Biblioteca Multimediale Marxista
Come militanti delle BR-PCC e rivoluzionari siamo in quest’aula per sostenere la nostra Organizzazione e rivendicare il rilancio della strategia della Lotta Armata operato con le iniziative offensive del ‘99 contro Massimo D’Antona e del 2002 contro Marco Biagi, che hanno attaccato il progetto neocorporativo nei suoi passaggi salienti di ristrutturazione economico-sociale e di riorganizzazione delle relazioni complessive tra le classi, ma siamo qui anche per evidenziare perché a militanti della guerriglia viene mossa un’accusa da reato d’opinione, come quella di apologia sovversiva e istigazione a commettere reato.
Reati del codice Rocco che, se hanno avuto una funzione in termini di criminalizzazione dell’opposizione politica di classe durante il fascismo, sono andati in disuso dopo la seconda guerra mondiale, in generale perché le forme della democrazia rappresentativa contemporanea, espressione matura del dominio della borghesia imperialista, si basano sulla istituzionalizzazione del conflitto di classe, che in linea di principio si può e si deve esprimere sul piano politico, quale modo di compatibilizzarlo sull’interesse della borghesia imperialista; in particolare perché è ininfluente a criminalizzare l’avanguardia rivoluzionaria del proletariato, in quanto questa ha evoluto la sua strategia che non si dà più sul solo piano politico, né come lungo periodo di propaganda per preparare l’insurrezione, ma sull’assunzione fin da subito del terreno della guerra, cioè nell’unità del politico e del militare.
Ragioni storiche che hanno marginalizzato il ricorso a questo reato rispetto al nodo posto allo Stato dalla strategia della L.A. e, se è stato talvolta utilizzato sui militanti della guerriglia in prigione, è avvenuto in coincidenza con i momenti di forte incisività della strategia della L.A. nello scontro di classe generale, come espressione di impotenza politica dello Stato che, nel subire l’iniziativa offensiva della guerriglia, ha tentato perlomeno di zittire i prigionieri. Così è successo nella seconda metà degli anni ‘70 quando, con lo sviluppo della strategia della L.A. e l’intensificazione dell’attacco al cuore dello Stato, si verifica l’accerchiamento del potere borghese, un contenuto di potere fatto vivere anche nelle aule dei tribunali dai prigionieri politici su cui si riversarono per reazione raffiche di procedimenti per apologia, che, rivelandosi politicamente controproducenti per lo Stato, furono fatti decadere; una pratica ripresa ai giorni nostri, a fronte dell’incidenza del varco offensivo che ha rimesso in discussione l’assestamento del neocorporativismo nelle relazioni tra le classi riportando all’ordine del giorno, dopo anni di controrivoluzione e assenza di attività rivoluzionaria, lo scontro sul piano del potere. Da qui le ragioni di questa incriminazione, e l’appiglio è ancora una volta l’atto di rivendicazione di militanza e/o lo schieramento dei militanti rivoluzionari sulla prassi dell’Organizzazione, cioè la tradizionale modalità con cui da sempre i militanti delle BR e i militanti rivoluzionari prigionieri si assumono la responsabilità politica della propria identità di Partito e rivoluzionaria verso l’Organizzazione e il proletariato, rivendicazione che la magistratura vorrebbe snaturare in attività criminosa del pensiero politico, dandogli in questo caso persino proprietà istigative, come se fosse possibile che una direzione rivoluzionaria come quella delle BR-PCC che si costruisce nella prassi possa essere prodotto di una “propaganda” fatta dalle prigioni! Uno specifico intervento sui prigionieri che ha per oggetto diretto la nostra identità politica: veniamo attaccati non per la nostra militanza pregressa, ma per non aver mai smesso di esercitarla coerentemente agli avanzamenti attestati dall’Organizzazione, soprattutto nel periodo della discontinuità d’attacco, e per averla rapportata ed adeguata agli avanzamenti del processo rivoluzionario sviluppati dalle BR-PCC nello scontro. Nel quadro del ruolo svolto dalla magistratura sulla linea controrivoluzionaria dello Stato tesa a contrastare quanto prodotto dal rilancio della strategia della Lotta Armata nello scontro rivoluzionario e di classe, il tassello realizzato oggi da questa Procura è in tutta evidenza un ripiego rispetto agli intenti originari su cui si sono mosse le diverse Procure dal 1999, che miravano a negare la riproducibilità della strategia della L.A. nello scontro rivoluzionario e di classe, addebitando ai militanti rivoluzionari prigionieri la “regia” del rilancio. Un intento che si è ridimensionato non solo per le contraddizioni emerse a livello della giurisprudenza borghese nel praticare l’incriminazione dei pensiero politico, ma soprattutto per la difficoltà reale di intervenire sui militanti d’Organizzazione e rivoluzionari prigionieri, in quanto espressione della soggettività rivoluzionaria di questo paese, e perciò stesso figure pubbliche riconosciute del progetto rivoluzionario proposto dalle BR-PCC . In particolare oggi a fronte del rilancio lo Stato, nel rapportarsi ai prigionieri, non può non tenere conto dei risultati politici introdotti dall’attività rivoluzionaria nello scontro rivoluzionario e di classe, uno scontro di cui i prigionieri sono parte e da cui traggono ulteriore forza anche se ostaggi in mano al nemico di classe, e nonostante i rapporti a favore della borghesia.
E’ questa la realtà che si riflette anche in quest’aula, quella di un processo rivoluzionario che le BR-PCC, a seguito di un lungo periodo di assenza dell’attacco al cuore dello Stato, hanno rilanciato con le iniziative offensive del 1999 e del 2002, un rilancio che attesta la maturazione nello scontro dell’impostazione politico-programmatico-strategica della progettualità delle BR-PCC, un rilancio che ha fatto pesare nello scontro la continuità con la progettualità praticata e sviluppata dalle BR in 30 anni di attività rivoluzionaria. La verità storica ha dimostrato che la strategia della L.A. non è sradicabile dallo scontro rivoluzionario e di classe con la controrivoluzione, perché la sua riproducibilità è data dall’impossibilità di rimuovere le ragioni sociali, politiche, storiche che l’hanno resa necessaria per il proletariato metropolitano come alternativa alla crisi e al dominio della borghesia imperialista in quanto strategia adeguata a conquistare il potere politico e instaurare la dittatura del proletariato per costruire una società comunista.
Le BR-PCC con il rilancio della strategia della L.A. nello scontro di classe generale, hanno evidenziato i punti di forza di cui è possibile avvalersi per incidere e pesare nello scontro con l’iniziativa offensiva anche a fronte delle più sfavorevoli condizioni di scontro, come quelle che hanno segnato gli anni ‘90, punti di forza che, partendo dal presupposto della proprietà offensiva della guerriglia che incide nei rapporti di forza in qualsiasi condizione dello scontro, sono riferiti all’assunzione soggettiva del patrimonio e del suo necessario sviluppo, e al fattore storico politico rappresentato dalla sedimentazione di 30 anni di prassi rivoluzionaria nei rapporti tra le classi. Più precisamente l’iniziativa offensiva che incide nello scontro perché danneggia gli equilibri politici che sostengono il progetto dominante della B.I. che oppone la classe allo Stato, vede potenziati i suoi effetti politici perché, nello stabilire una dialettica con l’opposizione di classe, si avvale del rapporto storico che le BR hanno instaurato con la classe grazie ad una prassi che ha fatto pesare l’istanza di potere e i bisogni politici del proletariato di contro alla borghesia e allo Stato. Un dato storico-politico questo che, dinamicizzato dal rilancio, ha avuto delle ripercussioni in termini di politicizzazione delle istanze di resistenza della classe che perciò sono andate a convergere e pesare intorno ai danni che l’iniziativa offensiva ha provocato al progetto, approfondendo la difficoltà dello Stato di ricomporre e ricucire lo strappo subito. La dinamica politica che scaturisce da questi fattori storico-politici è ciò che anche in un quadro di processi aggregativi propri a questa fase rivoluzionaria rafforza i margini politici dell’avanguardia combattente che dall’attacco muove alla costruzione e organizzazione delle forze sulla L.A., per avanzare sul piano della fase rivoluzionaria e della costruzione del PCC.
