodo teorico rimettendo al centro il ruolo indispensabile dell’avanguardia
e della politica rivoluzionaria. È la politica rivoluzionaria che può
operare la trasformazione verso l’inimicizia assoluta (che in quel momento
restava la costruzione del SPPA), in quanto deve canalizzate scientificamente
la lotta e il combattimento proletario non certo colpendo i mille cuori del
potere sociale ma dirigendo il combattimento contro lo Stato, contro il potere
politico (individuato in quel momento nel partito della guerra). Un combattimento
teso a conquistare rapporti di forza che consentono al PM di pesare sul piano
politico e non tanto di avere un generico potere sociale. Qui si esemplifica
come, a partire dalla manifestazione concreta sul piano della pratica delle
tesi idealiste, che rende palese l’inadeguatezza di tale impianto, le
BR, sulla base dell’impostazione leninista, sviluppano e precisano il
che fare sul piano della conduzione della guerra di classe. Attraverso la logica
dialettica viene ribaltato il piano del “potere sociale” perché
è a partire dai contenuti sociali della necessità-possibilità
della transizione al comunismo che il PM deve conquistare ciò che la
borghesia gli nega: il potere politico, che per il PM è potere politico
rivoluzionario per il comunismo. Il politico, il militare e il sociale sono
aspetti che vivono nella società nella misura in cui esiste un progetto
rivoluzionario che in quanto sapere condensato per la transizione al comunismo
è il modo storico di arricchire il marxismo-leninismo nella metropoli.
Qui la battaglia assume i toni più alti propri delle contrapposizioni
ideologiche e, rivendicando il metodo del materialismo storico-dialettico, l’O
attacca le tendenze metafisiche nella loro forma dell’ideologismo e del
soggettivismo che appunto palesavano il comunismo come comunità illusoria
e non reale da raggiungere in una metafisica rivoluzione permanente (leggi guerra
sociale totale che esiste dentro i rapporti di produzione inficiati dalla prevalenza
delle forze produttive). Di contro l’O ribadisce la concezione materialistica
della rivoluzione che si realizza per tappe storicamente determinate. E questo
perché la guerra di classe è un prodotto storico materiale, non
un concetto dell’avanguardia comunista, che definisce la molteplicità
dei compiti presenti nel processo rivoluzionario e la sua attività. Al
contrario l’avanguardia comunista non è solo il soggetto portatore
della teoria rivoluzionaria, ma è parte e direzione della guerra di classe,
per trasformarla in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo.
La la per il c non è più come nella propaganda armata la strategia
che l’avanguardia politica pratica e propaganda tra le masse, ma sempre
più l’unica reale politica rivoluzionaria e proletaria. Affermazione
quest’ultima che va intesa nel contenuto soggettivista che l’O gli
dava, di rapporto di scontro di potere tra BI e PM. Infatti è argomentata
con l’affermazione che la possibilità-necessità della trasformazione
della guerra di classe in guerra rivoluzionaria antimperialista per il comunismo
è un movimento da vedere nel rapporto dialettico con i processi di crisi-ristrutturazione
per la guerra imperialista. Nonostante questo passaggio soggettivistico non
è inficiata la portata della battaglia e dei contenuti affermati e approfonditi,
in particolare nella rimessa al centro del ruolo dell’avanguardia in rapporto
all’antagonismo del PM l’O attaccava la visione che considerava
ricomposto oggettivamente l’antagonismo dispiegato del PM, visione che
finisce per relegare il ruolo di direzione dell’avanguardia alla coda,
in quanto il suo rapporto con l’antagonismo proletario si limita a riassumere
tutto ciò che si esprime, dentro al quale tutti i bisogni hanno lo stesso
peso, perché tutti allusivi al comunismo. Al contrario il compito dell’avanguardia,
di fronte all’attività generale delle masse di per sé differenziata
e scomposta, è quella di leggerla come è, nella sua realtà,
ricomponendo e unificando i diversi livelli sul piano più avanzato e
all’interno del PPG, al fine di disarticolare i processi in atto sviluppati
dalla BI per costruire nuovi rapporti di forza. E questo perché il rapporto
di forza esistente tra BI e PM si può ribaltare solo trasformando i rapporti
di forza generali, solo con la conquista proletaria del potere politico, l’abbattimento
dello Stato e la disarticolazione del MPC, quale tappa preliminare rispetto
alla possibilità-necessità della dittatura rivoluzionaria per
il comunismo.
Solo con la conquista del potere politico è possibile trasformare l’aspetto
dominante della contraddizione principale e l’aspetto secondario, mentre
la rivoluzione proletaria da tendenza principale diventa aspetto dominante.
Puntualizzazioni queste che hanno un valore strategico per il futuro riadeguamento
complessivo dell’O in quanto l’aver finalizzato l’attività
alla trasformazione dei rapporti di forza generali per la presa del potere politico
obiettivamente mina la visione lineare delle fasi ancora vigente fino a quel
momento. Si affronta ora il nodo teorico più importante per come si riflette
nella concezione dell’ sviluppo del processo rivoluzionario, quello relativo
al rapporto FP/RP, questo a partire dalla messa in chiaro di come si qualificano
i rapporti di scontro tra PM e BI, ovvero se si collocano o meno dentro e contro
i RP, fuori e contro lo Stato. L’O inizia affermando che la necessità/possibilità
della transizione al comunismo vive latentemente al livello mondiale, dato che
la crisi del capitale monopolistico multinazionale, non riuscendo a valorizzarsi
ulteriormente, non fa che acuire la lotta di classe sia dove esso domina realmente,
metropoli, che dove lo fa informalmente, periferia, a prescindere dai modi diversi,
qualitativamente e quantitativamente, in cui si esprime la lotta di classe,
e delle diverse tappe che deve percorrere il processo rivoluzionario nella periferia
rispetto a quello della metropoli. Questa latenza della transizione al comunismo
diviene per l’O la base per il nuovo internazionalismo proletario.
Un’analisi questa, verosimilmente portato della lettura della crisi-ristrutturazione
per la guerra imperialista che l’O faceva in quel momento e che, riportata
sul piano della lotta di classe nella nostra fes, motiva la maturazione della
lotta di classe in guerra di classe, in quanto il processo in atto della ristrutturazione
per la guerra imperialista informava i rapporti di classe, processo questo che
in ultima analisi avrebbe favorito la rivoluziona proletaria, nonostante i rapporti
di forza congiunturalmente sfavorevoli, collocando la guerra di classe in termini
di scontro di potere. D’altra parte il processo di generalizzazione dei
contenuti della lotta di classe e la sua qualità fa si che essa non può
più essere recuperata dalla BI, considerato che la crisi non è
certo ciclica e quindi non può darle sbocco in termini di recupero “riformista”
dello scontro. L’O afferma pertanto che in questa fase la guerra di classe
è il risultato dell’approfondimento della contraddizione FP/RP
nella crisi, soprattutto dove l’antagonismo proletario è più
forte e maturo, la fabbrica metropolitana. Perché è proprio qui
che lo sfruttamento della classe operaia aumenta a causa della ristrutturazione
per la guerra imperialista, la classe operaia che, essendo dentro i rapporti
di produzione capitalistica e crescentemente contro questi rapporti, possiede
una maggiore potenzialità, dell’antagonismo complessivo ed assoluto
al MPC. Processi di crisi che pure investono e peggiorano le condizioni del
proletariato marginale, facendo aumentare le quote di quello emarginato che
si riversa nell’extralegalità (e quest’ultima tocca tutte
le fasce di PM) aumentando così anche i PP stabili relativamente agli
instabili. Ma questo proletariato emarginato, essendo forza lavoro espulsa dal
processo produttivo, nel suo divenire extralegale, si nega come forza lavoro,
ma ciò non vuol dire che il proletariato emarginato e quello extralegale
siano di per sé antagonisti assoluti e complessivi al MPC, non è
certo un’enorme massa di capitale variabile che si aggira e che nel negarsi
diventa antagonista. In realtà allo Stato e al MPC si contrappone un
movimento proletario antagonista caratterizzato dalla resistenza attiva, a partire
dalla lotta dentro e contro i rapporti di produzione, fuori e contro lo Stato.
Resistenza attiva che si differenzia da quella passiva per essere offensiva.
In questo modo i compagni valutano le mobilitazioni che in quel periodo a livello
nazionale si esprimevano su vari piani contro l’offensiva padronale e
statuale (attacco alla scala mobile, contro il tetto antinflazione, tagli alla
spesa sociale), contro gli schieramenti e le spese militari, contro la Nato
e la guerra imperialista.
Per l’O questa resistenza, pur confrontandosi con una approfondita controrivoluzione
preventiva scatenata, ha contenuti molto avanzati ed è parte del movimento
antagonista che è la “base sociale” da cui è possibile
e necessario costruire le “basi sociali rivoluzionarie” e cioè
il SPPA con le sue tre determinazioni. Il SPPA si costruisce cioè a partire
dalla lotta proletaria e si estende dentro e contro i rapporti sociali di produzione
capitalistici, fuori e contro lo Stato. Credere possibile costruire tale sistema
esclusivamente fuori e contro i rapporti sociali di produzione non solo escluderebbe
la centralità della classe operaia, ma addirittura si finirebbe per riproporre
un programma immediato unico per tutto il PM basato sull’esproprio proletario!
E qui il riferimento è alla centralità del proletariato extralegale
ritenuto dal PG strato antagonista che ha come conseguenza di privilegiare la
lotta alla distribuzione capitalistica della merce e dei redditi, cosa che sul
piano teorico significa privilegiare il rapporto valore d’uso/valore di
scambio, l’aspetto della distribuzione, dimenticando che questa in ultima
analisi deriva dai rapporti di produzione. In questo modo è come concepire
la costruzione del SPPA separatamente dai rapporti di produzione capitalistici
dentro ad una visione del MPC in cui scompare l’unità degli opposti
tra FP e RP anche laddove tendono a divaricarsi al massimo assumendoli come
elementi separati. A partire dal fato che l’antagonismo proletario si
sviluppa dentro e contro i rapporti di produzione sociali capitalistici, fuori
e contro lo Stato, nella metropoli imperialista e soprattutto in questa fase
la costruzione del SPPA non significa costruire basi rosse, dove esercitare
potere rosso, perché non ci sono territori liberati da difendere e masse
armate; tanto meno ci sono “basi rosse invisibili”, considerato
che questo concetto ha finito col rendere invisibile il SPPA in costruzione
alla classe,dato che l’ambiguità sul termine ha spesso significato
concepire la clandestinità non riferita solo allo Stato ma anche al movimento
rivoluzionario e antagonista.
Il SPPA non si costruisce per linee esterne al movimento antagonista, ma solo
per linee interne, a partire dalle sue espressioni più avanzate. Espressioni
che la guerriglia deve condensare nel PPG per dirigere, mobilitare, organizzare
la lotta e il combattimento proletario contro lo Stato. In queste ultime affermazioni
l’O si riferisce anche al soggettivismo ribadendo che le campagne da sviluppare
non devono esser intese come “campagne d’O” ma devono servire
per organizzare l’offensiva proletaria nelle nuove condizioni di controrivoluzione
preventiva scatenata. Affermazione quest’ultima da cui è possibile
evincere come non è ancora compresa la natura della controrivoluzione
degli anni ’80, collocata com’è nella lineare accentuazione
della crisi della borghesia imperialista verso la guerra dentro ad un meccanico
riflesso della dialettica del nesso crisi-rivoluzione sui fattori dello scontro.
Ragione per cui è normale prospettare il rilancio del SPPA in costruzione,
a partire però dal ricentramento della dialettica partito/masse, e cioè
costruzione della linea di massa rivoluzionaria per attaccare il cuore dello
stato partendo dai contenuti più avanzati e definendo, nell’attuale
fase storica, il rapporto Partito/masse come tra movimento proletario antagonista-Partito
in costruzione da cui è possibile e necessario costruire il SPPA e trasformare
lo scontro di potere in scontro per il potere. La battaglia contro il soggettivismo
d’O che l’O persegue tenacemente è volta pure a correggere
l’affermazione idealistica dell’”Ape …” per cui
gli OMR sorgevano nel divenire oggettivo della crisi, concetto che conseguentemente
dava alla costruzione del SPPA, del PCC e del MMR come già data, come
un dato statico che non vive in rapporto di unità-distinzione con il
movimento proletario antagonista.
Se non si comprende il rapporto che muta continuamente tra le tre determinazioni
e il movimento antagonista da un lato, e dall’altro lo Stato e il MPC,
gli OMR saranno sempre anelli permanentemente mancanti. In concreto la costruzione
del PCC e degli OMR sono processi distinti e uniti in stretta dialettica tanto
che non si da PCC senza costruzione e direzione degli OMR e conquista del movimento
di massa antagonista in MMR. Quindi in questa fase trasformare lo scontro di
potere in scontro per il potere significa trasformazione della guerra di classe
in guerra rivoluzionaria all’interno della costruzione del SPPA intorno
ad un programma generale che, congiuntura dopo congiuntura, disarticoli lo Stato
in dialettica con i contenuti più avanzati delle lotte del PM. Il PPG
vive tramite il PPI nei settori di PM e in questa fase di transizione dalla
propaganda armata alla guerra civile dispiegata ha per obiettivo la conquista
del potere politico. Obiettivo che comporta la costruzione di rapporti di forza
generali a favore del PM e cioè distruzione-abbattimento dello Stato,
disarticolazione del MPC, tappa preliminare per affermare il PM attraverso la
sua dittatura rivoluzionaria come la classe che sola può abolire tutte
le classi e con esse lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Obiettivo
storico che nella metropoli può darsi solo sul terreno politico, attraverso
la politica rivoluzionaria, così da attraversare tutti i rapporti sociali
e caratterizzare la dittatura rivoluzionaria integrale a tutti i livelli, per
la distruzione sistematica del MPC e costruire la società senza classi,
società che è per tutti o per nessuno, e quindi va sconfitta la
BI a livello mondiale. Ed è sotto questo punto di vista che l’internazionalismo
proletario è elemento centrale e decisivo del programma rivoluzionario.