Questi i dati politici emersi con il rilancio che pesano nello scontro andando a costituire un’ipoteca ai progetti di assestamento del dominio perseguiti attraverso la rimodellazione economico-sociale e le corrispettive riforme politico-istituzionali in atto, e che sono funzionali alla stabilizzazione interna quale base di forza per la partecipazione dell’Italia alle strategie di guerra e controrivoluzione dell’imperialismo.
La rimodellazione economico-sociale tesa a conseguire sul piano delle riforme che investono il mercato e lo sfruttamento della forza-lavoro quella subalternità al capitale presupposto della ricercata subordinazione politica della classe al dominio borghese, è il terreno su cui l’esecutivo Berlusconi fin dall’inizio della legislatura si è impegnato per realizzarne i passaggi principali sugli indirizzi contenuti nel Libro Bianco, impegno che ha scelto di affrontare attaccando apertamente l’opposizione di classe che si è posta in termini di resistenza rispetto a quel Patto per l’Italia che ne doveva costituire il quadro di riferimento politico e normativo. Progettualità intorno a cui l’esecutivo aveva saldato equilibri politico-sociali sufficienti a rilanciare le relazioni neocorporative nel senso di un loro ulteriore approfondimento, sia sul piano della negoziazione, con il dialogo sociale, che per come dovevano permeare le relazioni sociali all'interno della loro riorganizzazione, e al contempo a rilanciare le riforme istituzionali imperniate sui maggiori poteri all’esecutivo e la modifica della forma-Stato con il federalismo, nel quadro dell’assestamento della democrazia dell’alternanza.
Lo scontro rivoluzionario e di classe che si è sviluppato di contro all’iniziativa dell’esecutivo volta ad affermare con il progetto Biagi questa linea di programma ha deciso dei termini della sua fattibilità. L’iniziativa offensiva del 2002 contro Marco Biagi, intervenuta in stretta dialettica con la resistenza di classe che già si misurava con i termini del Libro Bianco, a partire dalla mobilitazione a difesa dell’articolo 18, ha lacerato gli equilibri politici che sostenevano il progetto e scompaginato le relazioni neocorporative su cui doveva marciare, provocandone una battuta d’arresto. Infatti le ripercussioni politiche dell’iniziativa offensiva hanno investito l’intero quadro politico-istituzionale ostacolando il procedere dell’intera agenda programmatica dell’esecutivo, compresa la stessa riforma federale, perno degli equilibri tra le forze della maggioranza di governo, con l’effetto di scuotere il suo stesso compattamento.
Ripercussioni che manifestano come l’esecutivo e più in generale lo Stato si sia venuto a trovare in una condizione di difensiva che è all’origine dello stesso procedere per forzature sugli strappi non ricuciti delle relazioni neocorporative. Forzature che seppure non linearmente, hanno conseguito dei passaggi significativi sul piano legislativo, anche in base alle maggiori prerogative decisionali dell’esecutivo sostenute da una maggioranza “blindata", passaggi chiave che hanno riguardato i nuovi termini di precarizzazione e flessibilizzazione della forza-lavoro con la riforma del collocamento e le ulteriori tipologie contrattuali introdotte dalla legge 30 che, nel frantumare l’unitarietà produttiva in fabbrica e le figure contrattuali, intacca e svuota il quadro del contratto nazionale con le relative tutele, compreso l’articolo 18. Passaggi chiave, in ultima analisi volti a selezionare la forza-lavoro adatta a quella subalternità richiesta dai livelli di sfruttamento del modello produttivo flessibile. Passaggi che, unitamente alle modifiche del welfare operate e in corso con la legge finanziaria, alla riforma pensionistica e al ridisegno delle politiche fiscali e di allocazione delle risorse nel quadro federale, rastrellano capitali per i monopoli in crisi e incidono sul livello della riproduzione del proletariato portandolo al di sotto della soglia socialmente definita. I risultati conseguiti dall’esecutivo, ottenuti facendo leva prevalentemente sul piano politico-istituzionale, si rapportano a una fase di scontro che rende questi risultati non traducibili linearmente in una stabilizzazione dei dominio, malgrado i rapporti di forza favorevoli alla B.I. e l’attestazione dei livelli di controrivoluzione nei rapporti tra le classi, e questo per come il rilancio della strategia della L.A. in dialettica con la resistenza di classe ha inciso e pesato nello scontro, modificandolo rispetto agli anni ‘90, mettendo la classe su posizioni politiche relativamente più favorevoli nel confronto con lo Stato e togliendo offensività all’iniziativa dell’esecutivo. In questa rideterminazione del quadro di scontro, la pervasività dell’azione dell’esecutivo non ha potuto recuperare l’erosione degli equilibri politici e sociali su cui si fondava la progettualità del Libro Bianco, ed è tutt’altro che ricucito il tessuto politico delle relazioni neocorporative, contesto che rende ancor più problematica la ricomposizione del conflitto, malgrado la disponibilità dei sindacati confederali a. riprendere la negoziazione neocorporativa, e a sottoscrivere accordi e contratti dove e quando possono. A rendere ancora più critico il quadro politico vi sono le ulteriori forzature dell’esecutivo sul piano propriamente parlamentare e rispetto agli equilibri generali nel paese, sia per le pressioni della borghesia imperialista rispetto al declino economico in cui versa l’Italia sia per far fronte ai contraccolpi dell’impegno bellico in Iraq a fianco degli angloamericani che, per le difficoltà poste dalla resistenza irakena, prospetta una modifica delle regole d’ingaggio.
L’esaurirsi dei fattori favorevoli del ciclo economico degli anni ‘90 trainato dagli USA, che ha fatto ripiombare nella stagnazione e nella recessione l’economia mondiale, si scarica con una particolare gravità nel nostro paese, che ha visto intaccato il tessuto produttivo nazionale per il coniugarsi delle storiche debolezze strutturali della borghesia italiana con le scelte economiche di breve respiro del capitale monopolistico che sono sboccate nella riduzione della base produttiva per puntare solo sull’aumento dello sfruttamento con il suo ricercato risvolto politico in termini ricattatori sulla classe.
L’attuale stato di declino economico del paese è infatti l’esito del come il capitalismo monopolistico autoctono si è misurato nella competizione sul mercato mondiale dominata negli anni ‘90 dalla dinamica di approfondimento dell'internazionalizzazione nel quadro della penetrazione ad Est, rispetto a cui si andavano ricollocando peso e ruolo delle diverse FES. Il capitale monopolistico, malgrado sia stato costantemente sostenuto in questa competizione dalle politiche dello Stato, a partire dalle privatizzazioni e dalla finanziarizzazione dell’economia e dei capitali e dagli indirizzi macroeconomici tesi al pareggio dei bilanci e al contenimento dei salari, non è riuscito a conquistare nel mercato internazionale quelle posizioni che avrebbero consentito di sviluppare a sufficienza quelle attività economiche nei settori produttivi accentrate ai paesi capitalistici avanzati, ma anzi in questi settori il capitale monopolistico ha perso posizioni, ripiegando su investimenti al riparo della competitività, abbandonando settori produttivi importanti e dovendo sostenere una dura competizione in quelli che ha mantenuto e nei settori di nicchia soggetti peraltro alla concorrenza dei monopoli più forti e dei paesi emergenti. Questa difficoltà a competere del capitale monopolistico italiano deriva anche dall’aver puntato a risolvere i suoi problemi di valorizzazione premendo principalmente sullo sfruttamento diretto e indiretto del proletariato, rispetto a cui tutti gli esecutivi hanno dato il loro massimo sostegno, una risposta che reitera il carattere socialmente regressivo della borghesia italiana che nei momenti di crisi scarica tutti i costi sul proletariato, con scelte che hanno prodotto uno sviluppo asfittico del tessuto industriale, aggravando la disoccupazione in una misura non riassorbibile neanche relativamente.