L’affrontamento del nodo teorico relativo al rapporto FP/RP ha un’importanza
decisiva nel futuro riadeguamento perché lo smantellamento delle proposte
dell’idealismo soggettivista delle “basi rosse” sarà
il presupposto per andare a raddrizzare la concezione da manuale della guerriglia
e dello sviluppo della guerra rivoluzionaria, in quanto inficia la visione “territoriale”
del Potere Rosso perché già riconduce la forza che la guerriglia
fa acquistare al campo proletario dentro alla conquista dei rapporti di forza
contro allo Stato e alla BI. Saggio questo che costituirà elemento obiettivo
per dare superamento alla visione della linearizzazione delle fasi rivoluzionarie.
La centralità della produzione di merci nella metropoli è l’altro
nodo teorico affrontato ed è nella riaffermazione di questa centralità
che l’O si contrappone alle tesi sociologiche della “fabbrica totale”,
le quali sulla base dello sviluppo del capitale monopolistico multinazionale
nella metropoli leggono questo sviluppo come capitale unico dentro una visione
di stampo luxemburghiano. Ugualmente l’O si contrappone alle tesi della
“fabbrica diffusa”, tesi che non distinguono più nell’area
metropolitana differenze tra lavoro produttivo e improduttivo, scambiando le
controtendenze con la tendenza principale, finendo per far prevalere nella metropoli
l’estrazione del plusvalore assoluto. Tesi che hanno come risvolto l’individuazione
di settori marginali del PM come proprio referente di classe perdendo di vista
la centralità operaia. Di contro a questi tesi l’O le caratteristiche
del dominio reale del capitale monopolistico multinazionale che è radicato
nella metropoli e che è basato sulla estrazione del plusvalore relativo
conseguentemente la forma principale del movimento antagonista è riferita
alla centralità della classe operaia delle grandi concentrazioni industriali
all’interno del PM. Stante le caratteristiche di sviluppo del capitale
monopolistico multinazionale ne consegue che le cause oggettive della crisi
di sovrapproduzione di capitali risiedono nel rapporto divaricante tra aumento
tendenziale del saggio di plusvalore e caduta tendenziale del saggio medio di
profitto. Il nodo teorico FP\RP è ripreso dall’O per battere le
tesi metafisiche della rivoluzione permanente dei neosoggettivisti che appunto
scaturiscono dal fatto che vengono prese per buone le tendenze al limite,senza
tener conto che dall’analisi dall’astratto al concreto va assunto
il concreto storico che è riempito dalla lotta di classe pena cadere
in visioni della inevitabilità obiettiva della rivoluzione. Questo a
partire dal fatto che le FP vengono viste separate dai RP come se potessero
essere neutre e di per sé progressive,mentre secondo l’analisi
marxista le FP sono permeate dai RP e il loro sviluppo è sviluppo dei
rapporti sociali capitalistici di contro al lavoro salariato. Per cui la divaricazione
fino alla rottura del rapporto FP\RP si da solo con la rivoluzione e non con
lo sviluppo delle FP. La critica al soggettivismo si conclude con la confutazione
della teoria della crisi-crollo che è propria alla linearizzazione delle
tendenze, fino a dare già in atto quelle “al limite”. Linearizzazione
che vive unita alla separazione dei nessi dialettici tra l’aumento del
plusvalore relativo e caduta tendenziale del saggio medio di profitto, facendo
prevalere quest’ultimo, in altre parole non considerando che nell’intrinseca
dialettica dello sviluppo capitalistico tra la tendenza al limite e la realtà
storica ci sono le controtendenze. Alla crisi-crollo l’O contrappone la
crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista che da un punto di vista metodologico
è corretta, in quanto risponde agli effettivi meccanismi della crisi-distruzione
del sovrappiù prodotto per riplasmare le forze produttive, ecc. la puntualizzazione
di questa analisi ha il pregio rispetto alla lettura del PG, che davano una
relazione alla contraddizione BI/PM come dominante il nesso crisi-rivoluzione,
di riportare come dominante il nesso crisi-ristrutturazione per la guerra imperialista,
però il fatto che nell’analisi delle controtendenze l’O assume
come operante la ristrutturazione per la guerra imperialista, oltretutto con
il corollario soggettivistico di leggerne le ricadute sullo scontro di classe
in termini di guerra di classe, non è in grado di portare a fondo la
critica alle tesi del PG, rimanendo sul terreno superficiale della semplice
confutazione di qual è la contraddizione dominante
Questo documento nella sua contraddittorietà riflette l’effettivo
stato politico dell’O. Si tratta di capire, dentro questa contraddittorietà
il reale peso specifico dei suoi contenuti, ovvero perché determinate
affermazioni impregnate di soggettivismo avranno scarso peso, mentre altri,
pur se imprecisi e non sviluppati a fondo, costituiranno la chiave di volta
del riadeguamento. Più precisamente va capito perché queste ultime
possiedono una forza propositiva e ricompositivo pur essendo ancora contenute
nell’involucro delle concezioni soggettiviste e lineariste. Ancora una
volta la chiave di lettura va cercata dentro al principio generale che l’O
avanza e rientra nella misura in cui da soluzione effettiva ai problemi che
ha davanti, e si riadegua nella misura in cui riesce a compiere salti politici.
Si può dire che questi elementi di chiarificazione hanno forza perché
sono i primi risultati dell’affrontamento dei nodi posti alla controffensiva
dello Stato e dalle tendenze soggettiviste, nodi a cui l’apertura della
RS aveva dato una prima soluzione parziale (rispetto alla controffensiva, nel
preservare le forze, per salvaguardare la prospettiva strategica di ricostruzione
del SPPA, e rispetto al soggettivismo nell’affrontamento di quello d’O),
e che ora saranno affrontati globalmente in quanto le tendenze soggettiviste
hanno ormai esplicitato fino alle estreme conseguenze il loro significato nella
pratica. Concezioni queste che avevano preso campo nel movimento rivoluzionario,
con tutto il loro portato di confusione e ambiguità, e che nel loro risvolto
pratico pregiudicavano lo sviluppo corretto del processo rivoluzionario. In
questo senso la battaglia era di vitale importanza per le sorti della direzione
che doveva prendere il processo rivoluzionario e andava affrontata globalmente
perché metteva in discussione le concezioni teoriche, programmatiche
e d’impianto della proposta rivoluzionaria. Da questo punto di vista è
una battaglia di tesi che, arrivando ad interessare il piano ideologico, si
connota come una battaglia tra la concezione materialista e quella idealista
piccolo borghese, giustamente ritenuta dall’O antagonista al rilancio
del processo rivoluzionario. L’affrontamento e la risoluzione di un nodo
come questo, effettivamente posto nello scontro, costituisce la dinamica principale
alla base del rientramento in quella tappa, e tanto più in questa battaglia
l’O raggiungeva livelli teorici ed ideologici di chiarificazione complessiva
sui nodi affrontati, tanto più questa determinava una migliore disposizione
nello scontro ridando forza al ruolo d’O, e in questa misura l’O
è in grado di esprimere forza di attrattiva e capacità ricompositivo
sugli elementi più maturi del movimento rivoluzionario.
L’affrontamento di questa battaglia politica rappresenta dunque una tappa
della RS che aggiunge elementi alla visione parziale che di essa l’O aveva
alla sua apertura, connotando questa nel suo significato più politico,
unitamente agli approfondimenti conseguiti sul terreno della comprensione della
Difensiva Strategica, che viene arricchita dalle peculiarità politiche
nelle metropoli, in cui la RS stessa è qualcosa di più complesso
del semplice preservare le forze della distruzione del nemico.
È a partire da comete chiarificazioni acquisite con la battaglia politica
si traducono nella disposizione dell’O nello scontro, che queste pur essendo
ancora parziali e incoerenti, sono quelle che acquisiscono peso determinante
nell’orientamento propositivo dell’O, mentre al contrario le espressioni
di soggettivismo, pur nella loro argomentazione recente con l’impianto
linearista, non potendo più essere trasferite nella pratica rivoluzionaria,
restano un residuo ininfluente rispetto alle dinamiche del Rientramento. Del
resto non c’è da meravigliarsi della loro persistenza teorica del
materiale d’O, in quanto erano penetrate profondamente nel suo impianto
durante la fase di sviluppo quantitativo della LA. In ultima analisi la dicotomia
che caratterizza il documento riflette le leggi della dialettica che pure vivono
nella materia sociale, nel senso che le risultanze che effettivamente rispondono
alle necessità dello scontro, anche se ancora poco sviluppate, sono quelle
che affermeranno (“il nuovo che avanza”) e avranno un ruolo positivo
negli sviluppi futuri, soppiantando le reminiscenze della vecchia visione inadeguata.
E ciò perché in queste risultanze si riflette come l’O ha
affrontato i nodi teorici principali su cui poggiava la natura profondamente
idealista del soggettivismo, e cioè le “basi rosse” e la
“guerra totale sociale”. Un affrontamento complessivo reso possibile
anche perché nello scontro queste tesi avevano dimostrato tutti i limiti
di praticabilità, che ha smantellato sul piano pratico, teorico, ideologico
i nessi su cui poggia la visione di sviluppo lineare della guerra di classe,
nel ribadire che nella metropoli non è Dato un dualismo di potere e che
la forza che acquisisce la guerriglia non può essere mantenuta in zone
liberate, con ciò inficiando la visione di espansione territoriale da
manuale della guerriglia del processo rivoluzionario, e nel riaffermare in pieno
la “sfera del politico” in contrapposizione allo sviluppo dei rapporti
di potere nel sociale. In conclusione, dell’affrontamento di questi nodi
si ridà il suo posto alla politica rivoluzionaria e con essa al ruolo
dell’avanguardia, ma soprattutto si riafferma che nella metropoli l’attività
rivoluzionaria è finalizzata al conseguimento di rapporti di forza che
devono pesare sul piano dei rapporti generali tra le classi e non in usufrutto
immediato, ovvero in una traduzione estensiva di esse.
Se la «Sintesi» incarna, pur nella sua ambivalenza, il momento più
alto del dibattito sviluppato dall’O dall’apertura della RS, nel
quale dato essenziale è la capacità di recupero del suo ruolo
di direzione e di d’indicazione pratico-teorica, l’attività
complessiva d’O dentro alla precisa tappa della RS, si qualifica in primo
luogo per essere un momento di passaggio tra l’ultima fase della battaglia
al soggettivismo d’O e al soggettivismo idealista, e l’innesto dei
primi elementi propri al processo di critica-autocritica-trasformazione. Dal
punto di vista reale dell’O sulla linea della rivoluzione, ovvero dentro
la Difensiva Strategica, la scelta del ripiegamento, con tutta la conseguente
disposizione che ha comportato, ha messo l’O nelle condizioni di poter
affrontare secondo la coscienza che di volta in volta ne aveva, le problematiche
sollevate dal mutamento dello scontro, una scelta che oggettivamente prima ancora
che oggettivamente, cioè più per condotta che per coscienza ha
riportato l’agire dell’O all’interno del quadro strategico
della Difensiva, ovvero l’ha fatta aderire in modo adeguato a partire
dalle condizioni poste dallo scontro rivoluzionario, sulla linea della Rivoluzione,
in quanto di per sé la posizione ripiegata, di contro alla controffensiva
e ai mutamenti intervenuti, ha obbligato l’O a misurarsi nel modo dovuto,
che ha consentito di tracciare sul piano politico le caratteristiche di una
fase rivoluzionaria che non era stata preventivata nella visione che aveva l’O
dello sviluppo in due grandi fasi della Rivoluzione, ma l’O, in forza
della proprietà che aveva delle leggi generali della guerra, ha saputo
adattarle allo sviluppo originale del nostro processo rivoluzionario, aprendo
la RS, arricchendo in questo modo le conoscenze dello sviluppo della guerra
di classe nelle metropoli. In altri termini la RS, mutuata dalle leggi della
guerra di popolo in cui ha un’accezione puramente militare, calata dentro
la guerra di classe, ne è stata immediatamente informata dai suoi caratteri
fortemente politici. È quindi una scelta politico-militare in grado di
imprimere una direzione di lungo termine al processo rivoluzionario, esplicitando
però fin da subito il suo valore politico. E questo perché la
posizione di ripiegamento fin da subito non solo consente di salvaguardare le
forze dal dissanguamento del nemico, ma poiché essa è una scelta
data dalla coscienza di non essere adeguati, obbliga l’O a rivedere criticamente
la politica rivoluzionaria in rapporto alle problematiche concrete che ha di
fronte e alla chiarezza che ne deriva dei compiti rivoluzionari.