La perdita di posizioni e di competitività sui mercati internazionali dei monopoli italiani non è affatto estranea alla partecipazione dell’Italia come alleato nell’occupazione angloamericana dell’Iraq, una partecipazione che tutt’altro dal significare servilismo politico dell’esecutivo e della maggioranza di centro-destra verso l’Amministrazione Bush, risponde all’istanza della B.I. nostrana che ha puntato a recuperare attraverso la scelta bellica la perdita delle posizioni economiche sul piano internazionale, ragioni per cui questa scelta è sostenuta anche dai vertici istituzionali e investe appieno anche l’opposizione nel suo posizionarsi sugli interessi della B.I. Un posizionamento che, se non può ancora abbracciare tout-court la scelta bellica, è perché il centro-sinistra si è assunto il ruolo oggi discriminante a fronte del rilancio di assorbimento dell’antagonismo di classe, in particolare quello contro la guerra, nella necessità di mantenere separato il conflitto di classe dalla proposta rivoluzionaria, operando per depotenziarlo e svuotarlo delle sue caratteristiche autonome, e convogliarlo su un piano genericamente umanitario. Da questo ruolo l’ambiguità delle posizioni del centro-sinistra sulla guerra, che fa si che la borghesia non lo riconosca come alternativa all’attuale maggioranza di governo in questo momento politico.
La B.I. italiana ha puntato ad ottenere ritorni economici dall’occupazione dell’Iraq contando su una rapida pacificazione del paese, un calcolo che si è dimostrato azzardato nel prolungarsi della guerra. E il solo fatto che la resistenza iraqena riesce a mantenere le sue posizioni e perciò a logorare gli occupanti apre contraddizioni nella compattezza dell’alleanza e induce un indebolimento politico nei paesi coinvolti nel conflitto, dunque per l’Italia il prolungarsi della guerra rischia non solo di vanificare i ritorni economici prefigurati dalla borghesia, ma può avere ripercussioni in termini di contraddizioni politiche che possono risultare non contenibili dentro quei margini di tenuta interna ritenuti sufficienti dall’esecutivo Berlusconi per sostenere i contraccolpi del conflitto in base ai passaggi assestati nel quadro delle modifiche della mediazione politica in senso neocorporativo e a quelle riforme economico-sociali in atto che, nella flessibilizzazione e precarizzazione introdotte, dovrebbero assicurare una relativa sterilizzazione del conflitto. Più precisamente significherebbe esporsi al rischio che l’opposizione proletaria alla guerra travalichi quel piano inincidente in cui è stata ricondotta dall’intervento politico del governo e dell’opposizione istituzionale e da quelle istanze politiche paraistituzionali cui lo Stato riconosce ruolo dall’azione svolta di svuotamento dei contenuti di classe ancor prima che questi si coagulino. Il problema per lo Stato è che l’opposizione proletaria riconosca nella guerra in Iraq un conflitto che vede contrapporsi all’aggressione anglo-USA e ai suoi alleati per sottomettere l’area ai disegni strategici dell’imperialismo una resistenza nazionale armata e di popolo che rappresenta le aspirazioni del popolo iraqeno e dell’intera nazione araba interna alla sua storica resistenza contro l’imperialismo e il sionismo. Una resistenza che si contrappone a quei progetti di sfruttamento, spoliazione e sottomissione volti a incamerare sovrapprofitti da parte della B.I., il medesimo motivo cioè che nella metropoli imperialista porta alla rimodellazione delle relazioni sociali per il massimo sfruttamento della forza-lavoro e la sua subordinazione politica.
E se la partecipazione dell’Italia all’occupazione fino ad ora si è dovuta mantenere, per motivi di tenuta interna, nell’ambito di un basso profilo militare e con compiti ufficiali di “ricostruzione” e di prevenzione politica della lotta annata, l’evolvere del conflitto in termini di intensificazione degli attacchi della resistenza può mettere l’esecutivo di fronte all’alternativa, difficile da risolvere, tra il logoramento dell’inazione e la modifica del carattere dell’intervento nel senso di un maggior coinvolgimento militare; contraccolpi questi che possono favorire la presa d’atto per il proletariato delle connessioni tra sfruttamento interno e scelta di guerra in Iraq, e dunque porre le condizioni affinché l’autonomia di classe, riconosca nella resistenza iraqena il suo principale alleato in base all’interesse comune dato dallo lotta contro lo stesso nemico, un riconoscimento che si sostanzia solo nel rapporto che l’avanguardia rivoluzionaria stabilisce con l’autonomia di classe a partire dalla prassi combattente che immette e fa pesare nello scontro i contenuti antimperialisti propri all’impostazione sviluppata dalle BR-PCC. L’attività della resistenza iraqena, nel logorare la coalizione imperialista, ha un suo preciso riflesso politico nello scontro con cui si misura il proletariato metropolitano , e viceversa, un riflesso politico che, nella misura in cui indebolisce politicamente la borghesia, può intaccare gli stessi livelli di controrivoluzione attestati nei rapporti tra le classi.
L’aggressione all’Iraq rappresenta nel quadro mondiale attuale lo snodo centrale delle strategie di guerra e controrivoluzione dell'imperialismo che hanno nel controllo della regione mediterranea-mediorientale, per ragioni storiche e geografiche che ne fanno il crocevia di continenti, il presupposto per posizionarsi nei rapporti di forza internazionali. Per gli angloamericani la trasformazione dell'Iraq in una base su cui impiantarsi stabilmente è la leva per realizzare il “progetto del Grande Medio Oriente”, inteso dal Marocco alla Turchia, da instaurare sotto l'egida dell’”esportazione della democrazia”, che consiste nel ridisegnare la regione per farne un’area economica e politica integrata e funzionalizzata alle necessità delle frazioni dominanti della B.I. sulla base di riforme che ridefiniscano gli assetti politico-economici ed istituzionali paesi.
Assoggettare l’Iraq, paese politicamente autonomo e punta avanzata del nazionalismo arabo, è dunque condizione per stabilire le relazioni politico-militari e di dipendenza con i paesi della regione in funzione della normalizzazione dei conflitti e di un posizionamento più avanzato verso Est. La necessità di ridefinire il quadro regionale origina già quando è evidente lo sfaldamento degli obiettivi di normalizzazione ricercati con la guerra del ‘91, per l’indisponibilità dei popoli palestinese, libanese, iraqeno e delle masse arabe a sottostare ai progetti imperialisti-sionisti, ma è a fronte dell’acutizzarsi dei conflitti e della contrapposizione alle sue politiche culminata con l’attacco al WTC a al Pentagono dell’11 settembre, che l’imperialismo USA definisce i termini dell’attuale progetto per rispondere al bisogno di recuperare la perdita del potere deterrente dato dall’inviolabilità del proprio suolo e riaffermare la sua supremazia rilanciando la sua strategia in termini di guerra e controrivoluzione. Sotto questo profilo la guerra all’Iraq non è una manifestazione di forza di un agire incontrastato del polo dominante ma una reazione per recuperare la perdita di peso politico sul piano internazionale degli USA derivata dalle ricadute sistemiche dell’1 1 settembre, fattori che hanno condizionato fin dall’inizio l’andamento della guerra. La stessa “coalizione di volenterosi” che gli anglo-USA hanno raccolto manifesta la difficoltà di operare preventivamente per comporre gli interessi delle frazioni di B.I. dei paesi europei intorno alla scelta di guerra e su questi interessi poter ridefinire il rapporto subordinato che lega i paesi tradizionalmente alleati della regione mediorientale all’imperialismo. Strappi nelle relazioni euroatlantiche e in quelle della regione con ricadute immediate nell’impossibilità di usufruire del supporto politico e logistico degli alleati, come nel ‘91. Strappi che venivano valutati ricucibili con la ripartizione dei ritorni economici decisi sulla base dei rapporti di forza che gli USA avrebbero acquisito sul terreno, nella previsione di una rapida vittoria. Una valutazione che si puntellava sul potenziale* bellico basato sulla superiorità tecnologica che gli anglo-Usa potevano mettere in campo, nella convinzione che, una volta neutralizzato l’esercito irakeno, l’occupazione avrebbe incontrato solo una resistenza residuale ritenuta facilmente annientabile per la sproporzione delle forze, confidando inoltre sulla politica di divisione del paese operata fin dall’embargo per cooptare esponenti delle borghesie locali curde e sciite, base politica-sociale su cui puntare per normalizzare il paese. li prosieguo del conflitto ha chiarito come lo stallo in cui è entrata la campagna militare non deriva da errate scelte tattiche degli strateghi del Pentagono, ma dalle valutazioni politiche su cui la guerra è stata impostata che scaturiscono dalla posizione di arretramento politico da cui gli anglo-USA hanno mosso guerra, e ha chiarito come questa campagna fosse destinata sotto la pressione della resistenza all’impantanamento.