È la posizione di ripiegamento, in sintesi, che le consentirà
di maturare i processi di adeguamento di se stessa e dell’agire rivoluzionario,
avanzando, tappa dopo tappa, sulla linea della rivoluzione, costruendo in questo
modo materialmente le caratteristiche storicamente definite dalla RS, tappe
che sono essenzialmente risoluzione politica delle problematiche immesse dalle
deviazioni, processo politico che porta con sé il corollario della disposizione
politico-militare adeguata allo scontro, in una dinamica che prima di essere
soggettiva vive nella pratica, che diviene coscienza complessiva –in grado
cioè di ricomporre tutti i suoi nessi- nel momento in cui l’O ha
operato i salti politici.
Quello che l’attività storica ha dimostrato è che in virtù
della valenza immanente delle leggi della RS, per come l’O se le è
assunte nel concreto della pratica rivoluzionaria, ovvero a partire dalla coscienza
che ha del suo ruolo storico, questa scelta ha consentito di mantenere aperta
l’opzione rivoluzionaria anche nei momenti più duri e di disorientamento
politico, e ciò sulla base dell’affrontamento propositivo dei nodi
politici e della conseguente precisazione della dialettica di sviluppo del processo
rivoluzionario, ha dato concretezza alla continuazione del processo rivoluzionario.
Ugualmente l’attività storica dimostra come nelle fasi di ritirata
si esprimano al massimo grado le leggi della non linearità, infatti anche
questa prima tappa dell’83 che doveva concludere il passaggio dove si
è consumata la battaglia politica al soggettivismo, invece di aprire
linearmente uno sviluppo in avanti, si è evoluta contraddittoriamente
dentro ad una crisi politica di natura liquidazionista, quindi d’esistenza,
a causa di contraddizioni generate dalle dinamiche di sconfitta, che penetreranno
nell’O avvalendosi della precedente battaglia politica.
La ripresa del combattimento ad un anno e mezzo da Dozier con l’iniziativa
Giugni per l’O rappresenta un primo momento di verifica rispetto alla
capacità di rilanciare la proposta rivoluzionaria. Quello che è
evidente è come in questa azione si riflette i riposizionamento maturato
dall’O nello scontro grazie al processo di ricentramento messo in atto
dall’apertura della RS. Un riposizionamento da cui l’O matura le
chiarificazioni essenziali che contribuiranno alla sua evoluzione politica,
chiarificazioni che hanno nella riaffermazione della dominanza del politico
il punto forte del ricentramento teorico dal quale non le deriva solo la rimessa
al centro del ruolo dello Stato come nemico principale e il ruolo dell’avanguardia
rivoluzionaria e della politica rivoluzionaria, ma più in generale la
capacità di leggere ogni aspetto dello scontro all’interno delle
relazioni politiche, sbarazzandosi degli ultimi residui della sua visione idealista
e soggettivista in chiave sociale. Conseguentemente, nella lettura delle condizioni
dello scontro e dello stato del movimento di classe, l’O si disfa completamente
del vecchio schema meccanico crisi-ristrutturazione/crisi-rivoluzione e dalla
non ricuperabilità dell’antagonismo politico, cosa che le consente
di ricalibrare subito le proprie valutazioni riconducendole al quadro della
situazione reale. Un avanzamento politico, quello dell’O, figlio in primo
luogo del suo misurarsi con una situazione in evoluzione nel paese, che vedeva
la BI riprendere l’iniziativa per capitalizzare in termini politici i
risultati della controrivoluzione nei rapporti di forza con la classe. Un avanzamento
che segna un passaggio di qualità rispetto al passato, proprio per penetrare
le caratteristiche politiche dello scontro, che le consente di qualificare natura
e portato dei cambiamenti in atto nel paese con il massimo della chiarezza di
come questi si dipanavano a partire dallo stato in cui versavano i rapporti
tra le classi, potendo meglio, valutare le condizioni del movimento rivoluzionario
e di classe.
Solo oggi con quest’azione l’O prende coscienza con lucidità
di cosa ha comportato la controrivoluzione scatenata nell’82 in termini
di modifica dei rapporti di forza tra le classi, e sulla base di questa coscienza
è decisa a far pesare gli interessi del proletariato per modificare i
rapporti di forza, ed è grazie alle chiarificazioni del processo autocritico
che è in grado di intervenire al punto più alto dello scontro
nel cuore della contraddizione principale tra classe e Stato, attaccando l’esordiente
“Patto Sociale”. Questo, mentre la classe reagisce a questo attacco
con mobilitazioni sostanzialmente di carattere difensivo, in un momento in cui
prosperano nella sinistra di classe letture inadeguate a coglierne il portato.
In questo quadro l’O è l’unica che è in grado di cogliere
interamente la sostanza del progetto della borghesia e di svolgere in quel momento
cruciale quel ruolo d’avanguardia indispensabile alla tenuta del campo
proletario. L’O vede come l’esordio del “Patto Sociale”
sia reso possibile dal livello raggiunto dalla ridefinizione dello Stato, perché
è al suo interno che l’Esecutivo funzionalizza partiti e sindacati
al suo progetto, calato dentro alla situazione di scontro in cui la BI e lo
Stato intendono stabilizzare la modifica dei rapporti di forza determinata dalla
controrivoluzione, sospingendo indietro le posizioni di classe, che si colloca
come strumento di normalizzazione dell’autonomia politica di classe e
di pacificazione rispetto alla proposta rivoluzionaria. E poiché la classe
operaia è l’oggetto principale della normalizzazione, l’attacco
che deriva da questo progetto non può che partire dal piano capitale/lavoro,
dove il patto ha la funzione di compatibilizzare l’antagonismo di classe
nel modello di relazioni neocorporative.
In questo senso l’esordio del Patto in Italia segna un salto sul piano
della contrattazione che, nella sua verticalizzazione, viene politicizzata,
sterilizzandola al conflitto che si produce nelle fabbriche e nelle piazze.
Una sterilizzazione funzionale ad imporre le ristrutturazioni e le più
generali scelte di decurtazione delle conquiste sociali. Un modello di relazioni
che per la sua natura tende a rendere ininfluente e a sospingere indietro il
ruolo della classe. A gestire questo modello di relazioni non possono che essere
i sindacati ed il PCI, tramite la proposta riformista dell’interclassismo,
che non a caso esordisce nel quadro politico craxiano. L’O, dentro questa
lettura, si pone il compito sia di disarticolare questo progetto che di svelarne
alla classe la natura, e soprattutto il ruolo che in esso svolgono i revisionisti,
registrandone la difficoltà a gestirlo, stretti come sono tra l’antagonismo
di classe e l’essere garanti delle scelte della BI, in altri termini per
l’O si tratta di rompere queste gabbie revisioniste per “liberare”
l’autonomia di classe e ricondurre lo scontro sul terreno rivoluzionario.
In sintesi l’O indica chiaramente che la situazione dello scontro va ricondotta
sul terreno risolutivo adeguato al tipo di attacco e di modifica dei rapporti
generali di classe avvenuti. In quest’ottica il discorso propositivo è
teso a mettere in luce come sia perdente restare ancorati alla difesa di condizioni
ormai indifendibili, perché legate al quadro di scontro precedente. Per
l’O non si tratta di disperdere le forze lottando su questo o quel terreno
attaccato dalla BI, perché a livello d’approfondimento verificatosi
nello scontro significherebbe rincorrere obiettivi perdenti, una valutazione
questa che l’O contrappone anche alle posizioni della sinistra di classe
presenti in quel momento che riproponevano i terreni d’intervento del
passato, perciò inadeguati. Al contrario si trattava di riuscire a pesare
sul piano politico, contrapponendosi ai nodi generali dello scontro, come solo
modo di modificare i rapporti di forza. Piano politico sul quale il PM può
tornare a pesare solo rapportandosi all’attività dell’avanguardia
rivoluzionaria ed è solo intorno a questa dialettica che l’autonomia
di classe può trovare la sua ridefinizione in avanti.
In conclusione, con l’iniziativa Giugni si può constatare l’ampiezza
dell’avanzamento politico compiuto dall’O da Dozier. In questa iniziativa
è racchiuso il concentrato delle acquisizioni che lo scontro ha obbligato
l’O a trarre, nell’aver saputo misurarsi con il nemico di classe
proprio nel momento in cui questo sta evolvendo nelle sue forme di dominio,
cosciente degli approfondimenti che su questo piano si verificano nel rapporto
di scontro, e lo fa affrontando al punto più alto lo scontro politico
tra le classi, cosciente di come in quel momento il suo ruolo d’avanguardia
investisse un’importanza doppiamente decisiva, sia perché l’attività
rivoluzionaria dell’O è stata l’unico reale elemento di contrasto
ai progetti della BI, e di conseguenza ha contribuito alla tenuta delle posizioni
del campo proletario e, a partire da questo, sia perché Giugni costituisce
un passaggio importante nel mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria,
avendo tutte le caratteristiche per essere il primo momento di rilancio. E ciò
perché ben oltre alla mera ripresa del combattimento, nell’iniziativa
G erano contenuti gli elementi di ridefinizione progettuale d’O, sia come
portato immediato che come prospettiva di rilancio. Ed è nell’aver
saputo ridefinire la sua capacità d’intervento rivoluzionario all’interno
di quelle dure condizioni dello scontro che l’O ha potuto riacquistare
tutta l’autorevolezza propria del suo ruolo storico.
Un rilancio che è evidente anche nel come analizza il terreno internazionale
e la tendenza alla guerra, ricalibrati e portati su un piano realistico, anche
qui grazie all’essersi disfatta dell’economicismo soggettivista
mettendo al centro la “politica”. In questo senso la crisi internazionale
è valutata all’interno delle spinte per modificare gli equilibri
tra Est ed Ovest come il piano sul quale in quel momento marciava la tendenza
alla guerra alimentata dall’acuirsi della crisi economica, pur se per
i compagni rimane il limite di essere vista come crisi di sovrapproduzione che
ha consumato tutte le controtendenze, spingendo alla ridefinizione delle sfere
di influenza dentro la corsa al riarmo da parte di entrambi i blocchi. Anche
l’analisi del blocco imperialista risente in positivo dei ricentramenti
cogliendo il grado di contraddittorietà esistente nel blocco stesso,
come carattere ineliminabile, di conseguenza come la tendenza alla guerra e
l’immanenza dell’interesse generale del blocco richiedono processi
di coesione politica per far fronte alla crisi e, in ultima analisi, andare
al confronto col blocco avverso. La maggiore chiarezza sui movimenti dell’imperialismo
consente anche di inquadrare correttamente il nodo dell’Italia nel quadro
delle relazioni imperialiste, che la obbliga ad accelerare tutti i processi
di ristrutturazione per stare al passo con le politiche necessarie alla frazione
dominante di BI, indispensabili nel competere nel mercato mondiale dovendo fare
i conti con le specificità relative non solo ai ritardi strutturali,
ma soprattutto alla maturità dello scontro di classe e all’esistenza
del processo rivoluzionario, fatti questi che rimarcano il suo essere anello
debole della catena.
Da questa capacità di rimettere le cose con i piedi per terra nella conquistata
visione materialista, ne deriva una coscienza profonda di tutti i termini della
realtà non solo relativi a come va a configurarsi il rapporto con il
nemico di classe, ma soprattutto coscienza delle effettive condizioni rivoluzionarie
e di classe, fino a qualche mese prima influenzate da quell’idealismo
soggettivista che faceva da schermo alla presa d’atto di quale era il
vero stato del movimento rivoluzionario e di classe, ovvero prende coscienza
che il movimento rivoluzionario è passato dal rivoluzionarismo estremo
all’arretramento difensivistico e che le posizioni di classe sono state
sospinte indietro dall’offensiva della BI e dello Stato. Un quadro nel
quale ciò che più pesa sulle spalle dell’O è il come
è uscita ridimensionata dallo scontro rivoluzionario, avvertendo in maniera
acuta sulla sua pelle gli effetti del rovescio militare e della sconfitta politica
causata dai suoi errori. Maggiore è la coscienza dell’O dello stato
reale dei rapporti di classe e della sua propria debolezza a fronte della riconquistata
iniziativa politica dello Stato e delle forme dell’attacco tese a liquidare
la strategia della LA, maggiore è la permeabilità ai meccanismi
di demoralizzazione delle forze e introiettazione della logica difensivistica
e di sconfitta. Demoralizzazione delle forze che fa vivere la sconfitta ed il
suo ridimensionamento come una sorta di isolamento politico e questo sentire
è tradotto politicamente nella problematica dell’essere staccata
dalle masse, dall’essere stata staccata dalle masse. Da questa problematica
che diventa pervasiva come sintomo della logica della sconfitta ne scaturisce
come risposta la ricerca d’una attività d’avanguardia tesa
ad attrarre “milioni di proletari”.
In ultima analisi, le inadeguatezze vengono ricondotte a tutto ciò che
l’avrebbe allontanata dalle masse. Se questa è la dinamica nuova,
figlia degli effetti della sconfitta, e in quanto tale interna alle leggi inaggirabili
della guerra, la forma della contraddizione politica che andrà ad alimentare,
sarà veicolata dalle tematiche proprie della battaglia politica al soggettivismo
d’O, e ciò perché la coscienza che l’O ne ha è
limitata a questo tipo d’errori. In questo nuovo quadro, però,
la critica al soggettivismo idealista perdeva via le connotazioni complesse
che aveva avuto fino a pochi mesi prima, per deformarsi, appiattendosi su un
unico nodo, quello dell’errore di dialettica Partito/masse, che finisce
con l’assurgere ad errore per eccellenza, al quale si imputa il fatto
di non aver realizzato il passaggio di fase. Questo filo a piombo a cui viene
piegatala critica al soggettivismo, finisce con lo stravolgere la giusta critica
relativa all’aver interpretato come fase offensiva l’offensiva della
guerriglia, per farla diventare mera critica al combattimento, quale terreno
di dialettica identificato quale sola indicazione organizzativa per le masse.