L’escalation delle pratiche terroristiche proprie alle guerre di aggressione, che l'imperialismo ha consumato in un anno e mezzo, non è servita a conservare l’agibilità sul campo, anzi ha alimentato l’odio della popolazione iraqena e delle masse arabe contro gli occupanti, mentre la resistenza nazionale ha esteso la sua area di influenza e qualificato la sua azione di logoramento dell’occupazione a tutti i livelli. Un risultato sul terreno che di conseguenza ha fatto fallire i passaggi politici volti a installare un governo collaborazionista che abbia una qualche legittimità e possibilità di stabilizzare il paese. La realtà è che gli anglo-USA e i loro alleati rimangono arroccati nelle cittadelle militari senza possedere un reale controllo del territorio, una condizione che alla lunga si traduce nel trovarsi accerchiati dalla resistenza, che ha potuto già raggiungere questo risultato perché sostenuta dal popolo in quanto ne esprime l’istanza nazionale. D’altronde il dato politico nazionalista segna tutta la storia contemporanea di questo paese arabo che ha espresso alti livelli di mobilitazione nella resistenza del governo e del popolo irakeno opposta all’embargo e poi di fronte all’inevitabile prospettiva dell’invasione anglo-USA, nella scelta di attrezzarsi per cacciare l’occupante organizzando un nucleo di resistenza armata intorno a cui sviluppare i caratteri di una guerra di popolo che persegue l’obiettivo della liberazione nazionale.
Il piano del conflitto imposto dalla resistenza ha evidenziato le difficoltà in cui versa l’occupazione perché i costi complessivamente intesi sono di gran lunga maggiori dei ritorni economici su cui gli anglo-USA e i loro alleati contavano in tempi brevi, e perché l’appesantimento degli oneri politici e militari agisce in termini di sfaldamento della coalizione, e la richiesta di un maggiore impegno per i paesi che restano non è facilmente realizzabile. E più in generale ha acuito la debolezza politica dell’imperialismo a partire dal suo polo dominante, fattore che gioca a favore della resistenza insieme al sostegno delle masse arabe, in un quadro internazionale in cui non può avvalersi di un campo di forze a suo favore. Infine il carattere che la resistenza ha impresso alla guerra ha ripercussioni dirette sui conflitti regionali, a partire da quello palestinese-sionista, perché la resistenza palestinese può avvantaggiarsi dello stallo in cui versano gli anglo-USA e i loro alleati, ma più in generale alimenta il coagulo delle forze che si contrappongono all’imperialismo e polarizza lo schieramento antimperialista e nazionalista nella regione. Al contempo le difficoltà incontrate in Iraq sono un freno al dispiegamento dei progetto del “Grande Medio Oriente”, e perciò stesso in rapporto alle strategie globali dell’imperialismo vanno ad ostacolare l’acquisizione di rapporti di forza a suo favore sul piano internazionale per un posizionamento più avanzato sulla direttrice Est/Ovest nel quadro delle spinte a una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati che vivono all’interno della tendenza alla guerra.
In rapporto a queste finalità strategiche la “guerra preventiva al terrorismo” che il polo dominante ha dichiarato dopo l'1 1/9 contro il nemico interno ed esterno, ovunque esso si senta minacciato, esordita con l’intervento in Afghanistan e proseguita oggi in Iraq, non costituisce affatto un piano di forza per l’avanzamento di queste strategie in quanto espressione di una reazione per riaffermare la sua egemonia pena l’aprirsi di spazi di agibilità nella contrapposizione all’imperialismo da parte dei popoli e del proletariato metropolitano, un agire che perciò è di guerra e controrivoluzione insieme, e che rimanda alla più generale crisi del sistema imperialista.
Infatti se si guarda al corso storico degli ultimi 20 anni, le odierne scelte dell’imperialismo sono il prodotto del fallimento delle strategie messe in atto a sostegno della B.I. per far fronte alla dinamica di crisi/sviluppo, strategie di carattere complessivo in quanto si sviluppano connettendo il piano economico, politico, militare e controrivoluzionario stante l’evoluzione storica dell’imperialismo per i livelli sempre più approfonditi di internazionalizzazione e integrazione del capitale e dell’economia in generale, come dimensione dell’accumulazione e della concorrenza. A partire dagli anni ‘80, nel quadro della modifica del ciclo economico, la strategia imperialista trainata dagli USA è volta a veicolare politiche di ristrutturazione economico-sociale e corrispettive modifiche politico-istituzionali che per affermarsi hanno richiesto lo scatenamento di una controrivoluzione per ridimensionare il peso della strategia della L.A. nello scontro di classe nella metropoli quale presupposto per far arretrare le posizioni raggiunte dal proletariato in virtù dello scontro di potere aperto dalla guerriglia; su un altro piano, ha sviluppato una controrivoluzione contro i paesi a transizione socialista nella necessità di ampliare la penetrazione dei capitale in un ambito che fino a quel momento era sottratto al MPC. Nel quadro del dispiegarsi di questi piani di controrivoluzione e del loro tradursi in termini di consolidamento controrivoluzionario nelle relazioni politiche tra le classi e, per altro verso, nel vantaggio della NATO sul piano degli equilibri internazionali ricavato dalla caduta del Patto di Varsavia, si affermano e si generalizzano i processi di rimodellazione economico-sociale imperniati fondamentalmente sulla modifica delle condizioni di impiego della forza-lavoro come leva principale per il recupero dei termini dell’accumulazione, accumulazione sostenuta al contempo da politiche liberiste e restrittive, linee controtendenziali trainate dagli USA a partire dalla scelta reaganiana di puntare sul riarmo come volano economico. Nell’ambito di queste politiche anticicliche, le ristrutturazioni produttive che fin dai primi anni ‘80 hanno incorporato via via il salto tecnologico nei mezzi di produzione (negli USA favorito dalle ricadute del riarmo), hanno potuto estrinsecare le loro potenzialità produttive solo impiegando una forza-lavoro flessibilizzata in base a cui la produzione è stata riorganizzata su un modello flessibile che ha portato a superamento quello fordista. Un modello produttivo che per affermarsi richiede la rottura delle rigidità e delle tutele storiche dell’impiego della forza-lavoro perseguibile dentro le linee di rimodellazione economico-sociale governate dalla composizione corporativa degli interessi sociali particolari su quelli generali della B.I.