Per la prima volta emerge in modo esplicito la negazione di quello che nella
guerra di classe è la dialettica con la classe, ovvero la sua organizzazione
in forme e modi specifici alla fase sulla LA, nel senso che per la prima volta
ci si richiama ad una non bene identificata “politica rivoluzionaria”
definita appositamente per dialettizzarsi con i milioni di proletari e in cui
la strategia della LA sarebbe l’aspetto più avanzato. Ovvero, a
partire dall’analisi dell’attività generale delle masse,
l’avanguardia si pone come quella tesa a riunificare e generalizzare i
contenuti e le forme di lotta più avanzate che essa esprime. Una accezione
che mortifica a codismo il ruolo dell’avanguardia privandolo del riferimento
rivoluzionario adeguato.
Se questa è l’indicazione nel rapportarsi con le masse, l’attività
di combattimento è terreno di proposta solo per le avanguardie. Uno sbocco
questo che nei fatti separa l’unità del politico e del militare,
l’avanguardia della classe, e introduce la dissoluzione della proposta
strategica in cui la LA diviene nei fatti il sostegno all’attività
di massa. Paradossalmente l’O passa dal fallimento del SPPA secondo la
logica dei PI, che presupponeva la classe organizzata sulla LA, alla negazione
totale di questo presupposto: o le masse sono conquistabili sulla LA a milioni
o non è dialettica! Conseguentemente, una siffatta conquista a “milioni”
non può che spostarsi nel tempo, cioè quando le condizioni di
coscienza saranno evolute e i rapporti di forza adeguati. Da qui la tentazione
di una attività di direzione solo politica di orientamento di quello
che già esprimono i proletari, di fatto riscoprendo il lavoro politico
come cosa separata da quello militare.
Il fatto che l’O, malgrado i notevoli avanzamenti registrati dal ricentramento
stia inconsapevolmente scivolando nella morsa dei meccanismi difensivistici
propri alla logica della sconfitta, è un fatto che va considerato come
quasi inevitabile, stante la giovinezza e l’inesperienza che ne deriva
sul piano della coscienza relativa alle dinamiche e leggi della guerra di classe.
Tuttavia ciò non ci impedisce di valutare come l’iniziativa Giugni
si collochi sulla linea della rivoluzione e nella fattispecie quale posto occupa
nella fase di RS. Nel rilanciare l’iniziativa politico-militare, l’O
evidenzia anche in questo caso i dinamismi a cui una forza rivoluzionaria risponde
nell’affrontamento dello scontro, mettendo in luce interamente qual è
la sua disposizione effettiva. In effetti il portato politico del rilancio è
fortemente contraddittorio, a causa dell’influenza difensivistica si innesta
uno stato politico in cui a partire dall’omissione dell’organizzazione
delle masse sulla LA va a dissiparsi la complessità del dibattito sulle
fasi rivoluzionarie, mentre, dall’altro, proprio perché si sta
misurando con il nemico di classe al livello del suo progetto centrale, quindi
sta combattendo al più alto livello della contraddizione classe/Stato,
questo piano pratico promuove ala capacità di evolvere la sua disposizione
rispetto all’approfondimento dello scontro sul piano della capacità
di disarticolazione. Ovvero per avere il massimo risultato politico da utilizzare
sul piano dei rapporti di forza, la disarticolazione deve rispondere già
nei fatti a quei criteri di centralità, selezione e calibramento, un
avanzamento che è il portato del venir meno della concezione di un potere
“trattenuto” in forma estensiva, per diventare una pratica tesa
a ricercare il massimo danno al nemico da tradurre sul piano politico, cosa
che presuppone una disposizione delle forze di fatto già centralizzata
intorno all’obiettivo politico perseguito. Esistono in questo senso tutte
le premesse pratiche di quello che sarà razionalizzato politicamente
più tardi: “colpire militarmente il progetto nemico per avere il
massimo usufrutto”.
L’iniziativa Hunt stigmatizza il completo cambio di scenario nella gestione
pubblica dell’attività dell’O. A dispetto dell’alta
qualità dell’azione che ha disarticolato il progetto imperialista-sionista
di normalizzazione dell’area mediorientale, e che in quanto tale ha avuto
una grande risonanza col riconoscimento da parte delle forze rivoluzionarie
antimperialiste, i contenuti che la veicolano si contrappongono come qualcosa
di estraneo.
Anche solo considerando l’analisi della crisi internazionale in cui è
calata l’azione, colpisce come non siano riconoscibili quei criteri con
cui l’O ha sempre analizzato l’imperialismo, prevalendo nettamente
una lettura regredita dei suoi passaggi storici. Il risultato è un’esposizione
cronachistica e didattica appositamente formulata per una funzione di chiarificazione
alle masse delle problematiche internazionali entro cui interagiscono le politiche
dell’imperialismo, le quali sono in ultima analisi oggetto di denuncia
in chiave democraticista (come dimostra lo spazio dedicato all’ONU. Del
resto non potrebbe essere diversamente, perché questa esposizione risulta
essere il logico corollario delle finalità perseguite dall’O, sintetizzabili
in una attività rivoluzionaria di appoggio alla lotta di massa da orientare
contro i processi di guerra imperialista palesati in quel momento dall’O.
In questa nuova versione dell’attività rivoluzionaria incarnata
dall’iniziativa Hunt è vanificata tutta la ricchezza propositiva
dell’impostazione antimperialista precedente e precisata con Dozier, soprattutto
rispetto al FCA, ma meno che mai possono trovarsi cenni alla LA!
L’opuscolo n. 19 esplicita in forma compiuta il cambio di scenario già
individuabile in Hunt: quello che ci interessa esaminare è il processo
che consentirà l’insediarsi dentro l’O in forma dominante
di un complesso di tesi assolutamente estranee alla storia, proposta e impianto
d’O. Per capire il cambio di scenario va considerato lo stato di crisi
politica organizzativa in cui versava l’O, in quanto fino a quel momento
non aveva potuto dare risoluzione al complesso dei nodi emersi all’apertura
della RS. Il rientramento parziale di alcuni aspetti, anche se fondamentali
alla ripresa dell’iniziativa d’O non l’avevano risollevata
dall’impasse in cui si trovava a causa della sconfitta. Un empasse su
cui pesava la difficoltà di ridefinire le problematiche politiche, teoriche,
d’impianto relative a quel passaggio cruciale della “Propaganda
Armata” alla definizione della fase che la doveva sostituire, problematiche
messe in crisi con la critica al soggettivismo, ma non rettificate nel loro
complesso. Uno stato di incertezza che è debolezza politica alimentata
dalla più generale situazione di arretramento e debolezza politica del
movimento rivoluzionario e di classe quale fattore non indifferente rispetto
a come la stessa O percepiva ala sconfitta e a come subiva le dinamiche di demoralizzazione
delle forze. Ovvero, alle contraddizioni irrisolte si univa la pressione schiacciante
del difensivismo che pervade inconsapevolmente l’O con tutto il suo portato
di influenza negativa nella ricerca delle risoluzioni politiche da dare al rapporto
Partito/masse. Contraddizioni come sappiamo già presenti con l’azione
Giugni, tuttavia sarebbe sbagliato pensare che le tesi dogmatiche siano la loro
evoluzione lineare, perché, pur presentando tratti simili entrambe riconducibili
alla dinamica difensivistica, nel primo caso sono comunque suscettibili, per
la loro natura, di essere corrette dalla prassi, quindi non destinate ad innescare
nell’O un’elaborazione teorico-pratica in grado di portarle a quel
livello di compiutezza espresso dalla concezione dogmatica.
In concreto, le tesi dogmatiche possono inserirsi nell’O sul terreno fertile
dato dall’intreccio tra contraddizioni irrisolte e nuove contraddizioni,
terreno galvanizzato dal contesto materiale dello scontro che determina quella
condizione di debolezza dell’O sulla quale è possibile l’accettazione,
in prima istanza acritica, di queste tesi, favorite anche da un altro fattore
negativo, l’influenza dei prigionieri sull’O, che in quella fase
assume particolari caratteristiche. Per capire ciò va considerato come
i meccanismi di demoralizzazione delle forze e dell’interiorizzazione
della sconfitta che si sviluppano in un arretramento politico di questa portata,
hanno il loro riflesso preciso nella condizione politica della prigionia. Perché
se nell’attività concreta questi meccanismi possono essere prima
o poi capiti e governati o comunque contenuti dall’agire rivoluzionario,
nella prigionia si sviluppano nella loro pura forma negativa, a causa delle
condizioni obiettive di separatezza dall’attività concreta e per
effetto della cattura e dello stato di prigionia. È in ragione di queste
dinamiche, in quanto, una volta catturati, la percezione della sconfitta in
carcere diviene assoluta, influenzando tutti i loro atti politici e la loro
lettura della realtà dello scontro. In questo contesto si innescano dei
processi di elaborazione politica caratterizzati dal loro svolgersi sul piano
astratto della teoria, che per questo consumano rapidamente il passaggio dalla
battaglia al soggettivismo idealista che viene esteriorizzato fino al punto
di farlo combaciare con il presunto impianto guerrigliero dell’O. Queste
conclusioni politiche che coinvolgevano una consistente parte dei militanti
d’O arrestati in quel periodo, manifestavano al massimo grado l’interiorizzazione
della sconfitta che a vari livelli imperversava nella prigionia in quel momento.
Nel contempo l’O a causa della sua condizione di debolezza che ne determinava
un’incertezza politica, sentiva la necessità di avere il contributo
dei militanti incarcerati, ed è in questo stretto rapporto che la produzione
carceraria penetra ad ondate successive il dibattito interno all’O. Questo
stato interno dell’O spiega come questo dibattito sia potuto penetrare
senza troppe resistenze fino a dominare la sua proposta politica arrivando a
mettere a repentaglio l’intera sua identità e l’impianto
strategico originario. Che in larga misura si tratti di un dibattito preconfezionato
e non un processo di elaborazione proprio dell’O è testimoniato
da come si presenta nella sua forma pubblica il «19», un prodotto
politico che introduce tesi radicalmente estranee a quelle dell’O, che
si sostituiscono alla precedente impostazione senza che questo mutamento sia
motivato, come un cambio di pagina che si sorregge a malapena con vistose lacune
ed omissioni proprio nei punti cruciali che riguardano l’82, e più
in generale salta agli occhi la totale assenza di riferimenti alla Strategia
della Lotta Armata e a tutto ciò che ha a che fare con la guerra di classe,
le fasi rivoluzionarie, ecc…
Questo quadro non sarebbe completo se non si considerasse lo stato di destrutturazione
del corpo militante che ha senz’altro rallentato la presa di posizione
critica verso queste tesi, perché in tal modo ha sfavorito nell’articolare
la dialettica con la direzione, in un contesto in cui tutta la discussione era
avocata dalla direzione e poi immessa nel resto dell’O. Questo stato spiega
altresì come sia stato possibile che queste tesi prevalessero fino alla
forma pubblica in quanto erano maggioritarie nella direzione ma non nell’O
nel suo complesso. E quindi spiega perché, una volta organizzato lo schieramento,
la messa al bando di queste tesi sia avvenuta con un’espulsione e non
con una scissione.
Detto ciò, il dato politico principale è che queste tesi sono
potute entrare nell’O, anche se per breve tempo, in rapporto alla sua
debolezza politica, incarnandosi nei varchi lasciati aperti dalle problematiche
del mancato passaggio di fase, irrisolto a causa della sconfitta. Più
in particolare è come se la sconfitta avesse posto un’ipoteca negativa
sulla ricca problematica propria all’impianto d’O della conquista
delle masse sulla LA, divenendo un discorso irriproponibile in quanto tale e
rovesciato nella sua natura come l’«errore» per antonomasia
che ha il suo fulcro sul rapporto Partito/masse. Un rovesciamento che tutt’altro
dall’essere un esame critico della problematica, è l’espressione
massima del difensivismo penetrato nell’O, ed è per questo che
le tesi dogmatiche sembrano dare una risposta alla problematica irrisolta. Ovvero
tesi concepibili solo da una logica di sconfitta, come era quella dei prigionieri,
in quanto tale una negazione dell’esperienza della Strategia della LA,
potevano entrare in relazione nell’O perché questa logica della
sconfitta non era che l’estremizzazione di uno stato difensivistico proprio
anche all’O. A pochi mesi dal «19», grazie alla verifica pratica
che rende evidente la totale illegittimità di questa tesi sul piano rivoluzionario
e di classe, grazie anche a quanto pesa l’interezza della storia d’O
sul corpo militante e nello scontro, tale da non consentire a lungo la cittadinanza
di queste tesi, si formalizzerà nell’O il conflitto irricomponibile
tra le 2 posizioni, che in breve arco
Sulla battaglia politica, quello che ci interessa rimarcare è come la
difesa intransigente dell’impostazione strategica d’O presenta l’apparente
contraddizione di essere lacunosa proprio nei suoi presupposti di fondo, e cioè
l’organizzazione della classe sulla strategia della LA. Questo testimonia
come l’O sia rimasta segnata dal fatto che un tentativo così complesso
come quello di organizzare la classe sul terreno della LA che l’O aveva
promosso e cercava di dirigere ed organizzare sia rimasto, a causa delle modalità
assunte dallo scontro rivoluzione/controrivoluzione come “inficiato”
nella sua possibilità di essere realizzato, perché è evidente
che la controrivoluzione messa in campo dallo Stato e dalla borghesia ha assunto
delle caratteristiche in rapporto proprio ad una situazione di guerra civile
strisciante, nella quale veramente spezzoni di classe erano disponibili ad essere
organizzati sulla LA, come effettivamente in parte lo erano in un quadro di
scontro rivoluzionario e di classe in cui c’era un consenso rivoluzionario
e di massa verso la progettualità delle BR. Quindi la risposta dello
Stato è commisurata all’eventualità che si stava realizzando,
di una classe armata dentro un progetto rivoluzionario definito nel suo percorso
e finalizzato alla presa del potere, al di là dei limiti ideologici di
soggettivismo che l’O aveva in sé, che però all’interno
di un rapporto rivoluzione/controrivoluzione non costituivano i fattori scatenanti
la controffensiva.