Intorno all’estrazione di plusvalore relativo ricavato dallo sfruttamento della forza-lavoro flessibilizzata insieme allo sfruttamento della forza-lavoro a basso costo con la delocalizzazione, si sono dati e si stanno dando i processi di concentrazione e di centralizzazione capitalistica che si traducono in un approfondimento dell'internazionalizzazione, che ridefinisce i termini della concorrenza, e che portano a generalizzare il modello produttivo flessibile. Proprio l’inglobamento dei paesi dell’ex-Patto di Varsavia è il passaggio che ha segnato un ulteriore salto nell'internazionalizzazione, perché la penetrazione ha dato impulso alla concentrazione e centralizzazione dei monopoli imperialisti,dinamica che ha riacutizzato tutte le contraddizioni capitalistiche, in quanto questi processi, così come l’insieme delle controtendenze messe in atto dal capitale monopolistico, si danno in un ambito economico non espansivo, che fa sì che-non può esserci un rilancio del ciclo economico allargato fuori da una distruzione ingente di capitali e di mezzi di produzione sovrapprodotti, cosa che può avvenire solo con una guerra distruttiva di vaste proporzioni, e non con conflitti circoscritti come quelli di questo decennio che hanno avuto solo tornaconti limitati sul piano economico, conflitti che spostando i rapporti di forza negli equilibri internazionali in senso favorevole all’imperialismo, costituiscono il terreno che favorisce la concretizzazione della tendenza alla guerra sulla direttrice Est/Ovest.
Le strategie imperialiste per sostenere gli interessi della B.I. che hanno ridisegnato collocazione e gerarchia delle F.E.S. nel mercato mondiale, non hanno dato che risultati di breve respiro, come dimostra lo stato recessivo dell’economia mondiale, mentre hanno acuito contraddizioni economiche, politiche e sociali che minano la tenuta del dominio. Contraddizioni che derivano da come opera l’investimento capitalistico nei differenti contesti economici che definiscono il rapporto di sfruttamento, specifico cioè per la metropoli, i paesi dell’Est inglobati, quelli emergenti e quelli sottosviluppati, e che richiede trasformazioni economico-sociali adatte a favorire l’impiego di capitali e modifiche politico-istituzionali funzionali al governo dell’economia e del conflitto. Queste linee di rimodellazione economico-sociale, dandosi in un quadro capitalistico non espansivo, consentono scarsi margini per costruire, secondo le modalità storicamente adeguate del modello “democratico” imperialista, equilibri sociali in grado di sostenere i processi economici di cui abbisogna la BI attraverso una configurazione politico-statuale adeguata, secondo le differenti F.E.S., a garantire il governo dell’economia e del conflitto. Linee di rimodellazione che nella metropoli già hanno portato ad abbassare il tenore di vita del proletariato metropolitano al di sotto della soglia della sussistenza, anche sulla spinta di un elevato e stabile livello di disoccupazione, allargando l’impoverimento ad ampi strati sociali, mentre nei paesi dipendenti è stravolta la struttura sociale fino a gettare nella povertà la gran massa della popolazione.
In conclusione, i processi che queste strategie hanno innescato, proprio perché si contrappongono direttamente alle condizioni del proletariato metropolitano e dei popoli, hanno immesso contraddizioni e prodotto fratture e in questo senso, in questi 20 anni, l’imperialismo ha consumato insieme agli effetti calmieranti sulla crisi anche i vantaggi politici che le due linee di controrivoluzione messe in atto gli avevano fatto acquisire per il controllo e il mantenimento del dominio. Queste linee di rimodellazione e penetrazione pervasive imposte per via economica e politica dall’imperialismo e, laddove hanno trovato ostacoli nei punti di autonomia politica dei paesi indipendenti, procedute con l’opera di destabilizzazione fino alla vera e propria aggressione militare, hanno innescato, ovunque hanno agito, contraddizioni antagoniste che, se sono manifeste là dove è presente una contrapposizione soggettiva, cioè di forze rivoluzionarie di classe e antimperialiste, popoli che resistono, Stati non disposti all’assoggettamento, permeano anche le aree dove attualmente l’intervento imperialista ha attestato le sue posizioni (Balcani e centro-Europa).
E’ intorno all’emergere della contrapposizione soggettiva in termini di azioni di contrasto all’imperialismo e dell’aprirsi di nuovi fronti di conflitto che si sono erose le posizioni di forza favorevoli che l’imperialismo si era aggiudicato negli anni ‘90 e in base a cui aveva potuto agire offensivamente nella destabilizzazione, penetrazione, inglobamento delle aree di suo interesse. In questo contesto lo snodo dell’1 1 settembre che segna una demarcazione per come ha inciso sul peso politico degli USA, unitamente alla scelta di muovere guerra all’Iraq sotto gli effetti di questo attacco, hanno reso manifesto il piano di vulnerabilità che contrassegna l’imperialismo in questa fase storica, e che nel quadro attuale è il fattore favorevole alle forze rivoluzionarie sia nel centro che nella periferia. Vulnerabilità che dunque è il prodotto della contrapposizione soggettiva alle politiche centrali dell’imperialismo in rapporto all’impossibilità di risolvere le sue contraddizioni storiche di questa fase rispetto a cui le strategie adottate hanno mostrato i loro limiti intrinseci, perché se da un lato hanno dato sostegno alla dinamica di crisi/sviluppo capitalistica, dall’altro hanno innescato fratture che evidenziano la sua fragilità . Una fragilità che è propria del sistema imperialista che non ha altro modo di risolvere la sua crisi di sovrapproduzione assoluta di capitali, merci e forza-lavoro se non con una guerra di vaste proporzioni per perpetuare il sistema che approfondisce sfruttamento e disuguaglianze.
Il rilancio della strategia della L.A. operato dalle BR-PCC è il fattore centrale che ha contrassegnato l’andamento dello scontro rivoluzionario e di classe negli anni 2000. Si tratta di un dato incontrovertibile dal punto di vista degli interessi politici e storici del proletariato italiano, che si è affermato con la ricostruzione della capacità offensiva adeguata ad incidere negli equilibri politici generali tra classe e Stato, al fine di modificare i rapporti di forza a favore del proletariato. Un percorso nel quale l’avanguardia rivoluzionaria di classe si è attrezzata ad organizzare e dirigere il processo rivoluzionario nella fase della Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie e di Stadio Aggregativo relativamente all’approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione.
Un percorso sintetizzato nelle iniziative offensive del ‘99 e del 2002 che hanno attaccato e contrastato i progetti della borghesia che dall’inizio degli anni ‘90 si sono imposti come centrali per governare le contraddizioni della crisi e del conflitto sull’asse della negoziazione neocorporativa e delle più generali relazioni neocorporative sul piano politico con la classe. Iniziative offensive che, in dialettica con la resistenza di classe contro queste politiche, hanno contribuito ad arginare gli indirizzi veicolati da questi progetti, tesi a rimodellare complessivamente le relazioni tra le classi facendo leva sullo smantellamento di quel quadro normativo-legislativo del lavoro nel quale sono codificati i diritti storici che la classe operaia ha conquistato nel corso di un lungo e durissimo scontro. Indirizzi finalizzati a trasformare la forza lavoro in una variabile del capitale e dell’andamento del mercato in base a un suo utilizzo flessibile e precario che è altresì funzionale alla subordinazione politica della classe al dominio della BI. Un indirizzo antiproletario e controrivoluzionario che dagli accordi del ‘92 -’93 e, in seguito, dall’assestamento ricevuto con il “Patto di Natale” dell’esecutivo D’Alema, e oggi, con l’approfondimento neocorporativo che ha teso dargli il “Patto per l’Italia” dell’esecutivo Berlusconi, si è imposto come la soluzione che le forze politico-istituzionali e sindacali hanno elaborato e adottato per sostenere gli interessi ridefiniti della borghesia nella crisi e la loro centralità sul piano politico, e in questo senso attestano anche il riposizionamento e la selezione avvenuta dalla fine degli anni ‘80 della soggettività politica della B.I. intorno ad essi.
E’ un dato di fatto che all’azione a tutto campo dello Stato le BR-PCC hanno frapposto il peso politico della classe e della sua autonomia, rimettendo in campo sul terreno del potere i suoi interessi storici, ricostruendo nello scontro livelli politico-militari complessivamente intesi che hanno dato sviluppo al patrimonio d’O. e stabilito linee su cui far avanzare la fase della Ricostruzione ed evolvere il processo rivoluzionario e la costruzione del PCC per trasformare lo scontro di classe in guerra di classe. Attestazioni rivoluzionarie che imprimono forza politica allo scontro di classe nell’immediato e in prospettiva, rendendo precario il governo delle contraddizioni da parte di un esecutivo che esprime difficoltà evidenti a sostenere l’impegno bellico con l’alleanza imperialista in Iraq e Afghanistan e ad ammortizzare lo scoglio dei deficit di bilancio a cui la guerra stessa concorre, che spingono al ristagno l’economia del paese a spese delle condizioni di vita del proletariato.
Ed è proprio in relazione al ruolo che le BR occupano
nel percorso del proletariato italiano che può essere valutata appieno
l’importanza di questo rilancio in quanto prodotto dell’affrontamento
per parte rivoluzionaria delle contraddizioni generali e particolari del terreno
rivoluzionario e dello scontro di classe, le cui soluzioni politiche, teoriche,
programmatiche verificate dalla prassi nel vivo di questo scontro conferiscono
alla linea politica generale attestata un valore di tipo storico, per la sua
funzione sul piano attuale e prospettico dello scontro rivoluzionario e di classe.
Le contraddizioni generali del terreno rivoluzionario sono riconducibili ai
caratteri della fase della Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie
che le BR-PCC hanno aperto a conclusione del ripiegamento iniziale operato nella
Ritirata Strategica, originate dalle modifiche intervenute nello scontro per
il consolidarsi del dato controrivoluzionario nelle relazioni complessive tra
le classi, derivato dal riversarsi delle due linee controrivoluzionarie che
la B.I. ha perseguito lungo tutti gli anni ‘80 contro la strategia della
L.A. e contro i paesi a transizione socialista, linee che hanno modificato i
rapporti PI/BI a favore di quest’ultima. Un contesto che ha accentuato
la non linearità dell’attività rivoluzionaria delle BR-PCC
imperniata alla ricostruzione di tutti i fattori politici e militari danneggiati
e dispersi dalla controrivoluzione, sviluppata a partire e intorno all’attacco
allo Stato e all’imperialismo, ricostruzione che dovendo procedere in
relazione al consolidarsi del dato controrivoluzionario è soggetta alla
contraddizione generale della possibile discontinuità nel suo percorso,
come si è verificato negli anni ‘90 con l’assenza dell’attacco
al cuore dello Stato. Una discontinuità da cui scaturiscono le contraddizioni
particolari del terreno rivoluzionario in questa fase e che investono la soggettività
rivoluzionaria di classe che vuole misurarsi con le politiche che contrappongono
la classe allo Stato e alla borghesia, e in ciò rilanciare il processo
rivoluzionario, in quanto essa stessa prodotto di uno scontro in cui si riversano
le linee offensive dello Stato che rideterminano i rapporti di forza tra le
classi. Per le avanguardie rivoluzionarie di classe degli anni ‘90 si
è trattato di affrontare e risolvere le contraddizioni di un avvio dell’iniziativa
rivoluzionaria che fosse collocato nella continuità oggettiva del processo
rivoluzionario, quella della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie
per come era stata fatta avanzare dalle BR-PCC fino a quel momento, questione
che ha come presupposto l’impossibilità di aggirare l’approfondimento
della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione per come vi aveva inciso
la prassi rivoluzionaria e, per contro, da come lo Stato vi si era contrapposto
per contenerla, ridefinendo le strategie politiche e militari sperimentate per
annientare l’0 e sterilizzare il movimento di classe dalla politicizzazione
favorita dalla dialettica d’avanguardia in base a cui le espressioni più
mature della classe possono coniugarsi con la proposta rivoluzionaria. Un’assunzione
che rende cogente riferirsi al livello più alto di prassi-teoria-prassi
attestato dalle BR-PCC nello scontro, fuori dal quale non può essere
qualificato il ruolo politico d’avanguardia da esercitare nello scontro
volendo assumersi la responsabilità verso gli interessi politici e storici
del proletariato e verso la progettualità delle BR che ne è l’espressione
autonoma sul piano rivoluzionario. Questo perché storicamente per l’avanguardia
rivoluzionaria, cogliere questo piano di contraddizione è il presupposto
per definire la progettualità adeguata ad incidere nello scontro e a
far avanzare il processo rivoluzionario. Un dato divenuto oggi discriminante
per tutte le avanguardie a fronte delle problematiche che pone la discontinuità
di attacco che rende l’assunzione della prassi rivoluzionaria adeguata
non scontata né lineare.
Le risultanze emerse dal rilancio operato dalle BR-PCC chiariscono il ruolo
centrale rivestito dall’avanguardia rivoluzionaria NCC nell’affrontamento
di queste contraddizioni a cui la loro prassi rivoluzionaria ha dato una prima
risoluzione, avviando un processo che per salti e rotture è stato la
base della maturazione della soggettività rivoluzionaria che ha costruito
la capacità offensiva adeguata a incidere negli equilibri politici tra
le classi e perciò ad assumere il ruolo di direzione come BR-PCC. Un
ruolo di direzione che ha esplicitato gli insegnamenti generalizzabili di questa
esperienza che hanno trovato sintesi teorica e politica nel quadro degli avanzamenti
complessivi che le BR hanno attestato con il rilancio nello scontro.
I NCC hanno avviato la costruzione dell’iniziativa offensiva in un contesto
assai diverso da quello in cui si è affermata la strategia della L.A.,
senza cioè avvalersi di un movimento rivoluzionario che favorisse le
rotture soggettive dell’avanguardia di classe sulla L.A., un avvio affrontato
avvalendosi della base di forza attestata dalle BR-PCC sul piano rivoluzionario,
cioè in forza del punto di non ritorno immesso nello scontro dal processo
rivoluzionario in cui vi pesava l’avanzamento strategico conseguito nella
risoluzione per parte rivoluzionaria della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione
alla fine degli anni ‘80. Una risoluzione a cui l’0 è pervenuta
misurandosi con la controffensiva dello Stato con la scelta della Ritirata Strategica
entro la quale ha potuto mantenere aperto lo scontro rivoluzionario con lo Stato
e l’imperialismo ricentrando e riadeguando l’impianto politico in
base a cui ha aperto la fase della Ricostruzione interna a quella più
generale di R. S. Un riadeguamento la cui portata è stata sintetizzata
dall’0 attaccando, in dialettica con il movimento di classe, il progetto
Ruffilli, travolgendo gli equilibri politici che lo sostenevano, e così
contribuendo ad affossare quel passaggio interno alla transizione del sistema
politico mirato a trasformare la mediazione politica storica per ridurre il
peso politico del proletariato che la controrivoluzione degli anni ‘80,
malgrado il duro colpo inferto alle BR-PCC, non era riuscita a conseguire nei
termini voluti dalla B.I. Un’iniziativa offensiva che, per i risultati
politici prodotti nello scontro di classe generale e sul piano rivoluzionario,
è stata lo snodo determinante dell’avanzamento strategico, nonostante
il terreno della costruzione avviato dall’O. nella dinamica attacco-costruzione-attacco
non si sia sviluppato linearmente a causa degli arresti dell’88-89.