Il ridimensionamento derivato dalla controrivoluzione è erroneamente
imputato a questo tentativo rivoluzionario in quanto tale, proprio perché
su di esso ha agito l’impatto della controrivoluzione, e ciò al
di là delle motivazioni date dall’O in quel momento. Questi sono
i motivi per cui nell’opera di ricentramento dell’O, questo è
l’ultimo nodo che potrà essere affrontato, rimanendo per lungo
tempo omesso letteralmente dalle riflessioni e dai ricentramenti teorici e politici
dell’O, tanto è vero che nei materiali preparatori della battaglia
politica i contenuti relativi alla prospettiva di costruzione del processo rivoluzionario
in relazione alla proposta alla classe, non si distinguono da quelli della “2°
posizione”, per paradosso l’autoaccusa di aver scambiato le avanguardie
con la classe a motivo della sconfitta, qui viene effettivamente assunta e praticata
escludendo praticamente le masse dall’essere organizzate sulla LA (terreno
questo riservato alle avanguardie e ai comunisti), e prospettando loro una dialettica
basata sul fatidico “programma” che, in ultima analisi, lascia al
mero lavoro politico il lavoro di massa.
La contraddizione si manifesta nell’omissione di un termine della dialettica
distruzione/costruzione propria allo sviluppo della guerra di classe. Questa
contraddizione da un significato limitante alla critica fatta in quel momento
dall’O al gradualismo e alla linearità nella concezione del processo
rivoluzionario, in quanto fatta ruotare sul discorso tabù dell’organizzazione
delle masse sulla LA, divenendo sinonimo di contropotere territoriale, negando
con questo che sia un problema costante della guerra di classe rimandato “sine
die” nella sua solvibilità come nodo. La messa al centro che lo
sviluppo del processo rivoluzionario non procede per accumulo graduale e progressivo,
ma per salti e rotture, stante questo limite, non riceve la valorizzazione appropriata
ad un avanzamento di questo genere, perché rimane privato dalla sua concretizzazione
sul piano della guerra di classe. Ma soprattutto l’omissione del termine
della costruzione si riflette in negativo sul principio della costruzione/fabbricazione
del Partito derubricato ad una questione astrattamente leninista che, in ultima
analisi, rimanda alla sua “costituzione”, al fatto che i comunisti
sono d’accordo sulle tesi, e l’unità dei comunisti diverrebbe
decisiva allo sbocco rivoluzionario, cioè la presa del potere. Una soluzione
che si differenzia dalla “2° posizione” solo perché non
è codista nella concezione d’avanguardia, ma che dimentica come
la direzione di una guerra di classe richiede lo sviluppo di dirigenti adeguati
che solo la maturazione della guerra di classe e la sua precisazione programmatica
può produrre, fino ad allora la condizione di Forza Rivoluzionaria rimane
quella più corrispondente come capacità di direzione dello scontro
al livello di sviluppo reale del processo rivoluzionario.
Trascorrono alcuni mesi dall’ espulsione della “seconda
posizione” e l’uscita pubblica dell’O. Mesi cruciali e fondamentali
a preparare sul terreno teorico-politico il rilancio dell’iniziativa recuperando
tutti i caratteri distintivi dell’agire rivoluzionario d’O. che
partono dall’azione combattente. L’unicità pubblica dell’O.
con l’opuscolo 20 e Tarantelli porta con se una riqualificazione dell’impianto
e della coscienza che ha l’O. dello scontro, coscienza forgiata da questa
battaglia e dal misurarsi con le problematiche del rilancio dell’iniziativa
combattente. In questo senso è evidente che tra l’iniziativa G
e T non c’è mera progressione in avanti, ma vero e proprio atto
di maturazione passato attraverso l’affrontamento e risoluzione della
contraddizione e più in generale del risollevamento dalle crisi politiche.
Un salto che ridetermina la collocazione e il prestigio dell’O sia rispetto
al movimento di classe, sia nella sua capacità di confrontarsi col nemico.
Nell’aver affrontato e risolto una battaglia che sostanzialmente era un
tentativo di liquidazione della LA, si sono attinte tutte le risorse dei militanti
che ne avevano consapevolezza, obbligandoli a mettere al meglio l’impostazione
politica strategica ed ideologica di riferimento, attingendo dallo spessore
politico prodotto dall’attività dell’O. Ovvero, se questa
battaglia è stata obiettivamente di difesa ed anzi di retroguardia, rispetto
all’attacco alle concezioni strategiche dell’O, il poterle sostenere
ha obbligato i militanti d’O a far compiere uno strappo in avanti alle
chiarificazioni del processo autocritico, nel senso che tutti i parziali aspetti
di chiarificazione ricevevano un impulso tale da ricomporre in una visione organica
i principali nodi alla base delle motivazioni che rendono necessaria la strategia
della LA, riqualificando l’impianto originario dell’O in termini
di maggiore scientificità. Per tutte queste ragioni, l’iniziativa
T e l’Opuscolo 20 configurano il primo vero momento ricompositivo dopo
Dozier, rispetto al movimento rivoluzionario e di classe perché l’O
con la gestione di questo passaggio politico esprime la capacità di assumersi
i reali processi politici che si sono determinati nello scontro dall’apertura
della RS potendo dare valutazioni, indicazioni chiare ed inequivoche in grado
di riassestare l’indirizzo che deve percorrere il processo rivoluzionario,
sul quale convogliare tutte le energie proletarie e rivoluzionarie presenti
nello scontro, sapendoli effettivamente dirigere in rapporto al suo approfondimento.
Per questo nell’ambito di riferimento delle avanguardie rivoluzionarie
e di classe queste indicazioni segnano un punto di non ritorno e un approdo
qualificante da cui non è possibile prescindere. Questo dato politico
qualitativo è ravvisabile immediatamente da come l’O ora è
in grado di collocare la sconfitta, sapendo analizzare criticamente la natura
della controffensiva antiproletaria e controrivoluzionaria degli anni ’80
all’interno delle dinamiche generarli e particolari che l’hanno
promossa, nella coscienza che l’origine della controffensiva risiedeva
principalmente nei movimenti che a livello generale presentava la crisi dell’imperialismo,
che motivavano le esigenze impellenti della BI, dinamica che avrebbe portato
la borghesia comunque a stringere i conti col proletariato e la sua avanguardia
rivoluzionaria.
Un dato di sostanza politica questo, che fa testo del grado di maturità
dell’O nel riesaminare col giusto equilibrio il rapporto tra le proprie
deficienze e il movimento complessivo dei fattori in campo, liberandosi finalmente
dal peso della ricerca ossessiva degli errori che tanto ha contribuito a condurla
nel vicolo cieco delle concezioni dogmatiche. Questo primo passo che la riporta
ad un giusto rapporto rispetto al ridimensionamento subito, è la premessa
per uscire dal difensivismo, governandone i condizionamenti. L’altro importante
dato qualitativo sta nel bilancio contenuto nel «20»: bilancio certamente
dovuto, ma che l’O è in grado di tracciare dalla posizione politica
che ha acquisito con la risoluzione di questa crisi, usufruendo quindi nelle
valutazioni di questa maturità politica che le consente di tracciare
tutto il percorso svolto dall’O fino all’affrontamento della contraddizione
liquidazionista, non solo in funzione di ristabilire la verità storico-politica
messa in discussione da questo attacco, ma di precisarla, facendo spiccare il
movimento reale che l’O ha impresso al processo rivoluzionario in tutta
la sua dialettica e materialità. Solo l’O può isolare l’effettivo
portato del soggettivismo e le ragioni che lo hanno alimentato, riconducibili
alla crescita sul territorio nazionale della LA e alla giovane esperienza sull’incanalamento
di questo processo. Solo ora, cioè si può finalmente affermare
che l’empasse su cui si è arenato il processo rivoluzionario è
stata quella di non aver saputo, a conclusione della Fase di PA, definire le
tappe e la tattica necessarie per il raggiungimento del primo obiettivo: la
conquista del potere, una questione di non poco conto, considerato che questo
era il nodo flagrante della sua inadeguatezza.
Per l’O aver individuato questo fattore di inadeguatezza, unitamente alla
concezione lineare e progressiva del processo rivoluzionario che ne è
alla base, pur non essendo in grado in quel momento di dargli soluzione, l’averlo
individuato costituisce il prerequisito per il suo affrontamento cosciente quando
matureranno le necessarie condizioni. E questo perché nel quadro di quel
bilancio non erano presenti le condizioni oggettive e soggettive per la comprensione
della problematica, cosa che avrebbe richiesto una critica più approfondita
sulle implicazioni in negativo della visione lineare del processo rivoluzionario.
Infatti la semplice individuazione dell’errore di definizione della tappa
è pur sempre calata in una visione di risoluzione ravvicinata della presa
del potere, il cui nodo era visto dall’O nel salto al Partito, da compiere
correttamente rispetto al rapporto Partito/masse. Una visione cioè che
lasciava fuori il richiamarsi alle fasi rivoluzionarie e al loro succedersi
dentro al grado di approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione,
cosa che avrebbe dato i termini concreti per valutare in quale tappa si trovava
il processo rivoluzionario, o meglio quale fase andava a definita in rapporto
al suo effettivo quadro strategico.
Un tipo di valutazione che in quel momento non era alla portata dell’O
anche perché avrebbe richiesto di assumere la guerra di classe come il
modo di esistere in ogni fase, pur in forma diversa, del processo rivoluzionario,
visto il suo svolgersi discontinuo. Una discontinuità dentro la quale
solo può trovare spessore il giusto concetto dello svolgersi del processo
rivoluzionario per salti e rotture. Sulla base dell’evoluzione politica
raggiunta, l’O può affrontare in termini complessivi i nodi su
cui aveva perso di sostanza: Stato, Partito, classe, e i più generali
criteri di analisi storico-politica, relativi all’imperialismo ed alla
crisi. Un affrontamento che si avvale dei risvolti già sedimentati in
termini di classificazione nella battaglia al soggettivismo, ma che aveva i
suoi contenuti teorici rispetto alla necessità di argomentare la relazione
che esiste tra i caratteri di questi nodi e l’adeguamento del processo
rivoluzionario, nel senso che le caratteristiche dell’imperialismo, della
crisi e soprattutto dello Stato, del Partito, hanno un intimo legame con la
legittimazione della Strategia della LA, la cui esistenza è giustificata
storicamente in primo luogo dal suo essere adeguata a confrontarsi con le forme
di dominio dello Stato. In questo senso, viene anche ricollocato nel suo più
giusto significato il ruolo della guerriglia rispetto al revisionismo storico
che va rapportato ad un preciso piano politico (quello di battaglia dentro al
movimento di classe), sgombrando il campo dalla mistificante motivazione che
l’antirevisionismo sia a fondamento dell’esordio della LA.
Stabilire i nessi delle ragioni strutturali su cui, in ultima analisi, poggia
la rottura operata dalla LA, risponde più in generale all’esigenza
politica di portare a fondo la battaglia contro le tesi dogmatiche consapevole
che, sebbene l’O le avesse espulse, queste nella condizione di arretramento
delle posizioni rivoluzionarie e di classe avevano trovato una certa diffusione,
rispetto alla quale non sono stati indifferenti la diffusione del «19»
e del volantino Hunt. Proprio per confutare il riemergere di concezioni inadeguate
ed arretrate, come lo Stato-nazione (con una lettura retrodatata dell’analisi
di classe, fino alla riproposizione delle alleanze interclassiste), l’imperialismo
riportato all’epoca di Lenin, i blocchi basati su motivazioni ideologiche,
l’internazionalismo ridotto al solidarismo, ecc…, l’O recupera
tutto quello che è il patrimonio sedimentato nel corso del processo rivoluzionario
a livello degli architravi analitici, cioè FES, affermazione del capitale
monopolistico-multinazionale, Stato imperialista, ecc…e, privato delle
sue venature idealistiche, lo porta ad una più alta maturazione. Questo
processo di evoluzione politica consolida l’impostazione dell’impianto
politico-strategico dell’O che ha come corollario la difesa estrema dei
concetti strategici della guerra di classe, dell’unità del politico
e del militare, dei criteri di disarticolazione che, in quanto tali, salvaguardano
l’impianto fondamentale nella sua integrità. Se indubbiamente il
«20» riflette uno stato politico diverso dal momento della battaglia
politica, in cui il nuovo livello di unità raggiunta materializza la
maturazione politica avvenuta, ciò nonostante si ritrovano insoluti quegli
stessi nodi che nella battaglia politica non erano stati superati, e si presentano
nel quadro di riaffermazione dell’impianto strategico, come elementi di
contraddizione. A fronte della riaffermazione sul piano generale della guerra
di classe prolungata, vi è l’assenza su come essa possa vivere
fino alla conquista del potere; a fronte dell’approfondimento del principio
di disarticolazione, vi è l’assenza di riferimenti alla costruzione;
la questione del Partito è censurata dal principio di costruzione, in
ultima analisi l’indicazione pratica della proposta rivoluzionaria è
soggetta a questo tipo di contraddizione che, se dovesse essere presa alla lettera,
porterebbe a concludere che l’O propone la LA delle avanguardie e la relazione
con la classe mediante il programma, non differenziandosi sostanzialmente dalla
pratica proposta dalla 2° posizione!
Nonostante questa apparenza questi elementi di contraddizione non sono l’indice
di una permanenza di residui dogmatici, più precisamente la contraddittorietà
va ricondotta alla non risoluzione dei nodi rimasti aperti dall’82 con
la sconfitta, ovvero quelli relativi al cambio di fase ed alla tattica conseguente
da definire. Nodi che però l’O nel corso dell’elaborazione
politica avvenuta in quegli anni è riuscita ad identificare sul loro
piano generale, ma che in mancanza dello sviluppo di esperienza che le consenta
di acquisire gli elementi per padroneggiarli, restano enunciazioni prive di
consequenzialità politica. Inoltre, l’indefinitezza con cui l’O
esprime le modalità entro cui deve svilupparsi il rapporto con la classe
sul terreno della LA, pur avendo come conseguenza quella di privare la disarticolazione
dell’elemento dialettico della costruzione, non costituisce il substrato
di una contraddizione tesa a delimitare lo sviluppo della guerra di classe solo
nello scontro tra guerriglia e Stato, piuttosto manifesta il massimo della coscienza
sulla problematicità di questo nodo su cui grava l’ipoteca degli
errori del passato, quando l’O si è trovata a mettere in pratica
un processo complesso come quello di organizzare le masse sulla LA. Un passaggio
estremamente importante della guerra di classe che si è inceppato sulle
inadeguatezze presenti nell’O in quel periodo, ma che ha segnato comunque
il precedente più significativo nell’esperienza della guerriglia
in Europa. Un precedente da cui l’O ha tratto insegnamenti divenuti patrimonio
generale per qualsiasi guerriglia nella metropoli, sia come leggi della guerra
(guerra senza fronti, soggetta all’accerchiamento strategico, e che la
forza acquisita deve riversarsi sui rapporti di forza generali tra le classi,
ecc…) sia sul piano dell’impostazione marxista-leninista per cui
questa forza acquisita non può essere dirottata dentro a rapporti di
potere nel sociale a fini economicistici o nella concezione di contropotere.
Tutti insegnamenti su cui l’O si arrocca e che, pur non potendo andare
oltre, le consentono quanto meno di assumere l’impostazione corretta su
come potranno essere affrontati, un arroccamento che però ha anche un
effetto paralizzante per tutti quegli aspetti che riguardano il come l’O
si rapporta alla classe nonostante il consolidato criterio che il ruolo di direzione
dello scontro comprende le indicazioni su come organizzare gli spezzoni di classe
che si muovono contro lo Stato ovvero dirigere ed organizzare la guerra di classe)
e che si risolve nel fatto che l’O si attiene alle sole indicazioni di
carattere politico generale che come tali sono prive in quel momento di significato
pratico. In conclusione questa è l’attestazione politica raggiunta
dall’O su questo problema in quel momento e, d’altra parte, considerando
il grado di evoluzione del processo rivoluzionario fino allora, non pensabile
che potesse sviluppare risoluzioni di altro tipo, in quanto in quel contesto
di scontro la questione fondamentale assolta oggettivamente dall’O è
stata di mantenere aperta l’opzione rivoluzionaria a partire dalla capacità
dell’O di esistere politicamente, questo come risultato obiettivo che
configura il tragitto reale compiuto dall’O dentro le caratteristiche
della RS. Un elemento di tenuta che, nella difensiva strategica, costituisce
fondamento dei processi di ricostruzione e rilancio, proprio perché qui
per tenuta non si intende mera resistenza ma capacità di riaffermazione
della propria proposta e del proprio impianto, che è tale perché
riadeguati all’interno di un processo che, dagli accumuli quantitativi,
ha maturato un salto di qualità, dando risoluzione alla maggior parte
dei problemi presenti al momento della rottura della RS.
Per tutto ciò, le contraddizioni residue nel «20» e i necessari
processi di riassestamento presenti nell’O costituiscono problemi di ordine
secondario, in quanto suscettibili di essere rettificati nel corso del processo
di riadeguamento, pur nella sua inevitabile discontinuità e problematicità,
e questo perché a monte sono solidi i riferimenti necessari a livello
di impianto strategico che consentono di procedere verso lo sviluppo delle condizioni
politiche, pratiche, teoriche del rilancio del processo rivoluzionario. Rilancio
che per l’O vive strettamente in rapporto alla sua dinamica materiale
data dallo sviluppo delle condizioni del movimento di classe, delle politiche
dello Stato e della condizione delle avanguardie, ed è in rapporto a
questa dinamica che ha senso per l’O parlare di critica-auocritica-trasformazione.
Le caratteristiche che manifesta l’iniziativa politico-militare
C. segnalano un tipo di problematica le cui avvisaglie si erano già riscontrate
nel periodo della battaglia politica con la 2° posizione (difficoltà
nei tempi di schieramento) e nelle circostanze che hanno portato al fallito
esproprio. Ancora una volta all’interno del processo di evoluzione politco-generale
dell’O convive un movimento negativo riconducibile in questo caso alle
dinamiche di esistenza di una F.R. dentro la ritirata. In questo caso il movimento
negativo è rappresentato in primo luogo nell’impoverimento del
corpo militante e della sua disattivazione dai meccanismi propri di funzionamento
politico-organizzatibvo. Una problematica che ha la sua origine nelle modifiche
al modulo che l’O ha dovuto fare con l’82 i cui effetti negativi
si sono potuti produrre solo a distanza di tempo. In questo senso, malgrado
tutta l’O si fosse attivizzata nello schieramento contro la 2° posizione
e malgrado le altre risultanze politiche del «20», il corpo militante
era impoverito dalle risorse per andare oltre all’attestazione su queste
risultanze, in quanto lo stesso fatto che fosse passata nell’O una contraddizione
liquidazionista, indice delle debolezze in cui versava, ha lasciato le forze
militanti politicamente provate, impossibilitate a usufruire delle risorse politiche
che l’O ufficialmente aveva espresso, paralizzate com’erano dalla
disattivazione in cui l’O versava. Per questo questa specifica problematica
presenta il suo conto a ridosso della battaglia politica, portando anche i segni
del fallito esproprio.
Lo stato di indebolimento politico-organizzativo delle forze militanti era quanto
di più permeabile a risentire delle forme di difensivismo proprie di
quel momento di scontro, che si riflettevano in una logica di tenuta e di difesa
strema della condizione organizzativa dell’O dai pericoli di ulteriori
ridimensionamenti, un circolo vizioso paralizzante, che finisce col sottomettere
le finalità dell’attività d’O alla sua sopravvivenza
organizzativa. Un circolo vizioso molto pericoloso che fa aleggiare il rischio
di una endemizzazione della LA, in quanto, non riuscendo a porsi in termini
di rilancio del processo rivoluzionario in rapporto ai bisogni generali del
proletariato, l’attività prodotta poteva innescare una logica di
scontro tra apparati. Un rischio che non è peregrino nelle situazioni
di arretramento del processo rivoluzionario e di ridimensionamento delle forze
a cui l’O è riuscita a far fronte grazie al suo spessore e al suo
peso storico-politico.
Considerato il venire al pettine di queste dinamiche negative, la situazione
che si è determinata faceva sì che rispetto alle risultanze del
«20», l’O riuscisse solo ad attestarcisi, cosa che, nel quadro
di approfondimento di tutti i fattori dello scontro, significava non riuscire
ad essere adeguata, vale a dire di non riuscire ad utilizzare gli stessi strumenti
politici che si erano prodotti per reimpostare la propria iniziativa in relazione
al delinearsi dei nodi che andavano affrontati nello scontro. Un empasse che
si traduceva nel rimanere ancorati nella precedente definizione degli obiettivi
(patto neocorporativo), con l’aggravante di ricercarli in base alle proprie
capacità organizzative.
In questo quadro si spiega l’iniziativa C, che in linea di principio doveva
essere tesa a colpire le politiche di riarmo, che però vengono lette
e anche deformate a misura dell’obiettivo, il problema generale non era
perciò l’esistenza di tendenze politiche errate nell’O, ma
la reale tendenza a piegare l’interpretazione della LP a quello che era
possibile fare, ed era questa spinta che produceva le distorsioni, l’impoverimento
stesso della lettura dello scontro e dell’affermazione del piano propositivo.
Qui si conferma come nell’attività rivoluzionaria della guerriglia
non ci può essere divaricazione tra grado di espressione politica e piano
organizzativo adatto a sostenerla, pena la vanificazione dei risultati politici.
Quello che soprattutto manifesta l’iniziativa C è invece il piegare
allo stato organizzativo quello che l’O doveva fare, mettendo così
in discussione le sue risultanze politiche e soprattutto il suo avanzamento,
e questo in particolare è dimostrato dal disattendere nella pratica i
criteri della disarticolazione rispetto alla contraddizione dominante tra classe
e Stato come pure tra imperialismo e antimperialismo. Detto questo, sul piano
pubblico C si qualifica ugualmente come iniziativa politico-militare che comunque
contribuisce e lascia il suo peso sul piano del mantenimento dell’opzione
rivoluzionaria.
Considerato che le problematiche che si presentano dopo la battaglia politica
sono affrontabili sul piano delle rettifiche interne, anche quelle che si sono
manifestate in C e nel fallito esproprio vengono assunte dall’O come problemi
e contraddizioni che si possono dirimere nell’ambito di processi di assestamento
interno. Va considerato a questo proposito come nei quadri più avanzati
dell’O ci fosse coscienza della natura di queste problematiche grazie
ai saldi insegnamenti lasciati dal salto politico compiuto dall’O. la
Bozza quindi è uno di questi strumenti di assestamento interno, concepita
proprio per riattivizzare le forze militanti nella pienezza del loro ruolo,
in questo senso una base di dibattito che raccoglie tutti i contributi, cosa
questa che può farla apparire un prodotto disorganico. In realtà
anche quella forma è un momento necessario ai fini di una razionalizzazione
politica delle incongruenze esistenti utile ad innescare un processo politico
riorganizzativo per uscire dall’empasse.
Rimettere in gioco le forze militanti diveniva indispensabile affinché
l’O si potesse disporre in maniera adeguata di fronte ad un quadro di
scontro che andava a mutare e che richiedeva la capacità di usufruire
dei criteri avanzati stabiliti nel «20», non in senso statico, ma
come strumenti di lettura della realtà. In questo senso la discussione
stimolata dalla «Bozza» aveva per oggetto l’appropriazione
e l’approfondimento della sostanza delle tematiche da analizzare anche
per colmare lacune che erano emerse con l’iniziativa C. considerata la
coscienza che avevano i quadri dell’alto livello raggiunto dall’O,
queste lacune non si dovevano più ripresentare, pena non solo non qualificare
sufficientemente questo salto, ma rimanere nei fatti arretrati rispetto ai compiti
posti dallo scontro. In sintesi, a monte dell’ideazione della «Bozza»
c’è chiarezza sui fini perseguiti, nel senso che ben oltre alla
semplice attivizzazione del dibattito, lo scopo è quello di rimettere
in moto il complesso meccanismo di funzionamento dell’O, dentro al quale
ogni militante deve diventare un quadro complessivo e riuscire a rappresentare
e a far vivere la proposta rivoluzionaria nelle condizioni più difficili
quali quelle imposte dallo scontro. Una riqualificazione delle forze militanti
per questo motivo inderogabile e che prospettava, dentro la reimpostaziopne
del lavoro, un salto di coscienza in grado di far proprio sia il portato storico
politico dell’O, sia in termini di prospettiva del processo rivoluzionario.
Scopi che, seppure non sono espliciti nella «Bozza», sono ravvisabili
da alcuni passaggi lì inseriti, indizio della messa in moto di questo
processo.
L’esproprio e il volantino di rivendicazione sono il primo risultato di
questo processo di riassestamento interno e di riadeguamento complessivo allo
scontro e dimostrano la coscienza con cui questo processo viene guidato. Costruzione
dell’iniziativa e sua gestione politica rispecchiano punto per punto l’articolazione
di questo adeguamento nonché dei suoi fini politici immediati, ovvero
la riattivazione del corpo militante e il militante complessivo, a partire dalla
coscienza che è una giusta impostazione della prassi a consentire di
cristallizzare nei militanti i principi e i contenuti che si vogliono far vivere.