In questo senso il riferimento dei NCC all’avanzamento strategico nella
contraddizione rivoluzione/controrivoluzione ha significato capitalizzare la
forza politica sviluppata con l’iniziativa Ruffilli, forza politica su
cui si è coagulata la frattura soggettiva di queste avanguardie che su
questa base si sono misurate con lo scontro classe/Stato, imperialismo/antimperialismo.
Premesse che hanno implicato l’assunzione dello scontro in un rapporto
di continuità-critica-sviluppo con la progettualità attestata
dalle BR-PCC, su cui hanno impostato l’attività rivoluzionaria
in base ai criteri e insegnamenti definiti e verificati nel corso di un processo
rivoluzionario condotto nell’unità del politico e del militare
agendo da Partito per costruire il Partito ed elaborato la progettualità
rivoluzionaria adeguata a misurarsi con lo scontro in atto negli anni ‘90,
cosa che ha significato identificare e qualificare le contraddizioni del terreno
rivoluzionario nella fase di Ricostruzione in assenza dell’attacco allo
Stato e in relazione al procedere della fase nel quadro del consolidamento del
piano controrivoluzionario nei rapporti di classe. Contraddizioni che hanno
comportato specificare nella fase della Ricostruzione delle forze lo Stadio
Aggregativo, stadio che informa le modalità del lavoro rivoluzionario
sul piano politico-organizzativo, relative alla necessità di coagulare
l’aggregato fisiologico di forze per costruire la capacità offensiva
e la stabilizzazione delle forze organizzate sulla linea politica e sul programma
d’O.
Sul piano dello stato della classe ha significato valutare
la tendenza alla spoliticizzazione del movimento di classe e l’influenza
su di esso del terreno riformista e revisionista anche a fronte della difficoltà
di tenuta delle sue posizioni autonome che segnavano solo sporadicamente lo
scontro. Questo come risultato delle politiche offensive degli esecutivi ruotate
intorno all’attuazione delle ristrutturazioni economico-sociali e conseguenti’riforme
politico-istituzionali rese impellenti dalla crisi e dal rischio per la B.I.
di rimanere tagliata fuori dai processi di integrazione allora in corso per
l’unificazione del mercato, dei capitali e della forza-lavoro dell’area
economica europea, essendo la dimensione d’area fondamentale per agganciare
la concorrenza internazionale e, a seguito del crollo del Patto di Varsavia,
inserirsi nell’apertura dei paesi dell’Est al mercato capitalistico.
Un contesto che ha deciso della modifica dell’aspetto dominante della
contraddizione classe/Stato, non più la rifunzionalizzazione dei poteri
dello Stato ma la ristrutturazione economico-sociale veicolata dalle politiche
neocorporative, politiche che, nel far arretrare le posizioni di classe, hanno
consentito alla soggettività politica della B.I. di formare equilibri
politico-sociali sufficienti a governare il conflitto e la crisi. Processi da
cui gli esecutivi hanno tratto quella agibilità politica su cui sono
marciate le modifiche politico-istituzionali che, intorno all’accentramento
dei poteri e delle prerogative legislative dell’esecutivo, hanno affermato
anche in Italia il sistema dell’alternanza tra coalizioni che sancisce
la riduzione degli interessi rappresentabili e mediabili. I risultati concreti
conseguiti in questo processo divengono Il costituzione materiale” che
pesa in negativo nella rideterminazione delle relazioni tra le classi. Una rideterminazione
che nel quadro dei rapporti di forza favorevoli alla borghesia va a connotare
in senso neocorporativo la mediazione politica in funzione dell’assestamento
del dominio della B.I. e dell’assunzione di ruolo dello Stato sul piano
internazionale.
E’ su questi termini di scontro che i NCC si assumono il compito di proporre
a tutte le avanguardie il rilancio della strategia della L.A. intervenendo concretamente
sul nodo classe/Stato con l’iniziativa contro la Confindustria del ‘92
e in quello imperialismo/antimperialismo con l’iniziativa del ‘94
contro il Nato Defence College, misurandosi con la ridefinizione della strategia
Nato consentita dalla modifica degli equilibri internazionali intervenuta con
il crollo del Patto di Varsavia conseguito dalla controrivoluzione imperialista.
Per l’avanguardia era centrale in quel momento misurarsi con i patti sociali
che avevano nella negoziazione neocorporativa la leva per tradurre le linee
macroeconomiche degli esecutivi in intervento attivo per incidere nelle condizioni
e posizioni di classe, patti sociali che sancivano la modifica di ruolo dei
protagonisti della negoziazione, soprattutto il sindacato confederale che completava
la sua trasformazione in soggetto politico in funzione del ruolo delle parti
sociali nell’agevolare e legittimare la decisione politica legislativa
dell’esecutivo in materia di lavoro.
Con queste iniziative combattenti i NCC possono esercitare
un ruolo d’avanguardia nello scontro di classe e dare verifica alla progettualità
messa in campo che costituirà lo snodo dell’avvio dello Stadio
Aggregativo. E’ dunque nella prassi complessiva immessa nello scontro
che l’avanguardia vaglia gli indirizzi e le potenzialità delle
forze, le condizioni particolari dello scontro e le contraddizioni del lavoro
rivoluzionario, affinando e complessivizzando la capacità progettuale.
Un percorso niente affatto lineare e da cui le BR-PCC hanno tratto gli insegnamenti
fondamentali che consentono di costruire l’iniziativa rivoluzionaria in
un quadro di discontinuità a partire dal presupposto che nella guerriglia
urbana il rilancio degli avanzamenti rivoluzionari attestati non può
darsi separatamente dal rapporto con lo scontro, e perciò tutte le condizioni
complessive della prassi rivoluzionaria, inclusa la stessa costruzione del soggetto
organizzato che agisce da Partito per costruire il Partito, devono essere costruite
e organizzate a partire dall’attacco sui nodi centrali che contrappongono
la classe allo Stato.Si tratta per l’avanguardia rivoluzionaria di collocare
nello scontro una prassi che sia espressione: del rapporto coi nodi politici
centrali che investono lo scontro classe/Stato, dell’assunzione della
progettualità e linea politica delle BR-PCC e della specifica capacità
politico-militare esprimibile all’avvio dell’intervento rivoluzionario.
Una sintesi politica d’avanguardia che va a costituire l’impostazione
politica e strategica che guida le verifiche occorrenti a misurare e ponderare
le scelte di ordine tattico e selezionare la disposizione delle forze intorno
alla linea politica e al programma perseguito, questo nella individuazione delle
contraddizioni sul terreno rivoluzionario conquistando e affinando la capacità
di superarle e/o governarle in avanti, approfondendo la progettualità
in relazione al passaggio rivoluzionario in atto, che è quello interno
alla fase della Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie e alle
sue peculiarità legate alla discontinuità di percorso e di intervento
rivoluzionario, nella necessità di realizzare la costruzione/fabbricazione
del Partito Comunista Combattente per dirigere questo livello di approfondimento
dello scontro rivoluzionario, ma a partire da uno stadio aggregativo delle forze.
Lo stadio aggregativo ha dunque rilevanza strategica sul piano rivoluzionario
della ricostruzione, in quanto le condizioni generali dello scontro rivoluzionario
e di classe che lo hanno reso necessario, pur essendo state relativamente modificate
con l’apertura del varco offensivo nella difensiva di classe, non sono
state superate, e in questo senso non è riducibile all’esperienza
delle avanguardie che lo hanno definito, e fintanto che non saranno ricostruite
nello scontro le condizioni complessive sul piano politico e militare per dirigere
il processo rivoluzionario avanzando nella costruzione del PCC, queste daranno
carattere di episodicità più o meno accentuata dell’intervento
rivoluzionario e instabilità delle forze organizzate.