Da un lato la necessità di riaffermare nella coscienza dei militanti
la capacità della guerriglia di operare nella metropoli secondo le sue
proprie leggi: rompere l’accerchiamento, occupare il territorio, ritirarsi
e in questo senso l’iniziativa ha in sé anche lo scopo propedeutico
di liquidare le tendenze di difensivismo organizzativista, dall’atro,
sul piano del suo significato pubblico, l’esproprio qualifica i termini
di riorganizzazione del processo rivoluzionario che l’O si propone di
rilanciare, e sotto questo aspetto tutto il volantino, pur nella sua sinteticità
è calibrato per rendere questi termini facendo risaltare in ogni suo
passaggio la presa di coscienza della realtà. Questo sia rispetto all’analisi
del passato recente con una complessificazione degli elementi di valutazione
della controffensiva che viene qualificata da quel momento come “vera
e propria controrivoluzione”, sia nell’individuazione della nuova
fase politica, rispetto alla quale l’O dichiara la sua intenzione di attrezzarsi
per affrontarla rilanciando il suo ruolo di direzione.
Nel volantino è altresì visibile come si siano già prodotti
a partire dalla «Bozza» un insieme di risultati, sia come rettifica,
laddove vengono precisati i termini di linea politica, in particolare rispetto
alla disarticolazione, sia come enunciazioni dell’indirizzo che l’O
andrà a sviluppare: brevi ma precisi enunciati che riguardano i caratteri
che l’O intende dare al riadeguamento complessivo, mirato a riqualificare
la direzione dello scontro rivoluzionario, che ha il suo elemento di sostanza
nella riappropriazione complessiva dei termini della guerra di classe. Un dato
riscontrabile anche da come l’O valuta lo stato delle forze in campo dentro
ad un’ottica di guerra di classe per la quale è fondamentale il
calibramento di tutti i fattori in funzione di poter discriminare le forme adeguate
dell’organizzazione di classe sulla LA; questo come un primo momento che
va a colmare la parte mancante nel «20» della dialettica Partito-masse,
ovvero l’incompleto enunciato della costruzione rispetto alla distruzione;
una reimpostaziopne questa individuabile nello slogan: rafforzare il campo proletario
per attrezzarlo allo scontro prolungato contro lo Stato.
L’altro aspetto qualificante il volantino è l’approfondimento
della proposta di fronte nell’ambito dell’antimperialismo, per uscire
dalle secche dell’ideologismo e del dogmatismo in cui la proposta dell’O
era rimasta impigliata negli ultimi anni. Nel volantino c’è la
necessità di definire una proposta adeguata all’analisi concreta
della situazione concreta pur rispecchiando l’internità alla tradizione
del movimento comunista internazionale, da qui la proposta di una politica di
alleanze come termine programmatico dell’O, superando il genericismo del
Fronte di Lotta Antimperialista, e attestandosi sull’inequivocabile “Fronte
Combattente”, riferito cioè alle organizzazioni che combattono,
un realismo politico che ha come sbocco la necessità di dichiarare pubblicamente
l’interesse verso la pratica di fronte di AD e RAF.
Il Bilancio rappresenta una vera e propria piattaforma politica funzionale ad
operare il salto politico delle forze militanti come quadri complessivi, dirigenti
della guerra di classe. Il suo uso è quindi prettamente interno, anche
se i contenuti sono a carattere generale. I temi politici trattati vivono nell’O
come dato di consapevolezza scaturito dall’affrontamento pratico di questo
tipo di problematiche, ma per usufruire in termini di insegnamenti è
stata necessaria un’elaborazione politica per sistematizzarli sul loro
piano generale. In questo senso il bilancio, elaborando l’esperienza che
si è prodotta dall’apertura della RS e in generale da come l’O
ha condotto il processo rivoluzionario si propone di approfondire quelle leggi
della guerra che hanno investito l’O e che governano l’agire rivoluzionario
nella Fase di Ritirata.
Un inquadramento che proprio perché analizza il processo rivoluzionario
dentro a tutti gli aspetti che mette in campo la guerra di classe vuole essere
uno strumento per acquisire una visione complessiva intesa nella riappropriazione
dell’unità dialettica tra distruzione e costruzione, ovvero nella
riappropriazione della dimensione di guerra del processo rivoluzionario, in
sintesi nell’assumere l’unità del politico e del militare
come dato che vive in ogni aspetto dell’attività rivoluzionaria
e in ogni momento dello scontro rivoluzionario, superando la limitazione insostenibile
della LA come pratica delle sole avanguardie comuniste per riappropriarsi della
necessaria logica che sulla LA è basato pure il necessario lavoro politico
nella classe. Una visione indispensabile per inquadrare la propria pratica rivoluzionaria
dentro al movimento complesso che una guerra di classe comporta e che richiede
di prendere atto di peculiari leggi della guerra che emergono dalla sua messa
in pratica. È all’interno di questa visione che è possibile
formare la coscienza di un tipo di militante in grado di proporre e praticare
iniziativa rivoluzionaria, di esprimere direzione dello scontro nella piena
consapevolezza di condizioni sfavorevoli alla rivoluzione. Quindi un tipo di
militante che deve essere in grado di avere in sé il patrimonio sviluppato
dall’O nelle fasi passate necessario a dargli la visione storica e prospettica
del processo rivoluzionario e, nello stesso tempo, fornito degli strumenti di
conoscenza più avanzati per poter valutare il “che fare”
in ogni circostanza, anche in condizioni di ridimensionamento e isolamento.
Ovvero si tratta di fornire il militante della coscienza delle trasformazioni
che ha prodotto il processo rivoluzionario sia rispetto allo scontro, nel suo
approfondirsi e nel mutamento delle fasi rivoluzionarie, sia rispetto allo stesso
nemico di classe che ha raffinato i suoi strumenti di controrivoluzione proprio
misurandosi con la pratica rivoluzionaria.
In sintesi il Bilancio apre questa prospettiva di lavoro politico nella formazione
dei militanti e più in generale rispecchia l’obiettivo politico
maturatosi dopo il «20», e cioè che il processo di riadeguamento
complessivo dell’O doveva comprendere come dato inaggirabile l’evoluzione
dell’O in organizzazione di quadri complessivi, obiettivo posto con urgenza
dall’approfondirsi delle condizioni di scontro e dal suo procedere in
una fase di ritirata e che il salto di qualità fatto col «20»
ha reso palese nella misura in cui questo salto richiedeva le gambe adeguate
per la sua propulsione in avanti.
Con questa coscienza l’O si dispone nel lavoro in modo tale da fare di
questo obiettivo, la formazione, un termine di linea politica.
Entrando nel merito dei contenuti sintetizzati nel bilancio, un dato al centro
delle riflessioni dell’O è proprio il difensivismo, in quanto questo
non può essere circoscritto ad un fenomeno temporale prodotto in relazione
alla sconfitta, né può essere considerato risolto con l’espulsione
della 2° posizione, che di questo è stata la massima espressione;
il difensivismo, in realtà è una logica a cui una FR può
essere soggetta continuamente anche se in forme diverse, nelle fasi di ritirata
a causa di come influiscono su di essa i ridimensionamenti politico-militari.
Questo insegnamento scaturisce dalla riacquisizione dei caratteri generali della
RS come fasi della rivoluzione di cui, sulla base dell’esperienza maturata,
vengono approfonditi tutti gli aspetti e le leggi che le sono proprie, data
dal fatto che l’O ha acquisito i termini di forte discontinuità
del processo rivoluzionario. In sintesi la lettura della RS supera tutte le
interpretazioni parziali date in precedenza soprattutto quella riduttiva che,
attribuendo alla RS la funzione di solo riadeguamento politico, vede, con la
risoluzione delle battaglie politiche, il suo esaurimento. Solo ora che la visione
del processo rivoluzionario è complessificata nella sua dimensione di
guerra di classe e le fasi rivoluzionarie tornano ad essere oggetto dell’analisi
dell’O, la RS assume i suoi connotati di scelta soggettiva capace di usufruire
delle leggi dinamiche della guerra. Dinamicità che consente di ritirarsi
per ricostruire le proprie forze e la propria capacità di iniziativa
rivoluzionaria, assumendo il ritirarsi come elemento aderente allo sviluppo
discontinuo dello scontro rivoluzionario, motivo per cui non è riducibile
ad una visione limitata di tenuta, che si sottopone al logoramento del nemico,
lasciando spazio alle logiche difensivistiche.
Uscire dalla logica di “tenuta” ha significato per l’O uscire
anche da una valutazione contingente dello stato delle forze contrapposte, valutazione
per lo più influenzata da quella concezione di “politica rivoluzionaria”
che si era insinuata nella visione d’O negli anni precedenti, per recuperare
il piano concreto di valutazione relativo a quanto nello scontro riesce ad attestare
l’iniziativa rivoluzionaria rispetto alle forze in campo ovvero al movimento
rivoluzionario, al campo proletario nei loro differenti rapporti, cosa che implica
concepire queste relazioni nella loro determinazione organizzata, perché
solo in questi termini ha senso parlare di attestazione nello scontro dentro
un processo rivoluzionario che sviluppa la guerra di classe. Ma non solo, la
riaffermazione di questo criterio alla luce anche degli insegnamenti della sconfitta,
vive insieme al principio del calibramento che significa che il movimento delle
forze che l’O riesce ad attestare deve essere sostenibile di fronte allo
Stato del nemico, e ciò presuppone che l’O valuti tutti i fattori
interni ed internazionali, economici e politici della BI che hanno un’influenza
diretta nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione, classe/Stato. A corollario
di questa impostazione ne deriva la riorganizzazione delle forze militanti in
modo da ripristinare le sedi politco-organizzative adeguate al loro sviluppo,
e in questo senso obiettivo qualificante a medio termine dell’O era la
costituzione della nuova DS che poteva scaturire solo dalla riqualificazione
delle forze. ________________________________________________________________________
Con l’iniziativa RR l’O è in grado di misurarsi
con il livello adeguato della contraddizione classe/Stato nel momento in cui
nel paese si profilava una svolta politica sul piano della rifunzionalizzazione
dei poteri dello Stato. In altri termini per parte borghese errano andati a
maturazione nello scontro di classe una serie di condizioni dall’82, ad
essa favorevoli, che le consentono di coagulare sul piano degli equilibri politici
i termini di un progetto di rifunzionalizzazione adeguato alla natura dei cambiamenti
che si erano accumulati, sia a lato della crisi della BI, sia a lato del governo
del conflitto di classe.
L’O riesce ad impattare questo momento decisivo dello scontro mettendo
a frutto tutti gli avanzamenti del processo di riadeguamento, in particolare
le potenzialità che aveva la piattaforma del Bilancio, avanzamenti che
contraddistinguono tutti i passaggi della costruzione e attivazione dell’iniziativa,
nel senso che questa incarna la dinamica viva di un processo che dalla distruzione
ha operato per la costruzione, per ritornare poi, su un piano più alto,
al livello necessario dello scontro, in termini di distruzione. Una dinamica
che ha recuperato pienamente la visione che riunifica tutti gli elementi del
processo rivoluzionario, perno trainante questo su cui le forze militanti si
riqualificano “per propria esperienza” acquisendo in questo modo
il senso politico d’O.
Con queste forze attive l’O si misura con il nemico di classe ed è
effettivamente in grado di danneggiarlo, cosa che ha come suo presupposto un’approfondita
capacità di penetrare la realtà dello scontro padroneggiandola
in tutta la sua concretezza, tenendo ben conto di quali modifiche avrebbe comportato
l’iniziativa su tutti i piani dello scontro. Nel contempo, da questo corpo
militante, proviene l’apporto necessario per ufficializzare le valutazioni
e le indicazioni sullo stato del processo rivoluzionario e sulle sue linee di
sviluppo.
In questo senso il volantino contiene in forma sintetica l’insieme degli
insegnamenti che è stato possibile trarre dall’apertura della RS,
e questi non solo consentono di inquadrare il tragitto percorso nell’interezza
dei fattori che lo hanno contraddistinto, definendo correttamente la natura
delle contraddizioni che si sono presentate e qualificando anche quelle nuove,
ma sulla base di ciò consentono di definire i caratteri del presente.
In altri termini, una volta riqualificata la RS come fase rivoluzionaria e collocata
nella successione delle fasi nel movimento discontinuo del processo rivoluzionario,
è possibile porre i termini della Fase di Ricostruzione che oggettivamente
sta dentro al quadro strategico della ritirata e soggettivamente è sostanziata
da un indirizzo di lavoro che l’O valuta possa essere concretizzato nella
situazione dello scontro rivoluzionario e di classe da quel momento in poi.
Qualificare l’iniziativa RR dentro il tragitto del riadeguamento significa
prima di tutto qualificare il riadeguamento stesso. Infatti si è compiuta
una svolta in questo percorso i cui termini vanno rintracciati soprattutto nel
salto politico operato col «20», e nell’affrontamento dell’insieme
di problematiche che nonostante il salto erano rimaste aperte. Se, come abbiamo
già esaminato, col «20» l’O rilancia i termini dell’impianto
strategico riproponendo la sua dimensione d’avanguardia rivoluzionaria
dentro questi presupposti, tale rilancio rischiava di perdere forza a causa
dell’incompletezza del riadeguamento, nella difficoltà dell’O
di superare gli strascichi della sconfitta, andando a sminuire la raggiunta
riqualificazione del suo ruolo di direzione rivoluzionaria. È stata la
cruda realtà dello scontro a mettere l’O nella condizione di affrontare
e risolvere complessivamente questi nodi dato che l’impostazione incompleta
del «20» aveva come portato pratico quello di dare un’impronta
riduttiva all’iniziativa rivoluzionaria, perché privata della sua
proiezione rispetto alla costruzione. Ovvero un’impostazione che, restando
ferma alla rivendicazione dei caratteri della disarticolazione, lasciava sospese
le direttive rispetto al proprio referente di classe, non riuscendo ad inquadrare
la propria iniziativa combattente rispetto al problema dell’attivizzazione
e organizzazione delle forze in campo. In questo modo viene ridotta giocoforza
la proiezione del proprio intervento limitato alla valutazione del nemico, senza
riuscire a comprendere la valutazione dello stato delle forze del campo rivoluzionario
e di classe in quanto sul piano pratico non è definito il problema di
come queste forze devono essere mobilitate ed attestate nello scontro con lo
Stato. Questa deficienza finisce per impoverire gli stessi principi della disarticolazione
in quanto le valutazioni a cui questi principi devono fare riferimento, finiscono
per restringersi intorno allo stato dell’O. Questo come portato obiettivo
dell’indicazione politica di una lotta armata imperniata sulle avanguardie
rivoluzionarie, che demanda a un generico “piano politico” l’articolazione
dell’iniziativa rivoluzionaria. Un limite che si è immediatamente
tradotto nella pratica in livelli di attacco politico-militari ritagliati sulle
possibilità contingenti dell’O, emblematizzando l’impossibilità
di mantenere a lungo questo tipo di incompletezza politica, che a lungo andare
si sarebbe tradotto in una pratica blanquista. In conclusione, il riduttivismo
insito in queste problematiche avrebbe finito col collidere con la valenza dell’impianto
strategico e con l’ostacolare lo sviluppo che doveva essere dato al salto
compiuto col «20».
Ed è nel momento in cui l’O prende coscienza di questo nodo e si
dispone ad affrontarlo, mettendo mano alle sue origini, cioè ai nodi
irrisolti dell’82, che si produce una svolta nel riadeguamento. Si apre
in questo senso un periodo nuovo del riadeguamento in quanto l’O nel processo
politico che mette in atto, liquida in piena coscienza tutti i residui che,
nonostante gli avanzamenti raggiunti nei diversi momenti del rientramento, erano
rimasti irrisolti, ed esaurisce altresì il periodo in cui le sue capacità
politiche erano indirizzate prevalentemente alla risoluzione dei limiti suoi
propri. Da ora in poi riacquista la visione complessiva del processo rivoluzionario
nella migliore conoscenza delle leggi della guerra di classe, tutte le sue risorse
sono indirizzate e mobilitate per riappropriarsi della comprensione della realtà
ai fini di stabilire un intervento volto a modificare lo scontro a favore del
proletariato, in altri termini l’O è proiettata prevalentemente
a costruire e indirizzare il processo rivoluzionario confrontandosi col nemico
sulla base della maggiore consapevolezza acquisita nel complesso dei fattori
dello scontro. Ed sulla base di questa nuova dimensione che il ruolo d’avanguardia
dell’O riconquista tutto il suo peso e la sua iniziativa politico-militare
torna ad essere incisiva nei termini propri della guerriglia urbana, nel quadro
di un'aderenza della sua progettualità e degli indirizzi di lavoro politico
alla realtà del paese e ai nodi aperti nello scontro di classe, come
dimostra chiaramente l’aver aperto la Fase di Ricostruzione. In ultima
analisi, questa nuova dimensione del riadeguamento si qualifica per ricomporre
l’elaborazione pratico-teorica dell’O e il suo intervento specifico
nella situazione di scontro con la linea di sviluppo della rivoluzione, nel
senso che questa attività viene concepita secondo un criterio tattico
rispondente ai caratteri della fase rivoluzionaria.
Aggiornamento allo Statuto. Questo documento interno, da un lato incarna il
punto d’approdo alle direttive che erano contenute nella piattaforma del
Bilancio, dall’altro, costituisce il punto di partenza da dare al nuovo
livello della guerra di classe che l’O stessa stava promovendo. In altri
termini, nel momento in cui erano andate a compimento le direttive del bilancio
che si erano dispiegate e tradotte nella disposizione delle forze e nella concretizzazione
dell’iniziativa rivoluzionaria, riempiendo con la pratica i contenuti
rivoluzionari delineati nel Bilancio, questo stesso movimento ha richiesto all’O
di porre le basi per una definizione complessiva degli indirizzi che assume
il processo rivoluzionario per qualificare i nuovi compiti dentro alle caratteristiche
che tende ad assumere la guerra di classe.
Se nel Bilancio le nuove acquisizioni che vi sono delineate per lo più
ruotano intorno all’esperienza che si è sviluppata nella RS, in
questo materiale l’elaborazione politica investe l’intero patrimonio
dell’O per riesaminarlo e approfondirlo alla luce della verifica data
dalla pratica. Un’elaborazione forte degli insegnamenti acquisiti dall’O
nel processo che va dal «20» fino ad RR e che sono fondamentali
per dirimere i nodi cruciali rimasti controversi dall’82 sullo sviluppo
della guerra di classe, raggiungendo nuovi livelli di comprensione proprio riguardo
la successione delle fasi rivoluzionarie, il rapporto tra tattica e strategia,
l’effettivo portato della visione lineare, l’affrontamento sul piano
della corretta impostazione del nodo che si era posto con l’esaurirsi
della Propaganda Armata e soprattutto rispetto all’unità del politico
e del militare come matrice che investe tutti gli aspetti del processo rivoluzionario
e ogni momento dello sviluppo dello scontro rivoluzionario. Nel momento in cui
l’O sistematizza scientificamente il complesso dell’impianto generale
e, sulla base di ciò, è in grado di guardare ai caratteri e prospettiva
della guerra di classe con una maggiore profondità, ne scaturisce la
capacità di individuare le direttrici del piano di lavoro con cui l’O
si propone di incidere nello scontro ed attrezzare intorno ad esso, secondo
i criteri definiti, le forze in campo. Ed è proprio rispetto alla coscienza
di come si è approfondito lo scontro e di quello che richiede per incidervi,
e sulla base della capacità dell’O di preordinare il movimento
che si vuole imprimere in esso, che emerge l’esigenza di far evolvere
la propria capacità di direzione dello scontro che significava porre
a medio termine l’obiettivo politico della nuova DS. Una DS che fosse
espressione del processo qualitativo avviato con la riattivizzazione delle forze.
Entro questo quadro le problematiche che vivono nel dibattito d’O sono
tese a sistematizzare e delineare i compiti che la prospettiva del processo
rivoluzionario pone all’ordine del giorno, un dibattito che è compenetrato
dalla maggiore consapevolezza che l’O ha acquisito sui termini della guerra
di classe, che informa necessariamente la definizione dei compiti. Un’evoluzione
politica che è anche quella che permette di mettere mano all’aggiornamento
dello Statuto, perché solo ora è possibile sulla base dell’esperienza
accumulata, arricchire i fondamenti strategici della DS 2 e, nel contempo, rettificare
le parti che si sono rivelate inadeguate. Un arricchimento che in particolare
riguarda i caratteri fortemente politici di cui è investito lo scontro
rivoluzionario nella metropoli imperialista, alla luce dei quali possono venire
indagate questioni come l’accerchiamento strategico, la riserva, lo sviluppo
lineare, lo schema dello sviluppo politico-militare dell’O in colonne,
brigate, fronti.
Nel solco di quelli che sono i fondamenti dell’impianto strategico dell’O
e, in generale della guerriglia urbana nella metropoli, il processo di riorganizzazione
dell’iniziativa rivoluzionaria avviato con la Fase di Ricostruzione non
può che darsi all’interno della dimensione antimperialista ed internazionalista
della guerra di classe, e quindi i passi iniziali stessi della Ricostruzione
sono concepiti dentro all’attuazione dei due obiettivi programmatici:
l’attacco al cuore dello Stato e l’antimperialismo. Così
come a partire dal «20» l’approfondimento dell’analisi
dello Stato e delle forme di dominio ha portato l’O a precisare i criteri
d’attacco per incidervi adeguatamente, ugualmente l’approfondimento
dei caratteri dell’imperialismo nella nostra epoca storica, delle ragioni
strutturali alla base dei legami di blocco consentono di riportare l’antimperialismo
nella sua dimensione strategica. In altri termini, sulla base delle chiarificazioni
relative alle relazioni imperialiste e alle sue politiche, l’O è
in grado di dare una lettura appropriata e puntuale delle dinamiche oggettive
e soggettive su cui poggiavano le politiche e gli interventi imperialisti, e
in rapporto a ciò procedere alle rettifiche necessarie per sbarazzarsi
della residua impostazione solidaristica che negli anni precedenti aveva inficiato
l’impostazione originaria della pratica imperialista e internazionalista.
Un’impostazione, quella solidaristica che era rimasta tale anche nel «20»,
nell’accezione del Fronte come fronte di lotta, e che sostanzialmente
non riusciva neanche a relazionarsi con quanto avevano espresso su questo terreno
le altre FR. Un limite che con C è portato ad un livello di insostenibilità
politica, mettendo l’O di fronte alle proprie responsabilità rivoluzionarie,
considerando la coscienza che l’O aveva dell’influenza rivestita
dal quadro internazionale sullo scontro interno, nel senso che i mutamenti che
si intravedevano sul piano delle dinamiche dell’imperialismo, richiedevano
di misurarcisi in modo adeguato.
Nel quadro di queste necessità, l’O opera una svolta segnata da
una visione pragmatica e prospettica insieme allo scopo di essere più
propositiva possibile rispetto alle forze combattenti che basavano la propria
pratica sull’antimperialismo. Dall’esproprio in poi l’O indirizzerà
tutti i suoi sforzi per dare concretezza a quest’asse di combattimento,
a partire dal dichiarare la sua apertura in primo luogo alle organizzazioni
di guerriglia europee, referente privilegiato dell’O, ma non di meno anche
alle forze rivoluzionarie mediorientali che in quel momento erano attive nell’area.
Un approccio pragmatico che tutt’altro dall’essere una scorciatoia
tattica è sostenuto da un solido arco di principi e di criteri rivoluzionari
che si avvalgono degli insegnamenti che l’esperienza internazionalista
ha storicamente maturato e da cui l’O ha saputo trarre le indicazioni
generali con cui orientarsi nell’analisi concreta della situazione concreta.
Insegnamenti che pertanto informano quella che l’O definisce una “politica
di alleanze” come l’aspetto specifico della più generale
pratica antimperialista dell’O. ed è con questo intendimento che
l’O prende l’iniziativa per ricercare il rapporto politico con l’organizzazione
di guerriglia più rappresentativa in Europa, la RAF. In questo solco
di lavoro vano inquadrati la lettera e il testo comune. Il modo in cui nella
Ricostruzione l’O si è assunta l’antimperialismo con la solidità
che le consente di essere flessibile laddove necessario, è tangibile
in ultima analisi nel risultato del piano di relazione con la RAF e da i suoi
frutti politici nel testo comune.
La nostra analisi si conclude con l’esame dell’ultimo volantino
dell’O del 16 marzo ’89 di rivendicazione e sostegno all’azione
di Fronte fatta dalla RAF. Questo volantino, malgrado le perdite militari dell’88
è rappresentativo al punto più alto del salto politico compiuto
dall’O nella seconda fase del riadeguamento, ovvero vi si trovano i punti
salienti perseguiti ed acquisiti rispetto all’obiettivo del militante
complessivo, vero snodo affinché possa riprodursi organizzazione anche
a seguito di pesanti perdite. È proprio il contesto materiale in cui
questo volantino è stato prodotto a dimostrare la valenza di questo risultato,
laddove i militanti, pur nella condizione negativa del colpo subito, sono in
grado sia di far fronte in breve tempo al lavoro politico, sia di reimpostarlo
facendolo vivere al livello più alto secondo il processo di formazione
che ha forgiato i militanti. In questo si dimostra quanto sia determinante aver
dato un posto di rilievo, tra i compiti della linea politica, all’obiettivo
costante della formazione delle forze (sia quelle militanti che no), in quanto
aderente alle necessità che l’approfondimento dello scontro ha
posto all’avanguardia rivoluzionaria al fine di imprimere alla guerra
di classe un movimento in avanti. Quello che la realtà ha dimostrato
è che lo spessore contenuto nel salto politico compiuto dall’O
riesce ad informare oggettivamente ogni singola forza militante che, sulla base
del processo di formazione soggettivamente perseguito che l’attraversava,
è in grado di avvalersi di questi contenuti e di interpretarli ad un
livello avanzato coerentemente all’impostazione strategica e politica
dell’O come dimostrato dall’estrema lucidità con cui nel
volantino viene collocato il rovescio militare, senza che questo infici le potenzialità
rivoluzionarie poste in essere.
In questo specifico dato vive la capacità di dominare gli effetti negativi
difensivistici propri ai rovesci militari che si determinano nelle fasi di ritirata,
a dimostrazione di come questo insegnamento, riguardo una legge generale della
guerra, abbia penetrato la formazione dei militanti, neutralizzando uno dei
contraccolpi immediati relativo alle perdite subite nell’88.