La definizione dello Stadio Aggregativo costituisce altresì uno sviluppo
concreto dei contenuti della fase di Ricostruzione che chiarisce e precisa come
ristrette avanguardie possono misurarsi con l’approfondimento dello scontro
rivoluzionario e di classe dentro processi aggregativi indirizzati alla costruzione
delle forze per l’offensiva e alla stabilizzazione dell’organizzazione
strategica progredendo verso una capacità offensiva superiore, adeguata
ad incidere negli equilibri politici e di forza generali tra le classi e modificarli
a favore del proletariato perché questo è il livello di capacità
offensiva in grado di riporre nello scontro l’interesse generale di classe
e così contrastare i processi politici in atto che tendono a frammentarlo
dentro le linee offensive imperniate sulla composizione corporativa delle contraddizioni
politiche e sociali, che selezionano interessi sociali particolari e transitori
sugli interessi della borghesia. Questo è stato concretamente dimostrato
dalle iniziative offensive del ‘99 e del 2002 che hanno spezzato, seppure
momentaneamente, la mediazione politica neocorporativa entro cui è governato
e imbrigliato il conflitto di classe che agisce preventivamente laddove avviene
la politicizzazione del conflitto. Più precisamente le iniziative offensive
hanno danneggiato i progetti attaccati incrinando gli equilibri politici a sostegno
del metodo politico per veicolarli, quello concertativo prima, teso ad accerchiare
e isolare l’autonomia di classe per neutralizzarne il peso che ricopriva
nel decennio passato, quello del dialogo sociale poi, che, nel ridurre ulteriormente
la rappresentatività politica e sociale di classe a partire dalla negoziazione,
è proiettato a rimodellare le relazioni complessive tra le classi. In
questo le iniziative offensive hanno indebolito l’azione politica degli
esecutivi, andando ad incidere là dove si rideterminano i rapporti di
forza tra le classi, iniziative che perciò hanno pesato in positivo nelle
posizioni politiche della resistenza di classe, di contro agli attacchi portati
dall’esecutivo.
Più in generale la dinamica attacco-costruzione-attacco
realizzata dalle BR-PCC con queste iniziative ha costituito il terreno di maturazione
politica dell’esperienza avviata agli inizi degli anni ‘90 nel salto
che gli ha impresso la direzione come BR, relativamente al piano della disposizione
delle forze sugli indirizzi politici e programmatici propri alla conduzione
rivoluzionaria dello scontro in cui si precisa la linea politica generale e
si stabilisce il carattere delle dialettiche da operare con l’attacco
sul piano rivoluzionario e di classe per l’avanzamento del processo rivoluzionario
che nella fase attuale richiede di favorire e qualificare le rotture soggettive
delle avanguardie di classe sul piano della L.A. intorno agli obiettivi programmatici
di attacco allo Stato e all’imperialismo.
Quello che il rilancio della strategia della L.A. ha dimostrato è la
possibilità/necessità di collocare in avanti la linea politica
delle BR-PCC in un rapporto di continuità-critica-sviluppo con questo
patrimonio, proponendo e attestando l’agire da Partito per costruire il
Partito, come affermato dall’avanguardia rivoluzionaria che ha praticato
la continuità politica e strategica dell’intervento rivoluzionario
con quanto praticato e proposto alla classe dalle BR e con il ruolo di direzione
svolto dall’O. nello scontro generale tra le classi. L’incisività
del rilancio del ‘99-02 nello scontro di classe generale e lo sviluppo
della progettualità politica e strategica che l’O ha attestato,
hanno prodotto un nuovo punto di non ritorno del processo rivoluzionario nello
scontro di classe. Da queste attestazioni la prassi combattente immessa nello
scontro dalle BR-PCC ha posto la problematica dell’approfondimento del
rapporto di Partito che è necessario per sviluppare il processo rivoluzionario
misurandosi con i processi aggregativi e governando in avanti le contraddizioni
indotte dagli arretramenti. Questione nodale per una forza rivoluzionaria che
conduce una guerra di classe di lunga durata il cui andamento è soggetto
ad avanzate e ritirate, fino a comportare come nella nostra esperienza un rilancio
al livello più alto dello scontro nel quadro di un ripiegamento che è
arrivato fino alla discontinuità del percorso di fase. Rilanciare la
strategia della L.A. a fronte di questi caratteri del terreno rivoluzionario
ha significato l’affermazione di un grado di governo e risoluzione delle
contraddizioni che attesta un livello di affinamento della direzione che agisce
da Partito. Una prerogativa dell’agire da Partito in relazione all’approfondimento
della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione e alla conseguente radicalizzazione
del processo rivoluzionario che, per un dato storico-politico affermato nello
scontro, dà all’iniziativa offensiva una incisività e una
propositività adeguata ai compiti rivoluzionari di fase, in particolare
relativamente alla problematica delle fratture soggettive quale linea politica
specifica a questa fase di scontro in cui il piano della ricostruzione attiene
anche ai livelli di riproducibilità della soggettività rivoluzionaria
e di classe a loro volta strettamente connessi all’iniziativa offensiva
che agisce da Partito e al nuovo punto di non ritorno che gli avanzamenti rivoluzionari
prodotti dall’0 hanno immesso nello scontro.
Un risultato politico, quello del nuovo punto di non ritorno, in cui trova conferma quella legge della guerra che attribuisce alla forza rivoluzionaria che supera una controrivoluzione un vantaggio strategico, legge che nello specifico della guerriglia urbana conferisce valore assoluto all’adeguamento della progettualità e relativo allo stato politico-organizzativo contingente delle forze in misura di quanto radicato e sedimentato dall’attività rivoluzionaria nelle relazioni tra le classi. Un valore relativo perché la forze rivoluzionarie che nella guerra di classe di lunga durata sono soggette a dispersione come dato fisiologico, si ricostituiscono attingendo dal referente sociale della strategia della L.A., il proletariato metropolitano. Una riproducibilità delle forze non eliminabile in forza delle ragioni sociali della L.A. perché in essa l’autonomia di classe trova risposta ai suoi bisogni storici irrisolvibili nell’ambito del conflitto di classe sul solo piano politico. Il riadeguamento ha invece valore assoluto perché si colloca come risultante avanzata per parte rivoluzionaria dell’approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione da cui è sempre possibile ripartire per rilanciare il processo rivoluzionario anche come ristrette avanguardie. In questo senso, data la centralità acquisita dalle BR nel percorso storico del proletariato italiano, il progetto rivoluzionario trova sempre modo dì farsi strada sul piano delle fratture soggettive per misurarsi con i progetti antiproletari dello Stato, in quanto trova negli avanzamenti del patrimonio attestati nello scontro rivoluzionario e di classe la strumentazione progettuale e strategica per costruire iniziativa rivoluzionaria.
-Attaccare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di rimodellazione economico-sociale e di riforma politico-istituzionale teso a rafforzare il dominio della borghesia imperialista.
-Lavorare alla ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie sul terreno della L.A. e degli strumenti politico-organizzativi per rilanciare l’iniziativa offensiva e far avanzare i termini attuali della guerra di classe.
-Attaccare le politiche centrali dell’imperialismo nelle sue strategie di guerra e controrivoluzione, oggi concretizzate nell’occupazione dell’Iraq.
-Lavorare alla costruzione del Fronte Combattente Antimperialista con tutte le forze rivoluzionarie e antimperialiste dell’area europea-mediterranea-mediorientale per portare l’attacco contro il nemico comune, facendo vivere gli interessi comuni del proletariato metropolitano e dei popoli della regione
-Onore al compagno Mario Galesi caduto combattendo per il comunismo!
-Onore a tutti i combattenti rivoluzionari e antimperialisti caduti!
-W la strategia della Lotta Armata!
-W l’Intifada palestinese e la guerra di liberazione nazionale irakena!
-Proletari di tutti i paesi uniamoci!
I militanti delle Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente
Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Rossella Lupo, Fabio Ravalli.
La militante rivoluzionaria Vincenza Vaccaro.